Ottavo Convegno di Analisi e Teoria Musicale Rimini, 4-6 Novembre 2010 Istituto di Alta Formazione Artistica e Musicale "G. Lettimi" ABSTRACTS DELLE RELAZIONI PRESENTATE ENRICO BIANCHI Grana vocale e popular music La storia della popular music è caratterizzata dal crescente sfoggio del corpo vocale. Gli strumenti della tecnologia, a partire dalla riproduzione meccanica, hanno permesso di mettere in primo piano ogni dettaglio della vocalità e orientato l’attenzione dell’ascoltatore verso la corporeità del suono. Secondo tale prospettiva è indubbio che il corpo vocale acquista grande importanza come oggetto di ricerca. Il presente contributo trae origine da una riflessione critica riguardante il concetto di “grana della voce” coniato da Roland Barthes. La teoria Barthesiana della “grana” è nel contempo una teoria dei piaceri musicali e semiologica che si basa sulla distinzione tra i concetti di significato e significanza, ovvero tra due diversi livelli di senso in musica. Barthes intende per significato tutto ciò che in un’esecuzione rimanda alla comunicazione, espressione e rappresentazione per ingenerare il “plaisir” (piacere) dell’ascolto; mentre considera significanza la percezione di un elemento puramente materiale della voce, in grado di entrare direttamente in contatto col corpo dell’ascoltatore suscitandone “juissance” (godimento) [Barthes 1972]. L’obbiettivo principale della presente ricerca consiste nel prendere in esame il concetto di “grana della voce” per verificare se, e in che modo, esso possa essere uno strumento valido per indagare le manifestazioni vocali nella popular music. La recente musicologia ha sottolineato come la musica, nel suo aspetto ritmico, abbia un legame stretto con il corpo e messo in evidenza in che modo tale relazione costituisca uno degli aspetti più significativi del fenomeno popular [Middleton 1990]. Ci riferiamo ovviamente non solo al ritmo in senso stretto, ovvero alle durate, ma a tutte le forme di periodicità che legano l’evento musicale al corpo umano. Da più parti è stato infatti evidenziato come tutti i parametri musicali siano riconducibili a principi ritmici in grado di entrare in risonanza col corpo umano e con i sistemi periodici che lo regolano. Sono note le ricerche riguardanti le “ritmicità testurali” e le figure gestuali profonde che le accompagnano [Cotner 2002], i cosiddetti somatemi, mentre forse non sono ancora indagati a sufficienza gli aspetti materiali e simbolicogestuali riguardanti il corpo vocale, anche per la scarsità di strumenti adatti a rilevare gli elementi più significativi del fenomeno. Per non correre il rischio di considerare la musica un fattore pre-cognitivo, va rimarcato che ogni legame tra musica e corpo è mediato dalla rappresentazione simbolica, come è riconosciuto dallo stesso Barthes che colloca l’affiorare della significanza in un ambito chiaramente simbolico: “quando il testo viene letto (o scritto) come un teatro mutevole di significanti, senza che sia possibile fare riferimento a uno o più significanti fissi” [Barthes 1977, 10]. Verranno inizialmente sottoposte a vaglio critico le affermazioni di Barthes, in particolare mettendo in discussione alcuni assunti ideologici del suo ragionamento. Gia Middleton [1990] ha sottolineato come sia difficile operare una distinzione netta tra significato e significanza, poiché i due livelli sono inscindibilmente intrecciati. In altre parole sembra improbabile poter separare gli effetti dovuti ai significati più espliciti e quelli dovuti alla “grana”, tuttavia è certo che alcuni esecutori esibiscono più di altri il proprio corpo vocale e di conseguenza in questi casi l’attenzione dell’ascoltatore tende a dirigersi verso informazioni veicolate dalle caratteristiche materiali della voce. Chiunque abbia provato ad esempio l’effetto piacevole generato da passaggi vocali in un linguaggio nonsense, in cui le parole del testo vengono trattate come elementi puramente musicali, probabilmente riconosce con certezza il livello significante di cui si sta trattando. In una ulteriore fase verrà proposta l’analisi comparata della vocalità di due cantanti (Céline Dion e Björk) per mostrare come queste interpreti personifichino due atteggiamenti antitetici in quanto a “grana”. Principale oggetto di questa indagine, condotta attraverso i mezzi dell’elettroacustica, saranno l’aspetto fonetico della pronuncia, micro-variazioni nell’altezza e nell’intensità, modulazioni e oscillazioni nel timbro di due performances vocali; essa mira all’individuazione di unità sonore confrontabili che possono adempiere a specifiche funzioni morfologiche. Sarà possibile ad esempio stimare lo sfruttamento del potenziale fonetico della pronuncia del testo, svelando le relazioni che intercorrono in alcuni casi tra i fonemi ed elementi del groove ritmico. Infine, riferendoci a studi che hanno approfondito gli aspetti simbolici del suono [Cano 1985] [Lacasse 2002], verrà considerato il profilo semantico delle vocalità prese in esame per porre in evidenza gli effetti di senso che le singole identità sonore rilevate potrebbero evocare. Il presente studio intende inserirsi nel dibattito riguardante il ruolo del Sound nelle espressioni musicali contemporanee, a partire da una constatazione: sono numerose le analisi che si concentrano sull’aspetto formale dei parametri tradizionali, mentre più rare quelle che tengono nel dovuto conto gli aspetti formali e simbolici delle dimensioni sonore percettivamente rilevanti. ESEMPIO: Björk, All is full of love, One Little Indian, cd singolo/1999, relazioni che intercorrono in tra i fonemi ed elementi del Groove ritmico. (in nero: Elementi del groove; in rosso: consonanti) RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BARONI M. (1996), Analisi musicale e giudizio di valore nella musica leggera, in R. Dalmonte (cur.), Analisi e canzoni, Università degli Studi di Trento, Trento, pp. 81-102. BARTHES R. (1972), La grain de la Voix, “Musique en jeu”, 9, 57-63 (trad. it., La grana della voce, in L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino 1985, 257-266). BARTHES R. (1977), Image-music-text, London. 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(1992), La melodia, Bompiani, Milano. DISCOGRAFIA BJORK, All is full of love, One Little Indian, cd singolo/1999 CELINE DION, Falling into You, Columbia-Epic cd album/1996 ALESSANDRO BRATUS – FEDERICO ZUOLO Etica della produzione o etica della ricezione? “The Diamond Sea” dei Sonic Youth tra noise e improvvisazione Il genere musicale definito come noise rappresenta probabilmente uno degli ambiti più interessanti nella recente storia della popular music anglo-americana, soprattutto perché è un ambito di confine in cui idee provenienti dalle ricerche d’avanguardia trovano un fertile terreno di incontro con le pratiche compositive popular. In questi esempi, come ha spesso sottolineato la letteratura critica che si è occupata di tale stile, la ricerca sull’utilizzo strutturale ed espressivo del rumore sviluppa, a partire da presupposti tratti dall’ambito della musica eurocolta, un proprio percorso di sperimentazione tanto sulle forme, quanto sulle sonorità del rock. Coerentemente con l’impostazione semiologica dei pochi contributi che sino stati prodotti sulla materia, l’attenzione per questo genere musica si è appuntata in particolar modo sul valore comunicativo implicito nell’uso di suoni dotati di significati potenziali ambigui e diversissimi, che drammatizzano l’esperienza dell’ascolto mettendo in crisi l’ascolto passivo e a la fruizione nonproblematica dell’evento musicale. In un tentativo, presentato per la prima volta in quest’occasione, di far convivere riflessione filosofica e analisi musicale, il paper si propone di affrontare il brano The Diamond Sea dei Sonic Youth (dall’album Washing Machine, 1995) dal punto di vista sia dei suoi possibili presupposti estetici, quanto della struttura formale e della tecnica. Si cercherà di dimostrare come in questo brano, molto rappresentativo della produzione globale del gruppo newyorkese, venga a crearsi una fusione tra due concetti diversi di improvvisazione e quindi di comunicazione nei confronti del pubblico. Da un lato l’idea di un’espressione estemporanea assolutamente libera da vincoli formali, dall’altro quella di un’estemporizzazione basata sulla ripetizione di elementi musicali minimi che permettono ai musicisti una concentrazione sulla trasformazione e sperimentazione sul suono come elemento centrale della composizione. Per approcciare il problema si farà riferimento a due presupposti fondamentali: l’idea sviluppata da Cornelius Cardew di improvvisazione “etica”, in quanto assolutamente “democratica” dal punto di vista della performance ma al tempo stesso problematica nelle sue potenzialità comunicative, e quella di Jon Elster legata al concetto di limite nell’arte come generatore di valore artistico e della possibilità di un reale interscambio tra musicista e ascoltatori. The Diamond Sea, con la sua alternanza di sezioni riconducili alla forma canzone e lunghe parti improvvisative centrate sull’uso del rumore sembra voler conciliare queste due idee, nel tentativo di raggiungere un’espressione che concili l’etica individualista della free-improvisation con quella, etica anch’essa sotto il profilo della ricezione, della comunità degli ascoltatori. Si profila quindi in questa musica una convivenza tra principi apparentemente opposti che opera in maniera ambivalente, evitando di fare uso dei tratti più banali e triti della produzione della popular music anglo-americana ma senza per questo negare al proprio pubblico gli elementi minimi per una possibile condivisione del discorso portato avanti dalla canzone. A partire da un’analisi formale di The Diamond Sea e da una ricognizione dei meccanismi di ripetizione e variazione alla base del lungo sviluppo del brano, si tenterà infine di discutere tale tentativo nel quadro della contrapposizione tra individuo e collettività. La dimensione etica può infatti essere declinata sia come un’etica individuale, in quanto integrità e coerenza del soggetto rispetto ai propri principi (in linea con la visione di Cardew), sia come impegno alla comprensibilità collettiva del messaggio musicale. La sintesi dell’etica individuale espressiva e dell’esigenza di comprensibilità collettiva fornisce la cifra estetica dell’improvvisazione dei Sonic Youth. Dal punto di vista storiografico la posizione del gruppo, soprattutto per il suo tentativo di far convivere organicamente idee di avanguardia con sonorità e consuetudini compositive e d’ascolto tipiche della popular music, verrà definita sia sotto il profilo di una possibile ‘avanguardia popular’, sia della sua collocazione nel panorama musicale contemporaneo. Bibliografia essenziale Àlvarez Fernández, Miguel 2007 Dissonance, Sex and Noise: (Re)Building (Hi)Stories of Electroacoustic Music, «Hz», 9, <http://www.hz-journal.org/n9/fernandez.html> (consultato il 28 agosto 2010). Caporaletti, Vincenzo 2005 I processi improvvisativi della musica. Un approccio globale, Lucca, LIM. 2007 Out-Bloody-Rageous (Soft Machine, "Third",1970). La logica dialettica della musica audiotattile, “Philomusica on-line”, numero speciale (Atti del Convegno internazionale "Composizione e sperimentazione nel rock britannico 1966-1976", a cura di Gianmario Borio e Serena Facci), <www.unipv.it/britishrock1966-1976/testiit/cap1it.htm> (consultato il 28 agosto 2010). Elster, Jon 2004 Ulisse liberato: razionalità e vincoli, Bologna, Il Mulino. Cardew, Cornelius 2006 Toward an Ethic of Improvisation, in Cornelius Cardew. A Reader, ed. by E. Prevòst, Harlow, Copula, pp.125-133. Hegarty, Paul 2001 Full with Noise: Theory and Japanese Noise Music, «Ctheory.net», <www.ctheory.net/articles.aspx?id=314> (consultato il 28 agosto 2010). 2002 General Ecology of Sound: Japanese Noise Music as Low Form, <http://www.dotdotdotmusic.com/hegarty7.html (consultato il 28 agosto 2010). Sangild, Torben 2002 The Aesthetics of Noise, Copenhagen, Datanom. DUILIO D'ALFONSO Il significato cognitivo dei livelli strutturali nell’analisi schenkeriana Un aspetto fondamentale dell’analisi schenkeriana è il seguente: (1) il processo analitico, altamente non-deterministico, non porta a una caratterizzazione “composizionale” delle strutture della sintassi tonale. La ragione di (1) sta in ciò: i patterns musicali (lineari o contrappuntistici), o singoli elementi di essi, assumono valori differenti a differenti livelli strutturali. In altri termini, le valenze strutturali dei patterns mutano con il processo di stratificazione dei livelli strutturali; essi non conservano la funzione che hanno al livello strutturale al quale emergono, bensì, con il sovrapporsi di livelli sempre più prossimi alla superficie del testo musicale, mutano il loro significato strutturale, entrando a far parte di nuove configurazioni, spesso emerse successivamente al loro apparire (si potrebbe dire che più che mutare la loro funzione originale, tali patterns acquistano nuove funzioni, ma entrambi i modi di esprimersi sono qui equivalenti). Da ciò segue che non è possibile, nel corso del processo analitico, assegnare una funzione a un determinato pattern una volta per tutte, con l’ulteriore conseguenza che non si può individuare un ambito di “località” in base a un qualche criterio generalmente valido. Il metodo analitico schenkeriano è essenzialmente “olistico”. La natura olistica dell’analisi schenkeriana è legata, a mio avviso, a una caratteristica basilare della teoria schenkeriana della tonalità: un brano di musica tonale è concepito come il risultato di un processo di stratificazione di livelli “rappresentazionali”. Tra la struttura fondamentale e il testo in notazione musicale si colloca una serie (ordinata) di livelli strutturali intermedi, ognuno dei quali rappresenta la struttura tonale del brano a una determinata profondità/astrazione. Ogni rappresentazione strutturale è caratterizzata dalla presenza di determinati patterns musicali, tra i quali occorre introdurre una distinzione di fondo, in base a quella che potremmo chiamare la valenza epistemica (o cognitiva) che li contraddistingue. La distinzione è tra patterns che hanno una rilevanza percettiva – che chiamerò patterns percettivi o “fenomenologici”, e patterns che, pur avendo una inequivocabile rilevanza teoricoconcettuale, non mostrano una evidente valenza percettiva – che chiamerò patterns proiettivi o “concettuali”. Ora, l’olisticità della concezione schenkeriana della tonalità è legata al fatto che patterns percettivi e patterns proiettivi non si ordinano secondo una organizzazione “molecolare” e cumulativa, bensì spesso emergono come nuove “Gestalten”, ad una certo livello strutturale, determinando un “rimescolamento” delle configurazioni dei livelli precedenti. Accade, ad esempio, che un elemento costituente di un pattern percettivo venga selezionato come elemento costituente di un pattern proiettivo di livello strutturale più profondo, così distinguendosi dagli altri elementi del pattern percettivo di cui continua a essere parte. Casi di tali “stratificazioni interpretative” sono comunissimi nell’analisi schenkeriana. Il punto è che la valenza strutturale profonda, e quindi concettuale più che percettiva, di un elemento che a un qualche livello rappresentazionale è parte di una configurazione percettivamente rilevante è individuabile solo ad una analisi che procede “top‒down”, aprioristicamente orientata dalla struttura fondamentale. Di qui la necessità della distinzione tra patterns percettivi, empiricamente rilevabili sottoponendo il testo a un processo di “riduzione” dal basso (“bottomup”), riduzione analitica la cui base giustificativa resta ancorata al dato empirico e patterns proiettivi, emergenti dalla ricostruzione del processo generativo di espansione della struttura fondamentale. Al fine di caratterizzare in modo più formale la distinzione, informalmente introdotta, tra patterns fenomenologici e patterns concettuali, al fine anche di approfondirne gli aspetti teorici e metodologici, si procederà all’introduzione di alcune definizioni, il cui scopo principale è quello di fornire una terminologia e un piccolo bagaglio concettuale. Tali definizioni vanno perciò intese come aventi un carattere “strumentale” più che teoretico. La distinzione tra patterns percettivi e proiettivi verrà poi illustrata attraverso esempi di analisi. Verranno poi svolte alcune considerazioni sul valore teorico di tale distinzione, particolarmente in relazione al significato cognitivo dei livelli strutturali in cui tradizionalmente si articola l’analisi schenkeriana: i livelli profondo, medio ed esterno. In un quadro teorico in cui l’analisi musicale è concepita come il compito di ricondurre un testo musicale alla grammatica che lo ha generato, l’Ursatz schenkeriano può essere reinterpretato come lo stato rappresentazionale iniziale di un processo generativo, il cui stato finale è il brano in notazione musicale. Tale processo consiste nella applicazione di operatori (attinti da un repertorio finito) a livelli rappresentazionali (che possiamo chiamare “descrittori strutturali”). Schematicamente: dove s0 è l’Ursatz, sk è il testo rappresentabile in notazione musicale, di è un operatore che applicato al livello si produce il livello si+1 . Nella grammatica della tonalità l’Ursatz è il livello rappresentazionale s0 da cui ha origine ogni processo generativo, processo che consiste in una sequenza s0Lsk di stati rappresentazionali, che chiamerò “derivazione”, il cui stato finale sk è il brano musicale. L’Ursatz è, dunque, innanzitutto un pattern che ha un ruolo “concettuale”, pertanto è un pattern proiettivo, secondo la distinzione introdotta. Definendo formalmente l’analisi di un brano come il processo volto ad individuare una derivazione s0Lsk tale che s0 è l’Ursatz e sk è il brano in partitura (processo di parsing), si sosterrà che se un livello è derivabile dal testo musicale attraverso un processo di “riduzione” esclusivamente basato sul dato empirico, tale livello è percettivamente rilevante ed è costituito da patterns percettivamente efficaci. Bibliografia essenziale Cadwallader A., Gagné D. (2007) Analysis of Tonal Music – A Schenkerian Approach, Oxford University Press. Hepokoski J., Darcy W. (2006) Elements of Sonata Theory, Oxford University Press. Novack S. (1990) Foregruond, Middlegruond, and background: their significance in the history of tonality, in Hedi Siegel, (a c. di),“Schenker Studies”, Cambridge University Press. Schenker H. (1935) Der freie Satz, Trans. and ed. by Ernst Oster (Free Composition), Pendragon Press, 2001. SARA DIECI – AURELIO BIANCO Una ‘ritrovata’ raccolta di Biagio Marini: Madrigali et Symfonie op. II (1618) Il compositore e violinista bresciano Biagio Marini è comunemente riconosciuto come una delle più singolari e interessanti personalità della tradizione strumentale barocca. Rappresentante modello del professionismo itinerante seicentesco, conobbe impieghi in prestigiose istituzioni musicali non solo in Italia ma anche a Nord delle Alpi. Si ricordano in primo luogo i due periodi passati nella cappella della basilica di S. Marco a Venezia e quello trascorso al servizio del duca Wolfgang Wilhelm a Neuburg e a Düsseldorf. Sin dalla primissima riscoperta dell’opera di Marini l’attenzione della critica si è essenzialmente indirizzata alla produzione strumentale del musicista lombardo. In sintesi, due sono i meriti che gli vengono riconosciuti: aver partecipato ad una prima definizione del genere della sonata a tre e aver contribuito in maniera determinante allo sviluppo della tecnica del proprio strumento tanto in area italiana quanto in area tedesca. Tre sono le antologie ancora oggi note di Marini interamente dedicate a generi strumentali: i celebri Affetti musicali opera I, le altrettanto famose Curiose et moderne invenzioni op. VIII e infine le Sonate da chiesa e da camera op. XXII. Nel catalogo a stampa di Marini la parte strumentale riveste dunque, perlomeno sotto il profilo quantitativo, un ruolo relativamente marginale. La produzione vocale del compositore bresciano copre al contrario un ventaglio di composizioni e stili assai ampi che ben corrispondono alle differenti tipologie musicali dei primi cinquant’anni del Seicento: brani monodici sul modello del recitativo fiorentino, canzonette a una o più voci, madrigali che richiamano tanto la tradizione tardo cinquecentesca quanto stilemi tipici dell’ottavo libro di madrigali di Monteverdi, messe e mottetti con o senza strumenti concertati. Brani autonomi di musica strumentale di Marini sono comunque presenti oltre che nelle tre già citate raccolte anche in pubblicazioni contenenti composizioni vocali: le opere II, III, XV e XVI. Tra questi ultimi libri a stampa, i Madrigali et symfonie opera seconda si segnalano non solo per essere la prima pubblicazione di Marini in cui compaiono brani vocali ma anche per essere l’unica tra quelle di questo tipo in cui la musica strumentale rivesta ancora un ruolo niente affatto secondario. Con questo intervento s’intende porre l’attenzione su questa poco indagata raccolta del musicista bresciano. Il libro fu dato alle stampe nel 1618 durante il primo soggiorno veneziano di Marini, immediatamente dopo la pubblicazione degli Affetti musicali. I Madrigali et symfonie ci sono malauguratamente pervenuti in maniera incompleta. Della raccolta si conservano oggi solo i fascicoli del Canto primo, del Canto secondo e della linea del Basso vocale, mentre il libro-parte del basso continuo è da considerarsi perduto. Situazione che evidentemente giustifica la scarsa attenzione riservata dalla critica alla pubblicazione. Attraverso la ricostruzione delle parti mancanti si vuole proporre una lettura di brani campione della raccolta nonché definire il contenuto e il carattere della pubblicazione nel suo insieme. A metà strada tra la produzione vocale e strumentale di Marini, questo libro si rivela in effetti un’importante tappa per seguire le strategie stilistico/compositive ed editoriali del musicista bresciano intorno agli anni Venti del Seicento. La disamina della silloge definisce anzitutto la duttilità di un compositore agli esordi della propria carriera: la parte strumentale rinvia per esempio a tipologie musicali e a strutture formali caratteristiche del milieu in cui fu pubblicato il libro (si vedano le canzoni da sonare) ma anche a generi non propriamente tipici del contesto musicale veneziano (si vedano le suites di danza). Non diversamente, anche per quanto riguarda le intonazioni di testi poetici, i modelli di riferimento di Marini corrispondono tanto a una scelta dei differenti generi e stili musicali dominanti all’epoca quanto ai versi dei più frequentati poeti d’inizio Seicento (Tasso, Marino, Achillini, etc.). Bibliografia Fonti storiche (selezione) Per la ricostruzione della parte mancante di basso continuo ci si è avvalsi del confronto con opere cronologicamente attigue del medesimo autore e di altri, oltre ad opere di carattere teorico: Adriano Banchieri, Moderna pratica musicale, Venezia, Giacomo Vincenti 1613. Alessandro Grandi, Cantade et arie a voce sola, Venezia, Alessandro Vincenti 1620. Biagio Marini, Affetti musicali […] Symfonie, canzon, balletti, […] op. 1, Venezia, 1617. Id., Arie Madrigali et Corenti A 1. 2. 3. […] Opera Terza, Venezia, Bartolomeo Magni 1620. Id., Corona melodica ex diversis sacrae musicae floribus concinnata, duabus, tribus, quatuor, quinque, sex et pluribus vocibus ac instrumentis distincta, Antwerp, Eredi di Pierre Phalèse 1644. Id., Concerto terzo delle musiche da camera del cavalier Biagio Marini a 3.4.5.6. e piu voci con due violini, et altri stromenti opera XVI, Milano, Carlo Camagno 1649. Bibliografia critica (selezione) Stephen Bonta, The Use of Instruments in Sacred Music in Italy 1560-1700, «Early Music», Vol. 18, No. 4, Nov., 1990, pp. 519-535. Georg Brunner, Biagio Marini (1597–1665) Die Revolution in der Instrumentalmusik, Schrobenhausen Verlag Bickel, 1997. Willene D. Clark, The Vocal Music of Biagio Marini, diss., Yale University, 1966. John Daverio, In Search of the sonata da Camera before Corelli, «Acta Musicologica», Vol. 57, Fasc. 2, Jul. - Dec., 1985, pp. 195-214. Thomas D. Dunn (ed.), Biagio Marini, Madrigali et Symfonie, Op. 2 (selections), «Web Library of Seventeenth Century Music», n. 3, http://aaswebsv.aas.duke.edu/wlscm/Marini/Op2Index.html. Id., The instrumental music of Biagio Marini, Diss., University of Yale, 1969. Fabio Fano, Biagio Marini violinista in Italia e all’estero, «Chigiana» 22, 1965, pp. 47–57. Nigel Fortune, Italian Secular Monody from 1600 to 1635: An Introductory Survey, «The Musical Quarterly», 39, n. 2, Apr. 1953, pp. 171-195. Vittorio Gibelli, La musica strumentale di Biagio Marini, in La musica a Milano, in Lombardia e oltre, vol. 2, a cura di Sergio Martinotti, Milano, Vita e Pensiero 200, pp. 5-11. Don Harran, Towards a definition of the Early Secular Dialogue, «Music and Letters», li, 1, Jan 1970, pp. 37-50. Dora Iselin, Biagio Marini: sein Leben und seine Instrumentalwerke, Hildburghausen, Gadow 1930. Massimo Ossi, "Pardon Me, but Your Teeth Are in My Neck": Giambattista Marino, Claudio Monteverdi, and the bacio mordace, «The Journal of Musicology», Vol. 21, No. 2 (Spring, 2004), pp. 175-200. John Whenham, Duet and dialogue in the age of Monteverdi, PhD diss., University of Oxford, 1978. EMANUELE FERRARI Ermeneutica musicale e didattica dell’ascolto I termini in gioco Il nesso tra didattica ed ermeneutica musicale è fortissimo ma non sempre adeguatamente esplicitato nella prassi. Una riflessione teorica sui presupposti ermeneutici di una didattica dell’ascolto (universitaria, in questo caso) getta luce su entrambi i termini, consentendo da un lato di saggiare la solidità dell’ermeneutica di riferimento, dall’altro di rendere la didattica più consapevole delle proprie implicazioni. Il taglio della ricerca L’intervento ripercorre l’esperienza didattica del relatore non in forma di diario critico, bensì delineandone una parabola ideale, un modello che ne espliciti i presupposti, gli obiettivi e i problemi chiave, in modo da trasformare quest’esperienza personale in un oggetto chiaramente delineato che possa essere discusso e criticato, contribuendo alla crescita della conoscenza. Il criterio teorico L’intervento enuclea, seleziona e mette in relazione fra loro i punti fondamentali che stanno al crocevia tra ermeneutica e didattica. L’approccio non è dunque sistematico ma metodico: l’obiettivo non è la completezza ma l’individuazione di una catena di problemi che fanno da cerniera tra i due termini indicati nel titolo. L’articolazione espositiva 1 La corporeità dell’udito e la dimensione incarnata dell’ascolto (Cavarero): la musica come carne del mondo (Merleau-Ponty). 2 Emozioni e immaginazione (facoltà inscindibili dalla corporeità) come possibili organi di conoscenza della musica. I paradossi dell’”ascetismo” nella fruizione (Hanslick, Adorno, Geiger). 3 L’approccio indiziario alla decifrazione espressiva di un brano (Baroni): la “rifrazione” del mondo in musica (Stravinsky). 4 L’esperienza del presente come avvio del circolo ermeneutico nella didattica (Gadamer). 5 Dubbi scettici sulla distanza storica e loro risoluzione (Eliot). 6 la didattica dell’ascolto come costruzione di un punto di vista (Deleuze, Leibniz). 7 La seconda metà del circolo: gli effetti di retroazione di un ascolto musicale. 7a crescita della conoscenza b sottigliezza del pensiero c precisione immaginativa d specificazione delle emozioni 8 Una questione imprevista e problematica: estetica e moralità nella didattica (Kant, Stravinsky). BIBLIOGRAFIA ADORNO T.W., Einleitung in die Musiksoziologie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag 1962; tr. it. di G. Manzoni, Introduzione alla sociologia della musica, Torino, Einaudi 1971. ALBANESE O., PESERICO M. 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DOMENICO GIANNETTA Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy: tonalità ed interferenze modali L’interpretazione armonica della musica di Claude Debussy rappresenta una vera sfida per lo studioso. Una lettura di tipo funzionale, infatti, è destinata a naufragare in partenza, rivelandosi completamente inadeguata a spiegare la relazione che si instaura fra le diverse armonie. Ma anche un approccio esclusivamente modale, che tenga conto della presenza di particolari sistemi sonori cari al compositore francese (scala per toni interi, pentafonia ecc…), non basta da solo a far luce sulla complessità del suo linguaggio musicale. Gli studiosi, a tal proposito, hanno coniato il concetto di ‘armonia defunzionalizzata’ per sottolineare il fatto che la relazione fra i diversi aggregati sonori, piuttosto che ubbidire alle regole che sovrintendono alla scienza armonica dei secc. XVIII–XIX, sembra scaturire da esigenze puramente sonoriali: il moto delle parti, ed in particolare gli scivolamenti per grado congiunto, producono quasi incidentalmente degli aggregati sonori che si giustappongono o si contrappongono a seconda dei casi. In realtà Debussy non rinuncia mai del tutto al potere unificatore della tonalità, e segnatamente a quei moti cadenzali codificati dalla tradizione che producono un senso di appagamento nell’ascoltatore: assistiamo spessissimo, infatti, a successioni al basso che richiamano la cadenza perfetta V–I, oppure a percorsi armonici più articolati che potremmo tranquillamente analizzare con la classica simbologia funzionale. Ma allo stesso tempo nella sua musica vi è un continuo alternarsi di strutture scalari sempre diverse, grazie alle quali il linguaggio armonico si arricchisce enormemente ed assume un carattere cangiante e molto personale. La vera essenza della musica debussyana, quindi, sembra fondarsi proprio sulla perfetta coesistenza fra due procedimenti molto diversi: tanto centripeto, in quanto basato sulla tonica e sulla logica armonica tradizionale, il primo, quanto invece centrifugo e vòlto a creare atmosfere suggestive ed inaspettate il secondo. Questo modus operandi raggiunge la sua massima efficacia allorquando Debussy riesce a conciliare gli opposti, ed in particolare a far convivere il sistema tonale con la scala per toni interi, ovvero con il sistema sonoro che più di ogni altro sembrerebbe contraddire le esigenze dell’armonia tonale: come sappiamo, infatti, la tonalità si basa sulle relazioni di quinta, ed in particolare sull’opposizione tonica– dominante, mentre invece in un sistema sonoro di tipo esatonale non sono presenti intervalli di quinta giusta, ed anzi al suo interno vige una sostanziale equiparazione ed indifferenziazione funzionale fra i diversi gradi della scala. L’integrazione fra tonalità e modalità, poi, diventa ancora più evidente nel caso dei modi pentatonici, anch’essi molto frequenti nella musica di Debussy: la loro peculiarità, infatti, è quella di essere ‘contenuti’ nei modi eptafonici diatonici, e quindi possono essere sfruttati per entrare e uscire dalla tonalità, o per effettuare una transizione fra diversi centri tonali. Un'altra perfetta sintesi fra tonalità e modalità si ottiene, infine, con gli effetti di ripieno, ovvero con quei procedimenti, così definiti da De la Motte, che consistono nello spostamento parallelo, o quasi parallelo, di più voci. Come va dunque considerata la musica di Debussy: tonale o modale? O forse sarebbe più appropriato parlare di tonalità modale? Per cercare di dare una risposta, quantomeno parziale, al quesito precedente, viene analizzato il primo libro dei Préludes per pianoforte (1909–10), ed in particolare gli episodi che evidenziano la compresenza di procedimenti tonali e modali. La scelta di occuparsi di composizioni pianistiche, piuttosto che di una partitura sinfonica, è stata dettata sia dall’esigenza di avere una maggior semplicità di lettura degli esempi musicali utilizzati, sia dal bisogno di avere dei dati non condizionati dalla particolare tecnica di orchestrazione debussyana, la quale prevede spesso una stratificazione di più eventi sonori vòlta a creare particolari effetti sonoriali (testure stratificate, fasce sonore ecc...). Bibliografia essenziale: Constantin Brailoiu, Pentatonic in Debussy’s Music, «Studia Memoriae Belae Bartok Sacra», Boosey & Hawkes, London 1958, pp. 377–417 Matthew G. Brown, Tonality and form in Debussy's Prélude à l'après-midi d'un faune, «Music Theory Spectrum», xv/2 1993, pp. 127–43 Diether de la Motte, Manuale di Armonia, La Nuova Italia, Firenze 1988 [ed. or.: Harmonielehre, Bärenreiter, München-Kässel 1976] Gary W. 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Uno studio analitico, LIM, Lucca 2007 Domenico Giannetta, Il mondo è fatto a scale: studio teorico sulle relazioni possibili fra scale e modi, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XIV/1 2008, 59–86 Domenico Giannetta, Voiles, dal primo libro dei Preludi per pianoforte di Claude Debussy, «Musica Domani», n. 149 (dicembre 2008), pp. 20–21 (nella rubrica “Prove di Analisi” curata da Susanna Pasticci) Henri Gonnard, La musique modale en France de Berlioz à Debussy, Honoré Champion, Paris 2000 Ethan Haimo, Generated Collections and Interval Control in Debussy’s Preludes, «In Theory Only», iv/8 1979, pp. 3–15 Michel Imberty, La Cathédrale engloutie de Claude Debussy: De la perception au sens, «Canadian University Music Review», vi 1985, pp. 90–161 David Lewin, Some Instances of Parallel Voice-Leading in Debussy, «19th Century Music», xi 1987, pp. 59–72 Richard Mueller, Javanese influence on Debussy’s “Fantaisie“ and beyond, «19th Century Music», x/2 1986, pp. 157–86 Richard S. 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Zeller, Von den Sirenen zu '...La serenade interrompue’, «Musik-Konzepte», i/2 1977, pp. 96– 113 MARIACHIARA GRILLI Studio delle possibilità combinatorie e metamorfiche di un tema: la Toccata di Petrassi come sintesi esemplare di tradizione e modernità Allo stato attuale, il lavoro che affronta con taglio analitico il brano in modo più approfondito è quello di Alfonso Alberti (in: Musiche del Novecento Italiano, CD + CD ROM, Milano, Stradivarius 2004) in cui compaiono spunti interessanti per un’analisi sia da un punto di vista contrappuntistico che armonico. Il mio studio, avente come obiettivo la dimostrazione dell’unità di fondo del brano ottenuta mediante l’uso di elementi ricorrenti da un punto di vista motivico, ritmico, armonico e contrappuntistico-imitativo, è diviso in: - analisi formale; analisi armonica: organizzazione modale del brano, tipologie di accordi, formule cadenzali; analisi contrappuntistica: criteri di ammissibilità nella condotta delle parti, strutture imitative; derivazione motivica: individuazione e descrizione delle relazioni sia all’interno di uno stesso soggetto, sia tra motivi diversi; elaborazione tematica: sia da un punto di vista motivico che ritmico studio dei rapporti motivico-armonici tra le diverse sezioni del brano al fine di dimostrarne il carattere unitario note per l’interpretazione. Metodologia di lavoro Come punto di partenza si è considerato l’aspetto contrappuntistico-imitativo, iniziando con l’individuazione e la classificazione di tutti i temi, attribuendo a ciascuno la sua funzione sintattica, proseguendo con un’analisi delle strutture imitative nelle sezioni a carattere contrappuntistico. Ciò ha condotto ad una precisazione della struttura formale del brano, sebbene questa fosse piuttosto chiara sin dal primo ascolto. Successivamente si è potuto riconoscere l’uso di frammenti di carattere tematico anche nelle parti virtuosistiche. Da qui l’idea di esaminare come fosse utilizzato il materiale tematico in tutto il brano, passando poi a studiare l’elaborazione di ciascun motivo in ogni sezione; esame che ha rilevato possibili diverse interpretazioni di alcuni passaggi e/o situazioni inizialmente non chiaramente definibili, conducendo a una più attenta considerazione del materiale intervallare costitutivo dei motivi, definendone con la massima precisione le caratteristiche e catalogandone le variazioni che ricorrevano più frequentemente rispetto all’originale. Si è potuto così evidenziare sia la presenza, nei tre frammenti costituenti il soggetto principale, di molte caratteristiche intervallari ricorrenti, sia la presenza di forti legami tra i diversi motivi impiegati. Queste ultime constatazioni hanno consentito di effettuare un confronto tra tutti i temi (derivazione tematica) verificandone le affinità strutturali e intervallari. Pur utilizzando numerosi motivi, la presenza di molti elementi in comune contribuisce a dare al brano un forte senso di unità armonico-motivica. A seguire, relativamente ai due soggetti principali, si è tentata anche un’analisi dell’elaborazione ritmica. A margine di quest’indagine si è potuto individuare l’impiego frequente di strutture ritmiche speculari. Ultimo aspetto esaminato è quello armonico. Al fine di individuare i mezzi con cui Petrassi ottiene una sonorità di tipo modale, sono state empiricamente classificate le armonie utilizzate, notando la ricorrenza di armonie dalla tipica sonorità modale e allo stesso tempo l’assenza di accordi con forte senso tonale, quali settime di dominante e settime diminuite. Da qui l’analisi delle formule cadenzali: di nuovo è emersa l’adozione di procedimenti che evitano successioni con un forte senso tonale (cadenza autentiche e simili), con un impiego predominante di formule riferibili alle cadenze frigia e plagale, tipiche di ambiti modali o modaleggianti. Dall’esame del soggetto principale e della sezione iniziale del brano, si è notato il suo svilupparsi in un ambito modale con l’impiego dei modi: eolio, ossia minore naturale, dorico e frigio. A questo punto si è tentato di condurre uno studio sulla combinazione e applicazione della scrittura modale a passaggi che presentavano un impiego evidente di armonie costruite invece per quarte e quinte sovrapposte. Notando talvolta delle deroghe al sistema modale vigente, si è tentato di individuarne la ragione, rilevando così come l’aspetto contrappuntistico-imitativo abbia spesso il sopravvento sull’aspetto armonico-modale. Infine, si è proceduto ad individuare analogie e rapporti tra le diverse sezioni: relativamente all’uso dei centri armonici, alle funzioni svolte quindi da ciascuna sezione anche in considerazione dell’articolazione formale inizialmente individuata, all’uso e all’elaborazione di elementi tematici e ritmici. L’individuazione di schemi e tecniche ricorrenti ha consentito di svolgere considerazioni probabilmente utili ai fini di un’interpretazione del brano coerente e consapevole. Rispetto allo stato attuale delle conoscenze il mio lavoro consente un approfondimento di spunti preesistenti, nonché l’acquisizione di nuove conoscenze in merito ad aspetti precedentemente poco o per nulla considerati. Bibliografia essenziale MONOGRAFIE, SAGGI LYA DE BARBERIIS, in PIERO RATTALINO, Il Testimonianze per Goffredo Petrassi, Milano, Edizioni Suvini Zerboni 2003, p. 20; pianoforte di Petrassi, in Petrassi, a cura di Enzo Restagno, Torino, Edizioni di 2 Torino 1992 , (Biblioteca di cultura musicale. Autori e opere); GIULIANO ZOSI, Ricerca e sintesi nell’opera di Goffredo Petrassi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1978; JOHN S. WEISSMANN, Goffredo Petrassi, Milano, Edizioni Suvini Zerboni 1957. PERIODICI COSTARELLI NICOLA, la Toccata di Goffredo Petrassi e la musica pura, «Musica d’oggi», XIX, [Milano], 1973, pp.48-50; OLGA STONE, Goffredo Petrassi’s Toccata for Piano: A Study of twentieth Century Toccata Style, «The Music Review», XXXVII, 1976, pp. 45-51. CD - CD ROM ALFONSO ALBERTI, Goffredo Petrassi, Toccata in Musiche del Novecento Italiano, a cura della Società Italiana di Musicologia, (1 compact disc, 1 CD-ROM), comprende1: Musiche del Novecento italiano/[contiene biografie, note storico-critiche, analisi musicali, partiture e ascolti con partitura di:] Casella, Respighi, Petrassi, Dallapiccola, Berio, Castiglioni, Donatoni; 2: Musiche del Novecento Italiano/[contiene musiche di:] Casella, Respighi, Petrassi, Dallapiccola, Berio, Castiglioni, Donatoni, Milano, Stradivarius 2004. EDIZIONI MODERNE CONSULTATE GOFFREDO PETRASSI, Toccata per (MI), Ricordi 1962. pianoforte, Selecta - BMG Publications, rist., San Giuliano Milanese SELEZIONE DI ESEMPI MUSICALI Per la parte riguardante lo studio contrappuntistico della Toccata: Es. 1 – Condotta delle parti Es. 2 – Motivo a (soggetto principale) Es. 3 – Motivo b Es. 4 – Motivo c (soggetto secondario) Es. 5 – elemento d Es. 6 – motivo e Es. 7 – Motivo f Es. 8 – Imitazioni ravvicinate (b. 20) Es. 9 – Interpolazioni di a (bb. 71-72) Es. 10 – combinazioni del tema a con tetracordi Per la parte relativa alla derivazione motivica: Es. 11 – Relazioni all’interno del soggetto Es. 12 – Relazioni tra a e b Es. 13 – Relazioni tra a e c Es. 14 – Relazioni tra a e d Es. 15 – Relazioni tra a ed f Es. 16 – Relazioni tra b e c Es. 17 – Relazioni tra c e d Es. 18 – Relazioni tra c ed e Es. 20 – Relazioni tra c e f Es. 21 – Relazioni tra e e f Per la parte sull’elaborazione motivica mi limito a riportare alcuni esempi dell’elaborazione del soggetto principale a. Per la parte relativa all’elaborazione ritmica cito di seguito solo un paio di esempi relativi al motivo a. Es. 22 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.1 Es. 23 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.2 Es. 24 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.3 Es. 25 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.1.1 Es. 26 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.1.2 Es. 27 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.3 Es. 28 – Elaborazione motivica di a nelle sezioni C.1.1 e C.1.2 Es. 29 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.1.3 Es. 30 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.2 Es. 31 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.3.1 Es. 32 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.3.2 Es. 32 – Elaborazione motivica di a nella sezione D Es. 33 – Elaborazione ritmica di a nella sezione B.2 Es. 34 – Elaborazione ritmica di a nella sezione D (prima parte) Es. 35 – Elaborazione ritmica di a nella sezione D (segue) Es. 35 – Impiego di figure ritmiche speculari (bb. 16-17) Per quanto riguarda l’aspetto armonico: Es. 36 – Segmentazione modale del soggetto principale MARCO MONTAGUTI La ‘musique concrète instrumentale’ Il termine ‘musique concrète instrumentale’ – non a caso coniato in francese, derivando da ‘musique concrète’ di P. Schaeffer - è stato creato, già negli anni Sessanta del XX secolo, dal compositore tedesco Helmut Lachenmann per definire la sua musica, una musica che parte dal ripensamento degli strumenti tradizionali, considerati innanzitutto come oggetti - sonori, beninteso - da ‘riscoprire’, o semplicemente da scoprire fino in fondo, perchè essi non hanno ancora svelato tutte le loro possibilità, sia come singoli che in gruppi, fino alla grande orchestra. Determinante, nella concezione della ‘musique concrète instrumentale’, è la centralità, via via conquistata nel corso degli anni, del ‘suono’, centralità che ha generato un nuovo rapporto con esso e con gli strumenti in particolare, sia da parte degli esecutori che dei compositori. In un tempo relativamente breve, infatti, se si pensa alla portata della novità, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, il rapporto dei compositori con la musica passa da speculativo a fisico, da astratto a concreto – non si parlerà allora più di altezze, di intervalli, di grappoli di note, di accordi ecc., ma di ‘suoni’: la nuova concezione arriverà dunque ad investire, a condizionare, e anche a generare completamente il pensiero; il rapporto tra compositore e strumentista diventa allora simbiotico, arrivando anche all’esclusività. In questo contesto non cadono comunque nell’obsolescenza gli strumenti ‘tradizionali’ della tecnica compositiva, che anzi trovano nuova linfa vitale: il contrappunto non è allora più di linee, ma diventa di atteggiamenti, di situazioni, magari conviventi nella stessa parte strumentale – ad esempio il movimento delle due mani di uno strumentista ad arco -, la verticalità non è più una sovrapposizione di parti, ma un nuovo suono, prodotto da un nuovo strumento (la somma di quelli che in quel momento intervengono). Tale musica impone quindi un ascolto ‘nuovo’ - una rimessa in gioco del fruitore fin nel profondo, momento per momento -, un ascolto che non solo impone a chi lo pratica di ripensare il proprio approccio con la musica – colta o non -, ma anche di riconsiderare criticamente la propria inclinazione (o tendenza) a cercare di cogliere, fors’anche per comprenderla – e magari anche ad analizzarla – meglio, nella musica di oggi, più gli elementi di continuità con la tradizione (innegabili, peraltro), trascurando invece quelli innovativi, soprattutto di pensiero, che la originano. Come è poi facile intuire, la ‘musique concrète instrumentale’ propone anche problemi di grafia, la soluzione dei quali è strettamente legata alla sua comprensione prima, ed esecuzione poi. In un periodo in cui la grafia sembrava aver trovato un ‘lessico’ comune, anche grazie alla conclusione delle sperimentazioni a tutto campo, la ‘musique concrète instrumentale’ riapre il discorso. Osservando infatti le legende delle opere di Lachenmann, che possiamo considerare parte integrante della partitura, si possono reperire indicazioni, precisissime e dettagliatissime, che, molto più che semplici ‘note per l’esecuzione’, vanno considerate esemplificazioni del pensiero del compositore. La parte finale dell’intervento sarà dedicata alle intuizioni di Giacinto Scelsi - che va visto a mio avviso come un precursore del posizionamento dell’interesse dei compositori sulla centralità del suono. Egli, infatti, focalizzando il suo interesse per la ‘fisicità’ sonora in un epoca assai precedente a quella in cui, ad esempio, le nuove tecnologie avranno il loro sviluppo, cominciò a procurarsi gli strumenti per tradurla in musica: nuove modalità esecutive – sia vocali che strumentali – richieste agli interpreti, utilizzi inediti degli strumenti (si pensi ad esempio alla chitarra usata come strumento a percussione in Ko-tha), ma anche accostamenti inusuali (flauto in sol, gong e piccolo campanaccio in Hyxos). Naturalmente l’operazione di Scelsi va adeguatamente contestualizzata, poichè, se Helmut Lachenmann perviene all’elaborazione del suo pensiero e della sua poetica compositiva da uomo pienamente inserito nella sua epoca, non solo come musicista, ma anche come intellettuale in senso lato – in questo senso particolarmente significativa è l’opera Das Mädchen und den Schwefelhölzern –, il compositore ligure, di famiglia aristocratica e di formazione, sia culturale che musicale, extrascolastica, denuncia una forte attitudine al misticismo e la sua visione della musica è fortemente improntata a ciò. La trattazione, supportata da esemplicazioni audio e video, ha quindi l’obiettivo di mettere a fuoco un approccio al suono che, non avendo finora purtroppo suscitato, se non indirettamente, grande interesse nei compositori contemporanei del nostro Paese, è rimasto anche ai margini degli studi e delle ricerche compiuti su tale repertorio. Bibliografia essenziale Biasutti, M. –LA POETICA DEL SUONO IN GIACINTO SCELSI. Analisi di Ko-Lho per flauto e clarinetto, in ‘Zeta – nn.14-15-16’. Udine, Campanotto, 1991 Castanet, P.A. – Cisternino, N. (a cura di): GIACINTO SCELSI – VIAGGIO AL CENTRO DEL SUONO. La Spezia, Luna editore, 2001 (II ed.) Cisternino, N. – GIACINTO SCELSI: VIAGGIATORE AL CENTRO DEL SUONO, in ‘Zeta – nn.11-1213’. Udine, Campanotto, 1991 De Velde, H. – AUF DER SUCHE NACH DEM VERLORENE KLANG.Die Musik Giacinto Scelsi in der abendländischen Tradition, in ‘Musik Texte – Heft 26, okt. 1988’ Gadenstätter, C. – Utz, C. (a cura di): MUSIK ALS WAHRNEHMUNGSKUNST. Untersuchungen zu Kompositionsmethodik und Hörästetik bei H. Lachenmann. Saarbrücken, Pfau, 2008 Hiekel, J.P. – Mauser, S. (a cura di): NACHGEDACHTE MUSIK. Studien zum Werk von H. Lachenmann. Saarbrücken, Pfau, 2005 Lachenmann, H.: MUSIK ALS EXISTENZIELLE ERFAHRUNG – Schriften 1966-1995. 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Wellmer – op. cit.’ GIUSEPPE MASIIMO RIZZO Stile musicale e prestigio sociale nei processi trasformativi delle Martinjade dell'isola di Krk Nel mio intervento mi focalizzerò sul rapporto che intercorre tra l'elaborazione uno stile personale e l'acquisizione di prestigio sociale nel contesto di pratiche strumentali dell'isola di Krk, la più grande isola dell'adriatico, collocata nel golfo del Quarnaro oggi appartenente alla regione amministrativa LitoraneoMontana della Croazia. La musica oggetto di analisi è parte di una micro-area dotata di caratteristiche specifiche appartenente a quella che Roberto Leydi ipotizzava fosse la grande sub-area nord-adriatica - che si collocava in entrambe le sponde del mar Adriatico, percorrendo quasi tutto l'arco veneto e friulano - caratterizzata da pratiche musicali diafoniche eseguite a due parti (LEYDI 2001). La micro-area di pratiche musicali dell'isola di Krk è nidificata al di sotto di una serie di stratificazioni culturali e musicali presenti nella penisola istriana e nel litorale quarnerino, da secoli al centro di molti scambi e contatti socio-culturali. Tale sub-area è caratterizzata dall'uso di alcuni generi musicali suonati sulle sopile, un aerofono ad ancia doppia di cui esistono due versioni, uno in registro grave, l'altro acuto, dall'intonazione non temperata, su cui vengono eseguite – esclusivamente in coppia - delle diafonie dallo stile molto asciutto ed essenziale ad uso di danze, celebrazioni, ecc. La letteratura etnomusicologica, coltivata più che altro in ambito jugoslavo e croato, offre ai giorni nostri un quadro etnografico piuttosto completo delle attività musicali isolane nella forma di collezioni di brani o analisi scalari ed organologiche. (MATETIĆ 1939; KARABAIĆ 1956; ŽGANEC 1963; BESIĆ 1976, 1981; BONIFAČIĆ A. 1971; BONIFAČIĆ R. 1996, 2001; PRAŠELJ 2005). Basandomi sulla ricerca che svolgo sin dal 2006 sui processi musicali dell'isola nella mia comunicazione vorrei soffermarmi sul alcune caratteristiche del cambiamento musicale isolano legato ad un certo modo di far musica strumentale indicato dal termine mantinjada. Al di là dei significati attribuiti storicamente dall'etnografia a questo termine mi concentrerò sull'analisi comparata per verificare quali siano i cambiamenti formali in prospettiva diacronica e diacronica (es.1). Data la natura estremamente semplice degli strumenti, la cui intonazione è suscettibile di variazione nel corso degli anni ed a seconda di chi sia il costruttore, l'elaborazione di un criterio di trascrizione (es.2) attraverso cui produrre dati omogenei e comparabili è stato un requisito essenziale per poter condurre tale tipo di analisi. Il prodotto di quest'analisi è stato incrociato con i dati etnografici che ho raccolto e costruito sul campo (GALLINI e SATTA 2007) attraverso lezioni di strumento impartitemi da alcuni maestri locali, il dialogo diretto con i suonatori ed altri tipi di esperienze più astratte ed indirette. Ciò mi ha condotto all'elaborazione di una griglia interpretativa in cui l'apprendimento musicale, la crescita ed il percorso di emancipazione dei singoli suonatori concorrono direttamente alla formazione di uno stile personale nell'obiettivo, implicito, di acquisire un certo riconoscimento sociale nel contesto della comunità di suonatori isolana. Durante la mia comunicazione esporrò i dettagli e le fasi di questo processo con l'ausilio di trascrizioni ed esempi musicali atti a mostrarne la dimensione sonora e formale; contemporaneamente mostrerò un catalogo di analisi comparative più astratte atte ad illustrare la mia tesi. Le metodologie musicologiche da me utilizzate sono la ricerca sul campo (STOK 2004) - che mi ha permesso di colloquiare direttamente con i suonatori per lungo tempo inferendo da loro importanti nodi concettuali autoctoni (ZEMP 1978,1979; FELD 1982; AMES-KING 1971; STONE 1982) affinché potessi costruire la mia tesi interpretativa -, la pratica musicale (BAILY 2008)– che mi ha permesso di approfondire particolarità e significati non direttamente inferibili dall'analisi formale -, l'analisi informatizzata (MCADAMS, DEPALLE e CLARKE 2004) – importante per evidenziare le dimensioni acustiche di certi momenti musicali socialmente pregnanti -, ma, come si evince dalla lettura del paragrafo precedente, anche i più tradizionali lavori di trascrizione e comparazione paradigmatica. Tale ricerca intende esser prevalentemente un contributo allo studio del rapporto tra trasformazione musicale ed interazione sociale attraverso la pratica sonora e musicale, nonché a fornire un contributo di riflessione sulla funzione dell'analisi e della modellizzazione formale (POPLE 2004) nello studio contestualizzato delle culture musicali. Inoltre questo tipo di indagine, esclusivamente se condotta su lungo periodo, potrebbe fornire dati empiricamente interessanti dal punto di vista dello studio del rapporto tra pratiche musicali che fanno parte prolungata di profonda una narrazione culturale di area e modernità, che torna ad incalzare i rapporti sociali e musicali esistenti con le sue rinnovate narrazioni dello spazio, del tempo e del suono. Bibliografia citata AMES, DAVID W E KING ANTHONY V., 1971Glossary of Hausa Music and Its Social Contexts. Northwestern University Press, Evanston Illinois. BAILY, JOHN 2008, “Ethnomusicology, Intermusability and Performance Pratice”, in The New (Ethno)musicologies. Europea: Ethnomusicologies and Modernities, a cura di Henry Stobart, pp. 117133, The Scarecrow Press, Toronto BESIĆ, JERKO 1976, "The tonal framework of folk music in Yugoslavia". The Folk Arts of Yugoslavia, DUTIFA, pp.194-207 BONIFAČIĆ, ANDRIJA 1971, "Narodno pjevanje na Otoku Krku u sklopu muzike Riječkog područja". Krčki Zbornik, Vol.2, pp. 303 - 353 BONIFAČIĆ, RUŽA 1996, "Tarankanje. A Disappearing Music Tradition". Narodna Umjetnost vol.33/1, pp.149-170 BONIFAČIĆ, RUŽA 2001, "O Problematici Takozvane "Istarske Ljestvice". Narodna Umjetnost, vol.38/2, pp.73-95 GALLINI, CLARA E SATTA, GINO 2007, Incontri Etnografici. Processi cognitivi e relazionali nella ricerca sul campo. Meltemi. Roma KARABAIĆ, NEDJELJKO 1956, Muzički folklor hrvatskog primora i Istre, Novi List, Rijeka LEYDI, ROBERTO 2001“Italy. Folk music”, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, secondq edizione, a cura di Stanley Sadie, pp. 382-392, Macmillan Publishers LUKEŽIĆ, IVA, TURK, MARIJA 1998, Govori Otoka Krka. Libellus, Rijeka MATETIĆ-RONJGOV, IVAN 1939, Čakavsko-primorska pijevanka, Ronjgi MCADAMS, STEPHEN – DEPALLE, PHILIPPE – CLARKE, ERIC 2004, “Analyzing Musical Sound”, in Empirical Musicology. Aim, Methods, Prospects. A cura di Eric Clarke e Nicholas Cook, pp. 157196, Oxford University Press, New York POPLE, ANTHONY 2004, “Modeling Musical Structure”, in Empirical Musicology. Aim, Methods, Prospects. A cura di Eric Clarke e Nicholas Cook, pp. 127-156, Oxford University Press, New York PRAŠELJ, DUŠAN 2005, "Ivan Matetič-Ronjgov i Otok Krk". Krčki Festival 1935-2005, pp.45-46, Centar za Kulturu Grada Krka, Krk STOCK, JONATHAN P.J. 2004, “Documenting the musical event: Observation, Partecipation, Representation”, in Empirical Musicology. Aim, Methods, Prospects. A cura di Eric Clarke e Nicholas Cook, pp. 15-34, Oxford University Press, New York STONE, RUTH M. 1982, Let the Inside Be Sweet. The Interpretation of Music Event Among of Kpelle of Liberia. Indiana University Press, Blooington. ZEBEC, TVRTKO 2005, Krcki tanci: plesno-etnoloska studija. Institut za etnologiju i folkloristiku, Adamic (Biblioteka Nova etnografija), Zagreb-Rijeka ZEMP, HUGO 1978, "'Are'are classification of Musical Type and Instruments”. Ethnomusicology, vol.22/1, pp.37-68. ZEMP, HUGO 1979, "Aspects of 'Are'Are Musica Theory”. Ethnomusicology, vol. 23/1, pp.5-48 ŽGANEC, VINKO 1963, “La gamme istrienne dans la musique populaire yougoslave". Studia Musicologica Academiae Scientiarum Hungaricae, T. 4, Fasc. 1/2, pp. 101-128 SIMONETTA SARGENTI Applicazione di metodi compositivi nelle opere di K. Stockhausen. Il compositore K. Stockhausen, considerato uno degli esponenti di maggior rilievo della musica del XX secolo, mise a punto intorno agli anni 70, dopo aver esperimentato la composizione con 12 suoni, un metodo compositivo basato su strutture definite, in parte derivate dalla stessa dodecafonia e in parte “innovativi” rispetto ad essa, ottenendo ciò che egli chiama “formula” , una organizzazione di materiali nella quali si riuniscono gli elementi essenziali dell’intera composizione. In vari articoli, nei testi teorici e nelle note alle partiture ,egli stesso spiega in cosa consista questo metodo e come sia stato da lui applicato nelle varie composizioni, sottolineando la compresenza in esso di rigore e libertà. Egli applica la formula a partire dalle opere scritte negli anni 70 e successivamente continua a perfezionare ed estendere questo metodo fino alle opere più recenti. La presente proposta si inserisce nel lavoro che sto svolgendo da alcuni anni e prevede un confronto tra varie prospettive della musica del XX secolo, incentrato sullo studio di compositori importanti, tra cui principalmente Luigi Nono e Karlheinz Stockhausen, che rappresentano due visioni diverse della musica, entrambe assai influenti nel contesto del loro tempo. Fino ad oggi ho analizzato vari brani nei quali ho rilevato caratteri e intenzioni diverse tra questi due compositori che rappresentano a mio parere due linee importanti del pensiero musicale del 900. L’obbiettivo finale è di definire alcuni elementi chiave della musica recente, le connessioni con la visione più generale del mondo e l’importanza che eventualmente tutto ciò riveste ancora nella musica del presente, se vi siano degli elementi ancora significativi per chi opera attualmente. Se l’importanza che questi compositori hanno avuto per un periodo sia limitata a quel tempo o sia ancora oggi significativa. Nel contesto di questo stesso lavoro, lo scorso anno ho proposto al Convegno GATM l’analisi di una composizione di Nono che fa parte di questo progetto. Ora vorrei presentare un lavoro di Stockhausen con l’obbiettivo di analizzare alcune significative applicazioni della formula. La proposta per il Convegno è dunque quella di analizzare il significato della formula di Stockhausen e alcune sue applicazioni esponendo la tecnica della formula la sua genesi e significato. Le prime apparizioni del termine “formula” nella produzione di Stockhausen, elementi di rigore di libertà che il compositore stesso sottolinea. Alcuni accenni a come si costruisce una formula secondo i criteri di Stockhausen e come si può intervenire sulla struttura base. Quanto vi è di già previsto della successiva composizione e quanto invece può essere definito durante la creazione. Poiché Stockhausen applicherà questo metodo a vari brani, dai più brevi ai più complessi, vale la pena di evidenziare negli esempi le caratteristiche sia della micro forma, sia della macroforma. A tal fine propongo un breve accenno alla composizione In Freundschaft che Stockhausen compone originariamente per il clarinetto e trascrive poi per diversi strumenti, composizione che fornisce tra l’altro allo stesso compositore, lo spunto per una riflessione approfondita sul metodo compositivo. Successivamente vorrei incentrare il mio intervento su Mantra, per due pianoforti, una delle più note composizioni di Stockhausen e forse anche una delle maggiormente eseguite, pezzo che ancora oggi viene proposto in sale da concerto. Mantra rappresenta un esempio di come la formula sia utilizzata in tutta la durata del pezzo che è assai ampia e tuttavia vi sia una libertà di applicazione piuttosto ampia che rende difficile individuare con precisione quegli elementi rigorosi di cui l’autore parla. Poiché in questa composizione i vari elementi della formula originale vengono dilatati, è importante individuare quali siano i punti in cui ritroviamo gli elementi della formula e dove si trovino invece le elaborazioni di essa secondo i modelli di elaborazione dello stesso compositore. Verrà dunque mostrato uno schema riassuntivo delle principali elaborazioni della formula originale attraverso le modifiche di carattere ritmico, melodico, dinamico. L’analisi parte dunque con l’individuare gli elementi base che costituiscono la formula e le caratteristiche specifiche della formula di Mantra, così come lo stesso compositore indica nelle note alla partitura musicale. Successivamente verranno presi alcuni punti della composizione per vedere in che modo si ritrovino in essa gli elementi della formula e come vengono trattati. Infine si potranno indicare quali siano gli elementi caratterizzanti il metodo compositivo in questione. L’intervento è tratto dal lavoro più esteso riguardo a Stockhausen cui accennavo sopra, articolato schematicamente come segue: 1- la tecnica della formula: genesi e significato. 2- elementi teorici: come si costruisce una formula. Elementi costitutivi di base ed elaborazioni melodiche , ritmiche, dinamiche. 3.1- applicazioni della formula nella composizione: la micro forma, Tierkreis, In Freundschaft 3.2- applicazioni della formula nella composizione: Mantra, Licht 3.3- applicazioni della formula nella composizione: l’uso dell’elettronica: Kahinka’s Gesang 4- testimonianze di esecutori 5- conclusioni Bibliografia Essenzialmente sono stati utilizzati riferimenti bibliografici alle opere teoriche di Stockhausen, nonché alle note contenute nelle partiture pubblicate dalla Stockhausen Verlag. K. Stockhausen, Texte, vol. 1-4, Du Mont, Koeln 1963-1988 K. Stockhausen, The art to listen, Stockhausen Verlag, Kuerten 1970 K. Stockhausen, Wie die Zeit vergeht, in Texte zur elektronischer und instrumentalen Musik, Band 1 , Koeln 1963 Giuseppe SELLARI - Maria Grazia BELLIA - Mario BARONI La percezione della forma musicale nei bambini Introduzione Uno degli scopi fondamentali dell'analisi musicale è quello di sviluppare le capacità di comprendere all'ascolto il discorso musicale, sapendone seguire l'evoluzione e ricostruendone a orecchio la logica e l'organizzazione (M. Baroni 2004). È dunque importante che ogni soggetto abbia gli strumenti per ricostruire a orecchio l'articolazione formale, individuandone all'ascolto la mappa organizzativa e la trama sottile dei rimandi interni. Percepire la forma musicale significa: 1) segmentare il brano in micro/macro parti sulla base della percezione di ripetizioni e contrasti; 2) individuare gli elementi sonori fondamentali (temi, ritmi, rapporti fra strumenti, ecc.) e il loro ripresentarsi nel corso del brano; 3) cogliere le relazioni fra le diverse parti e la funzione di ciascuna all'interno del discorso musicale (introduzione, coda, presentazione di un nuovo elemento, sviluppo di un elemento già presentato, ecc.). In questa ricerca si è indagato sul livello di percezione della forma musicale da parte di bambini di età compresa tra gli otto e i dieci anni. Le riflessioni conclusive sono emerse dallo studio dei dati ottenuti dalle risposte che quattro gruppi di bambini, frequentanti rispettivamente lezioni di pianoforte, di danza classica, di ritmica Dalcroze e di canto corale hanno fornito dopo aver ascoltato alcuni brani di musica classica. Ipotesi di ricerca La segmentazione di un brano musicale secondo Michel Imberty avviene sulla base dell'identificazione di contrasti e rotture della continuità temporale che colpiscono l'attenzione dell'ascoltatore e lo inducono a operare la divisione in parti del pezzo ascoltato. Inoltre la costruzione genetica degli schemi d'ordine e di relazione d'ordine è basata innanzitutto su eventi dinamici che sono vissuti dal bambino a partire dal suo corpo, dalla sua motricità e dalla sua emotività (M. Imberty 2004). Alla luce di ciò la ricerca ha voluto verificare se e quanto l'abitudine al movimento e al canto nei bambini potesse influire nella percezione formale di un brano nei suoi momenti di contrasto, ripetizione e tensione. Impostazione e metodo della ricerca Soggetti: 4 gruppi di bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni frequentanti rispettivamente lezioni di pianoforte secondo il metodo tradizionale, attività di danza classica, attività di ritmica Dalcroze, attività di canto corale. I campioni sono stati scelti a sorte fra tutti quelli che si sono resi disponibili alla ricerca. Procedimenti: I soggetti dei quattro gruppi sono stati invitati ad ascoltare due brani di musica classica nel seguente ordine: 1) L. van Beethoven, contraddanza per orchestra WoO 14 n. 3 in Re Maggiore; 2) J. S. Bach, minuetto in Sol Maggiore BWV anh. 114 (versione per pianoforte) tratto dal Libro di Anna Magdalena. Le consegne date ai quattro gruppi e le fasi del lavoro musicale sono state le stesse. All’ascolto i bambini dovevano riconoscere i momenti di contrasto, tensione e ripetizione presenti nei brani. In particolare si è voluto controllare quanto l’esperienza motoria o vocale abbia inciso su: 1) l’esistenza di una concezione “proporzionale” della forma; 2) la capacità di individuare segmentazioni; 3) la capacità di riconoscere somiglianze; 4) la capacità di memoria “formale”. Gli ascolti dei due brani sono stati proposti al computer attraverso il software “Segmenta” elaborato appositamente per le prove della ricerca. Materiali: computer portatile e cuffie, software “Segmenta”, files musicali, schede prestampate su fogli di carta in formato A4, penne e colori. Analisi dei dati: I dati relativi alle singole prove del test sono stati raccolti e analizzati facendo riferimento a uno schema (l’analisi fraseologica delle composizioni) elaborato appositamente per il confronto con le segmentazioni individuate dai bambini. In questo schema la forma dei singoli brani è stata descritta tenendo conto di due livelli gerarchici: la microforma e la macroforma. È stato inoltre proposto un questionario agli insegnanti dei bambini per avere informazioni riguardo ai propri metodi d’insegnamento e al livello di preparazione di ciascun allievo. Conclusioni Dai risultati della ricerca emergerebbe una maggiore capacità di segmentazione e di riconoscere somiglianze da parte dei bambini appartenenti al gruppo “Dalcroze”; mentre il gruppo “pianoforte” possiederebbe maggiori capacità di memoria formale e una maggiore concezione “proporzionale” della forma. Bibliografia essenziale Azzaroni Loris (a cura di), La teoria funzionale dell’armonia, Bologna, Clueb, 1991; —, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna Clueb, 1997; Baroni Mario, Suoni e significati, Torino, EDT, 1997; —, La forma musicale dal punto di vista analitico, in Rosalba Deriu (a cura di), Capire la forma, Torino, EDT, 2004, pp. 9-31; —,(a cura di) L’insegnamento come scienza. Ricerche sulla didattica della musica , Torino, EDT, 2009; Bent Ian–William Drabkin, Analisi musicale, Torino, EDT, 1990; Cook Nicholas, A Guide to Musical Analysis, Oxford, Oxford University Press, 1987; Deliege Irène, La musique et les sciences cognitives, Paris, Mardaga, 1989; Deriu Rosalba, Capire la forma. Idee per una didattica del discorso musicale, Torino, EDT, 2004; Deutsch Diana (a cura di), The Psycology of Music, San Diego-Londra, Academic Press, 1999; Gordon Edwin E., Rhytm. Contrasting the Implication of Audiation and Notation, Chicago, GIA, 2000; Imberty Michel, L’acquisition des structures tonales chez l’enfant, Paris, Klincksieck, 1969; —, Le scritture del tempo. Semantica psicologica della musica, Roma/Lucca, Ricordi/Lim, 1990; —, Meccanismi cognitivi nel riconoscimento dello stile, in Johannella Tafuri (a cura di), La comprensione degli stili musicali, —, L’organizzazione percettiva del tempo musicale, in Rosalba Deriu (a cura di), Capire la forma, Torino, EDT, 2004, pp. 32-52; Jaques-Dalcroze Émile, Il ritmo, la musica e l’educazione, Torino, EDT, 2008; Laban Rudolf, The Mastery of Movement, Macdonald and Evans, London, 1960; Magnani Silvia, Il bambino e la sua voce. Con i bambini alla scoperta della vocalita`, Franco Angeli, Milano, 2000; Martinet Susanne, La musique du corps, Editions du Signal, Lousanne, 1992; Mazzoni Giuliana, L’apprendimento. 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FRANCESCO STUMPO Silvery Fox: un "audiomusical" di Paolo Conte Stato attuale delle conoscenze sull’argomento La popular music in quanto musica di tradizione orale o meglio di “oralità secondaria” (Ong), presenta non poche difficoltà nell’ essere analizzata con i metodi più praticati per la musica scritta. In Italia in particolare gli studi analitici sulla popular music risentono ancora di un notevole ritardo rispetto ad altri paesi europei come per esempio l’Inghilterra (Tagg,Middleton, Moore). Ciò dipende in gran parte dalla quasi assenza di sedi istituzionali di ricerca, soprattutto universitarie, dove questo genere venga studiato, in particolar modo considerando il grande consenso che ha nell’età giovanile e non solo. Tuttavia casi isolati di studiosi, primo fra tutti quello di Franco Fabbri ma anche Borio, Marconi, D’Agostino, non hanno mancato di arricchire il panorama di studi internazionale in questo settore e pregevoli sono i contributi che dopo il Secondo Convegno Europeo di Analisi Musicale di Trento del 1991 sono stati raccolti dal Gatm in modo specifico negli Incontri di Studio di Analitica (Stumpo, Capalbo, Brartus). Contenuti principali della comunicazione e obiettivi della ricerca, con eventuale divisione in parti e apporti del proprio contributo rispetto allo stato attuale delle conoscenze La canzone di Paolo Conte “Silvery fox” dall’album “Psiche” del 2008 si configura come un vero e proprio musical in tre minuti, e lo stesso autore la definisce “un collage americano”. In realtà, mancando l’elemento fondante della commedia musicale, la messa in scena, sarebbe opportuno parlare forse di “audio-musical”. Il tipo di Musical a cui Conte sembra far riferimento è quello degli anni venti-trenta che usa l’idioma afroamericano come tratto elettivo, piuttosto di quello rock dei decenni successivi. D’altra parte è risaputa l’inclinazione jazzistica di questo cantautore. I riferimenti sembrano i fratelli Gerschiwin, Berlin e Kern e l’ambiente musicale è sicuramente quello sincopato della pulsazione ritmica che fa da struttura portante all’innesto di cellule melodiche ben riconoscibili. Cosa conserva questa canzone delle convenzioni drammaturgiche del musical? Innanzitutto l’uso della lingua inglese e la particolare costruzione ritmcofonetica che non disdegna l’uso dei sillogismi e delle anafore linguistiche che confluiscono in un’articolazione ludica del testo, cosa tipica dei testi dei musical del periodo a cui il brano sembra riferirsi. In secondo luogo la ricchezza delle immagini visive che le parole evocano (ricordiamo che l’autore è anche pittore) che galleggiano in una fiabesca atmosfera da plenilunio. L’ambientazione fiabesca, popolata da boschi e da animali notturni è uno dei clichè del musical nel quale spesso vengono rivisitate le fiabe classiche che portano l’ascoltatore di ogni età ad una regressione in un mondo infantile ed incantato e che Vinay indica come uno dei meccanismi fondamentali del musical. In questo caso protagonista è una volpe argentata che si dimena un po’scanzonata(che non sia l’autoproiezione del cantautore?) in un immaginifico paesaggio di fiori invernali e notti di luna piena. E l’anima si perde in questo paesaggio, confondendosi con la vita stessa. Si sa che la lingua inglese è molto ritmica e perciò la nascita dei temi musicali è spesso dovuta ad una trasmigrazione di piedi metrici a cellule musicali tematiche. Il contributo che la presente analisi può fornire allo stato attuale della ricerca consiste nell’ approccio analitico interdisciplinare della popular music, ovvero di come un ascolto spesso acusmatico apra delle prospettive sensoriali e simboliche che vanno dalla visibilità delle parole del testo, alla sua strutturazione significante in una siluetta grafica, all’evocazione immaginifica di uno spettacolo da vedere e sentire come il musical. Analisi Il metodo analitico impiegato si riferisce al solo ascolto della registrazione, ovvero senza prendere in considerazione la partitura. Divisione in parti Il testo lascerebbe pensare ad una struttura musicale tripartita A-B-A’, laddove B inizierebbe quando viene nominato il titolo (Silvey fox). E’ curiosa la siluetta grafica speculare, palindroma creata dalla versificazione che sembrerebbe alludere alla struttura antropomorfa o floriforme: Life is a bound The nights are very incredible Bound is a life The landscapes are memorable Soul is a life And a soul is a bound. Soul is a life And soul is a bound Ah, moonlight on winter flour Silent steps on sparkin’ hours Silvery fox is walkin’ Here’s a real Queen Throught the black trees Another soul in the night Can be we talk? And can we talk? Give me a start Listen to the heart Life is a bound The nights are very incredible Bound is a life The landscapes are memorable Soul is a life And soul is a bound Ah, moonlight on winter flour Ah, moonlight on winter flour La vita è un limite, le notti sono incredibili Il limite è una vita, i paesaggi sono memorabili L’anima è una vita e l’anima è un limite. Ah,chiaro di luna in pieno inverno Passi silenti nelle scintillanti ore. La volpe argentate sta camminando Qui è proprio una regina Attraverso gli alberi neri C’è un’altra anima nella notte Possiamo essere amici? Possiamo parlare? Dammi il via Ascolta dal cuore. La vita è un limite, le notti sono incredibili Il limite è una vita, i paesaggi sono memorabili L’anima è una vita e l’anima è un limite. Ah,chiaro di luna in pieno inverno. Testo e musica. Con l’ascolto della musica vediamo che tutto viene stravolto: Life is a bound The nights are very incredible Bound is a life The landscapes are memorable Soul is a life And a soul is a bound a b Soul is a life And soul is a bound b’ b’’ B D D’ Ah, moonlight on winter flour Silent steps on sparkin’ hours Silvery fox is walkin’ Here’s a real Queen Throught the black trees Another soul in the night Can be we talk? And can we talk? Give me a start Listen to the heart A A’ E D D’ Il verse iniziale a è quasi un parlato su un accompagnamento del pianoforte che enuncia un tema melodico apparentemente insignificante. Quando viene proposta la frase soul is a life lo sfondo pianistico sta già annunciando un secondo tema melodico b il cui ritmo è ripreso dal piede dattilico del verso iniziale: life is a bound ( ---U U). Tale tema, prima in sfondo diventa una figura amplificata, cantata senza testo all’unisono con i fiati (b e B). A questo punto interviene un riff degli ottoni (D) con funzione di bridge (tipica struttura eight middle) che crea un contrasto con quanto ascoltato precedentemente. Questa parte conduce ai due episodi corali (chorus 1 e chorus 2).La cellula melodica del chorus 1 (A) nasce dal tema dell’accompagnamento pianistico iniziale. La cellula melodica del chorus 2 (E) nasce invece del piede metrico iniziale del canto (a), questa volta spostando gli accenti (UUU-----). Viene poi riproposto il bridge seguito dai due chorus: a questo punto la sorpresa, viene riproposta in tutta la sezione iniziale ma in forma inversa a partire dai chorus per regredire al verse iniziale che finisce con la cellula iniziale del pianoforte (ripresa dal chorus 1) questa volta cantata dal solista con cui finisce la canzone dando luogo ad una forma palindroma: Bridge Verse a b b’ 1°Chorus 2°Chorus Eight middle b’’ B’ D D’ Bridge Eight middle A A’ E A A’ E’ D D’ Verse (palindromo) B’ b b’ 1° Chorus a’ a’’ In ultima analisi si può notare come in questo brano il rimando a quelle che abbiamo precedentemente indicato come le caratteristiche del musical degli anni venti-trenta, emergano non solo al solo ascolto in superficie (uso dell’inglese, idioma jazzistico, giochi di parola) ma anche in profondità dopo l’analisi, come ad esempio il significante visivo del testo (la siluetta) che rimanda a livello profondo ad alcuni significati letterari (il bosco, la volpe) e crea una forma visiva speculare trasfigurata nella forma palindroma della musica. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE AGOSTINI, ROBERTO 2006, Origini prospettive e sviluppi degli studi sulla popular music in Italia in Popular music. Fare, ascoltare,insegnare a cura di Fabrizio Deriu e Massimo Privitera, Roma, Aracne. BORIO, GIAMMARIO 2003, Musicologia storica e musica di consumo: una tavola rotonda, in Il Saggiatore Musicale n 2, Leo S. Olschki, Firenze, 2003. DALMONTE, R. e BARONI,M. (a cura di) 1990, Atti del 2° Convegno Europeo di Analisi Musicale, a cura di, Università degli Studi di Trento. MIDDLETON, RICHARD 1994 Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli (ed. or. Studying Popular Music, Buckingham, Open University Press, 1990). FABBRI, FRANCO 2001, La canzone, in Enciclopedia della musica diretta da Jean Jaques Nattiez, vol. I, Il Novecento Torino, Einaudi VINAY, GIANFRANCO 2001, Il Musical, in Enciclopedia della musica op. cit. PAOLO SULLO I solfeggi nella scuola di Nicola Zingarelli L’opera didattica di Nicola Zingarelli, direttore del Real Collegio di Musica di Napoli dal 1813 al 1837, può essere considerata una preziosa testimonianza della tradizione didattica della scuola napoletana del XVIII secolo. Nicola Zingarelli, infatti, è stato allievo presso il Conservatorio di Santa Maria di Loreto nelle classi di Francesco Speranza, Pasquale Anfossi, Antonio Sacchini e di Fedele Fenaroli. Il legame forte con la scuola di Fenaroli e con la didattica del Settecento è ravvisabile in tutta l’opera didattica di Zingarelli che può essere innanzitutto ricondotta, al pari del suo maestro, all’esercizio del partimento. Per quanto riguarda la composizione di solfeggi, invece, stando all’analisi delle fonti che ci sono pervenute, la produzione di Zingarelli, messa a confronto con quella dei suoi maestri, risulta essere più copiosa ed articolata. Le poche testimonianze di solfeggi che ci sono pervenute riguardo Alessandro Speranza e Fedele Fenaroli, invece, sono costituite da brevi raccolte dedicate maggiormente alla sola voce di soprano dove i solfeggi erano dei brevi brani in forma d’aria simili nella costruzione ai solfeggi di Leonardo Leo. Sebbene, infatti, Francesco Florimo nella prefazione del proprio metodo di canto facesse risalire la prassi di scrivere solfeggi a tre caposcuola, ossia Francesco Durante, Alessandro Scarlatti e Nicola Porpora, ebbero grande diffusione nel XVIII e XIX secolo soprattutto i lavori di Leonardo Leo. Tali composizioni si presentano come brevi pezzi caratteristici pronti per l’esecuzione a una o più voci e basso continuo in una forma musicale altamente standardizzata. A differenza dei solfeggi di Leonardo Leo, gli esercizi contenuti nelle raccolte composte da Francesco Durante vengono dedicati con maggiore frequenza alla voce di basso e privilegiano una scrittura fugata, dove l’ingresso delle voci avviene sempre in stretta imitazione. Tale procedimento, oltre a mostrare tutta la sapienza contrappuntistica di Durante, lascia intuire che forse tali solfeggi venissero eseguiti da due voci di basso senza alcun accompagnamento. A partire dai solfeggi di Leo e Durante è possibile individuare, quindi, due diversi modelli di scrittura, il primo caratterizzato maggiormente da un rigoroso modello formale e il secondo da una ricerca contrappuntistica, ai quali si sono allineati i compositori successivi. La presente ricerca, successivamente all’analisi dei differenti tipi di scrittura presenti nei solfeggi degli autori del XVIII secolo, cercherà di delineare le caratteristiche proprie della produzione di Nicola Zingarelli che, sebbene da un lato ha il merito di sintetizzare la tradizione didattica del secolo precedente, dall’altro rende l’esercizio del solfeggio una pratica dalla valenza spiccatamente multidisciplinare. Il solfeggio, infatti, appare attraverso l’analisi dell’intera produzione del maestro napoletano come un esercizio comune a tutti gli insegnamenti del conservatorio: non solo esercizio di canto, quindi, ma anche tappa obbligata per strumentisti e compositori. Le numerose fonti, a causa delle diverse finalità didattiche che il solfeggio poteva assumere, si presentano in maniera piuttosto eterogenea; sarà quindi possibile individuare dapprima i solfeggi dedicati agli alunni di canto, presenti nelle raccolte denominate Scale, salti e solfeggi, successivamente gli esercizi composti ad uso esclusivo degli allievi strumentisti che dovevano dapprima cantare e poi suonare i solfeggi secondo l’antica concezione che “chi canta suona”, ed infine i solfeggi che Nicola Zingarelli faceva comporre agli allievi di composizione. Numerosi sono, infatti, quaderni di esercitazione redatti sotto la guida del maestro napoletano da suoi alunni, tra cui Francesco Florimo, Francesco Rondinella e Nicola Fornasini, dove i solfeggi diventano un vero e proprio esercizio di scrittura inserito nella scuola di contrappunto e complementare alla pratica del partimento. L’analisi dei diversi solfeggi scritti da Nicola Zingarelli e dai suoi allievi, unitamente alle testimonianze coeve, fra cui quelle di Francesco Florimo e il Piano di riforma del Real Collegio di Musica di S. Sebastiano, una proposta di riforma didattica del Conservatorio redatta a Napoli nel 1816 e mai applicata, permetterà di riportare alla luce aspetti inediti della didattica napoletana di inizio Ottocento di cui Nicola Zingarelli sicuramente rappresenta uno dei massimi esponenti. (1) Per quanto riguarda l’analisi della forma nei solfeggi di Leonardo Leo cfr. Paolo Sullo, I Solfeggi di Leo e lo studio della forma nella Scuola Napoletana del Settecento, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 1/2009, pp. 97-115 PAOLO TEODORI, La forma di una musica narrativa: Hans Zimmer, Il parricidio, dalla colonna sonora del film Il gladiatore Fini dello studio Studi analitici sulla musica da film non esistono. Qui si vuole guardare alla forma di una musica in cui struttura, tempi, contenuti si devono adeguare a un oggetto esterno già confezionato. L’analisi sarà prettamente musicale, tenuto conto dello sfondo per il quale la musica è stata composta, della condizione emotiva generale e delle sue articolazioni nel corso della scena. Lo studio non ha per fine di analizzare il modo attraverso cui la musica si lega alla scena (studi del genere già esistono). La colonna sonora è originale, non si tratta di meri effetti di sonorizzazione (tipo cartone animato Tom e Jerry), né si tratta di musica di sottofondo appena udibile. Musica come questa, in altre parole, può essere apprezzata indipendentemente dal contesto per cui è stata creata. Lo scopo dello studio è di mostrare le ragioni e i modi della capacità di autonomia della musica, sia sul piano della forma che su quello dei significati. Lo studio mostrerà quindi come la musica non accompagni meramente la scena, ma contribuisca a formarne e a interpretarne il significato; qualcosa di più rispetto a quel che Piovani afferma in una intervista, ovvero che la musica stia nel film a dire quel che sta dietro e che non si vede. I significati non sono tutti nella scena, benché nascosti, e la musica non si incarica solo di metterli in luce. Descrizione della scena L’analisi musicale deve essere preceduta necessariamente da una breve illustrazione della scena per cui la musica è composta, dalla osservazione del filmato relativo (se possibile) e dalla descrizione dell’articolazione della narrazione. • Quando la scena inizia, Commodo, figlio dell’imperatore Marco Aurelio, si avvicina al busto di …; l’inquadratura lo segue. • Entra Marco Aurelio: è anziano, annuncia a Commodo la sua intenzione di non indicarlo quale proprio successore come imperatore di Roma e di aver scelto, al suo posto, Massimo, generale dell’esercito romano. • La delusione di Commodo è devastante; dal dialogo si apprende che è la somma delle delusioni accumulate durante una vita, spesa in continui tentativi di compiacere il padre. Ma Commodo è ambizioso, non si arrende all’evidenza del giudizio paterno; • incanala il proprio livore represso in un proposito di violenza estrema: stringe il padre in un abbraccio ingannatore di affetto disperato, che diventa in pochi istanti un abbraccio di morte. • Morto Marco Aurelio, la scena chiude velocemente, sull’inquadratura dello stesso busto di … con cui si era aperta. Della scena, sono dunque determinanti le articolazioni – come passaggio da uno stato emotivo a quello successivo – e la condizione generale di attesa, di tensione repressa, di violenza ingannatrice. Va inoltre considerata la struttura ad arco dell’insieme: si inizia e si finisce con la stessa inquadratura, all’interno viene profilata un’onda crescente di tensione formata a sua volta di onde interne. È appena il caso di notare la somiglianza della struttura della scena con quella di molta musica, anche tradizionale. Analisi musicale Tenuto conto dell’articolazione della narrazione, l’analisi quindi sarà relativa a: • struttura armonica. L’armonia della musica è tonale, ben ancorata attorno ai cardini (Tonica/Dominante) della tonalità di Re minore, attraverso l’uso di note pedale, di cadenze, di giri armonici tradizionali. La tensione che gravita sulla scena è resa attraverso una prevalente sospensione dell’armonia sulla zona della Dominante, mentre nel momento dell’abbraccio parricida di Commodo, che rappresenta il culmine tragico della scena, vi è uno spostamento violento dalla Dominante verso la tonalità di Mi bemolle minore (salto di 4ª aumentata!) Attraverso uno scivolamento cromatico repentino, cui i grandi salti della linea melodica conferiscono un aspetto di violenza incontrollata, si torna all’accordo di Re maggiore, su cui chiude la musica. Particolare attenzione sarà messa nella individuazione della struttura soggiacente; in particolare, sarà interessante rispondere alla domanda se essa sia Re La Re o Re Mi bemolle Re (è il movimento di nota di volta cromatica, in realtà, che costituisce la struttura profonda della struttura del brano e, insieme, il suo motivo caratterizzante a livello melodico). • motivo: è da mettere in rilievo assoluto la precipuità dell’invenzione motivica rispetto agli stati d’animo che vogliono essere evocati nella scena. Gli elementi melodici che caratterizzano la musica sono quello del movimento di semitono e del salto di 4ª aumentata. L’analisi della struttura melodica metterà in rilevo invece la particolarità dell’invenzione tematica della musica da film, in genere caratterizzata da una estrema essenzialità, in modo da favorire l’elaborazione dei disegni, consentendo gli allungamenti e gli accorciamenti (uso parole di Piovani) che servono ad adattare la musica elasticamente ai tempi della scena e alle pieghe dei significati da mettere in campo. Uso del Leitmotiv (due, nella musica esaminata): è un’altra caratteristica delle colonne sonore in genere, che viene messa in gioco anche nella musica esaminata; sarà interessante notare come i Leitmotiv usati si inseriscano naturalmente e senza soluzioni di continuità nella struttura melodica della musica. • La tessitura (testura/arrangiamento) del suono ha una rilevanza straordinaria nella costruzione di musica da film attuale. Nel caso in esame, si tratta di musica per orchestra d’archi, nella quale è quasi irrilevante la presenza di suoni sintetici. È primaria l’importanza dell’orchestrazione (suoni pedale acuti e gravi con effetto di attesa e presenza; gestione accurata degli ambiti grave, medio e acuto in cui la melodia viene fatta migrare; armonizzazione e contrappunto essenziali e pertinenti); ma va messo in rilievo l’importanza di interventi in studio di registrazione per creare effetti di vicinanza/lontananza del suono, effetti di alone, di presenza non percepibile del suono (tecnica che viene dal pad della popular music). • Le articolazioni della struttura musicale sono ottenute solo in parte tradizionalmente, attraverso l’uso delle cadenze armoniche; il più delle volte la musica si articola attraverso la gestione dei motivi e della tessitura del suono. Conclusioni. Le regole della grammatica e della sintassi sono impiegate per significare: non c’è differenza tra forma e significati in un contesto nel quale vi sia la condivisione del codice, ovvero dove la capacità evocativa della musica e di sollecitare risposte emotive e stati d’animo non risponda a criteri meramente soggettivi, ma culturalmente condivisi. Dire si può attraverso regole condivise. Bibliografia BARONI M. (2002) L’ermeneutica musicale, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi, Torino. COOK N. (2002) Forma e sintassi, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi, Torino. DALMONTE R. (2002) Musica e parole, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi, Torino. GAGNÉ D. (2009) La forma secondo una prospettiva schenkeriana, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 2009/2, LIM, Lucca. MICELI S. (2009) Musica per film. Storia, estetica, analisi, tipologie. LIM, Lucca NATTIEZ J.-J. (1987) Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, Einaudi, Torino NATTIEZ J.-J. (2002) Musica e significato, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi, Torino. RINK J. (2007) Le analisi dei musicologi e le analisi degli esecutori. Paragoni possibili e forse utili, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 2007/2, LIM, Lucca. PIERO VENTURINI Le funzioni formali nella musica postonale Una possibile applicazione delle teorie di Caplin in ambito non-tonale Introduzione e finalità della ricerca Nell’opera Classical forms, Caplin ha definito con molta precisione le funzioni formali di ogni singola parte della forma musicale classica: si parla di funzioni legate alle semifrasi (come, ad esempio, Idea base, Idea contrastante, Continuazione,ecc.), alle frasi (Antecedente, Conseguente, ecc.) e ai periodi. Ogni funzione è identificata da una o più caratteristiche peculiari: in questo modo non è possibile confondere, ad esempio, un’Idea base iniziale con una semifrase cadenzante. Questa ricerca, partendo dall’ipotesi che le funzioni formali descritte da Caplin possano essere presenti nelle musiche di ogni periodo storico (pur nel rispetto delle specificità stilistiche), si propone di verificarne l’esistenza nel repertorio postonale e di identificarne gli aspetti peculiari. In pratica si cercherà di dare risposta alle seguenti domande: - le funzioni formali postonali sono le medesime descritte da Caplin o ve ne sono altre? - quali elementi differenziano una funzione formale da un’altra? L’approccio metodologico Oltre alla teoria di Caplin, la ricerca si avvarrà delle tesi sulla formazione delle frasi nella musica postonale di Hasty. Le fasi della ricerca La ricerca si articola in due parti: -analisi “a tavolino” (poietica) -studio esplorativo basato su un esperimento di ascolto (estesico), che rappresenta una prima verifica dei risultati ottenuti con l’analisi di tipo poietico. Prima parte: l’analisi poietica 1) La ricerca parte dall’esame di un periodo mozartiano1 in cui risultino evidenti le funzioni di descritte da Caplin: come si può notare nell es.1 , è facilmente distinguibile l’Idea base (A) con uno dei suoi caratteri peculiari (il prolungamento dell’accordo di tonica), la Continuazione (B) (aumento del ritmo armonico), la Conclusione (B'') (melodia complessivamente discendente su una successione armonica cadenzale) e il raggruppamento delle semifrasi in una frase di Antecedente e di Conseguente. 2) Si è poi individuato un brano postonale contenente un’unità periodica del tutto simile a quella sopra descritta, ossia le battute 1-5 dell’ op. 11 n. 1 di Anton Webern (es.2). Il brano presenta una struttura bipartita (batt. 1- 5 terza croma; 5-9) di tipo strofico: ogni parte inizia sempre nello stesso modo (un impulso singolo seguito da uno accordale, impulsi posti l’uno in posizione metrica debole e l’altro forte o viceversa): ognuna delle due parti contiene un “periodo” articolato in due frasi (in rapporto antecedente-conseguente) con la medesima struttura strofica, a loro volta suddivise in due semifrasi. L’esame dei set di base (es.3) evidenzia somiglianze e differenze tra le semifrasi A e B. In modo particolare si evidenzia come le semifrasi A', A'' e A''' siano divise in due elementi diversi (α e β) da pausa di differente durata: la successione impulso-accordo (o viceversa) ed un prolungamento rappresentato da una terzina di semicrome (β'), da una coppia di semicrome (β'') o da un accordo (β'''). I due elementi, pur situati all’interno di un’Idea base iniziale, hanno significati formali diversi: il primo (impulso-accordo) di chiusura della parte o della frase precedente, il secondo (il prolungamento) di riapertura e continuazione della frase; questa suddivisione è desunta dalla teoria di Hasty che dimostra come i procedimenti di inversione ( a livello di qualsiasi parametro) coincidano con la chiusura di un’unità metrica. In modo particolare, seguendo questa teoria si nota come la prima parte (l’impulso-accordo di batt.1) si concluda con la sua inversione (l’accordo- impulso sulle ultime due crome di di batt.5), che corrisponde all’arrivo sull’accordo conclusivo di tonica dell’esempio mozartiano. Questa considerazione sposta la fine della prima parte all’ elemento α'' che conclude la batt.5: considerazione fondamentale, come si vedrà, per stabilire un esatto confronto tra questo brano e l’esempio mozartiano. A questo punto si mettono a confronto le tre semifrasi di tipo A tra di loro e le tre semifrasi di tipo B per poter esaminare se esistano dei caratteri che caratterizzino un’Idea base e un’Idea Contrastante. Oltre a notare una tendenza ad un maggiore stabilità dinamica nelle semifrasi di tipo A, l’unica considerazione possibile nasce dal rapporto tra A e B: queste ultime sono dotata di una maggior complessità rispetto alle prime; la maggiore complessità va intesa nel senso della “somma di eventi” di Berry: nelle semifrasi B si nota non solo la presenza dell’evento impulso-accordo, ma anche una maggiore attività, soprattutto a livello della texture. A questo punto è già possibile formulare una prima risposta alle domande iniziali, che verrà sottoposta alla verifica nel successivo studio esplorativo: nel quadro dell’ es.4 sono descritte le funzioni formali desunte dall’analisi poietica. Come si può notare, le funzioni identificate da Caplin sussistono, ma con alcune sostanziali differenze: 1) tra Idea base e Idea Contrastante c’è una relazione di stretta dipendenza, in quanto la seconda è identificabile solo rapportandola alla prima; la terminologia di Idea Contrastante, dunque, appare, in questo contesto, inappropriata a definire la natura di questa funzione (si può propone il termine Intensificazione) 2) la somma di funzioni formali è un evento senz’altro più frequente che nel linguaggio classico (si veda anche, come ulteriore esempio, la battuta conclusiva, in cui l’impulso-accordo tipico dell’Idea Base è unito al termine della semifrase di Continuazione). 3) L’Idea base e la Conclusione, essendo l’una l’inversione dell’altra, lasciano intravedere la possibilità di una permutazione senza che il “senso” del periodo cambi. Seconda parte: lo studio esplorativo Lo studio esplorativo è stato condotto secondo il protocollo seguito negli analoghi esperimenti compiuti da Emmanuel Bigand: a 10 ascoltatori non-musicisti sono stati sottoposti tre ascolti per ogni brano, di cui uno rappresentava la versione originale e gli altri due delle permutazioni delle semifrasi nel seguente ordine: - Mozart: ascolto 1: originale; ascolto 2: B'-A- A'-B; ascolto 3: B- A- B'-A' -Webern: ascolto 1: originale; ascolto 2: B'-B-A'-A; ascolto 3: B'-A-A'- B. (Si ricordi che B' include l’elemento α'' di batt. 5 che corrisponde alla conclusione sulla tonica del periodo mozartiano). L’ordine delle permutazioni è stato scelto in modo che ogni ascolto inizi e si concluda in maniera diversa. Gli ascoltatori, cui è stato chiesto di indicare quali dei tre ascolti ritenessero dare l’impressione di senso compiuto, hanno risposto in questo modo: -Mozart ascolto 1: 9 scelte; ascolto 2: 0 scelte; ascolto 3: 1 scelta -Webern: ascolto 1: 5 scelte; ascolto 2: 4 scelte; ascolto 3: 1 scelta Dall’esito delle scelte appare chiaro come, nel caso di Mozart, sia impossibile invertire le funzioni formali senza che il senso del periodo venga irrimediabilmente compromesso. Nel caso di Webern, invece, è possibile invertire l’Idea Base e la Conclusione senza che il senso del periodo venga alterato; non è invece possibile invertire l’Idea base e l’Intensificazione senza snaturare il brano. In conclusione, dallo studio esplorativo si può dedurre che la cosidetta “forma polivalente”2 tipica della seconda metà del Novecento, in cui l’interprete può scegliere l’ordine delle battute da eseguire tra alcune combinazioni prestabilite, rappresenti un passo necessario e consequenziale nella storia dell’evoluzione del linguaggio compositivo novecentesco, contenuto “in potenza” nella produzione weberniana. NOTE 1 l’esempio è tratto dalla Sonatina Viennese n. 4 K 439/b. L’esempio riportato è la trascrizione apocrifa per pianoforte di un movimento del Divertimento per Trio di fiati; la versione pianistica qui allegata è stata preferita all’originale per maggiore facilità di lettura. 2 la definizione è di Stockhausen BIBLIOGRAFIA -Agavu, Kofi: Theory and Practice: in the Analysis of the Nineteenth-century Lied”, Music analysis 11/1, 1992 -Berry, Wallace: Structural function in music, New York, Dover, 1987 -Bigand, Emmanuel: L’organisation perceptive d’oeuvres musicales tonales, Paris, maison des Sciences de l’Homme, 1993 - Caplin, William: Classical form, Oxford Unoversity Press, 1998 -Clifford, Robert: Multi-level Symmetries in Webern’s op. 11 n. 1, Perspectives of new music 40/1 - Forte, Allen, The atonal music of Anton Webern, Yale university press, 1998 -Hasty, Christopher: Phrase formation in Post-tonal music, Journal of music theory, 28/2, 1984 -Straus, Joseph: The problem of prolongation in Post Tonal music, Journal of music theory n.31/1, 1987 ESEMPI ALLEGATI ESEMPIO 1 ESEMPIO 2 ESEMPIO 3 ESEMPIO 4 LEONARDO ZACCONE Un’analisi comparata di musica acusmatica con partiture: Studie II di Karl Heinz Stockhausen, Incontri di Fasce Sonore di Franco Evangelisti, Fontana Mix di John Cage La relazione proposta è parte della mia ricerca di Dottorato in Storia Scienze e Tecniche della Musica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata” attualmente in fase conclusiva dal titolo “Esecuzione ed Interpretazione nella musica elettronica acusmatica”. Lo stesso tema è stato da me già trattato, sebbene con uno sguardo più storico e meno analitico, in due precedenti conferenze “Fontana Mix und Studie II: Akusmatik zwischen Aleatorik und Strukturalismus” presso la Technische Universität Berlin e “Gli Incontri di Fasce Sonore” all’interno dell’EMUFest del Conservatorio di S. Cecilia. Nella trattazione prenderò in esame questi tre brani acusmatici che per varie caratteristiche sia di somiglianza che di incongruenza reciproche, sono risultati topici: Studie II di Karl Heinz Stockhausen, Incontri di Fasce Sonore di Franco Evangelisti e Fontana Mix di John Cage. Numerose sono le analogie storiche e tecniche che accomunano questi brani, giacché ognuno di essi venne composto nel primo decennio della musica elettronica, in Europa, su nastro magnetico con procedure molto simili tra loro. Ma al di sopra di queste considerazioni, l’analisi comparata del processo esecutivo di questi tre brani ci offre essenziali spunti di ricerca per il particolare fatto che di ognuna di queste opere le “Edizioni Universal” pubblicarono una partitura e che i tre autori appartenessero a scuole di pensiero musicali molto diverse tra loro. Suddette partiture, scritte chiaramente non in notazione tradizionale ma attraverso procedimenti grafici appositamente sviluppati da ciascun autore e quindi diversi tra loro, risultano perfettamente efficaci tanto da permettere a chi possieda le competenze tecniche necessarie di poter realizzare nuovamente il brano, come io stesso ho fatto. All’interno del lavoro saranno analizzate in modo comparativo le divergenze che intercorrono tra i tre “testi musicali”, in questo caso composti dalla partitura e dal nastro, evidenziando in ciascuna opera un rapporto particolare e peculiare tra il pensiero compositivo dell’autore e il procedimento esecutivo che collaborano al risultato sonoro inciso sul nastro. Saranno confrontate pertanto le versioni degli stessi compositori con le mie personali riesecuzioni. Obiettivo principale del lavoro è quello di evidenziare come la presenza stessa di una partitura che permette nel dettaglio la ri-realizzazione del nastro, ovvero una riesecuzione del brano, non coincida con l’idea, che si vorrebbe palingenetica, dell’opera acusmatica come opera musicale finalmente senza esecutore né interprete. Tale considerazione resta particolarmente vera per Fontana Mix e per il pensiero estetico di John Cage che infatti non realizzò molti altri brani acusmatici, ma appare più discutibile per Stockhausen che invece compose moltissimi nastri di musica elettronica e sempre si curò di redigerne delle accurate partiture. Pertanto, come emerge chiaramente dal confronto di questi brani, attraverso essi sarà enucleato il pensiero di ciascuno dei tre autori, esponenti di massimo rilievo delle scuole compositive che rappresentano e di tutta l’avanguardia musicale del secondo novecento, riguardo al processo realizzativo, ovvero all’esecuzione della musica elettronica acusmatica, approccio ancor oggi trascurato nell’analizzare brani elettronici.