band: faun fables

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BAND: YEASAYER
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/Yeasayer.htm#all
Si parte con una Sunrise che sembra uscita fuori da un disco di George Michael. Pare quasi di vederlo
ancheggiare sul clap clap in mid-tempo della ritmica, quando Chris Keating attacca la parte vocale subito
doppiata da un gioioso coretto gay. Tutto questo potrebbe tranquillamente suonare in modo orribile, ma
invece funziona alla perfezione. Wait For the Summer paga invece tributo a Peter Gabriel come buona parte
dei brani restanti. E’ lui la stella polare verso cui tendono brani fantasiosi come No Need To Worry e
Forgiveness. 2080, il primo singolo per le radio, ti appiccica subito addosso la sua melodia in maniera
vigliacca e sembra una Shock The Monkey rifatta da Paul Simon mentre jamma con gli Animal Collective.
Parte del fascino della musica degli Yeasayer è di natura prettamente post-modernista. Musica che strizza
l’occhiolino in maniera subdola ad un trilione di riferimenti e puoi tanto stare al gioco quanto lasciarti andare
all’incedere delle melodie e cedere al minutaggio del disco. Sotto questo punto di vista la tenuta su strada è
di quelle da auto di prima linea. Germs è un’altra ode etno-eighties che si anima su cori da giungla in stile
Real World. Wintertime è un’epica marcetta indiana ma suonata come la suonerebbero gli Akron / Family. Gli
Yeasayer questo sono. Un matrimonio astuto tra passato (gli anni ‘80) e il presente (tanto tribal indie di
questi anni) Riuscite ad immaginarvi un ibrido tra i Fine Young Cannibals, Peter Gabriel e gli Animal
Collective? Se non ci riuscite gli Yeasayer possono essere una risposta. (7.2/10)
INDIE-EYE
http://www.indie-eye.it/recensore/2007/10/16/yeasayer-all-hour-cymbals-scarica-il-singolo/
Jason Foster, il responsabile della Monitor Records ha pensato bene di fondare una sottoetichetta chiamata
We*Are*Free; il roster per il momento sembra costituito da alcuni travasi come i notevoli Ponytail e gli
Indian Jewelry. Il terzo nome è quello dei Newyorkesi Yeasayer, in uscita alla fine di ottobre con il loro
debutto su lunga durata intitolato All Hour Cymbals, dieci tracce invasate da una schizofrenia creativa che il
loro profilo myspace attribuisce anche a Cindy Lauper, Popul Vuh, Prince e Leonard Cohen. Un gioco che
raramente leggiamo e che non dovrebbe suscitare il nostro interesse, quello dell’impilamento di riferimenti,
ma che in questo caso suona come una forma di riduzione, considerate le capacità del quartetto di Brooklyn
di aggregare una moltitudine di influenze, anche stridenti, in un suono organico e d’impatto. L’attacco gospel
di Sunrise ci introduce in un’area sonora tribale, che ricorda senz’altro quella propensione selvaggia e
antiformale di Animal Collective e Akron Family ma con una concisione pop, che se non si realizza in termini
di durata, trova espressione in forme incisive della struttura; lo stesso brano, dopo i primi minuti, trasforma
il tribale in una versione apocrifa e irriverente di quella wave danzereccia che fa pensare senza mezzi termini
a Abc, Kajagoogoo, e probabilmente, nella sintesi migliore di queste suggestioni, all’elettropop di Thomas
Dolby. Ovvio che potremmo continuare senza nessun risultato se non quello di un gioco combinatorio privo
di senso, questo serve semplicemente per definire un suono che nell’avvicinarsi a quel folk tribale che è di
alcune band contemporanee e che forse era anche di alcune release dei dimenticati Sun City girls, se ne
distacca subito dopo con un’atmosfera e un mood anni ‘80 che distilla intuizioni piuttosto che citarle. Brani
come No need to worry e la bellissima Forgiveness non possono non far pensare al Bowie di alcuni episodi di
Lodger o all’Eno/Byrne di My life in the Bush of Ghosts, forse uno dei primi tentativi di creare un melting pot
non riconciliato con la materia dei suoni. All Hour Cymbals è un lavoro stimolante, divertente, complesso,
difficilissimo da raccontare; converrà fare un salto da questa parte per scaricare 2080/sunrise, il primo
singolo estratto dal debutto di Yeasayer che non ha avuto una destinazione commerciale. La distribuzione
internazionale è curata da Secretly Canadian, per l’Italia se ne occupa Wide Records.
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BAND: YEASAYER
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IL POPOLO DEL BLUES
http://www.ilpopolodelblues.com/rev/ottobre07/recensione/Yeasayer.html
Yeasayer sono Newyorkesi, di Brooklyn. Sono una formazione di quattro elementi (Anand Wilder, Chris
Keating, Ira Wolf Tuton e Luke Fasano) e All Hour Cymbals è il loro album di debutto.
La copertina lascia pochi dubbi sulle tematiche, prevalentemente politiche. Una specie di messa in guardia
sui mali di un mondo, il nostro, sull’orlo del collasso. Le chitarre rock si fondono con ritmi ripetitivi e
incantatori, e melodie semplici vanno a costituire brani in equilibrio tra dance e psichedelia. E’ un album di
mantra ballabili e dal sapore etnico, che inglobano nel rock all’occidentale elementi indiani, africani, orientali.
Un cross over musicale che mette a confronto gli stessi due mondi che, anche senza volere, vengono in
mente sul piano concettuale.
La proposta è interessante, anche se ancora può essere meglio approfondita. La prima pare dell’album è
infatti più statica, la loro etno-dance a tratti manca un po’ di idee. Assai più convincente invece quando il
gruppo si sbilancia verso il rock, il progressive, la psichedelia, la musica più suonata, come nella bella No
need to worry.
KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=15781
Il mondo nel 2080
I Yeasayer piacerebbero davvero a uno come Thomas Mapfumo, il celebre ambasciatore della musica
zimbabwese citato tra le influenze dalla band ed esponente di spicco di quell`afropop (altrimenti detto world
music) che, in una dimensione sublimata e madida di utopico fermento sociale e pan-etnico, traspare
baluginando con le stigmate di musa ispiratrice tra i solchi di questo primo full-lenght della band di Brooklyn.
Con il loro indie pop hippie e d`avanguardia, i Yeasayer rappresentano solo l`ultimo tassello nel mosaico
pop di nuova generazione, che negli ultimi anni ha ricanonizzato - non senza un briciolo di senso mistico e
antistorico - le radici del rock`n`roll identificando nell`estetica rituale del sincretismo tradizione/modernità
l`humus ideale in cui affondare le proprie radici di rinnovamento. Assieme a band come Tv On The Radio e
Animal Collective - ma con un occhio anche ai miliari Fleetwood Mac e, perché no, i più recenti Arcade Fire gli Yeasayer fanno parte di quella schiera di band che, nemmeno troppo inconsapevolmente, raccolgono
l`eredità postulare dei Talking Heads di “Fear of Music” e “Remain in Light” e delle esalazioni convulse tardo
settantiane dell`intesa Eno-Byrne, ricongiungendola ai tempi nostri con sforzo di recupero quasi nullo,
considerando il naturale dissesto sociale che contorna l`era della supremazia tecnologica.
La tecnologia, intesa con profondo senso di apprensione, diviene manifesto estetico (ma non ideologico)
della band, che impone l`imprescindibile desiderio di una fusione completa con la natura, adagiando su una
matrice incantata di vibrazioni rituali e poliritmiche un manto sintetico di droni, con le linee vocali di Chris
Keating a far da incalzante contrappunto. Fondamentale l`ascolto di “2080”, una potenziale hit per il 2007 e
il piatto forte del disco, un brano che sintetizza alla perfezione il concept Yeasayer e che, dopo un girotondo
sospeso tra vapori new-age e anglo-etnici, collassa nell`interiezione “yeah yeah!” il proprio profondo spirito
di comunione. Di alto profilo, comunque, tutti i brani del disco, in particolare l`opener “Sunrise” e la
penultima “Wait for the Wintertime”, un climax lirico in cui il senso di disagio e di inquietudine diventa una
oscuro e marziale cantico sull`apocalisse.
Un disco consigliato vivamente non solo ai vecchi, inossidabili hipster ma a tutti gli open-minded che
potrebbero riconoscere nella rinnovata indie world music un prezioso lido di approdo.
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ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/news.asp?id=2963
Trova spazio grazie all’iniziativa dell’emergente etichetta americana We Are Free (nuova branchia della più
nota Monitor Records) l’esordio tra luci e ombre dei newyorkesi Yeasayer, band polistrumentistica di belle
speranze e dalle movenze già delineate.
La loro musica fa venire in mente – senza grossi sforzi d’immaginazione – tutto ciò che ruota intorno alla
world music degli anni ‘90, al pop intriso di sonorità orientaleggianti e quell’ideale spazio musicale sospeso
tra culture e generi lontani dal nostro costume abituale.
Ecco quindi scaturire undici tracce piacevoli, colorate, ben eseguite ma un tantino banali. Si percepisce fin
dall’open-track Sunrise la strategia del vocalist Chris Keating e dei suoi tre compagni: tempo medio-alto,
gancio semplice quanto basta per appiccicarsi in mente, inserti significativi di strumenti orientali,
un’elettronica essenziale e mai troppo invasiva. Wait for the Summer porta direttamente dentro gli scenari
dell’estremo oriente, in uno di quei posti che si possono raggiungere solo dopo viaggi introspettivi alla
ricerca di se stessi tanto in voga negli anni dello sperimentalismo totale. L’incedere misticheggiante non
cessa neanche nelle successive 2080 e Germs, e il disco scivola via attraverso ritornelli ripetuti come mantra
spirituali, melodie sognanti, cori ipnotici e soluzioni armoniche dallo sviluppo prevedibile. Qualche sussulto
nel finale - Wait for the Wintertime fa emergere in maniera sorprendente delle apprezzabili ruvidezze sonore
- ma nel complesso siamo di fronte ed una serie infinita di illustri citazioni ben congeniate.
L’idea di base non è male e anche l’esecuzione globale dei pezzi è buona, ma ci sono troppi vuoti tematici e
non ci sono episodi di un certo rilievo. I ragazzi battono sentieri ormai cristallizzati; va bene la riproposizione
di alcune sonorità, ma alla fine dell’ascolto All Hour Cymbals lascia una sensazione decisamente resistibile,
tanto da non strappare neanche la sufficienza per via della mancanza di quell’originalità troppo forzatamente
ricercata.
TRIPPASHAKE
http://www.trippashake.com/Recensioni.htm
Vengono dalla grande mela ed il loro melanco-inebriante suono è a dir poco indefinibile. Non mi stupisco che
provengano dalla grande mela,suoni lisergici ed impossibili incastonati in dolci melodie. lampi di melodie anni
'60-70 a metà fra Crosby e soci mischiate a più non posso.Devo dire che non mi fanno impazzire ma li
rispetto perchè si muovono artisticamente in un contesto difficile senza presunzione.
DIRADIO
http://www.diradio.it/files/index.cfm?id_rst=6&id_art=28&idr=34617
Un gruppo che mescola molte influenze, ma che essenzialmente si può annoverare quale postpunk, new
wave.
Badate bene, non il revival tanto di moda, di questi tempi, riprodotto con sonorità comunque da venunesimo
secolo; Yeasayer li ascolti e l'approccio, il suono e, verrebbe da dire, lo spirito di questi signori è saldamente
ancorato all'anima malinconica ed oscura della originaria new wave.
Quindi poco digitale e molto, sia pur tardo, analogico, spesso ovattato e cupo come sapevano fare gli eroi
oscuri dell'epoca.
Quel che poi conta è che questi ragazzi sanno suonare veramente bene, rivelandosi anche, ciascuno di loro,
polistrumentisti.
Insomma, un disco gradevole, forse perchè deliziosamente fuori moda.
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KDCOBAIN
http://www.kdcobain.it/pagine/recensioni/yeasayer.htm
E' un accostamento di generi molto ardito quello degli Yeasayer, terza band del roster We Are Free Records,
sottoetichetta della Monitor Records. Pensate ad un calderone di suoni provenienti dal folk , con striature di
sitar, ipnotiche ritmiche dance e melodie che sembrano nenie in stile hare krishna. "All hour cymbals" è un
album mistico che va a scovare i meandri più introspettivi che la musica può offrire. Ritmiche ipnotiche
diventano indie-rock in brani come "2080" e "Forgiveness", ma l'aura di religione che si respira in tutto il
disco diventa ancora più tangibile in pezzi come "Wait for the wintertime" e "Worms/waves", che sembrano
brani usciti dal periodo indiano che molti artisti hanno passato sul finire degli anni 60.
"All hour cymbals" è un disco molto singolare, che rivoluziona l'idea di indie-folk che abbiamo in testa.
Arricchisce di misticismo sonorità che appartengono ad una tradizione folk senza spazio e senza tempo. La
scelta degli Yeasayer è sicuramente ardita ma sembra anche un vero e proprio modo catartico di vivere la
musica.
ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2007_yeasayer.htm
“Middle Eastern-Psych-Pop-Snap-Gospel”.
Ovviamente non vi dirà niente (e forse non deve neanche farlo) ma è con questa bizzarra definizione che gli
Yeasayer amano etichettare la propria musica che, enigmatica e indefinibile come l’immagine di copertina,
inserisce il loro debutto “All Hour Cymbals” tra i dischi più freschi e notevoli del 2007.
Ascoltandolo non ci si stupisce che il quartetto di polistrumentisti di Brooklin abbia impressionato da subito i
vertici della We Are Free (e mai nome di etichetta fu più adeguato). La loro musica non è un mero puzzle di
generi e stili fatto tanto per impressionare, bensì un eccezionale amalgama di suoni e sensazioni che
sfiorano diversi generi, mantenendo sempre un’identità a sé stante e sfuggente.
La partenza è di quelle da farci la firma per sentirne almeno una ogni anno: “Sunrise”, con le sue percussioni
ritmate, è gospel, pop, folk, world, di tutto e di più, e fa capire subito il perché di quella stramba definizione.
“Wait For Summer” è un pow-wow indiano, danza del sole trasfigurata nel ventunesimo secolo. “2080” una
combinazione perfetta di misticismo, ritornelli pop e armonie vocali.
Proprio gli intrecci tra la voce del bravo cantante Chris Keating e dei suoi sodali sono uno dei punti di forza
del gruppo, come si palesa nella sinuosa danza di “Germs” o nella splendida “No Need To Worry”, eterea e
spirituale, entrambe con voci quasi a-cappella.
Ma il più grande pregio degli Yeasayer è quello di produrre melodie d'impronta etno e world senza renderle
troppo evidenti o pesanti e senza che questi suoni prendano il sopravvento sulla ricerca melodica;
“Forgiveness” si divide con merito tra etno-pop-wave e dilatazioni psych, mentre i sapori orientaleggianti di
“Wait For Wintertime” e “Worms” nella prima servono da sfondo a un epico canto pieno di lirismo, nella
seconda costruiscono un folk con finale ambient cosmico.
Non resta molto, giusto il tempo per una lenta ballata che sembra cantata da un Rufus Wainwright in estasi
tetra e perduta (“Waves”) e per il canto folk-gospel collettivo della finale “Red Cave”, e il disco è finito.
In definitiva, fanno bene gli Yeasayer a nominare pochi e diversissimi nomi quando parlano delle loro
influenze poiché sarebbe davvero arduo (e inutile) trovare termini di paragone artistico per il loro lavoro; in
“All Hour Cymbals” ci potete trovare Peter Gabriel e la sua Real World, certo, gli Animal Collective e i Tv On
The Radio, David Crosby o Neil Young, Eno e Byrne come i Tunng, i Popol Vuh o i Jefferson Airplane.
Una miscela esplosiva, indefinibile e sfuggente, quanto fascinosa e stimolante, che fa di questo disco uno dei
debutti più interessanti degli ultimi tempi.
Di sicuro, per chi scrive, il debutto dell’anno.
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STORIA DELLA MUSICA
http://www.storiadellamusica.it/Yeasayer_-_All_Hour_Cymbals_(We_Are_Free,_2007).p0-r1277
Sarà sicuramente considerato un anno di sorprese, il 2007, nonché un anno di promettenti debutti.
Tra questi è sicuramente da nominare quello di All Hour Cymbals, affascinante opera prima dei New-Yorkesi
Yeasayer.
Si tratta di un lavoro che racchiude in sé tutte quelle caratteristiche che fanno di un disco un ottimo disco:
buona conoscenza del passato, creatività, originalità, fantasia, abilità strumentale, ambizione, coerenza e
solidità.
Il punto di riferimento, a livello musicale, sono i soliti anni ’80, ma questa volta non quelli dei Joy Division o
dei Cure: le citazioni sono per lo più da attribuire a quel bell’esperimento ritmico-elettronico che è Remain In
Light, frutto della collaborazione tra Eno e i Talking Heads.
L’ideologia abbracciata sembra essere invece quella della nuova generazione di freak e neo-hippie (Animal
Collective, Panda Bear), che affonda le sue radici, volente o nolente, negli anni ’60.
Unendo queste due caratteristiche si ottiene dunque il sound degli Yeasayer: un pop-folk dalle
profumatissime tinte etniche e world e dalle ambizioni avant. Il tutto arricchito da un melodismo fatto di cori
alla Beach Boys immersi in ritmiche tipicamente synth pop.
Di questo abbiamo subito un assaggio con la prima traccia: Sunrise.
Ritmica tribale, effetti elettronici diffusi e strumentazione variopinta offrono un’ottima prima impressione,
anche se ancora molto in bilico tra una vena naif e un aspetto etno ancora in embrione.
La prima conferma giunge però con Wait For The Summer, dominato dalle voci sempre unite in coro, dal
suono vivace dei sonagli e dagli accordi degli strumenti a corde africaneggianti. E poi, tutto d’un tratto,
l’atmosfera cambia radicalmente facendosi piacevolmente malinconica e sospirante, per venire infine
ricondotta dal flusso vocale al tema di partenza.
A chiudere il trittico iniziale arriva 2080, pezzo mistico e fascinoso, che gioca sull’alternarsi del coro di voci in
falsetto alla tonalità e alla cadenza decisamente pop del vocalist, mentre l’uso dell’elettronica riveste il tutto
con eleganza, disegnando impercettibili atmosfere esotiche e profumate.
Germs ci trasporta in pieno medio oriente, con la sua sensualità calda e avvolgente, le sue percussioni tribali
e la chitarra elettrica perfettamente mimetizzata; una sensualità a volte cupa, ma mai pesante, anzi sempre
rilassata e fluente, di chiara derivazione lisergica.
Dopo il breve intermezzo ambientale di Ah, Weir, troviamo la lenta e spirituale No Need To Worry, dominata
in un primo momento dalle sole voci, e poi colorata dall’abilità polistrumentista degli Yeasayer, capaci di
aggiungere al lento incedere del piano ogni tipo di trovata esotica. La chiusura è affidata poi ad un ottimo
rock chitarristico che riesce a non stonare, ma anzi a rendere davvero completo ogni pezzo dell’album grazie
ad un tecnicismo per nulla scontato.
Il capolavoro dell’album è però Forgiveness, dove si ha il massimo risultato nella perizia dell’accostamento
tra l’elettronica di Brian Eno, la melodia hippie da spiaggia e le tradizioni musicali dei paesi più svariati. Il
risultato è un pezzo mistico, delicato, poetico, arcano, bello.
Solido e compatto. Senza una sbavatura.
Le tre W successive (Wintertime, Waves e Worms) forniscono altre deliziose varianti di questo avant-pop
etnico, dipingendo una nuova serie di suggestioni dall’intensa delicatezza e sensibilità… E dalla dirompente
fantasia, forse uno degli elementi che maggiormente fanno apprezzare questo All Hour Cymbals.
Red Cave, con la sua immediata semplicità alla Thee & Stranded Horse, ci da l’ultima mazzata, con il suo
andamento mantrico e orientaleggiante capace di sposarsi a perfezione con il canto tribale africano. Un
lungo e progressivo crescendo, fatto di arpeggi intrecciati di chitarra e di percussioni tradizionali, che non ci
permette mai di distogliere l’attenzione, avviluppandoci nel suo coinvolgente e commovente svilupparsi.
Insomma un lavoro da assaporare e da assorbire.
Un lavoro che ci fa sentire in piacevole comunione con tutto il mondo e tutti i suoi suoni.
Bella la globalizzazione secondo gli Yeasayer!
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PAG. 17
AUDIODROME
http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=2926
Passata la sbornia post-punk, in questo 2007 appena terminato la natia New York degli Yeasayer si è
risvegliata con una gran voglia di nuovo. In questi postmoderni anni duemila, però, il nuovo passa ormai
inevitabilmente per una rivisitazione del vecchio. Un risciacquare i panni in Arno (o meglio nell'Hudson) per
rendere di nuovo cool il vecchio maglione della mamma. Ecco quindi che ai Joy Division ed ai primi Cure (ed
ed ed) si sostituisce ed applica la lectio magistralis dei Talking Heads, del Peter Gabriel elettro-etnico postGenesis, dei Tears For Fears ("Sowing The Seeds Of Love" über alles) e di molti molti altri (tra cui Beach
Boys e Beatles, ovviamente). Tutti inglobati in un certosino ed alla fine personalissimo lavoro di addizione e
sovrapposizione, nel quale trovano posto diversi sapori mediorientali ("Germs", ad esempio, o la più acida
"Wait For The Wintertime"). Nelle composizioni degli Yeasayer (ottimistica contrapposizione ai tanti
naysayer) brillano le capacità strumentali dei quattro musicisti (Anand Wilder, Chris Keating, Ira Wolf Tuton
e Luke Fasano) ed un gusto non comune per le armonie vocali (anche in chiave gospel, "No Need To
Worry") che neanche i Toto o i Fleetwood Mac. Si tratta di brani costruiti su più livelli, dalla forte
componente ritmica, dalle tinte etniche e dai cori curatissimi ed irresitibili. Il trittico iniziale ("Sunrise", "Wait
For The Summer" e "2080") è praticamente perfetto. "2080", in particolare, è il singolo che li ha fatti
conoscere, gettonatissimo dai vari musicblog indie in quest'anno appena passato. In un mondo sempre più
global, dove non c'è più distinzione tra passato, presente e futuro, gli Yeasayer possono essere la "nuova"
risposta in salsa anglosassone a fianco dell'etno "vera" di gruppi come i Tinariwen (i "Tuareg con le
chitarre") o di una come M.I.A. Il passato si presenta più roseo che mai. Forse il migliore debutto del 2007.
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