Nella mente degli animali - 758003

LIBRO
IN
ASSAGGIO
NELLA MENTE DEGLI
ANIMALI
DI DANILO MAINARDI
NELLA MENTE DEGLI ANIMALI
LA MENTE È UNA PALESTRA
Mi vien da dire proprio così: la mente è una palestra. Eppure è vero, non è una gran
definizione. Sicuramente c'è di meglio, specialmente se volessimo parlare di quella umana, ma
io devo dire soprattutto di altre menti e allora la palestra può essere un buon punto di
partenza. Potrebbe anche rappresentare, come si dice, un denominatore comune: se la
palestra c'è, allora c'è la mente, altrimenti no.
E parto con un esempio. Vi è mai capitato d'avere in una stanza un moscone e di volerlo
far uscire da una finestra? L'aprite e cercate di scacciarlo. Vorreste farlo arretrare almeno un
po' perché vada verso l'aperto, ma quello s'incaponisce a stare appiccicato al vetro e da Iì
non vi riesce di farlo arretrare almeno un po', il minimo bastante perché possa fuggirsene via.
Il fastidioso insetto però proprio non ce la fa a capire che, se vuole scappare, come tra l'altro
sembra essere sua intenzione, deve indietreggiare un po' e poi girare intorno al bordo
dell'anta. Solo così potrà utilmente dirigersi verso la luce che l'attrae e che, infine, lo farebbe
volare definitivamente via.
Ebbene, il moscone (e tanti altri con lui) non riesce proprio a trovare la giusta soluzione. D'
altronde non è da tutti comprendere che talora per raggiungere uno scopo bisogna, almeno
momentaneamente, allontanarvisi. Andare cioè nell'opposta direzione.
Il gatto invece lo capisce. E dico gatto perché, recentemente, ho assistito a un semplice
esperimento che lo coinvolge e che, nel principio, somiglia molto al caso del moscone.
Spostiamoci dunque in un laboratorio dove è piazzato questo semplice apparato: due pareti
verticali e alte disposte ad angolo, così vicine dove questo si forma da impedire il passaggio di
un gatto. Lui, il gatto, sta in fondo all'apparato, ma viene attratto verso l'interno da un gustoso
bocconcino che, trascinato da una cordicella, si sposta fin verso l'angolo per poi, quando il
felino sta per acchiapparlo, scivolar sotto fermandosi dall'altra parte. Il gatto, chiaramente, non
può passare e, più chiaramente ancora, ci resta male perche continua a vederlo, a sentirne
l'appetitoso odore. Non se la prende troppo, però. Prima si guarda intorno, poi valuta la
possibilità di fare un salto e scavalcare la parete, ma questa è troppo alta. Allora ripensa
(ormai possiamo dirlo) e poi, come se niente fosse, torna indietro, gira intorno a una parete
(allontanandosi quindi dall'oggetto cui mira) e, camminando esternamente ad essa, compie il
percorso che finalmente lo porta a mangiare il bocconcino.
Sembra una cosa da niente, eppure non tutti gli animali ci riescono. Il fatto è che per farlo
occorre avere una mente, metaforicamente raffigurabile come una palestra localizzata nel
cervello. Uno spazio cioè dove è possibile fabbricarsi una mappa col percorso. Chiaro che
poi, ma solo poi, sarà possibile utilizzarla nella realtà vera.
La palestra, ma potete anche chiamarla, come molti fanno, teatro mentale, in fin dei conti,
serve esattamente a questo: a immaginare quello che poi, se sarà il caso, si farà. Nella
situazione descritta, tra le più semplici, il gatto prima s'è costruito mentalmente un tragitto e
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poi, evidentemente, l'ha messo in atto. E questo, senza una mente, non è possibile.
Immaginare, lo dice la parola stessa, vuoI dire fabbricare immagini. Può voler dire, per
estensione, fare esperimenti spostando oggetti, oppure facendo agire se stessi o altri individui,
là dentro, palestra o teatrino che sia, e non c'è dubbio che, se gli esperimenti si fanno là
dentro invece che fuori, nella vita vera, tutto risulta decisamente più economico, sicuramente
meno pericoloso. Occorre infatti pensare che, se si va per tentativi, il che per precisione vuoI
dire per tentativi ed errori, non si sa per certo come veramente andrà a finire. E gli errori
possono costare molto ma molto cari. È perciò che può essere un vantaggio possedere una
mente, per semplice che sia.
Esiste un modo di apprendere detto in lingua inglese insight, tradotto in italiano (ma non
tutti son d'accordo) intuito. Sarebbe appunto la capacità di raggiungere la soluzione di
problemi senza passare attraverso una reale, attuale sperimentazione. Se si sottopone, per
esempio, a uno scimpanze il problema di raggiungere una banana appesa in alto, in un
ambiente fornito di una serie di cassette, I'intelligente scimmione, dopo aver speso un po' di
tempo a pensarci su, direttamente le impila così da poter cogliere, arrampicandosi, I'oggetto
del suo desiderio. Fa presupporre, tutto ciò, che l'animale abbia la capacità di organizzare
mentalmente le relazioni spaziali che intercorrono tra i diversi oggetti e poi, sulla base di
esperienze precedenti, faccia mentalmente esperimenti fin che non trova la giusta soluzione.
A questo e ad altro dovrebbe servire la palestra della mente. Per esempio, gli animali che
si preoccupano dei tempi grami e per contromisura si fanno scorte alimentari sono tanti e
diversi. Conosco bene le cince che, da una finestra che da sul giardino di una mia casetta di
montagna, vedo indaffarate partirsene via dalla mangiatoia col becco pieno di pinoli e poi
subito tornare a becco vuoto per ricominciare. Vanno e vengono, le instancabili, per
nascondere i loro piccoli tesori qua e là, nei posti più diversi. Scrive al proposito Donald
Griffin, uno tra i primi etologi a occuparsi di etologia cognitiva, che, dopo aver compiuto
l'occultamento, «si soffermano a guardare con attenzione il posto del nascondiglio, e ciò
suggerisce che stanno pensando che poi dovranno ritornare e ritrovare ciò che ora hanno
nascosto». Chissà se è vero che stanno proprio pensando. A ogni modo lo specifico problema
che, col singolare comportamento, pongono agli etologi le cince, in compagnia d'una gran
quantità di animali, dagli scimpanze alle api, è quello dell'esistenza, in quelle menti diverse e
primitive, delle mappe cognitive. Che poi sarebbero rappresentazioni mentali utili per ritrovare
risorse nascoste, oppure per orientarsi, per scavalcare ostacoli o evitare pericoli. Qualche
volta, perfino, per fare mentalmente esperimenti.
Per parlare di mappe soffermiamoci ancora per un po' su quella gente che si dà da fare
nascondendo cibo per i tempi della carestia. Tra le tante specie, sono le ghiandaie e le
nocciolaie, forse per il nome che si portano addosso, quelle oggetto della maggior parte degli
esperimenti. E le curiosità, nel caso di questi uccelli, sono di due tipi: una riguarda la funzione
che hanno quali disseminatrici delle piante a loro abbinate (fatalmente una parte dei semi
nascosti viene dimenticata e cosl germoglia), l' altra invece è tesa a comprendere come fanno,
in genere, gli animali a fabbricarsi le rappresentazioni geografiche che poi li guideranno. Ed è
proprio questa la nostra curiosità.
Non è che se ne sappia molto, veramente. Inizierò con il rendiconto di una serie di
ricerche compiute su nocciolaie di Clark (Nucifraga columbiana) tenute in cattività in grandi
voliere. In un primo esperimento è stato consentito, ad alcune di esse, di nascondere i semi
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nella sabbia del fondo. Gli uccelli vennero poi rimossi e solo dopo un mese furono fatti
ritornare. Ebbene, le nocciolaie si precipitarono a recuperare la maggior parte delle nocciole
in un tempo davvero breve. Così breve, per la precisione, che, se avessero frugato a caso
(cioè se non avessero avuto mappe cognitive) in quel tempo non ci sarebbero mai riuscite. A
ogni modo, per essere sicuri che gli uccelli non agissero casualmente, ne che fossero guidati
da un qualche segnale olfattivo, vennero seppelliti altri semi, e questi non furono scoperti. In
esperimenti successivi vennero posti sul fondo delle voliere pezzi di tronco e sassi. Si poté così
notare che le nocciolaie nascondevano i semi sistematicamente presso questi «punti di riferimento». In questo caso, dopo il consueto mese d'assenza, i ritrovamenti raggiunsero un
successo di gran lunga maggiore. Venne anche fatta, in parallelo, una controprova consistente,
durante l'assenza delle nocciolaie, nell'ingannevole spostamento dei tronchi e dei sassi e,
come atteso, questa volta i semi non vennero ritrovati.
Parliamo ora del reperimento di risorse da parte, questa volta, non di specialisti come sono
volpi e scoiattoli, cince, ghiandaie e nocciolaie, ma in ogni caso di un personaggio pur
sempre provvisto d'un intelletto davvero niente male, lo scimpanzé. Paradigmatico è al proposito l'esperimento di Emil Menzel denominato «del commesso viaggiatore».
Si tratta di questo. Se un ricercatore porta con sé uno scimpanzé in una zona aperta
abbastanza ampia e poi in modo assolutamente illogico e disordinato nasconde, sotto gli
occhi dell'animale, porzioni di cibo molto appetibile, e infine, dopo un certo lasso temporale,
lascia libero lo scimpanzé, sapete quest'ultimo che cosa fa? Si costruisce un suo tragitto
sensato, questa volta per niente disordinato, così da raccogliere quanto prima tutte le parcelle
di cibo. Il percorso, in definitiva, testimonia l'avvenuta costruzione di una mappa cognitiva e il
suo razionale utilizzo. La scimmia infatti visita i siti avendo organizzato mentalmente il
percorso più breve, esattamente come farebbe l'ipotetico commesso viaggiatore che deve
andare il più velocemente possibile in tanti posti diversi.
Un altro fenomeno utile per evidenziare e studiare la costruzione delle mappe cognitive è
quello comunemente detto detour o aggiramento. È, in definitiva e generalizzando, ciò che
all'inizio ho raccontato a proposito del gatto. La strategia consiste infatti nel mostrare a un
animale un obiettivo appetibile e successivamente metterlo a qualche distanza dietro una
barriera. Se l'animale è in grado di scegliere la via più breve per aggirare la barriera, vuol
dire che dispone di una mappa cognitiva e che sa usarla per la soluzione del problema. Facile
è comprendere, in questo caso, il significato adattativo del possedere queste mappe mentali:
se il percorso normalmente usato per raggiungere un certo obiettivo è impedito, la mappa
consente di immaginare, e programmare, una via alternativa. È affascinante notare, in animali
che possiedono la mappa cognitiva dei luoghi dove abitano, gli scoiattoli per esempio, come a
volte, per raggiungere una meta cui è impossibile arrivare direttamente, decidano, nella prima
parte del nuovo tragitto, addirittura di allontanarsi dalla meta prefissa. Evidentemente sanno
che solo così possono raggiungerla, avendo visualizzato, nella loro mente, l'intero percorso.
Sempre più difficile: è stato fatto notare che, per dimostrare compiutamente l'effettiva
esistenza di mappe veramente «cognitive», sia necessario essere sicuri che la prestazione
dell'animale non possa in alcun modo venire orientata da indizi sensoriali locali. Nel ratto il
problema è stato risolto ingegnosamente, in laboratorio, con il test della cosiddetta vasca di
Morris. Questa è una vasca circolare riempita d'acqua che contiene, appena sotto la superficie
del liquido, una piccola piattaforma. L'acqua viene opacizzata cosl che la piattaforma divenga
invisibile. I ratti, come si sa, sono abilissimi nuotatori. Dopo avere fatto un po' d'esperienza
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con la vasca, essi imparano a nuotare direttamente alla piattaforma (che non vedono) quale
che sia la loro posizione di partenza, dimostrando cosl di possedere, ben disegnata nella loro
mente, la mappa complessiva della situazione.
In definitiva risulta evidente come possedere una palestra (o teatro) mentale rappresenti la
condizione indispensabile per disporre di quel mondo parallelo dove il cervello può giocare,
sperimentare, fabbricare immagini ed eventi.
SUL PENSIERO
Che cos'è il pensiero? Problema tutt'altro che semplice anche quando sono coinvolti esseri
umani, figurarsi quando invece si tratta di altti animali tra loro decisamente diversi.
Voglio raccontarvi, al proposito, un recente esperimento. Capirete cosl che cosa riescono a
combinare, insieme, uomini e topi, e parlo di topi particolari, perche abituati in laboratorio a
ottenere acqua da bere azionando meccanicamente un robot dispensatore.
Addestrarli è facile: basta che imparino a toccare una levetta. Una cosa da niente, per
loro. È a questo punto che subentta prepotentemente l'uomo con tutta la sua inventiva, la sua
cultura, soprattutto la sua curiosità che non conosce limiti. Forse anche, potrei dire, con la sua
altrettanto irrefrenabile prepotenza. L'uomo è rappresentato, nel caso, da un ricercatore, John
Chapin, e da alcuni suoi collaboratori della MCP Hahnemann School of Medicine di Filadelfia.
Questi studiosi, con raffinata tecnica, hanno inserito nel cervello dei piccoli mammiferi dei
microelettrodi così fini e sensibili da poter rilevare l'attivazione di poche dozzine di neuroni.
Così, dopo avere individuato l'area cerebrale coinvolta nella sequenza desiderio di acquaazione per ottenerla, hanno scollegato la leva e hanno spedito i segnali cerebrali di quei topi
direttamente a un computer, che li ha interpretati e inviati automaticamente al dispensatore.
Ebbene, l'attivarsi dei neuroni (a cui corrisponde, per così dire, quel «pensiero» minimo
descrivibile, con umane parole, come «ho sete, voglio premere la leva») si è rivelato capace di
azionare il robot.
Straordinario esperimento e, per nostra almeno parziale consolazione, per niente crudele.
Almeno considerando l'apparente normalità della vita condotta daquei piccoli roditori.
Ebbene, la domanda, cruciale e semplice, è: allora i topi pensano? Un fatto è certo: non
avremmo avuto dubbi se invece che di topi si fosse trattato di esseri umani. D'altronde proprio
in questi giorni il passaggio da topo a uomo è stato realizzato per permettere a persone
paralizzate di servirsi di un arto-robot messo in funzione direttamente dalla mente tramite una
microscopica «protesi neuromotoria» provvista di numerosi finissimi elettrodi.
Ripeto: se si fosse trattato di esseri umani non avremmo sentito la necessità, come s'è fatto,
di usare quelle prudenziali virgolette. Avremmo semplicemente scritto: comandano il robot con
il pensiero. Comunque, si tratti pure di un pensiero un po' speciale, proprio per questo
virgolettato, ciò che diventa sempre più chiaro è che «quella cosa» non è separata dalla
«materia» (quante virgolette!), ma è, essa stessa, materia.
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Lo sappiamo, il cervello di un topo è ben lontano dalla straordinaria complessità di quello
umano, che consta di 100 miliardi di neuroni, tanti quante sono le stelle di una galassia, e con
connessioni cosl intricate (miliardi di miliardi di sinapsi) da simulare, è stato scritto, la
spiritualità.
Il segreto della mente non è, comunque, riducibile al solo funzionamento dei neuroni nella
scatola cranica. Certamente i processi di elaborazione delle percezioni e delle risposte agli
stimoli ambientali avvengono Iì, ma comprendere una mente significa anche capire che non ha
senso separare il cervello dal resto del corpo, addirittura dall'ambiente, anche sociale, in cui
quel corpo vive. Le radici della mente sono infatti da cercare nel complesso rapporto tra gli
input sensoriali che giungono dalle esperienze del mondo che il corpo, nella sua interezza,
compie e le risposte che a quegli stimoli arrivano dal cervello.
Tutto ciò è ormai ben risaputo per quanto concerne la nostra specie, ma che cosa avviene
nel cervello di altri animali? Dei tanti e differenti animali? Anche in questo caso l'etologia
cognitiva, la disciplina che studia comparativamente i processi d'acquisizione, rappresentazione e uso delle conoscenze nelle differenti specie, ci viene sempre più spesso in soccorso
e, fortunatamente, senza fare ricorso a esperimenti crudeli. E di grande aiuto risulta essere
particolarmente, e sempre più, proprio l'analisi comparativa, che ci racconta dell'esistenza di
tante menti diverse. Tutte a loro modo straordinariamente raffinate perche ciascuna s'è evoluta
in funzione di un differente, ogni volta unico, modo di stare al mondo.
© 2006, Cairo Editore S.p.A.
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza Cairo Editore S.p.A.
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