Antialdosteronici e scompenso di cuore: pro e contro. Nello scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata, la terapia a lungo termine con spironolattone migliora la funzione del cuore, ma non modifica la capacità di esercizio, i sintomi o la qualità della vita, almeno secondo uno studio pubblicato su Jama da un gruppo di ricercatori tedeschi. «I pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione uguale o maggiore del 50 per cento sono oltre la metà dei casi totali» dice Frank Edelmann, cardiologo dell'Università di Gottinga, in Germania e primo autore dello studio. In questi soggetti non vi è una terapia codificata, ma la continua stimolazione della secrezione di un ormone, l’aldosterone, può contribuire alla progressione della malattia. Così Edelmann e colleghi hanno condotto tra il 2007 e il 2012 uno studio clinico controllato, l’Aldo-Dhf, allo scopo di esaminare gli effetti a lungo termine dello spironolattone, un antagonista del recettore dell'aldosterone, sulla funzione diastolica e la capacità di esercizio nei pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione integra. Lo studio, cui hanno partecipato una decina di centri in Germania e Austria, ha incluso 422 pazienti con scompenso cronico classe Nyha II o III, frazione di eiezione ventricolare sinistra del 50 per cento o superiore, ed evidenza di disfunzione diastolica. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 25 mg di spironolattone o placebo una volta al giorno, con 12 mesi di follow-up. Riprende Edelmann: «Lo spironolattone ha effettivamente migliorato il riempimento telediastolico del ventricolo sinistro misurato all’ecocardiogramma, mentre non sono emerse differenze riguardo la capacità di esercizio massimale, i sintomi o la qualità della vita dei pazienti». «Aldo-Dhf non fornisce dati interessanti, ma non entusiasmanti sull’efficacia degli antagonisti dei mineralcorticoidi come lo spironolattone negli scompensati con frazione di eiezione preservata» puntualizzano John Cleland e Pierpaolo Pellicori dell'Università di Hull, Regno Unito, in un editoriale di commento. Gli antialdosteronici servono a evitare un abbassamento dei livelli di potassio indotto da diuretici come la furosemide, ed è probabile che questi benefici siano importanti nei casi in cui l’aldosterone viene inattivato più lentamente a causa della congestione epatica. Se gli antialdosteronici portino ulteriori vantaggi attraverso meccanismi come la riduzione della fibrosi, dell’infiammazione e dell’attività adrenergica, è ancora troppo presto per dirlo». (Jama. 2013;309(8):781-791. doi:10.1001/jama.2013.905) Ca del seno e antracicline, meno rischi di scompenso con statine. Nelle donne con cancro mammario in chemioterapia con antracicline l'uso di statine si associa a un rischio ridotto di insorgenza di scompenso cardiaco. Lo rivela uno studio retrospettivo realizzato da studiosi americani e australiani. Il team ha analizzato i dati riguardanti 628 pazienti (età media: 51,5 anni) affette da cancro del seno di nuova diagnosi in trattamento con antracicline. L'outcome primario – rappresentato da ospedalizzazione per insufficienza cardiaca di nuova insorgenza - è stato valutato confrontando pazienti che avevano ricevuto statine ininterrottamente durante un follow-up medio di 2,55 anni con un gruppo di donne che non ha ricevuto statine in modo continuativo. Dopo abbinamento per propensity score in proporzione 2:1, le 67 pazienti (10,7%) trattate con statine senza soluzioni di continuità sono state confrontate ai 134 controlli. Si sono osservati 67 casi di scompenso cardiaco incidente sul totale di 201 pazienti abbinate. All'analisi di regressione, l'hazard ratio (Hr) è risultata di 0,3 nelle donne in terapia costante con inibitori dell'HmgCoA. Predittori di nuova insorgenza di scompenso cardiaco sono risultati i fattori di rischio cardiovascolare all'atto della diagnosi di carcinoma mammario (Hr: 5,0), un valore di frazione d'eiezione alla baseline <55% (Hr: 2,7) e l'impiego di trastuzumab (Hr: 3,0). La mortalità da scompenso cardiaco è apparsa significativamente minore nel gruppo in trattamento con statine, con 4 casi rispetto ai 23 nell'altro gruppo. Anche la mortalità correlata al cancro è risultata inferiore nelle donne del primo gruppo, nel quale non si sono avuti decessi legati alla neoplasia contro i 15 nel gruppo di confronto. (J Am Coll Cardiol, 2012; 60(23):2384-90) Scompenso cardiaco, complicanze da cardiomiopatia dilatativa. L'anemia è un problema prevalente nei pazienti pediatrici colpiti da scompenso cardiaco congestizio dovuto a cardiomiopatia dilatativa (Dcm)e compare a tutte le età. In questa popolazione in cui lo scompenso si associa ad anemia, l'ospedalizzazione, come surrogato della morbidità, è elevata ma non si osserva un aumento del rischio di morte. Questi sono i termini in cui vengono riassunti dagli autori le conclusioni di un'indagine svolta su 58 bambini con scompenso cardiaco congestizio in presenza di Dcm: sono stati esaminati i sintomi dello scompenso, la presenza di anemia, il ricovero in ospedale, l'età della prima manifestazione clinica, la necessità di trasfusione e la mortalità. Lo studio, firmato da Goetz Mueller, cardiologo pediatra dell'University Medical Center Hamburg-Eppendorf di Amburgo, e collaboratori, ha dimostrato che lo stato anemico è presente nel 64% dei pazienti con Dcm. L'ospedalizzazione secondaria all'insufficienza cardiaca è risultata significativamente elevata nei pazienti scompensati con anemia (valore medio 35,1 versus 9,97 giorni per anno, P<0,05). La mortalità però non è elevata. Non sono state osservate relazioni significative tra l'età e prevalenza dell'anemia o tra l'età e la severità dell'anemia. (Int J Pediatr. 2012;2012:452909) Aneurismi aorta addominale: meglio sorveglianza più lunga. Di anni si tratta, e non di mesi, quando si stima l’intervallo di sorveglianza più adatto a ridurre il rischio di rottura dei piccoli aneurismi dell’aorta addominale (Aaa), almeno secondo le conclusioni di una metanalisi pubblicata su Jama. «Il tasso di sopravvivenza dopo la rottura di un aneurisma dell'aorta addominale è del 20%, il che fa di questa patologia un’importante causa di mortalità» osserva Simon Thompson, epidemiologo dell'Università di Cambridge, in Inghilterra, e coordinatore dello studio. «Nei pazienti con piccoli Aaa, di diametro minore di 5,5 cm, il rischio di rottura è inferiore al rischio chirurgico, ed è quindi indicato un programma di sorveglianza basato su un’indagine ecografica ripetuta a intervalli regolari». Ma anche se la maggior parte dei piccoli aneurismi cresce lentamente, vi sono notevoli variazioni individuali nei tassi di crescita, e non esiste consenso sull’intervallo ottimale tra un esame e l’altro. Così Thompson e colleghi hanno condotto una metanalisi per stimare il periodo di sorveglianza più adatto correlandolo con i tassi di crescita degli aneurismi. Allo scopo sono stati selezionati di 18 studi che hanno coinvolto 15.471 pazienti, 13.728 uomini e 1.743 donne, sotto sorveglianza per aneurismi dell’aorta addominale di diametro minore di 5,5 centimetri, considerato la soglia per l’intervento. Riprende Thompson: «Nei maschi un aneurisma di 3 cm cresce in media di 1,28 millimetri all'anno, mentre uno di 5 cm cresce di 3,61 mm». Ciò significa che nel caso di un aneurisma di 3 cm, il tempo medio per raggiungere la soglia chirurgica di 5,5 centimetri è di circa 7,4 anni, mentre i tempi medi per quelli di 4 e 5 cm di diametro sono rispettivamente 3,2 anni e di 8 mesi. «I tassi di crescita erano simili per le donne e gli uomini, ma le femmine avevano un rischio rottura 4 volte maggiore dei maschi e lo raggiungevano in tempi più brevi» riprende l’epidemiologo, sottolineando come le attuali raccomandazioni per intervalli di sorveglianza variano ampiamente: per esempio, il programma britannico di sorveglianza prevede 12 mesi per diametri da 3-4,4 cm e 3 mesi per diametri da 4,5-5,4 cm. «I nostri risultati indicano invece che per gli uomini questi intervalli di sorveglianza potrebbe essere estesa a 3 anni per Aaa da 3 a 3,9 cm, a 2 anni da 4 a 4,4 cm, e a un anno da 4,5 a 5,4 cm» dice Thompson. Ciò significa che in un paziente con un Aaa di 3 cm il numero medio di scansioni si ridurrebbe da 15 a 7. (Jama. 2013, 309 (8):806-813) Aneurisma aorta: benefici simili con mininvasiva e in aperto. La riparazione endovascolare oppure a cielo aperto di un aneurisma dell'aorta addominale porta a un'analoga sopravvivenza a lungo termine. La tecnica mininvasiva, che offre i risultati migliori nei pazienti più giovani, determina benefici in termini di sopravvivenza perioperatoria che si protraggono per vari anni, ma resta preoccupante la possibilità di una rottura della parete vasale dopo la riparazione. Il confronto è stato effettuato su 881 pazienti (età media: 49 anni) selezionati in 42 centri medici Usa per veterani in quanto portatori di aneurisma aortico addominale asintomatico e candidati a entrambi i tipi di procedura; avviati in modo randomizzato alla riparazione endovascolare (n=444) o alla tecnica in aperto (n=437), sono stati seguiti per un periodo variabile, fino a 9 anni (media: 5,2). In relazione all'outcome primario costituito dalla mortalità generale, si sono registrati 146 decessi in ogni gruppo (hazard ratio, Hr, con riparazione endovascolare vs in aperto: 0,97). La ridotta mortalità perioperatoria ottenuta grazie alla riparazione endovascolare, già descritta, si è prolungata fino a 2 anni (Hr: 0,63) e a 3 anni (Hr: 0,72), ma non oltre. Nel medesimo gruppo di pazienti vi sono state 10 morti correlate ad aneurisma contro 16 nell'altro (2,3% vs 3,7%), ma si sono anche avute, nello stesso ordine, 6 rotture di aneurisma confermate rispetto a nessuna. È stata inoltre osservata una significativa interazione tra età e tipo di trattamento: la sopravvivenza è aumentata nei pazienti sotto i 70 anni nel gruppo mininvasivo ma ha mostrato la tendenza a migliorare tra i soggetti di età ≥70 anni operati a cielo aperto. (N Engl J Med, 2012; 367(21):1988-97) Post-hoc analisi dello studio RE-LY: dabigatran concomitante ad antiaggreganti piastrinici nei pazienti con FA. Dabigatran, nei suoi 2 dosaggi, è efficace e sicuro quando associato agli antiaggreganti piastrinici anche se sembra aumentare il rischio di sanguinamenti maggiori (sempre meno del warfarin). Queste sono le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori coordinati da Dans, della University of the Philippines di Manila. Lo studio RE-LY ha dimostrato che il dabigatran 150 mg BID era superiore al warfarin e il dabigatran 110 mg bid è stato non inferiore nel prevenire ictus ed embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale. I ricercatori hanno voluto valutare se l'efficacia e la sicurezza del dabigatran era mantenuta anche in pazienti che facevano uso in contemporanea anche di antiaggreganti piastrinici. Dei 18.113 pazienti dello studio RE-LY, 6.952 (38,4%) assumevano in concomitanza aspirina (32%) o clopidogrel (1,9%) o entrambi (4,5%). Il dabigatran 110 mg bid si è dimostrato non inferiore a warfarin nel ridurre ictus ed embolia sistemica, sia che i pazienti ricevessero antiaggreganti piastrinici (HR 0.93; IC 95%, 0,70-1,25) sia che non assumessero (HR, 0,87; 95% CI, 0,66-1,15; interazione P = 0,738). C'erano meno sanguinamenti maggiori rispetto al warfarin in entrambi i sottogruppi (HR, 0,82, 95% CI, 0,67-1,00 per i pazienti che hanno utilizzato antiaggreganti piastrinici (HR, 0,79, 95% CI, 0,64-0,96 per i pazienti che non li assumevano; interazione P=0,794) . Il dabigatran 150 mg BID ha ridotto l'end point primario di ictus e di embolia sistemica rispetto a warfarin. Questo effetto sembra attenuato tra i pazienti che hanno utilizzato antiaggreganti piastrinici (HR, 0,80, 95% CI, 0,59-1,08) rispetto a quelli che non li hanno assunti (HR, 0.52, 95% CI, 0,38-0,72, p per l'interazione = 0.058). I sanguinamenti maggiori erano simili a warfarin a prescindere dall'uso di antiaggreganti piastrinici (HR, 0.93, 95% CI, 0,76-1,12 per i pazienti che hanno utilizzato antiaggreganti piastrinici, HR, 0,94, 95% CI, 0,78-1,15 per i pazienti che non li hanno assunti, p per l'interazione = 0,875). In funzione del tempo di analisi, l'uso concomitante di un singolo antiaggregante piastrinico sembra aumentare il rischio di sanguinamento maggiore (HR, 1.60, 95% CI, 1,42-1,82). Il doppio antiaggregante piastrinico sembra aumentare questo rischio ancor di più (HR, 2.31, 95% CI, 1,79-2,98). I rischi assoluti più bassi sono stati con il dabigatran 110 mg BID rispetto a dabigatran 150 mg BID o il warfarin. (Circulation 2013 Feb 5;127(5):634-40) L’uricemia è associata alla comparsa di insufficienza cardiaca nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile. Queste sono le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori coordinati da Eisen del Rabin Medical Center di Petah-Tikva (Israele). Partendo dal presupposto che l'acido urico è elevato nei pazienti con sindrome metabolica e vi è una possibile associazione con eventi coronarici, non essendo chiara l’associazione con il rischio futuro di insufficienza cardiaca, i ricercatori hanno voluto valutare l'associazione tra i livelli di acido urico e il rischio di insufficienza cardiaca nei pazienti con malattia coronarica stabile (CAD). È stata eseguita un'analisi di coorte retrospettiva tra i 2.939 partecipanti allo studio sul bezafibrato in prevenzione dell’infarto miocardico, valutando l’incidenza a lungo termine (fino a 8 anni di follow up in relazione ai valori di uricemia) del rischio di insufficienza cardiaca. Tra i pazienti con elevati livelli di uricemia, c'è stato un maggior numero di uomini, ipertensione sistolica, diabete mellito, sindrome metabolica, livelli elevati di colesterolo totale, insufficienza renale cronica e di precedenti procedure di rivascolarizzazione coronarica. Il tasso di infarto del miocardio durante il follow-up è stato rispettivamente di 10,9%, 10,3%, e 11,6% nel 1°, 2° e 3° terzile di uricemia (p=0,68). L’età aggiustata per HR ratio per insufficienza cardiaca è stata rispettivamente di 1,16 (IC 95%: 0,94-1,45) e 1,28 (IC 95%: 1,04-1,59) nei 2° e 3° terzile, rispetto al 1° terzile. Dopo aggiustamento per fattori confondenti multipli ed infarto del miocardio, il rapporto di rischio per lo sviluppo di insufficienza cardiaca era rispettivamente 1,18 (IC 95%: 0,95-1,47) e 1,25 (IC 95%: 1,00-1,56) nel 2 ° e 3° terzile di uricemia, pertanto l'associazione è attenuata dopo aggiustamento per i tradizionali fattori di rischio per CAD. (Clin Cardiol. 2013 Jan 17. doi: 10.1002) Effetti avversi dell’intervallo PR: esiste una correlazione significativa con l’insufficienza cardiaca e la FA. Dai risultati di questo studio emerge che esiste una correlazione significativa tra l’intervallo PR, lo scompenso cardiaco e la fibrillazione atriale (FA) in una coorte di adulti anziani di due razze diverse. E’ noto che l'intervallo PR aumenta con l'invecchiamento, differisce per razza ed è associato a FA, impianto di pacemaker e mortalità per qualsiasi causa. Il Dott. Magnani ed i suoi colleghi hanno cercato di determinare le correlazioni tra intervallo PR ed insufficienza cardiaca, FA e mortalità in una coorte di pazienti anziani, di razza bianca e nera. The Health, Aging, and Body Composition (Health ABC) Study è uno studio prospettico, di coorte su due razze diverse, da cui sono stati esaminati 2.722 partecipanti (74 anni ± 3 anni, 51,9% donne e il 41% di razza nera). Dopo le valutazioni, non sono state identificate modificazioni significative legate alla razza dei soggetti inclusi nello studio per quel che riguarda gli outcome studiati. Dall’analisi multivariata è emerso che ogni aumento di deviazione standard (29 ms) dell'intervallo PR era associato ad un aumento del 13% del rischio a 10 anni di insufficienza cardiaca (IC 95%, 1,02-1,25) e ad un incremento sempre pari al 13% del rischio di FA (IC 95%, 1,04-1,23). Inoltre, valori dell’intervallo PR > 200 ms sono stati associati ad un aumento del 46% del rischio di insufficienza cardiaca (IC 95%, 1,11-1,93). Infine, l’intervallo PR non è stato associato ad un aumento della mortalità per tutte le cause. In conclusione, vi è una significativa correlazione tra la durata dell’ intervallo PR e la presenza di insufficienza cardiaca e di FA in una coorte di pazienti anziani, di due razze differenti. (Circulation Arrhythmia and Electrophysiology, Issue: Volume 6(1), February 2013, p 84–90) La radice aortica degli atleti. L'aorta è esposta a stress emodinamico durante l'esercizio fisico, ma perchè l'aorta sia di dimensioni maggiori negli atleti non è noto. Sono stati raccolti dati da MEDLINE e Scopus fino ad Agosto 2012. Gli studi riportavano la dimensione della radice aortica in atleti professionisti. Due ricercatori hanno estratto indipendentemente i dati. Un modello lineare multivariato misto è stato utilizzato per condurre una metanalisi di regressione. Sono stati identificati 71 studi che riportano le dimensioni della radice aortica in 8.564 atleti, ma solo 23 di questi studi hanno soddisfatto i criteri di dimensioni della radice aortica all'anulus della valvola aortica o del seno di Valsalva in atleti professionisti (n=5.580). Gli atleti sono stati confrontati direttamente con i controlli (n=727) in 13 studi. Il diametro medio ponderato della radice aortica, misurata ai seni di Valsalva era di 3,2 mm (P=0.02) maggiore negli atleti rispetto ai controlli, mentre la dimensione della radice aortica in corrispondenza della valvola aortica all'anulus era di 1,6 mm (P=0.04) maggiore negli atleti rispetto ai controlli. (Circulation 2013; 127: 791-7) FA e Yoga: un rapporto favorevole?...The Yoga My Heart Study! In questo lavoro sono stati studiati alcuni pazienti con fibrillazione atriale parossistica sintomatica (FA) e valutato quale fosse in questi l'impatto di un sistema strutturato in 3 mesi di un programma di yoga. Nello studio prospettico The Yoga My Heart Study, 49 pazienti hanno completato l’osservazione. Il percorso di formazione Yoga ha ridotto gli episodi sintomatici di FA (3.8 ± 3 vs 2,1 ± 2,6, p<0,001) e asintomatici di FA (0,12 ± 0,44 vs 0,04 ± 0,20, p<0,001). Al termine della fase di intervento yoga, i punteggi SDS e SAS (scale di Zung per la valutazione della depressione e dell’ansia) sono migliorati in modo significativo (p<0,001 per entrambi). Allo stesso modo i questionari sullo stato di salute (SF-36) hanno evidenziato punteggi migliori dopo la terapia yoga sulle seguenti tematiche: funzionamento fisico (p=0.017), di salute generale (p<0,001), vitalità (p<0.001), funzione sociale (p=0.019) e salute mentale ( p<0,01). Vi è stata infine una significativa riduzione della frequenza cardiaca e pressione arteriosa sistolica e diastolica, confrontando prima e dopo lo yoga (p<0,001). In conclusione, questo piccolo studio, ha evidenziato come lo yoga possa migliorare i sintomi e le misure standardizzate di salute mentale, mentre può ridurre solo modestamente il peso della FA tra i pazienti che partecipano a un programma strutturato di formazione yoga. Suggerisce però infine l'idea che lo yoga può essere di modesto beneficio nel ridurre il peso della fibrillazione atriale in alcuni pazienti con fibrillazione atriale sintomatica, migliorando al tempo stesso le misure di qualità di vita e di salute mentale. Studi più grandi saranno necessari per stabilire ulteriormente l’importanza di questi risultati. (J Am Coll Cardiol. 30 Gennaio 2013;doi: 10.1016/j.jacc.2012.11.060) Il tempo nel range terapeutico dei pazienti con FA trattati con TAO è ancora subottimale!! Queste sono le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori coordinati da Han S.Y. del New York Methodist Hospital. Considerando che il beneficio della terapia anticoagulante orale con warfarin nella prevenzione dell'ictus in pazienti con fibrillazione atriale (FA) è direttamente dipendente dalla qualità della terapia anticoagulante (QoA), i ricercatori hanno voluto valutare la QoA con warfarin in pazienti con FA non valvolare gestiti a domicilio. È stato pertanto eseguito uno studio retrospettivo, osservazionale, multicentrico su 392 pazienti con FA trattati con terapia anticoagulante (warfarin) per la prevenzione dell'ictus. I valori di INR sono stati raccolti in un periodo di un anno e la QoA è stata espressa come (TTR). Durante l’anno, il TTR complessivamente era del 56,7%. Per il 29% del tempo dello studio i pazienti sono stati sotto il range terapeutico mentre tra il 10 e 15% del tempo sono stati sopra l'intervallo terapeutico. Durante l’anno si è verificata una morte secondaria ad emorragia intracranica e un sanguinamento maggiore, mentre non ci sono stati ictus. (J Electrocardiol. 2013 Jan;46(1):45-50) Il cuore patisce lo stress: correlazione tra stress mentale ed ischemia nei pazienti coronaropatici! Dai risultati di questo studio emerge che l’ischemia cardiaca indotta da stress di tipo mentale è più frequente di quella indotta da esercizio fisico in pazienti con malattia coronarica stabile. I pazienti con coronaropatia stabile, indipendentemente dallo stato del test da sforzo, eleggibili per lo studio sono stati sottoposti ad una batteria di 3 prove di stress mentale seguito da un test sul tapis roulant. L’ischemia indotta da stress, valutata mediante ecocardiografia ed elettrocardiografia, è stata definita come: 1) sviluppo o peggioramento di anomalie regionali di movimento di parete; 2) riduzione della frazione di eiezione ≥8%, e/o 3) depressione del tratto ST ≥1 mm di tipo orizzontale o downsloping in 2 o più derivazioni della durata di ≥3 di battiti consecutivi nel corso di almeno 1 test mentale o durante il test da sforzo. Dalle analisi è emerso che l’ischemia indotta da stress mentale si è verificata nel 43,45% dei pazienti, mentre quella indotta da esercizio fisico si è verificata nel 33,79% (p=0,002). Inoltre, le donne (odds ratio [OR]: 1,88), i pazienti non sposati (OR: 1.99) ed i pazienti che vivevano da soli (OR: 2.24) avevano più probabilità di avere ischemia indotta da stress mentale (tutti p<0,05). L'analisi multivariata ha mostrato che, rispetto agli uomini sposati o uomini che vivono con qualcuno, gli uomini non sposati (OR: 2,57), le donne sposate (OR: 3.18) o coloro che vivono da soli (maschio OR: 2.25 e femmina OR: 2,72, rispettivamente) presentvano un rischio più alto di ischemia indotta da stress mentale (tutti p<0,05). In conclusione, l’ischemia indotta da stress mentale è più comune di quella indotta da esercizio fisico in pazienti con malattia coronarica stabile. In aggiunta, le donne, gli uomini non sposati e le persone che vivono da sole sono a maggior rischio di ischemia indotta da stress mentale. (Journal of the American College of Cardiology, Volume 61, Issue 7, 19 February 2013, Pages 714–722)