Le procedure di bilancio, fra Governo e Parlamento, in una

Le procedure di bilancio, fra Governo e Parlamento,
in una democrazia maggioritaria
Raffaele Perna
SOMMARIO: 1. Le procedure di bilancio hanno esaurito la propria spinta propulsiva?
– 2. L’articolo 81 della Costituzione: equilibrio di bilancio e debolezza dell’esecutivo. – 3. La legge 468 del 1978: inveramento o aggiramento dell’articolo
81? – 4. La riforma del 1988 e la questione della governabilità. – 5. Il risanamento realizzato ed il ritorno al passato. – 6. Procedure di bilancio, vincoli
europei e democrazia maggioritaria. – 7. L’evoluzione/involuzione sotterranea
del sistema. – 8. Conclusioni.
1.
Le procedure di bilancio hanno esaurito la propria spinta propulsiva?
Se è vero che «nella traiettoria delle nostre istituzioni di bilancio
c’è l’autobiografia del nostro sistema politico»1, può essere utile provare a rileggere la concreta configurazione delle nostre procedure di
finanza pubblica alla luce della più complessiva evoluzione della
forma di governo italiana. In questa prospettiva, di particolare interesse sono i mutamenti (quelli realizzati e quelli mancati) intervenuti
a partire dal 1993, in parallelo alla transizione verso una democrazia
maggioritaria.
Del resto, se appare indubitabile che la concreta configurazione
di un sistema istituzionale abbia profonde implicazioni sulla disciplina delle decisioni di finanza pubblica, occorre anche considerare
come la specifica disciplina delle procedure di bilancio eserciti una
fortissima influenza sulla stessa forma di governo del sistema. Siamo
cioè di fronte ad un processo di carattere circolare nell’ambito del
quale gli elementi evolutivi della forma di governo e delle procedure
di bilancio, immaginati come due pendoli, attivano processi di reciproca evoluzione; allo stesso modo, i ritardi, le incertezze, le occa1 P. DE IOANNA, Parlamento e procedure di bilancio, in F. BASSANINI - A. MANZELLA
(a cura di), Per far funzionare il Parlamento, Bologna, 2007, 106.
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sioni mancate di uno dei due possono determinare lentezze e incoerenze nello sviluppo dell’altro2.
Anticipando le conclusioni di questo lavoro, si può affermare
che le procedure di bilancio nel decennio 1997-2007 non si sono giovate della spinta legata ai profondi mutamenti istituzionali intervenuti nel nostro sistema a partire dal 1993. Al contrario, proprio in
considerazione della natura circolare del rapporto cui si è appena
fatto cenno, si può anche argomentare come il mancato adeguamento delle procedure di bilancio al mutato contesto istituzionale
abbia contribuito in modo assai significativo nel determinare quel carattere di incompiutezza che contraddistingue la transizione italiana
verso un modello di democrazia maggioritaria3.
In questa prospettiva, si intravede una soluzione di continuità
nello sviluppo della forma istituzionale del nostro sistema. Storicamente infatti le procedure di finanza pubblica hanno svolto un ruolo
decisivo nei processi faticosi, lenti ma estremamente importanti di
razionalizzazione della nostra forma parlamentare. L’intero percorso
che ha condotto dall’articolo 81 della Costituzione alla legge n. 468
del 1978 e all’ingresso nell’Unione monetaria europea testimonia
come i successivi affinamenti della disciplina legislativa e regolamentare hanno non solo consentito una progressiva razionalizzazione
della decisione di bilancio ma altresì determinato un’evoluzione generale della nostra forma di governo.
Numerosi sono gli snodi rilevanti nella prospettiva sopra delineata: l’introduzione di uno strumento legislativo ad iniziativa riservata e ad esame parlamentare protetto da utilizzare in una sessione
dedicata; la definizione – per la prima volta – di una disciplina rigorosa sui tempi della decisione e sulla durata degli interventi; l’elaborazione di meccanismi regolamentari finalizzati a garantire coerenza
2 Sul rapporto fra regolamenti parlamentari ed evoluzione della forma di governo,
cfr. A. PALANZA, Una nuova legge ed un ordine del giorno per la riorganizzazione del processo di bilancio come metodo della politica generale (legge 25 giugno 1999, n. 208, in
Rass. parlam., 200, 3, 640; N. LUPO, I regolamenti parlamentari nelle «retrovie» del diritto costituzionale, in E. ROSSI (a cura di), Studi pisani sul Parlamento, Pisa, 2007.
3 Cfr. V. LIPPOLIS e G.G. PITRUZZELLA, Il bipolarismo conflittuale. Il regime politico
della Seconda Repubblica, Soveria Mannelli 2007, i quali segnalano come ormai non sia
più corretto parlare di transizione poiché il sistema istituzionale italiano sembra ormai
essersi stabilizzato sugli attuali equilibri, ancorché incerti.
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al contenuto della decisione di bilancio; la previsione di un atto programmatico del Governo, approvato dalle Camere, al quale è interamente subordinato l’intero successivo procedimento legislativo4.
Si tratta di fattori talmente numerosi e significativi che non appare azzardato sostenere che, nel ventennio 1978 – 1998, le procedure di bilancio si siano rivelate potenti fattori istituzionali di evoluzione della forma di governo del nostro Paese.
Viceversa, l’impressione che si ricava esaminando l’evoluzione
dell’ultimo decennio è che le procedure di bilancio abbiano, se non
esaurito, almeno interrotto la propria spinta propulsiva.
2.
L’articolo 81 della Costituzione: equilibrio di bilancio e debolezza
dell’esecutivo.
Continuando ad utilizzare lo schema dell’autobiografia istituzionale suggerito da De Ioanna, è possibile tentare una sommaria periodizzazione del processo evolutivo delle procedure di bilancio. Il
punto di partenza è, naturalmente, l’articolo 81 della Costituzione la
cui lettura deve essere collocata nella temperie politico culturale del
tempo5:il disegno complessivo dei costituenti appare caratterizzato
da un sostanziale contenimento del ruolo del governo nell’ambito
del procedimento legislativo6.
All’interno della prospettiva adottata in sede costituente, particolare importanza assunse la questione degli equilibri istituzionali
in materia di decisioni di finanza pubblica. È noto come Luigi Ei4 La
stessa riforma del voto segreto del 1988, snodo decisivo dell’evoluzione della
forma di governo del Paese, pur essendo riferita alle procedure parlamentari nel loro
complesso, fu varata in primo luogo per far fronte alle gravi anomalie che la precedente
disciplina provocava nel corso dell’esame dei documenti di bilancio.
5 Sull’articolo 81 della Costituzione si rinvia per tutti a S. BARTOLE, Articolo 81, in
G. BRANCA, Commentario alla Costituzione. La formazione delle leggi. Tomo II, BolognaRoma, 1979, 197 ss.
6 Illuminante circa il clima politico-culturale della fase costituente, contrario ad
un rafforzamento della posizione istituzionale del Governo, è l’episodio che vide protagonista Massimo Severo Giannini, all’epoca giovane capo di gabinetto del ministro
Nenni, il quale, in sede di prima sottocommissione della Commissione per gli Studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, (II Commissione Forti) espresse opinione contraria addirittura all’attribuzione al governo del potere di iniziativa legislativa in quanto
tale. Cfr. F. COCOZZA, Il Governo nel procedimento legislativo, Milano, Giuffrè, 1989, 59.
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naudi e Ezio Vanoni sollevarono, in sede di Sottocommissione, il
tema della limitazione del potere di iniziativa legislativa dei parlamentari in materia di bilancio e di leggi di spesa, nella convinzione
che un indiscriminato riconoscimento del potere di spesa anche al
Parlamento avrebbe rischiato di pregiudicare l’equilibrio dei conti
pubblici. Di fronte all’orientamento contrario al riconoscimento al
Governo di una posizione di sovraordinazione nello sviluppo della
dialettica istituzionale, l’articolo 81 rappresentava, nella prospettiva
di chi formulò l’emendamento, il second best, ovvero il tentativo di
garantire comunque l’equilibrio se non il pareggio del bilancio dello
Stato. La natura meramente formale della legge di bilancio (terzo
comma)7 e l’obbligo di copertura finanziaria per tutte le altre leggi
(quarto comma) definivano un modello (in teoria) assai rigoroso e
responsabile per l’assunzione delle decisioni di spesa. Una soluzione che, evidentemente, in quanto tale non contiene un vincolo
contenutistico al pareggio di bilancio, ma che certamente, almeno
nelle iniziali intenzioni, implicava, attraverso la regola del pareggio
delle decisioni incrementali di spesa, una naturale tendenza verso il
pareggio.
Se il bilancio non può disporre nuove spese ed ogni altra legge
deve recare idonea copertura finanziaria, gli spazi lasciati alla creazione intenzionale di deficit di bilancio in funzione anticongiunturale
(secondo i paradigmi della finanza pubblica discrezionale) sono minimi. Del resto, la soluzione einaduiana era indubbiamente ispirata
alla tradizionale concezione di finanza pubblica neutrale8: l’obbligo
7 Naturalmente non à questa la sede per approfondire l’esatta portata della definizione del bilancio come legge meramente formale e le diverse ricostruzioni che sono
state proposte in dottrina: la legge di bilancio come «legge a competenza limitata e a
contenuto tipico» (Onida) o come «legge di organizzazione dell’attività finanziaria dello
Stato» (Bartole) o come «espressione del principio di legalità» (Brancasi). Ai nostri fini
è sufficiente adottare una ricostruzione saldamente ancorata all’esperienza storica applicativa del terzo comma dell’articolo 81, alla luce della quale i margini di manovra del bilancio sono sostanzialmente limitati alla variazione delle dotazioni finanziarie dei capitoli di spesa discrezionale, cioè non obbligatoria né derivante da fattori legislativi, i quali
rappresentano una quota minore del complesso delle spese iscritte a bilancio. Sul punto
si veda la recente ricostruzione contenuta in G. RIVOSECCHI, L’indirizzo politico finanziaria tra Costituzione italiana e vincoli europei, Padova, 2007, 250 ss.
8 Sulle origini dell’articolo 81 della Costituzione cfr. N. LUPO, Costituzione e bilancio, Roma, 2007, pp. 25 ss.
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di copertura «sia per il Governo che per il Parlamento, come garanzia della tendenza al pareggio di bilancio»9.
Gli sviluppi successivi sono noti: l’argine predisposto in Costituzione si è sgretolato di fronte alle dinamiche che hanno interessato
tutte le democrazie europee nei decenni successivi al secondo dopoguerra, quando le nuove concezioni del ruolo dello Stato in economia hanno ribaltato i canoni tradizionali della finanza pubblica. Ribaltamento che dopo una lunga elaborazione in sede parlamentare10
ha trovato una coerente traduzione formale nella nota sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 1966, la quale sancì, fra l’altro, definitivamente la legittimità del ricorso all’indebitamento come forma di
copertura finanziaria delle leggi di spesa11.
Peraltro, è forse il caso di osservare come accanto alle generali
dinamiche evolutive del sistema nell’età keynesiana, il sostanziale fallimento del disegno costituente sottostante l’articolo 81 sia stato anche causato dalla debolezza tecnica della soluzione predisposta. Affidare l’obiettivo del tendenziale pareggio del bilancio al combinato
«natura formale del bilancio – obbligo di copertura delle leggi di
spesa» poteva forse risultare efficace in un diverso contesto storico,
caratterizzato da un basso livello di spesa pubblica e soprattutto da
un modello tradizionale di legislazione di spesa. Con l’affermazione
nel secondo dopoguerra di uno stato pluriclasse e di un sistema democratico di integrazione di massa cambia profondamente il modello prevalente nella legislazione di spesa.
La legislazione di spesa, nella sua parte quantitativamente ma
soprattutto qualitativamente più significativa, configura il riconoscimento di diritti soggettivi universali, ovvero il riconoscimento permanente da parte delle amministrazioni pubbliche di utilità di contenuto economico in favore di grandi settori della cittadinanza: un modello che ben presto si dimostra assai refrattario ad essere governato,
9 Così
Ezio Vanoni alla seduta del 24 ottobre 1946 all’Assemblea costituente, (corsivo nostro).
10 In tal senso si espresse ad esempio il Comitato Paratore costituito nel corso
della III legislatura.
11 Corte costituzionale, sentenza n. 1 del 1966, in Giur. cost., 1966, 1, con nota di
V. ONIDA, Portata e limiti dell’obbligo di indicazione della «copertura finanziaria» nelle
leggi che importino «nuove o magiori spese», ivi, 4. Sull’intera vicenda si veda il classico
V. ONIDA, Le leggi di spesa nella Costituzione, Milano, 1969.
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dal punto di vista finanziario, con il semplice vincolo della puntuale
copertura degli oneri finanziari.
3.
La legge 468 del 1978: inveramento o aggiramento dell’articolo
81?
I limiti strutturali dell’articolo 81 divennero da subito evidenti,
anche se nel corso delle prime tre legislature la solidità dell’equilibrio politico – parlamentare riuscì comunque a compensare tale debolezza. Viceversa, quando si cominciarono ad affermare quei tratti
che avrebbero caratterizzato il sistema politico italiano per circa
trent’anni (allargamento delle coalizioni di governo, indebolimento
dell’esecutivo ed al suo interno del Presidente del Consiglio, dinamiche consociative con i gruppi di opposizione), si sperimentò come
l’articolo 81, che avrebbe dovuto rappresentare l’argine per garantire
il tendenziale pareggio di bilancio, non solo si dimostrava del tutto
inidoneo allo scopo ma era esso stesso un potente fattore di crisi
della finanza pubblica. I limiti stringenti alle potenzialità della legge
di bilancio, mera rappresentazione delle puntuali decisioni di spesa,
privavano infatti il sistema di un efficace strumento di governo della
finanza pubblica nel suo complesso.
Bisognò però attendere fino alla fine degli anni settanta perché
venissero definiti i necessari aggiustamenti. In effetti la legge n. 468
del 1978 rappresenta l’avvio di un processo, durato circa 30 anni,
che ha consentito di disegnare un procedimento di implementazione
delle politiche di bilancio differente rispetto a quello delineato dall’articolo 81. Che la legge n. 468, ed in particolare l’introduzione
della legge finanziaria, abbia rappresentato una vera e propria soluzione di continuità rispetto al previgente ordinamento contabile è
del resto confermato anche dai dubbi di costituzionalità – sicuramente minoritari ma in ogni caso autorevoli – che vennero formulati
in sede dottrinaria12.
12 Dubbi furono avanzati, ad esempio, da G. CAIANIELLO, Coordinamento oggettivo e politica di bilancio, in Rivista della Corte dei Conti, 1981, 354; G. SALERNO, La programmazione di bilancio in Italia. Origine ed analisi di una riforma, Padova, 1983, 58; M.
MAZZIOTTI DI CELSO voce Parlamento, in Enciclopedia del diritto, vol. 13, Milano, 1981,
795. Perplessità furono avanzate anche dalla Corte dei Conti nella Relazione al Parlamento sul rendiconto per il 1978.
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I dubbi riguardavano in primo luogo la compatibilità con il
terzo comma dell’articolo 81, ma erano anche incerti i rapporti del
nuovo strumento con il quarto comma della medesima disposizione
costituzionale. Quanto al primo profilo, veniva denunciato come l’affiancamento ad una legge di bilancio di natura meramente formale di
un legge finanziaria avente natura di legge in senso sostanziale vanificava l’impianto del terzo comma. Quest’ultimo, infatti, prospetta la
decisione di bilancio come decisione di programmazione finanziaria
a legislazione invariata. Al di là della fondatezza ermeneutica della
tesi, rimane il fatto che obiettivo della riforma fu proprio quello di
superare le rigidità ed i limiti della decisione di bilancio, definendo
uno strumento legislativo più incisivo e in grado di rendere in concreto praticabile una consapevole politica di bilancio.
Più sottile era invece la questione del rapporto fra legge finanziaria e quarto comma dell’articolo 81, ovvero il problema – non
chiarito dal testo della legge n. 468 – della copertura della stessa
legge finanziaria. In teoria tale strumento, legge ordinaria, sarebbe
dovuto pacificamente ricadere nell’ambito di applicazione del quarto
comma. Peraltro, poiché la legge n. 468 demandava alla stessa legge
finanziaria la determinazione del livello massimo dei saldi di bilancio, risultava in concreto problematico immaginare una applicazione
meccanica dell’obbligo di copertura ai nuovi o maggiori oneri recati
dalla medesima finanziaria13.
In ogni caso, al di là dei dubbi di legittimità, e al di là dell’effettiva capacità di conseguire gli obiettivi che si prefiggeva, la legge n.
468 ha rappresentato un punto di svolta nell’evoluzione dell’ordinamento contabile della Repubblica. Nelle vicende ad essa relativa è infatti possibile scorgere in nuce gli elementi che, grazie ai successivi
affinamenti, caratterizzano ancora l’attuale modello di decisione di
finanza pubblica.
In questa prospettiva, occorre ad esempio sottolineare come la
legge n. 468 per la prima volta cerchi di affermare un rapporto di subordinazione logica fra la decisione macro sugli obiettivi di finanza
pubblica e le decisioni micro di spesa o di entrata. Superando l’approccio incrementale insito nel combinato tra terzo e quarto comma
13 Cfr.
P. DE IOANNA, Dalla legge n. 468 del 1978 alla legge n. 362 del 1988: note
sul primo decennio di applicazione della legge finanziaria, in Quaderni costituzionali,
1989, 205.
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dell’articolo 81, si fa strada l’idea che, in un ordinato processo decisionale di bilancio, debba prima essere fissato il livello dei saldi di bilancio e solo successivamente sia possibile definire gli interventi puntuali necessari per la realizzazione di tali valori limite-obiettivo.
È noto, peraltro, come la concreta applicazione della legge abbia prodotto esiti opposti rispetto alle intenzioni. La prassi dell’inversione dell’ordine delle votazioni con l’approvazione alla fine del
procedimento parlamentare dell’articolo 1 – che fissa i saldi di bilancio – oltre a vanificare del tutto il disegno riformatore rappresentò il
simbolo del sostanziale fallimento della legge del 1978.14 Ciononostante, l’affermazione anche solo teorica del principio della priorità
della decisione sui mezzi finanziari rappresenta un importante fattore di novità che avrebbe dispiegato i suoi effetti solo con affinamenti successivi.
Un ulteriore profilo da sottolineare è quello relativo alla formalizzazione, per la prima volta, del ruolo centrale dell’Esecutivo nell’ambito della decisione di finanza pubblica. La presentazione del disegno di legge finanziaria viene infatti riservata al Governo e ciò introduce una rilevante novità nel sistema. È ben vero che lo stesso
terzo comma dell’articolo 81 riserva al Governo la predisposizione
del disegno di legge di bilancio da sottoporre all’esame parlamentare; tuttavia, appare evidente come tale previsione, originariamente
riferita ad una legge meramente formale, il cui contento è limitato
alla rappresentazione contabile delle singole leggi di spesa, assuma
una portata ben diversa e maggiore se estesa ad una legge ordinaria
di natura sostanziale avente la finalità specifica di introdurre nell’ordinamento le innovazioni legislative necessarie alla realizzazione
della manovra finanziaria annuale15.
Altrettanto importante è lo stretto legame che la legge n. 468
realizza fra la legge di contabilità e i regolamenti parlamentari, che
vennero coerentemente modificati qualche anno dopo l’approva14 Del
tentativo di correggere tale prassi è rimasta traccia nell’articolo 129, comma
4, del Regolamento del Senato che impone che sia votato per primo l’articolo che fissa
il livello del ricorso al mercato e del saldo netto da finanziare.
15 La posizione rafforzata, dal punto di vista procedurale, dell’iniziativa legislativa
governativa – nell’esame del d.d.l. finanziaria – è del resto confermata dall’inammissibilità dell’ordinario abbinamento di altre p.d.l. di iniziativa parlamentare, anche ai fini
dell’approvazione di un testo unificato.
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zione della legge. Proprio tale legame ha storicamente rappresentato
uno dei tratti più interessanti ed uno degli strumenti più importanti
nell’evoluzione del nostro sistema di finanza pubblica. Con la
riforma del 1983 alla Camera e del 1985 al Senato vennero introdotte
importanti innovazioni rispetto ai tradizionali meccanismi di diritto
parlamentare: la definizione di una sessione parlamentare dedicata
all’esame dei documenti di bilancio; la previsione di un esame congiunto dei disegni di legge finanziaria e di bilancio; la determinazione di tempi certi per il completamento dei procedimenti parlamentari di esame dei disegni di legge; l’introduzione, inedita nei regolamenti parlamentari, della disciplina del contingentamento dei
tempi degli interventi. Innovazioni immaginate per garantire effettività e coerenza alla nuova legislazione contabile ma che introducono
importanti fattori evolutivi nel funzionamento del sistema istituzionale in quanto tale. Innovazioni che – come ad esempio nel caso del
contingentamento dei tempi – hanno fatto da apripista al processo di
riforma complessiva della procedura parlamentare realizzata negli
anni successivi.
4.
La riforma del 1988 e la questione della governabilità.
Come già sottolineato, nonostante gli elementi di razionalizzazione del procedimento che (almeno in nuce) conteneva, la riforma
del 1978 non sortì grandi effetti. La legge finanziaria, pensata come
strumento per recuperare una maggiore capacità di governo nella decisione di bilancio e per agevolare il processo di rientro dal deficit
pubblico, si dimostra essa stessa fattore di ingovernabilità e di crescita del disavanzo16. Il nodo irrisolto della copertura dei nuovi oneri
recati dalla stessa finanziaria, l’assenza di stringenti limiti contenutistici, la concentrazione temporale delle decisioni sui fini (il livello di
disavanzo) e di quelle sui mezzi (le puntuali decisioni di spesa e di
entrata) vanificano del tutto il disegno di costruire uno strumento
moderno ed efficace di governo della finanza pubblica.
La prima versione della legge finanziaria, frutto della cultura
della programmazione economica degli anni sessanta, sviluppatasi
sino alla stagione della solidarietà nazionale della fine degli anni set16 Cfr. A. BARETTONI ARLERI Legge finanziaria e bilancio, in M. D’ANTONIO (a cura
di), La Costituzione economica, Roma, 1985, 309.
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tanta, si presenta quasi come un ircocervo: da un lato tentativo di
strutturare il procedimento decisionale di finanza pubblica, collocandolo all’interno di una rete di vincoli legislativi e regolamentari al fine
di elevarne il grado di coerenza e di trasparenza, dall’altro affermazione di quella «cultura del piano» così efficacemente definita: «l’idea
che, purché si arrivi a conoscerla, e purché si adotti la procedura
adatta per farlo, la soluzione che elimina i conflitti c’è sempre»17.
Ed è proprio la consapevolezza dell’«ambiguità sistematica della
legge finanziaria»18 che conduce alla seconda stagione di riforme dell’ordinamento della finanza pubblica, realizzata con la legge n. 362
del 1988 e con le conseguenti modifiche dei regolamenti parlamentari e l’emersione di prassi parlamentari che chiudono il sistema. Stagione di riforme che porta a maturazione alcune delle intuizioni presenti nella legge del 1978 e che erano rimaste ad uno stato larvale.
In linea generale, la filosofia della riforma del 1988 consiste
nella forte accentuazione del carattere procedimentalizzato e strutturato della decisione di finanza pubblica. L’idea è che attraverso la
previsione di vincoli incrociati di natura contenutistica e procedimentale si possa elevare la capacità di governo del sistema, il grado
di coerenza e di effettività del circuito decisionale. Viceversa, una
maggiore libertà nella determinazione dei contenuti legislativi ed un
allargamento indefinito del procedimento finiscono per indebolire la
capacità del decisore politico. In realtà si tratta di uno schema presente già alla scuola di finanza pubblica italiana e ben sviluppato dagli studiosi di public choice degli anni sessanta. L’idea di fondo è che,
come evocato dall’episodio omerico di Ulisse e le Sirene, l’auto-imposizione di limiti alla libertà ed all’autonomia dei soggetti coinvolti
nel procedimento in realtà si traduca in un aumento della rispettiva
capacità operativa e decisionale19.
17 G.
AMATO - L. CAFAGNA, Duello a sinistra, Bologna, 1982, 178.
DE IOANNA, Parlamento e spesa pubblica, Bologna, 1993, 56.
19 Cfr. J. ELSTER, Ulisse e le sirene. Indagini sulla razionalità e l’irrazionalità, Bologna, 1983. Per un esplicito richiamo al mito omerico in relazione all’evoluzione delle
procedure di bilancio cfr., R. PERNA, Ulisse e le sirene. Presupposti teorici e prospettive
politiche del costituzionalismo fiscale, in Il Poliedro, 1987. n. 9/10, 26; M. SALVATI, Dal
miracolo economico alla moneta unica europea, in SABATUCCI e VIDOTTO (a cura di), Storia d’Italia. Vol. 6. L’Italia contemporanea dal 1963 ad oggi, Bari, 1999, 391; A. PALANZA,
La perdita dei confini: le nuove procedure interistituzionali, in L. VIOLANTE (a cura di),
Storia d’Italia. Annale 17, Torino, 2001, 1211 s.
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Negli anni ’80, esaurita la fase delle larghe convergenze politiche giunta sino all’esperienza dell’unità nazionale, si affaccia con
prepotenza il tema della governabilità. Dieci anni prima che il nostro
sistema costituzionale registrasse l’evoluzione verso quel «maggioritarismo strutturale» che, pur con i limiti e le incertezze che conosciamo, caratterizza l’attuale fase storica, si cerca di realizzare una
forma di «maggioritarismo funzionale», attraverso un sistema di regole capaci di garantire a monte la formazione di maggioranze stabili
e coese, coerenti con l’indirizzo di governo20. L’obiettivo è quello di
elevare la capacità di governo nelle decisioni di finanza pubblica,
fermi restano i limiti strutturali che caratterizzano la posizione dell’esecutivo all’interno degli equilibri istituzionali complessivi del sistema. In questa fase, cioè, la procedura di bilancio assume, come è
stato efficacemente scritto, i caratteri di «procedura decisionale autorisolta»21.
Con la legge n. 362 del 1988 viene definitivamente chiarito che
anche la legge finanziaria soggiace al vincolo di copertura ex articolo
81, quarto comma, benché secondo una differente configurazione22.
Fra le diverse novità introdotte dalla riforma del 1988, ve ne
sono almeno due che hanno modificato in profondità la struttura
della decisione di bilancio: in primo luogo la netta separazione logica
e temporale della decisione sul livello dei saldi di bilancio (assunta
entro luglio attraverso l’approvazione del DPEF) e la concreta configurazione della manovra finanziaria (presentata dal Governo entro il
30 settembre ed approvata dal Parlamento entro la fine dell’anno)23.
20 Cfr.
G. AMATO, Il dilemma del principio maggioritario, in Quaderni costituzionali, 1994, 171; C. FUSARO, Il rapporto di fiducia nei regolamenti parlamentari, in S. LABRIOLA (a cura di), Il Parlamento repubblicano (1948-1988), Quaderni della Rassegna parlamentare, Milano, 1999, 185; V. LIPPOLIS, Maggiornanza, opposizione, Governo, in L.
VIOLANTE (a cura di), Storia d’Italia. Annale 17, cit., 631.
21 P. DE IOANNA, Parlamento e spesa pubblica, cit., 34.
22 Incidentalmente è forse il caso di notare come con le innovazioni della legge n.
362, ed in particolare con il principio della copertura della legge finanziaria, si realizza
in una certa misura l’inveramento, sebbene secondo un percorso del tutto nuovo, della
originaria posizione einaudiana in materia, poiché sanciscono – almeno per le nuove
spese correnti – l’inammissibilità della copertura finanziaria mediante il ricorso all’accensione di prestiti.
23 A conferma della spiccata funzione dinamica della prassi parlamentare in materia di decisione di bilancio è forse il caso di ricordare come la presentazione alle Camere
da parte del Governo di un documento di programmazione finanziaria fosse stata pre-
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Altrettanto importante è la definizione di stringenti vincoli contenutistici alla legge finanziaria, configurata essenzialmente come
atto di regolazione quantitativa. Per garantire effettività al disegno
riformatore viene inoltre completato il raccordo fra la disciplina
della legge di contabilità e le norme dei regolamenti della Camera e
del Senato che governano l’esame parlamentare della manovra di bilancio. Raccordo che diventa talmente stringente da far assumere un
carattere sistemico ai due complessi normativi ed una rilevanza alla
procedura parlamentare ben oltre i suoi confini «naturali». Del resto
per verificare come il rinvio fra regolamenti parlamentari e legge di
contabilità rappresenti un unicum nell’ambito del sistema, si pensi al
fatto che la legge n. 362 è l’unica nominativamente citata nei predetti
regolamenti24. La disciplina sulla verifica del contenuto proprio del
disegno di legge finanziaria, la previsione – unica nel suo genere –
del potere presidenziale di stralcio delle disposizioni estranee e la
stringente disciplina sull’ammissibilità degli emendamenti (con riferimento all’estraneità per materia ed alla coerenza con gli equilibri
finanziari complessivi della manovra) hanno storicamente rappresentato potenti strumenti di razionalizzazione della decisione di bilancio, consentendo – quando le condizioni politiche sarebbero maturate – di realizzare quel percorso di risanamento della finanza pubblica che alla fine degli anni ottanta appariva impensabile.
In particolare, lo speciale regime di emendabilità della legge finanziaria modifica, in modo sotterraneo ma molto profondo, gli
equilibri istituzionali complessivi del sistema. Pur collocandosi formalmente nel solco dei tradizionali principi di equiordinazione fra
Governo e Parlamento (il limite infatti riguarda tanto gli emendamenti parlamentari quanto quelli governativi) non v’è dubbio che la
previsione della necessaria compensatività delle iniziative emendative
al disegno di legge finanziaria conferisca al Governo un formidabile
vantaggio posizionale. Infatti, normalmente è il Governo a disporre
delle informazioni necessarie per una corretta quantificazione dell’emendamento e, cosa ancora più importante, per definire una realivista nel 1986, due anni prima l’approvazione della legge di riforma da due risoluzioni
approvate dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato. Sulla vicenda cfr. I. SCOTTI,
La programmazione economico-finanziaria in Parlamento, in Il Parlamento della Repubblica. Organi apparati procedure, Roma, 1992.
24 Regolamento della Camera dei Deputati, articolo 49 comma 1-bis.
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stica clausola di copertura dello stesso. Certo siamo ancora lontani
dal regime di inemendabilità delle leggi finanziaria e di bilancio caratteristica di diversi ordinamenti europei25, ma non vi è dubbio che,
a seguito delle nuovo regole introdotte nel 1988, gli emendamenti
presentati dai parlamentari alla Camera ed al Senato rappresentano
spesso poco più che semplici segnalazioni di priorità politiche dirette
al Governo affinché adotti le conseguenti iniziative emendative.
Del resto, il processo di riequilibrio in favore del Governo è riscontrabile nello stesso impianto della procedura di bilancio delineata dalla legge n. 362. Architrave dell’intero procedimento è infatti
il DPEF, documento presentato dall’esecutivo che, una volta approvato con apposite risoluzioni delle due Camere, vincola non solo –
come è naturale – il Governo ma anche lo stesso Parlamento rispetto
al successivo procedimento di esame dei documenti di bilancio26.
Con la nuova disciplina, inoltre, cambia anche profondamente
l’equilibrio interno al Governo. Se i primi decenni di storia repubblicana registravano un Ministro del tesoro sostanzialmente inerme
di fronte alle iniziative di spesa provenienti dall’interno della compagine governativa, la nuova disciplina dell’emendabilità della manovra
di bilancio rafforza in modo assai significativo la sua posizione.
In questa fase, la capacità innovativa delle procedure parlamentari si manifesta in pieno, con le novelle regolamentari del 1989 ma
anche con l’emersione di prassi che consentono un ulteriore avanzamento del processo di riforma. È questo il caso del cosiddetto collegato di sessione. Come è noto, il disegno della legge n. 362 preve25 Per
una recente ricostruzione comparatistica delle procedure di bilancio, cfr.
G. RIVOSECCHI, L’indirizzo politico finanziaria tra Costituzione italiana e vincoli europei,
cit., 129 ss.
26 La assoluta particolarità del procedimento di approvazione del DPEF, ed in
particolare il ruolo preminente che in esso assume il Governo, è del resto confermata
dalle disposizioni regolamentari (118-bis, comma 2, R.C. e 125-bis, comma 4, R.S.) che
attribuiscono espressamente al Governo un potere sull’ordine delle votazioni parlamentari, prevedendo che si voti per prima la risoluzione accettata dal Governo, la cui approvazione preclude tutte le altre. Si tratta di norma di evidente valore simbolico ma
che assume anche un notevole rilevanza concreta poiché costituisce un presidio all’univocità e coerenza dell’indirizzo di governo in campo economico-finanziario. Sul punto
cfr. G. SALERNO, voce Legge finanziaria, in Enciclopedia giuridica Treccani, XVIII, Roma,
1998. Sulla natura non propriamente giuridica ma nemmeno meramente politica dei
vincoli reciproci derivanti dall’approvazione del DPEF, cfr. G. RIVOSECCHI, L’indirizzo
politico finanziario, cit., p. 297.
162
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
deva unicamente una legge finanziaria snella, di regolazione quantitativa, e disegni di legge collegati alla manovra finanziaria da esaminare fuori dalla sessione di bilancio. Peraltro, uno schema del genere
si rivelò da subito troppo rigido, poiché non garantiva adeguati spazi
alla necessità di introdurre quelle modifiche all’ordinamento legislativo necessarie per dare corpo alla manovra annuale di bilancio. Si
affermò pertanto la prassi di accompagnare il disegno di legge finanziaria con un provvedimento collegato detto «di sessione», poiché il
suo esame era previsto nell’arco del periodo dedicato all’esame dei
documenti di bilancio. Per evitare che tale innovazione finisse per riprodurre tutti gli inconvenienti della finanziaria omnibus della legge
n. 468, vanificando l’intero disegno di riforma, si affermò la prassi
secondo cui nelle risoluzioni parlamentari di approvazione del
DPEF veniva prevista la presentazione da parte del Governo di un
disegno di legge collegato da esaminare durante la sessione di bilancio e che recasse unicamente norme volte al miglioramento dei saldi.
E, con un’interpretazione molto innovativa, la stessa previsione
delle risoluzioni divenne parametro di ammissibilità degli emendamenti al medesimo disegno di legge collegato. Pertanto, il regime
speciale di emendabilità, riservato dai regolamenti al solo disegno di
legge finanziaria, venne per prassi esteso anche ai collegati27. Un’innovazione introdotta per via di prassi che ha svolto un ruolo decisivo
nel concreto svolgimento delle procedure parlamentari di esame
della manovra di bilancio.
5.
Il risanamento realizzato ed il ritorno al passato.
Naturalmente, le buone tecniche istituzionali riescono a produrre effetti virtuosi solo quando il contesto politico si presenta favorevolmente orientato a sfruttarne le potenzialità. Non deve pertanto stupire il fatto che le innovazioni legislative e procedurali introdotte a partire dalla riforma del 1988 riusciranno a determinare
un effettivo miglioramento della qualità della decisione di bilancio
27 Non
si giunse invece ad un’estensione al collegato di sessione anche del regime
di verifica del contenuto proprio e di stralcio presidenziale. Per l’estensione ai collegati
del regime di emendabilità della finanziaria si veda il parere reso dalla Giunta per il Regolamento del Senato nella seduta del 26 novembre 1992.
RAFFAELE PERNA
163
solo quando, dopo la stipula del Trattato di Maastricht, il risanamento della finanza pubblica, quale condizione per l’ingresso nell’Unione monetaria europea, divenne la priorità politica del Paese. Né
questo deve sminuire l’importanza delle buone tecniche istituzionali,
senza le quali anche le migliori intenzioni politiche rischiano di naufragare. Nell’arco di sette esercizi finanziari (1991-1997) l’indebitamento netto passò dall’11,4% del PIL al 2,7%, con una spettacolare
riduzione a cavallo tra il 1996 ed il 1997.
Ma raggiunto l’obiettivo, forse anche a causa del venir meno
della tensione morale che lo aveva sostenuto nel decennio precedente, il processo di riforma sembra arrestarsi. La legge n. 208 del
1999, con una cadenza decennale quasi regolare dalla precedente
riforma, pone nuovamente mano alla legge di contabilità per operarne un aggiornamento rispetto ad un contesto istituzionale profondamente modificato dall’ingresso nell’Unione monetaria europea e
dalla relativa sottoscrizione del Patto di stabilità.
Nella sostanza, la legge n. 208 conferma l’impianto di fondo
della legge n. 362 e sembra limitarsi ad un’opera di manutenzione
ordinaria, diretta a meglio raccordare alcuni passaggi della procedura nazionale di bilancio con il procedimento di definizione degli
obiettivi programmatici di bilancio svolto in sede europea. In questa
prospettiva si muove l’introduzione, accanto ai tradizionali saldi di
finanza pubblica (saldo netto da finanziare e fabbisogno del settore
statale), dell’indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, come anche la presentazione al Parlamento da
parte del Governo di una nota informativa relativa al Programma di
stabilità presentato alla Commissione europea. Significativa è inoltre
la posticipazione della presentazione del DPEF, con la quale si
prende atto che i termini fissati dalla previgente disciplina non erano
adeguati al concreto svolgimento delle attività interne all’esecutivo,
propedeutiche alla definizione della manovra per l’anno successivo.
La legge n. 208 opera inoltre una ridefinizione del contenuto
degli strumenti legislativi della manovra di bilancio. Per quanto concerne la legge finanziaria – come seguendo il moto oscillatorio di un
pendolo – vi fanno ritorno quasi tutti i contenuti che la precedente
riforma del 1988 aveva cercato di escludere e che avevano dato luogo
alla prassi del c.d. collegato di sessione. La nuova legge finanziaria,
però, non si presenta più unicamente come un provvedimento volto
164
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
al mero risanamento finanziario, ma strumento di sostegno ai processi di crescita economica.
Astrattamente, la ratio della riforma è chiara: raggiunto, con
grandi sacrifici, l’obiettivo del risanamento del bilancio e ottenuto
sin da subito l’ingresso nell’Euro, appare opportuno che le regole
per la definizione della legge finanziaria ammettano quegli interventi
espansivi indispensabili per riattivare i processi di sviluppo dell’economia che la politica di rigore finanziario aveva rallentato.
Alla prova dei fatti la novità si scontra però con ostacoli che
pongono in dubbio la coerenza e la praticabilità della soluzione adottata. Già in sede di prima applicazione, la possibilità di includere
nella legge finanziaria anche le norme finalizzate al sostegno dei processi di crescita economica viene interpretata in senso estensivo, ritenendosi incluse in tale categoria anche le norme a sostegno del reddito28. Peraltro, la consapevolezza di tale linea interpretativa e la richiesta del rispetto di criteri maggiormente selettivi non appariva
fondata su solide basi teoriche né agevole sul piano applicativo. Infatti, la valutazione dell’idoneità di una norma di spesa al sostegno
dei processi di crescita economica rappresenta un esercizio particolarmente complesso. Secondo un approccio keynesiano ortodosso,
qualunque spesa pubblica, se collocata in una determinata congiuntura economica e se finanziata in deficit, può contribuire a compensare il deficit della domanda privata aggregata e quindi a sostenere il
processo di crescita economica. Quando poi si scende sul piano concreto, l’aleatorietà dei giudizi sulla idoneità di una disposizione volta
a favorire l’espansione dell’economia si traduce nella sostanziale impossibilità di opporre efficaci resistenze procedurali alle pressioni
per l’inclusione delle più disparate norme di spesa.
Del resto, a differenza del risanamento del bilancio, quello della
crescita economica più che un obiettivo ad hoc rappresenta piuttosto
l’in sé di tutta la legislazione in campo economico, sociale ed amministrativo e pertanto non è agevole pensare di concentrare i relativi
interventi legislativi (o comunque quelli più rilevanti) in un unico
atto. In questo senso, se sotto la vigenza della legge n. 362 era possi28 A
partire dalla sessione di bilancio per il 2000, si afferma in Senato la prassi interpretativa estensiva che sarà confermata nelle successive sessioni di bilancio. Sul punto
cfr. M. DEGNI, La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, Roma, 2004, 151.
RAFFAELE PERNA
165
bile con notevole attendibilità individuare un’area di norme intruse
che, superando le barriere legislative e regolamentari, riuscivano ad
entrare in finanziaria, dopo la riforma del 1999 ciò è diventato pressoché impossibile. Gran parte delle norme di tale provvedimento,
salvo quelle direttamente riconducibili al suo contenuto necessario, o
comunque volte al miglioramento dei saldi di bilancio, possono essere considerate estranee o meno al suo contenuto proprio a seconda
della linea di politica economica sulla quale è costruito il parametro
di valutazione adottato29.
Naturalmente la nuova disciplina non ha determinato sic et simpliciter un ritorno al passato, alla cosiddetta finanziaria omnibus del
periodo precedente la riforma del 1988. Il chiarimento definitivo
circa la copertura della stessa legge finanziaria e, soprattutto, il
nuovo contesto istituzionale caratterizzato dai vincoli derivanti dall’Unione monetaria europea, hanno scongiurato che dall’allargamento dei confini tematici della decisione di bilancio derivasse la
rottura di quel circuito di responsabilità politico-finanziaria faticosamente costruito a partire dalla legge n. 362.
La nuova riforma della legge di contabilità viene anche accompagnata dall’introduzione di modifiche dei regolamenti di Camera e
Senato, le quali peraltro presentano anch’esse una portata limitata.
Infatti, di notevole impatto appare unicamente la modifica della disciplina relativa ai disegni di legge collegati ai quali viene esteso il regime relativo alla verifica presidenziale del contenuto proprio e all’ammissibilità degli emendamenti proprio del disegno di legge finanziaria30. Tuttavia, si tratta di una modifica che non appare
suscettibile di determinare rilevanti effetti in termini di razionalizzazione del procedimento, in parte perché ribadisce soluzioni regolamentari già affermatesi in via di prassi31 ed in parte perché è riferita
29 L’ISLE ha provato, nell’ambito del XIX Corso di studi legislativi 2006-2007, ha
riesaminare i contenuti della legge finanziaria per il 2007, rispetto ai vincoli di contenuto proprio fissati dalla legge di contabilità, ed ha ed ha verificato che solo il 36% dei
1364 commi della legge appaiono di dubbia compatibilità con l’articolo 11 della legge
n. 468. Cfr. I contenuti della legge finanziaria per il 2007, in Rass. parlam., 2007, 765.
30 Articoli 123-bis R.C. e 125-bis R.S.
31 L’estensione anche ai collegati dello specifico regime di ammissibilità degli
emendamenti era infatti stata già realizzato sotto la vigenza delle precedenti disposizioni
regolamentari. Pertanto la portata innovativa effettiva delle novelle del 1999 riguarda
166
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
ad uno strumento, il collegato, destinato a perdere la centralità che
aveva assunto nel decennio1988-199832.
6.
Procedure di bilancio, vincoli europei e democrazia maggioritaria.
In ogni caso, al di là delle valutazioni che possono essere formulate sul merito delle innovazioni alla procedura di bilancio dalla
legge n. 208 e dalle successive modifiche regolamentari, l’impressione che se ne può ricavare è quella di un mancato aggiornamento
del quadro generale della decisione di finanza pubblica alle novità
istituzionali e politiche prepotentemente emerse durante gli anni novanta.
Fra tutte, sono particolarmente evidenti i vincoli europei alla discrezionalità finanziaria degli Stati aderenti all’Unione monetaria europea, prima nella versione dei parametri di convergenza fissati ai
fini dell’ingresso nella moneta comune, in un secondo momento
nella forma delle regole fissate dall’articolo 104 del TCE, dal Patto di
stabilità e dalla successiva regolamentazione, dirette a prevenire la
formazione di disavanzi eccessivi nei bilanci dei singoli Stati. Si tratta
di elementi che, a nostro avviso, hanno determinato una soluzione di
continuità nell’evoluzione del nostro sistema di finanza pubblica.
Storicamente, la «procedura decisionale autorisolta» affermatasi al
termine di un lungo processo partito dall’articolo 81 della Costituzione e giunto alla riforma del 1988, altro non è stato se non il faticoso emergere di un quadro legislativo e regolamentare idoneo a garantire un adeguato livello di coerenza, trasparenza e responsabilità
l’estensione del potere di stralcio delle disposizioni estranee contenute nei disegni di
legge collegati.
32 È peraltro opportuno segnalare la prassi invalsa da alcuni anni di accompagnare la presentazione del d.d.l. finanziaria con un decreto-legge collegato alla manovra
finanziaria. Tale prassi, oltre a vanificare parzialmente la portata semplificatrice della
riforma del 2009, presenta anche alcune criticità sul regime procedurale applicabile. Infatti, da un lato sui decreti-legge collegati è escluso in radice, in quanto provvedimenti
già vigenti, l’esercizio del potere presidenziale di stralcio, dall’altro, sul versante dell’ammissibilità degli emendamenti, si registrano incertezze ed oscillazioni (fra Camera e
Senato e fra le diverse sessioni di bilancio succedutesi nel corso degli anni) sul regime
applicabile (se quello dei d.d.l. collegati o quello dei d.d.l. di conversione di decreti). Su
tali profili cfr., P. GAMBALE e D. PERROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia, in Rass. parlam., 2005, 2, 476.
RAFFAELE PERNA
167
alla decisione di finanza pubblica, in assenza di vincoli esterni alla
stessa decisione: vincoli di natura oggettiva (un limite quantitativo al
saldo di bilancio) o soggettiva (inemendabilità parlamentare o potere
di veto in favore del Governo).
Naturalmente, segnalare tale soluzione di continuità non equivale ad affermare che con il Patto di stabilità sia stato formalmente
introdotto il principio del pareggio del bilancio. La disciplina europea presenta infatti un carattere molto articolato, in quanto proprio
a causa della spiccata politicità che assume la scelta relativa al saldo
di bilancio, i vincoli di carattere contenutistico vengono collocati all’interno di una rete di relazioni istituzionali idonee a consentirne
un’applicazione flessibile, calibrata sulle specifiche situazioni nazionali e in grado di consentire eventuali deroghe o livelli di tolleranza
ritenuti più opportuni33.
Tale considerazione non può peraltro offuscare il fatto che, con
la sottoscrizione del Patto di stabilità, sia stata radicalmente compresso il livello di discrezionalità della politica di bilancio dei singoli
Stati. Compressione che deriva in primo luogo dalla fissazione di una
regola che per quanto articolata, «procedimentalizzata» e «flessibilizzata» rimane una regola di natura comunque quantitativa. Ed inoltre,
anche per la parte del Patto che riconosce margini di flessibilità, occorre considerare come anche tali margini siano stati dal Patto sottratti alla disponibilità esclusiva degli Stati. Tanto nella fase di fissazione degli obiettivi di indebitamento, quanto in quella di verifica dei
risultati ed in quella, ancor più delicata di applicazione delle sanzioni
in caso di disavanzi eccessivi, si svolge un complessa trama di rapporti
fra Stati ed Unione europea, e tra i diversi organi dell’Unione, che in
quanto contenente elementi di eterodeterminazione non può in nessun modo essere ricondotta ai canoni della finanza pubblica discrezionale, ancorché razionalizzata.
Il secondo potente fattore di cambiamento del contesto istituzionale nel quale sono collocate le procedure di bilancio è rappresentato dall’affermazione progressiva, forse incerta e incompiuta, ma
che al momento appare irreversibile, di un modello di democrazia
maggioritaria. Se, come abbiamo sostenuto in apertura del presente
lavoro, l’articolo 81 della Costituzione nasce come strumento di
33 Sul
punto cfr. G. RIVOSECCHI, L’indirizzo politico finanziario, cit., 361 ss.
168
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
compensazione della debolezza istituzionale dell’Esecutivo, l’affermarsi della cosiddetta Seconda Repubblica segna evidentemente un
altro fattore di discontinuità.
La modifica degli equilibri istituzionali fra Governo e Parlamento caratterizza l’intero sistema, ma il settore dove appare più evidente è proprio quello della finanza pubblica. Settore nel quale la
curvatura maggioritaria del sistema si sposa con la nuova dimensione
imposta proprio dai vincoli del Patto di stabilità. Non v’è dubbio che
proprio il carattere procedimentale – quasi negoziale – della disciplina attuativa del Patto esalti il ruolo dell’Esecutivo sia nella fase
dell’impostazione della politica di bilancio che in quella della verifica
degli andamenti.
Occorre inoltre ricordare come il Patto di stabilità, oltre ad introdurre un vincolo contenutistico, modifichi profondamente altri
due profili che hanno storicamente caratterizzato il nostro sistema di
finanza pubblica. Cambia in primo luogo il parametro di riferimento:
non più il bilancio dello Stato – neppure nella versione «allargata»
del settore statale – ma il conto delle pubbliche amministrazioni.
Cambia anche la prospettiva temporale: non più attenzione esclusiva
alle previsioni di spesa ex ante ma attenzione, anche maggiore, ai risultati di consuntivo. E si tratta evidentemente di due fattori di forte
innovazione per un sistema che, sin dall’articolo 81, era concentrato
sulle previsioni di spesa riferite al bilancio dello Stato. È poi appena
il caso di notare come la situazione sia stata resa ancor più difficile
dal quasi contemporaneo avvio di un processo di riforma in senso federale della forma di Stato del Paese, la quale, con il riconoscimento
di ampia autonomia di spesa a regioni ed enti locali, ha evidentemente reso più complesso il governo della finanza di un aggregato
così ampio.
7.
L’evoluzione/involuzione sotterranea del sistema.
Naturalmente, anche se nell’ultimo decennio il profondo sommovimento istituzionale che ha interessato la decisione di finanza
pubblica non è stato adeguatamente accompagnato da una coerente
ed organica revisione delle regole che lo governano, non per questo
il sistema è rimasto immobile. Come è naturale, la forte pressione
proveniente dall’evoluzione del generale contesto istituzionale si è
RAFFAELE PERNA
169
incanalata laddove ha trovato spazio, forzando gli argini delle vie
consolidate o aprendosene di nuove, in modo non sempre coerente
ed ordinato.
In particolare, l’Esecutivo di fronte alla necessità di guadagnare
un’effettiva capacità di governo della finanza pubblica, indispensabile per l’esercizio della propria responsabilità nei confronti dell’Unione europea, ha fatto ricorso ad una pluralità di strumenti, derivanti da innovazioni legislative o basati sull’evoluzione della prassi,
sostanzialmente finalizzati a «disintermediare» dalle procedure parlamentari alcuni significativi momenti e parti della decisione di bilancio.
Sul piano delle innovazioni legislative, occorre in primo luogo
ricordare il decreto legge n. 194 del 2002, cosiddetto «taglia spese»,
convertito, dopo un serrato esame parlamentare, dalla legge n. 246
del 2002. Il provvedimento che ha suscitato anche un vasto e controverso dibattito in dottrina34 si pone sulla linea, seguita negli ultimi
decenni anche in altri ordinamenti stranieri35, del conferimento al
Governo di poteri di intervento, in corso di esercizio, sull’andamento della spesa come autorizzata in sede di bilancio.
In questa prospettiva, rileva in primo luogo la possibilità in
capo al Ministro dell’economia di sospendere impegni e pagamenti a
carico del bilancio statale, con l’eccezione di alcune categorie di
spese, in presenza di un rilevante scostamento dagli obiettivi degli
andamenti di finanza pubblica36.
Altrettanto importanti sono le novità introdotte dal decreto
nella disciplina delle clausole di copertura delle leggi di spesa ai sensi
dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione. Obiettivo delle
disposizioni è impedire che l’erronea quantificazione dell’onere finanziario sulla cui base era stata costruita la copertura, determini la
34 Cfr., fra gli altri, R. PEREZ (a cura di), Le limitazioni amministrative della spesa,
Milano 2003; C. FORTE, Contabilità di Stato in evoluzione A. BRANCASI, Le «Misure urgenti per il controllo, la trasparenza ed il contenimento della spesa pubblica», in Dir.
pubb., 2003, 962. Solleva dubbi sulla legittimità costituzionale del decreto, anche dopo
le modifiche introdotte in sede di conversione, M. DEGNI, La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, cit., 243 ss.
35 Sul punto cfr. specificamente OCSE, Controllo e governo della spesa pubblica
nei paesi dell’OCSE, in P. GIARDA e N. PARMENTOLA (a cura di), Bilanci pubblici e crisi finanziaria, Bologna, 1990, 212; G. DELLA CANANEA, L’indirizzo governativo della spesa
pubblica, in R. PEREZ (a cura di), Le limitazioni amministrative della spesa, cit., 27 ss.
170
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
formazione di disavanzo nel bilancio dello Stato. Dopo un serrato
esame parlamentare, la disciplina risultante dalle modifiche apportate in sede di conversione prevede la suddivisione delle leggi di
spesa in due categorie: le leggi «plafonate», rispetto alle quali l’autorizzazione di spesa costituisce limite massimo alla spesa ammissibile,
e le leggi di mera previsione di spesa, le quali devono recare una
clausola di salvaguardia idonea a compensare gli effetti finanziari in
caso di sforamento delle previsioni. L’intervento si presenta come affinamento dell’obbligo costituzionale di copertura finanziaria il cui
limite più evidente era proprio insito nella mancanza di adeguati
strumenti di reazione nell’ipotesi di una previsione errata della spesa.
Dall’insieme delle previsioni del decreto emerge come una
quota significativa della responsabilità politica nei procedimenti legislativi di spesa si sposti in favore dell’Esecutivo. Ciò è evidente per
quanto riguarda la disciplina sulla sospensione degli impegni e dei
pagamenti, ma è vero anche con riferimento alla nuova disciplina
della copertura finanziaria. Nel caso delle spese «plafonate» si prevede che un decreto dirigenziale, che accerta l’esaurimento degli
stanziamenti di bilancio, determini la cessazione dell’efficacia dell’atto legislativo. Nel caso invece di leggi recanti semplici previsioni
di spesa, il decreto sembra più coerente con i tratti tipici del nostro
modello di legislazione di spesa: la previsione di una clausola di salvaguardia sembra unicamente diretta a rafforzare l’effettività del
quarto comma dell’articolo 81. A tal proposito occorre, però, sottolineare come tale innovazione, accentuando gli strumenti di verifica
ex post dell’andamento delle singole leggi di spesa, determini co36 La misura, peraltro, riprende in parte quella contenuta nel disegno di legge delega per la stabilità economica presentato, e mai definitivamente approvato, dal Governo Amato nel settembre 1992. Per un confronto fra le due iniziative cfr. M. DEGNI,
La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, cit., 249 s.
37 Si tratta di sei casi registratisi tutti nella XIV legislatura: legge del 2006 (Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti);
decreto legge n. 68 del 2006 (Misure urgenti per il reimpiego di lavoratori ultracinquantenni e proroga dei contratti di solidarietà, nonché disposizioni finanziarie); legge. n. 44
del 2006 (Nuove disposizioni in materia di assegno sostitutivo dell’accompagnatore militare); decreto legge n. 203 del 2005 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria); decreto legge n. 35 del 2005 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale); decreto legge n. 249 del 2004 (Interventi urgenti in materia di politiche del lavoro e sociali).
RAFFAELE PERNA
171
munque una perdita di centralità del ciclo parlamentare di verifica ex
ante delle quantificazioni che ha rappresentato nel corso del tempo
uno degli strumenti cardini di quel processo di razionalizzazione dei
procedimenti di finanza pubblica.
La concreta attuazione della clausola di salvaguardia configura
un ulteriore elemento di disintermediazione parlamentare. In alcuni,
per la verità limitati, casi la clausola prevede, in presenza di scostamenti finanziari, l’autonoma attivazione da parte del Governo di poteri di riduzione, permanente o provvisoria, delle prestazioni previste
dalla stessa o da altre leggi37. Nella gran parte dei casi, di fronte alla
impossibilità tecnica di costruire efficaci clausole puntuali in relazione alle singole leggi di spesa, queste ultime si limitano a prevedere
il monitoraggio sull’andamento della spesa ed il rinvio al fondo per
le spese obbligatorie, salvo il ricorso alla copertura postuma, in sede
di legge finanziaria, dei maggiori oneri ai sensi della lettera i-quater
del nuovo articolo 11 della legge n. 468. In attuazione di tale disposizione, il disegno di legge finanziaria presentato dal Governo reca in
allegato l’elenco delle leggi di spesa che abbiano registrato, in sede di
applicazione, effetti finanziari superiori alle previsioni ed i relativi
stanziamenti aggiuntivi. Si tratta di un elenco che rientra nella parte
normativa della legge finanziaria, e come tale è oggetto di approvazione parlamentare, ma che è ritenuto sostanzialmente inemendabile38.
A circa sei anni dall’emanazione del decreto «taglia – spese» si
può affermare che gli effetti «devastanti» che erano stati paventati,
fino a denunciare il carattere «eversivo» dello stesso39, non si sono
38 R. SOMMA, La copertura «dinamica» delle leggi di spesa, in G. DI GASPARE - N.
LUPO (a cura di), Le procedure finanziarie in un sistema multilivello, Milano, 2005, 349.
La portata innovativa dell’allegato I-quater è ancora maggiore ove si consideri come lo
stesso contenga normalmente anche leggi che recano non mere previsioni ma vere e proprie autorizzazioni di spesa, le quali vengono in tal modo di fatto rifinanziate. Degna di
nota è anche la circostanza che numerose siano le leggi inserite nell’allegato I-quater di
più leggi finanziarie, il che dimostra come lo stesso allegato da mero meccanismo correttivo delle errate previsioni di spesa sia progressivamente divenuto anche strumento di
modulazione delle autorizzazioni di spesa nel corso del tempo.
39 Cfr. P. DE IOANNA, Principio di legalità, legge finanziaria, legge di bilancio, in G.
DI GASPARE - N. LUPO (a cura di), Le procedure finanziarie in un sistema istituzionale
multilivello, cit., 163; M. DEGNI, La decisione di bilancio nel sistema maggioritario, cit.,
244. Segnalano invece come il decreto, del quale pure sono evidenziati i limiti tecnici,
172
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
verificati. Il fenomeno può essere spiegato peraltro con le difficoltà
tecniche di applicare una disciplina così rigida, quasi semplicistica,
ad una legislazione di spesa complessa e stratificatasi negli anni, oltre
che con la circostanza che sono probabilmente cambiate le dinamiche interne all’Esecutivo nella predisposizione della legislazione di
spesa40 e con la diffusione registratasi negli ultimi anni di interventi
legislativi diversi ma rispondenti a logiche analoghe. In particolare,
nelle ultime leggi finanziarie41 sono puntualmente presenti disposizioni che operano «tagli orizzontali», percentualmente definiti e
uguali per tutti, ai capitoli di bilancio di alcune categorie di spesa.
Tagli normalmente accompagnati da meccanismi di flessibilità, con la
facoltà del Governo di riallocare le risorse fra le diverse unità previsionali di base con riferimento alle effettive esigenze registrate in
corso di esercizio.
Nella stessa prospettiva di perdita di significatività della decisione parlamentare di bilancio deve poi essere ricordata l’istituzione
di due fondi di riserva, accanto a quelli tradizionalmente previsti a
bilancio (fondo per le spese obbligatorie e fondo per le spese impreviste): il fondo di riserva per le autorizzazioni di spesa di cui alla tabella C della legge finanziaria ed il fondo di riserva per le autorizzazioni di cassa. Si tratta di fondi, con dotazioni finanziarie particolarmente consistenti in alcuni esercizi, i quali conferiscono anch’essi al
Governo un autonomo e significativo potere di intervento integrativo e modificativo della decisione parlamentare.
rappresenti una interpretazione evolutiva dell’art. 81, P. GIARDA e C. GORETTI, Leggi di
spesa e stanziamenti di bilancio, in R. PEREZ (a cura di), Le limitazioni amministrative
della spesa, cit., 60.
40 È ragionevole ritenere che la nuova disciplina abbia indotto i singoli ministri,
che in precedenza erano tentati dal sottostimare l’onere finanziario derivante dai propri
disegni di legge, pur di ottenere il visto della ragioneria sulla relazione tecnica allegata,
a seguire criteri più coerenti nel timore di veder scattare il blocco degli impegni o la
clausola di salvaguardia. In tal senso, cfr. P. GIARDA e C. GORETTI, Leggi di spesa e stanziamenti di bilancio, in R. PEREZ (a cura di), Le limitazioni amministrative della spesa,
cit., 67 s. Tale conclusione è del resto confortata dalla costante riduzione dell’ammontare complessivo delle spese inserite nell’allegato I quater, sceso dagli oltre 4,612 mld.
del 2004, ai 1,973 mld del 2007 sino ai 648 mln. Del 2008.
41 Si pensi, da ultimo alla regola del 2% e al taglio dei capitoli di bilancio disposti dalla legge finanziaria per il 2005, o al taglio delle autorizzazioni legislative di spesa
di cui alla legge finanziaria per il 2006, o agli accantonamenti lineari della finanziaria
2007.
RAFFAELE PERNA
173
Un ulteriore sintomo – assai significativo – del processo evolutivo in corso è rappresentato dell’utilizzo, divenuto pressoché costante negli ultimi esercizi42, del miglioramento del risparmio pubblico43 a copertura delle nuove spese correnti recate dalla stessa legge
finanziaria. Al di là della rispondenza di tale prassi alla lettera della
legge n. 46844, ai nostri fini è utile segnalare come in tal modo si sia
determinato in via di fatto un rilevante spostamento del baricentro
istituzionale dei procedimenti decisionali di spesa rispetto al disegno
originario della Costituzione. Uno spostamento determinato in
primo luogo dalla circostanza di fatto che, come è ovvio, è solo il
Governo ad avere la possibilità di attestare un andamento delle entrate e delle spese correnti favorevoli45. Ancora, è il Governo a decidere i tempi e le quantità di risparmio pubblico da utilizzare a copertura di nuove iniziative di spesa. Su un piano sistematico occorre
poi notare come la logica stessa di tale prassi si ponga su un piano
completamente differente rispetto all’impianto dell’articolo 81: non
più copertura finanziaria puntuale di ciascuna legge di spesa, bensì
valutazione complessiva – sostanzialmente riservata al Governo –
della compatibilità con gli equilibri finanziari tendenziali delle nuove
iniziative di spesa46.
Sul piano procedurale vale la pena, infine, di notare come lo
stesso principio della piena emendabilità parlamentare dei docu42 Il
ricorso a tale forma di copertura si è registrato per la prima volta con la finanziaria 2000 e da allora si è ripetuto in tutte le manovre finanziarie tranne tre.
43 Ovvero, il miglioramento del saldo – a livello di bilancio dello Stato – fra le entrate correnti e le spese correnti.
44 La questione dell’utilizzabilità del miglioramento del risparmio pubblico a copertura di nuovi o maggiori oneri finanziari fu presente sin dall’approvazione della
riforma del 1988 (si veda in tal senso le risoluzioni parlamentari di approvazione del
DPEF 1990-2002).
45 Anche se differenti da un punto di vista formale, analoghe problematiche pone
l’utilizzo delle maggiori entrate registrate in sede di bilancio di assestamento a copertura
di oneri finanziari recati da provvedimenti approvati in corso d’anno, come, ad esempio,
nel caso del decreto legge n. 81 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 127
del 2007 o del decreto legge n. 159 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n.
222 del 2007.
46 Nella medesima prospettiva vanno anche inquadrati i casi (quattro nelle ultime
nove manovre) di utilizzo copertura degli oneri correnti recati dalla finanziaria dei c.d.
«mezzi di copertura esterni», ovvero delle maggiori risorse derivanti da provvedimenti,
decreto legge o d.d.l. collegati, diversi dalla finanziaria stessa, esaminati autonomamente
dal Parlamento.
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IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
menti di bilancio, oggetto di accese discussioni in dottrina ma comunque finora ritenuto intangibile, sia posto in evidente crisi dalla
presentazione dei maxi – emendamenti, con posizione della questione di fiducia, ai quali ormai il Governo fa da diversi sistematicamente ricorso durante la sessione di bilancio47. Quel che interessa in
questa sede non è tanto approfondire i dubbi sulla legittimità costituzionale di tale prassi48, ma segnalare come quest’ultima, in via di
fatto, non solo riduca – in alcuni casi fino ad annullarlo del tutto – il
potere di emendamento del d.d.l. finanziaria da parte del Parlamento, ma comprometta anche quella basilare funzione di controllo,
considerato che talvolta le Camere non sono state nemmeno poste in
grado di conoscere effettivamente e compiutamente il contenuto del
testo di legge che si accingevano a votare.
8.
Conclusioni.
La rassegna, per necessità sommaria, degli sviluppi delle decisioni di finanza pubblica registratesi in Italia a partire dalla curvatura
maggioritaria delle nostre istituzioni, segnala come il sistema ormai
registri un rilevante fenomeno di dissociazione fra il modello, almeno
astrattamente, vigente e le dinamiche che concretamente lo caratterizzano.
Se nei primi quarant’anni di storia della Repubblica si è cercato
di edificare, nel campo delle decisioni di bilancio – ma non solo –,
un «maggioritarismo funzionale» (in assenza di regole e di comportamenti politici che garantissero il «maggioritarismo strutturale» tipico di altri ordinamenti costituzionali) le novità di rilievo interno ed
internazionale registratesi negli ultimi quindici anni hanno profondamente modificato il contesto istituzionale. Istituti consolidatisi negli
47 L’ultimo caso di manovra annuale di finanza pubblica approvata dal Parlamento senza che il Governo facesse ricorso a maxi-emendamenti con posizione della
questione di fiducia risale all’anno 2002. Per una ricostruzione, nella prospettiva delle
procedure parlamentari, delle sessioni di bilancio della XIV legislatura, cfr. M. CAPUTO,
L’esame parlamentare dei disegni di legge finanziaria nella XIV legislatura e le prospettive
di riforma, in Rass. parlam., 2006, 499.
48 Cfr. N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, in E. GIANFRANCESCO e N. LUPO, Le regole del diritto parlamentare nella dialettica fra maggioranza ed opposizione, Roma, 2007, 41.
RAFFAELE PERNA
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anni sono divenuti marginali quando non obsoleti, nuovi strumenti e
nuove prassi si sono affermate.
L’impressione è che l’architettura della decisione di bilancio costruita nel corso di tre decenni sia interessata in profondità da un
processo di erosione dall’interno che ha reso inattuali gli equilibri
della stagione conclusa senza che ne siano stati definiti di nuovi. Il
processo evolutivo non è stato accompagnato da un corrispondente
aggiornamento del quadro di regole (legislative e regolamentari) che
dovevano convogliarlo in una prospettiva virtuosa di miglioramento
della resa complessiva del sistema.
Se è vero che le criticità che manifestano le nostre procedure di
bilancio derivano da fattori strutturali di evoluzione del contesto politico – istituzionale del sistema, non sembra plausibile che tali nodi
possano essere affrontati con una semplice opera di manutenzione,
affidata alla attivazione – semmai su iniziativa dei presidenti delle assemblee – di prassi «virtuose» da parte dei diversi soggetti istituzionali coinvolti.
A tale proposito basti ricordare come la c.d. «circolare Pera»,
adottata nel corso della sessione di bilancio 2003 dal Presidente del
Senato, che poneva alcuni importanti chiarimenti finalizzati ad elevare la coerenza della decisione di bilancio, non sia riuscita affatto a
conseguire gli obiettivi indicati49.
Sorte insoddisfacente, in termini di recupero del ruolo di controllo ed indirizzo del Parlamento nella decisione di finanza pubblica, ha dovuto registrare, almeno nel primo anno di applicazione,
anche la riclassificazione del Bilancio dello Stato per missioni e programmi realizzata nel 2007. Il disegno di legge bilancio, presentato
dal Governo, espone una struttura completamente nuova, più leggera nell’articolazione (168 programmi articolati in 714 macroaggregati, unità di voto parlamentare, a fronte delle oltre 1716 unità previsionali di base del bilancio precedente) ma soprattutto più leggibile
(perché consente con maggiore immediatezza di analizzare il legame
fra stanziamento di bilancio e politica di spesa) e, quindi, utile per
valorizzare la funzione di controllo del Parlamento. Naturalmente, il
49 Circolare
del Presidente del Senato del 3 ottobre 2003, il cui testo è reperibile
in www.senato.it/istituzione/circolari-presidente. Sul punto cfr. P. GAMBALE e D. PERROTTA, I profili problematici delle procedure di bilancio nella recente evoluzione in Italia,
cit., 488 ss.
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IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
nuovo bilancio presenta diverse criticità, derivanti dal breve lasso di
tempo impiegato dal Governo (l’intera operazione è stata realizzata
in poco più di sei mesi) e dal fatto che si è ritenuto di procedere a legislazione invariata. In ogni caso, si tratta di una novità significativa,
che si muove sulla scorta di importanti esperienze di altri ordinamenti50, ma che, nel corso della sessione di bilancio 2007, è passata
in sede parlamentare pressoché inosservata, considerata la forte tensione politica che si è puntualmente registrata nel corso dell’esame
del d.d.l. finanziaria.
Le considerazioni svolte sembrano pertanto indicare la necessità
di un ripensamento complessivo delle regole (costituzionali, legislative, parlamentari) che governano il processo decisionale di finanza
pubblica. Un ripensamento finalizzato ad adeguare il sistema al mutato contesto istituzionale, al fine di superare gli squilibri che caratterizzano l’attuale fase e di elevare la resa complessiva del procedimento. Occorre cioè prendere atto che la parabola disegnata dalle
procedure di bilancio dall’articolo 81 ad oggi ha probabilmente
esaurito il proprio percorso, proprio perché sono radicalmente cambiati i caratteri di fondo del sistema che avevano determinato il disegno costituzionale ed i successivi affinamenti.
Ed in tale prospettiva, diventa essenziale liberarsi di quel pregiudizio secondo il quale i rapporti di forza fra Governo e Parlamento nell’ambito della decisione di bilancio rappresentano un
«gioco a somma zero». È ben possibile definire un quadro di regole
che consenta di garantire all’Esecutivo strumenti ter realizzare in
tempi certi e con soluzioni coerenti il proprio programma economico, esaltando al contempo la essenziale funzione di controllo e di
stimolo delle assemblee parlamentari.
Naturalmente non è questa la sede per delineare puntuali strategie di riforma che facciano coincidere, per quanto possibile, il
piano formale delle regole che disciplinano in astratto poteri e prerogative degli attori coinvolti nella decisione di bilancio e quello fattuale dei comportamenti che ciascuno di essi segue51. Allo stesso
50 La riclassificazione operata in Italia si ispira alla riforma del 2001 in Francia
(legge organica relativa alla legge finanziaria - LOLF) che ha ristrutturato per missioni e
per programmi il bilancio dello Stato. La riforma francese è stata attuata a partire dal bilancio 2006. Cfr., S. D’ASCANIO, Il bilancio della Francia, in M.L. BASSI (a cura di), Procedure di bilancio: una prospettiva comparata, Napoli, 2006, 63.
RAFFAELE PERNA
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modo, non è possibile sciogliere il dubbio se, nella fase attuale, sia
possibile immaginare semplici interventi di rango legislativo e regolamentare o se, viceversa, occorra ormai collocarsi sulla dimensione
costituzionale, affrontando la riforma dell’articolo 8152.
Ai nostri fini è sufficiente segnalare come, solo quando tale
riforma sarà stata compiutamente realizzata, la faticosa transizione
italiana verso una democrazia maggioritaria potrà dirsi veramente
compiuta.
51 Per
un’analisi recente delle attuali criticità ed una prospettazione di possibili
strategie di riforma, cfr. CENTRO EUROPA RICERCHE, Rapporto n. 4/2006, Roma, 2006;
F. BASSANINI e G. MACCIOTTA (a cura di), La disciplina legislativa e regolamentare della
manovra finanziaria pluriennale e annuale e dei suoi strumenti: una proposta di riforma,
in F. BASSANINI - A. MANZELLA (a cura di), Per far funzionare il Parlamento, Bologna,
2007, 123.
52 In tal senso N. LUPO, Costituzione e Bilancio, cit., 162 ss.