L’amicitia nei primi comuni italiani Un sondaggio nelle artes dictandi alla luce dei recenti orientamenti della storiografia tedesca sull’amicizia medievale I. Introduzione «L’amicitia, l’essere uniti cioè con uomini influenti idealiter in virtù dell’honestum, ma al contempo concretamente in virtù dell’utile, ... rimase come nell’Antichità accanto alla parentela (aristocratica) il criterio per eccellenza dell’importanza sociale e dell’influenza politica.». «Tali forme di amicizia si fondavano meno sull’inclinazione personale e sull’affetto che su un sistema valoriale reciproco, che si basava su prestazione e controprestazione.». «L’istituto dell’alleanza per amicizia (Freundschaftsbund) fu utilizzato in maniera crescente durante la crisi dell’impero carolingio, per costituire una rete di relazione personali, che garantisse aiuto in tutti gli ambiti di vita.».«Coloro che stringevano un patto si consideravano amici che si erano obbligati non dal punto di vista affettivo, bensì secondo il principio del do-ut-des. In primo piano non stava l’affinità personale, bensì il dare e prendere reciproco e orientato allo scopo». L’amicitia – secondo quanto sostenuto nella tesi di dottorato pubblicata nel 2000 da CLAUDIA GARNIER – si fondava su un sistema valoriale di reciprocità, che si basava su prestazione e controprestazione. Questa definizione è, nel suo orientamento utilitaristico, paradigmatica per la medievistica tedesca. Qui di seguito intendo delineare lo sviluppo di queste ricerche nei suoi tratti salienti. Successivamente alcuni di questi metodi saggiati nella medievistica tedesca saranno utilizzati come punto di partenza per l’analisi dell’amicizia nella prima fase di sviluppo dei comuni cittadini italiani. II. Panoramica sulla ricerca 1. La ‘nuova storia costituzionale’ Sin dagli anni ’80 del secolo scorso l’amicizia medievale è stata oggetto di intensa attenzione nella medievistica tedesca. Punto di partenza è stata la critica al modello ideale dello Stato nazionale e costituzionale, che aveva durevolmente condizionato la Verfassungsgeschichte, la ‘storia costituzionale’, fin dal XIX secolo. Secondo la più risalente ‘storia costituzionale’ tedesca anche il regno medievale era definito secondo categorie statuali e concepito come uno “stato territoriale istituzionalizzato”. Nella più 1 recente ‘storia costituzionale’ di OTTO BRUNNER e poi anche di WALTER SCHLESINGER il concetto di stato fu poi sostituito da quello di Herrschaft, cioè di un potere dominativo che tuttavia rimaneva una relazione verticale, ‘dall’alto in basso’. Questo paradigma si saldò con la tesi di THEODOR MAYER sul Personenverbandsstaat, cioè sullo “stato come associazione di persone”. Dunque, la statualità altomedievale non si basava sul potere del re su un territorio, bensì sul suo potere sopra un’associazione di ‘nobili’, che a loro volta esercitavano funzioni dominative nel proprio territorio. Nel frattempo si è compreso quanto la ‘nuova storia costituzionale’ abbia fortemente orientato i propri concetti e le proprie idee secondo la visione sciovinistica del regime nazionalsocialista. ‘Seguito’ (Gefolgschaft) e ‘fedeltà’ (Treue) divennero allora dei paradigmi concettuali strettamente connessi all’attualità. OTTO BRUNNER e WALTER SCHLESINGER avevano cercato di penetrare l’essenza ‘germanica’ dello stato medievale e quindi di dimostrare la sua novità rispetto all’antichità greco-romana. Questo orientamento ‘nazionalistico’, in relazione ad una specifica concezione ‘germanica’ dell’amicizia, influenzò ancora il lavoro di WOLFGANG FRITZ sull’amicizia giurata franca dell’epoca merovingia, pubblicato nel 1954. Per contro BRUNO PARADISI postulò già allora la continuità delle concezioni antiche dell’amicizia: ma in Germania non fu ascoltato. Pur essendo frattanto divenuti obsoleti gli assunti fondamentali di MAYER, permase tuttavia l’idea che i regni altomedievali si comprendessero meno come istituzioni con stabili regole procedurali, che come il ‘co-operare’ di persone associate, le quali erano tra loro legate da vincoli di tipo consortile o signorile. Dagli anni ’60 del secolo scorso la ‘storia costituzionale’ tedesca si interrogò di conseguenza sulle Machtstrukturen, sulle strutture di potere (e non solo sulla Herrschaft, cioè sul potere dominativo come diritto ancestrale), sull’esercizio del potere (e non solo sulla norma), sui suoi mezzi e sulle sue forme. 2. Schmid / Keller /Althoff In particolare, alcuni esponenti della ‘scuola di Friburgo’ costituitasi intorno a GERD TELLENBACH, specificamente KARL SCHMID e dopo di lui HAGEN KELLER e GERD ALTHOFF, nella scia di questo sviluppo storiografico, hanno iniziato a prendere più attentamente in considerazione non solo le singole persone, bensì anche i gruppi che stavano dietro di loro, i quali influenzavano in notevole misura i modelli di comportamento dei singoli. La ricerca sull’amicitia sviluppatasi in questo ambiente sin dagli anni ’80 si basava sulla tesi che gli uomini del medioevo fossero parte di una Sippe, cioè di un’ampia struttura parentale, e membri di gruppi. Dunque erano calati nel mezzo di relazioni personali. Lo ‘stato’ o la ‘società’ si basavano propriamente su tale tipo di relazioni. Le forme di questo legame di gruppo potevano essere dominative (come nelle relazioni feudali), amicali/consortili o parentali. 2 KARL SCHMID e GERD ALTHOFF si sono dedicati a portare avanti ed estendere questo modello fondamentale nella dimensione politica, in particolare nello stringersi di alleanze. Essi hanno comparato le registrazioni di nomi nei libri memoriales dei monasteri di Reichenau, San Gallo e Fulda. In queste infinite serie di iscrizioni onomastiche essi hanno sempre riscontrato il combaciare degli stessi raggruppamenti di nomi. I due studiosi hanno inteso tali raggruppamenti come associazioni laiche di persone che erano tenute insieme non dal vincolo familiare, ma da una comunità volontariamente costituita. La comune registrazione nei libri memoriales e l’affratellamento nel servizio di preghiera ricevuto sono stati interpretati come elementi comprovanti l’esistenza di amicitia-allenza. Anche il re Enrico I compariva nei raggruppamenti ricorrenti. SCHMID e ALTHOFF hanno letto questi affratellamenti come un indizio del felice tentativo di assicurare la pace interna del regno attraverso la stipulazione di amicitiae-alleanze. Sulla base dello specifico stato delle fonti ALTHOFF si è concentrato quasi esclusivamente sulla corte regia, su gruppi di opposizione o in generale sulle élite nella struttura di potere del regno ed è giunto a questo risultato: senza ordinamento costituzionale fissato per iscritto, senza un solido apparato di uffici, differenziato secondo i diversi incarichi e competenze, spesso senza un’evidente separazione tra funzioni dell’ufficio e diritti personali, gli Herrschaftverbände, cioè le configurazioni associative del potere, si fondavano su una rete di relazioni strette personalmente, almeno nell’alto e nel pieno medioevo. Inoltre, l’amicizia serviva in quella turbolenta società a costituire uno spazio di comportamento pacifico, che garantiva sostegno, aiuto e protezione in tutti gli ambiti di vita. Nel 1990 ALTHOFF ha riassunto questa analisi dell’amicizia nel suo libro “Verwandte, Freunde und Getreue” (Congiunti, amici e fedeli) non solo per il regno di Enrico I, ma anche per l’intero alto medioevo sin dalla dinastia merovingia, sottolineando l’importanza dell’amicizia nella società medievale. A partire da queste acquisizioni sulla struttura del potere regio, basata su relazioni personali, BERND SCHNEIDMÜLLER ha presentato nel 2000 le sue idee sulla „konsensualen Herrschaft“, cioè sul ‘potere consensuale’. Dunque, il potere regio si fondò nel medioevo, almeno fino al secolo XIII, sul consenso tra il re e i grandi del regno; il re era per i suoi legami e per i suoi patti di amicizia obbligato a richiedere consiglio e aiuto ai grandi. Le più risalenti concezioni della plenipotenziarità di un re ‘sovrano’, che avevano ancora le proprie radici nel XIX secolo, sono state così profondamente riviste. Gli intrecci di relazioni personali amicali convergenti verso il re hanno trasformato la concezione datata del sovrano plenipotenziario in quella di una figura di integrazione dell’élite politica. 3 3. Verena Epp Nella sua Habilitationschrift del 1999 sull’amicitia dal V al VII secolo VERENA EPP ha recepito molti stimoli provenienti dalla cerchia di GERD ALTHOFF. Il suo contributo personale al dibattito consiste soprattutto nell’aver contraddetto le tesi ancora virulente della ‘nuova storia costituzionale’, elaborate a partire dagli studi di OTTO BRUNNER e WALTER SCHLESINGER, confutando l’idea di una radicale contrapposizione tra paradigmi antico-romani e paradigmi germanici dell’amicizia. La EPP ha sottolineato la persistente forza dei modelli antichi dell’amicizia, che furono sostanzialmente più determinanti rispetto a quelli concorrenti di derivazione germanica. Il linguaggio dell’amicizia dal IV fino al VII secolo rimase costante; e a questa continuità, secondo la EPP, corrispose anche una costanza dei modi di percezione della realtà. Per il resto la EPP ha rinunciato a tesi nette1. Piuttosto ha messo in primo piano una panoramica sul molteplice spettro di forme dell’amicitia: relazioni personali, relazioni proprie della clientela e del seguito, alleanze politiche esterne e rapporti spirituali. Secondo la EPP l'amicizia poteva quindi sia assolvere una funzione ‘conservatrice’, come strumento di equilibrio politico tra le élite, sia costituire un canale di mobilità che consentiva ascese sociali. L’onnipresenza di relazioni di amicizia tra V e VII secolo è il punto di partenza per la tesi più importante della EPP: i gruppi politici, che si erano collegati attraverso l’amicizia, divennero le cellule embrionali delle formazioni statuali germaniche sorte sul territorio dell’impero romano. Perciò queste amicizie influenzarono fortemente la nascita dei regni del primo medioevo. Con ciò la EPP ha preso decisamente le distanze dai lavori tanto della scuola di Freiburg quanto della scuola di Münster – quella di ALTHOFF/KELLER –, le quali hanno analizzato l’amicitia nei suoi aspetti utilitaristici in maniera certamente molto unilaterale. Nondimeno la EPP ha anche condiviso le tesi di ALTHOFF sull’utilità dell’amicitia, come si può ad esempio evincere da questa constatazione: “Il potere regio poteva diventare efficace se si serviva degli uomini attraverso l’amicizia”. 4. Van Eickels: amicizia, parentela e vassallità In modo simile KLAUS VAN EICKELS ha mostrato in numerose pubblicazioni, richiamandosi ai lavori di SUSAN REYNOLDS, che l’amicizia e la relazione feudale potevano essere accostate. Del resto l’amicizia nel medioevo non presupponeva alcuna uguaglianza. Piuttosto l’amicizia costituiva uno spazio libero, in cui questioni di rango o di manifestazione di rango non giocavano alcun ruolo. Il partner di rango più alto era obbligato a trattare il suo amico di rango inferiore come se gli fosse 1 Così la recensione di R. Schieffer, «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 56 (2000), p. 325. 4 pari, mentre l’amico di rango inferiore era obbligato a non mettere in discussione la posizione più elevata del suo partner. Ma VAN EICKELS ha collocato l’amicizia non solo nel contesto della relazione feudale, bensì anche di altre forme di rapporto. Considerando la reciproca prestazione di consiglio e aiuto come carattere fondamentale dell’amicizia medievale, i confini concettuali tra parentela, amore coniugale, fedeltà vassallatica, amicizia guerriera, svaniscono. In tutti questi diversi sistemi di relazione l’obbligazione si lascia definire solo negativamente come ‘patto di non aggressione’. L’amicizia sostituirebbe così una parola del linguaggio politico che era completamente sconosciuta al medioevo: neutralità. Gli obblighi, che legavano l’un con l’altro due amici, non erano fondamentalmente diversi da quelli che sussistevano tra un cavaliere e il suo compagno, tra il signore e il suo vassallo, tra due fratelli o tra coniugi. In ogni caso si impiegò, nonostante altre possibilità linguistiche, la stessa terminologia latina per tutte queste forme di relazione: amor designava l’amore tra coniugi così come quello tra due amici, senza con ciò implicare componenti omoerotiche. 5. Freiburg: amici, protettori e fedeli Dal 2006 i membri dell’attuale Graduiertenkolleg di Freiburg, dedicato a “Amici, protettori e fedeli” (Freunde, Gönner und Getreue) , danno rinnovato impulso agli sforzi compiuti dalla EPP per mettere in discussione il modello interpretativo tendente a concentrarsi unilateralmente sugli aspetti utilitaristici e sulla strumentalizzazione dell’amicizia. L’amicizia e le relazioni clientelari costituivano per le persone coinvolte, cioè per gli amici, per i protettori (patroni) e per i fedeli (clienti), un “capitale sociale”. Questo capitale non è tuttavia sempre o del tutto convertibile in chance economiche, o in potere ed influenza, e non può perciò essere considerato esclusivamente sotto tali punti di vista. 6. Klaus Oschema Una proposta alternativa rispetto al paradigma di ALTHOFF, che costituisce anche in un certo modo il primo lavoro complessivo sull’amicizia nel tardo medioevo, è stata presentata nel 2006 da KLAUS OSCHEMA con lo studio su “Freundschaft und Nähe im spätmittelalterlichen Burgund”. OSCHEMA non ha condiviso l’assunto di ALTHOFF secondo cui l’amicizia come legame personale si dovrebbe interpretare unilateralmente in un’ottica funzionale e pragmatica. OSCHEMA ha in sostanza approvato le tesi dello stesso ALTHOFF per l’alto medioevo, cioè per un’epoca carente di statualità e di certezza del diritto. Ma, per contro, ha interpretato il periodo tardomedievale in Borgogna come un periodo di rottura. Il passaggio allora avvenuto da uno ‘stato feudale’, centrato sulle relazioni personali, ad un sistema politico statuale, istituzionalizzato in senso moderno, avrebbe comportato una separazione della sfera del pubblico e di quella del privato. Il discorso sull’amicizia nella ricca storiografia 5 borgognona e i gesti di ostentata amicizia avrebbero dovuto idealmente ricongiungere queste due sfere, quella privata e quella pubblica, per offrire ai contemporanei, divenuti insicuri, un modello esemplare del ruolo istituzionalizzato dell’amicizia. L’amicizia, come categoria di percezione sociale, aveva mantenuto il suo più generale valore esplicativo dei rapporti umani. 6. Riepilogo Se si cerca di ricapitolare paradigmaticamente gli studi tedeschi degli ultimi decenni, si scopre che essi si sono nel complesso concentrati per lo più sui temi dell’alleanza e dell’attività politicosociale. In altri termini, sono state le problematiche riguardanti il potere, e quindi gli aspetti utilitaristici dell’amicitia, ad essere poste al centro dell’attenzione. Gli studi sull’amicizia, sviluppati nella scia di SCHMID e ALTHOFF, sono in generale riconducibili ai paradigmi della ‘storia culturale del politico’. L’amicitia è stata inserita per così dire come fattore ‘molle’, flessibile di ordinamento delle strutture politiche contro le concezioni più rigide derivate dall’ambito della storia del diritto. ‘Regole del gioco’, che non erano messe per iscritto, e modelli di comportamento comunicativo governavano dunque la realtà sociale più robustamente che le norme giuridiche, la cui rilevanza sarebbe stata sopravvalutata dalla ‘storia costituzionale’ e dalla storia del diritto precedenti. Questo distacco dalle impostazioni storico-giuridiche e la maggior attenzione ai contesti comunicativi sono certamente le caratteristiche fondamentali della più recente medievistica tedesca. III. L’amicizia nell’Ars dictaminis comunale 1. Un’evidenza: la rilevanza dell’amicitia Dopo questa breve panoramica sulle principali idee che la medievistica tedesca ha sviluppato sull’amicitia, si può ora proporre, sulla base di alcuni esempi, la loro applicazione alle artes dictandi composte nell’ambito dei comuni italiani del XII secolo. A tale scopo l’ars dictaminis, come genere testuale, si presta in maniera particolare. È infatti addirittura una miniera per l’analisi delle reti di amicizia, dei modi di acquisire nuovi amici e dei vantaggi pratici che potevano risultare da tali reti. Un quarto dei modelli epistolari nelle prime Artes dictandi si occupa di amicizia; nessun altro tema si avvicina ad essere trattato così diffusamente come lo è quello. Ciò vale per Adalberto Samaritano, Ugo di Bologna, per la Aurea Gemma e persino per i Modi dictaminum del Magister Guido. Boncompagno da Signa, di per sé conosciuto come maestro di retorica ed esponente dell’ars dictaminis, scrisse, come è noto, un’intera opera sull’amicizia. La prima ars dictandi comunale, risalente al 1115, inizia la raccolta epistolare con due lettere sull’amicizia di due nobiles. Altrettanto si può rilevare per l’Aurea Gemma, databile 6 all’incirca al 1130, in cui quasi il 40% delle lettere riguardano l’amicizia e in cui l’amicizia aristocratica tra due nobiles è ancora una volta posta all’inizio della raccolta. La particolare trattazione del tema dell’amicizia nelle artes dictandi comunali è di per sé degna di rilievo. Le prime artes dictandi comunali si rifacevano da vicino, come è noto, all’opera di Alberico di Montecassino. Alberico rimase infatti il punto di riferimento per i dictatores comunali. Nel suo Breviarium non si trova tuttavia alcuna particolare trattazione sull’amicitia. I singoli modelli epistolari in Alberico riguardano l’imperatore e il papa, senza la presenza di terminologia specificamente relativa all’amicizia, come ci si può del resto attendere dall’ambiente curiale di produzione. Ma ciò significa che proprio in relazione all’amicitia le artes dictandi comunali non seguirono il modello di Alberico. Esse elevarono piuttosto l’amicizia a tema centrale in maniera autonoma. L’ampia tematizzazione dell’amicitia fu dunque una consapevole decisione dei dictatores comunali. Quindi, per l’élite istruita dei comuni, da poco costituitisi, la relazione amicale era chiaramente un tema cui prestare particolare attenzione. In altri termini, poiché le artes dictandi sono manuali sulle regole di comunicazione comunali, e sono, per così dire, fondative del discorso comunale, si può desumere che l’amicizia fosse considerata una parte costitutiva di tale discorso da parte delle élite urbane. 2. Amicizia e coniuratio Nel discorso politico dell’élite comunale ci si occupa costantemente della costituzione e del mantenimento dei rapporti di amicizia. Le Artes dictandi sostituiscono insomma come fonte per l’analisi dell’amicizia i Libri memoriales dell’alto medioevo, in relazione ai quali SCHMID e ALTHOFF hanno sviluppato il loro paradigma interpretativo. Le Artes dictandi non tramandano liste di amicizie effettivamente strette, bensì consentono di prendere visione del vocabolario relativo alla realizzazione, al mantenimento e alla strumentalizzazione dell’amicizia. Se nei Libri memoriales si fissano gruppi di persone legati da amicizia, che si sono unite con giuramento nelle coniurationes, le artes dictandi offrono indicazioni sul valore dell’amicizia bilaterale nel contesto sociale delle coniurationes comunali. Certo le coniurationes impiegano allo stesso modo la terminologia che era stata già sviluppata sul modello dell’amicizia. Tuttavia c’è una sostanziale differenza. Le coniurationes sono associazioni di parecchie persone, l’amicitia nelle artes dictandi è di regola bilaterale; nelle artes dictandi essa viene cioè stretta di volta in volta tra due persone. Come accennato, nei suoi precepta dictaminum del 1115 Adalberto Samaritano inizia la raccolta dei suoi modelli epistolari nel contesto del nascente comune bolognese con una coppia di lettere di due viri nobiles, che stringono amicizia. 7 «G. egregio et nobilissimo viro W. Societatis et dilectionis vinculum. Bonorum frequens astipulatio de tuis sanctis moribus in hoc me desiderium provocavit, ut amicitias tuas ardenter exoptem, nam qui bonorum plurium ore celebrantur et probitatis sunt fama laudabiles, merito a bonis omnibus sunt amabiles. […] Idcirco, amabilissime domne, tuam, ut dixi, amicitiam incomparabiliter expetens, has tibi litteras scripsi, orans et summa prece deposcens, ut, quid tibi super his placeat, quam cito rescribas». A questa richiesta di stringere un patto di amicizia segue una risposta positiva nella lettera immediatamente seguente. Così veniamo a sapere qualcosa sulla costituzione concreta di queste amicizie, che innanzitutto erano stabilite solo per via epistolare. «G. superno munere, si quid est, W. Honeste indolis adolescentulo mutue affectionis dilectionem. […] Quod vero postulas, ut rescribam, quid de petitione tua mihi placeat, paucis adverte. Auro obrizo preciosior, cunctis opibus est tua mihi dilectio carior ac per hoc quarta feria proxime ebdomade in urbem conveniamus et amicitiam verbis inceptam revenire satagamus. Vale»! Evidentemente queste lettere sono piene di topoi e servono come esercizio per l’espressione stilisticamente perfetta dell’amicizia e dell’amore. Ma, nonostante questo contenuto fittizio e stilizzato, è sempre da considerare il fatto che queste lettere furono inventate in un contesto sociale e politico reale. Sono sì fittizie, ma non arbitrarie. Le idee e le concezioni che sono costantemente ripetute nelle artes dictandi riflettono la consapevolezza sociale degli autori. Foss’anche nello specifico inventato il contenuto, le concezioni fondamentali che vi stavano dietro apparivano all’autore perlomeno plausibili. Le massime e i principi addotti in questo modo e sostenuti da un generale codice di valori sono tanto più significativi in quanto consentono di gettare uno sguardo sui presupposti e quindi sull’autocomprensione del mondo comunale. Dal punto di vista della teoria del discorso la costante ripetizione delle stesse concezioni mostra che queste erano “dicibili”, cioè erano ben ancorate nei modelli interpretativi della società. Perciò da una parte esse rappresentano le concezioni correnti di una società, ma dall’altra le costruiscono e le rinsaldano, dal momento che sono costantemente ripetute e persino difese argomentativamente. Gli autori delle artes dictandi appartenenti all’élite cittadina presentano in questa forma la loro immagine della società o il loro sapere della realtà 8 sociale, che in forza della loro autorità può essere imposto e istituzionalizzato come ovvio modello di pensiero e di percezione. Inoltre si deve insistere sul fatto che le artes dictandi come genere perseguivano una finalità didattica. Esse presentavano agli studenti le regole fondamentali della comunicazione epistolare e le esemplificavano attraverso modelli fittizi di lettere. Tali modelli non servivano tuttavia solo alla dimostrazione delle capacità stilistiche dell’autore, bensì avrebbero dovuto essere anche di immediata utilità per gli studenti. In altre parole il contenuto avrebbe dovuto essere selezionato in modo che esso potesse essere almeno teoricamente anche reimpiegato. Interpretando quindi queste lettere fittizie come un riflesso plausibile della realtà sociale, esse cominciano anche dirci qualcosa di più. Il già citato scambio epistolare tra i due nobili W. e G. mostra che, dopo il contatto scritto, il pratico avvio dell’amicizia era realizzato con un incontro personale. Ciò che la lettera formula allora come finzione teorica, avrebbe potuto – agli occhi degli studenti – essere effettivamente accaduto. Seguendo questo ragionamento le amicizie come quelle tra G. e W. possono essere considerate consuete nel mondo comunale. In linea generale questa evidenza non sorprenderà. Le amicizie furono strette dovunque e in ogni tempo. Tuttavia, l’assoluta rilevanza delle amicizie tra nobili, che viene significativamente espressa con la collocazione di entrambe le lettere all’inizio della raccolta epistolare, diventa un problema se queste amicizie bilaterali dei nobili all’interno del comune divengono più forti del riconoscimento della ‘concordia’ comunale. Quei nobili, che si ponevano proprio al vertice dell’autogoverno cittadino, stringevano tra loro amicizie all’interno del comune. Queste alleanze amicali tra nobili portavano già in sé il germe delle successive fazioni comunali. E potevano ben eccedere le amicizie bilaterali allargandosi a più consistenti fazioni all’interno dei comuni. Certo, i nobili erano anche partecipi e fautori dell’ordinamento comunale. Ma nondimeno una configurazione fondamentale della complessiva storia comunale rimase quella che opponeva la nobiltà come gruppo organizzato ad un raggruppamento molto più esteso delle componenti sociali cittadine. HAGEN KELLER ha da tempo fatto notare il “contrapporsi di una collettività non chiaramente definita dal punto di vista cetuale e di uno specifico gruppo nobiliare”. Lo scopo principale delle famiglie potenti nei comuni era secondo JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR, «di accedere agli organi dirigenti del comune, di entrare nei consigli e di avere una funzione politica o amministrativa, insomma di esercitare il potere». Dunque le lotte per queste posizioni furono condotte anche con metodi duri, per quanto le fonti tacciano sulle modalità del confronto politico nella prima fase dei comuni. Proprio le elezioni dei consoli e di altri ufficiali furono certo all’inizio non particolarmente formalizzate. Spesso i consoli designavano i loro successori, come è attestato per Genova nella seconda metà del secolo XII. Queste decisioni informali e non trasparenti nelle procedure elettorali erano naturalmente 9 condizionate in maniera particolare da alleanze personali. Ed era qui che contavano le amicizie bipolari strette in precedenza. Nelle artes dictandi erano chiaramente messi in rilievo proprio questi «diversi sistemi di alleanza che si contendevano l’accesso al consolato». A ciò che secondo JEAN-CLAUDE MAIRE VIGUEUR è attestato solo a cavallo tra il XII e il XIII secolo da parte degli Annales Ianuenses, cioè quelle conspirationes et compagnie che «mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa del regime comunale», alludono già le prime artes dictandi, quando si riferiscono alla rilevanza di queste alleanze. Non è allora un caso che Adalberto accanto a queste amicizie di singoli ‘nobili’ evochi anche la Concordia dell’intero comune. «Se i cittadini con i cittadini vivessero in concordia (viverent et concordarent), come prescrive lo ius civile, manterrebbero nel modo giusto l’onore e lo stato della loro città. […] Perciò, consoli di Parma, se Voi civilmente e concordemente conduceste le Vostre vite, come Vi compete, l’onore, la forza e l’ordinamento della Vostra città in Voi sarebbero mantenute e preservate. Perciò, per quanto possibile, non dovete discordare in nessuna situazione confacente ed onorevole». In maniera del tutto simile nell’Aurea Gemma, composta poco più tardi in Italia settentrionale e ampiamente diffusa, si legge: «Se i cittadini con i cittadini gareggiassero nella virtù e secondo l’uso antico concordassero sull’ordinamento della città e sull’utilità pubblica e si adoperassero per entrambe, se essi non preferissero i vantaggi privati al pubblico interesse, bensì estendessero il lustro e la fama della città quotidianamente, giammai l’ordinamento della città cadrebbe o vacillerebbe». L’unità della coniuratio e la relazione personale delle amicizie bilaterali costituiscono un rilevante campo di tensione cui i comuni erano continuamente soggetti. Già tutte le prime artes dictandi dal 1115 mostrano queste tensioni strutturali. Le amicizie individuali sono costituite per essere al momento opportuno utilizzate strumentalmente. I vantaggi riguardano ad esempio l’assegnazione di uffici nei procedimenti elettorali comunali o anche la possibilità di aprirsi, con l’aiuto degli amici, la strada verso l’ ‘orecchio’ di un signore. Nella raccolta epistolare del maestro Guido, ad esempio, uno iudex scrive ad un amicus iudex che presta servizio alla corte imperiale. In questo tipico modello epistolare si dice: 10 «Omni probitate fulgenti B Christi gratia sacri palatii dignissimo iudici I indissolubili sibi amore unitus indeficientis dilectionis et vere salutis copiam. Licet longa terrarum intercapedine nostra corpora disgregentur, amice karissime, sincerus tamen cordis mei amor adeo circa te viget et regnat, acsi cotidie oculis corporeis videremur et ore ad os alternatim loqueremur. Sed quoniam te potenter amare honorare ac, que tibi sint grata, semper agere cupio, confidenter latorem presentium capellanum domine abbatisse sancte Marie maioris tue providentie dirigo te quam plurimum deprecans, quatinus eum apud te benigne recipere peroptans sic eius negotia provide apud piissimum Romanorum imperatorem exercere procures ut tui [sic] studio ad bonum effectum valeat conducere. Quod si facere volueris, et a me amorem et ab ea honorem et celestis regine patrocinium consequi poteris». L’amicizia spiana l’accesso all’ ‘orecchio’ di colui che prende le decisioni. La lettera è in un certo qual modo tratta dalla vita e ci mostra le strategie per la strumentalizzazione mirata delle amicizie esistenti. Le artes dictandi con i loro squarci di cultura quotidiana della richiesta/preghiera forniscono indicazioni sul significato dei canali informali attraverso i quali le decisioni sono influenzate, ma che non sono per lo più riportate nelle altre fonti. Come è noto, le fonti storiografiche non esistono per la prima fase comunale e quelle più tarde si sforzano in ogni modo per occultare la storia degli inizi del comune. Inoltre tali canali di comunicazione informali rimangono comunque spesso al di fuori della storiografia ufficiale. L’esistenza di tali reti di relazioni, all’interno di una “militia” comunale o di una “nobiltà cittadina”, è stato già dimostrato nel caso di alcuni comuni sui quali sono stati condotti studi di tipo prosopografico. Tuttavia sull’efficacia e sugli obblighi di tali reti di relazioni e alleanze si conosce per ora molto poco. Che secondo la testimonianza delle artes dictandi fosse usuale il ricorso a canali di comunicazione informali, si desume semplicemente dal fatto che essi fossero parte costitutiva dell’insegnamento nella comunicazione comunale. Naturalmente tali rapporti amicali bilaterali tra due nobiles non rimanevano confinati ai modelli epistolari. Queste amicizie erano rinsaldate anche attraverso un ‘colloquium’ che avveniva durante un incontro personale. In tali incontri non si trattava ovviamente di dar luogo solo a una conferma rituale di un’alleanza tra amici iniziata per via epistolare, bensì il colloquium è da intendersi assolutamente come un (privato) abboccamento, in cui l’amicizia veniva concretizzata nei suoi obblighi e accordi. Quanto concretamente potessero questi accordi nel caso specifico, è mostrato da un’ulteriore lettera di amicizia tratta dall’Aurea Gemma Willehelmi: 11 «A. de villa sancti Martini inclito et magnifico viro N. cum omnibus ordinibus salutem perpetuam et fidelissima famulamina. Quod vobiscum peregimus, bona fide peregimus; per amicitiam igitur mutuam et fedus iure iurando inter nos initum vestram nobilitatem versa vice rogamus, ut, quod nobis pepigistis statuto die – sicut nos decet – perficiatis et id caute et private peragatis et nulli mortalium iter et egressum nostrum confiteamini, nisi qui huius secreti participes sacramento tenentur, et sexta die Augusti advesperascente cum loricatis equitibus iuxta Renum castra locetis; et ibi secundum promissum vobis occurremus et vestro consilio advocato, quod hinc Deus permiserit, faciemus». In sintesi le artes dictandi presentano quindi nel loro complesso l’amicizia come un tema fortemente ancorato al discorso comunale; le lettere di amicizia appartenevano infatti al repertorio standard dei dictatores. Le alleanze basate sull’amicizia erano strette tra due persone in vista di aiuto, protezione e consiglio in situazioni di conflitto. All’alleanza basata sull’amicizia preparata per via epistolare seguiva spesso la sua concretizzazione in un incontro privato. Amicizie di questo tipo furono di regola strette tra persone di alta estrazione sociale, non di rado tra ‘nobiles’. In determinate situazioni di necessità o di conflitto gli amici accorrevano dal proprio partner e fornivano aiuto militare, politico o finanziario a seconda del genere di amicizia che si era stretta. E quest’ultimo punto merita in conclusione ancora una specifica attenzione. Nel quadro della stilistica epistolare le artes dictandi insegnano tra l’altro anche una strategia argomentativa. La struttura esemplare della lettera secondo un sistema in cinque parti è stata per così dire canonizzata alla metà del secolo XII dal maestro Bernardo. Decisivo per il successo di una richiesta presentata per via epistolare risultava l’Exordium. In esso occorreva iniziare con una massima comunemente nota di un’autorità riconosciuta e da quella trarre la legittimità della concreta richiesta. Bene di Firenze descrive questi Proverbia introduttivi nel suo Candelabrum come quasdam sententias generales et lucidas et probatas, que bene possunt exordia nominari, quia thema totius epistole inde trait efficaciam et vigorem. Nel caso in cui non fosse stato possibile trovare Proverbia adatti derivati dalla penna di autorità riconosciute, il dictator avrebbe dovuto rifarsi ad una massima generalmente valida, conveniente per l’argomentazione della lettera, secondo il procedimento che si rinviene nell’esposizione metodicamente e stilisticamente fondante del De inventione di Cicerone, ereditata poi dalle artes dictandi medievali. Questo procedimento è generalmente consueto nella teoria epistolare dell’ars dictaminis: esso è formulato nella maniera più chiara in un’ars dictaminis francese, la Summa Cognito di Radulfo di Vendôme, composta alla fine del secolo XII: Proverbium ita debet inveniri: 12 eligat sibi dicator materiam et illam colligat in unam formulam et ex illa forma formare debet quandam clausulam, que sit generalis sententia. Ora, tornando al tema dell’amicizia, affinché gli amici fossero persuasi a soddisfare la richiesta del loro partner, si poteva ad esempio richiamare, secondo l’insegnamento delle artes dictandi, l’amicitia esistente e i doveri a ciò connessi, che trovavano così nell’exordium un’espressione aforistica. Un caso esemplare si trova ad esempio nell’opera di Ugo da Bologna: Omnem amicum ab amico suis in necessitatibus expectare subsidium decet. Le ampie raccolte di esordi presenti nelle artes dictandi comunali dimostrano quindi, anche riguardo al tema dell’amicizia, la loro particolare significatività, confermando la loro rilevanza nella comunicazione epistolare quali florilegi di introduzioni plausibili dal punto di vista della strategia argomentativa. Insomma, rientravano in quel “dicibile”, con cui si riproducevano concezioni valoriali generalmente condivise nella cultura comunale. Le artes dictandi forniscono così un accesso ad alcuni dei modelli comportamentali con cui si strutturava concretamente il potere sociale e politico all’interno del comune. Tra tali modelli comportamentali socio-comunicativi si annovera anche l’amicizia, specie nella sua declinazione strumentale. E con questa interpretazione dell’amicizia in chiave utilitaristica, desunta dalle indicazioni fornite dalle artes dictandi, mi riallaccio alla panoramica delle tendenze più recenti della ricerca storiografica tedesca sull’amicitia, presentata all’inizio di questo contributo. 13