ASCIATEVI COINVOLGERE, NON RIMANETE INDIFFERENTI… Lasciatevi coinvolgere, non rimanete indifferenti… Aiutateci a conservare i segni di pace per l’avvenire in Terra Santa Intervento di S.E. Monsignor Giacinto - Boulos Marcuzzo - Vescovo Ausiliare di Nazareth Vi porto il saluto di Terra Santa. Vi voglio mettere subito nell’atmosfera della Terra Santa. In questi giorni i cristiani di Terra Santa non si dicono buon giorno, buonasera: durante il tempo pasquale si incontrano per strada e dicono Cristo è risorto. E’ veramente risorto, è la risposta! Ve la dico in arabo, la lingua della grande maggioranza dei cristiani di Terra Santa. Ed anche voi lo potete subito imparare, perché potete riconoscere due termini molto facili. Ve li dico subito, ve li spiego, e poi siete subito capaci di ripeterli dopo di me: Almasieh kam (che vuol dire Cristo, riconoscete la radice Messia, e kam, riconoscere la radice della famosa frase Talita kumi, alzati). E la risposta è Hakkan kam. Siete tutti bravi: ripetetelo dopo di me! Siamo in Terra Santa! Vi porto anche il saluto più specifico di Nazareth di cui sono vescovo a Nazareth: è il saluto di Dio a Maria, tramite l’arcangelo Gabriele. Il saluto dunque di Dio ad ogni uomo. In Italiano dite Ave, Maria. E’ bello. Ma non trovate che è un po’ troppo neutro, troppo indifferente: Ave. Mentre l’angelo che cosa ha detto? Ha detto Schalmar! In aramaico. Salam: in arabo, Shalom in ebraico. E sapete che cosa vuol dire questa bella parola, questa radice semitica? Pace, come tutti sapete, ma non soltanto pace. Ha centotrentasei significati, ed i più belli di questi sono: grazia, gioia, pace e amore. Ecco il saluto di Dio a Maria, il saluto di Nazareth a tutti gli uomini. Ed il mio saluto a tutti voi! Non sono venuto solo a rappresentare la nostra Terra Santa e la vostra Terra Santa (è infatti anche la vostra Terra Santa). Sono qui con altri tre amici. Come sapete già la nostra cara Jacqueline Sfeir non è potuta venire. La conosco molto bene. Abbiamo collaborato e collaboriamo ancora molto insieme all’università e soprattutto nel lavoro apostolico. C’è qui con me un padre francescano, padre Pizzaballa. E’ il responsabile della comunità cristiana di espressione ebraica a Gerusalemme e rappresenta anche la Custodia di Terra Santa. E ho qui con me due giovani di Terra Santa. Uno di Nazareth. L’altro amico è dei territori palestinesi, di Jenin, attualmente studia a Roma, Sta preparando una tesi di dottorato presso l’Università Pontificia Salesiana. A nome loro dico grazie di questo benvenuto caloroso e fraterno con un sincero grazie all’Azione cattolica italiana. Da alcuni anni l’ACI ha stabilito un rapporto di amore, di amicizia vera, di interesse, di attenzione verso la Terra Santa, verso i luoghi santi e soprattutto verso la chiesa di Terra Santa. Ed è nella chiesa, e ve lo dico io che ne ho esperienza, un fatto un po’ unico. Ringrazio la Presidenza, la Presidente, l’Assistente ecclesiastico. Non posso non fare un cenno alla situazione che stiamo vivendo in Terra Santa. Ricordo soltanto due termini che vengono riportati continuamente negli interventi del Santo Padre e, quando penso a Terra Santa e al Santo Padre. Personalmente mi commuovo. Da quando è venuto in Terra Santa infatti (e sicuramente anche prima) e durante questi mesi di sofferenza, e durante queste ultime settimane di sofferenza speciale sentiamo quanto il Santo Padre soffra con noi, ci tiene alla Terra Santa, e quanto vorrebbe fare e che si potesse fare per la Terra Santa! Carissimi amici, il Santo Padre usa specialmente due termini: parla spesso di indifferenza, chiede di non rimanere indifferenti davanti al dramma della chiesa di Terra Santa e degli abitanti tutti di Terra Santa. Alla comunità internazionale, alla chiesa, a tutti gli organismi che possono fare qualche cosa ricorda, ripete senza stancarsi: fate quale cosa, non rimanete indifferenti davanti al dramma della Terra Santa. Questo è il primo punto che volevo mettere in evidenza. Il secondo: lasciarci coinvolgere, non rimanere indifferenti e lasciarci coinvolgere, ciascuno alla sua misura, secondo le sue capacità, nella sua responsabilità che è molto diversificata, che può essere molto vasta. Dobbiamo evitare naturalmente i due estremismi: l’indifferenza ed il metodo di risolvere i problemi con la violenza e con la guerra. Ma tra questi due termini, tra questi due estremismi ci sono tante possibilità che possiamo esplorare per aiutare gli altri a trovare la soluzione al problema della pace in Terra Santa. Ricordo questi due termini, perché mi pare di scorgere che appunto voi, dell’Azione cattolica avete preso sul serio questi due punti e li state praticando. L’invito a venire a vivere con voi questi due, tre giorni ne è già un’espressione tangibile alla luce delle parole del Santo Padre e con il vostro amore per la terra di Gesù che è la terra di tutti noi. Non possiamo più dire in futuro non sapevamo. Non possiamo più dire, come è stato detto per il passato e per altri episodi, per altre epoche difficili, non sapevamo! Adesso si sa. Non dobbiamo rimanere indifferenti e dobbiamo lasciarci coinvolgere. Fratelli, abbiamo gettato un seme: sono arrivato a mezzogiorno e già tanti di voi mi hanno chiesto che cosa si può fare? Ci sono segni di speranza per trovare una soluzione? La soluzione di pace? Sì. Si può, si deve. Ma il punto è: si vuole? E’ la domanda che pongo a voi e a tanti amici nella chiesa e nel mondo. Il ruolo della chiesa comunque sia in Terra Santa, come altrove, è proprio quello di non di sposare la violenza per risolvere i problemi ma il dialogo, l’incontro, il rapporto profondo. E mi piace qui ricordare alcune frasi della nostra tradizione araba-palestinese e anche ebraica. Non so se avete mai sentito parlare di un poeta, il più grande poeta palestinese moderno. Si chiama Mahmud Darwish. (E se volete far parlare qualcuno che sente il problema in modo veramente serio e non violento, invitatelo. E’ un poeta, una persona straordinaria) Ha fatto una volta una conferenza, e si è rivolto ai suoi amici, nemici ebrei, dicendo: dammi il tuo indirizzo, ti darò la pace. Tu, chiedimi il mio indirizzo: ti darò la pace. Che cosa vuol dire questo? Incontriamoci, parliamo, conosciamoci, troveremo la pace. Un altro grande filosofo, un pensatore, forse il più grande pensatore del personalismo ebraico nell’Israele moderno e non soltanto in Israele, conosciuto anche qui in Europa è Martin Buber. Ha una frase stupenda dove dice dimmi tu ... e troveremo la pace. Una frase profonda: dimmi tu, e troveremo la pace. E spiega: quando mi dici tu vuol dire che hai bisogno di me, vuol dire che io non mi sento completo se tu non sei con me, vuol dire che gli ebrei hanno bisogno dei palestinesi per avere la pace, vuol dire che i palestinesi hanno bisogno degli ebrei per avere la pace, e i due, per quanto siano in contrapposizione, in contraddizione anzi, hanno bisogno gli uni degli altri per avere la pace e non per fare la guerra. Ci sono i segni di speranza e voglio chiedere a tutti voi: aiutateci a mettere in evidenza, a sviluppare i semi di speranza. Sono pochi, ma esistono: non dobbiamo distruggere i semi della raccolta della speranza per l’anno prossimo, per l’avvenire. Il raccolto di pace del presente è già stato distrutto purtroppo, ma almeno teniamo da parte, come il contadino, i semi da seminare l’anno prossimo per avere un raccolto nuovo, un raccolto di pace. Quei semi da mettere da parte non vogliamo esporli alla distruzione. Aiutateci, con la vostra preghiera, con la vostra solidarietà, con il vostro amore, a conservare i segni di pace per l’avvenire. Lascio un libro alla Presidente. E’ il frutto del nostro sinodo diocesano si Gerusalemme. E’ un lavoro di dieci anni. Ve lo do perché è segno tangibile prima di tutto della partecipazione dei laici della nostra terra di Terra Santa. E tra questi laici ha molto lavorato la signora Jacqueline Sfeir. A nome suo vi ringrazio di averla nominata vostro Presidente onorario. E’ un po’ anche un suo frutto questo lavoro. Grazie, ed arrivederci in Terra Santa.