Enciclopedia del Diritto M G iu ffr è 1. Considerazioni introduttive. — L’associazione del concetto di regolazione con il concetto di mercato, declinato quest’ultimo tanto al singolare quanto al plurale, compare, perlomeno da un ventennio a questa parte, con grande frequenza nel linguaggio giuridico e segnatamente nel metalinguaggio della dottrina. Ciò accade perché il referente empirico, cui la regolazione del mercato rinvia, sembra catturare una novità di grande rilievo: ossia un diverso rapporto (rispetto al passato e soprattutto nella nostra esperienza) tra il sistema giuridico ed il sistema economico. L’interesse manifestato dalla dottrina italiana risulta dunque pienamente giustificato. Il mercato, che per molto tempo non ha suscitato una particolare attenzione nell’ambito della nostra scienza giuridica (1), è divenuto infatti negli ultimi tre decenni oggetto di cura da parte del legislatore. L’introduzione della disciplina antitrust (v. AUTORITAv GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO), l’avvio di importanti processi di re SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. — 2. La regolazione: profili problematici e ricostruzioni dottrinali. — 3. Prime considerazioni sul legame che intercorre tra il concetto di regolazione e la tutela del mercato e della sua forma concorrenziale. — 4. I principi organizzativi dell’istituzione mercato: concorrenza e monopolio. — 5. Disciplina antitrust e regolazione del mercato: profili ricostruttivi. liberalizzazione in settori strategici per l’innanzi gestiti in regime di privativa dai pubblici poteri o da loro concessionari, la stessa privatizzazione di molte imprese pubbliche sono vicende normative che tutte, in un modo o nell’altro, hanno determinato l’adozione di regole intercettanti il funzionamento del mercato e condotto all’istituzione (e secondo taluni alla non necessaria proliferazione) di peculiari soggetti amministrativi variamente rubricati come amministrazioni indipendenti (v. AUTORITAv INDIPENDENTI), di garanzia ovvero di regolazione, cui sono stati attribuiti compiti di vigilanza e controllo (2). Peraltro quelli ricordati sono soltanto alcuni degli interventi normativi che si sono caratterizzati nel senso detto. Se dunque non è difficile individuare l’orizzonte complessivo nel quale nasce l’interesse verso il tema della regolazione, molto più difficile risulta, nonostante una grande messe di contributi, connotare il fenomeno in questione e soprattutto definirne lo statuto teorico (3). Tanti Ed ito MERCATI (REGOLAZIONE DEI) (1) Per un’analisi delle ragioni della scarsa attenzione riservata dalla scienza giuridica al mercato si rinvia alle riflessioni di AMATO, Il mercato nella Costituzione, in Quaderni costituzionali, 1992, I, 12. Per una ricostruzione più generale sul problema della cultura del mercato in ambito giuridico si può utilmente vedere CASSETTI, La cultura del mercato fra interpretazioni della Costituzione e principi comunitari, Torino, 1997. (2) Il tema delle autorità amministrative così dette indipendenti è oggetto di una bibliografia oramai vastissima. Tra i contributi più recenti si rinvia per completezza della trattazione a GUARINI, Contributo allo studio della regolazione “indipendente” del mercato, Bari, 2005. (3) Anche sul concetto di regolazione la letteratura è amplissima. Limitando le citazioni ai più recenti studi monografici, alle opere collettanee e alle voci enciclopediche v.: TORCHIA, Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, 1992; Regolazione e concorrenza a cura di TESAURO e D’ALBERTI, Bologna, 2000; LA SPINA e MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000; ANTONIOLI, Mercato e regolazione, Milano, 2001; DE LUCIA, La regolazione amministrativa dei servizi di pubblica utilità, Torino, 2002; GIANI, Attività amministrativa e regolazione di sistema, Torino, 2002; ROSSI, Le autorità di regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2004; VALENTINI, Diritto 805 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) re coprire l’intero campo delle attività dei pubblici poteri in ambito economico, la regolazione assume un mero valore informativo utile unicamente per comprendere quanto i pubblici poteri possono (ovvero debbono) fare in ambito economico (5). Ciò d’altro canto è una conseguenza necessitata della circostanza, ben evidenziata dagli studiosi di logica, per cui, ogniqualvolta cresce la portata denotativa (ovvero l’estensione) di un termine, decresce la portata connotativa (ovvero l’intensione) del medesimo (6). Peraltro quella ricordata è una notazione presente diffusamente nel dibattito dottrinale. A quest’ultimo si può pertanto senz’altro rinviare per ulteriori argomentazioni critiche che coinvolgono anche le classificazioni che talvolta vengono fatte tra regolazione economica e regolazione sociale (7). Nel panorama dottrinale non mancano peraltro interessanti tentativi di giungere ad una più puntuale specificazione del concetto di regolazione. Il punto di partenza comune a queste riflessioni è la netta distinzione che viene introdotta tra attività di regolazione e disciplina antitrust (8). La ragione di tale distinzione risiederebbe nel fatto che, mentre quest’ultima presuppone l’esistenza di un mercato, di cui corregge le eventuali imperfezioni, la prima interviene in situazioni di fallimento del mercato (9). Il punto di arrivo, una volta postulata la predetta diversità, è dato dalla qualificazione della regolazione in termini di attività che conforma a contenuti specifici determinate attività al fine di ovviare, per l’appunto, ai fallimenti del mercato (10). Ed ito e tali sono i profili controversi che risulta non agevole indicare con certezza a che cosa ci si riferisca, dal punto di vista giuridico, quando si parla di regolazione del mercato (o dei mercati) e soprattutto quali effetti giuridici discendano dalla qualificazione in tale senso di una normativa e della conseguente attività dei pubblici poteri, specie ove quest’ultima venga svolta da apparati che hanno la natura di soggetti amministrativi. Il problema peraltro nasce dalla circostanza che il sintagma « regolazione del mercato » è la risultante della combinazione di due concetti che, sebbene siano sempre più spesso utilizzati nell’universo del discorso giuridico, presentano un elevato grado di polisemia. Tanto detto, prima di intraprendere qualsiasi riflessione sul tema, corre l’obbligo di tentare un’operazione di chiarificazione semantica. Solo al termine di essa sarà possibile dire se il suddetto sintagma esprime una mera portata definitoria ovvero presenta una capacità esplicativa di tipo dogmatico e tentarne quindi una qualificazione in tali termini. Ed ancora sarà possibile capire se si debba parlare più correttamente di regolazione del mercato ovvero di regolazione dei mercati. G iu ffr è 2. La regolazione: profili problematici e ricostruzioni dottrinali. — Al fine di muovere nella direzione indicata, sembra opportuno iniziare dall’analisi del concetto di regolazione. In proposito quasi tutte le trattazioni al riguardo sentono l’esigenza di precisare che la regolazione è termine sulla cui portata vi è un notevole disaccordo. Tale termine, infatti, viene talvolta utilizzato in un significato molto ampio per indicare qualsiasi ingerenza di un pubblico potere nella sfera dell’economia (4). In questa prospettiva la rilevanza scientifica del concetto è peraltro assai ridotta. Nella sua accezione ampia, finendo per e istituzioni della regolazione, Milano, 2005; RANGONE, Regolazione, in Dizionario di diritto pubblico a cura di CASSESE, V, Milano, 2006, 5057 ss.; GUARINI, op. cit. (4) Per una puntuale disamina dell’uso della nozione di regolazione in senso ampio si rinvia a RANGONE, op. cit., 5057-5059. Critico su tale utilizzo è CASSESE, Regolazione e concorrenza, in Regolazione e concorrenza a cura di TESAURO e D’ALBERTI, cit., 12 ss., secondo il quale l’ampliamento della nozione di regolazione ne comporterebbe l’inutilizzabilità in quanto si finirebbe per includere in essa tutto il diritto pubblico dell’economia. (5) Parla di « mobili confini del concetto di regolazione », GIANI, op. cit., 19 ss. (6) Per i profili indicati nel testo, COPI e COHEN, Introduzione alla logica3, trad. it., Bologna, 1999. (7) Sul punto si rinvia a GIANI, op. cit., 19-72. (8) Per questa impostazione cfr. CASSESE, op. cit., 13 s., secondo il quale di attività di regolazione si può correttamente parlare soltanto con riferimento a quelle attività pubbliche che si esplicano per ovviare all’assenza del mercato ovvero per correggerne mancanze o imperfezioni. Nel primo caso l’attività di regolazione si traduce nel tentare di conseguire, pur in assenza del mercato, il raggiungimento di scopi che il mercato, se vi fosse, sarebbe in grado di garantire. Nel secondo caso l’attività di regolazione si caratterizza per essere finalizzata ad eliminare i cosiddetti fallimenti del mercato. Per tale impostazione cfr. di recente RANGONE, op. cit., 5058 s. (9) RANGONE, lc. ult. cit. (10) RANGONE, lc. ult. cit. 806 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) G iu re ffr è (11) Sul punto GUARINI, op. cit., 118, al quale si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche. (12) Sul tema dell’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 cost. tra i numerosi contributi v.: CHELI, Libertà e limiti all’iniziativa economica privata nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e nella dottrina, in Rass. dir. pubbl., 1960, 260 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959; PREDIERI, Pianificazione e costituzione, Milano, 1963; Studi sull’art. 41 della Costituzione (Autori vari), Bologna, 1969; BALDASSARRE, Iniziativa economica privata, in questa Enciclopedia, XXI, 582 ss.; VILLATA, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974; DE CARLI, Costituzione e attività economiche, Padova, 1978; CAVALERI, Iniziativa economica privata e Costituzione vivente, Padova, 1978; BARTOLOMEI, Rapporti economici e garanzie costituzionali, Milano, 1979; LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983; La costituzione economica a cura di D’ANTONIO, Milano, 1985; MORBIDELLI, Iniziativa economica privata, in Enc. giur., XVII, 1989, 1 ss.; PACE, Problematica delle libertà costituzionali, pt. s.2, Padova, 1992, 457 ss. (13) Per la tesi della funzionalizzazione dell’attività di impresa NATOLI, Limiti costituzionali all’autonomia privata nel rapporto di lavoro, Milano, 1955; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1975; GALGANO, Le istituzioni dell’economia capitalistica, Bologna, 1974. Per una critica radicale a tale tesi MINERVINI, Contro la funzionalizzazione dell’impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 618 ss. merita di essere ricordato come l’attività di conformazione si inscriva per intero nella tradizionale dialettica autorità-libertà quale costrutto concettuale che esprime in forma sintetica il rapporto tra il pubblico potere ed i soggetti privati. Se si riflette su quanto detto, si ha l’impressione che la novità — che il termine « regolazione » dovrebbe semanticamente veicolare rispetto al referente empirico — non abbia consistenza propria. Detto in altri termini, la regolazione si palesa come sinonimo di conformazione e per tale via non esprime alcun tratto qualificante tale da fare assurgere la medesima ad autonoma nozione utile a fare discendere conseguenze significative ed innovative sul terreno dei principi giuridici applicabili, tanto ai procedimenti attraverso i quali si esplica e agli atti in cui trova puntuale estrinsecazione, quanto alle situazioni giuridiche dei privati che con essa vengono a contatto. In realtà la dottrina è consapevole del nodo problematico e tenta sovente di scioglierlo individuando il proprium dell’attività di regolazione nella particolare tipologia del soggetto amministrativo cui l’attività viene affidata e nella sua posizione di indipendenza (o comunque di particolare autonomia) riconosciuta dall’ordinamento (14). Ma in questo modo non è tanto la regolazione in sé ad essere concetto che possiede un elemento specifico che possa distinguere la relativa attività da quella di conformazione. Una distinzione tra le due attività riceve infatti senso soltanto dalla peculiarità dell’istituzione pubblica preposta al suo esercizio. Sono dunque le particolari caratteristiche di tale istituzione a riverberare elementi di novità sull’attività posta in essere, imponendo ad essa eventualmente l’applicazione di specifici principi. Insomma, messa la questione in questi termini, appare chiaro come la regolazione sia termine che non soltanto non può essere speso senza il riferimento al Ed ito Secondo tale impostazione il tratto distintivo del fenomeno della regolazione va pertanto individuato, come è stato puntualmente sottolineato, nella sottrazione, totale o parziale, della scelta economica all’autonomia decisionale del privato (11). Detto in altri termini l’attività di regolazione consiste nella conformazione di determinate attività al fine di raggiungere obiettivi che in assenza dell’attività medesima non verrebbero raggiunti. Ebbene è proprio un tale esito, ossia in buona sostanza la risoluzione dell’attività di regolazione in un’attività di conformazione, che lascia perplessi. È necessario in proposito sottolineare in primo luogo come l’attività di conformazione sia, anche nella nostra esperienza giuridica, fenomeno ben conosciuto e da tempo praticato. Al riguardo è sufficiente ricordare come se ne rintracci il fondamento nella stessa Costituzione ed in particolare nell’art. 41 comma 2 (12), per il tramite del riferimento all’utilità sociale, che funge rispetto alla libertà di iniziativa economica da limite per l’appunto esterno (dovendosi ormai escludere, anche per effetto del diritto comunitario, la praticabilità di ogni ipotesi ricostruttiva volta a teorizzare la funzionalizzazione dell’attività di impresa) (13). Ma, al di là di tale aspetto, (14) Per tale posizione cfr., in particolare, GUARINI, op. cit., 120 s., il quale tuttavia non esclude che il concetto di regolazione possa essere utilmente impiegato anche con riferimento alla disciplina antitrust, rilevando come « un’attività normativa volta a creare un ‘ambiente’ economico sociale che ‘imiti’ quello di mercato, tale da poter essere definito appunto ‘mercato regolato’, non sia poi molto dissimile dal mercato, per così dire ‘a competizione sotto tutela’ ». Aderiscono a quest’ordine di idee DE LUCIA, op. cit.; CASSETTI, op. cit.; RAMAJOLI, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Milano, 1998. 807 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) re formare l’attività degli attori economici in vista del perseguimento di scopi che attraverso il mercato non si realizzerebbero, quanto piuttosto quello di consentire che il mercato si atteggi nella sua struttura, per così dire, naturale ovvero desiderabile di guisa che, una volta risolta per intero la regolazione nella conformazione, la prima non avrebbe “cittadinanza” nell’ambito del diritto antitrust. Rispetto al quadro che sembra emergere dal dibattito dottrinale è necessario spendere qualche ulteriore considerazione. Ciò che lascia perplessi è l’asserita estraneità della disciplina antitrust rispetto al fenomeno della regolazione. Invero proprio la circostanza che il mercato si palesa, pur in assenza di una normativa volta a tutelarne una particolare conformazione (quella concorrenziale), come un insieme di relazioni organizzate e dunque regolate dovrebbe indurre a verificare con maggiore attenzione se proprio la disciplina antitrust non sia tale da far ritenere semanticamente appropriato l’utilizzo del concetto di regolazione rispetto alla medesima, così da aprire la strada ad una sua autonoma ricostruzione nell’ambito della sistematica giuridica. Se, come sembra a chi scrive, quella indicata è, per le ragioni dette, una strada da esplorare, è evidente come il passaggio successivo debba andare nella direzione di approfondire l’analisi del concetto di mercato con particolare riguardo alle diverse forme o configurazioni che esso può assumere. Prima di procedere in tal senso si impongono però alcune preliminari notazioni. Anche il mercato, come già ricordato, è, al pari della regolazione, concetto caratterizzato da un’accentuata polisemia. In proposito occorre sottolineare come tale nozione venga talvolta utilizzata retoricamente dando vita ad una vera e propria sineddoche di tipo ampliativo, per il tramite della quale essa finisce per tratteggiare i caratteri tipici non soltanto della modernità, ma anche della stessa post-modernità. In questa accezione il mercato rinvia infatti ad un dato sistema economico contraddistinto dall’iniziativa privata, caratterizzato dalla capacità di produrre una efficiente allocazione delle risorse, nonché di avanzare nell’epoca della globalizzazione pretese di porsi come unico modello desiderabile di organizzazione dei rapporti economici e sociali. Peraltro anche in un altro senso il mercato rappresenta una parola chiave a forte contenuto evoca- ffr è Ed ito soggetto che ne è titolare, ma che può avere una qualche rilevanza connotativa solo allorquando tale soggetto sia con precisione annoverabile nella categoria delle autorità indipendenti (15) (sulla cui esatta delimitazione si registrano peraltro notevoli dubbi e perplessità). Dunque, se si vuole usare il termine in senso non descrittivo, si dovrebbe parlare correttamente non già di regolazione del mercato o dei mercati bensì di regolazione indipendente (in quanto attribuita ad un’autorità pubblica così qualificabile) del mercato o dei mercati (16). Soltanto in questo modo è infatti possibile trovare una qualche significativa distinzione tra attività di conformazione e attività di regolazione. Resta comunque il fatto che la regolazione è in questa prospettiva un concetto che vive di luce riflessa, che riceve cioè il proprio statuto epistemologico da altro concetto. Senza questo passaggio infatti l’attività di regolazione in nulla si differenzierebbe dall’attività di conformazione e nulla di diverso o innovativo esprimerebbe sul terreno delle conseguenze giuridiche applicabili in relazione al suo svolgimento rispetto all’attività conformativa. È dunque necessario, prima di concludere nel senso che ciò che afferma la dottrina costituisce il punto di massima determinazione realizzabile intorno al sintagma « regolazione del mercato o dei mercati », verificare se tale sintagma non sia in grado di esprimere una propria specificità, diversa o quantomeno ulteriore rispetto a quella presente nel dibattito dottrinale. G iu 3. Prime considerazioni sul legame che intercorre tra il concetto di regolazione e la tutela del mercato e della sua forma concorrenziale. — Si è già detto (v. supra, § 2) che una parte della dottrina tende a negare che il concetto di regolazione possa trovare applicazione con riferimento alla disciplina antitrust dal momento che tale disciplina mira a correggere le alterazioni del mercato o, per meglio dire, le alterazioni del funzionamento del mercato medesimo, entrando in gioco dunque in tutte quelle ipotesi in cui viene distorta la concorrenza. In tale caso, par di capire, il problema non è quello di regolare/con(15) Sulle autorità indipendenti cfr. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005. (16) In tal senso GUARINI, op. cit., in particolare 209 ss. 808 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) Ed ito re zione di fini vincolanti, al cui raggiungimento debbono tendere i comportamenti di coloro che operano nel mercato stesso, ma a seguito dello svolgimento di azioni autonome, che, ancorché diano luogo ad un vero e proprio sistema di relazioni, rimangono tali anche e soprattutto dal punto di vista finalistico (21). In proposito è opportuno notare come il mercato in ciascuna delle ricordate accezioni intercetti problematiche strettamente giuridiche. Il mercato come luogo fisico rimanda infatti al tema, ben noto e studiato, delle norme giuridiche che regolano lo spazio di realtà dove si realizzano concretamente gli scambi. Il mercato come ideologia, ossia come area in cui le relazioni tra privati si svolgono senza alcuna ingerenza da parte dello Stato, pone dal punto di vista giuridico il più generale problema del rapporto tra sistema economico e intervento dello Stato e relativi limiti. Per quanto riguarda il mercato come paradigma dell’azione sociale, come strumento cioè in grado di consentire l’esercizio dell’agire economico sulla base del principio di massimizzazione dell’utilità personale, il problema giuridico è identificabile nel profilo della tutela da assicurare a tale libertà rispetto ad interferenze esterne. Infine, con riferimento al mercato come istituzione, è evidente come la questione sia quella di capire se l’insieme di relazioni, che in esso si danno, debba essere oggetto o meno di disciplina giuridica. Pur nella acclarata polisemia del concetto è indubbio però che la quarta accezione si palesi particolarmente feconda per impostare un’indagine sulla nozione di regolazione. Se infatti il mercato è una istituzione nel senso suddetto e se in esso dunque si realizzano relazioni intersoggettive che, pur in assenza di un preventivo accordo sui fini da perseguire, risultano ordinate, ciò significa che al mercato è connaturato un qualche principio organizzativo, che consente ad esso di essere una istituzione senza che ne venga messa in discussione la caratteristica principale ossia, come detto, la mancanza di un fine condiviso verso il quale far convergere le azioni degli attori. In altri termini il mercato in quanto istituzione si presenta sempre come sistema di relazioni regolato da un qualche principio organizzativo e dunque un’attività di regolazione è in esso sempre all’opera. Indagare tale profilo e ffr è tivo. Esso infatti si configura come forma di organizzazione dei rapporti economici idonea, se non ad eliminare, quantomeno ad attenuare il tormento dell’eteronomia, a garantire cioè che le relazioni tra gli attori si svolgano sulla base di scelte libere ed autonome, esprimendo in modo evidente le esigenze di una società libera, tollerante ed aperta, lontana dai modelli di società chiusa tipici dell’epoca pre-moderna. In ogni caso, anche a volere prescindere dagli usi semantici che si sono ricordati, la polisemia del termine non si attenua quando si tenti di definire in modo più ristretto la nozione di mercato. Come è stato infatti efficacemente sottolineato, emergono, anche ad un livello di analisi più specifico, perlomeno quattro significati che vengono attributi al mercato: il mercato come luogo, il mercato come ideologia, il mercato come paradigma dell’azione sociale ed il mercato come istituzione (17). Con la prima accezione si fa riferimento al mercato come luogo fisico entro il quale si svolgono gli scambi (18); nella seconda accezione il mercato si rivela come uno spazio dell’agire umano tendenzialmente sottratto all’ingerenza dello Stato e più in generale dei pubblici poteri (19); nella terza accezione il mercato sta ad indicare il fatto che l’agire che in esso si esplica è espressione del principio di razionalità economica ossia è agire volto alla massimizzazione dell’utilità personale (20); nella quarta accezione il mercato viene colto nella particolare capacità di produrre un ordine complessivo delle relazioni economiche, che in esso si svolgono, ordine che si genera non a seguito dell’imposi- G iu (17) La polisemia del concetto di mercato è ben evidenziata da FERRARESE, Diritto e mercato. Il caso degli Stati Uniti, Torino, 1992, in particolare 17 ss. (18) Sull’importanza di questa dimensione FERRARESE, op. cit. Peraltro che questa accezione del concetto di mercato pur ineliminabile tende a perdere di importanza è stato sottolineato già molti anni orsono con particolare efficacia da POLANYI, The Great Transformation, New York, 1944, secondo il quale esiste una relazione inversa tra l’importanza della localizzazione fisica del mercato e l’importanza del suo radicamento nella società. (19) Uno dei maggiori teorici del mercato nell’accezione detta nel testo è WEBER, Economia e società, trad. it., Milano, 1974. Sul pensiero di questo autore, sul punto, REBUFFA, Nel crepuscolo della democrazia. Max Weber tra sociologia del diritto e sociologia dello stato, Bologna, 1991, 97 ss. (20) Di questo significato del mercato il sostenitore più autorevole è probabilmente VON HAYEK, Legge, legislazione e libertà, trad. it., Milano, 1994. (21) FERRARESE, op. cit. 809 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) G iu ffr è Ed ito 4. I principi organizzativi dell’istituzione mercato: concorrenza e monopolio. — Anche tra i giuristi il dibattito sul mercato si incentra sovente sul problema di capire se esso costituisca o meno un ordine naturale dotato di regole sue proprie (22). La questione è certamente rilevante per i risvolti ideologici e politici che presenta e, nella prospettiva squisitamente giuridica, anche per gli effetti che riverbera in particolare sul terreno dei rapporti tra mercato e diritto, che altro non sono, come è stato notato, se non un capitolo del più generale rapporto tra diritto ed economia (23). Peraltro, ai fini del discorso che si vuole svolgere, questo livello di analisi può essere tralasciato a favore di un livello più specifico che parta dall’esame dei presupposti giuridici necessari per l’esistenza del mercato. Tali presupposti sono essenzialmente di due tipi: il riconoscimento di una eguale posizione di autonomia privata in capo ai soggetti destinati ad operare nel medesimo e il contratto quale atto nel quale è destinato a trovare formalizzazione giuridica il rapporto di scambio. A tale constatazione, sulla quale può convergere un diffuso consenso a prescindere dalla posizione che si assume sul problema della “naturalità” o meno del mercato, se ne deve però aggiungere immediatamente un’altra di particolare rilievo: se infatti l’autonomia privata e il contratto bastano certamente a fondare il mercato, tuttavia tali presupposti non costituiscono condizione sufficiente a garantire che le relazioni che in esso si svolgono siano effettivamente esplicazione di un agire libero e dunque di scelte autonomamente assunte. È ben possibile infatti che, proprio sulla base dell’eguale posizione di autonomia riconosciuta a tutti gli attori del mercato, una parte di questi possa, attraverso l’esercizio della medesima, costituire posizioni di potere contrattuale in grado di determinare modalità di funzionamento del mercato stesso in cui risulti esclusa, o quantomeno attenuata in capo ad alcuni, la capacità di determinarsi liberamente onde raggiungere la soddisfazione dei propri interessi nel modo ritenuto economicamente più conveniente. Il punto di emersione squisitamente giuridico di questa tematica è racchiuso per intero nel problema delle diverse forme che il mercato nel suo concreto atteggiarsi può assumere per effetto del comportamento degli attori che in esso operano, forme che per semplicità possono essere riassunte nell’alternativa tra concorrenza e monopolio (v. MONOPOLIO E CONCORRENZA). Naturalmente la concorrenza ed il monopolio sono degli archetipi che non ricorrono nell’esperienza reale, nella quale il mercato si atteggia prevalentemente in forma tendenzialmente concorrenziale o tendenzialmente monopolistica. Tuttavia, pur con questa precisazione, i due concetti mantengono intatta la loro validità euristica al fine della comprensione delle dinamiche relazionali che si instaurano nel mercato e degli esiti cui esse danno luogo. Iniziando il discorso dalla concorrenza (amplius v. CONCORRENZA), va detto che quest’ultima, prima ancora che essere apprezzata quale strumento ottimale per garantire l’efficienza allocativa, può essere considerata come una regola sull’autonomia privata o più precisamente come una regola di neutralizzazione, che impedisce che l’autonomia stessa si converta in esercizio di potere (24). Ciò in quanto l’operare della concorrenza preclude a tutti gli attori presenti sul mercato di influire tanto sui processi decisionali, re chiarirne il significato dal punto di vista giuridico può aprire, come si vedrà (v. infra, § 4 e 5), la strada per una messa a fuoco del concetto di regolazione. A tal fine è evidente peraltro che ciò che occorre approfondire è l’analisi di quelle che comunemente vengono definite le forme di mercato, ossia la concorrenza ed il monopolio, in quanto entrambe, come si dirà, esprimono due diversi principi organizzativi delle relazioni che si svolgono nel mercato stesso e dunque due diverse modalità di regolazione. (22) Sul tema dell’ordine del mercato e sul conseguente dibattito circa la naturalità o politicità di quest’ordine IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998; POLICE, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007, in particolare 1-12. (23) IRTI, Introduzione. Diritto e mercato, in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato (Autori vari), RomaBari, 1999, VII ss. (24) In una prospettiva più prettamente economica tale concetto appare in GOBBO, Il mercato e la tutela della concorrenza, Bologna, 1997, 21, il quale osserva come « le politiche antitrust non sono uno strumento asetticamente orientato ad incrementare l’efficienza allocativa, ma sono mosse anche dalla preoccupazione di limitare il potere di mercato in quanto di per sé restringe la libertà di scelta dei consumatori e la libertà di accesso al mercato degli altri produttori ». 810 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) re tra più produttori avente ad oggetto la determinazione del prezzo di vendita di un bene; ed infine il caso delle barriere poste da uno o più produttori all’entrata sul mercato di altri soggetti. Ebbene in ciascuna di queste evenienze si verifica il fenomeno dell’imposizione delle decisioni assunte da alcuni soggetti nei confronti di altri: nella prima infatti la composizione degli interessi in gioco non si realizza se non formalmente nel contratto di scambio, bensì viene o può essere autoritativamente attuata dal produttore che, pur non avendo alcuna posizione giuridica di privilegio riconosciuta dall’ordinamento, dispone, attraverso il controllo dell’offerta, del potere di fatto di imporre le proprie autonome determinazioni. Il discorso sostanzialmente non muta nella seconda ipotesi, allorquando cioè tra il piano della possibilità di agire (e cioè dell’autonomia privata) e il piano dell’azione attuata (e cioè il contratto di scambio) si inserisca l’accordo assunto autonomamente dai produttori con il quale essi vincolano il loro agire successivo decidendo di praticare determinati prezzi ai propri acquirenti; ed infatti attraverso l’imposizione del vincolo (che è pur sempre frutto per i partecipanti di una regolamentazione autonoma e non eteronoma) la volontà espressa nell’intesa trova il suo meccanismo per riuscire ad imporsi unilateralmente nei confronti dei soggetti estranei all’intesa. Infine il fenomeno si ripresenta nella terza ipotesi con una variante: che la determinazione autoritativa delle condizioni finali dello scambio passa attraverso la limitazione dell’agere licere di altri soggetti imprenditoriali. G iu ffr è (25) Sul punto, nella letteratura italiana, GALEOTTI, Le regole del potere e il potere delle regole: un’analisi economica, in Potere, poteri emergenti e loro vicissitudini nell’esperienza giuridica italiana (Atti del Convegno nazionale, Roma, Accademia dei Lincei, 20-22 marzo 1985) a cura di PIVA, Padova, 1986, 225 ss.; GOBBO, lc. cit., il quale osserva come « le politiche antitrust non sono uno strumento asetticamente orientato ad incrementare l’efficienza allocativa, ma sono mosse anche dalla preoccupazione di limitare il potere di mercato in quanto di per sé restringe la libertà di scelta dei consumatori e la libertà di accesso al mercato degli altri produttori ». Nella letteratura straniera HIRSCHMAN, Realtà, defezione, protesta, trad. it., Milano, 1982, nonché SCHMID, Tra economia e diritti. Proprietà, potere e scelte pubbliche, trad. it., Bologna, 1988. Quanto detto nel testo discende peraltro dalle caratteristiche del modello di mercato concorrenziale, così come elaborato dalla scienza economica, i cui elementi costitutivi sono individuati nella esistenza di più imprese indipendenti, nessuna delle quali è in grado di influire sul prezzo di vendita dei beni e dunque sulle scelte dei consumatori. Al fine di esplicitare meglio quanto detto nel testo, e cioè che la concorrenza rappresenta una regola o se si preferisce un principio volto a neutralizzare il potere, è utile riprendere un esempio proposto da un nostro studioso: in un assetto sociale ed economico nel quale vigano solo diritti d’uso e non di scambio, nel quale cioè ognuno consuma quanto ha predetto, l’aumento della ricchezza individuale avviene senza che possano darsi interferenze nell’aumento della ricchezza di ciascun altro e soprattutto senza che si diano interferenze sui processi decisionali di ognuno volti a definire la propria azione. Se però si passa ad un sistema fondato non solo sui diritti d’uso ma anche sui diritti di scambio, la complessa interdipendenza che viene posta in essere rende possibile ottenere un maggior guadagno individuale a spese degli altri ogni qualvolta una parte riesca ad imporre termini di scambio per sé più favorevoli e dunque riesca ad esercitare una interferenza nella libertà dei processi decisionali degli altri soggetti (così, quasi testualmente, GALEOTTI, op. cit., 230). (26) Si considerino a conferma di quanto detto nel testo tre evenienze classiche che vengono di regola sanzionate da ogni disciplina antitrust: il caso della presenza di un produttore in posizione dominante; quello dell’intesa Dal punto di vista giuridico ciò che differenzia pertanto la concorrenza dal monopolio (in una prospettiva che vada al di là della questione, tutt’altro che pacifica, della superiorità dell’una o dell’altro sotto il profilo dell’efficienza allocativa) è dunque il diverso modo con cui queste due forme di mercato regolano la composizione degli interessi in gioco: nel caso della concorrenza l’assetto che si raggiunge attraverso lo scambio è il frutto di determinazioni autonome che, interagendo, producono un certo esito; nel caso del monopolio l’interazione di determinazioni autonome viene sostituita dalla determinazione assunta da uno o più soggetti, determinazione che è in grado di imporsi in tutto o in parte nei confronti di altri e dunque di disciplinare in via unilaterale l’assetto degli interessi che si realizza con l’atto di scambio. Sulla base delle considerazioni svolte si può allora sostenere che la concorrenza e il monopolio costituiscono due diversi principi organizzativi aventi una funzione regolativa atteso che definiscono le modalità dell’interdipendenza tra gli attori e dunque il grado e la misura della loro libertà di agire secondo il principio di razionalità economica. Ove il mercato si atteggi in forma monopolistica (o anche solo tendenzialmente Ed ito quanto sui termini e sulle condizioni dello scambio (25). Anche il monopolio si palesa, al pari della concorrenza, come una regola sull’autonomia privata, con la differenza però che il contenuto di questa regola risulta specularmente opposto rispetto al caso della concorrenza. Nel mercato che si atteggia in forma monopolistica infatti, pur essendo riconosciuta a tutti una comune posizione giuridica di autonomia privata, può accadere che l’esercizio della medesima da parte di alcuni attori determini l’insorgere ed il consolidarsi di veri e propri poteri di fatto in grado di produrre interferenze sui processi decisionali e dunque sui termini dello scambio (26). 811 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) re antitrust molto si discute e si è discusso anche nella nostra esperienza. Non è peraltro in questa sede necessario né utile ripercorrere l’intenso dibattito che si è svolto in argomento, quanto piuttosto fissare l’attenzione sul profilo teleologico di questa disciplina. In proposito è sufficiente ricordare come vi siano orientamenti che privilegiano un approccio “economicistico”, nell’ambito del quale la principale argomentazione per giustificare la presenza nell’ordinamento giuridico della disciplina antitrust fa perno sull’idea che un mercato a struttura concorrenziale consente un’allocazione e una distribuzione ottimale delle risorse e comunque migliore rispetto a quella che si produrrebbe in un mercato monopolistico (29). Di contro vi sono posizioni che, proprio muovendo dai diversi effetti che l’una e l’altra forma di mercato determinano sulla libertà degli attori in esso operanti, ritengono che la tutela della concorrenza si giustifichi anche e soprattutto in ragione dell’obiettivo di reimmettere il mercato, quale istituzione fondamentale in cui si incardina gran parte dell’azione economica che si svolge nelle società contemporanee, dentro la complessiva costellazione di valori che caratterizzano un ordinamento giuridico democratico, il quale ben difficilmente può tollerare la presenza al proprio interno di poteri privati di fatto in grado di ledere o limitare le sfere di eguale autonomia e libertà riconosciute agli attori economici anche nei loro rapporti reciproci. Al di là delle differenti impostazioni resta comunque il fatto che, ove la tutela della forma concorrenziale venga affidata ad una normativa ad hoc, tanto la normativa medesima quanto la successiva attività amministrativa definiscono una cornice di regole e di successivi interventi a livello amministrativo che, per il fatto di tutelare la concorrenza, hanno una indubbia portata regolativa, dal momento che il principio concorrenziale, come si è visto, altro non è che un principio di organizzazione delle relazioni di mercato che definisce termini e modalità entro cui le relazioni stesse si danno. Ove si consideri poi che il principio organizzativo in questione potrebbe operare anche in assenza della suddetta ffr è Ed ito tale), questa libertà può essere esclusa o limitata fortemente attraverso un fenomeno di esercizio di veri e propri poteri privati di fatto; laddove il mercato si atteggi in forma concorrenziale (o anche solo tendenzialmente tale), questa libertà può esplicarsi senza subire eccessive interferenze (27). Tanto detto, può non essere irrilevante per l’ordinamento giuridico che il mercato sia regolato in base all’uno o all’altro principio perlomeno ogni qualvolta si ritenga necessario per una qualche ragione accordare preferenza alla forma concorrenziale (28). In tal caso lo strumento che è a disposizione del legislatore è ben noto e collaudato: l’adozione di una disciplina contenente norme volte ad impedire l’esito non desiderabile e la conseguente istituzione di soggetti preposti al controllo del mercato e dei comportamenti degli attori in esso operanti. Quando ciò accade, è però evidente come il tratto qualificante di ogni disciplina di tal fatta sia chiaramente individuabile nella circostanza che essa e la conseguente attività del pubblico potere sono rivolte a garantire un principio d’organizzazione del mercato che ha, per le ragioni che si sono dette, una indubbia portata regolativa delle relazioni che nel mercato stesso si svolgono. Ipotizzare dunque che la regolazione sia termine utilizzabile con riferimento prioritario, se non addirittura esclusivo, alla disciplina antitrust sembra del tutto corretto ed appropriato. iu 5. Disciplina « antitrust » e regolazione del mercato: profili ricostruttivi. — Sulla disciplina G (27) Per ulteriori considerazioni sul punto ZITO, Attività amministrativa e rilevanza dell’interesse del consumatore nella disciplina antitrust, Torino, 1998. (28) Un ordinamento democratico non può essere indifferente al problema della forma di mercato perché tale problema, come si è detto, intercetta le situazioni di libertà ed uguaglianza riconosciute a tutti gli attori del mercato. Se si ha presente questo, appare del tutto evidente come non sia il mercato in sé e per sé a rappresentare per definizione il luogo che permette di garantire l’agire autonomo dei soggetti in esso operanti. È soltanto una sua particolare forma, quella concorrenziale, che è capace di fondare e tutelare insieme la libertà e l’uguaglianza degli attori. Quando il mercato si allontana dalla sua forma concorrenziale per assumere una struttura monopolistica, esso si converte nel luogo della disuguaglianza e del dominio, dell’eteronomia privata, nel luogo in cui la realtà del potere di fatto si cela sotto il velo di un’apparente libertà. (29) Tale impostazione, che è comune tra gli economisti, è stata con sempre maggiore frequenza revocata in dubbio soprattutto dai teorici dei costi di transazione. Tra i principali contributi in tal senso WILLIAMSON, Markets and Hierarchies: Analisys and Antitrust Implications, New York, 1975. 812 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) Ed ito re espressione la disciplina antitrust, è dunque costrutto in grado di esprimere quel processo di scomposizione e ricomposizione cui gli strumenti privatistici sono necessariamente sottoposti allorquando vengano analizzati dentro il suddetto contesto e nel quale acquistano rilevanza non soltanto il singolo atto di autonomia, ma i comportamenti che lo precedono, lo accompagnano e lo seguono (31). Tanto detto, non v’è dubbio però che il concetto di regolazione sia idoneo anche a definire il proprium dell’azione amministrativa che sulla base della disciplina antitrust si esplica a garanzia della concorrenza. In proposito discende da quanto detto come anche tale azione non possa e non debba essere considerata estranea al mercato e alla sua logica di funzionamento. Anzi essa, nel momento stesso del suo operare, si trasforma in un elemento interno entrando in un contesto sistemico di relazioni unicamente per garantire un determinato principio di organizzazione che il mercato sarebbe potenzialmente in grado di esprimere. Pare allora evidente come questa attività di tutela della forma concorrenziale del mercato, volta a controllare i comportamenti degli attori del mercato in conformità alle previsioni della disciplina antitrust, presenti inequivocabili peculiarità che la differenziano non poco dalla tradizionale attività amministrativa. Innanzitutto essa trae la propria legittimazione da norme di rango legislativo che hanno a loro volta una dimensione regolativa in quanto dettano, come poc’anzi ricordato, le condizioni di contesto all’interno delle quali i rapporti interprivati possono legittimamente svolgersi nell’esercizio dell’autonomia privata senza che ciò comporti una qualche interferenza sulle scelte dei soggetti e sugli esiti cui esse danno luogo, ed in particolare senza che vengano introdotte finalità da perseguire diverse rispetto a quelle fissate dalla libera decisione assunta dagli attori del mercato. Proprio in virtù di tale legittimazione l’attività in G iu ffr è disciplina, nel caso in cui gli attori si astengano o non siano in grado di porre in essere comportamenti tali da condurre ad una configurazione in senso monopolistico del mercato, pare evidente come la suddetta cornice normativa di regole e successivi interventi non soltanto non costituisca un elemento estraneo al mercato, ma concorra ad integrare l’autoregolazione di cui il mercato è capace. Dalle considerazioni svolte emerge allora come la regolazione risulti dunque concetto utilmente spendibile con riferimento alla disciplina antitrust e come proprio tale collegamento consenta di cogliere il tratto distintivo della relativa attività sia che essa venga riguardata dal punto di vista normativo sia che venga riguardata dal punto di vista amministrativo. Dal primo punto di vista è certamente vero che la normativa antitrust, incentrata su un insieme di divieti volti a impedire intese anticoncorrenziali, abusi di posizione dominante e operazioni di concentrazione lesive della concorrenza, limita l’autonomia privata dei soggetti e che tale limitazione è fenomeno da sempre presente fisiologicamente nel « diritto dei rapporti tra privati »; ma è altrettanto vero che i divieti suddetti non esprimono un vincolo derivante dalla necessità di tutelare interessi estranei (ed altri) rispetto all’esercizio dell’autonomia privata. La giustificazione dei medesimi è invece tutta interna al mercato e alla sua logica di funzionamento nel senso che i vincoli alla suddetta autonomia sono necessari per rendere compatibile la realizzazione di quest’ultima con la vigenza del principio concorrenziale, la cui tutela è parimenti garantita dall’ordinamento giuridico. È proprio questo a ben vedere l’elemento nuovo che merita di essere colto attraverso l’uso del sintagma « regolazione del mercato ». Per lungo tempo infatti l’autonomia privata e il contratto, che della prima costituisce strumento principe di estrinsecazione, sono stati disciplinati sin dal codice civile del 1942 (e conseguentemente ricostruiti dalla dottrina) in una dimensione priva del riferimento al contesto sistemico in cui sono destinati a svolgersi e realizzarsi (30). La regolazione del mercato, di cui è (30) Per lungo tempo in realtà il mercato è stato assunto negli studi giuridici come un dato di fatto esterno rispetto al quale il giurista non avrebbe molto da dire dal punto di vista della propria disciplina. In proposito cfr. FRANCESCHELLI, Il mercato in senso giuridico, in Giur. comm., 1979, I, 501 ss., a giudizio del quale « i giuristi non costruiscono in sé il concetto di mercato ma lo prendono dalla vita pratica e, insomma, dall’economia politica » (ivi, 510). (31) Per quest’ordine di considerazioni cfr. RICCIUTO, Regolazione del mercato e funzionalizzazione del contratto, in Studi in onore di Giuseppe Benedetti, Napoli, 2008, 1611-1629, ed in particolare 1615 ss. 813 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) re l’ambito della quale le relazioni tra gli attori debbono svolgersi sulla base di un principio organizzativo, la cui garanzia non viene lasciata al libero gioco della relazioni che si instaurano per il tramite dell’esercizio dell’autonomia privata, ma viene, in virtù di norme legislative, doppiata e, per così dire, rafforzata dall’intervento del pubblico potere. Ove dunque il principio organizzativo (quello concorrenziale) risulti assunto da una norma giuridica, l’attività amministrativa di regolazione diventa elemento essenziale del sistema, atteso che l’operare del principio richiede la messa in opera di forme di controllo volte a verificare, secondo una logica tutta interna al sistema stesso, che i comportamenti degli attori non determinino il passaggio del mercato da una forma concorrenziale o tendenzialmente tale ad una forma monopolistica o tendenzialmente tale. Peraltro l’utilizzo, a livello di esercizio della funzione amministrativa, della nozione di regolazione, come proposta, non si risolve in una mera operazione volta a denotare l’insieme delle azioni amministrative che nel mercato si esplicano a tutela della concorrenza, ma assume una portata connotativa tale da fare discendere alcune conseguenze apprezzabili sul terreno del trattamento giuridico della medesima. Nell’ambito di queste conseguenze tre paiono particolarmente significative. In primo luogo l’attività di regolazione non può che essere affidata ad un’autorità amministrativa indipendente. Soltanto l’indipendenza dal potere politico e segnatamente da quello governativo può infatti garantire che l’attività in questione si esplichi senza distorsione della logica del mercato del quale costituisce, come più volte ricordato, un elemento essenziale di funzionamento. La caratterizzazione in tal senso del soggetto amministrativo non rappresenta dunque il presupposto affinché si sia in presenza di una funzione amministrativa di regolazione, bensì una conseguenza necessitata della tipicità propria di questa attività. Detto in altri termini, non è l’esistenza di un’autorità amministrativa indipendente che regge l’attività di regolazione, ma è quest’ultima a giustificare l’esistenza di un’autorità di tal fatta. In secondo luogo i procedimenti attraverso i quali l’attività di regolazione si esplica non possono che aprirsi al contraddittorio ed alla più ampia partecipazione degli attori del sistema, G iu ffr è Ed ito questione è qualcosa di più della normale attività di controllo svolta dagli organi amministrativi, in quanto costituisce, come detto, elemento non esterno ma interno dell’istituzione “mercato”; nel contempo è certamente qualcosa di meno della tradizionale attività di conformazione e di direzione esercitata nei confronti dei soggetti privati, che comporta inevitabilmente la sovrapposizione dell’interesse pubblico al fine perseguito dai soggetti medesimi nell’esercizio della libertà economica loro riconosciuta. In secondo luogo non si può non sottolineare come lo stesso interesse pubblico, cui l’attività risulta finalizzata, presenti una diversità strutturale e funzionale rispetto all’interesse pubblico che sta alla base dell’attività di conformazione e di direzione: il primo interesse infatti può certamente richiedere l’incisione diretta delle situazioni giuridiche soggettive degli attori del mercato, ove i loro comportamenti pretendano di convertire l’autonomia privata in una situazione di potere di fatto, ma a questa incisione è estranea ogni modificazione della logica di funzionamento del mercato e dunque ogni espropriazione parziale o totale della libertà di agire secondo il principio di razionalità economica in vista del raggiungimento di fini autonomamente scelti. La stessa dialettica autorità-libertà, con cui tradizionalmente viene inquadrato il rapporto tra pubblico potere e soggetti privati destinatari dell’esercizio del medesimo, risulta dunque non completamente adeguata per spiegare la dinamica relazionale che si instaura tra attività amministrativa volta a tutelare la concorrenza e attività propria degli attori del mercato (32). Alla luce delle considerazioni svolte ed in ragione della peculiarità che la suddetta attività presenta, non soltanto sembra in primo luogo utile introdurre una nozione ad hoc per identificare la medesima, ma, ove si consideri che questa attività si esplica dentro un contesto sistemico, la sua qualificazione in termini di regolazione sembra particolarmente appropriata per individuarne i tratti salienti. Riguardata in questa prospettiva, si può dire allora che l’attività amministrativa di regolazione trova il suo naturale terreno d’elezione nel mercato inteso come vera e propria istituzione nel(32) Per ulteriori considerazioni su tale problematica cfr. D’ALBERTI, Libera concorrenza e diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 347 ss. 814 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) Ed ito re dato. Sicché risulta equivalente rubricare l’attività in questione quale attività di regolazione del mercato o dei mercati. Infine tenere ferma la distinzione tra attività di regolazione ed attività di conformazione del mercato è utile per individuare chiaramente ciò che né alla disciplina antitrust né alla conseguente azione, che si svolge a livello amministrativo, può essere ragionevolmente chiesto. Sostenere infatti che l’una e l’altra consentono che le relazioni tra gli attori del mercato si svolgano secondo un principio organizzativo rispettoso della libertà e dell’uguaglianza tra i medesimi di modo che lo scambio costituisca il frutto dell’interazione di decisioni assunte autonomamente, non deve far dimenticare l’esistenza di altri fattori esterni al mercato che possono influire pesantemente sulla libertà e sull’eguaglianza degli attori. La legislazione antitrust e a maggior ragione l’attività amministrativa che essa legittima sono del tutto disarmate di fronte al problema delle diseguali condizioni economiche di partenza. Ma ciò lungi dal ridimensionarne la portata rafforza la convinzione che il sistema economico ha comunque bisogno di essere in qualche modo conformato dall’intervento del pubblico potere. Ed in questo caso rimane certamente utile dal punto di vista sistematico il ricorso alla nozione di attività di conformazione del mercato o dei mercati. G iu ffr è come peraltro la stessa giurisprudenza del giudice amministrativo riconosce, atteso che qualsiasi decisione assunta in esito ai procedimenti stessi, sia essa a contenuto generale o puntuale, interessa potenzialmente tutti i soggetti operanti nel mercato ossia tanto gli imprenditori quanto i consumatori (33). In terzo luogo la stessa legittimazione processuale rispetto alle decisioni adottate dall’autorità titolare dell’attività di regolazione va riconosciuta non soltanto ai primi ma parimenti ai secondi. Ed anche in questa direzione si sono raggiunti nella nostra esperienza risultati significativi dal momento che, dopo una iniziale fase di chiusura, la giurisprudenza ha ammesso la suddetta legittimazione anche in capo al consumatore, singolo o associato, sulla base della pertinente considerazione che « la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto ma è la legge dei soggetti del mercato ovvero di chiunque abbia interesse [...] alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da potere allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere » (34). Alla luce delle considerazioni svolte si possono sviluppare alcune notazioni conclusive sull’attività di regolazione. Innanzitutto non sembra corretto escludere dal campo di operatività della medesima la disciplina antitrust; in secondo luogo non è necessario caricare l’attività in questione di significati che la rendono difficilmente distinguibile dalla tradizionale attività di conformazione. Di poi è evidente che, se l’attività di regolazione trova il suo naturale terreno di elezione nel mercato e nella tutela di un suo specifico principio organizzativo, quello concorrenziale, essa è destinata ad operare in tutti i mercati in cui questo principio deve essere salvaguar- (33) In giurisprudenza, ex multis, Cons. St., sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972; Cons. St., sez. VI, 29 maggio 2006, n. 3272, punto 5, ove si afferma espressamente che « ai procedimenti regolatori condotti dalle Autorità indipendenti non si applicano, infatti, le generali regole dell’azione amministrativa che escludono dall’obbligo di motivazione e dall’ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione l’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi ed amministrativi generali ». (34) Cass., sez. I, 4 febbraio 2005 n. 2207. Per una analisi della posizione della giurisprudenza sul punto ZITO, Il difficile rapporto tra l’interesse del consumatore e la disciplina antitrust: storia di un paradosso in via di risoluzione, in GiustAmm.it, www.giustamm.it, 2006, n. 5. Alberto Zito FONTI. — L. 10 ottobre 1990, n. 287; l. 14 novembre 1995, n. 481; d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217; d. lg. 6 settembre 2005, n. 206. LETTERATURA. — Oltre alle opere citate nelle note al testo v.: AMATO, Antitrust and the Bounds of Power. The Dilemma of Liberal Democracy in the History of the Market, Oxford, 1997; BALDWIN e CAVE, Understanding Regulation. Theory, Strategy and Practice, Oxford, 1999; BREYER, Regulation and Its Reform, Cambridge (Massachusetts), 1992; BREYER e STEWART, Administrative Law and Regulatory Policy, New York, 1999; CASSESE, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003; ID., La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2004; CHITI, La disciplina procedurale della regolazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 679 ss.; CORSO, Attività amministrativa e mercato, in Rivista giuridica quadrimestrale dei pubblici servizi, 2000, 7 ss.; D’ALBERTI, Autorità indipendenti (dir. amm.), in Enc. giur., Aggiornamento, 1995; ID., Il diritto amministrativo tra imperativi economici e interessi pubblici, in Dir. amm., 2008, 53 ss.; DI GASPARE, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2003; FRANZONI, L’attività di regola- 815 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Enciclopedia del Diritto Mercati (regolazione dei) MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE SOMMARIO: 1. Le “credenziali” della normativa sulla metamorfosi della pena in executivis. — 2. Cronistoria italiana delle misure alternative: la fase dell’espansione (e degli sbandamenti determinati dagli eccessi di pragmatismo). — 3. Segue: l’epoca della globalizzazione, ovvero le contaminazioni collegate alle logiche dell’esclusione e del controllo. — 4. Una più precisa delimitazione del campo di indagine. — 5. Profili di carattere generale: la fruibilità ab initio delle misure alternative. — 6. Segue: le diversificazioni normative incentrate sulla pericolosità sociale del condannato (art. 4-bis ord. penit.). — 7. Segue: le preclusioni ex art. 58-quater ord. penit. in un’ottica di rilegittimazione della pena “rigida”. — 8. Le singole misure: l’affidamento in prova “comune”. — 9. L’affidamento in prova « in casi particolari ». — 10. La detenzione domiciliare ordinaria. — 11. La detenzione domiciliare speciale. — 12. Le misure alternative per i condannati affetti da AIDS o da grave deficienza immunitaria. — 13. La semilibertà. — 14. Una misura “fuori categoria”: la liberazione anticipata. re 1. Le “credenziali” della normativa sulla metamorfosi della pena « in executivis ». — Alla l. 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario va ascritto non solo il merito di aver introdotto un insieme di disposizioni che, ribaltando l’impostazione della previgente normativa, si sono sforzate di allineare l’esecuzione della pena detentiva espiata in regime carcerario al principio guida, di rango costituzionale, del reinserimento sociale del condannato — v. ORDINAMENTO PENITENZIARIO, § 1 (1) —, ma anche quello di aver creato il sottosistema delle misure alternative alla detenzione. Nuovi strumenti che, operando, sia pure di rincalzo, sul versante sanzionatorio ed essendo caratterizzati da un funzionamento in tutto o in parte avulso dalla struttura carceraria, hanno aiutato a mettere in discussione la centralità della pena detentiva all’interno dell’apparato punitivo (2). La genesi delle misure alternative nel nostro ordinamento rispecchia i tempi di maturazione che caratterizzano questa tematica nel panorama europeo, in cui il comune elemento catalizzatore è, per l’appunto, costituito dall’acquisita consapevolezza circa gli eccessivi costi e le sempre più palesi inadeguatezze dell’istituzione carceraria (3). Anche nel contesto italiano gioca un G iu ffr è Ed ito zione delle autorità indipendenti, in Dir. econ., 2008, 373 ss.; FREGO LUPPI, L’amministrazione regolatrice, Torino, 1999; GIANNINI, Economia (disciplina della), in questa Enciclopedia, XIV, 274 ss.; ID., Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1986; ID., Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995; IACOVONE, Regolazione, diritti e interessi nei pubblici servizi, Bari, 2004; I garanti delle regole. Le autorità indipendenti a cura di CASSESE e FRANCHINI, Bologna, 1996; Il governo dell’economia tra “crisi dello Stato” e “crisi del mercato” a cura di GABRIELE, Bari, 2005; Il mercato: le imprese, le istituzioni, i consumatori a cura di GABRIELE, BUCCI e GUARINI, Bari, 2002; Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza a cura di BRUTI LIBERATI e DONATI, Torino, 2007; La concorrenza tra economia e diritto a cura di LIPARI e MUSU, Roma-Bari, 2000; LALLI, La selezione degli interessi rilevanti nel diritto della concorrenza, in Dir. amm., 2004, 404 ss.; L’autonomia privata e le autorità indipendenti a cura di GITTI, Bologna, 2006; Le Autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici a cura di PREDIERI, Firenze, 1997; LIBERTINI, La regolazione amministrativa del mercato, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia diretto da GALGANO, III, Padova, 1979, 469 ss.; LOMBARDI, Potere privato e diritti fondamentali, Torino, 1967; LUCIANI, Economia nel diritto costituzionale, in D. disc. pubbl., V, 1990, 373 ss.; MANETTI, Poteri neutrali e Costituzione, Milano, 1994; MARONGIU, Interesse pubblico e attività economica (già in Justitia, 1992), ora in ID., La democrazia come problema, I, t. 2, Bologna, 1994, 439 ss.; ID., Appunti per un manuale di diritto pubblico dell’economia, ivi, 397 ss.; MARZONA, L’amministrazione pubblica del mercato mobiliare, Padova, 1988; MERUSI, Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000; ID., Le leggi del mercato. Innovazione comunitaria e autarchia nazionale, Bologna, 2002; MORBIDELLI, Sul regime amministrativo delle Autorità indipendenti, in Le Autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici a cura di PREDIERI, Firenze, 1997, 169 ss.; NAPOLITANO, Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005; OGUS, Regulation. Legal Forms and Economic Theory, Oxford, 1994; OSTI, Diritto della concorrenza, Bologna, 2007; PERA, Concorrenza e antitrust, Bologna, 2006; PICOZZA, Diritto dell’economia: disciplina pubblica, in Trattato di diritto dell’economia diretto da PICOZZA e GABRIELLI, II, Padova, 2005; PROSSER, Law and Regulators, Oxford, 1997; RAITERI, Diritto, regolazione, controllo, Milano, 2004; RANGONE, Le programmazioni economiche. L’intervento pubblico tra piani e regole, Bologna, 2007; Recenti innovazioni in materia di sanzioni antitrust a cura di CINTIOLI e DONATI, Torino, 2008; RICCIUTO, Autorità amministrative indipendenti, contratto e mercato, in Il diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici del civilista (Atti del I Convegno nazionale, Capri, 7-9 aprile 2005), Napoli, 2006, 971 ss.; ROSSI, Le autorità di regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2004; SALVIA, Il mercato e l’attività amministrativa, in Dir. amm., 1994, 253 ss.; SCOCA, Giudice amministrativo ed esigenze del mercato, ivi, 2008, 257 ss.; SPATTINI, Poteri pubblici dopo la privatizzazione. Saggio di diritto amministrativo dell’economia, Torino, 2006; TORRICELLI, Il mercato dei servizi di pubblica utilità. Un’analisi a partire dal settore dei servizi “a rete”, Milano, 2007; ZITO, Mercato, regolazione del mercato e legislazione antitrust: profili costituzionali, in Jus, 1989, 219 ss. (1) DELLA CASA, Ordinamento penitenziario, in questa Enciclopedia, Annali, II, t. 2, 793 ss. (2) Circa la tesi secondo cui la genesi delle misure alternative va ricollegata alla crisi sia della pena detentiva, sia delle misure clemenziali, cfr. MANTOVANI, Pene e misure alternative nel sistema vigente, in Pene e misure alternative nell’attuale momento storico (Atti dell’XI Convegno di Studio “Enrico de Nicola”), Milano, 1977, 18. (3) In tal senso, cfr. PONCELA, Droit de la peine2, Paris, 816 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati