INDONESIA Il Paese islamico più popoloso del mondo, si conferma una nazione che – attraverso la Costituzione e i Pancasila [principi fondamentali dello Stato] – persegue, almeno nelle intenzioni, la difesa dei diritti umani e il rispetto della libertà religiosa. Il Governo guidato dal Presidente Susilo Bambang Yudhoyono, confermato ai vertici del Paese alle elezioni politiche del 2009, ha promosso iniziative significative nella lotta all’intolleranza e alla repressione a sfondo confessionale, in particolare nelle zone più “sensibili” come Ambon e le Sulawesi centrali. Nonostante questo, nel 2011 tolleranza e pluralismo sono state macchiate da episodi di violenza inter-religiosa e le minoranze sperimentano – tuttora– intimidazioni, discriminazione e abusi; il Governo, per convenienza politica o incapacità, finisce per tollerare le attività dei gruppi estremisti e, al contempo, polizia e magistratura non reprimono con reale efficacia le violenze. Si registrano infatti casi in cui gli estremisti islamici influenzano palesemente – attraverso azioni di lobby, dimostrazioni di piazza o prove di forza – l’agenda pubblica e le scelte del Governo, oltre ai comportamenti di giudici, magistrati e politici. In linea generale emerge che la maggioranza delle comunità religiose opera in modo aperto e senza particolari restrizioni, soprattutto i membri delle sei religioni riconosciute ufficialmente: islam, buddismo, induismo, cattolicesimo, protestantesimo e confucianesimo. L’unione di forze e gruppi, compresi gli islamici moderati e ampie parti della società civile, ha cercato di opporsi alle violenze, agli abusi, alle violazioni compiute anche mediante le norme basate sulla Shariah, in vigore in alcune zone. Ma la battaglia per la pari dignità e il diritto non è bastata a prevenire attacchi e intimidazioni contro le minoranze religiose. Nonostante la Costituzione sancisca la libertà di culto, alcune leggi nazionali e provinciali – come quella sulla blasfemia e il rilascio del necessario permesso per l’edificazione di luoghi di culto – sono divenute il pretesto per sferrare attacchi contro le minoranze. Ad Aceh è in vigore la legge islamica, applicata con puntualità dal Governo provinciale dopo il riconoscimento ufficiale della Shariah, avvenuto nel 2003 con un Decreto presidenziale. In teoria, cristiani e altre minoranze religiose non dovrebbero essere interessati dalla sua applicazione, tuttavia – le rigide norme sull’abbigliamento e la condotta, il divieto di vendere e consumare alcol, la messa al bando del gioco d’azzardo, le punizioni previste per i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, tutti puniti con pene corporali e multe severe – finiscono per ricadere direttamente o indirettamente non solo la maggioranza islamica. Che l’arcipelago indonesiano, pur affermando i valori di libertà e pluralismo, sia a rischio fondamentalismo e registri alcuni fenomeni di tipo estremista e terrorista, è testimoniato anche dal Wahid Institute1 che porta il nome dell’ex-Presidente della Repubblica e leader del Nahdlatul Ulama (NU), la più importante organizzazione musulmana moderata che conta oltre 20 milioni di aderenti. Secondo l’Istituto, la responsabilità maggiore dell’intolleranza a sfondo confessionale è attribuibile dei movimenti musulmani estremisti come il Fronte dei difensori dell’Islam e il Consiglio degli ulema (MUI). In Indonesia vi è tuttavia anche una consistente quota di musulmani moderati, intellettuali e leader religiosi che considerano inaccettabile la crescita del fanatismo religioso, legato a doppio filo alla campagna di islamizzazione voluta dai gruppi terroristi. 1 www.wahidinstitute.org: Executive summary report on religious freedom and tolerance 2010 Il principio della libertà religiosa, spiegano gli attivisti, non è solo una questione strettamente legata alla sfera personale dei diritti dell’uomo; essa finisce per riguardare anche il sistema Paese e – se non viene fatta rispettare – diventa una minaccia per la tradizione e gli ideali di una nazione che vuole ispirarsi alla tolleranza e ai principi fondanti della democrazia. Violenze contro i cattolici Nel dicembre 2010, alla vigilia delle festività natalizie, luoghi di culto e simboli cattolici sono più volte finiti nel mirino dei fondamentalisti islamici e, solo per puro caso, non si sono registrate numerose vittime innocenti. Il primo dicembre 2010 a Yogyakarta, nel cortile del santuario della Vergine Maria di Sendand Sriningsih (Distretto di Prambanan), un bambino disabile ha scoperto quattro bottiglie piene di benzina con cavi e detonatori. Secondo i cattolici del luogo e il signor Ignatius Warno Lastoyo, gestore dei locali del santuario, la bomba aveva uno scopo preciso: uccidere le centinaia di pellegrini provenienti da parrocchie vicine per assistere alla Messa comunitaria celebrata mensilmente nel santuario e attesi per il giorno seguente. Il santuario della Vergine Maria è stato fondato nel 1936, quando padre Harjosuwondo, gesuita della parrocchia di Wedi, il signor Wongsosentono, capo-villaggio locale, e Bei Sutopanitro, catechista, decisero di creare un luogo di pellegrinaggio per i cattolici in Prambanan.2 Il 7 dicembre 2010 sono esplose due bombe nella chiesa di Cristo Re, nel distretto di Gawok (Kartasura, Central Java); l’esplosivo era posizionato all’interno di due bidoni del latte, pieni di chiodi e pietre. All’indomani dell’attentato, l’arcivescovo di Semarang, monsignor Johannes Pujasumarta, ha invitato la comunità cattolica alla calma e chiesto alle autorità di individuare i responsabili3. Alla vigilia di Natale, a Bogor, il capo del distretto ha invece proibito qualsiasi attività o celebrazione pubblica, compresa la Messa della mezzanotte, ai cattolici della chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista a Parung, provincia di West Java. Il divieto ufficiale, tramite una lettera, è stato motivato con le solite ragioni usate da anni in occasione delle principali festività: la mancanza di un’autorizzazione per costruire un edificio religioso (la Izin Mendirikan Bangunan), senza la quale il Governo proibisce all’amministrazione della parrocchia persino di pregare sul proprio terreno4. Se il 2010 si chiude fra minacce e abusi, l’inizio del nuovo anno non serve a riportare pace e serenità in seno alla comunità cattolica. Il 7 gennaio 2011 «Persecution.org e Ucanews» riferiscono delle minacce di un gruppo estremista indonesiano – il Fronte di difesa islamico (Islamic Defenders Front) – pronto a interrompere, anche con l’uso della forza, un incontro di preghiera cristiano e una conferenza sui diritti umani e la libertà religiosa nel Paese 5. A distanza di un mese, le minacce diventano amara realtà: migliaia di musulmani inferociti la mattina dell’8 febbraio hanno infatti attaccato tre chiese, un orfanotrofio cristiano e un centro sanitario, anch’esso cristiano, nella reggenza di Temanggung (Java Centrale). Solo l’intervento della polizia ha scongiurato ulteriori violenze. La folla ha assaltato anzitutto il tribunale dove si è tenuto un processo contro Antonius Richmond Bawengan, un cristiano nativo di Manado 2 Asia News, 03/12/2010 Asia News, 09/12/2010 4 Asia News, 20/12/2010 5 Persecution.org, 07/01/2011 3 (North Sulawesi), accusato di proselitismo e blasfemia. Bawengan era stato arrestato nell’ottobre 2010, perché durante una sua visita a Temanggung aveva distribuito materiale missionario stampato, in cui fra l’altro si prendevano in giro alcuni simboli islamici. Il blasfemo è stato condannato a cinque anni di prigione, ma la folla esigeva la condanna a morte. A causa dell’insoddisfazione per il verdetto, sono cominciate le violenze6. Fra gli estremisti vi erano anche esponenti del Fronte di difesa islamico che hanno picchiato il parroco della chiesa cattolica dei Ss. Pietro e Paolo, perché aveva voluto difendere il tabernacolo da possibili profanazioni7. Nell’ottobre 2011 le violenze divampate fra forze dell’ordine e papuani – cittadini della più orientale fra le province indonesiane – hanno interessato anche alcune scuole cattoliche, teatro di assalti e raid della polizia alla ricerca di leader indipendentisti. Nell’assalto del 22 ottobre alcuni seminaristi avrebbero riportato leggere ferite, guaribili in qualche giorno. Nonostante la condanna, le irruzioni sono proseguite anche nelle ore successive, fra le proteste dei seminaristi e dei responsabili degli istituti8. Ma, come sempre accade nel Paese, è alla vigilia delle festività natalizie che si verificano gli episodi più seri di violazione alla libertà religiosa: il 15 dicembre il «Jakarta Globe» ha riferito che alcuni vandali avevano decapitato nella notte precedente una statua della Vergine Maria nella piccola grotta di Sendang Prawita a Tawangmangu nella arcidiocesi di Semarang (Central Java). Nell’attacco è stata rubata la croce e sono andate distrutte le acquesantiere. Monsignor Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang ha commentato che «tale azione brutale ha turbato tutta la comunità cattolica» e ha lanciato un appello alle forze dell’ordine per garantire pluralismo e rispetto della libertà religiosa9. Nei giorni precedenti un presidio di estremisti islamici si era schierato nei dintorni della chiesa e appeso uno striscione minaccioso: «Noi, popolo musulmano di Parung, sosteniamo e metteremo in pratica il Decreto del Reggente N. 453.2/556 che ordina di fermare le attività religiose della chiesa cattolica di San Giovani Battista». Fonti locali confermano che la Regency di Bogor (unità amministrativa) ha emesso un’ordinanza che «vieta ai cristiani attività religiose pubbliche» e, di fatto, impedisce ai cristiani di celebrare il Natale, adducendo «motivi di sicurezza», affermando che «è una storia che si ripete e che è avvenuta anche lo scorso anno, quando il Natale è stato celebrato in un parcheggio»10. Gli “avvertimenti” lanciati da gruppi fondamentalisti si sono intensificati alla vigilia di Natale, in particolare a Bogor, provincia di West Java: le celebrazioni natalizie sono “a rischio”, soprattutto per i fedeli della parrocchia di San Giovanni Battista, da tempo al centro di una controversia fra cristiani e musulmani che ruota – come sempre – attorno al permesso di costruzione dell’edificio. Padre Benny Susetyo, segretario esecutivo della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi), ha parlato di «metodi non amichevoli» dei fondamentalisti islamici che finiscono per «minare lo spirito del Pancasila»; il sacerdote punta anche il dito 6 Asia News, 08/02/2011 AgenziaFides, 08/02/2011 8 Ucanews, 27/10/2011 9 Ucanews, 19/12/2011 10 Agenzia Fides, 21/12/2011 7 contro i funzionari governativi locali che non hanno mai voluto trovare un accordo in merito alla vicenda che riguarda il luogo di culto11. Minacce e attacchi contro cristiani non cattolici All’inizio del 2011 ha ripreso vigore la contesa – che durerà l’intero anno – fra i fedeli della Yasmin Church, a Bogor, e il governo e la polizia del West Java. Dal 2008 le autorità hanno messo i sigilli al luogo di culto e rifiutano di applicare una sentenza della Corte suprema che, il 14 gennaio, ha stabilito la legittimità delle rivendicazioni della minoranza religiosa locale. Il 18 febbraio da un’aula di tribunale dove si trova imputato in un processo per incitamento all’odio religioso, Murhali Barda, leader musulmano radicale dell’Islamic Defenders Front (FPI), ora sospeso dal Movimento, ha lanciato nuove, pesanti minacce contro i cristiani residenti nell’area di Bekasi, uno dei vasti sobborghi della “grande Jakarta”. Le nuove minacce si rivolgono soprattutto alla Batak Christian Protestant Church: Barda ha invitato tutti i cristiani ad abbandonare la zona, pena reazioni violente dei “guerrieri musulmani”12. A fine giugno del 2010, Bekasi è già stata teatro di violenza dei militanti islamici che hanno accusato i fedeli di voler “cristianizzare” la città. Il 24 febbraio 2011 viene inflitta una lieve condanna ai danni degli autori di un assalto a un chiesa protestante, tutti membri del Fronte di difesa islamico, nel settembre 2010. Nell’attacco – causato da dispute sulla costruzione di una chiesa – è stata ferita anche Luspida Simanjutak, che insieme al pastore guida la Huria Batak Kristen Protestan: la donna ha riportato tagli al volto, alla testa e alla schiena13. Il 10 marzo, nel distretto di Sleman, a Yogyakarta, un leader fondamentalista islamico ha ottenuto la chiusura di una chiesa protestante denunciando presunte irregolarità, fra cui la mancanza del permesso di costruzione e l’accusa di proselitismo promossa ai danni del reverendo. In realtà, fonti locali confermano che il pastore ha sempre favorito il dialogo interreligioso, sostenendo gli studi di cinque ragazzi di fede islamica senza l’intenzione di convertirli14. A inizio aprile, il nuovo capitolo della “guerra” che ha indotto i fedeli a pregare in strada: il sindaco di Bogor Diani Budiarto ha infatti intimato ai cristiani di accettare il trasferimento del luogo di culto, una decisione a cui i fedeli non intendono adeguarsi, facendo appello ai musulmani moderati, affinché si adoperino per il rispetto della libertà religiosa. A metà aprile, scoppia una rivolta di piazza nel Distretto di Kuantan Singingi (Kuansing) nell’isola di Sumatra, divampata in seguito ai risultati delle locali elezioni amministrative; la violenza ha incendiato una chiesa cristiana e un ufficio della Commissione elettorale15. Il 17 maggio, come ha denunciato il presidente del Setara Institute, si è verificato un nuovo episodio di violenze anti-cristiane: gruppi estremisti islamici hanno interrotto due funzioni legate alla Pasqua a Cirebon – città di confine fra West e Central Java – nell’indifferenza della polizia che non è intervenuta per impedire le violenze. In Indonesia, cattolici e protestanti sono soliti organizzare celebrazioni legate alla Pasqua, anche a settimane di distanza dalla festività ufficiale, con il proposito di rafforzare la fede e l’amicizia all’interno della comunità, attraverso 11 AsiaNews, 23/12/2011 Agenzia Fides, 18/02/2011 13 Compass direct news, 10/03/2011 14 AsiaNews, 10/03/2011 15 AsiaNews, 04/04/2011 12 la recita del rosario, giochi per i più piccoli – fra cui la celebre “caccia all’uovo” pasquale – e altre attività di sfondo sociale16. Il primo agosto, in concomitanza con l’inizio del Ramadan, una folla composta da un centinaio di persone ha assalito e dato fuoco a due chiese domestiche protestanti di Logas Tanah Darat, nella reggenza di Kuantan, provincia di Riau (Sumatra). Il nuovo attacco contro la minoranza cristiana, secondo alcuni esperti interpellati dal «Jakarta Globe», è anche conseguenza delle pene “morbide” comminate in precedenza dai giudici contro estremisti e leader islamici in Indonesia. Uno dei due luoghi di preghiera dati alle fiamme apparteneva alla Batak Karo Protestant Church (GBKP). Sahat Tarigan, leader provinciale di questa formazione, ha riferito di almeno 100 persone che brandendo armi, si sono riunite attorno all’edificio lanciando slogan ostili. A fine agosto torna invece alla ribalta la polemica attorno alla Yasmin Church, con una presa di posizione del sindaco di Bogor Diani Budiarto, secondo cui «nessuna chiesa – a dispetto di quanto stabiliscono il Governo e la Corte suprema – sarà mai costruita in una strada islamica» che è sotto la sua giurisdizione. La strada in cui andrebbe edificata la chiesa è intitolata ad Abdullah bin Nuh, famoso leader religioso islamico di Cianjur, nel West Java, scomparso nel 1987. Per Diani Budiarto, costruire un luogo di culto cristiano equivale a oltraggiare il ricordo dell’esperto di legge musulmano. In realtà, il figlio di Abdullah bin Nuh – Muhammad Mustofa, pure lui leader religioso – ha chiarito di non nutrire obiezioni in merito alla realizzazione di un luogo di culto cristiano protestante nella via dedicata al padre, ma questo non è servito a far cedere il sindaco “estremista”17. A settembre 2011 riesplodono le violenze islamo-cristiane nelle Molucche: gli scontri hanno provocato tre morti (un cristiano e due musulmani) e 60 feriti. Monsignor Petrus Canisius Mandagi, vescovo di Ambon, ricostruisce così l’accaduto: «Tutto è iniziato per un banale incidente automobilistico, in cui è stato coinvolto l’autista di una moto-taxi, un musulmano, che attraversava il quartiere cristiano di Ambon». La città infatti – dopo il conflitto fra cristiani e musulmani di 10 anni or sono – è ancora divisa in un quartiere tutto cristiano e uno completamente musulmano. «I cristiani – racconta il vescovo – hanno soccorso l’uomo e hanno provato a portarlo in ospedale, ma purtroppo è morto durante il trasporto. A questo punto sono iniziati a circolare SMS falsi e provocatori che parlavano di un musulmano ucciso da cristiani. Così sono cominciati gli scontri. I musulmani hanno attaccato i cristiani lungo il confine dei due quartieri e, a loro volta, i cittadini cristiani hanno contrattaccato i musulmani. Gli scontri hanno fatto morti e feriti: ne siamo profondamente addolorati». Già in passato nelle Molucche si sono registrati gravi conflitti di natura confessionale fra cristiani e musulmani che hanno causato morti e feriti. L’arrivo nel 1999 nella zona di migliaia di coloni musulmani, provenienti da altre parti dell’Indonesia, ha innescato il conflitto che è continuato fino al 2002 e ha causato almeno 9mila morti in ripetuti incidenti. La firma di un Trattato di pace fra i due fronti avvenuta nel febbraio 2002 – il Trattato di Malino, siglato nelle Sulawesi del Sud – ha messo fine al conflitto, ma non impedisce però il divampare di sporadici episodi di violenze18. Il 25 settembre 2011 un attentatore suicida si è fatto esplodere in una chiesa di Kepunton, a Solo (Java centrale) uccidendo tre persone e ferendone almeno 20. Il kamikaze ha fatto irruzione nel 16 AsiaNews, 19/05/2011 Compass direct news, 15/08/2011 18 Agenzia Fides, 12/09/2011 17 luogo di culto al termine della Messa e si è fatto saltare in aria. Due giorni più tardi, il 27 settembre, la polizia di Ambon ha rinvenuto tre ordigni artigianali all’interno della chiesa protestante Maranatha e nei pressi della locale stazione degli autobus. Secondo le autorità, le attuali tensioni sono opera di gruppi islamici esterni alla regione. La strategia di collocare ordigni in luoghi affollati come mercati, edifici religiosi stazioni di treni e di autobus, è tipica dei gruppi estremisti islamici attivi nella zona di Poso (Sulawesi centrale)19. Il 30 settembre 2011 un gruppo di estremisti riconducibili al Fronte di difesa islamico (FPI), con l’avallo delle autorità, ha chiuso una chiesa protestante a Jatinangor, sotto-distretto di Bandung, capoluogo della provincia indonesiana di West Java. Come altre volte in passato, il sequestro del luogo di culto cristiano e l’interruzione delle attività religiose ad opera dei fondamentalisti, è avvenuto con l’aiuto dell’amministrazione locale. In precedenza erano circolate voci secondo cui la chiesa protestante era punto di ritrovo di una «comunità di neobattezzati». Inoltre, gli estremisti accusano il pastore Bernard Maukar – guida della comunità protestante – di proselitismo cristiano in un’area a grande maggioranza musulmana. Il capovillaggio di Mekargalih (luogo in cui sorge la chiesa, ndr) Arief Saefolah rivendica il diritto di chiudere l’edificio, perché sarebbe «illegale» a suo insindacabile giudizio: «Questa zona è sotto il mio comando – ha spiegato il leader di Jatinangor alla comunità cristiana – e, per favore, andatevene il prima possibile»20, ha affermato. A metà dicembre, a pochi giorni dal Natale, riesplodono le violenze confessionali ad Ambon: il bilancio aggiornato delle violenze inter-confessionali nella capitale delle Molucche è di 16 feriti, di cui uno al petto per un colpo di arma da fuoco. Nella prima mattinata del 13 dicembre due opposte fazioni, separate da una strada, si sono scontrate in un’aspra battaglia al termine della quale alcune abitazioni sono state date alle fiamme. Fonti locali riferiscono che la vicenda era iniziata nella tarda serata del 12, con uno scambio di improperi e il lancio di petardi fra i due opposti schieramenti. Nella notte la situazione è degenerata, sino a sfociare in una vera e propria guerriglia urbana nella mattinata, sedata solo dall’intervento della polizia. Gli agenti hanno sequestrato diverse armi da taglio “tradizionali”, insieme a bombe Molotov, frecce, machete e lance21. In occasione delle festività, giungono invece buone notizie per i fedeli della Yasmin Church: centinaia di Banser, il gruppo paramilitare musulmano che risponde agli ordini dell’organizzazione dei Nahdalatul Ulama (NU), la più grande associazione islamica moderata del Paese, hanno cooperato con l’organizzazione della Chiesa di Bogor per assicurare il tranquillo svolgimento delle feste di Natale. La necessità della partecipazione dei Banser è divenuta evidente quando a Bogor sono cominciate a circolare voci secondo cui decine di elementi radicali islamici locali non avrebbero esitato a “smantellare” ogni iniziativa organizzata per Natale dalla Gki, Yasmin Church. I fedeli, inoltre, avevano dovuto celebrare nell’abitazione privata di uno degli appartenenti alla Chiesa, perché le autorità avevano impedito l’accesso all’area in cui sorge il luogo di culto sotto sequestro; tuttavia, la presenza dei Banser è servita a garantire la sicurezza per tutto l’arco delle funzioni. La presenza di membri del Banser è stata notata anche a Solo, nella regione centrale di Java, dove centinaia di essi hanno assicurato la tranquillità all’esterno delle chiese durante le celebrazioni natalizie. «Siamo qui, come da accordi con l’organizzazione delle Chiese», aveva dichiarato Nurkholis, il 19 Persecution.org, 25/09/2011; 27/09/2011 AsiaNews, 03/10/2011 21 Ucanews, 15/12/2011 20 rappresentante di un gruppo giovanile dei Banser, i GP Ansor. Alle celebrazioni del Gki Yasmin Church c’erano anche Inayah Wahid: la figlia del defunto Presidente Abdurrahman Wahid, e la sorella Lily Wahid, una politica del National Awakening Party (PKB)22. Ahmadi, minoranza musulmana perseguitata Dal 2008 – anno dell’entrata in vigore del Decreto ministeriale congiunto che blocca le attività della minoranza religiosa considerata eretica dall’islam sunnita perché non riconosce Maometto quale ultimo profeta – gli ahmadi sono più volte finiti nel mirino degli estremisti islamici che hanno assaltato luoghi di culto e massacrato i fedeli nell’indifferenza delle autorità. Solo lo scorso anno, sono state colpite almeno 50 moschee ahmadi, altre 36 chiuse con la forza e numerosi fedeli sono rimasti uccisi nel corso di attacchi mirati. Dall’ottobre del 2011, inoltre, il culto è bandito a Bekasi e a Banjar (West Java). All’inizio del febbraio 2011, le cronache riportano «l’unanime condanna» di membri della società civile, leader religiosi e personalità del mondo islamico, per l’attacco avvenuto il 6 del mese contro una comunità ahmadi, attacco che ha causato morti e devastazioni. Le polemiche investono anche il Presidente Susilo Bambang Yudhoyono e l’esecutivo, incapaci di garantire l’incolumità di tutti i cittadini e la libertà di culto nel Paese. Una folla di almeno 1.500 estremisti ha assaltato l’abitazione di una famiglia del villaggio di Umbulan, nel sotto-distretto di Cikeusik, reggenza di Pandeglang (provincia di Banten, sull’isola di Java), torturando gli occupanti. Il bilancio dell’assalto è di tre morti, diversi ferite, due auto e una casa bruciate. A favore della comunità ahmadi si schierano il Nahdlatul Ulama (NU) e diversi gruppi di attivisti indonesiani che non risparmiano critiche anche al Presidente Yudhoyono perché promette molto, ma mantiene poco o nulla nei fatti. Nell’East Java un gruppo musulmano liberale denominato Anti Discrimination Islamic Networking (JIAD) invita le autorità provinciali a ritirare il decreto di bando verso i fedeli, perché esso può venire «manipolato» dagli estremisti e diventare causa di nuove violenze. A Samarinda, nell’East-Borneo, un gruppo locale ha promosso un dibattito pubblico per appianare i conflitti sociali23. Quando le violenze riguardano gli ahmadi, nemmeno la magistratura sembra interessata a restituire giustizia e dignità alle vittime; un problema annoso che si è ripetuto con drammatica puntualità anche nel caso degli attacchi del febbraio 2011. Il sistema giudiziario indonesiano è nuovamente al centro delle polemiche, perché «incapace di comminare» pene severe ed esemplari ai responsabili di violenze inter-confessionali. Il 28 luglio 2011, infatti, la Corte distrettuale di Serang, nella provincia di Banten (Java), ha emesso condanne “minime” contro 12 estremisti islamici, implicati nell’assalto contro la comunità ahmadi a Banten. A quanto riferisce uno dei membri dell’Islamic Lawyer Team (TPM) agli imputati sono state comminate pene variabili tra i tre e i sei mesi di prigione. Il pubblico ministero e i giudici hanno attribuito una parziale responsabilità alla minoranza religiosa che avrebbe «provocato» l’attacco degli assalitori. Gli ahmadi, secondo il pubblico ministero Yunis, avrebbero «sistematicamente provocato gli scontri»; in realtà, le pene lievi sarebbero il frutto delle pressioni della frangia fondamentalista islamica. Attivisti per i diritti umani e membri della società civile manifestano indignazione per le condanne decise dal tribunale, per le punizioni irrisorie rispetto alla gravità della vicenda24. 22 AsiaNews, 20/12/2011 Ucanews, 08/02/2011 24 AsiaNews, 20/07/2011 23 Violenze contro i musulmani Il fondamentalismo islamico sunnita, oltre ad essere causa di attacchi anche verso gli stessi musulmani, genera una serie di normative, divieti, regole comportamentali che – insieme al diritto alla libertà religiosa – violano le tradizioni e le pratiche della stessa nazione. A titolo di esempio, può essere citata la veemente critica elevati dagli ulema indonesiani alla pratica di rendere omaggio alla bandiera nazionale. Per il capo del Consiglio indonesiano degli ulema (MUI), Kiai Hajj Cholil Ridwan, infatti, il gesto è «haram» [proibito] perché «il profeta Maometto non lo ha mai compiuto» e va, per questo, considerato «eretico». Questo controverso parere è stato pubblicato sul N. 8 (18 marzo-1 aprile) del bisettimanale «Suara Islam» [La voce dell'islam]. La maggioranza degli indonesiani ha reagito con rabbia di fronte alla nuova esternazione del MUI, accusandolo di esacerbare gli animi e aizzare il conflitto interno. Del resto, già in passato i leader islamici avevano emesso giudizi controversi, come quello che causò la messa al bando di Facebook perché «amorale», o la condanna di pratiche personali quali lo yoga, il fumo e il diritto di voto25. Il 15 aprile 2011 un kamikaze si è fatto esplodere nella moschea di Taka, nel quartier generale della polizia di Ciberon (West Java), città a circa 300 km dalla capitale Jakarta. Il bilancio è di 28 feriti, fra cui diversi poliziotti. L’attentato-suicida in una moschea è il primo nella storia del Paese ed è avvenuto poco prima della consueta preghiera del venerdì, mentre i fedeli si stavano radunando all’interno dell’edificio. Secondo le autorità, l’attacco è stato organizzato da un gruppo di terroristi islamici, per vendicarsi delle recenti operazioni anti-terrorismo condotte dalla polizia. Il generale Suparni Parto, ispettore capo di Java occidentale, ha spiegato che la cintura esplosiva del kamikaze conteneva chiodi e altro materiale metallico e che diverse schegge sono state trovate nei corpi dei feriti. Secondo il generale, questo sistema è tipico degli estremisti islamici. Secondo Wawan Purwanto, esperto di intelligence, l’attacco segna un cambio di rotta nel terrorismo islamico indonesiano e ha scioccato la popolazione. «L’esplosione – ha affermato – è avvenuta dentro una moschea proprio durante la preghiera». L’esperto ha sottolineato che, fino a quel momento, nessun gruppo estremista aveva mai attaccato una moschea durante la preghiera del venerdì. Purwanto ha aggiunto che il cambio di rotta sembrerebbe quindi essere già iniziato e che ora i terroristi si scagliano contro gli stessi musulmani. «In precedenza – dice – gli obiettivi erano i simboli del potere occidentale. Ora invece tutti quelli che sono contro di loro, ad esempio la polizia, possono essere annientati». Unanime è stata la condanna del grave atto da parte delle autorità cattoliche e protestanti26. Proprio alla fine dell’anno si è consumato l’ultimo episodio del 2011 di violenze contro le minoranze religiose, in questo caso, quella musulmana sciita. Il 29 dicembre una scuola Syah (sciita) – nota popolarmente come «pesante» – è stata incendiata da una folla inferocita. L’incidente è avvenuto in un edificio che ospitava al suo interno una piccola moschea, appartenente a sciiti di Karang Gayam, nell’isola di Madura (East Java). L’attacco è stato preceduto da roghi appiccati a case e negozi di proprietà di un musulmano locale che poi si sono estesi alla scuola sciita Tajul Muluk e alla piccola moschea esistente nel comprensorio. Le autorità locali hanno affermato che l’incidente è nato come una faida locale, ma poi ha assunto dimensioni più grandi ed esplosive27. 25 AsiaNews, 23/03/2011 Ucanews, 15/04/2011 - AsiaNews, 15/04/2011 27 AsiaNews, 31/12/2011 26