Un esempio molto famoso e molto eloquente di come i romani

MAURO DI MARZIO
DALLA CASSAZIONE UN CHIARO SÌ AL DANNO ESISTENZIALE
Il danno esistenziale è una delle «voci» di cui si compone il cosiddetto «nuovo danno non
patrimoniale», ossia il danno arrecato a valori inerenti alla persona, dotati di protezione
costituzionale, in conseguenza dell’illecito aquilano: danno risarcibile ai sensi dell’articolo 2059
Cc, anche in mancanza di un fatto di reato, a seguito della notissima svolta giurisprudenziale
determinata da Cassazione 8828 e 8827/03 con l’avallo di Corte cost. 233/03. Questo il principio a
chiare lettere affermato da Cassazione 19354/05 — in controtendenza rispetto ad una diversa
pronuncia non di molto precedente di cui pure parleremo — in un caso in cui il risarcimento del
danno esistenziale era stato chiesto, nei confronti dell’amministrazione della giustizia, da un uomo
che, a causa della durata eccessiva di un procedimento di divorzio consensuale, sosteneva di essere
stato abbandonato dalla compagna, stanca dell’attesa di convolare a nozze.
LA CASSAZIONE E IL DANNO ESISTENZIALE: LE PRONUNCE SONO CONTRASTANTI.
La sfumatura amara e crudele dell’esordio oraziano con cui, sullo scorso n. 40 di questa Rivista, a
pag. 43, è stato celebrato il parere antiesistenzialista di Cassazione 15022/05 — Nunc est bibendum,
nunc pede libero pulsanda tellus, celeberrimo incipit dell’Ode 37 del libro primo dei Carmi —
lasciava forse già preconizzare che, ineluttabilmente, i brindisi avrebbero dovuto presto essere
sospesi per far posto al disappunto, e i balli riservati ad altra più consona occasione.
E, se una non proprio robusta sentenza antiesistenzialista, quale Cassazione 15022/05, ha potuto
essere considerata quanto la presa di Alessandria e la morte di Antonio e Cleopatra, dinanzi
all’esatta nitidezza di Cassazione 19354/05 occorrerebbe intonare chissà quale peana o ancor
meglio — qualora fossimo animati da intento goliardico e pungente verso chi con poca fortuna ha
cantato vittoria — comporre fescennini, se non urlare cori da stadio.
Ma, nel chiudere questa forse un po’ pedante parentesi aperta all’insegna del certamen oraziano, ci
limiteremo più pacatamente ad osservare che ogni buon esistenzialista sperat infestis, metuit
secundis alteram sortem — Ode 10 del libro secondo dei Carmi — sicché non dubita che nuovi
arresti antiesistenzialisti seguiranno prima o poi, almeno per qualche tempo, presumibilmente dalla
terza sezione della Sc, con cui la prima sezione sembra essersi posta ormai in netto contrasto.
Guardiamo, allora, ai termini di esso e, dunque, al contenuto dell’una e dell’altra pronuncia.
IL RECENTE ARRESTO ANTIESISTENZIALISTA E I SUOI ERRORI. Proviamo a riassumere
brevemente l’argomentazione antiesistenzialista posta a fondamento di Cassazione 15022/05, resa
in un caso di perdita di un congiunto a seguito di un incidente stradale. Essa afferma che, mentre il
danno patrimoniale è caratterizzato dall’atipicità — e ciò, rammentiamo, sta a significare che tale
danno può scaturire dalla lesione di qualsiasi interesse dotato di protezione giuridica —, il danno
non patrimoniale sarebbe tipico, cioè potrebbe essere tuttora risarcito, ai sensi dell’articolo 2059 Cc,
nei soli casi previsti dalla legge: casi che la citata svolta giurisprudenziale del 2003 avrebbe
semplicemente ampliato aggiungendovi le ipotesi di lesione di specifici valori della persona
costituzionalmente garantiti. Ed allora — questo il supposto uovo di Colombo dell’indirizzo
antiesistenzialista — il risarcimento del danno esistenziale, «dagli incerti e non definiti confini»,
non potrebbe avere ingresso perché esso, per sua natura, sarebbe atipico. In definitiva — abbiano i
lettori la pazienza di ripercorrere il passaggio conclusivo, sul punto, della sentenza — «il
risarcimento del danno non patrimoniale, fuori della ipotesi di cui all'articolo 185 Cp e delle altre
minori ipotesi legislativamente previste, attiene solo alle ipotesi specifiche di valori
costituzionalmente garantiti (la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero, ecc.), ma in
questo caso non vi è un generico danno non patrimoniale “esistenziale”, ma un danno da lesione di
quello specifico valore di cui al referente costituzionale».
Il no al danno esistenziale, pronunciato da Cassazione 15022/05, si fonda — a nostro avviso — su
due errori alquanto evidenti e facili da segnalare: a) una confusione tra due degli elementi costitutivi
dell’illecito aquiliano, ossia tra l’interresse protetto attinto dalla lesione ed il danno che a quella
lesione consegue; b) l’insostenibile affermazione di tipicità del «nuovo» danno non patrimoniale.
LA CONFUSIONE TRA INTERESSE PROTETTO E DANNO. Guardiamo al primo aspetto. Se
proviamo a scomporre i diversi segmenti di cui è costituito l’illecito aquiliano, possiamo di certo
isolarne due: da un lato l’interesse protetto, leso dal «fatto doloso o colposo» del danneggiante,
dall’altro lato il danno da risarcire. Quando la condotta attinge l’interesse protetto, si realizza quello
che, utilizzando una formula conosciuta, può definirsi come danno-evento. Ma la lesione
dell’interesse, il danno-evento, non è ancora danno da risarcire. Danno da risarcire, invece, è la
perdita, patrimoniale o non patrimoniale, che la lesione dell’interesse determina: è la conseguenza
di questa. Questo punto, in verità, è fondamentale e ha da essere tenuto costantemente fermo —
vedremo tra breve perché — come in effetti è stato per lungo tempo ed è tuttora. Sappiamo bene
che, ad un dato momento, la storica Corte cost. 184/86 ha utilizzato la nozione di danno-evento,
danno in sé considerato, per riconoscere la risarcibilità del danno biologico. Ma di quella finzione
non vi è ormai più bisogno, come ha chiarito proprio Cassazione 8828/03: «Volendo far riferimento
alla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza — ha affermato la pronuncia,
riferendosi in particolare al danno non patrimoniale — si tratta di danno-conseguenza».
E allora. Se si tiene presente la distinzione tra interesse, leso dall’illecito, e danno da risarcire,
conseguente alla lesione dell’interesse, ben si comprende che tra natura dell’interesse (patrimoniale
o non patrimoniale) e natura del danno da risarcire (patrimoniale o non patrimoniale) non vi è
corrispondenza biunivoca: la lesione di un interesse patrimoniale, cioè, dipanandosi per li rami delle
conseguenze, può produrre, a valle, un danno non patrimoniale; la lesione di un interesse non
patrimoniale può produrre un danno patrimoniale. Pensiamo, ad esempio, all’interesse proprietario
protetto dalla servitus altius non tollendi: la sua lesione produrrà secondo i casi danno patrimoniale
(diminuzione di valore del bene) o danno non patrimoniale (diminuzione di aria e luce a carico degli
abitanti dell’immobile), o, in diversa misura, entrambi. Pensiamo, ancora, all’interesse alla salute o
meglio — diremmo in senso più ampio — all’interesse «ecologico» protetto dalla disciplina sulle
onde elettromagnetiche o sulle immissioni sonore: la sua lesione produrrà danno patrimoniale
(diminuzione di valore, ancora una volta, dell’immobile troppo prossimo alla fonte perturbatrice) o
danno non patrimoniale (peggioramento della qualità della vita degli abitanti dell’immobile; vero e
proprio danno biologico), o entrambi.
Ecco, dunque, che, quando Cassazione 15022/05 discorre di «danno da lesione di quello specifico
valore di cui al referente costituzionale», riferendosi al rapporto parentale, mostra di non
comprendere che la lesione dell’interesse alla conservazione di quel rapporto, certamente tutelato
dall’ordinamento giuridico, non determina ancora, e tanto meno necessariamente, un danno non
patrimoniale, non è ancora danno non patrimoniale risarcibile.
Il lettore perdonerà se l’esempio che segue potrà apparire estremo o addirittura paradossale: ma, se
a seguito dell’uccisione della moglie da parte di un pirata della strada, il marito che ormai la
detestava non versa una lacrima, non soffre, non va incontro ad un peggioramento delle sue
condizioni di vita, non si ammala, ma anzi incamera finalmente il lauto patrimonio della defunta
che ella, avara all’estremo, teneva per sé, e lo spende allegramente con la giovane e splendida
amante, diremo noi che questi, avendo subito la lesione dell’interesse alla conservazione del
rapporto parentale tutelato dall’ordinamento, ha per questo subito un danno non patrimoniale
risarcibile? Mi augurerei di no.
Non basta, dunque, definire il danno non patrimoniale attraverso la sola natura dell’interesse
tutelato dall’ordinamento, ché il giurista ha il compito ulteriore di individuare, a valle di esso, il
danno risarcibile: e quel danno, dal versante non patrimoniale, può consistere in un interno sentire,
quale è il danno morale soggettivo, o in uno scadimento delle condizioni «mondane», qual’è il
danno esistenziale, o in una compromissione delle condizioni di salute, qual è il danno biologico.
LA PRETESA TIPICITÀ DEL DANNO NON PATRIMONIALE. Esaminiamo, poi, il secondo
aspetto. Ciò che maggiormente sorprende in Cassazione 15022/05 è l’affermata — un po’ troppo
sbrigativamente a dire il vero — tipicità del danno non patrimoniale. Il semplice ragionamento della
Sc, davvero troppo semplice, si riassume in ciò, che l’articolo 2059 Cc ammette il risarcimento nei
soli casi previsti dalla legge, casi che la svolta della primavera-estate 2003 avrebbe semplicemente
ampliato, riconducendo ad essi anche le lesioni di valori personali costituzionalmente tutelati.
Nel proporre questa affermazione la Sc sembra però non avvedersi che essa involge l’assunto che
parimenti tipici e nominati siano i valori personali protetti dalla Costituzione. Ma un simile assunto
non ha ormai più fautori e, palesemente, guardando al diritto vivente, non ha nessun fondamento.
L’articolo 2 Cost., tanto per cominciare, tutela i «diritti inviolabili dell'uomo»: sono tipici quei
diritti? Cioè sono soltanto quelli che successivamente la Costituzione elenca? Provate a cercare
nella Costituzione i diritti della personalità atipici: il diritto all’identità personale, ad esempio (a
partire dalla nota Cassazione 3769/85, in Giust. civ., 1985, I, 3049, Foro it., 1985, I, 2211). Provate
a cercare il diritto all’abitazione, il quale rientra «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità
cui si conforma lo Stato democratico» (Corte cost. 217/88, tra le molte). Non li troverete. E la
sessualità? Pensate forse che i padri costituenti abbiano dedicato un qualche esplicito passaggio
della Carta fondamentale alla sessualità? Nient’affatto: piuttosto Aldo Moro riteneva che l’articolo
2 Cost. coprisse «l’intangibile diritto delle donne di dedicarsi ai lavori domestici» (v. Barbera, nel
Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, vol. I, pag. 51), diritto del quale abbiamo
disgraziatamente perso ormai ogni traccia. Ed invece oggi è la stessa Sc a dirci che: «La sessualità
costituisce uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, che va ricompreso tra le
posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili
della persona umana che l'articolo 2 Cost. impone di garantire» (Cassazione 9801/05, in D&G,
2004, 22, 14). L’articolo 2, insomma, a non voler essere orbi, è una clausola generale. Ma se
l’articolo 2059 Cc rinvia all’articolo 2 Cost., come è mai possibile che il danno non patrimoniale sia
tipico?
E ci fermiamo all'articolo 2 Cost.. Immaginate quanto velleitario sarebbe ricostruire in termini di
tipicità il danno non patrimoniale dalle rimanenti disposizioni dell’intera prima parte della
Costituzione, a cominciare dal non esattamente marginale articolo 3.
Fin qui la Costituzione. Ma l'impostazione secondo cui l'articolo 2059 c.c. non può limitare la
risarcibilità del danno quando l'interesse è protetto da una norma sovraordinata non funziona solo
per la Costituzione, ma deve funzionare anche per le fonti internazionali recepite attraverso
l'articolo 10 Cost. e per quelle sovranazionali (in primo luogo europee) che vanno a collocarsi, nella
gerarchia, al di sopra delle norme di rango ordinario. Ovvio che parlare di tipicità dinanzi ad un
simile magma (Diritti dell’uomo, Convenzione di New York sui bambini, Costituzione europea,
quando sarà accolta, ecc.) è, se possibile, ancor più inesatto.
Solo un cenno alla legge ordinaria. La Costituzione non vive nell'empireo dei suoi 139 articoli, ma
si è realizzata attraverso un ampio ventaglio di norme ordinarie. Accenniamo ad alcune:
ordinamento penitenziario (legge 354/75); parità di trattamento uomo-donna (legge 903/77);
trattamenti sanitari (legge 180/78); rettificazione di sesso (legge 164/82); trattamento dati personali
(legge 675/96); pubblicità ingannevole (decreto legislativo 74/92); discriminazione razziale, etnica
e religiosa (decreto-legge 122/93, convertito in legge 205/93); tutela dell’infanzia e adolescenza
(legge 285/97); lavoro dei disabili (legge 68/99). E si può accennare ancora alle varie normative
sulla cittadinanza, sull’adozione, sulla tutela dei consumatori, sulle barriere architettoniche, sullo
sciopero nei servizi pubblici, sull’handicap, sull’aborto, sull’immigrazione e la condizione dello
straniero, in materia di ecologia, sull’amministrazione di sostegno e così via.
Ed allora, ciò che occorre riconoscere è che l’articolo 2059 Cc non è stato reso solo un po’ più
pervio: è stato nella sostanza abrogato — se così si può dire — dall’interpretazione
costituzionalmente orientata che la Sc ne ha dato. E sostituito da una sorta di articolo 2043 bis
dedicato al danno non patrimoniale. Di qui, con la Costituzione di mezzo, non è facile tornare
indietro attraverso qualche giochetto esegetico. Sostenere oggi la tipicità del danno non
patrimoniale, come Cassazione 15022/05 ha inteso fare, significa insomma dimenticare il quadro in
cui la disciplina della responsabilità civile si muove.
LA PAURA DELLE PAROLE. Un altro aspetto di Cassazione 15022/05 suscita — più che critiche
— curiosità. La sentenza, in effetti, appare tutta tesa a dimostrare che la perdita di un congiunto non
produce solo danno morale soggettivo (il «dentro», il dolore passeggero), ma anche modificazioni
peggiorative delle condizioni di vita quotidiana dei sopravvissuti (il «fuori», il danno esistenziale).
Seguite questo florilegio di citazioni tutte tratte dalla medesima sentenza. «Il danno non
patrimoniale di cui all’articolo 2059 Cc, non può più essere identificato … soltanto con il danno
morale soggettivo, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo transeunte».
Ed ancora: «L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto … si
concreta nell’interesse … all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici
della persona». Tale interesse, badate bene, «si distingue sia dall’interesse al “bene salute” … sia
dall’interesse all’integrità morale … tutelato attraverso il risarcimento del danno morale
soggettivo». Ascoltate, infine, questo passaggio di schietta (ma evidentemente inconscia)
ispirazione esistenzialista: «La sentenza impugnata non dà atto … che questi [il primo giudice:
n.d.r.] avesse tenuto conto dello sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare».
Bisognava dunque che il giudice tenesse conto — prestate attenzione — dello sconvolgimento delle
abitudini di vita.
Insomma, la sentenza dice e ripete con chiarezza più che lodevole che entro il danno non
patrimoniale non vi è solo il danno morale soggettivo, ma vi è anche il danno biologico ed un
ulteriore danno che ha a che fare con le attività realizzatrici della persona e, nientemeno, con lo
«sconvolgimento delle abitudini di vita». Ma se il danno esistenziale non è questo, che cos’altro è?
Si potrebbe allora alternativamente ipotizzare, dinanzi a tale evidente incomprensione di Cassazione
15022/05, o che la Sc non abbia capito che cosa il danno esistenziale è, oppure che coloro i quali ne
ammettono la figura non si siano saputi spiegare. Ma le due ipotesi sono entrambe errate. Gli
esistenzialisti si sono spiegati, tanto che, come subito di vedrà, la Sc ha capito benissimo.
Il SÌ DELLA CASSAZIONE AL DANNO ESISTENZIALE. La Sc ha capito benissimo, ed anzi ha
giustamente rivendicato anche a sé l’elaborazione della figura. La recentissima Cassazione
19354/05 ha infatti esattamente ricordato, anzitutto, come «la figura del danno “esistenziale” sia
stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di questa Corte». Non solo prodotto di
origine dottrinale, non solo frutto della giurisprudenza di merito, non certo opera di stravaganti
giudici di pace. Il pensiero corre subito alla coraggiosa Cassazione 7713/00, in D&G, 2000, 23, 23,
alla quale va riconosciuto il merito di avere per prima, in sede di legittimità, compreso la portata
innovativa del nuovo protagonista della responsabilità civile. Ma da Cassazione 7713/00 ad oggi
molto cammino è stato fatto. Il danno esistenziale, in Cassazione 19354/05, è ormai espressamente
definito, in positivo, quale pregiudizio «capace di ostacolare "le attività realizzatrici della persona
umana"», riflettendosi «sulla vita di relazione del … soggetto». E quel pregiudizio concorre a
definire il territorio del danno non patrimoniale, di cui costituisce autonoma voce: «appare evidente
come il pregiudizio esistenziale costituisca una “voce” del danno» non patrimoniale».
Ed i meriti di Cassazione 19354/05 non terminano qui, anzi. Il pregio forse maggiore della
pronuncia — per quanto strano possa apparire — è di aver negato il risarcimento del danno
esistenziale al preteso danneggiato il quale sosteneva che, a causa della eccessiva durata del
processo di divorzio consensuale, non aveva potuto nuovamente sposarsi ed era stato infine
«lasciato» dalla sua compagna. La Sc ha in tal modo mostrato di aver perfettamente chiaro che il
danno esistenziale è un danno-conseguenza e che, dunque, proprio perché non sta «dentro» ma
«fuori», si deve poter toccare con mano e, in giudizio, si deve rigorosamente provare, salvo che non
soccorra (ma non era certamente questo il caso) il ragionamento presuntivo fondato sull’id quod
plerumque accidit. Il passo che segue, tratto ancora da Cassazione 19354/05, è melodia
esistenzialista: «Il danno cd. “esistenziale”, concretandosi in una modificazione dell'agire del
singolo, è agevolmente accertabile altresì in via oggettiva, ovvero sulla base di indici più sicuri (si
pensi al cambiamento dei propri usi di vita sociale, delle proprie scelte abituali e così via) di quelli
che suggeriscono l'esistenza di un danno morale soggettivo».
Questo, si diceva poc’anzi, è il punto fondamentale. Esigenza imprescindibile della tutela
risarcitoria è che il risarcimento non sia una pesca di beneficenza a spese vuoi del danneggiante che
dell’assicuratore: e quest’esigenza è soddisfatta proprio dall’impostazione consequenzialista,
giacché essa, guardando al danno nel suo concreto atteggiarsi, nel suo vero e reale contenuto,
permette di evitare quelle altrimenti possibili duplicazioni risarcitorie, esattamente stigmatizzate da
Cassazione 8828/03, che a torto gli antiesistenzialisti attribuiscono all’applicazione del danno
esistenziale. Piuttosto, gli hungry lawyers — che certo non mancano, e neppure suscitano la
simpatia di un Walter Matthau in «Non per soldi ma per denaro» — hanno da sperare
dall’impostazione sostanzialmente eventista che confonde danno risarcibile e lesione dell’interesse
protetto.
I CONFINI DEL DANNO ESISTENZIALE SONO INCERTI E NON DEFINITI? Un ultima
questione merita ancora un cenno. La già esaminata Cassazione 15022/05 discorre di una «generica
categoria di "danno esistenziale" (dagli incerti e non definiti confini)». Qualcosa di simile si ritrova
in Cassazione 6732/05, ove si legge, in sostanza, che la prospettiva esistenzialista riflette «una
eterogeneità di situazioni che rendono difficile una classificazione categoriale generale».
Qui si potrebbe rispondere provocatoriamente che è categoria dagli incerti e non definiti confini
anche quella del danno patrimoniale, giacché tra danno emergente e lucro cessante c’è una parentela
molto ma molto lontana. Ma non è questa la replica che intendiamo offrire. Il punto è che in caso di
morte del congiunto per l'illecito di un terzo (troppe le sentenze sul tema per effettuare citazioni); di
lesioni al congiunto, con obbligo di assisterlo (Trib. Bergamo 24 febbraio 2003, in Danno e resp.,
2003, 547; Trib. Lecce 5 ottobre 2001, in Resp. civ. prev., 2002, 1146); di rinuncia forzata ai
rapporti sessuali col coniuge (Trib. Lecce 5 ottobre 2001, in Resp. civ. prev., 2002, 1146); di
violenza sessuale al congiunto (Trib. Agrigento 4 giugno 2001, in Giur. it., 2002, I, 2, 952); di
interruzione forzosa della gravidanza provocata dall'illecito (Trib. Torre Annunziata 25 marzo 2002,
in Fam. dir., 2002, 509); di nascita indesiderata per errato intervento di vasectomia (Trib. Busto
Arsizio 17 luglio 2001, in Resp. civ. prev., 2002, 441); di tardiva diagnosi di malformazione del feto
(Trib. Locri 6 ottobre 2000, in Giur. it., 2001, I, 2, 735; App. Perugia 28 ottobre 2004, I contratti,
2005, 975); di errata diagnosi con ritardo nelle cure (Trib. Genova 29 novembre 2002, in Nuova
giur. civ. comm., 2003, 786); di trasfusione contro la volontà del paziente, per ragioni religiose
(Trib. Pordenone 11 gennaio 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2002, 663); di violazione dell'obbligo
di mantenimento (Trib. Rovereto 19 dicembre 2002, in Dir. fam. pers., 2003, 99); di mancanza di
assistenza da parte del marito che aveva costretto la moglie malata di mente in condizioni degradate
(Trib. Firenze 13 giugno 2000, Danno e resp., 2001, 741); di violazione dei doveri coniugali nel
periodo della gravidanza (Trib. Firenze 13 giugno 2000, Danno e resp., 2001, 741); di minacce e
molestie a una donna dall’ex convivente (Trib. Milano 15 marzo 2001, in Giur. it., 2001, I, 2, 78);
di crollo di un'abitazione, con alterazione delle attività degli abitanti (Trib. Milano 15 giugno 2000,
Resp. civ. prev., 2001, 461); di immissioni intollerabili (Trib. Venezia 27 settembre 2000, in Danno
e resp., 2001, 524; GdP Frosinone 11 ottobre 2001, in Danno e resp., 2003, 206; App. Milano 14
febbraio 2003, in Giust. civ., 2004, I, 227); di ridotta godibilità dell'abitazione (Trib. Roma 10
ottobre 2001, in Cendon e Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Giuffrè, 2003, 310; App.
L’Aquila 27 febbraio 2001, ibidem); di mobbing (Trib. Pisa 6 ottobre 2001, in Cendon e Ziviz, cit.,
205 e 299; Trib. Milano 28 febbraio 2003, in Or. giur. lav., 2003, 91; Trib. Pinerolo 6 febbraio
2003, in Giur. it., 2003, I, 2, 2295; Trib. Forlì 15 marzo 2001, in Giust. civ., 2002, I, 208); di
demansionamento (App. Milano 6 ottobre 2003, in Or. giur. lav., 2003, 507; Trib. Pinerolo 6
febbraio 2003, cit.; Trib. Forlì 8 novembre 2001, in Cendon e Ziviz, cit., 296); di infortunio sul
lavoro (Trib. Parma 17 aprile 2003, in Riv. crit. dir. lav., 2003, 668); di violenza sessuale ad una
lavoratrice (Trib. Milano 9 maggio 2003, in Riv. crit. dir. lav.; 2003, 649); di eccessiva durata del
processo (App. L’Aquila 12 marzo 2002, in PQM, 2002, 69); di numerose altre più recenti
pronunce che non abbiamo ormai più spazio per citare e che, comunque, non potrebbero per il loro
numero essere elencate tutte (si rinvia, al riguardo, a personaedanno.it), c’è sempre un tratto in
comune. E tale elemento è costituito nel non poter più fare ciò che di appagante, gradevole,
gratificante si faceva in precedenza, ovvero nel dover fare quanto di sgradevole, faticoso,
insoddisfacente si è, in conseguenza dell’illecito, costretti a fare.
Sono tutti uguali i dolori raccolti sotto la voce danno morale soggettivo? Non lo sono. E sono tutte
uguali le malattie qualificabili come danno biologico? Non lo sono. Non sono tutte uguali neppure
le attività realizzatrici della persona rilevanti quali danno esistenziale, che il giudice di volta in volta
scrutinerà. Ma la cifra è comune: è sempre l’impedimento all’esercizio di attività realizzatrici della
persona, quelle attività che sono coessenziali alla vita degli uomini insieme ad altri uomini, che
sono proprie — se non incorriamo in retorica nel concludere con una citazione troppo «alta» —
dell’uomo «essere politico e portato naturalmente alla vita in società», come nella definizione di
Eth. Nic., I, 1169b, 18.
COME SI RISOLVERÀ IL CONTRASTO? Abbiamo già detto che nuove decisioni
antiesistenzialiste, con tutta probabilità, vi saranno. E non sappiamo dire come il contrasto si
risolverà e se, prima o poi, sulla questione del danno esistenziale avranno a pronunciarsi le sezioni
unite. E però, pur con tutta la cautela necessaria, possiamo ragionevolmente prevedere che la
vittoria del danno esistenziale segnata da Cassazione 19354/05 possa rimanere isolata, quando la
giurisprudenza di merito spinge in misura più che consistente nello stesso senso, una volta che si sia
constatato che quella vittoria altro non è che la vittoria, anzitutto, della Costituzione?