Valorizzazione del sito archeologico di Villa Adriana con interventi

Valorizzazione del sito archeologico di Villa
Adriana con interventi sulle Grandi Terme e
nell'area del Teatro Greco e della Palestra.
Politecnico di Milano
Scuola di Architettura e Società
Corso di Laurea in Architettura
Settore disciplinare di Architettura degli Interni e Allestimento
TESI DI LAUREA MAGISTRALE
Valorizzazione del sito archeologico di Villa
Adriana con interventi sulle Grandi Terme e
nell'area del Teatro Greco e della Palestra.
Relatore:
Prof. Pier Federico Caliari
Corelatori:
Prof. Francesco Leoni
Laureande:
Arch. Sara Ghirardini
Elena Stellin
786423
Arch. Paolo Conforti
Laura Terraneo
786789
Anno Accademico 2013/2014
Sommario
1. Abstract
PARTE I: ADRIANO E VILLA ADRIANA
1. Adriano, l’artefice.
1.1 Vicende della vita di Adriano
1.2 Adriano, viaggiatore e costruttore
1.3 L’imperatore architetto
2. Villa Adriana
2.1
Ubicazione
2.2
I percorsi di Villa Adriana
2.3
Storia generale della Villa e degli scavi
2.4
Turisti ed artisti europei a Villa Adriana. Il Grand Tour
3. Villa Adriana. Architettura tipica e architettura atipica
4. La questione della Vera Forma
4.1 Il sistema pluriassiale paratattico di Villa Adriana
4.2 La sintassi radiale policentrica ipotattica di Villa Adriana
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PARTE II: IL PROGETTO ARCHITETTONICO
1. Breve introduzione all’architettura romana
1.1 Ossature murarie
1.2 Archi
1.3 Volte
1.4 La villa
2. Le aree di progetto
2.1 La piana del Pantanello
2.1.1 Lo stato di fattp
2.1.2 Lista delle opere d’arte emerse nel Pantanello
2.2 Le Grandi Terme
2.2.1 Le Terme di Roma antica
2.2.2 Le Grandi Terme di Villa Adriana
2.2.3 Il Criptoportico orientale delle Grandi Terme
2.2.4 Lo stato di fatto
3. Gli interventi
3.1 Il Padiglione Cultura
3.2 Musealizzazione e sistemazione delle Grandi Terme
BIBLIOGRAFIA
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1. Abstract
Villa Adriana è una delle più straordinarie realtà archeologiche del mondo. Sito Unesco
dal 1999, costituisce uno dei punti più alti dell’offerta culturale riferita al patrimonio
presente sul suolo italiano. Giunta fino a noi con la sua consistenza monumentale
ancora molto presente e visibile, la Villa voluta dall’imperatore Adriano, è oggetto di
studio, di visita e di ammirazione da almeno mezzo millennio. La sua composizione
architettonica, prima ancora della sua rovina, è a tutti gli effetti un tema ancora
dibattuto e aperto. La sua architettura è un caso unico nel mondo antico e sin dalla sua
edificazione ha esibito uno scheletro tipicamente romano associato a uno spirito
totalmente nuovo, se non rivoluzionario, e comunque assai lontano da quello del mos
maiorum. Una novità fu allora, così come una novità si presenta oggi per coloro che
per la prima volta cercano di leggere la sua planimetria e svelare l’esistenza o meno, di
un principio ordinatore, di una lex che ne disveli la ratio. Molta letteratura architettonica
e archeologica si è spesa attorno a questi temi al punto da costituire, nel mare magno
dell’”adrianologia”, uno dei capitoli più consistenti.
Nel caso specifico della valorizzazione del sito archeologico di Villa Adriana, il progetto
prevede una progettazione integrata indirizzata alla creazione di un padiglione di nuova
realizzazione finalizzato a contenere attività per lo scambio culturale e la ricerca. Esso
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è collocato nella piana del cosiddetto “Pantanello”, questo sito è stato scelto per la sua
strategica posizione vicino all'ingresso e per il suo basso impatto archeologico.
Inoltre tale progetto prevede la musealizzazione e sistemazione del monumento
presente nel sito archeologico e denominato Grandi Terme. Esse sono di grande
importanza
all'interno
del complesso
in
quanto
presentano
ancora,
seppur
parzialmente, le coperture originali, contrariamente a tutti i restanti edifici a differenza
del monumento denominato Roccabruna.
Sono stati pertanto affrontati due grandi e importanti temi della progettazione
archeologica per quanto riguarda la valorizzazione del sito archeologico, uno
riguardante gli interventi fuori dal contesto (Padiglione Cultura) e l'altro interventi sul
contesto (Grandi Terme).
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«Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di
espressione delle culture materiali dell’antico mondo mediterraneo.
Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo
nella scoperta degli elementi dell’architettura classica da parte degli architetti del
Rinascimento e del barocco.
Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori
del XIX XX secolo».
Motivazione con cui l’ Unesco ha inserito il
sito nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità (1999).
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Parte I_ Adriano e la grande Villa Adriana
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1. Adriano, l’artefice.
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Occupandosi del complesso di Villa Adriana si sente subito il bisogno di analizzare la
personalità dell’uomo che ne su l’artefice, ossia l’imperatore Adriano.
Estinta la dinastia dei Giulio-Claudi, caduto l’ultimo imperatore della Casa dei Flavi,
Domiziano, Roma ebbe poi una serie di grandi imperatori: Traiano, Adriano, Antonino
Pio, Marco Aurelio.
Il governo di Adriano coincide con il periodo della massima espansione e stabilità
dell’impero romano e nella storia romana ed in quella dell’architettura questo essere
geniale risalta come uno tra i personaggi più affascinanti ed interessanti.
Nella storia della civiltà occidentale Adriano è dunque una figura importantissima, e
d’altro canto emblematica per il modo in cui è stata (in un certo senso) dimenticata.
Libri e romanzi sono stati scritti su di lui, ma molte di queste opere, persino le più
quotate, hanno soltanto contribuito a falsare la sua immagine presentandoci un
Adriano diverso, romantico, costruito non sui fatti, ma sulla fantasia degli scrittori. Quel
che è certo è che Adriano fu un uomo positivo e anche un grande imperatore. Peccato
che sia molto meno conosciuto di altri, e che di lui si sappia poco. Questo accade
perché, anche se pare che una sua biografia sia stata da lui stesso compilata, essa
non ci è pervenuta. Così stranamente l’imperatore che per lungo tempo aveva avuto
come suo segretario un famoso storico quale Svetonio è quello di cui si sa meno.
Svetonio infatti venne da lui licenziato quando l’imperatore si rese conto dell’intimità
che si era venuta a creare tra il suo sottoposto e l’imperatrice. È probabile che nello
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stesso momento nel quale Adriano impose al dipendente infedele di abbandonare la
residenza imperiale, egli gli proibisse di scrivere qualsiasi cosa sul suo conto e anche
sul conto del padre suo adottivo, Traiano.
Quindi Svetonio uscì bruscamente di scena e la storia di Adriano che oggi leggiamo
venne scritta nel secoli seguenti da storici, i quali come tutti gli storici, si basarono, oltre
che su ciò che restava della imperiale autobiografia, anche su quanto era stato
registrato negli Acta e, ovviamente, su questi un imperatore faceva annotare soltanto le
cose più ufficiali e a lui più gradite.
1.1.
Vicende della vita di Adriano
Probabilmente Adriano non nacque ai Italica, come spesso si trova riportato: l’antico
municipio romano in Spagna aveva, invece, dato i natali a suo padre, il quale ricopriva
la carica di pretore a Roma, allorché il 24 gennaio del 76 d.C. nacque Adriano.
Questi, quindi, non trascorse i suoi primi 15 anni di vita in Spagna. La prima
formazione del futuro imperatore, si svolse senz’altro a Roma, se non per qualche
periodo anche ad Atene. Soltanto nel 90-91 Adriano, quindicenne, conobbe Italica,
inviatovi in quanto a Roma mieteva vittime una grande epidemia e forse anche perché
avesse la possibilità di entrare nella locale consorteria giovanile, il collegium iuvenum.
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Dopo un breve soggiorno ad Italica, nel 95 Adriano iniziò la sua brillante carriera
militare presso gli eserciti stanziati in Pannonia, in Germania e nella Mesia, sotto il
comando di Traiano che dall’85, anno della morte di suo padre, ne era divenuto tutore.
Da questore nel 101 Adriano arrivò alla carica ragguardevole di legato della Pannonia
inferiore, al consolato nel 108 e quindi al governo dell’importante provincia della Siria
nel 117.
Tra le cariche che ricoprì è da ricordarne una in particolare a causa della sua
singolarità: dal 111 al 112 Adriano fu arconte di Atene, fece parte, cioè, della
magistratura suprema che in Atene rimandava ormai a epoche esauritesi del passato
repubblicano. Fu, tra l’atro, Adriano medesimo a richiedere quella carica, fatto che
dimostra come già da allora, se non prima, iniziassero quella ammirazione profonda e
quella attrazione verso la cultura e le istituzioni elleniche che caratterizzeranno il suo
futuro principato.
Quando, tra il 7 e l’11 agosto del 117, Traiano morì, egli aveva già scelto Adriano come
suo successore, anche se tale designazione non presenta elementi assoluti di
chiarezza e trasparenza.
Fu solo nell’anno 118 che, posto termine alla campagna di Traiano contro i Parti e alla
sua politica di espansione ad Oriente, Adriano, attraversata la Dacia, raggiunse
finalmente Roma ma l’Urbe, a ben guardare, intesa quale centro di potere e di
decisione, non dovette attrarre granché l’interesse di Adriano: egli infatti, finì col
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trascorrere quasi la metà della durata del suo principato a viaggiare da una provincia
all’altra.
A causa dei continui viaggi, Adriano è a Roma solo nel 126, infatti l’anno successivo
attraversa l’Italia settentrionale e nel 128 ha inizio l’altro lungo e complesso viaggio fino
in Grecia, Siria, Asia Minore, Giudea ed Egitto: in quest’ultimo stato fondò l’Antinoopoli,
la splendida città in onore del bel giovane della Bitinia di cui si era intensamente
invaghito.
Nel 134, dopo un lungo soggiorno nella tanto amata e ammirata Atene, tornò a Roma e
poté dedicarsi alla fase finale dell’edificazione della villa, della quale poté godere assai
poco visto che pur non lasciando più da quell’anno l’Italia, si trasferì nella più salubre
Baia in campagna, dove morì di malattia il 10 luglio del 138.
1.2.
Adriano, viaggiatore e costruttore
Nel corso del suo governo Adriano compie alcuni lunghi viaggi fino ai confini più remoti
dell’impero. In queste spedizioni, dettate ovviamente da necessità amministrative e
politiche, Adriano sa però trovare anche motivazioni e stimoli diversi. C’è in lui un
autentico desiderio di conoscenza.
L’eccellenza di Adriano come imperatore deve esser riconosciuta, sia in relazione
all’impulso che egli diete al fiorire economico dell’impero, sia in relazione alla politica
militare che egli adottò. Per ciò che riguarda quest’ultima, noi sappiamo che Adriano fu
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un generale di grandissimo merito; e tuttavia egli non amò la guerra, e la evitò, anzi,
con accanimento.
Subito dopo la grande impresa di Traiano contro l’impero dei Parti, Adriano abbandonò
le tre nuove provincie create da Traiano al di là dell’Eufrate; egli non promosse altre
conquiste, né cercò di assicurar le vecchie provincie spingendo più lontano i confini
dell’impero. La sua preoccupazione costante fu invece di assicurar la pace mediante
una saldezza militare infrangibile.
E a questa politica militare che potremmo chiamare esterna, egli accoppiò una
vigorosa politica di sicurezza interna, per la quale, nei mari e sulla terra ferma ogni atto
di pirateria o di banditismo venne spietatamente represso: così che i traffici potessero
svolgersi con la più assoluta sicurezza.
Quanto all’impulso che Adriano diede al fiorire economico dell’impero, tutti sanno che
esso fu ottenuto grazie alle provvidenze adottate dall’imperatore durante i luoghi e i
minuziosi viaggi che egli compì in ogni provincia del mondo romano. Fin dal suo primo
viaggio per la Germania, la Britannia, la Spagna, la Grecia, appare ben chiara la nuova
concezione che Adriano ha del governare. Egli, in qualsiasi provincia, era solito entrare
in profondità nella conoscenza delle realtà locali, traendo precise e puntuali
informazioni circa le necessità degli abitanti e le risorse del luogo: poneva poi mano
anche alla riorganizzazione dell’amministrazione, emanando leggi e favorendo alcune
iniziative a carattere urbanistico ed architettonico.
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Nessuno dei predecessori e dei successori di Adriano curò, quanto lui, di assicurarsi di
persona della buona amministrazione delle singole province e città.
Nessuna regione mancò, per tale circostanza, di una rete stradale adatta e di un
adeguato approvvigionamento idrico; i pianti regolatori della città furono studiati così da
rispondere alle esigenze demografiche e alla estetica cittadina; lo sfruttamento delle
risorse naturali fu stimolato al massimo.
E poiché il prestigio dei cittadini si sentiva esaltato in proporzione del numero e della
maginifcenza dei monumenti di cui poteva vantarsi ogni città, Adriano promosse
dunque la costruzione o il restauro di templi, di fori, di basiliche, di teatri.
Così, il livello generale della vita pubblica e privata andò dovunque elevandosi.
1.3.
L’imperatore architetto
Nell’ occuparsi di architettura l’imperatore Adriano non si dilettò esclusivamente
all’ideazione e alla progettazione di Villa Adriana nel territorio tiburtino.
L’attività dell’imperatore-architetto si concentra soprattutto sulla fascia orientale
dell’impero. Visitando i siti archeologici di Pergamo, Efeso, Palmyra, e Baalbek,
Alessandria, e di molte altre località distribuite nella vasta area che circonda il levante
del Mediterraneo, dalla Grecia attraverso la Turchia, il Libano, la Giordania, Israele fino
all’Egitto, si riconosce tra le rovine lo stile inconfondibile di Adriano. Insediamenti come
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Antinoopoli in Egitto, Lambesa in Algeria, e Italia in Spagna sono veri e proprio progetti
di fondazione.
A Roma, oltre a intervenire nell’area dei Fori (con il tempio di Venere e Roma) e nel
Campo Marzio, edifica il Pantheon e il suo mausoleo, oggi Castel Sant’Angelo.
È legittimo credere che Adriano perseguisse in un certo senso un’idea di immortalità,
creando ricordi permanenti di se da lasciare ai posteri. Forse proprio per questo motivo
la più grande passione della sua vita fu per quell’arte che si radica inestirpabilmente
nella terra, e che è fatta apposta per durare: l’architettura.
Adriano progettò dunque, il Tempio di Venere e Roma, il più grande della città,
sull’area che era in precedenza occupata dal vestibolo della Domus Aurea di Nerone.
Il tempio fu dedicato a Roma aeterna, il genius loci, il nume tutelare della potenza e
della sopravvivenza dell’Urbe, e a Venus Genitrix, in quanto come madre di Enea
risultava la madre dei Romani, specialmente di Romolo e Remo. Ogni dea aveva una
sua cella o santuario.
L’opera geniale dell’imperatore non è difficile rintracciare nel Pantheon: incendiatosi nel
110, esso, come stanno ad indicarci i bolli laterizi, cioè le date impresse sui mattoni
impiegati, venne ricostruito tra il 115 ed il 125, in piena età adrianea. Nessuna apertura
lascia penetrare orizzontalemente ovvero obliquamente la luce, la quale entra
esclusivamente dall’alto, attraverso un foro circolare di 9 metri di diametro.
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C’è da osservare che è la prima volta che nell’arte edificatoria si riesce a ricoprire un
così ampio spazio con una cupola la cui larghezza è di ben 43,50 metri. Il diametro del
cilindro, poi, e della base della cupola è uguale all’altezza dal pavimento fino alla cima,
al punto che all’interno del Pantheon si potrebbe con puntuale esattezza, inscrivere
una sfera.
Per finire, il soffitto dello splendido edificio fu adornato di file di cassettoni che
prospettivamente vanno diventando sempre più piccole man mano che si procede
verso l’alto: in tal modo ciò che l’occhio ammira estasiato corrisponde a un fatto
strutturale, ovvero l’effettivo alleggerimento ponderale del peso della cupola, realizzata
con un getto di calcestruzzo misto a tufo e pietra pomice su una temporanea armatura
in legno.
Un altro monumento legato ad Adriano è il mausoleo a lui dedicato, fondato nel 130
d.C. e completato da Antonino Pio, suo successore, intorno al 139. Il mausoleo è poi
divenuto, con i secoli, la massiccia fortezza di Castel Sant’Angelo.
Grazie alle sue caratteristiche complessive, il mausoleo di Adriano è senz’altro il più
grandioso tra i monumenti funebri rappresentanti una tipologia di costruzione derivata
sia dall’arte etrusca in cui aveva carattere funerario, sia dall’arte ellenistica, nella quale
era impiegato come tempio o come trofeo.
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Ancora un edificio, per concludere, fatto costruire per Adriano: dal suo figlio adottivo,
Antonino Pio, nel 145 fu ordinata a Roma l’edificazione del Tempio di Adriano ormai
considerato un dio.
Un’età, dunque, questa di Adriano ricca di iniziative artistiche, architettoniche e
figurative. Tra coraggiosa innovazione e rispetto della tradizione la ricerca artistica di
Adriano è animata da una vivida curiosità intellettuale che non è facile trovare in un
imperatore romano.
Quanto sopra elencato costituisce in Roma la gloria edilizia di Adriano, che non trovò
però, nel celebre architetto di Traiano, Apollodoro di Damasco, appoggio e
apprezzamento incondizionati. Quest’ultimo, azni, lo criticò aspramente. Secondo
quanto la tradizione ci riporta, le innovazioni che Adriano aveva introdotto, tra l’altro,
nel Tempio di Venere e Roma il fatto cioè di essere stato esso costruito con le due
absidi delle due celle che si toccavano, quindi una cella in opposizione all’altra.
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2. Villa Adriana
2.1 Ubicazione
La villa che l’imperatore Adriano si costruì ai piedi di Tivoli può essere considerata la
regina delle ville imperiali del mondo antico.
Essa sorge ai piedi dei monti Tiburitni, su pianori tufacei. Il terreno si trova su un dosso
allungato, delimitato a est dall’ Acqua Ferrata e a ovest dal Risioli, due piccoli fiumi.
L’Acqua Ferrata divide la collina dalle pendice dei monti Tiburtini, dove si trova la città
di Tivoli che domania l’area della villa da una posizione elevata. Il Risicoli separa la
collina dalla pianura attraverso cui corre ancora oggi la via Tiburtina.
Le caratteristiche oro-topografiche e climatiche della zona sono largamente diffuse
intorno a Roma. Perciò le ragioni che determinarono la scelta del luogo, si vanno a
cercare altrove, soprattutto tra quelle di carattere pratico. Fra queste la prossimità delle
cave di travertino e quelle di ottimo calcare da calce (sia per murature sia per intonaci),
il passaggio in zona di quattro grandi acquedotti, la navigabilità dell’Aniene fino a Ponte
Lucano, la via Tiburtina, che, per essere anche a servizio delle cave di travertino era
adatta ai trasporti pesanti, la vicinanza delle acque albule dei cui effetti curativi è noto
che l’imperatore si serviva.
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A tutto questo va aggiunta naturalmente la presenza sul posto della pozzolana e del
tufo, dei “tartari” per le decorazioni a rustico di sostruzioni, fontane e ninfei.
Le dimensioni della Villa Adriana sono certamente considerevoli, ma non esattamente
definibili, in quanto i suoi confini sono ignoti. Oggi la sua estensione si calcola intorno
ai 120 ettari, ma tenendo un conto più accorto della dislocazione dei resti periferici,
della lavorazione e dell’adattamento delle ripe dei fossi ecc., ci si deve avvicinare di
molto ai 200 ettari. L’impossibilità di definire i confini impedisce anche di conoscere le
direttrici di accesso principali e quelle secondarie, al di là di una generica quanto ovvia
relazione con la via Tiburtina all’altezza di Ponte Lucano, e niente di più. Questi
accessi probabilmente aumentarono di numero e mutarono anche di gerarchia con
l’estendersi delle costruzioni.
Si è molto discusso della successione delle fasi edilizie del complesso di Villa Adriana.
La Villa di Adriano a Tivoli fu costruita durante il regno dell’imperatore attorno ad una
precedente villa repubblicana: l’ipotesi è che la ristrutturazione della vecchia dimora
fosse già stata avviata prima che l’imperatore diventasse tale. Oppure che l’imperatore
abbia acquisito una villa che era in ristrutturazione da parte di altro proprietario.
L’attività edilizia iniziò dopo il 117 d.C., come risulta dai bolli laterizi, e quasi tutto era
ormai pronto nella sua nuova sede quando, il 10 luglio del 138 d.C., Adriano si spense
a Baia. La sua morte gelò Villa Adriana: si stava ancora lavorando alle Grandi Terme e
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troviamo i lavori bruscamente interrotti. Si progettava inoltre di fare uno stadio, ma il
modellino non venne mai inviato al suo cantiere.
Dividere in ‘fasi’ un periodo di vent’anni per una costruzione così vasta, articolata e
densa di ripensamenti ed interconnessioni è un’espediente di comodo motivato più che
altro dalla consapevolezza che, Adriano, per lunghi periodi (dal 121 al 125 e dal 128 al
134), non fu presente a Roma. Per questo si tende a collocare le costruzioni negli
intervalli tra i suoi viaggi. Sembra assai più naturale, invece, che la costruzione sia
continuata ininterrottamente e che i periodi di presenza dell’imperatore corrispondano
magari proprio a momenti di impulso, all’approvazione o alla creazione di nuovi
progetti, a ripensamenti costruttivi, ad aggiustamenti di percorsi.
2.2 I percorsi di Villa Adriana
Pare evidente che come il grosso problema della cittadella imperiale fosse quello delle
comunicazioni: Adriano infatti detestata il traffico a un punto tale che, una volta
divenuto imperatore, uno dei suoi primi atti fu quello di proibire il passaggio di cavalli e
di carri nel centro di Roma. Figuriamoci dunque quanto avrebbe tollerato che rumorosi
veicoli e impazienti cavalcature disturbassero la quiete dei suoi palazzi, o la bellezza
dei suoi giardini e dei suoi viali.
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D’altra parte, per il buon funzionamento della sua residenza era essenziale che tutte le
varie parti del complesso fossero collegate e sempre facilmente e rapidamente
raggiungibili.
La soluzione del problema fu brillante e come al solito precorse i secoli. Adriano infatti
creò una grande via sotterranea carrabile che si ramificava in varie uscite all’altezza
dei principali edifici. In un certo senso possiamo definirla la prima metropolitana di cui
si abbia notizia.
La strada non interferiva mai con le aree riservate all’imperatore: le costeggiava
soltanto, e correva parte all’aperto e parte al coperto mantenendosi periferica. Questa
arteria, è ancor oggi parzialmente visibile e percorribile.
Arrivando da Ponte Lucano e passando dietro il cosiddetto Teatro Greco, essa seguiva
il fianco della collina soprastante. All’altezza del Tempio della Venere Cnidia, la
vecchia strada aveva un tempo corso in una profonda tirncea che divideva la proprietà
della vecchia villa repubblicana dalle terre poi comprate da Adriano. La via carrabile qui
correva in galleria, dopo di che costeggiava allo scoperto il terrazzamento che si
estendeva davanti alle Biblioteche e, dopo aver attraversato con un’altra galleria il
soprastante edificio degli Hospitalia, si dirigeva verso Piazza d’Oro. Da qui in poi il suo
percorso era tutto sotterrano e, verso la parte centrale del tragitto, si allargava in un
grande elemento formato da quattro gallerie.
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1_ Pianta della rete sotterranea carrabile di comunicazione
Questo quadrilatero (il Grande Trapezio) era scavato nel tufo e si trovava a una
profondità di 7 metri sotto il livello del terreno. Le gallerie che lo formavano erano
larghe 5 metri, alte quasi altrettanto e ricevevano l’illuminazione da ampi pozzi di luce
del diametro di quasi 3 metri. I suoi bracci maggiori, quelli in direzione nord-sud,
avevano una lunghezza di 304 m quello orientale, 296 m quello occidentale. I bracci
minori che li collegavano era di 140 m quello a settentrione, e 100 m quello a
meridione.
Questo criptoportico costituiva il fulcro di tutto il sistema di comunicazioni del
complesso. Se si considera che, in tutto il tratto che va dall’inizio della via carrabile al
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Grande Trapezio, il traffico, data la limitata larghezza delle gallerie ( 2,40 m), era
possibile soltanto in un senso e che in nessuna di esse vi era per i veicoli possibilità di
incrociarsi o di girare su se stessi, si capisce che un luogo di sosta dove i carri
potessero manovrare e riposarsi in attesa dell’ora di uscita era necessario. Il Grande
Trapezio risolse il problema.
2_ Pianta del Grande Trapezio
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Il traffico era quindi regolato da fasce orarie. Ci dovevano essere ore di entrata ed ore
di uscita per le carovane che giornalmente portavano tutto quanto era necessario alla
vita del complesso.
Quindi molto traffico nella via carrabile e di tutti i generi: oltre alle lunghe carovane dei
rifornimenti, che probabilmente entravano all’albe e uscivano a sera, c’era il traffico dei
frequentatori del complesso che anche loro avevano bisogno di parcheggiare le loro
carrozze. Vi era poi l’arrivo di coloro che si sarebbero recati ad assistere qualcuno
degli spettacoli tenuti nei teatri o ai giochi gladiatorii che si svolgevano nella piccola
Arena posta ad est proprio sotto la Piazza d’Oro. Era attraverso la via carrabile che tutti
questi spettatori sarebbero arrivati ai vari edifici di spettacolo accortamente sistemati
all’esterno dell’area imperiale: era infatti importante che gli estranei non potessero mai
penetrare nella guardatissima parte della residenza riservata ad Adriano e tanto meno
attentare alla sicurezza.
Molti degli spettatori che abitavano lontano sarebbero venuti in carro o a cavallo e
quindi anche loro avrebbero dovuto parcheggiare veicoli e cavalcature. Per il Teatro
Greco non vi sarebbero stati problemi in quanto esso si trovava proprio all’ingresso di
Villa Adriana e attorno vi erano grandi spazi liberi; per l’Arena la grane uscita carrabile
portava nella piana su cui sorgeva l’edificio e anche qui potevano lasciare i propri
veicoli e animali. Invece il parcheggio sotterraneo era indispensabile non soltanto per
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le carovane dei fornitori, ma anche per i frequentatori dell’ultimo Teatro, quello
dell’Odeon.
La via carrabile proseguiva poi raggiungendo l’estremo limite meridionale della Villa: il
Liceo. Non vi era quindi parte del complesso che non fosse collegata e facilmente
raggiungibile, mentre il traffico era sistemato in modo tale da non disturbare mai la
pace dell’imperatore e della sua corte.
2.3 Storia generale della Villa e degli scavi
Appare con ogni evidenza come il complesso di Villa Adriana abbia in effetti
interessato esclusivamente il suo ideatore, cioè l’imperatore Adriano: né gli Antonini né
i Severi, infatti, mostrarono particolare interesse verso quel superbo sistema di
costruzioni, tranne il fatto di considerarlo nient’altro che una villa, imponente ma
ordinaria, in cui andare a trascorrere qualche giorno o un breve periodo dell’anno.
Dopo Adriano gli altri imperatori apportarono soltanto modifiche di lieve entità.
Villa Adriana fu definitivamente abbandonata dopo il III secolo d.C.; le ultime notizie di
fonte antica risalgono al 272 d.C., quando la regina di Palmira, Zenobia, fu esiliata a
Tivoli da Aureliano ed al 544 d.C. quando si dice che vi si sia accampato Totila con
cinquemila uomini, durante l’assedio di Tivoli.
La spoliazione della villa iniziò prima dell’abbandono definitivo.
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Vi furono poi novecento anni di silenzio, durante i quali la Villa, chiamata “Tivoli
Vecchio”, fu adoperata come cava di mattoni ed i marmi furono asportati “per lastricare
et ornare le chiese di Tivoli” o bruciati per ricavarne calce. Le grandi spianate artificiali
del Pecile, dell’Accademia e Roccabruna, del Cortile delle Biblioteche ecc., divennero il
luogo ideale per la coltivazione di viti ed ulivi.
Nel 1450 il sito fu nuovamente identificato come Villa Adriana da Flavio Biondo. La
visita di Papa Pio II Piccolomini, avvenuta nel 1461 e da lui stesso descritta nei suoi
commentarii, consacrò definitivamente la fama della Villa. Alla visita seguì poco dopo
l’importante Bolla papale nel 28 aprile 1462, in cui Pio II introdusse la sorveglianza
dello Stato sui monumenti antichi e proibì a Roma e nella Campagna romana di
danneggiare o distruggere gli antichi edifici.
Il primo scavo non poteva tardare: lo ordinò alla fine del ‘400 Papa Alessandro VI
Borgia. Fu eseguito nel Odeon e portò al ritrovamento delle statue di Muse sedute, che
sono attualmente nel Museo del Prado a Madrid.
Era quella l’epoca in cui si riscopriva il mondo romano, e se no rivalutava ed imitava
l’arte e l’architettura. I grandi architetti del Rinascimento vennero tutti in pellegrinaggio
a Villa Adriana per disegnare e trarre ispirazione dalle sue imponenti rovine.
La famosa descrizione della Villa del Historia Augusta, contribuì ad accendere la
fantasia degli archeologi antiquari del tempo e gli scavi si moltiplicarono.
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In quel periodo la storia di Villa Adriana si legò strettamente a quella di Tivoli, che era
una delle più importanti città dello Stato Pontificio, situata in posizione strategica sulla
via fra Roma e l’Abruzzo. La città fu sempre sede di Vescovato e, a partire dal ‘500, la
carica di Governatore di Tivoli divenne molto ambita e fu occupata da membri delle più
famose famiglie d’Italia.
Gli oggetti ritrovati, specie le statue, servivano ad abbellire il Palazzo del governatore e
le chiese di Tivoli e venivano donati ai Papi per arricchirne le collezioni in cambio di
protezioni e favori.
L’elenco dei Governatori di Tivoli per tutto il ‘500 ed il ‘600 è in proposito
particolarmente significativo: quasi tutti appertennero a grandi famiglie e furono famosi
collezionisti, e quasi tutti legarono il loro nomi a scavi e rinvenimenti nella Villa di
Adriano.
Nel 1549 divenne Governatore Ippolito II d’Este, che tenne la carica fino al 1572.
Ippolito II iniziò grandiosi lavori, trasformando il Palazzo del Governatore di Tivoli nella
Villa d’Este. La villa fu decorata con statue e marmi scavati a Villa Adriana da Pirro
Ligorio.
Nel 1623, con l’avvento di papa Urbano VIII Barberini, il Governatorato fu
immediatamente assegnato a un membro della famiglia, Antonio Barberini e poco dopo
Francesco Barberini diede ordine a Francesco Contini di disegnare una nuova pianta
della Villa Adriana che fu pubblicata nel 1668.
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La serie di Governatori nobili ebbe termine soltanto nel 1692 quando con la Bolla del
12 giugno, Papa Innocenzo XII abolì il nepotismo. Da quel momento in poi non vi
furono più governatori appartenenti a celebri famiglie, perché i Papi non avrebbero più
dato loro alcun sostegno finanziario; la carica quindi perse importanza e fu ricoperta da
semplici cittadini.
3_ Planimetria storica della Villa, Contini
-
Scavi del ‘500-‘600
Fino a tutto il ‘600 il terreno di Villa Adriana fu diviso in tanti minuscoli appezzamenti,
che non tenevano alcun conto della disposizione degli edifici, ma piuttosto
coincidevano con le grande terrazze e spianate artificiali, ideali per la coltivazione.
I proprietari erano privati cittadini di Tivoli, che non avevano probabilmente i mezzi per
scavare; non abbiamo notizie sugli scavi privati, che furono comunque in gran parte
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clandestini perché i rinvenimenti venivano regolarmente confiscati dal Governatore: i
Governatori cercarono in ogni modo di avere il monopolio degli oggetti ritrovati. In quei
tempi era nata infatti la moda del collezionismo di antichità e le statue di Villa Adriana
erano il dono più gradito e prestigioso che si potesse fare ai Papi nepotisti o alle
famiglie reali europee.
Al primo scavo ordinato da Papa Alessandro VII alla fine del ‘400, seguì quello di vasca
scala di Ippolito II d’Este, per il quale lavorò Pirro Ligorio. Lo scavo interessò varie
zone della Villa, durò dal 1550 al 1572, e fu descritto da Pirro Ligorio e dai suoi famosi
Codici.
È importasnte notare che Ligorio trovò comunque i segni delle precedenti spogliazioni
e devastazioni, nonché degli scassi fatti per piantare viti ed ulivi, tracce di marmi
asportati a statue fatte a pezzi, soprattutto quelle di soggetto egizio, segno che la Villa
subì una meticolosa spogliazione e probabilmente un’ondata iconoclasta prima di
essere definitivamente abbandonata. Non mancarono comunque i rinvenimenti di
importanti statue, che furono trasferita quasi tutte a Villa d’ Este, e poi vennero
disperse.
Negli scarsi resoconti degli scavi che possediamo non si ha in genere alcuna
indicazione del luogo esatto del rinvenimento, perché a quel tempo interessava
soltanto sapere chi scavava e che cosa aveva trovato: il dove e il quando non avevano
importanza.
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Nel ‘600 la famiglia Altoviti di Firenze, che possedeva molti terreni nella Villa già dalla
fine del secolo precedente, fece degli scavi chie non sono documentati: sappiamo solo
che con statue e reperti provenienti da Villa Adriana e da altri luoghi essi decorarono
una villa a Prati di Castello e Palazzo Altoviti a Roma di fronte a Ripetta.
Verso il 1630 scavò all’Accademia Monsignor Bulgarini, che trovò due grandi
candelabri, i famosi Candelabri Barberini del Vaticano, subito donati al Governatore
Barberini.
Il più importnte avvenimento di questo periodo è il completamento della prima vera
Pianta della Villa di Francesco Contini, che ci fornisce la più antica documentazione
dello stato della Villa (risalente al 1668), mostrando quali edifici erano stati scavati e
quali invece erano ancora interrati.
-
Scavi dal 1700 fino al 1870
Con l’ablizione del nepotismo nel 1692, Tivoli non ebbe più Governatori parenti di Papi,
e Villa Adriana vide l’avvento degli scavi privati. Fu infatti consentito ai proprietari di
scavare o di vendere ad altri diritti di scavo. Nel corso del ‘500 e ‘600 il terreno della
Villa era stato diviso in una miriade di piccoli appezzamenti, quasi tutti appartenenti
privati cittadini di Tivoli.
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Nel corso del ‘700 i terreni della Villa cambiarono quindi proprietario, e si
concentrarono nelle mani di pochi.
Il Conto Fede acquistò il terreno del Ninfeo, lo spianò e vi fece costruire sopra il Casino
nel 1704; quindi iniziò ad acquistare i terreni circostanti e nel 1730 possedeva tutta la
zona delle Biiliteche, il Palazzo Imperiale, la Valle di Tempe, il Pecile e le Piccole
Terme. La zona del Canopo con le grandi Terme e poi Roccabruna fu invece
acquaistata dai Padri Gesuiti. L’Accademia, l’Odeon e tutta la grande spianata
aritificiale vennero comprate dai Bulgarini che, acquistarono dai gesuiti anche
Roccabruna.
Michilli mantenne le sue proprietà adiacenti al Pecile, e Piazza d’Oro, che più tardi
vendette agli eredi del Conte Fede, Centini, per conto dei quali il Cardinale Marefoschi
fece alcuni scavi. Nella parte nord della Villa, invece, i terreni del cosidetto Pantanello
furono proprietà del sindaco di Tivoli, Cavalier Lolli.
Tutti i nuovi proprietari intrapresero degli scavi. Il primo fu il Conte Fede che scavò dal
1730 al 1742.
Alla morte del Conte, i suoi eredi Centini continuarono come si è detto gli scavi con il
cardinal Marefoschi, scoprendo i quadri in mosaico oggi nel Gabinetto delle Maschere
e nella Sala degli Animali al Vaticano, ed un altro mosaico, quello dei centauri, che si
trova a Berlino. Pare che Centini abbia recuperato da Piazza d’Oro i capitelli che
ornano le sedici colonne di marmo grigio della Sala delle Muse al Vaticano.
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Nel ‘700 si diffuse la moda di fare piani per tavoli con i marmi di scavo, o peggio di
tagliare a pezzi mosaici per farne tavolini, il che permetteva di utilizzare anche mosaici
molto deteriorati. Con questo sistema il Cardinal Furietti realizzò una dozzina di tavoli,
due dei quali furono donati a Papa Benedetto XIV.
I Padri Gesuiti avevano delle proprietà nella zona del Canopo: nel 1744 fecero degli
scavi e trovarono una serie di statue egizie, che oggi sono nel Museo Egizio del
Vaticano. Conosciamo alcune di queste statue dalle descrizioni di Piranesi, Sebastiani,
Penna, Bulgarini e Nibby, ma non abbiamo alcuna documentazione sullo scavo in se.
La zona più ricca di statue e marmi si rivelò il Pantanello. Negli anni precedenti il 1724,
il proprietario Lolli cercò di prosciugare lo stagno, ma si scontrò con Domenico de
Angelis, il proprietario del terreno attiguo, dove si sarebbero dovute far defluire le
acque. I due non si misero d’accordo, e Lolli si accontentò di recuperare un certo
numero di statue sulle sponde. Nel 1769 Lolli e De Angelis raggiunsero però un
accordo, ed il Pantanello fu prosciugato. I lavori vennero diretti da Gavin Hamilton, un
pittore antiquario scozzese che decorò le case di nobili romani ed inglesi con i suoi
dipinti e con le statue trovate nei suoi scavi. Il sodalizio Hamilton-De Angelis fu
particolarmente fruttuoso, e portò al recupero di decine di statue, teste e marmi, la
maggior parte dei quali fu portata in Inghilterra.
Nel 1781 Francesco Piranesi disegnò un rilievo completo della Villa, più preciso di
quello di Contini. Da esso si può accertare lo stato delle rovine e l’estensione delle
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zone non scavate, e le legende danno importanti notizie sui rinvenimenti e sulle
decorazioni degli edifici.
Dalla pianta del Piranesi derivano tutte le piante della Villa disegnate nell’ Ottocento.
4_ Planimetria storica della Villa, Piranesi
Nell’ Ottocento vi fu un altro grande cambiamento nelle divisioni delle proprietà della
Villa Adriana. Già nel 1781 il Duca Luigi Braschi-Onesti aveva acquistato ad un prezzo
irrisorio i terreni dei gesuiti, esclusa Roccabuna che venne comprata dai Bulgarini. Nel
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1803 i Braschi-Onesti comprarono anche i terreni Fede-Centini e divennero in pratica
proprietari di tutta la Villa.
Nell’ Ottocento vi fu un grande interesse per la Villa, che portò alla pubblicazione di
numerosi libri da parte dei Nibby, di Sebastiani e di Bulgarini, che sono spesso l’unica
fonte che abbiamo per la storia degli scavi ed i rinvenimenti; contemporaneo è lo studio
completo di Agostino Penna con pianta generale, e belle incisioni degli edifici, delle
statue e dei mosaici.
-
Scavi moderni dopo il 1870
Alla fine dell’Ottocento i beni dei Duchi Braschi-Onesti vennero messi all’asta, alla
quale partecipò il Regno d’Italia, che il 15 dicembre 1870 acquistò buona parte dei
terreni della Villa Adriana.
A partire dal 1878 il Regno d’Italia promosse una serie di sterri, eseguiti da Lanciani,
Fiorelli ed altri.
Fiorelli creò un antiquarium nel Casino Fede, con una raccolta di marmi e bolli laterizi
che fu poi trasferita nel Museo Nazionale Romano e dispensa. Gli scavi rimisero in luce
la zona del Pecile e del Palazzo Imperiale con le due Biblioteche, Hospitalia e Triclionio
imperiale.
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Dopo il 1870 vennero pubblicati i due principali studi completi sulla Villa, opera di
Winnefeld e di Gusman e nel 1906 il Regno d’Italia fece eseguire un nuovo rilievo
generale a cura del Reina e della Scuola per gli Ingegneri.
5_ Planimetria della Villa, Scuola degli Ingegneri di Roma
L’ultima imponente campagna di scavi risale agli anni ’50, quando Aurigemma scavò al
Canopo e mise in luce l’Euripo. Lo scavo divenne famoso perché si trovarono una
sessantina di statue, fra cui le copie delle Cariatidi dell’Ereteo. Fu uno sterro
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indiscriminato del tutto uguale a quello dei secoli precedenti, e venne sprecata
l’occasione unica che si aveva di studiare una zona praticamente intatta della Villa.
Numerosi anche i restauri: negli anni ’50 è stato ricostruito il Teatro Marittimo, l’Edificio
con Pilastri Dorici, e sono state ripristinare le grandi vasche del Canopo, del Pecile e
dell’Edidicio con Peschiera.
Negli anni ’60-’70 furono demoliti puntellamenti ottocenteschi, e si è provveduto allo
stacco e restauro di mosaici ed affreschi.
Nel 1988-89 è iniziato lo sterro della galleria sotterranea che passa sotto il Ninfeo Fede
e va verso Piazza d’Oro: è stato messo in luce un lungo tratto del bassolato originale
perfettamente conservato, con i segni evidenti delle ruote dei carri.
2.4 Turisti ed artisti europei a Villa Adriana. Il Grand Tour
Il ‘700 è segnato dal fiorire di un avvenimento importantissimo per la storia di Villa
Adriana: la nascita del Prix de Rome e del conseguente Grande Tour.
Il Prix de Rome è il celebre riconoscimento annuale all’alta formazione classica degli
architetti francesi, istituito nel 1717 dall’Accademie Royale di Architecture, da svolgersi
presso la sede dell’Accademia di Francia a Roma.
Il Prix de Rome era un’istituzione molto simile agli attuali dottorati di ricerca. Riservato
agli studenti dell’Accademie Royale d’Architecture, aveva cadenza annuale e vi si
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accedeva mediante due prove, una preliminare basata sullo schizzo di un edificio ed
una finale costituita dallo sviluppo progettuale dello schizzo proposto, rappresentato
esclusivamente mediante disegno geometrico. Erano previsti quattro premi, associati
ad altrettante borse di studio che permettevano il soggiorno a Roma per un periodo di
quattro/cinque anni. Dopodiché gli architetti vincitori del Prix de Rome potevano partire
alla volta dell’Italia per il più ambito di tutti i corsi di studio.
Muore per crisi di legittimazione, o meglio di vecchiaia, nel 1968.
Il periodo di maggiore produzione di envois, è quello compreso tra il 1778 e il 1861,
convenzionalmente dalla morte di Gian Battista Piranesi all’unità d’Italia. In questo arco
di tempo l’oggetto principale degli interessi del pensionnaires era il rilievo e la
pubblicazione dell’architettura antica e dei suoi monumenti.
In questo contesto una visita a Villa Adriana non poteva assolutamente mancare: ciò
anche a causa dell’unione nel complesso adrianeo del “pittoresco” della natura e del
consueto fascino che le rovine esercitavano sui viaggiatori e sugli artisti europei,
specialmente francesi, britannici, tedeschi, qualche danese, oltre naturalmente su
quelli italiani.
Ne nascevano testi scritti, memorie di viagio, appunti spesso poco sistematici aventi il
carattere di colorite impressioni, intese a “fotografare”, in armonia anche con l’estro del
momento del momento particolare che il viaggiatore si trovava a vivere, la puntuale
apparizione e apparenza delle rovine e le condizioni momentanee del paesaggio.
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Ne nascevano disegni (e magari successive incisioni), acquarelli, pitture, schemi e
pinate abbastanza precisi, specialmente allorché l’occhio osservante era quello ad
esempio di Hubert Robert, paesaggista assai dotato che possedeva una ricca cultura
classica e leggeva ex scriveva in latino e un po’ meno bene il greco.
Dalla metà del ‘700 cominciamo ad avere relazioni e rappresentazioni su e di Villa
Adriana che, va detto resta non di meno semplicemtne uno dei luoghi rilevanti da
visitare da paerte degli amanti o degli studiodi dell’arte greca e romana, così come essi
visitavano il Foro romano o il Colosseo, i Sepolcri disseminati lungo la via Appia,
Paestum, Napoli e Agrigento con la Valle dei Templi.
Già Chales Joseph Natoire, direttore dell’ Accademia di Francia a Roma, dall’anno
1752 incoraggiava i borsisti dell’ Accademie a disegnare dal vero i monumenti e le
vedute di Roma e dei suoi dintorni.
Sono ancora, gli anni in cui l’architetto Legrand, cognato del pittore classicista Charles
Louis Clerisseau e futuro marito della figlia di Giovanni Battista Piranesi, ci lascia
testimonianza di come Fernet, Clerisseau e lo stesso Piranesi si siano dedicati, tra i
primi in assoluto, a ricavare disegni all’interno della villa, tra notevoli difficoltà per
aprirsi un passaggio tra rovi e sterpi e costretti a difendersi da serpenti e scorpioni.
Ci restano di Clerisseau, eseguiti con tutta probabilità proprio in quel periodo, i disegni
di Rovine, di una Naumachia a Villa Adriana, di un Frammento greco, il tutto
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completato dalla Veduta della parte centrale della villa attraverso una volta delle Grandi
Terme, e di Piranesi Le Grandi Terme della Villa di Adriano .
6_ Ambiente centrali delle Grandi Terme. Veduta di Gian Battista Piranesi, 1770
Fu da tale entusiastica attività che nacque la sua pianta di Villa Adriana, della cui
pubblicazione, morto Giovanni Battista, si occupò il figlio Francesco. L’insieme dei
rilievi eseguiti dai borsisti francesi favorì l’attività dello stesso Piranesi. Questo volle
anche porsi in un certo senso come restauratore delle antichità e dei reperti lì rinvenuti
tentandone anche la ricostruzione.
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Nel 1778 fece copiare alcuni vasi che poi incluse nell’opera Vasi, candelabri, cippi,
sarcofagi, tripodi, lucerne ed ornamenti antichi.
Augustin Payou altro borsista dell’Accademia di Francia, dal 1752 accumulò schizzi e
copie in numero enorme di tutto quello che osservava a Roma e nei dintorni,
manifestando nei disegni uno straordinario interesse per le opere che provenivano da
villa adriana, prima che detti reperti alimentassero le collezioni private, come quella del
cardinale Albani, o pubbliche, come i Musei Capitolini, i Munei napoletani e i nuovi
Musei Vaticani che nel 1770 Clemente XIV aveva progettato di creare.
7_ Rotonda delle Grandi Terme, veduta di Charles-Louis Clérisseau, 1756
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Tra gli artisti francesi che, nei medesimi anni, non seppero resistere al richiamo delle
rovine di Villa Adriana splendidamente e in maniere suggestiva immerse nella non
addomesticata natura, si possono ancora citare Chaix, autore di una Veduta di Villa
Adriana oltre che di Rovine nella Villa Adriana, ascrivibili negli anni 1772-1773 e
Joseph Benoit Suvee, che disegnò a sanguigna nel 1775 La villa di Adriano.
8_ Grendi Terme, sala centrale. veduta di Louis Chaix, 1775
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Un numero di viaggiatori e artisti davvero elevato, a dimostrazione del fatto evidente
che se l’Italia fu, specialmente nel XVIII, un elemento di richiamo per chiunque volesse
affinare la propria sensibilità a contatto con le radici della civilizzazione occidentale,
Villa Adrian da parte sua rappresentava uno straordinario ed ineliminabile luogo nel
quale
all’eccellenza
dell’arte
greco-romana
ed
ellenistico-egizia
si
univa,
armonizzandosi, il pittoresco di un paesaggio da riscoprirsi con rinnovato anzi
rigenerato sentimento.
41
3. Villa Adriana. Architettura tipica e architettura atipica
A parte gli indiscussi meriti politici e amministrativi, Adriano ebbe una grandissima
personalità. Il lato culturale a cui tenne di più fu quello dell’architettura.
Un topos convalidato è quello per cui architettura adrianea significa uso spregiudicato
della copertura a volta. Prima di Adriano esisteva una cultura architettonica fondata
sull’uso del calcestruzzo che
aveva basi collaudate da tempo. Essa si fondava
sull’accostamento dominante di cellule quadrangolari e conseguente parallelismo delle
pareti; sulle coperture con volte a botte massive nelle sostruzioni, a tetto o a terrazza
nelle parti abitative; su interi organismi penetrati da assi ottici impossibili da
ripercorrere fisicamente, con continuità; su percorsi ortogonali a pettine.
Accanto a questa corrente già pienamente attestata nella tarda repubblica, ne stava,
però, nascendo un’altra, portatrice di un differente senso della spazialità. Si avverte
dunque l’esistenza di una corrente alla quale forse appartennero gli architetti di Nerone
e di Domiziano, di una avanguardia che consapevole delle potenzialità plastiche del
calcestruzzo lo impiegava per esercitare una maggiore indipendenza dal vincolo
costruttivo.
Adriano conobbe sicuramente queste nuove tendenze espresse materialmente nelle
residenze imperiali che frequentava e probabilmente, partecipò anche attivamente alle
polemiche che la nuova problematica provocava.
Ma con Adriano cosa successe in architettura?
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Si tende con maggiore frequenza a far coincidere l’asse ottico con quello di percorso
ma spostando quello su questo per ottenere una frantumazione delle visuali, e quindi la
possibilità di sorprese spaziali; si ha lo sfruttamento del valore della quarta dimensione
(il tempo necessario per conoscere l’edificio) e una certa gerarchizzazione dei vani;
vengono impiagati con valenza di cerniere interi organismi o singoli ambienti; si ricorre
a complessi disposti secondo assi diversi per sfruttarne i valori dissonanti. La
spazialità, coinvolge organicamente planimetrie e alzati consentendo una maggiore
coerenza scalare e conferendo a tutto il complesso una più accentuata articolazione
senza però dare la prevalenza ad un unico vano, anzi, scegliendo uno scorrimento
fluido dello spazio. Si tende invece a mantenere uniforme il piano di calpestio.
Tutto questo mette in gioco, accentuandolo, il fattore sorpresa; attenzione costante a
mascherare all’esterno la forma interna voltata e gonfia in modo che restasse
imprevedibile; corridoi voltati a botte che immettono attraverso porte asimmetriche in
eccezionalità spaziali: schermature ottenute con colonnati uniti da archi su pulvini;
accostamenti di simmetrie e asimmetrie, distribuzioni su schemi radiali; corridoi di
raccordo; vani uno dentro l’altro.
A questo si accompagnano soluzioni anticlassiche come appiombi di pennacchi su vani
di porta (Piccole Terme), ingressi asimmetrici su corridoi absidati, pulvini su capitelli
per accogliere le spinte degli archi, crociere sospese su mensole e volte a ombrello
appoggiate solo formalmente su colonne a perdere.
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Non ci si può rendere pienamente conto della reale portata del fenomeno Villa Adriana
senza riferirsi
alla tecnologia edilizia che ne fu alla base: l’uso della muratura in
calcestruzzo, cioè quella che impiega la malta di calce come legante del pietrame che
forma i muri.
I progressi tecnologici in questo campo erano basati quasi esclusivamente sul
miglioramento della qualità delle componenti, sull’accuratezza della confezione e sulla
tendenza a raggiungere l’equilibrio tra le grandi masse murarie.
Non si deve mai dimenticare che le volte romane erano massive, cioè piene, di
notevole spessore e di peso grandissimo. Esse, per reggersi, avevano bisogno tanto di
una sapiente progettazione quanto della migliore esecuzione.
Un altro concetto da rammentare è quello della doppia anima dell’architettura romana,
per cui quasi mai una fabbrica si reggeva per le ragioni che apparivano a prima vista.
Una crociera poteva sembrare sorretta da mensole aggettanti o da colonne sottoporte
ai pennacchi ma oggi che le mensole sono spezzate e le colonne asportate, la volta
intatta è ancora lì. Perché in realtà quel tipo di volta scaricava le spinte in punti
differenti da quelli che si enfatizzavano appunto con mensole e colonne.
La rivoluzione nell’architettura romana non avvenne quindi né con Nerone né con
Domiziano e tanto meno con Traiano, ma con Adriano: prima di lui tentativi, anche
egregi, ma solo sintomi del futuro cambiamento di rotta.
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Accogliendo nella sua Villa le molte tendenze dell’epoca, egli diede una certa
prevalenza a quelle che considerava come appartenenti al futuro.
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4. La questione della Vera Forma
4.1 Il sistema pluriassiale paratattico di Villa Adriana
La questione dell’impianto generale della Villa, non è quasi mai tratto sotto il profilo
della forma. Anzi è possibile affermare che il concetto di forma, inteso come sistema di
regole di organizzazione degli elementi della composizione, è praticamente estraneo
alla trattazione classica, la quale è più propensa ad indagare la sequenza costruttiva
della varie parti e della sua datazione.
Questo maggiore interesse è dovuto al fatto che la Villa è strutturata per zone
omogenee, per orientamenti che suggeriscono l’idea di un processo realizzativo per
parti ed in tempi diversi.
Molti illustri studiosi hanno dato il loro importante e autorevole contributo, partendo
dall’analisi delle tessiture murarie (Lugli, 1926) o dei bolli laterizi (Block, 1937), oppure
ragionando sulle possibili modalità di soggiorno del principe nella Villa durante le fasi di
realizzazione (Salza Prina Ricotti, 1993), o ancora, ragionando per zone omogenee
(MacDonald, Pinto, 1996), riconoscendo che, il cantiere è durato per tutto il principato
di Adriano (117 – 138 d.C.) e alla sua morte, molti lavori dovevano essere ancora
compiuti e terminati successivamente.
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Il problema è un altro, ovvero se l’impianto è da considerarsi unitario sotto il profilo
compositivo.
Molti autori sono caduti in una contraddizione, evocando l’unità del principio formale,
per poi dichiararlo come “sistema pluriassiale paratattico”. Se il sistema è paratattico
non può essere unitario.
Ma il progetto unitario c’è eccome. È in filigrana e non si da se non cambiando
completamene paradigma e introducendo il concetto di composizione ipotattica, che
presuppone che il sistema sia organizzato attorno ad una serie di elementi
morfogenetici principali da cui dipendono gerarchicamente tutti gli altri, costruendo una
concatenazione di rapporti che non chiudono mai il cerchio, lasciando aperta la libera
connessione di elementi della composizione.
Solo se si immagina il dispositivo come una composizione policentrica radiale
ipotattica, si può parlare di progetto unitario .
L’impianto di Villa Adriana e il problema della sua forma è stato descritto da diversi
autori.
Il primo testo è quello degli autorevoli professori americani William L. MacDonald e
John A. Pinto; un volume importante, molto ricco di elementi e suggestioni che vanno
anche oltre la lettura del documento archeologico. Il secondo è quello di Massimiliano
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Falsitta, un piccolo saggio nato all’interno di un contesto scientifico di dottorato di
ricerca in composizione architettonica.
I due autori americani, sono andati ad un passo dalla comprensione del principio
ordinatore di Villa Adriana, ma non hanno voluto vederlo, interessati di più
all’esplicitare la composizione di tipo pittoresco che anima il rapporto tra architetture e
paesaggio.
Nella loro voluminosa opera su Villa Adriana, MacDonald e Pinto si concentrano sulla
pianta della villa che viene definita come un “disordine apparente”, dove per disordine
si intende «una consapevole disposizione di volumi introspettivi in rapporto di
opposizione con spazi aperti tra loro interposti».
Le testimonianze indicano che la pianta della villa derivò in buona parte dalla creazione
di specifici effetti percettivi, da un gioco voluto di contrasti tra edifici vicini e di spazi
aperti, semi aperti e chiusi concentrati tra loro.
La pianta generale della villa si può spiegare così: l’orientamento è quello del terreno
delimitato dalle valli; il fianco sud-ovest rappresenta il lato invernale che si affaccia
sulla luce morente del tramonto. In estate nelle prime ore del mattino, i monti
proteggono dal sole i fianchi sud-est. L’irregolarità delle architetture si deve in parte
all’esigenza di un’intermittenza, di scenari volutamente contrastanti in cui situare
raffinati edifici.
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L’interpretazione non convince totalemente, poiché lascia passare, l’idea che il
pensiero progettante agisca sulla base di operazioni vitaliste, di pura e pragmatica
casualità.
I due autori cercano di trovare un principio che regoli le diverse inclinazioni, credendo
di trovarlo nella plasticità del sito e nella necessità di una continuità formale.
Il secondo testo è intitolato “Villa Adriana. Una questione di composizione
architettonica” ed è stato pubblicato da Massimiliano Falsitta nel 2000, quando cioè il
volume di MacDonald e Pinto era già considerato un testo di riferimento e di primaria
importanza.
Per Falsitta il progetto e la composizione di Villa Adriana son ab origine sottoposti a un
principio ordinatore.
Per certi versi il risultato della spiegazione del perché la villa ha questa forma non è,
almeno nelle premesse, molto distante dal concetto di sequenza di corpi chiusi e
aperti, che giuda la lettura pittoresca di MacDonald e Pinto, orientando più a fornire un
quadro generale del risultato finito che non il modo in cui tale risultato è stato ottenuto.
L’autore, prima di passare all’analisi dell’impianto generale, elabora alcuni concetti
finalizzati al lavoro di preparazione del lettore alla successiva analisi dei principi
compositivi. Uno di questi riguarda l’attenzione posta dall’autore alla basis villae, cioè
al suo radicamento al suolo e contemporaneamente al suo astrarsi. Questa
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considerazione è fatta soprattutto alla luce del fatto che la villa (quand’anche restituita
con le curve di livello) viene sempre letta dall’alto, cioè dalla pianta, e mai a partire dai
suoi fronti (cosa che invece interessava moltissimo gli architetti francesi di formazione
accademica e di cui ne offrono restituzioni straordinarie e originali).
La riflessione dell’autore ci conduce a tutto il sistema sostruttivo che origina terrazze e
basamenti lungo il perimetro scosceso a est, e a nord e a ovest. Alcuni dei muri della
basis villae fanno parte dello schema originario e quindi del principio che ha regolato la
composizione della villa. Tra questi, sono rilevanti le sostruzioni sulla Valle di Tempe, il
muro della terrazza delle Biblioteche, le sostruzioni del Pretorio e quelle del Pecile,
quelle dell’Accademia e il muro delle Fontane sull’Altura.
Altro concetto è incentrato sul rapporto tra l’idea di villa, così come prefigurata da
Adriano e l’idea di città, che la complessità e la dimensione di Villa Adriana stessa
suggeriscono. L’autore parla di un Adriano intento a comporre la villa come una città di
fondazione. In realtà alla Villa mancano tutte le caratteristiche che storicamente
possono essere ricondotte a un’idea di città, cioè essere innanzitutto espressione di
una molteplicità, sia architettonica che umana. La villa è una unità, sostiene l’autore, e
unico è il suo artefice. E Falsitta la definisce una città privata.
L’autore, infine giunge ad affrontare il problema dell’impianto generale.
Per Falsitta la struttura compositiva si basa sulla rotazione di tre assi (direzioni
principali) su due elementi che agiscono da cerniera.
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La direzione principale è quella dell’asse maggiore del Pecile, che è anche quella a cui
si conformano tutte le costruzioni a esso aggregate, ovvero il blocco formato dall’
Edificio con Tre Esedre, dal Giardino-Ninfeo e dal Edificio con Peschiera o residenza
imperiale invernale. È anche la direzione più evidentemente voluta, dato che è
costruita con una spianata totalemtne artificiale che si protende nel vuoto, in direzione
della pianura sottostante e di Roma.
La seconda direzione è quella determinata dalla preesistente villa repubblicana. I suoi
resti vengono in parte mantenuti e riutilizzati, e il suo asse principale viene assunto
quale asse di tutta l’ala di Villa Adriana che si trova allineata alla cosiddetta “valle di
Tempe”. A raccordo tra la secodna direzione e la prima, vi è l’edificio forse più
rappresentativo della villa e tra i più significativi per contenuti di invenzione tipologica, il
Teatro marittimo.
La terza direzione è quella assunta dalla parte di Villa Adriana che si allinea
approssimativamente all’andamento del fiume Risicoli e che costituisce quindi il fianco
ovest della villa. Questo lato però non affaccia verso l’esterno. La cerniera sulla quale
si raccorda e si imposta la direzione in esame, sulla quale troviamo allineati gli edifici
delle terme, il Vestibolo di ingresso e il Canopo, è realizzata con la fabbrica
denominata delle Piccole Terme.
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I restanti edifici, cioè i due teatri, il Ninfeo Fede e altri minori sono effettivamente slegati
dal nucleo centrale e preponderante della villa e si trovano in posizioni sufficientemente
isolate da legittimare questa slegatura.
La riflessione di Falsitta rispetto l’impianto generale appare poco approfondita, e dalla
stessa ne deriva un’impressione poco convincente. Oltre all’estrema sintesi della
descrizione dell’impianto, lasciano perplessi almeno tre aspetti. Due hanno a che fare
con uso della terminologia architettonica e ai suoi significati letterali.
Il primo riguarda l’utilizzo del termine “direzione” per designare le giaciture e
l’orientamento compositivo dei quartieri della Villa, che appare quantomeno fuori
contesto.
Il secondo riguarda l’utilizzo del termine “cerniera”, indicata come prerogativa
compositiva delle Piccole Terme, la cui forma tuttavia, non sembra assumere il
carattere di “giunto rotazionale”, che, invece, sembra più appropriato assegnare al
termine circolare del Ninfeo-Stadio.
Il terzo aspetto è la scarsa considerazione per gli elementi cosiddetti “periferici”.
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4.2 La sintassi radiale policentrica ipotattica di Villa Adriana
9_ Centralità della Piazza d'Oro
Volendo risolvere questa contraddizione, nel 2012 viene pubblicato il Tractatus Logico
Sintattico di Pier Federico Caliari, che ribalta completamente la teoria paratattica fino
ad allora sostenuta da tutti i professionisti che hanno studiato Villa Adriana,
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proponendo una teoria policentrica radiale ipotattica , vale a dire un sistema omogeneo
di “proposizioni principali che reggono una serie complessa di subordinate”.
Tutto questo è stato possibile grazie allo studio delle planimetrie storiche della Villa e
all’accorgimento di fatali errori di rilevamento che hanno da sempre “depistato” il
raggiungimento di una teoria sulla vera forma. Da non sottovalutare inoltre l’uso della
nuova tecnologia CAD.
Le planimetrie su cui Pier Federico Caliari ha fatto riferimento sono il frutto dei
rilevamenti più importanti della Villa, da quello di Francesco Contini del 1668 a quello
del Piranesi, pubblicato nel 1781, quello ottocentesco di Agostino Penna, quello del
1906 della Scuola degli Ingegneri, quello del 1969 eseguito da Eugenia Salza Prina
Ricotti, quello del 2006 eseguito dall’Univeristà di Tor Vergata (Carta del Centenario),
fino ai rilevamenti mediante scanner laser eseguiti dall’Università di Firenze.
Nel confronto tra i diversi prodotti realizzati nell’arco di trecentocinquant’anni di studi
emerge il caso più eclatante di “errore” di rilevamento, cioè quelle del cosiddetto terzo
teatro, il “Teatro Latino” della tradizione ligoriana, che compare nella pianta del Contini
e continua ad essere presente in quelle successive del Piranesi, del Canina e,
sebbene “in negativo” anche quelle del Penna.
L’approssimazione manifestata dai diversi rilievi, non è solo confinata nel ragionamento
sul Terzo Teatro, e guardando con occhio un po’ più attento, ci si rende conto che tutto
il rilievo della Domus, per esempio, è completamente errato. Nessuno tra Contini,
54
Piranesi, Penna e Canina ha fatto un vero e proprio rilievo, spiega Caliari, altrimenti si
sarebbero accorti che la Piazza d’Oro non giace ortogonalmente al sistema della
Domus, ma anzi presenta una inclinazione la cui origine sta nel centro della Tholos del
Tempio di Venere Cnidia.
Di questa seconda anomalia, se ne sono accorti per primi gli Ingegneri perché
probabilmente sono gli unici che hanno preso veramente le misure e hanno triangolato
Piazza d’Oro con la Sala dei Pilastri Dorici e con la Caserma dei Vigili, verificando in
situ la diversa giacitura.
L’errore rellativo alla Piazza d’Oro dimostra la scarsa attenzione per questo elemento
della composizione che è invece un cardine inamovibile della gestione dei rapporti tra
le parti e tra le parti e il tutto, in una parola del principio ordinatore.
Questo è anche motivo per cui, fino ad ora, nessuno lo ha individuato.
La forma planimetrica della Villa, lungi dall’essere una composizione pluriassiale
paratattica, si configura quindi invece come una composizione radiale policentrica
ipotattica, dove alcuni edifici o parti di essi costituiscono gli elementi cardine
dell’impianto generale gerarchizzato di Villa Adriana.
La composizione di Villa Adriana, attraverso questo studio, viene completamente
svincolata dalla morfologia del sito che la ospita: edifici lontani centinaia di metri, a
quote assai differenti, risultano essere in relazione tra loro, in una rete di rapporti di
dipendenza che non chiudono mai il cerchio, lasciando aperto lo sviluppo planimetrico.
55
Queste relazioni si traducono graficamente , in pianta, nella congiunzione di alcuni
punti sensibili degli edifici, chiamati centralità; le principali si riscontano nella Piazza
d’Oro, nel Tempio di Venere e Cnidia, nel Teatro Greco, nel Teatro Marittimo, nel
Teatro Sud, nell’Edificio con Tre Esedre, nel Grande Vestibolo e nel Padiglione
dell’Accademia.
56
Parte II_ Il progetto architettonico
57
1. Breve introduzione all’architettura romana
1.1 Ossature murarie
In Grecia, in Asia Minore, in Siria e nell’Africa settentrionale il permanere della
tradizione ellenistica e l’abbondanza delle pietra favoriscono l’impiego di murature
composte di grossi blocchi alla stessa maniera in cui nell’Italia centrale e per tutto il I
secolo si perpetua la tradizione costruttiva etrusca. Quando tuttavia prevale
l’organizzazione corporativa dei muratori su quella degli squadratori di pietra, si
diffonde l’ossatura muraria costituita da un nucleo (in opus caementicium) contenuto
entro forme che spesso ne delineano permanentemente le cortine (di norma in opus
testaceum). Il sistema, ingegnoso ed economico, viene accolto con favore e si diffonde
in tutte le regioni dell’impero.
Tra i più usati apparecchi murari sono da ricordare:
-
Opus siliceum
È costituito in genere di grossi blocchi di pietra sovrapposti senza malta; è
usato per mura di città, castelli e cittadelle, basamenti, podi di templi, strade,
ville, terrazzamenti, sepolcri, cisterne, torri, ecc.
-
Opus quadratum
Si indica in tal modo sia il muro interamente costruito con blocchi
parallelepipedi regolari, quadrati lapides, disposti a secco su assise
58
orizzontali, sia il semplice paramento di lastre rettangolari o quadrate. È la
tecnica comunemente usata in Grecia per l’architettura monumentale e dal
V sec. a.C. nel tipo pseudoisodomo, poi isodomo, e anche per le cinte
urbane.
-
Opus caementicium
Nucleo murario composto di spezzoni lapidei impastati con malta di calce e
sabbia (preferibilmente pozzolana) e racchiuso tra due cortine di tufelli o
mattoni. Questa tecnica, sviluppatasi verso la fine del III sec a.C. nel Lazio e
in Campania e subito diffusa in tutto il mondo romano per la facile ed
economica applicazione, e la possibilità di ottenere coperture voltate di
proporzioni inattuabili per la tecnica lapidea, è la più usata ed è
d’importanza fondamentale nell’edilizia romana e ancora per tutto il
medioevo e l’età moderna.
-
Opus incertum
Parete esterna in piccoli blocchi mescolati ad altri più grandi ma tutti di
forma irregolare, che richiamano la costruzione delle mura ciclopiche.
All’interno del nucleo a concrezione è l’opera muraria che si sostituisce a
quella primitiva e cioè all’ opus terreum di zolle erbose o di lateres crudi.
-
Opus quasi reticulatum
59
Interno in opus caementicium e paramento a blocchetti di pietra quadrata
(cubilia), spesso di forma diversa, messi in opera in file assai irregolari, ma
inclinate.
-
Opus reticulatum
Paramento dell’ opus caementicium composto di tufelli piramidali ( cubilia)
con la base maggiore in facciata, disposti a 45°.
-
Opus spicatum
Paramento oltre che pavimento, composto di mattoncini disposti a coltello
con disegno a spina di pesce. Particolarmente usato per cortili, terrazze,
magazzini, ecc.
-
Opus craticium
Muri o tramezzi ad intelaiatura di legno, con spazi intermedi riempiti di sassi
e cemento, generalmente intonacati.
-
Opus mixtum
Paramento dell’ opus caementicium entrato in uso con l’età imperiale da
Domiziano a Costantino ed oltre. Può presentarsi in due modi fondamentali:
alti strati di reticulatum interrotti da sottili fasce laterizie, oppure «specchi» di
reticulatum entro cornici di laterizio con o senza ammorsature.
-
Opus testaceum o latericeum
60
L’espressione indica a rigore soltanto la muratura fatta intermante di mattoni
essiccati all’aria (lateres crudi) di antichissima origine e diffusione
mediterranea e conservata fino al I secolo dell’impero per l’architettura
militare e l’edilizia civile.
Per poter datare un paramento di soli mattoni, è necessario tener conto del
tipo di mattoni, dei bolli doliari, dei moduli, dei ricorsi di bipedali, delle
stilature e allisciature, del tipo e impasto della malta, ecc.
I laterizi cotti al forno sono detti tegulae, i laterizi crudi seccati al sole o
appena cotti sono detti lateres. I tipi più comuni di laterizi cotti al forno sono
modulati sul piede romano (cm 29,6).
Essi sono:
-
Bipedales
Mattoni quadrati di lato pari a 2 x 29.6 = cm 59,2
-
Sesquipedales
Mattoni quadrati di lato pari a 1,5 x 29,6 = cm 44,4.
-
Bassales
Mattoni quadrati di lato pari a 2/3 x 29,6 = cm 19,7.
Oltre ai laterizi di forma quadrata, vi erano quelli triangolari ottenuti
direttamente da questi ultimi.
61
-
Opus signinum
62
Rivestimento impermeabile per pavimenti di cortili e terrazze, per pareti di
cisterne, ecc.
-
Opus africanum
Muro composto di uno scheletro indipendente realizzato con lunghi elementi
lapidei formanti pilastri verticali e correnti orizzontali, rimpimento dei riquadri
in muratura ordinaria sottile.
-
Opus vittatum
Paramento di blocchetti lapidei disposti in assise orizzontali simili a bende
(vittae), talvolta alternate a fasce di mattoni.
1.2 Archi
Gli archi sono di origine antichissima, conosciuti ed usati in tutto il mondo fin dal III
millennio a.C. Storicamente caratteristici sono gli archi etruschi realizzati in pietra da
taglio, usati per porte, ponti, cloache, poi intervengono quelli romani ancora di influenza
etrusca fino a pervenire allo schema a conci pentagoni strettamente connessi alla
parete.
La forma dell’arco si riporta a quello del tipo «a tutto sesto» nelle comuni applicazioni e
la struttura risulta intimamente legata a quella dei muri. A parte gli archi realizzati con
scaglie o in cemento, si passa dai conci lapidei all’impiego di mattoni spesso intercalati
da conci in opus concretum.
63
10_ Arco a tutto sesto.
Nell’età imperiale acquista notevole importanza l’impiego di mattoni, normalmente
bipedali, a due e a volte a tre giri sovrapposti. Un arco con la parte superiore dei suoi
conci in vista, libera cioè rispetto al muro, spesso posta in risalto per motivi decorativi,
è detto «estradossato».
64
Talvolta gli archi presentano la stessa struttura mista delle murature ovvero sia ghiere
di veri mattoni solo nel paramento, mentre le parti interne sono in opus caementicium o
anche mixtum.
Frequentissimo è l’innesto della piattabanda con l’arco semicircolare di scarico che
assume caratteristiche di tipico motivo costruttivo e architettonico. Affine al pulvino di
pietra, costituente l’imposta dell’arco o della piattabanda, si ritrova la mensola
sporgente rispetto alla muratura il sui compito era quello di sostenere la centinatura
lignea.
1.3 Volte
Con tale termine si vuole intendere qualsiasi struttura di copertura, le cui principali
caratteristiche siano la concavità della superficie interna e l’azione laterale di spinta
degli elementi che la costituiscono.
Quasi completamente sconosciuta nell’architettura greca, la volta trova invece larga
applicazione presso i romani che sviluppano il problema fino a esaltarlo e a farne,
quasi, la principale caratteristica dell’architettura spaziale del mondo romano durante il
periodo imperiale.
Spesso l’intradosso delle volte nelle espressioni raffinate è affrescato.
La disposizione e la tipologia delle volte è diversa a seconda della forma geometrica
dell’ambiente da coprire. Generalmente, per ambienti rettangolari ed anulari si gira la
65
volta «a botte»; per piante circolare si costruisce la volta sferica o cupola; per piante
quadrate o lievemente rettangolare si imposta la volta «a crociera». Non mancano
esempi di volte a padiglione. Per le scale si fa uso di volte «rampanti» come le cupole
o le volte a vela concludono ambienti poligonali.
Spesso nella massa di conglomerato, si introducono archi di mattoni suddividendo la
struttura complessiva in un’ossatura resistente ed in un massiccio di riempimento;
l’ossatura risulta così composta da nervature disposte secondo le curve direttrici in
presenza di volte a botte, secondo le diagonali nelle volte a crociera, secondo i
meridiani nelle cupole. Vengono eseguite non in massicci archi di mattoni ma in
calcestruzzo colato entro apposite casseformi. Tali nervature spesso delimitano
cassettoni o lacunari nell’intradosso delle volte.
11_ assonometria di una volta a crociera e sezione di un concio a cavaliere
66
La classificazione del tipo di copertura è riconducibile a due grandi gruppi: copertura a
volta e copertura di tipo trilitico.
Le costruzioni a volta per l’azione delle forze in gioco, in senso verticale ed orizzontale,
suggeriscono planimetrie che offrono nella volumetria dell’insieme un sistema statico
perfettamente equilibrato.
Le costruzioni a struttura lignea che danno luogo a forze esclusivamente verticali
comportano forme planimetriche più semplici e ridotte, legate come sono alle
dimensioni delle travature lignee.
Gli organismi architettonici coperti a volta esibiscono soluzioni planimetriche in grado di
assorbire le spinte variamente trasmesse dalle coperture. Se ci rivolgiamo ai complessi
di grandi dimensioni come le Terme, le Basiliche, ecc., l’equilibrio statico è
sapientemente ottenuto nella parte interna dal mutuo contrasto delle murature mentre
all’esterno tale esigenza viene soddisfatta con l’impiego di contrafforti; i contrafforti si
ritrovano anche all’interno.
All’altra essenziale disposizione-tipo, quella dei contrafforti esterni, si perviene quando i
costruttori, rotto l’equilibrio interno dei muri, portano all’esterno un nuovo equilibrio
statico
con
le esedre, prima
ubicate
all’interno del nucleo
murario.
Così
l’assottigliamento dello spessore delle volte e dei muri, introduce quello più
scientificamente corretto del razionale rapporto tra sollecitazione e resistenza.
67
Vengono così a coesistere due aspetti diversi di spazialità: quella tipica di edifici
poderosi e caratteristici per gli enormi carichi in gioco, come per esempio il Pantheon,
la Villa dei Gordiani, ecc.; l’altra offerta dalla composta e flessuosa eleganza delle
strutture come la Villa Adriana, ecc.
I costruttori romani, con la padronanza del calcestruzzo, hanno plasmato lo spazio
modellandolo dolcemente in una varietà di ritmi chiaro-scurali e presentano in modo
eloquente e magistrale la luce e il colore, creando effetti grandiosi mai prima di allora
raggiunti. Quella romana è infatti un’architettura la cui superiore tecnica muraria
domina lo spazio e perviene a padroneggiare pieni e vuoti, luci, ombre, ed impone così
la scenografia delle sue realizzazioni.
Le opere romane, con il poderoso strutturalismo delle masse in gioco, impongono
all’osservatore di scoprire all’interno il contenuto culturale delle realizzazioni.
1.4 La villa
Due modelli contrastanti si affermano ai tempi dell’antica Roma: la forma cubica e
compatta, e quella aperta e articolata. La prima si rivelò maggiormente adatta a
suburbi densamente popolati come Pompei dove il confine tra la casa di città e villa
non era chiaramente definito, e agli insediamenti sorti nelle estreme zone periferiche
68
del Impero Romano dove considerazioni di ordine difensivo imponevano la scelta di
architetture solidamente compatte.
La villa di forma aperta è più congeniale all’identificazione dell’ambiente naturale
circostante con la salute e il riposo fisico e mentale. Essa si estende in modo informale
in ampi blocchi e porticati asimmetrici e nei profili variegati di superfici ed elementi
mutevoli, e spesso cresce come un organismo vivente dato che il proprietario facoltoso
è tentato di estenderne la struttura iniziale aggiungendo stanze, cortili e porticati.
Per assolvere completamente la sua missione ideologica la villa deve interagire con gli
alberi, le rocce e i campi circostanti.
Le principali tipologie sono quindi coordinate a due diversi tipi di interazione: la villa di
struttura cubica e forma compatta serve spesso a mettere in risalto l’ambiente naturale,
mantenendosi isolata da quest’ultimo in una incontrovertibile opposizione, mentre la
villa ad ampia struttura aperta ne diventa parte integrante, imitando le forme naturali
nell’irregolarità della sua disposizione e del suo profilo.
A conclusione della Sesta Satira del libro II (vv. 80-109), nella quale le esasperanti
tensioni quotidiane della vita a Roma vengono contrapposte alla tranquillità della vita
campestre, Orazio narra la favola del topo di campagna e del topo di città. Il primo
invita l’amico cittadino a spartire un pasto nella sua umile dimora nel bosco e gli offre le
poche prelibatezze conservate da parte con tanta cura – ceci, avena lunga, acini d’uva
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secchi, pezzi di lardo mezzo rosicchiati – che il suo ospite schifiltoso tocca appena,
mentre lui si accontenta umilmente di spelta e loglio. Il topo di città persuade allora
l’amico che la vita è troppo breve per essere vissuta in condizioni rustiche e frugali e
che egli dovrebbe unirsi a lui nel ritorno in città. Qui, dove tutto è lusso, in una grande
casa arredata sontuosamente, le molte portate avanzate da un banchetto tenutisi la
sera precedente costituiscono un’attrazione irresistibile. Ma, appena portisi a giacere
sui letti d’avorio del triclinio, si ode un grande strepitio di battenti e la sala viene invasa
da cani molossi. Il topo di campagna batte frettolosamente in ritirata sostenendo che:
«… me silva cavusque tutus ab insidiis | tenui solabitur ervo» («… la selva è il buco
sicuro da insidie | mi consolerà della povera veccia»).
L’immagine delineata da Orazio non è comunque caratteristica a lui solo; quasi tutti gli
scrittori latini che affrontano l’argomento della vita in campagna descrivano la città
sotto una luce sfavorevole.
In antitesi alla vita urbana, gli elementi essenziali di una esistenza rurale erano la
semplicità e l’informalità del vivere, la salubrità dell’aria e la possibilità di esercizio
fisico (specialmente la caccia e la pesca), l’opportunità di dedicarsi ad attività
intellettuali e creative nella quiete più assoluta, lunghe conversazioni con gli amici e il
piacere derivante dalla contemplazione di paesaggi naturali o coltivati, in stagioni e
situazioni differenti.
70
Il termine “villa” doveva essere relativamente nuovo al tempo in cui Catone scriveva.
Plinio il Vecchio affermava che non vi è menzione alcuna della parola nella Legge delle
Dodici Tavole, la più antica opera legislativa di Roma. Vitruvio, l’autore dell’unico
trattato antico di architettura a noi giunto, il De architectura, redatto prima dell’anno 27
a.C. offre una rapida e inadeguata descrizione della villa residenziale.
« E in esse non solo avremo le norme degli edifici in città, ma pure quelli in campagna,
salvo che in città gli atrii soglion esser prossimi alle porte, e in campagna, dai
sobborghi in là, immediati i peristili, in seguito i portici lastricati rivolti verso le palestre e
i passaggi».
Una definizione più completa delle terminologie relative alla villa si incontra nel De re
rustica di Lucio Giunio Moderato Columella, un enciclopedico trattato di agricoltura del I
secolo d.C.
La “villa urbana” è la residenza del proprietario, la “villa rustica” ospita il dormitorio del
fattore e degli schiavi, stalle e recinti per animali mentre la “villa fructuaria” è la struttura
adibita alla lavorazione e all’immagazzinamento del vino, dell’olio e del grano, funzioni
che nella maggior parte delle ville riportate alla luce dagli scavi sono assolte dalla “villa
rustica”, il nucleo della quale è occupato da un’ampia cucina. La “villa urbana” è
elegante, con alloggi separati per la stagione invernale e per quella estiva, bagni e
passeggi. La “villa suburbana” è una dimora appartata nei pressi della città. Infine, la
71
“villa marittima” anch’essa senza finalità agricole, risulta edificata sui litorali e spesso
protesa sull’acqua.
Nella
concezione
catoniana
la
villa
era
una
struttura
architettonica
quasi
esclusivamente adibita a funzioni agricole.
Le ville più antiche tra quelle rinvenute nella campagne di scavo, databili alla fine del II
secolo a.C., sono semplici case contadine nelle quali non esiste una distinzione chiara
tra gli spazi riservati al proprietario e quelli assegnati ai dipendenti.
A partire dalla fine del I secolo d.C., le ville progettate principalmente come luoghi di
otium o di puro piacere cessarono di costituire un’eccezione per divenire regola.
Ciò nonostante poche sono state le ville di piacere grandiose e sontuosamente
eleganti riportate alla luce a lato di quelle edificate per volontà imperiale, la più celebre
delle quali fu fatta costruire dall’imperatore Adriano a Tivoli.
72
12_ Via dell'Abbondanza, casa di Trebio Valente. Questa Domus di modeste dimensioni possiede tutti gli
elementi tipici di una residenza urbana.
73
2. Le aree di progetto
2.1 La piana del Pantanello
Seguendo l’antica diramazione che da via Tiburtina conduce al colle sul quale si trova
la villa, le prime vestigia che si incontrano sono quelle del Teatro Greco, di cui oggi ben
poco è riconoscibile. Proprio di fronte al teatro si trova il Pantanello, come la
popolazione locale chiamava la piana bassa che sorge al margine settentrionale del
sito, nel quale si gettava un tempo il torrente che solcava la valle est (e forse parte del
sistema di scarico dei giochi d’acqua).
Il Pantanello di Villa Adriana era inglobato nei possedimenti di Francesco Antonio Lolli,
sindaco di Tivoli, la cui vigna, confinante con i terreni di proprietà di Domenico De
Angelis e del RR. PP. di S. Croce in Gerusalemme, si trovava nei pressi del Ponte
Lucano distante circa un quarto di miglio dall’ingresso principale della Villa Adriana.
Rodolfo Lanciani descrive il Pantanello come una palude o ristagno d’acqua nella parte
più bassa della valle di Tempe e proprio come un laghetto di acqua stagnante viene
descritto anche da Francesco Bulgarini; da Bulgarini si apprende, inoltre, che il lago si
estendeva per circa 1732 metri quadrati.
La natura acquitrinosa della zona aveva frustrato i tentativi di scavo del Lolli, che nel
1724 dopo averne esplorato solo 1/3, aveva abbandonato l’impresa. Durante questi
scavi sono stati rinvenuti alcuni importanti reperti archeologici, tra cui due busti di
74
Adriano, un busto di Eliogabalo, un busto di Giulia Soemia, una testa di Omero, una
testa di Socrate, una testa di Seneca, una testa di Antinoo, una testa di Laocoonte, una
testa di Marco Aurelio, una testa di Antonino Pio, una testa di Lucio Vero, quattro
iscrizioni latine.
Le antichità rinvenute da Francesco Antonio Lolli vennero vendute al cardinale
Melchior de Polignac (1661-1742) e da lui, dapprima sistemate nella residenza romana
nei pressi di Piazza Navona, poi trasportate in Francia. Le antichità, tuttavia, si
dispersero subito dopo la morte del cardinale. Non solo è estremamente difficile
rintracciare le sculture della collezione Polignac, ma riconoscere tra esse i materiali del
Pantanello è quasi impossibile data la mancanza di un repertorio figurativo
contemporaneo alla scoperta.
13_ Area nord della Villa, Pianta del Contini
75
Nel 1769 si verificò uno degli avvenimenti cruciali nella stria della Villa: assistito da
Piranesi, il pittore e mercante scozzese Gavin Hamilton avviò gli scavi del Pantanello,
Nel 1779 Hamilton scrisse al collezionista inglese Charles Townley, che aveva
acquistato parecchi pezzi rinvenuti nella piana, descrivendo i particolari degli scavi.
Nella sua lettera Hamilton elenca più di 70 sculture recuperate nel Pantenello: una di
queste, un busto di Adriano risalente con ogni probabilità all’inizio del suo impero, fa
parte attualmente di una collezione privata americana; oltre alle statue trasferita al
Vaticano, a Villa Albani e presso collezionisti privati in Inghilterra e Russia, lo scozzese
annota poi che “un gran numero di Frammenti di vasi, Animali di varie specie e qualche
elegante ornamento come pure una testa colossale” erano andati a Piranesi. Da questi
frammenti, sembra che quest’ultimo abbia ricostruito parecchi degli oggetti più
stravaganti e importanti associati alla Villa di Adriano: nella sua ricchissima
pubblicazione vasi, candelabri, cippi, salcofagi, tripodi, lucerne e ornamenti antichi
(1778), non meno di dodici tavole raffigurano opere che, a quanto Piranesi stesso
afferma, furono ritrovare nel Pantanello.
Mentre possiamo immaginare dove fossero esposte le statue ritorvate in situ o almeno
nelle vicinanze di un certo edificio, di queste non sappiamo proprio niente. Possiamo
soltanto formulare qualche ipotesi. Si ha l’impressione che, alla caduta dell’impero e
alle conseguenti invasioni dei barbari, il personale della villa abbia cercato di salvare le
opere d’arte più preziose nascondendole in fretta o come meglio si poteva. Di queste
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faceva evidentemente parte anche la massa di statue, tra l’altro pregevolissime,
scavate nel Pantanello. Per esse il problema è riuscire a capire da dove provenissero.
Possiamo soltanto osservare che in una delle aree più importanti di Villa Adriana, e
precisamente quella imperiale di Palazzo che, pare ormai certo, fosse quella abitata
dall’imperatore, non è stata trovata nessuna statua, né, a parte i mosaici, altre opere
d’arte.
Può quindi darsi che parte, se non tutto, di quello che è emerso nel Pantanello
arredasse la zona più prestigiosa di Villa Adriana
2.1.1 Lo stato di fatto
Attualmente, buona parte dell’area del Pantanello è connotata dalla presenza dei
parcheggi per il
pubblico, collocati a ridosso del Piazzale Marguerite Yourcenar. Tra questi e la
Palestra, si sviluppa un ampio pianoro verde prospiciente i resti dell’edificio scenico del
Teatro Greco. La Palestra, a sua volta, si configura come una specie di cardine che
unisce e separa assieme il Pantanello con la cosiddetta Valle di Tempe, ampio
falsopiano che costeggia tutto il fronte orientale della Villa e solcato dal rio dell’Acqua
Ferrata.
Dalla planimetria è possibile vedere che l'area del Pantanello racchiude, ad esclusione
del complesso della Palestra, tutto il pianoro compreso tra l’attuale edificio dei servizi al
77
pubblico (ingresso pedonale), il Teatro Greco, il Tempio di Venere Cnidia e la spianata
ad esso pertinente su Valle di Tempe.
2.1.2 Lista delle opere d’arte emerse nel Pantanello
La lista delle opere d’arte emerse nel Pantanello è la seguente:
-
Artemide di Efeso – Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri
-
Testa di Hermes – Londra, Lansdowne house
-
Erma di un giovane Dioniso – Londra, Lansdowne house
-
Colossale testa di Eracle – British Museum
-
Testa di Menelao – Vaticano, Sala dei Busti
-
Frammenti del gruppo di Partoclo - Vaticano, Sala dei Busti
-
Testa del compagno che fugge – British Museum
-
Paride - Londra, Lansdowne house
-
C.d. Giasone - Londra, Lansdowne house
-
Statua di Giovanetto – Margam
-
Testa di Atena - Londra, Lansdowne house
-
Testa di Giovane Donna - Londra, Lansdowne house
-
Erma arcaica di fanciulle - Londra, Lansdowne house
-
Testa di Giovanetta (greca) - Londra, Lansdowne house
78
-
Testa di Donna posta della statua acefala dell’Urania trovata dal Ligorio –
Musei Vaticani, Sala delle Muse
-
Attore – non si sa dove sia
-
Statua di un Attore con maschera femminile della Commedia – Vaticano,
Sala dei Busti
-
Busto di Adriano - Vaticano, Sala dei Busti
-
Busto di Adriano – British Museum
-
Busto di Adriano – Margam
-
Testa di Sabina – Margam
-
Busto di Antinoo con attributi bacchici – San Pietroburgo, Ermitage
-
Busto di Antinoo con le ali di Hermes - San Pietroburgo, Ermitage
-
Busto di Antinoo – Stoccolma, Nationalmuseum
-
Busto di Antonino Pio – Vaticano, Sala dei Busti
-
Busto colossale di Faustina Maior – Vaticano, Sala della Rotonda
-
Busto di Lucio Vero – Russia
-
Testa colossale del c.d. Pompeo – Knole
-
Testa di un vecchio romano sbarbato – Musei Vaticani, Sala dei Busti
-
Giovanetto che doma un cavallo (bassorilievo) – British Museum
-
Rilievo di marmo nero con rappresentazione di mito eroico in una cornice
architettonica – Londra, Lansdowne house
79
-
Due pavoni – Musei Vaticani, Sala degli Animale
-
Testa di cervo di marmo rosso – Musei Vaticani, Sala degli Animali
-
Testa di leone con corna – British Museum
-
Bacino ovale con due piedi e sostegno centrale – resta solo il disegno del
Piranesi
-
Candelabro – Oxford
-
Candelabro – Biblioteca Ratcliff di Oxford
-
Vaso di marmo con decorazione – Russia
-
Vaso di marmo con decorazione bacchica – villa di Stow
-
Cratere di marmo con eroti tra tralci di vite – si son perse le tracce
-
Bacino di marmo con maschere bacchiche – portato in Inghilterra, fu
regalato a re Giorgio III
-
Cratere di marmo con natura morta di pesci, uccelli e insetti – Musei
Vaticani, Sala degli Animali
-
Due idoli egittizzanti di marmo nero – Londra, Lansdowne house
-
Egiziano inginocchiato con un cilindro nelle sue mani – non si sa dove sia
-
Base con geroglifici – non si sa dove sia
80
2.2 Le Grandi Terme
2.2.1 Le Terme di Roma antica
Con tale etimo si intende un edificio provvisto di attrezzature per bagni caldi. Fin
dall’epoca repubblicana si avverte un certo interesse per i bagni ( balnea), ma solo in
periodo imperiale i balnea si trasformano in complessi impianti termali.
Nelle grandi terme imperiali gli ambienti specificatamente destinati alle varie operazioni
del bagno presentano alcune caratteristiche di fondo comuni che consentono di
schematizzarne la tipologia.
Quelli più importanti e «canonici», cioè richiesti dal succedersi delle diverse fai del
bagno, erano i seguenti:
-
Lo spogliatoio (o apodyterium, dal greco apoditerion) era di solito un ambiente
rettangolare o quadrato, eventualmente absidato, coperto con volta a botte o a
crociera. Non riscaldato e talora fornito di una fontana, bacino o piccola vasca
per abluzioni parziali, era caratterizzato dalla presenza, lungo le pareti, di
panche di marmo o di banconi in muratura sui quali i bagnanti potevano sedersi
mentre si spogliavano o nell’attesa di iniziare il percorso. Sempre alle pareti
erano normalmente forniti di nicchie o di mensole, suddivise in scomparti, per il
deposito delle vesti e di altri eventuali effetti personali.
81
-
Il caldarium (o calidarium) aveva in generale una forma raccolta e caratterizzata
da elementi curvilinei. Era per tanto a pianta centrale, con preferenza per la
forma poligonale/circolare o rettangolare poliabsidata. Elemento essenziale ne
era la vasca per il bagno ad immersione ( arveus), generalmente rotonda e
munita tutt’intorno di gradini. Come tutte le sale calde, era costruito e attrezzato
con i dispositivi e gli accorgimenti tecnici che ne consentivano il riscaldamento
e rigidamente orientato a sud-ovest in modo da sfruttare il calore naturale dei
raggi del sole pomeridiano. Per lo stesso motivo sorgeva in gran parte dal
blocco dell’edificio balneare ed era dotato di ampie finestre ad arco chiuse con
lastre di vetro opache e di piccole dimensioni, montate entro griglie di ferro.
-
Il tepidarium non aveva caratteristiche specifiche: era comunque spesso a
pianta centrale o quadrata eventualmente con absidi, di dimensioni ridotte
rispetto agli altri ambienti. Dotato di impianti che ne consentivano un moderato
riscaldamento.
-
Il frigidarium non era di per se un ambiente vero e proprio. Di fatto s’identificava
con l’enorme aula di tipo basilicale, variamente articolata e di solito tripartita e
con copertura a triplice crociera, che si trovava al centro dell’impianto. Munita di
numerose vasche d’acqua fredda collocate entro grandi nicchie o esedre, era
aperta lungo tutto un lato maggiore sull’ambiente della natatio, o piscina
natatoria, che completava il «reparto» del bagno freddo.
82
-
La palestra, infine, consisteva in genere di uno spazio aperto – una sorta di
grande cortile interno – spesso circondato su almeno tre lati da portici e con
annessi vari ambienti, allineati specialmente sul lato di fondo, destinati ai giochi
e agli esercizi fisici al coperto e alle operazioni complementari da compiersi
prima e dopo gli esercizi (unzioni, aspersioni di sabbia, strigliatura, massaggi,
ecc.).
Tutti gli ambienti erano particolarmente curati ai fini del loro “decoro”, ossia
dell’ornamentazione degli spazi e delle superfici dei diversi elementi architettonici
(pareti, volte, pavimenti), in maniera adeguata alla grandiosità e all’ampiezza delle
strutture.
Purtroppo, ben poco si sa dell’arredo mobile degli ambienti termali: un aspetto
importante, anche nell’ambito del decoro generale. Si può dire quasi soltanto che di
esso facevano parte le statue disseminate senza risparmio, singolarmente o a gruppi,
nelle esedre, nelle nicchie, tra le colonne e al centro delle sale, con immagini di
divinità, ritratti di imperatori e di uomini illustri, figure di genere oppure copie o
rielaborazioni di capolavori famosi e talvolta anche originali preziosi si grandi maestri.
Passando dai singoli ambienti al loro insieme organicamente composto, è da dire che
lo schema planimetrico di base delle grandi terme imperiali prevedeva gli ambienti
principali del bagno disposti in successione «verticale» lungo un unico asse, a formare
83
il settore centrale dell’edificio, e tutti gli altri, duplicati e collocati da una parte e dall’altra
di quelli principali, a formare due settori «laterali» tra loro identici e simmetrici.
Una planimetria così composta e articolata non era soltanto in relazione ad esigenze e
a gusto di razionalità, di simmetria, di organicità nei rapporti spaziali tra i diversi
ambienti o gruppi d’ambienti. Essa serviva soprattutto a risolvere nel modo migliore i
problemi d’agibilità degli impianti, in presenza di grandi folle e con la fruizione
contemporanea di essi da parte di centinaia e anche migliaia di persone. Le
Terme,infatti,
come gli altri edifici utilizzati per il tempo libero, erano pubbliche e
gratuite e come tali dovevano presentare una capillare organizzazione di spazi e
funzioni per andare incontro al notevole numero di frequentatori ed assicurarne il libero
e corretto svolgimento delle attività fisiche, spirituali, intellettuali.
Per quel che riguarda il recinto perimetrale, l’articolazione e la collocazione in esso
degli ambienti, pure numerosi, non è riconducibile a una precisa tipologia e a uno
schema planimetrico fisso; a parte certe inevitabili somiglianze, condizionate ed
imposte dalla natura stessa e dalle caratteristiche generali dell’impianto. Si può dire
anzi che esso era tanto libero e «aperto» quanto accentrato e rigorosamente
prestabilito era l’edificio dei bagni.
Resta da sottolineare l’assoluta assenza di «facciate» o comunque di prospetti esterni.
Sia nel recinto sia nell’edificio centrale dei bagni. All’esterno delle grandi terme
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imperiali, infatti non c’erano altro che pareti continue, di tipico gusto romano, dai muri
altissimi, solamente mossi dalle sporgenze delle absidi e delle «rotonde» e aperti
all’armoniosa successione dei grandi «varchi» delle porte e delle finestre.
14_ Funzionamento del riscaldamento nel Calidarium delle Terme Centrali di Pompei
85
2.2.2 Le Grandi Terme di Villa Adriana
86
Le Grandi Terme sono uno tra gli edifici più notevoli per dimensioni e per stato di
conservazione dell’intera villa.
Esse sono state costruite ai piedi di due grandi muri di contenimento, quello della
Palestra delle Terme stesse e quello del Pretorio.
L’ingresso era a nord, verso le Piccole Terme, e comunicava direttamente con il portico
che circonda la grande palestra scoperta posta ad est dell’edificio: da questa inizia un
asse che mette in comunicazione una serie di ambienti e che termina al centro della
grande tholos o sudatio.
Dopo la palestra si trova una sala con ambienti laterali di servizio, rigorosamente
simmetrici rispetto all’asse principale. Successivamente si accede alla parte
climatizzata: la prima sala è il frigidarium, dotato di due vasche, una sull’asse, a
costruire una scenografica porta tra la prima sala e il frigidarium, e un’altra di lato,
all’interno di un’ampia esedra del diametro di circa 12metri.
Dall’ala che dal frigidarium è rivolta a sud, verso il Pretorio, esistono due soluzioni
ricostruttive: una propone una chiusura totale su questo lato, l’altra porpone invece una
serie di ambienti aperti verso il Pretorio. La seconda ipotesi appare la più probabile,
questi ambienti non sono né sale climatiche, né palestre.
Tra la prima sala e il frigidarium vi sono due passaggi i cui assi corrono fino ai due
insiemi di locali posti a finaco della sudatio centrale che fa da cardine nella rotazione
tra il corpo assiale dell’edificio e le due ali laterali, che hanno entrambi la stessa
87
destinazione, sono cioè successioni di zone calde e tiepide (calidaria e tepidaria): a
nord vi è un agglomerato di piccoli ambienti mentre a sud si trova una infilata ordinata
di sale più ampie.
Il problema di due grandi terme confinanti e della loro funzione
Se le questioni da risolvere nello studio delle due Terme si fossero limitate a quelle ora
esposte non sarebbe stato un gran problema. Ma a lungo ce ne fu un’altra, altrettanto
discussa e combattuta che verteva sulla ragione per la quale due grandi impianti
termali erano stati costruiti fianco a fianco e per capire chi ne fossero gli utenti.
Il mistero riuscì a chiarirsi soltanto dopo lo scavo dello spiazzo tra le Piccole e Grandi
Terme, perché allora si poté vedere come era stata strutturata l’aera tra i due impianti.
Così, oggi, osservando la zona del Vestibolo, è possibile notare l’esistenza di due
diversi percorsi svolti a diversi livelli. Essi mostrano una differenzazione delle correnti
di traffico dirette l’una alle Grandi e l’altra alle Piccole Terme.
Per quanto riguarda la parte sotterranea di questi percorsi, i percorsi sotterranei di
accesso alle Grandi Terme passavano sotto il Vestibolo e poi, mediante un grande
scalone, salivano nel peristilio di passaggio adiacente alle Grandi Terme. Questa via,
veniva seguita da tutti coloro che provenivano dalle Cento Camerelle, e da coloro che,
arrivando da Ponte Lucano, dovevano entrare dall’ingresso servile, mentre coloro che
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abitavano nelle abitazioni degli artigiani poste a spina tra il Pretorio e le Grandi Terme
entravano in esse direttamente dalla confinante Palestra.
Sempre allo stesso impianto termale avevano accesso coloro che, vivendo nella
cosiddetta Caserma dei Vigili o lavorando nell’area di servizio alle spalle di Palazzo,
raggiungevano le Terme attraverso la galleria che usciva da sotto il colle proprio sul
lato opposto a quello in cui sboccata lo scalone.
Il percorso che conduceva alle Piccole Terme, prima attraversando la parte
monumentale del pianterreno del Vestibolo, e poi percorrendo un lungo corridoio,
serviva evidentemente a coloro che provenivano dagli alloggi per ospiti importanti del
Canopo, e a chiunque, arrivando alla Villa, avesse accesso alla zona monumentale del
Vestibolo. Il gioco dei diversi livelli permetteva questo incrocio senza che i percorsi
dovessero mai incontrarsi. Esso tende a confermare che i due complessi termali erano
destinati a due categorie di persone socialmente molto diverse.
Questo può finalmente spiegare il perché della costruzione di due impianti simili
adiacenti e delle loro diverse dimensioni. È altrettanto evidente che esse avessero
capacità differenti poiché, era necessario ce ne fosse uno dalle proporzioni molto
grandi e dalle rifiniture economiche – come i semplicissimi pavimenti di mosaico bianco
– destinato alla massa dei dipendenti, certamente la parte più numerosa della
popolazione di Villa Adriana, mentre era necessario un impianto molto più piccolo, ma
che, per la ricchezza dei suoi marmi e per i suoi bellissimi pavimenti in opus sectile,
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fosse un edificio estremamente lussuoso chiaramente destinato agli ospiti importanti
alloggiati nelle camere del Canopo, a coloro che fruivano dall’ingresso monumentale
del Vestibolo, e a coloro che arrivavano dal Pecile.
15_ Percorsi alle Terme prima della creazione del Grande Vestibolo
Lavacra prosexibus separavit
Fino alla fine degli anni ’60 di questo secolo nessuno sapeva niente sull’esistenza dei
diversi percorsi che portavano gli utenti agli impianti ad essi destinati, e questo perché
lo spiazzo tra le due Terme non era stato scavato. Così da questa mancanza di dati
erano nate le ipotesi più disparate: terme estive e terme invernali, terme da usare
90
alternativamente secondo che ci fosse un numero maggiore o minore di utenti e data
l’affermazione di Spaziano « Lavacra prosexibus separavit », l’inevitabile proposta che
si trattasse che si trattasse di terme maschili ( le Grandi) e terme femminili ( le Piccole).
Ipotesi che presentavano molte falle, la principale delle quali era la mancanza di una
spiegazione sulla ragione per la quale i due impianti avessero rifiniture talmente
differenti: raffinatissime in una, dozzinali nell’altra.
Non era però possibile dimenticare l’editto che imponeva la divisione dei sessi nei
bagni comuni segnalato nell’Historia Augusta ed è evidente che proprio a Villa Adriana
questa disposizione doveva essere stata messa in atto. Una nuova e più approfondita
analisi del monumento ha messo in evidenza caratteristiche tali da confermare sia la
destinazione delle Grandi Terme al personale dipendente, sia la messa in atto
dell’editto di Adriano del quale ci da notizia Elio Sparziano col suo « Lavacra
prosexibus separavit ». durante un precedente studio sull’andamento dei lavori di
costruzione si era infatti notata nelle Grandi Terme la presenza di una piccola area
termale posta a nord dell’edificio. In un primo tempo questo aveva fatto pensare che
potesse trattarsi si una modifica al progetto originario, una soluzione di ripiego
escogitata per creare ambienti caldi da usare fino a che non si fossero potuti
completare quelli della parte monumentale. Oggi invece un susseguente e più attento
studio della pianta dell’edificio ha mostrato senza possibilità di dubbio che non soltanto
la sezione nord faceva parte della progettazione originale delle Grandi Terme, ma che,
91
anzi, ne era un elemento importantissimo: un impianto a se stante, coesistente con
quello maggiore posto a sud-ovest, ma allo stesso tempo indipendente.
Esaminando infatti le due sezioni parallele si vide che si trattava di due parti
nettamente separate e distinte, dotate ambedue di ambienti freddi e sale riscaldate, e
che era perfettamente possibile stavilire per esse due percorsi completi, senza alcun
punto di contatto tra loro, ognuno dei quali seguiva l’ iter caratteristico delle terme
romane. Le due sezioni, ormai chiarissime, avevano diverse dimensioni: una più
grande e un’altra molto più piccola, esattamente come le sezioni maschili e femminili
che troviamo nelle Terme di Pompei.
La sezione femminile delle Grandi Terme di Villa Adriana era dotata di un certo numero
di ambienti. Vi si accedeva da quello dei due ingressi dell’edificio termale posto più
verso settentrione e da qusto si passava in una stanza la quale doveva fungere da
apoditerio. Poi, seguendo il lungo passaggio curvo, si arrivava in un ambiente absidato
e non riscaldato, il frigidario femminile. Esso dava accesso a due piccoli tepidari ed al
calidario in cui esistono tutt’ora i resti di una vasca.
Lo stesso percorso esisteva poi nella sezione maschili dotata questa di un’ampia
latrina a quindici posti a cui si scendeva per una scala a nord dell’edificio: si iniziava poi
dall’apoditerio, posto all’ingresso, e da lì nei successivi tre tepidari fino a giungere al
calidario, dal quale si tornava indietro per concludere col frigidario. Infine, terminato il
ciclo, si riprendevano i propri indumenti.
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16_ La sezione maschile delle Grandi Terme
93
17_ La sezione femminile delle Grandi Terme
94
Scavi, rilievi e restauri
Non abbiamo molte informazioni sugli scavi effettuati in questo edificio.
Pirro Ligorio non ne parla nei suoi codici, ma nella pianta del Contini l’edificio appare
già disegnato nelle sue linee principali, segno che qualche scavo vi era stato fatto.
Le imponenti rovine e le ardite coperture affascinarono i grandi architetti del
Rinascimento.
Per tutto il ‘600 le Grandi Terme furono proprietà degli Altoviti. Il proprietario, Binfo
Altoviti, fu uno dei pochi privati autorizzati a scavare; non disponiamo comunque di
alcuna informazione diretta sugli scavi.
Nel ‘700 le Grandi Terme appartennero, come il vicino Canopo ai Gasuiti. Questi senza
dubbio vi fecero degli scavi, dato che scavarono intensamente in tutte le zone di loro
proprietà ma non ne abbiamo alcun resoconto.
Nella pianta del Piranesi l’edificio è delineato con maggior precisione, probabilmente a
seguito degli scavi dei Gesuiti.
Nel 1781 le proprietà dei Gesuiti a Tivoli furono acquistate a prezzo irrisoria dal Duca
Luigi Braschi-Onesti, dopo il 1870 buona parte di Villa Adriana fu acquistata dal Regno
d’Italia.
Non abbiamo informazioni su eventuali scavi effettuati in tale periodo. Una pianta delle
Grandi Terme è inclusa nel riliavo generale del Penna. Lo sterro dell’edificio iniziò nel
95
settembre 1872. Nuovi rilievi si devono a Winnefeld, ripreso dal Gusman, e al Reina
con la Scuola per gli Ingegneri.
Il rilievo più recente è della Salza Prina Ricotti, che allo stato attuale delle rovine ha
affiancato in pianta quelle non più visibili ma rilevate da Piranesi.
L’edificio è stato restaurato più volte: nel 1965-66 sono stati consolidati gli stucchi ed è
stato restaurato il Frigidarium con la volta; nel 1971 è stata restaurata la scala che
scende ai praefurnia. Nello stesso anno sono stati consolidati i muri perimetrali della
palestra, con sollevamento e restauro di alcuni blocchi caduti. I mosaici sono stati divisi
in riquadri, staccati e restaurati nel 1970-71.
Schede
-
Muratura
Nelle Grandi come nelle Piccole Terme abbiamo sia opus mixtum che opus latericium.
Così troviamo opus latericium in tutti i tepidari ed ancor più in quei locali come la
sudatio dove si dovevano produrre un alto grado di umidità. Nel frigidario la parte
inferiore delle pareti fino all’altezza di circa metri 250 è in opus latericium, mentre sopra
torviamo l’opus mixtum.
-
Decorazione
96
Sappiamo che nelle Grandi Terme vi erano volte dipinte a grottesche e possiamo
ancora vedere le sue tracce nella sudatio mai finita. Inoltre sono conservati in parte i
magnifici stucchi del primo tepidario della sezione maschile.
-
Pareti
Le pareti delle Grandi Terme erano quasi sempre rivestite con semplice intonaco,
qualche volta abbellito ad una certa altezza da una fascia di stucco. Fa eccezione il
grande Frigidario che ha un rivestimento in marmo alto 3 metri che arriva sopra le
porte. Ritroviamo poi marmo sulle pareti del criptoportico e della palestra delle Grandi
Terme le quali erano, fino a una certa altezza, rivestite di lastre a specchio divise da
fasce con uno schema semplicissimo che si ricava dai fori lasciati dalle grappe sulle
pareti e che è stato ricostruito in disegno. Almeno nel criptoportico queste lastre di
marmo furono poi, ancora in periodo imperiale, asportate probabilmente per riusarle in
altro edificio e vennero sostituite da un grossolano intonaco dipinto di rosso.
-
Pavimenti
I pavimenti delle Grandi Terme sono molto modesti come del resto era da aspettarsi in
un impianto destinato al personale dipendente. Si tratta di quel mosaico bianco
circondato da una fascia nera, del genere di quello che veniva comunemente
impiegato nelle cucine e nelle latrine, pavimenti ben diversi dalla policromia e dalla
97
bellezza di quelli in opus sectile delle Piccole Terme. Soltanto in un piccolo ambiente
corrispondente all’apoditerio maschile il Giudo Baldi nota tracce minime di opus sectile;
per il resto elenca gli ambienti in cui ha trovato ancora del semplice mosaico, compresi
i due tepidari in cui chi scrive confessa di aver notato soltanto un minuscolo pezzo di
massetto cementizio fuori situ con la superficie superiore in mosaico bianco, un
frammento delle dimensioni di 70x70 cm che può provenire da qualsiasi altra parte e
che è stato posto nel tepidario vicino al crollo di un pezzo della volta, tanto che per il
momento si escluderebbe l’esistenza di resti di pavimentazioni in quasti due ambienti
nei quali, l’unica cosa che è presente sono i bipedali dell’ipocausto con una
pavimentazione completamente del primo tepidario e parziale nel secondo tepidario.
-
Volte
Notevoli nelle Grandi Terme sono la grande crociera sopra al Frigidario maschile; la
volta su cui si innestavano le botti che coprivano le tre vasche del calidario maschile; la
crociera ben conservata del primo tepidario maschile con insistenti frammenti della
decorazione in stucco della volta e la cupola della sudatio mai finita. Gli altri ambienti
erano quasi sempre voltati a botte.
98
18_ Impronte dei mattoni posti di piatto sulla centina ed estremità dei mattoni radiali visibili nell'intradosso
della volta del Frigidario
-
Servizi
Le Grandi Terme una volta finite avrebbero dovuto offrire un settore maschile ed uno
femminile. Nel primo c’erano una latrina, un criptoportico, una palestra, un apoditerio,
un grande frigidario, poi tre tepidari e un calidario dotato di tre ampie vasche.
99
Nella sezione femminile si aveva un apoditerio, un frigidario senza vasca, due piccoli
tepidari e un minuscolo calidario con il suo bacino di acqua calda.
2.2.3 Il Criptoportico orientale delle Grandi Terme
Presso le Grandi Terme, parallelo alla Palestra, esiste un Criptoportico orientato nordsud, di metri 44x3.25, che all’estremità nord si congiunge con un altro Criptoportico
dall’andamento est-ovest. Esso confinava a nord con l’area porta fra il Pretorio e le
Grandi Terme, dalla quale si sale al Padiglione del Pretorio. A sud originariamente la
galleria era chiusa, ma poi venne aperta una porta per collegarla con l’altra galleria e
con le gallerie di servizio provenienti dalle Cento Camerelle e Vestibolo con una scala
che sale verso l’area compresa fra Piazza d’Oro ed il Pretorio.
Il Criptoportico orientale delle Grandi Terme, che originariamente aveva le pareti
rivestite di marmi, doveva far parte dei quartieri nobili della Villa. Secondo la Saza
Prina Ricotti, in tarda età imperiale questa galleria fu declassata, privata del
rivestimento marmoreo, intonacata e collegata con l’altra galleria di servizio.
Ad est del Criptoportico è stata scavata nel banco di tufo della collina una grande
piscina limaria, che alimentava le Terme; alcuni condotti d’acqua provenienti da essa
erano accessibili dal Criptoportico ed erano stati sistemati in modo da diffondere alla
Galleria il rumore dell’acqua, che è un elemento spesso presente nei Criptoportici.
100
Pochi studiosi si sono occupati di queste due gallerie, e non si sa nulla si scavi ed
eventuali rinvenimenti. Dei Criptoportici si sono occupati estesamente soltanto Cairoli
Giuliani e la Salza Prina Ricotti.
Schede
-
Pareti
i due Criptoportici conservano tracce di intonaco. La volta e le pareti della galleria A
hanno ancora parti di intonaco.
Nei punti in cui l’intonaco è caduto la Salza Prina Ricotti ha individuato le tracce delle
grappe dell’originaria incrostazione marmorea della Galleria A.
-
Pavimenti
Rimane un frammento del pavimento del Criptoportico B che era in opus spicatum.
La robusta pavimentazione in opus spicatum e il fatto che le pareti fossero intonacate
indica che il Criptoportico B appartenne fin dall’inizio ai quartieri secondari della Villa:
probabilmente faceva parte di una rete di comunicazione sotterranea che collocava i
quartieri secondari Hospitalia, Triclinio imperiale e Peristilio 28 del Palazzo Imperiale
con le Grandi Terme.
101
Le tracce di incrostazione marmorea, poi nascoste dall’intonaco, indicano invece che il
Criptoportico A faceva originariamente parte dei quartieri nobili, e poi venne declassato
a passaggio secondario.
7_ Criptoportico presso le Grandi Terme
102
2.2.4 Lo stato di fatto
Il complesso termale di Villa Adriana conta tre edifici di grande interesse architettonico:
le Terme con Eliocaminus, le Piccole Terme e le Grandi Terme. Quest’ultime, se da
una parte esibiscono un impianto planimetrico più canonico e meno originale delle altre
due, di fatto costituiscono una delle presenze monumentali più importanti sia per la
dimensione sia per il ruolo compositivo che assumono nel quartiere centrale della Villa.
Anch’esse in relazione assiale con la raggiera della Sala Quadrilobata della Piazza
d’Oro, le GrandiTerme offrono al visitatore una doppia lettura della loro articolazione
volumetrica e archeologica. La prima, da est verso ovest, dove l’edificio è percepibile
da due quote differenti riferibili rispettivamente alla terrazza di connessione tra i due
palatia invernale ed estivo, è al sottostante cortile porticato originariamente destinato a
palestra.
Questo spazio, ancorché spogliato di tutti gli elementi architettonici, è forse l’unico
dell’intera villa ad essere assimilabile ad una vera e propria piazza, chiuso com’è dai
volumi dei criptoportici a nord e a est, dalle sostruzioni del Palazzo Estivo (Pretorio) a
sud, e dal volume, reso trasparente dal tempo, delle Terme stesse, a ovest. La
seconda lettura, anch’essa di straordinaria potenza architettonica è invece esperibile
da ovest, dalla spianata compresa tra il Canopo e il Grande Vestibolo. Qui è la serie di
ambienti termali leggibili in una drammatica sequenza di sezioni murarie modellate dai
crolli e delle spoliazioni, a segnare la percezione dell’edificio in rovina, con una cuspide
103
percettiva nella cupola della sudatio. La percezione dello spazio interno, una volta
superato il doppio, simmetrico varco che immette nel frigidarium, assume un carattere
panottico, dove tutti gli ambienti che si relazionano con esso sono disponibili alla vista
del visitatore il quale comprende immediatamente la differenza di quota tra il pavimento
del frigidarium stesso e quello degli altri ambienti destinati ad ospitare le vasche e
ricevere le acque riscaldate, a nord quelli della zona termale femminile e a sud, est e
ovest quelli della parte maschile, con l’ambiente principale della sudatio collocato in
asse con il frigidarium e la palestra.
Mirabile infine è la copertura del frigidarium, realizzata in calcestruzzo con una volta a
crociera, oggi poggiante miracolosamente solo su tre punti.
Il criptoportico orientale, è l’elemento architettonico che definisce il salto di quota tra
la terrazza superiore e il piano della palestra, nonché blocco di contenimento del
terrazzamento superiore. Di tale struttura, il muro occidentale, quello visibile dalla
palestra, mostra evidenti segni di una deformazione dovuta alle spinte orizzontali del
terrazzamento ed è a rischio.
104
3. Gli interventi
3.1 Il Padiglione Cultura
Il Padiglione Cultura è destinato a contenere attività per lo scambio culturale e la
ricerca, è collocato nella piana del Pantanello, tra gli attuali parcheggi, il Teatro Greco
e la Palestra. La realizzazione di questo padiglione ha come principale obbiettivo la
dotazione di una struttura capace di far fronte alla domanda di spazi per la ricerca e lo
studio che Villa Adriana stessa genera, e che costituisce una dotazione di servizi al
pubblico necessaria per la valorizzazione del sito archeologico, attualmente
insufficiente. La collocazione di questo edificio nell’area del Pantanello è strategica in
quanto è a basso impatto archeologico ed è già dotata di un’ampia area destinata a
parcheggio in prossimità dell’ingresso della Villa e dotabile di un accesso proprio
carraio a supporto della logistica interna alla villa. L’edificio vuole essere la sede di una
serie di attività legate alla produzione di cultura che attualmente la Villa, per varie
ragioni, non può soddisfare, in particolare la dotazione di spazi per la convegnistica, la
didattica e la ricerca.
All'interno dell'area del Pantanello, il volume si relaziona e si proporziona con le
archeologie ritrovate, quali il teatro greco ed il complesso delle palestre. Tale
orientamento è stato sviluppato in linea con la teoria proposta dal Prof. Pier Federico
Caliari descritta nel suo Tractatus Logico Sintattico – La Forma Trasparente di Villa
Adriana secondo la quale tutto il complesso di Villa Adriana giace secondo uno
105
schema ben distinto di assi che stabiliscono una relazione diretta e compositiva tra le
parti che la compongono, poiché, come gli studi dimostrano, Villa Adriana è il risultato
di una composizione polare, definibile come policentrica radiale ipotattica. La forma del
padiglione e il suo orientamento, pertanto, sono stati determinati mediante lo sviluppo
di tre assi ortogonali passanti, il primo dal centro del Teatro Greco che determina
l'orientamento dell'asse longitudinale maggiore del padiglione, il secondo dal peristilio
delle palestre, ed il terzo dall'asse centrale dei giardini pensili, che ne determinano i
limiti del perimetro.
La struttura compositiva interna nasce da una sequenza di elementi architettonici quali
volte e colonne che riprendono l'impronta e la tipologia costruttiva delle Palestre
stesse. È ben visibile la parentela che presentano i due impianti soprattutto dalla
ripresa delle proporzioni dall'edificio archeologico. Questi assi che hanno generato il
complesso di Villa Adriana hanno dato vita all'architettura del padiglione, sia dal punto
di vista compositivo planivolumetrico sia dall'organizzazione degli spazi esterni.
Il carattere eclettico di Villa Adriana, è un' immagine di forte suggestione all'interno
della villa stessa. L'elemento architettonico che più rappresenta tale eclettismo è la
volta, nelle sue molteplici forme. Il padiglione riprende nei suoi formalismi un recupero
memoriale dell'elemento chiave dell'architettura romana e in particolar modo di Villa
106
Adriana, l'arco a tutto sesto. Si presenta come un volume al quale interno vengono
scavate le numerose volte in memoria delle coperture ormai perse nel decadimento di
Villa Adriana, una sorta di negativo che tende ad enfatizzare quelle mancanze di
massa perdute, inevitabilmente, col tempo.
A tale proposito abbiamo cercato di confrontarci con l'architettura di mattoni, altro tema
fortemente caratterizzante di queste architetture romane ormai spogliate, dove i
paramenti murari in marmo sono stati recuperati e riutilizzati nel tempo, e quindi
l'architettura
romana
che
originariamente
era
bianca
adesso
si
presenta
prevalentemente rossa. Il mattone è il materiale per eccellenza dell'area archeologica,
e i restauri, soprattutto quelli presenti nella villa, sono spesso eseguiti in mattoni. Per la
composizione del rivestimento è stato impiegato il bipedale (laterizi quadrati di due
piedi di lato, 59,4 cm), noto laterizio romano, la quale dimensione ha determinato la
grandezza del piedritto degli archi della struttura.
L'aspetto del Padiglione Cultura vuole proporre una continuità nell'utilizzo del mattone
e dell'arco all'interno del complesso.
L'area del Pantanello si trova ad una quota inferiore rispetto al resto dell'area
archeologica, si è quindi deciso di trattare la copertura del padiglione come un quinto
prospetto caratterizzato da delle “tracce” che reinterpretano la lettura della
distribuzione degli spazi interni. Questi “segni” si propongono come interpretazione dei
107
segni lasciati delle archeologie, ovvero di tracce sul terreno dalle quali poter supporre
la forma dell'edificio antico, la sua altezza, la sua funzione.
Se letto in pianta, il “quinto prospetto” funge da continuazione della sistemazione
esterna, caratterizzata da un'alternanza di “pieno e di vuoto” dettate dalla presenza dei
resti della rovine adiacenti. È per questo che oltre che essere fortemente “segnato”, è
verde. Rapporto tra padiglione cultura ed il teatro, incrociati poi con gli assi generati
dalle palestre, è pertanto diretto, sia per quanto riguarda la scansione esterna che per
la lettura della copertura dell'edificio.
Il prospetto mette in luce il motivo interno della volta. Sono presenti tre diverse
dimensioni di archi a seconda dei moduli di luce che essi vanno a coprire. L'arco in
facciata, posto in corrispondenza dell'atrio principale, presenta l'altezza massima e
copre una luce di tre moduli. Per accentuare tale differenza si è deciso di distinguere la
quota della copertura di tale porzione dal resto dell'edificio. Gli archi a due moduli, sono
stati collocati in prossimità del bar, del bookshop e della biblioteca, luoghi che
necessitano più luminosità. Lo spazio interno è quindi un susseguirsi di volte di diversa
natura e dimensione che creano quella suggestione evocativa ritrovata all'interno di
Villa Adriana. Inoltre, altezze e moduli diversi sono stati studiati per gerarchizzare gli
spazi o per sfruttare tale altezza a seconda della necessità richiesta di tale spazio.
108
Il padiglione si compone da due blocchi, uno adibito agli spazi pubblici, l'altro dedicato
agli atelier di studio e gli uffici. La pianta è organizzata su una maglia regolare e genera
una serie di spazi che acquisiscono carattere e complessità attraverso le diverse
sezioni voltate. La ricostruzione formale degli spazi interni recupera molto l'
ambientazione che probabilmente avevano le palestre, ovvero una sequenza di
ambienti tutti ortogonali tra di loro e una serie di spazi caratterizzati da volte a crociera
o volte a botte in base alle necessità spaziali. La variazione costante delle dimensioni e
dei passi è costante e vi è un' alternanza di volte a botte e volte a crociera, tipica
romana.
Si accede al blocco principale attraverso due ingressi collocati ai lati della grande
vetrata della galleria espositiva, quello di destra, conduce alla biglietteria ed a un
piccolo foyer, la seconda entrata, quella di sinistra, al bookshop ed al bar. La grande
galleria, caratterizzata da una grande volta a botte, gestisce e connette le diverse
funzioni, sfociando su un patio interno. Da essa infatti, a sinistra, si può accedere ad un
lungo corridoio distributivo che la connette con la grande sala conferenze caratterizzata
da una grande volta a botte leggermente ribassata e dei lucernari, con relativa sala
regia, i servizi, un vano tecnico ed un deposito espositivo di reperti archeologici reso
accessibile al pubblico. Se si precede verso destra, la sala conduce ad una seconda
sala espositiva, pensata come appendice dell'esposizione principale oppure per
esposizioni minori, caratterizzata da piccole volte a crociera, ed alla biblioteca,
109
caratterizzata anch'essa da piccole volte a crociera e da una volta a botte. La
biblioteca, collocata a L attorno al patio interno, è dotata di molte postazioni di studio o
di lettura, postazioni di ricerca tramite archivio digitale e di scaffali aperti. Alcuni piedritti
sono stati “scavati” su due lati in modo da inserirvi degli scaffali e sfruttare la loro
grande sezione. Lungo la parete attrezzata, per accedere al piano superiore destinato
agli archivi, si sviluppa una scala caratterizzata da ballatoi di sosta per la consultazione
di libri.
Il secondo blocco, ospita un atelier per lo studio archeologico, caratterizzato da una
grande vola a crociera e un lucernario, una sala comune di uffici, un ufficio personale
per il direttore, una piccola sala conferenze dotata di una volta a botte e un grande
lucernario, e dei servizi.
Questi due blocchi sono distinti tra loro, per una volontà di separare le due funzioni,
quelle private e quelle pubbliche. Così facendo si è creato un corridoio esterno il quale
è stato trattato matericamente in modo diverso rispetto al trattamento in mattoni che
caratterizza il resto del perimetro del padiglione, sia per sottolineare la separazione dei
due blocchi e delle funzioni che ospitano, sia per differenziare la sua natura, quella
espositiva. Sono state inserite delle nicchie per l'esposizione di pezzi archeologici quali
vasi ritrovati nell'area del Pantanello, tale esposizione esterna era tipica delle ville
110
romane. Esso funge anche da collegamento tra l'ingresso e l'area delle palestre e la
piazza retrostante che poi permette l'accesso al grande viale dei cipressi che conduce
all'inizio del percorso di visita della villa.
Il Padiglione Cultura è un recupero di elementi formali e materiali che si avvicinano
all'architettura romana, cioè un'architettura di archi, di masse, di alternanza tra vuoti e
pieni dove di solito il pieno domina sul vuoto, e soprattutto, un recupero di scansione di
corsi murari, molto tipica di Villa Adriana (si rimandi all'immagine del muro del Pecile).
L'idea dell'immagine che il progetto vuole comunicare è quella di un'espressività
romana riportata in un progetto di architettura contemporanea.
3.2 Musealizzazione e sistemazione delle Grandi Terme
Per il secondo intervento, quello più legato ai problemi di consolidamento e protezione,
sono state scelte le Grandi Terme per una questione di necessità, poiché, dopo la
struttura della Roccabruna, sono quelle che meglio conservano le loro coperture e ciò
che vi è rimasto è in crisi statica. Il progetto riguarda non solo la restituzione
dell'immagine del fronte ma anche strutture in grado di proteggere e di consolidare le
rovine archeologiche. La copertura del frigidarium è infatti, miracolosamente, ancora
parzialmente intatta e se non viene protetta dagli agenti atmosferici c'è un alto rischio
che crolli. Il progetto di consolidamento invece riguarda il criptoportico orientale in
111
quanto a causa della spinta dell'arco della volta interna, deve essere messo in
sicurezza.
Partendo da un'analisi distributiva ed architettonica, si è studiato la composizione in
origine della Grandi Terme. Sono stati studiati i vari percorsi canonici della struttura e
gli ambienti che
compongono
l'edificio.
Il nostro
intervento
verte
su
una
musealizzazione delle parti attualmente non accessibili e sono stati individuati elementi
architettonici presenti che costituiscono le archeologie e che sono diventati oggetti di
musealizzazione.
È stato pertanto studiato il percorso distributivo preesistente e le varie distribuzioni
d'uso caratterizzate da due sezioni, quella femminile e quella maschile. È nella parte
maschile che vi sono stati trovati maggiori resti archeologici quali mosaici, parti di
pavimento a sospensorio e marmi. Nell'analisi sono stati riscontrate due stanze di uso
o sezione ignota, la prima si pensi essere un apoditerio la seconda si ipotizza fosse
una sudatio ma non è chiaro a quale delle due sezioni appartenesse tra quella
femminile e quella maschile.
Altro punto di interesse che ha ispirato l'intervento è la presenza della volta a crociera
del frigidario, oggetto di grande meraviglia per la sua precarietà.
112
Come già detto, l'intervento preso in considerazione, propone una ricostruzione di
un'immagine volumetrica di quello che vuole essere il prospetto occidentale. Si
propone pertanto una ricostruzione delle sagome delle falde preesistenti che oltre che
a restituire un'immagine originaria, serviranno a proteggere gli ambienti e la fragile
volta a crociera del frigidario dagli agenti atmosferici. Per la composizione della
copertura, si è optato per la realizzazione di una struttura a capriata, più precisamente
si è utilizzato una struttura Polonceau. La composizione è mista: travi di legno
lamellare e tiranti in acciaio, ricoperte da una struttura che regge il suo rivestimento di
lamiera metallica. Queste ultime sono strutture leggere e pertanto tale scelta ha
permesso di non aggravare le rovine archeologiche sottostanti.
Proprio sotto queste coperture, viene inserita la musealizzazione in quel che era la
parte maschile delle grandi terme, attualmente più accessibile e meglio conservata,
che ripropone il percorso ideale e canonico termale, ovvero la successione di stanze
quali la Sudatio, il secondo e terzo Tiepidario, il Calidario ed infine uno spazio adibito ai
funzionamento dei forni. Le stanze espositive vogliono essere un'esperienza
conoscitiva, a tale proposito infatti vengono musealizzati i pavimenti a sospensorio,
mosaici ritrovati e le stanze stesse diventano oggetto espositivo di tecniche costruttive
tipiche romane per raccontare il funzionamento delle terme.
113
Il percorso museografico è caratterizzato da una passerella lineare che si allarga
puntualmente in modo da garantire spazi di sosta ed osservazione. In prossimità di tale
spazi
saranno
collocati
totem
espositivi
studiati
appositamente
per
tale
musealizzazione.
Le pedane della passerella, che corre lungo tutto il percorso della mostra, poggiano a
terra su dei martinetti regolabili in altezza, i quali sono separati dal terreno con uno
strato di protezione PVC. Su questi viene agganciata la struttura in acciaio che serve
da sostegno alla pavimentazione in battuto di cemento. L'uso del martinetto ritualizzata
le antiche strutture a sospensorio presenti nelle Grandi Terme.
Si è deciso di intervenire anche sul muro del criptoportico orientale, in quanto a causa
della spinta dell'arco della volta interna deve essere messo in sicurezza. Si è voluto
studiare una soluzione architettonica capace di combinare il problema strutturale con
quello della ridefinizione del fondale orientale della palestra.
L'intervento strutturale diventa occasione per ricostituire il profilo ormai perso del muro
e si propone di utilizzarlo come lapidario. Inoltre, esso diventa occasione per la
creazione di una pedana attrezzata dalla quale poter ammirare le Grandi Terme e i
resti circostanti.
È stata pensata una struttura spingente dall’esterno verso l’interno. L’intera struttura si
ancora a una fondazione composta da travi IPE affondate in uno strato di inerte. A
114
queste travi si ancora una struttura a maglia fatta da travi principali, poste
ortogonalmente alle travi di fondazioni, e altre travi IPE di raccordo a queste. Al si
sopra di questa struttura è posato una pavimentazione in legno, in modo da costituire
uno spazio attrezzato per la sosta e per la contemplazione delle Grandi Terme viste
dall’alto della quota del giardino posto sopra al criptoportico.
Le travi trasversali a quelle di fondazione sono state progettate in modo che non
gravino con il loro peso sul terreno soprastante al criptoportico, ovvero quello più
soggetto a cedimento. Per tale motivo la trave presenta una forma incurvata verso
l’alto, alla quale verrà saldata un’altra struttura metallica, base portante del lapidario.
La trave sarà inoltre sagomata in modo che presenti la forma dei gradini che
caratterizzano la passerella di sosta soprastante.
115
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