Laboratorio di Matematica
Informatica di base per le seconde classi
Modulo 1
COS’È UN COMPUTER?
La prima risposta che possiamo dare è che un computer è uno strumento per elaborare
informazione. Il computer lavora dunque partendo da informazione in ingresso (l’input
del processo di elaborazione), la elabora in base a una serie di regole (un programma), e
restituisce informazione in uscita (l’output del processo). La quasi totalità computer oggi
utilizzati è digitale, lavora cioè con informazione ‘convertita in numeri', ovvero
informazione in formato digitale.
Prima di approfondire questo aspetto – prima cioè di vedere in che modo l’informazione
viene acquisita, elaborata e restituita da un computer – esaminiamo però le componenti
fisiche di un computer, il cosiddetto hardware.
Dentro il CASE (o cabinet)
La prima componente che incontriamo guardando un computer è la sua ‘scatola’ esterna,
detta anche cabinet. In effetti, il paragone con una scatola non è affatto sbagliato: si
tratta appunto di un contenitore, al cui interno si trovano le componenti fondamentali del
computer.
Il cabinet di un computer è studiato e prodotto secondo degli standard i quali consentono
l’installazione delle componenti interne con metodi universali. Una delle caratteristiche
principali è l’accessibilità per aggiungere o sostituire delle componenti. La maggior parte
dei cabinet si apre svitando poche viti; alcuni sfruttano addirittura un semplice sistema a
incastro, e per aprirli non serve svitare nulla. Sono solitamente provvisti di vani appositi,
anche essi standard. Per esempio, i lettori ottici hanno una dimensione di 5” ¼, i floppy
drive da 3" ½ così come gli hard disk. E’ provvisto di un’alimentatore di switching con
una potenza compresa tra i 300W e i 500W.
La scheda madre e la CPU
All’interno del cabinet, la prima componente che dovrebbe attirare la nostra attenzione è
una vasta scheda piena di componenti elettroniche. Si tratta della cosiddetta scheda
madre, la scheda che raccoglie in maniera efficiente e compatta la maggior parte delle
componenti fondamentali di ogni computer: il microprocessore (CPU), che costituisce
il vero ‘cervello’ del computer, e poi la memoria, le porte di comunicazione, e così via.
Per capire come è fatta una scheda madre, possiamo aiutarci con le figure seguenti (che
rappresentano una tipica scheda madre del 1999)
Figura 1 - una scheda madre
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Figura 2 - la struttura interna di una scheda madre
La prima e più importante componente della scheda madre è il microprocessore, ovvero
la cosiddetta CPU (Central Processing Unit). Per essere esatti, microprocessore e CPU
non sono proprio la stessa cosa: parliamo di microprocessore quando ci riferiamo
all’oggetto fisico che si trova nel nostro computer (e ormai anche in moltissimi altri
dispositivi, dalle automobili ai televisori, dalle macchine fotografiche agli impianti HIFI…), mentre quello di CPU, ovvero di unità di elaborazione centrale, è soprattutto un
concetto logico-funzionale. Concretamente, comunque, la CPU è per così dire ‘incarnata’
dentro un microprocessore (magari insieme ad alcune componenti aggiuntive), e nella
maggior parte dei contesti i due termini possono essere usati in maniera quasi
intercambiabile.
Ma cosa fa la CPU? La CPU corrisponde un po’ alla ‘fabbrica’ che lavora sulle informazioni,
o meglio, alla catena di montaggio di questa fabbrica. Essa infatti lavora per lo più
trasferendo (copiando) informazioni in formato digitale dalla memoria del computer a dei
piccoli ‘scaffali di lavoro’ disponibili al suo interno, i cosiddetti registri; leggendo quindi i
valori che trova nei registri, modificandoli se necessario in base alle regole previste dal
programma che sta eseguendo, e quindi trasferendo nuovamente nella memoria i valori
eventualmente modificati. Fra i registri dei quali dispone la CPU, ve ne saranno alcuni
destinati a contenere i dati sui quali il processore sta lavorando, altri che conterranno sempre in forma codificata - le istruzioni che il processore deve eseguire, mentre un
registro ‘contatore’ si occuperà di controllare l’ordine con il quale vengono eseguite le
istruzioni del programma, tenendo nota di quale istruzione il processore sta eseguendo in
quel determinato momento.
Molte istruzioni di programma richiedono l’intervento di una componente particolarmente
importante della CPU, l’Unità Aritmetico-Logica o ALU: come dice il suo nome, la ALU
compie le principali operazioni aritmetiche e logiche (ad esempio, somma numeri binari,
confronta due valori, o controlla se alcune condizioni previste dal programma siano o no
soddisfatte).
Abbiamo accennato alla necessità di disporre di registri per i dati, e di registri per le
istruzioni e per il contatore (questi ultimi faranno parte della cosiddetta unità di controllo,
il sottosistema della CPU che deve identificare e controllare l’esecuzione di un’istruzione).
Abbiamo parlato anche della unità aritmetico-logica, la ALU. Resta da ricordare che i bit
che vanno avanti e indietro dai registri e sui quali lavorano l’unità di controllo e la ALU
hanno naturalmente bisogno di canali attraverso cui viaggiare: si tratta dei cosiddetti
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bus; l’architettura di un computer dovrà naturalmente prevedere diversi tipi di bus per lo
scambio di dati: alcuni interni alla CPU, altri fra la CPU e le altre componenti del
computer. I bus di dati sono strade di comunicazione assai trafficate, e l’efficienza e la
velocità di un computer dipenderanno anche dalla loro ‘portata’: un numero maggiore di
‘corsie’ permetterà di far viaggiare contemporaneamente più bit, e migliorerà la velocità
del sistema.
Quanto abbiamo detto finora non basta certo a dare una rappresentazione completa e
rigorosa del lavoro interno alla CPU, ma speriamo possa fornirne almeno un’idea: nel
cuore del nostro computer lavora un’attivissima fabbrica impegnata nella continua
elaborazione di dati in formato binario (rappresentati cioè da lunghe catene di ‘0’ e ‘1’);
attraverso le vie di comunicazione costituite dai bus, la materia prima arriva dall’esterno
sotto forma di dati binari in entrata; viene poi ‘lavorata’ in accordo con le istruzioni del
programma, e viene infine nuovamente ‘spedita’ verso l’esterno. Resta da dire che i ritmi
di lavoro della fabbrica sono scanditi dall’orologio della CPU (più ‘veloce’ è questo
orologio, più rapidamente vengono eseguiti i compiti richiesti), e che le capacità di
elaborazione della fabbrica dipendono direttamente dall’insieme di istruzioni che il
processore può riconoscere ed eseguire: ogni programma costruito per essere eseguito
da un particolare processore deve essere basato su comandi tratti dal relativo ‘set di
istruzioni’.
Figura 3 - Una CPU, inserita all'interno dello slot verticale che la ospita nella
scheda madre.
Anche chi non utilizza normalmente un computer sa probabilmente che per identificare le
caratteristiche di questa o di quella macchina si utilizzano spesso e volentieri sigle:
Pentium III 800, Celeron 600, PowerPC G3. Ebbene, non di rado le sigle che trovate
associate ai diversi computer indicano, oltre al nome del processore, la sua ‘frequenza di
clock’, ovvero la sua ‘velocità’, espressa in megahertz. Il processore al momento più
diffuso è il Pentium della Intel. Nel corso del tempo, la frequenza di clock dei processori è
andata continuamente aumentando: pensate che i processori dei primi personal
computer IBM avevano una frequenza di clock di poco superiore a 4 megahertz, mentre
oggi non è infrequente trovare processori con frequenza di clock superiore a 3 Gigahertz.
L’aumento delle frequenza è ormai prossimo alla fine determinato dall’impossibilità di
ridurre ulteriormente le dimensioni dei transistor e quindi si sta procedendo verso l’uso in
parallelo di più processori. Da questa nuova filosofia nascono i processori definiti “DUO”, i
quali implementano al loro interno 2 unità elaborative, in un futuro prossimo si salirà a 4.
Naturalmente, il fatto che la CPU lavori così velocemente porta anche dei problemi: ad
esempio, le CPU di oggi, lavorando a una frequenza molto alta (‘molto velocemente’),
sviluppano anche molto calore. Ed ecco che diventa essenziale ‘raffreddare’ le CPU; un
sistema spesso usato è quello della sovrapposizione alla CPU stessa di una piccola
ventola a motore. Altrimenti? Altrimenti, surriscaldata, la CPU potrebbe lavorare male, o
guastarsi del tutto. Oggi tutte le CPU implementano una protezione dal surriscaldamento
la quale riduce la frequenza di clock o nei casi peggiori spegne il PC salvaguardando così
l’integrità.
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Abbiamo parlato della ‘frequenza di clock’ come di uno degli indici della velocità di un
processore. Ma ricordiamo che la potenza effettiva di un processore non dipende solo
dalla sua frequenza di clock. Dipende anche dal numero e dal tipo di istruzioni che il
processore è in grado di eseguire.
La CPU è la più importante fra le componenti che troviamo sulla scheda madre. Ma dove
si trova la CPU? Nella scheda madre rappresentata dalla Figura 2, essa viene inserita
nella fessura (slot) situata in alto a destra e marcata come slot one. In altre piastre
madri, la CPU può essere invece inserita in un apposito alloggiamento (socket)
orizzontale, in genere di forma quadrata. Alcune schede madri permettono di alloggiare
due CPU, che si divideranno il lavoro migliorando le prestazioni del computer. Il fatto che
la CPU non sia saldata alla scheda madre, ma inserita in un apposito slot permette
all’occorrenza di sostituirla, magari con un modello più recente (che in questo caso dovrà
però essere progettato in modo da adattarsi allo slot già esistente). Gli zoccoli adottati
dai produttori nell’ultimo decennio sono:
Intel: lo Slot 1 per i Pentium II e Pentium III, il Socket 370 per i Celeron, il Socket 370
FC-PGA per i Pentium III, il Socket 478 per i Pentium4 1° generazione, il Socket 775 per i
Pentium4 2° generazione
AMD: lo Slot A per gli AMD Athlon, e successivamente il Socket 754, il 939, il 940 e infine
il Socket AM2
BIOS
La sigla BIOS sta per Basic Input/Output System e costituisce il livello più basso di
software funzionante su un PC. Il BIOS è un insieme d'istruzioni di configurazione
contenuto in un piccolo integrato posto sulla scheda madre, che il PC interpreta ed aziona
per verificare il corretto funzionamento e la configurazione dell'Hardware di base. Il bios
svolge alcune funzioni di basso livello, primarie ma fondamentali per una corretta attività
della macchina. Esso contiene tutte le istruzioni necessarie affinché la CPU possa
comunicare con la tastiera, con il mouse, il monitor, il disco fisso e i dispositivi di
comunicazione.
All'avvio del computer, il BIOS si occupa di caricare, da uno dei dischi, il sistema
operativo e svolge funzioni di configurazione e controllo delle varie componenti, fino a
portare il PC nelle condizioni di essere pienamente operativo. Tale processo prende il
nome di POST (Power On Self-Test). Poiché il BIOS è di fatto un programma,
normalmente memorizzato su una ROM riscrivibile (EEPROM) di tipo Flash, è possibile
aggiornarlo ("flashare il BIOS") tramite appositi programmi reperibili sul sito Web del
produttore della scheda madre.
CMOS
Il CMOS è un piccolo chip di memoria che registra alcuni dati essenziali della
configurazione del PC. Infatti il BIOS, per eseguire le sue funzioni, ha bisogno di
conoscere le caratteristiche dell'hardware presente nel computer: tali parametri sono
permanentemente salvati in una memoria chiamata CMOS RAM. Una piccola batteria
permette di non perdere le informazioni anche a computer spento. I moderni chip CMOS
hanno una memoria di 2MB.
¾
APPROFONDIMENTO BIOS/CMOS
Codici di errore del BIOS (Beep Code)
Durante la fase di POST il BIOS “chiama” tutte le periferiche conosciute o in esso
configurate e in caso di “risposta” positiva emette, generlmente un singolo “beep”
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e quindi esegue le istruzioni nel MBR (Master Boot Record) del primo disco rigido
(HD0 master).
In caso di errori, cioè in caso di periferiche che non rispondono o restituiscono un
codice di errore a loro volta, il BIOS emette una sequenza di beep codificata
secondo certi standard. Qualora l’errore trovato non è critico prosegue con l’avvio
del pc, altrimenti si arresta mostrando alle volte un codice numerico, o un
messaggio di testo. In caso di errore critico che interessa CPU, RAM o scheda
Video dopo l’emissione del “beep code” il pc si blocca e non emette alcun segnale
video.
Beep Code più diffusi (BIOS AWARD)
1 beep corto
Nessun errore
1 beep lungo, 2 beep corti Scheda Video guasta
1 beep lungo, 3 beep corti Scheda video con RAM guasta
1 beep lungo continuo
RAM guasta
1 beep corto alta frequenza Surriscaldamento CPU
CMOS – Aggiornamento del BIOS
Aggiornare il BIOS è un’operazione che comporta dei rischi. Infatti, a meno che la
vostra scheda madre non disponga di misure di prevenzione particolari, la
mancanza di corrente elettrica durante l'operazione di aggiornamento porterebbe
al danneggiamento dei dati all’interno del BIOS cosa che comporterebbe quindi la
necessità di una sua sostituzione. In questi casi il costo di una sostituzione o
riprogrammazione presso ditte specializzate ha, spesso, un costo superiore
all’acquisto di una nuova scheda madre.
La domanda che sorge comunque spontanea è: perché aggiornare il BIOS? I
motivi sono semplici: per migliorare o aggiungere il supporto a determinate
periferiche o dispositivi, per ovviare a delle mancanze di stabilità del sistema, per
aggiungere delle nuove opzioni, e soprattutto a riconoscere i nuovi processori e
quindi supportarne la piena funzionalità.
Alcuni produttori di schede madri, hanno sviluppato dei software che permettono
di aggiornare il BIOS direttamente da ambiente Windows semplicemente
selezionando il file del nuovo BIOS tramite un' interfaccia grafica. Altri ancora
hanno integrato l'utility direttamente sulla scheda madre di modo che, all'avvio,
potete accedervi semplicemente premendo una data combinazione di tasti.
ChipSet
È composto da uno o più circuiti integrati ("chip") che hanno il compito di mettere in
comunicazione i componenti presenti sulla scheda madre e di coordinarne le attività. In
sostanza, il chipset del sistema è un gruppo di circuiti integrati, ciascuno dei quali è
costruito per assolvere una data funzione e che un tempo risiedevano su chip separati tra
loro. Il chipset, invece, consente un risparmio di spazio e il contenimento dei costi..
Le funzioni svolte da tali chip set vengono solitamente ripartite in due dispositivi. Uno
fornisce l’interfaccia che collega la CPU alla memoria, mentre l’altro fornisce i controlli per
i connettori IDE, ISA, PCI e USB (vedi sotto).
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BUS
Canale di comunicazione che permette lo scambio dei dati tra due o più componenti del
computer, come memoria, processore, schede video, audio e di rete, periferiche esterne.
È costituito da un insieme di linee elettriche, che trasportano i dati, e da un controller,
che ha il compito di temporizzare l'invio dei segnali elettrici.
L'ampiezza di un bus indica il numero di bit che il canale di comunicazione può
trasportare contemporaneamente. Un bus composto da una sola linea elettrica capace di
trasportare un unico bit alla volta, è detto seriale, mentre un bus con più linee elettriche
(che trasportano tanti bit quante sono le linee attive) è detto parallelo.
La frequenza indica invece il numero di volte in un secondo in cui i dati possono essere
inviati. Un bus a 8 bit e 10 MHz, per esempio, può trasportare 8 bit alla volta per 10
milioni di volte al secondo, per una banda passante di circa 10 MB/sec
¾
APPROFONDIMENTO BUS
Connettori primari
Sono i connettori per :
•
Alimentazione – È un connettore a 20 pin che accetta la spina
dall’alimentatore. Questa spina porta corrente elettrica continua (AD) a tutti i
circuiti presenti sulla scheda madre.
•
Tastiera – È il piccolo connettore a 6 pin di forma circolare che si trova nel
retro della scheda madre e serve per collegare il cavo della tastiera.
•
Mouse - È il piccolo connettore a 6 pin di forma circolare (PS/2) che si trova
accanto al connettore per la tastiera e serve a collegare il cavo del mouse.
•
Display – Questo connettore non è integrato nella scheda madre, ma lo abbiano
inserito in questo elenco perché la sua funzione è indispensabile. È un
connettore a 15-pin, a forma di D che si trova sulla scheda video e che si
inserisce nel connettore AGP della scheda madre.
•
IDE – È l’acronimo di Integrated Drive Electronics. Si tratta di connettori a 40 pin
che forniscono il luogo per collegare i cavi a forma di nastro (BUS) derivanti dai
dischi (fisso e CD/DVD). Tutti i dati che vanno dalla scheda madre e i dischi
viaggiano attraverso questi cavi. Non è possibile accedere ad essi a meno che non
si apra il case del PC. Il nome della specifica che definisce l'interfaccia IDE si
chiama ATA. I due termini sono in realtà usati come sinonimi. ATA-2 (o Fast
ATA) supporta dischi di alcuni GB, una velocità fino a 11 MB/s e aggiunge il
trasferimento DMA (un canale di comunicazione diretto fra la periferica e la
memoria centrale) e il Plug and Play. La sua implementazione è l'interfaccia EIDE.
ATA-3 è un ulteriore miglioramento (fino a 8,4 GB e 22 MB/sec), che aggiunge
anche le funzioni "Smart" per il controllo dello stato del disco.
Le versioni attualmente più avanzate sono Ultra ATA (anche detta Ultra DMA
5), che arriva a 100 MB/s, e Ultra ATA/133 (o Ultra DMA 6), che arriva a 133
MB/s.
•
EIDE - Acronimo di Enhanced IDE (IDE potenziata). Versione migliorata
dell'interfaccia IDE per la connessione dei dischi fissi, è l'implementazione
delle specifiche ATA-2 e delle versioni potenziate.
Il controller EIDE permette la connessione di quattro periferiche e la sua velocità
di trasferimento raggiunge, nelle implementazioni più recenti, i 133 MByte al
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secondo.
•
SATA - Il Serial ATA (SATA) è una interfaccia per computer generalmente
utilizzata per connettere un hard disk nell'ambito di un computer. È
l'evoluzione dell'ATA (più conosciuto come IDE). I vantaggi principali sono
tre: la velocità, la gestione dei cavi e la funzione di hot swap. L'interfaccia
ATA è stata rinominata a Parallel ATA (PATA), per evitare confusione. La
prima versione del Serial ATA supporta una velocità di trasmissione dei dati
pari a 1.5 Gigabit al secondo. Sono tuttavia già presenti controller SATA di
seconda generazione (detti SATA/300 o SATA 2) in grado di trasferire
3Gbit/Sec e si prevede una terza generazione di controller da 6 Gigabit al
secondo per il 2007.
•
Connettore FDD – Ha una funzione simile a quella del connettore IDE. È
un connettore BUS a 34 pin che trasporta i dati dalla scheda madre a
ciascun lettore di floppy installato nel PC. Non vi si può accedere a meno di
non aprire il case del PC.
•
Connettore DRAM – I connettori Dynamic Random Access Memory sono
connettori per i moduli di memoria di tipo SIMM e DIMM. Non è accessibile
a meno di non aprire il case del PC.
•
Connettori seriali
o
Connettore Seriale Standard –Originariamente era messo su schede
del tipo espansione ISA. Oggigiorno, invece, è parte integrante delle
schede madri più moderne. Si tratta di un connettore a 9- pin, a forma di
D e serve a collegare al PC qualsiasi dispositivo con porte seriali. È in grado
di sopportare una velocità massima di 115 KB/s.
o
USB - Universal Serial Bus Si tratta di un bus seriale relativamente
nuovo. Originariamente sopportava basse velocità (1.2 Mb/s), ma fu
migliorato fino a sostenere 12Mb/s. L’ultima sua versione, la 2.0, riesce a
sopportare velocità fino a 400 MB/s.
I connettori USB sostituiranno completamente i connettori seriali standard
e gia oggi esso è un connettore standard di tutte le nuove schede madri.
Diversamente dalle porte seriali e parallele, la porta USB è progettata per
fornire alimentazione ai dispositivi che ad essa sono collegati. Ogni porta
deve garantire una erogazione di 0,5 A.
•
•
Connettori paralleli
o
Centronix o Connettore Parallelo Standard - Questo connettore esiste
fin dalla prima comparsa del PC. Possiede 37-pins e ora viene integrato
nella scheda madre. Serve solitamente a collegare la stampante al PC e
trasporta dati a una velocità di circa 1MB/s.
o
SCSI – È l’acronimo di Small Computer System Interface e trasporta dati
fino ad una velocità massima di 80Mb/s. Solitamente non è integrato nella
scheda madre del PC, ma può essere aggiunto al PC come connettore per
scheda di espansione. Alcune stampanti e dischi fissi utilizzano l’interfaccia
SCSI.
Connettori per schede di espansione
La CPU collega i connettori delle schede di espansione mediante i singoli circuiti
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integrati (IC) del chipset descritto in precedenza. Essi si trovano sulla scheda
madre sul retro del PC. Questi connettori consentono alle schede di espansione
adibite a particolari funzioni di essere inserite nel PC e operare in esso. Prima che
i connettori seriali e centronix venissero integrati nelle schede madri, tali
connettori si trovavano sulle schede si espansione che, a loro volta, venivano
inserite negli slot ISA.
Attualmente esistono almeno tre diversi tipi di connettori per schede di
espansione:
o
ISA – Acronimo di Industry Standard Architecture è un connettore che
risale al 1980 e fece la prima volta la sua comparsa nel PC IBM XT. È un
connettore ormai datato e in disuso e non più in produzione nei nuovi PC.
Tuttavia lo si può ancora trovare su alcune nuove schede madri cosi che
vecchie schede di espansione possano ancora essere utilizzate. (Il
connettore è sempre di colore nero). La frequenza di tale bus è di 8/10MHz
con 16bit. Tale standard è di fatto ABBANDONATO dal 1999.
o
PCI – È l’acronimo di Peripheral Component Interconnect. Si tratta del
connettore più comune, più recente e più veloce. Può accettare una varietà
di diverse periferiche come schede video, schede audio, modem, schede
SCSI, schede addizionali purché abbiamo interfaccia PCI. (Il connettore è
sempre di colore bianco). La frequenza di tale bus è di 33MHz con 32bit.
o
AGP - Accelerated Graphics Port è il connettore riservato alle schede video
di più nuova concezione (nelle versioni 2x e 4x). Il monitor del PC
viene collegato attraverso questo connettore cosi da poter essere
controllato da tali schede video. (Il connettore è sempre di colore
marrone). La frequenza di tale bus è di 66MHz con 32bit.
o
PCI-X - Il PCI X è un'interfaccia sviluppata per collegare al computer le più
svariate periferiche. Il progetto del PCI X (1999)è nato dalla necessità di
sviluppare un successore del bus PCI che sopperendo alle sue mancanze
permettesse, nel contempo, di conservare il patrimonio di lavoro e di
conoscenze sviluppato su di esso. (Il connettore è sempre di colore
marrone ma ben più lungo di quello dell’AGP). La frequenza di tale bus è
di 66MHz con 64bit nella versione PCI-X66.
o
PCI-E - PCI Express, ufficialmente abbreviato in PCI-E o PCIe è
un’interfaccia di espansione introdotto dalla Intel nel 2004. Progettata per
sostituire il PCI ormai obsoleto, l’AGP delle schede grafiche e il recente
PCI-X che non si è affermato come sostituto del PCI. Ha prestazioni
notevolmente superiori al vetusto PCI e nelle versioni 2.0 raddoppia la
banda passante.
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La memoria RAM
Un’altra componente fondamentale della scheda madre sulla quale vale la pena di
soffermarsi è la memoria. La CPU ha bisogno di memoria esterna, di molta memoria
esterna sulla quale conservare i dati di lavoro, le istruzioni dei programmi che sta
eseguendo, e così via. La memoria utilizzata dalla CPU può essere di vari tipi: memoria ‘a
portata di mano’, disponibile sulla scheda madre, e alla quale è dunque possibile
accedere, in lettura e scrittura, in maniera molto veloce, e memoria esterna alla scheda
madre, sotto forma di dispositivi di memoria di massa come i floppy disk, i dischi rigidi, i
CD-ROM, i DVD ecc.
Ci soffermeremo più avanti sulla memoria ‘esterna’; per ora concentriamoci su quella
direttamente innestata nella scheda madre. A sua volta, essa può essere di vari tipi; il
deposito più capiente è quello rappresentato dalla cosiddetta RAM (Random Access
Memory), dove mentre usiamo il computer viene conservata, momento per momento, la
gran parte dei dati sui quali stiamo lavorando e delle istruzioni relative ai programmi che
stiamo usando. Se ad esempio stiamo utilizzando un programma di videoscrittura, la
RAM conterrà il testo che stiamo scrivendo (o una larga parte di esso) e i moduli
fondamentali del programma che stiamo usando per scriverlo.
La RAM è una memoria volatile: i dati vengono conservati sotto forma di potenziali
elettrici, e se spegniamo la spina (o se va via la corrente) vanno persi. Nello schema
della Figura 2, la RAM viene inserita negli alloggiamenti (sockets) in basso a destra,
subito sopra i connettori per disco rigido e lettore di floppy disk. E’ necessario però che
sulla scheda madre sia presente, a disposizione della CPU, anche una parte di memoria
non volatile, contenente una serie di informazioni fondamentali per il funzionamento del
computer. Ad esempio, le informazioni su quali siano i dispositivi presenti sulla scheda
madre, e su come comunicare con essi. Queste informazioni non possono essere date
‘dall’esterno’, perché senza di esse la stessa comunicazione con l’esterno è impossibile.
Non possono nemmeno essere volatili, perché se lo fossero scomparirebbero al momento
di spegnere il computer, e alla successiva riaccensione non sapremmo più come
reinserirle, dato che il computer stesso non ‘ricorderebbe’ più come fare per comunicare
con l’esterno.
Dopo alcuni anni dove sono coesistiti diversi standard di ram oggi il mercato su questi
prodotti è molto più semplice. Praticamente tutti i computer prodotti sino ad oggi
montano ram DDR e DDR2 già da ora però è possibile acquistare un sistema
equipaggiato con memorie DDR3 che i futuro dovrebbero diventare lo standard da
seguire.
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APPROFONDIMENTO RAM
Quanta ne serve?
Più il computer ha ram a disposizione e meglio funzionerà, quasi sempre infatti il
problema dei computer vecchi e lenti è la scarsa disponibilità di memoria ram.
Con i sistemi operativi di oggi ed i programmi presenti il minimo indispensabile
sono 256Mb (Win9x); tuttavia si consiglia di partire con 512Mb (Win XP) quando
si costruisce un computer nuovo, a meno che non sia veramente molto economico
e che non ci si aspettino prestazioni estreme. Chi invece vuole permettersi di
usare molti programmi contemporaneamente, magari grafica, elaborazione video
e altre attività avide di risorse potreste optare per 1024Mb (1Gb) di ram. Con S.O.
come Windows Vista 1GB di RAM è la condizione minima di partenza a causa della
mostruosa richiesta di risorse di questo S.O.
La frequenza delle memorie DDR/DDR2
Ogni banco di ram può funzionare sino ad una frequenza massima, ovviamente
più questa è alta e più il componente sarà costoso. Il valore è indicato quasi
sempre con una sigla PCxxxx, ognuna di queste corrisponde ad una velocità
massima, a volte viene indicato il valore doppio perché appunto essendo DDR
lavora a velocià doppia. Ecco una tabella riassuntiva.
-
133
166
200
200
266
333
400
533
MHz
MHz
MHz
MHz
MHz
MHz
MHz
MHz
:
:
:
:
:
:
:
:
DDR266/PC2100, 2.1 GB/s
DDR333/PC2700, 2.7 GB/s
DDR400/PC3200, 3.2 GB/s
DDR2-400/PC2-3200, 3.2 GB/s
DDR2-533/PC2-4200, 4.2 GB/s
DDR2-667/PC2-5400, 5.4 GB/s
DDR2-800/PC2-6400, 6.4 GB/s
DDR2-1066/PC2-8500, 8.5 GB/s
Ovviamente è inutile comprare delle ram costosissime come le PC8500 visto che
se venissero montate su un computer la cui scheda madre opera a 200MHz non
avrebbero nessun effetto positivo. Infatti le memorie funzionano alla velocità che
gli viene imposta dalla scheda madre.
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Formati e Tecnologia delle RAM
Le memorie DDR3 sono un'evoluzione delle precedenti DDR2. Ancora una volta i
dati vengono trasferiti su entrambi i fronti del segnale (salita e discesa) ottenendo
così una duplicazione della velocità di trasferimento che nelle DDR3 varia tra gli
800 Mbits/s e gli 1,5 GBits/s.
Ecco una tabella per riconoscere la ram che monta il vostro computer.
SDR,
chiamata
anche
Dimm,
disponibile in versioni da 66 a 133Mhz,
ora in disuso
DDR, disponibile in versioni da 133 Mhz in su
è
cresciuta
da
200/333/400Mhz.
Il
trasferimento dati avviene solamente su
singolo fronte.
DDR2, introduce il trasferimento dei
dati su entrambi i fronti raddoppiando
la banda passante. Sostituiranno la
DDR dal 2007 in poi.
DDR3, come le DDR2 i dati vengono trasferiti
su entrambi i fronti ma con maggiore
frequenza operativa.
SDR per portatili
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DDR per portatili.
DDR2 per portatili.
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Schema di funzionamento delle SDRAM
DDR3 a confronto con i precedenti moduli DDR2
Standard
Clock
Frequenza I/O
Velocità
trasferimento
dati
Banda per
canale
Banda
dual
channel
DDR2 667
PC2-5300
166
MHz
333 MHz
667 MT/s
5,3 GB/s
10,6 GB/s
DDR2 800
PC2-6400
200
MHz
400 MHz
800 MT/s
6,4 GB/s
12,8 GB/s
DDR3 800
PC2-6400
100
MHz
400 MHz
800 MT/s
6,4 GB/s
12,8 GB/s
DDR2 1066
PC2-8500
133
MHz
533 MHz
1066 MT/s
8,5 GB/s
17,0 GB/s
DDR3 1066
PC2-8500
133
MHz
533 MHz
1066 MT/s
8,5 GB/s
17,0 GB/s
DDR3 1333
PC2-10600
166
MHz
667 MHz
1333 MT/s
10,6 GB/s
21,2 GB/s
DDR3 1600
PC2-12800
200
MHz
800 MHz
1600 MT/s
12,8 GB/s
25,6 GB/s
Memoria
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Laboratorio di Matematica
CL2, CL2.5 o CL3?
Ogni tanto a fianco del nome si trova una scritta simile a CL2, CL2.5 oppure CL3.
Questo dato indicata quale è il minor valore di Cas Latency impostabile senza che
presentino malfunzionamenti. Più questo numero è basso e più la memoria avrà
prestazioni alte velocizzando il computer. In ogni caso questo parametro non
influisce molto sul funzionamento del computer per cui potete rimanere tranquilli
anche acquistando comuni banchi CL3 senza dover cercare modelli più costosi.
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Laboratorio di Matematica
Misurare la memoria
Abbiamo parlato di memoria. Ma come si misura, la memoria di un computer? L’unità di
misura fondamentale dell’informazione è il bit, che corrisponde alla quantità di
informazione convogliata dalla scelta fra due sole alternative. Con un solo bit di memoria
possiamo rappresentare, ad esempio, lo stato di un singolo interruttore (acceso o
spento), o un carattere di un linguaggio composto da due soli simboli. Per fare cose un
po’ più interessanti serve molta più memoria! Il passo successivo è il byte, che
corrisponde a una ‘parola’ composta da otto bit. Un byte può ‘informarci’ sulla scelta fra
28 = 256 diverse alternative. Può quindi rappresentare ad esempio un carattere scelto da
un alfabeto di 256 simboli, un numero intero compreso fra 0 e 255, un colore scelto da
una ‘tavolozza’ di 256 colori diversi, e così via.
Le tabelle più diffuse di codifica dei caratteri, come la tabella Iso Latin 1, utilizzano
proprio un byte per codificare un carattere. Un carattere di testo, dunque, ‘pesa’
normalmente un byte. Quanto peserà, allora, una cartella di testo? Se supponiamo che la
cartella comprenda circa 2000 battute, essa peserà circa 2000 byte.
Bit e byte sono unità di misura della quantità di informazione, e dato che la capacità di
una memoria corrisponde appunto alla quantità di informazione che in essa può essere
immagazzinata, bit e byte sono anche le unità di misura di base per esprimere la capacità
di immagazzinamento (la ‘dimensione’) di una memoria. Man mano che le dimensioni
delle memorie (e della quantità di informazione che vogliamo immagazzinarvi) crescono,
tuttavia, diventa scomodo continuare a parlare utilizzando solo unità di misura ‘piccole’
come il bit e il byte.
Ecco allora che, proprio come accade per altre familiari unità di misura, anche in questo
caso si fa ricorso a nomi specifici per indicare i principali multipli delle nostre familiari
unità di base. A differenza di quanto accade ad esempio nel caso della lunghezza o del
peso, tuttavia, nel caso della quantità di informazione non si usa, per la costruzione di
queste unità di misura di livello superiore, il sistema decimale. Abbiamo visto infatti che
nel campo del digitale è la numerazione binaria, non quella decimale, a fare da padrona.
Ecco allora che il Kilobyte (abbreviato come Kb) non corrisponde a 1000 byte ma a 210 =
1024 byte. 2 Kb di testo corrispondono dunque non a 2000, ma a 2048 caratteri (siamo
comunque sempre vicini alle dimensioni di una cartella standard). Proseguendo nella
scala, troviamo il Megabyte (Mb), che corrisponde a 1024 Kilobyte), e il Gigabyte (Gb),
che corrisponde a 1024 Megabyte.
Dispositivi di memoria di massa
La memoria RAM interna al computer diventa sempre più ampia, ma come abbiamo
accennato si tratta di una memoria volatile, che non è dunque in grado di conservare in
maniera permanente dati e programmi. Per quest’ultimo scopo, è bene disporre di
depositi di memoria ancor più grandi, dato che vogliamo conservarvi tutti i programmi e
tutti i dati che desideriamo avere a nostra disposizione, e non solo quelli che utilizziamo
in un dato momento.
A questa esigenza rispondono i cosiddetti dispositivi di memoria di massa: disco rigido,
floppy disk, CD-ROM, DVD, nastri e cartucce di vario tipo.
I floppy disk, ovvero i normali ‘dischetti’ da computer, sono oggi in disuso sia per
l’esigua capienza sia per un preciso volere dei produttori i quali hanno stabilito nuovi
standard per i PC eliminando questo dispositivo. I floppy disk sono dei piccoli dischi di
materiale magnetico inseriti all’interno di un rivestimento di plastica, che all’inizio era
flessibile (da qui la caratterizzazione ‘floppy’) ma che successivamente è stato reso rigido
diminuendone al contempo le dimensioni (da 5”¼ a 3”½). La capienza massima
raggiunta dai floppy disk attuali, nella versione più diffusa, 1.44 Mb di dati.
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Figura 7 - un floppy disk
La sopravvivenza di supporti simili ai floppy disk può dunque essere legata solo alla
realizzazione di dischetti molto più capienti; in effetti, hanno conosciuto una certa fortuna
supporti che possono essere considerati dei ‘discendenti evoluti’ dei floppy disk (pur se
basati in realtà su tecnologie parzialmente diverse). Fra i più diffusi ricordiamo ad
esempio le cartucce ZIP (da 100 Mb) e JAZZ (da 1 Gb) prodotte dalla Iomega, e le
cartucce e i nastri prodotti dalla Sysquest. Oggi anche questi supporti sono caduti in
disuso dall’avvento delle memorie flash con cui si costruiscono le USB Pen Drive.
Una categoria ormai diffusissima è quella rappresentata dai CD-ROM; a differenza dei
floppy disk e dei nastri, l’informazione è scritta e conservata su un CD-ROM sfruttando
non un supporto magnetico, ma un supporto ottico: possiamo pensare a minuscole
‘tacche’ incise sulla superficie del disco da un raggio laser (quello dell’apparato di
scrittura, o masterizzatore), tacche che vengono in seguito lette dal raggio laser del
lettore. Si tratta di una procedura del tutto analoga a quella usata nel caso dei Compact
Disk musicali.
Una volta scritti, i normali CD-ROM sono, come suggerisce il nome, supporti di sola
lettura (la sigla ROM sta per Read Only Memory). A differenza dei supporti magnetici,
non possono dunque essere sovrascritti con nuovi dati. Da alcuni anni esistono tuttavia
anche CD-ROM riscrivibili;
Figura 8 - CD-ROM
La capacità di un CD-ROM non è indifferente: circa 630 Mb di dati, equivalenti a oltre 400
dei tradizionali dischetti floppy. Eppure, se vogliamo usare il CD-ROM come supporto per
informazione sonora o visiva (in particolare filmata), questa capacità è ancora poca. Ecco
allora che sono nati i DVD (Digital Versatile Disk), apparentemente simili ai CD-ROM ma
capaci di contenere quantità ancor maggiori di dati.
Il lettore DVD è progettato per poter accedere ai dati immagazzinati otticamente in un
disco DVD. Come nel caso del lettore CD, anche il lettore DVD è dotato di un laser posto
all’estremità di un braccio meccanico che si muove avanti e indietro appena sopra la
superficie del disco DVD e accede ai dati in esso conservati ad una velocità molto elevata.
Il lettore DVD riceve la corrente necessaria per operare tramite un cavo a 4-pin
proveniente dall’alimentatore del PC. I dati tra il lettore DVD e la scheda madre vendono
trasportati attraverso in cavo IDE a 40- pin.
Esistono due tipi di lettori DVD.
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•
•
DVD-ROM (Read Only Memory) che è in grado di leggere i dischi DVD e i CD
DVD-RAM (Random Access Memory) che non solo è in grado di leggere i dischi
DVD e i CD, ma anche di scrivere su dischi DVD. Comunemente tali dispositivi
vengono chiamati Masterizzatori DVD.
Un disco DVD standard è in grado di immagazzinare fino a 4.7 GB su un lato del disco.
Un disco DVD può contenere interi film cinematografici registrati in maniera digitale in
formato MPEG-2. I dischi Dual Layer (DL) hanno di entrambi i lati disponibili per i dati,
pertanto la capacità è così raddoppiata a discapito dell’impossibilità di etichettare un lato.
Il disco fisso (HARD DISK) è un componente fondamentale del computer, poichè
stabilisce i tempi di accesso alle applicazioni e quindi la capacità di risposta del sistema
operativo. In esso vengono "fisicamente" archiviati i dati preposti al funzionamento del
sistema operativo ed i dati utente. Spesso si confonde la capienza (spazio a disposizione
misurato in Gb e sottomultipli) di un disco rigido (spazio su disco) con la memoria del
proprio PC. Nulla di più errato, visto che la memoria è rappresentata dalla RAM (Random
Access Memory) e... d'altra cosa si tratta.
Gli ultimi modelli si contraddistinguono per l'interfaccia di collegamento alla scheda
madre conforme allo standard ATA 133 (su porta parallela) ed ATA 166 (su porta
seriale), che supportano le modalità di trasferimento veloce denominate Ultra Dma mode
6 e Ultra Dma mode 7. Quando il bios della scheda madre del computer, i cavi di
collegamento dei dischi ed il drivers (Windows XP è predisposto per i dischi serial ATA, ad
esempio ma non ne possiede i drivers) sono compatibili con queste modalità, le
prestazioni aumentano sensibilmente: infatti il disco trasferisce i dati con brevi "raffiche"
a 133-166 Mb/sec, il che impegna pochissimo il processore. I modelli attuali ad alte
prestazioni raggiungono i 7.200 giri al minuto, quelli standard funzionano a 5.400 g/m. I
dischi su standard SCSI superano abbondantemente i 10.000 giri/min. La memoria cache
(memoria tampone) varia tra i 2 e gli 16 Mb.
La caratteristica principale degli hard disk è la capienza: una quindicina d’anni fa, un hard
disk da 20 Mb era considerato un lusso, oggi un hard disk sotto i 200 Gb è considerato
piccolo, e i ‘tagli’ da 300 o 500 Gb sono sempre più diffusi.
Il disco fisso (HDD) viene inserito in uno degli scomparti da 3,5 pollici disponibili nel PC e
viene fissato mediante delle viti apposite. Viene alimentato da un cavo a 4 conduttori
proveniente dall’alimentatore (PATA – Parallel ATA).
I dati da e verso la scheda madre vengono trasportati mediante un cavo IDE a 40-pin
(dischi PATA). I dati vengono immagazzinati magneticamente su più dischi fissi disposti a
pila uno sull’altro. Piccoli bracci con testine magnetiche si muovono rapidamente avanti e
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indietro su entrambe le superfici di ciascun disco. I sensori si trovano a pochi micron
sopra le superficie del disco rotante e sono in grado di leggere e scrivere dati a velocità
molto elevate.
La maggior parte dei dischi fissi comunemente in commercio ruotano a 5400 o a 7200
RPM (rivoluzioni per minuto) che si traduce in 90 o 120 rivoluzioni al secondo,
rispettivamente. La velocità di trasferimento dei dati dal disco alla scheda madre è di 33
MB/sec e avviene in pacchetti di dati. Dischi fissi più moderni sono in grado di trasferire
dati a velocità anche più elevate, fino a 133 MB/sec. Per utilizzare un disco fisso cosi
veloce, però, il PC deve essere dotato di una interfaccia ATA/133 (vedi IDE) in grado di
sostenere una tale velocità.
Advanced Technology Attachment o, come comunemente abbreviato, ATA, consiste
in un'interfaccia standard per la connessione di dispositivi di memorizzazione quali hard
disk e unità CD-ROM all'interno dei personal computer. Sono molti i termini utilizzati per
designare tale standard, comprese abbreviazioni e acronimi quali IDE, EIDE, ATAPI,
UDMA ed il più recente PATA per differenziarsi dallo standard SATA. Gli standard ATA
permettono collegamenti con lunghezze di cavo comprese tra 45 e 90 cm, quindi l'utilizzo
prevalente per tale tecnologia è per le memorie di massa all'interno dei personal
computer. Tale soluzione rappresenta nelle implementazioni dei personal computer
esistenti fino al 2004 l'interfaccia più comune e la meno costosa per tale applicazione.
Il Serial ATA (SATA) è una interfaccia per computer generalmente utilizzata per
connettere un hard disk nell'ambito di un computer. È l'evoluzione dell'ATA (più
conosciuto come IDE). I vantaggi principali sono tre: la velocità, la gestione dei cavi e la
funzione di hot swap. L'interfaccia ATA è stata rinominata a Parallel ATA (PATA), per
evitare confusione. Dal punto di vista tecnico, il più grande cambiamento è costituito dai
cavi utilizzati. I dati viaggiano su un cavo flessibile con 7 contatti, le cui estremità sono
larghe 8 millimetri, con i contatti disposti su due file. Rispetto ai corti (tra 45 e 90 cm) e
larghi cavi da 40 o 80 contatti dell'interfaccia ATA, sono sicuramente più pratici. Essendo
molto più stretti, e quindi meno ingombranti, facilitano inoltre il passaggio dell'aria
all'interno del case, migliorando la ventilazione dei componenti. Il concetto di master e
slave, presente con i cavi ATA, è stato abolito a favore di un singolo cavo per hard disk. I
connettori hanno una sagoma asimmetrica, e non possono quindi essere inseriti in
posizione errata.
¾
APPROFONDIMENTO HARD DISK
Tracce e settori di un hard disk:
Il processo di formattazione fisica di un disco definisce i settori che sono l'unità
minima leggibile o scrivibile su disco (in pratica però per ragioni di efficienza
l'unità minima è il cluster, descritto successivamente). I settori sono posti lungo le
tracce e sono rappresentati da un'intestazione contenente il numero che identifica
ciascun settore. Senza la presenza delle tracce e dei settori, l'hard disk non
sarebbe che una pila di piatti ricoperti da uno strato magnetico, privi di ogni
riferimento. Le tracce sono invisibili piste concentriche (non a spirale) dove la
testina dell'hard disk (vd. immagine a lato) si posiziona per le operazioni di lettura
e di scrittura nei settori. Per esempio la superficie di un piatto può avere 2000
tracce, e su ogni traccia possono essere definiti 32 o più settori.
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Laboratorio di Matematica
Per velocizzare il trasferimento dei dati tra memoria RAM e memoria di massa si
raggruppano i settori in blocchi. Un blocco quindi può fare da riferimento per
molti settori. Se si utilizzano più hard disk, per accedere alle informazioni presenti
su un blocco, il file system deve conoscere a quale drive appartiene, a quale
superficie, a quale traccia e in quale settore inizia quel blocco. Il cluster è un
raggruppamento dei settori fisici (a volte anche di blocchi). Questo tipo di
raggruppamento è logico, ossia definito dal file system e non a basso livello
dall'hard disk. Il vantaggio per il file system di effettuare le operazione di scrittura
e lettura su queste unità è quello di ridurre il numero di puntatori ai blocchi, lo
spazio di allocazione dei blocchi, il numero di posizionamenti della testina del HD e
la lista dei blocchi liberi. I cluster vengono chiamati da Microsoft anche con il
nome di Unità di Allocazione. (fonte Wikipedia).
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Dispositivi di input-output
Per prima cosa, può essere forse utile fare alcuni esempi. Un tipico dispositivo di input è
la tastiera: alla pressione dei tasti corrisponde l’invio verso l’unità di elaborazione dei
caratteri corrispondenti (o meglio, della codifica digitale dei caratteri corrispondenti).
Anche il mouse è un dispositivo di input: attraverso appositi sensori, il computer riceve
informazioni (naturalmente, in formato digitale!) sullo spostamento della pallina collocata
alla base del mouse stesso, e le interpreta come spostamenti da far eseguire al cursore
sullo schermo; analogamente, il ‘click’ del mouse (la pressione di uno dei suoi tasti) viene
ricevuto e interpretato in accordo con le istruzioni fornite dal programma che si sta
utilizzando.
Figura 9 - Dispositivi di input: il mouse
Altri dispositivi di input sono ad esempio uno scanner (attraverso di esso il computer
‘riceve’ immagini tradotte in formato digitale; ne parleremo in dettaglio tra breve) o una
scheda di acquisizione sonora.
Quanto ai dispositivi di output, vengono subito in mente la stampante e lo schermo; uno
schermo sensibile al tatto, o touch screen, come quelli disponibili nelle biglietterie
ferroviarie, è naturalmente sia un dispositivo di input sia un dispositivo di output.
Figura 10 - Dispositivi di output: la stampante
Figura 11 - Dispositivi di input-output: lo schermo touch screen di un punto
informativo
Vi è poi una classe di dispositivi un po’ particolare, quella rappresentata dagli strumenti
che permettono al computer di leggere (e dunque ricevere) e di scrivere (e dunque
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inviare) dati – le nostre lunghe catene di ‘0’ e ‘1’ - da e verso un supporto in grado di
conservarli anche quando il computer è spento. Si tratta delle cosiddette memorie di
massa, come i floppy disk e i dischi rigidi: ne abbiamo già parlato nella prima dispensa.
Spesso le memorie di massa non vengono considerate dispositivi di input e output,
perché i dati che vi vengono conservati sono comunque in formato digitale: in un certo
senso, sono dati che il computer conserva nel suo linguaggio, dunque questi dispositivi di
memorizzazione non servono direttamente a noi per comunicare – nel nostro linguaggio con il computer. D’altro canto, è indubbio che i dispositivi di memoria di massa vengano
usati dal computer per ricevere informazione in entrata, e inviare informazione in uscita:
da questo punto di vista, anch’essi potrebbero essere visti come dispositivi di input e
output.
Abbiamo fornito qualche esempio di dispositivi di input e output. Vogliamo provare a
riepilogarne in maniera un po’ più sistematica le caratteristiche?
La tastiera è il dispositivo di input probabilmente più importante. Serve a immettere nel
computer testo e numeri (per velocizzare quest’ultima operazione, le tastiere includono di
norma un particolare tastierino numerico), ma anche a guidare, attraverso la pressione
dei tasti opportuni, lo svolgimento dei programmi.
Figura 12 - Dispositivi di input per eccellenza: la tastiera
Per quest’ultimo scopo, alcuni tasti hanno una particolare importanza: innanzitutto le
frecce, tasti direzionali che controllano di norma lo spostamento del cursore sullo
schermo (il cursore è un ‘oggetto’ virtuale e non fisico, e compare nelle schermate di
lavoro di molti programmi - ad es. programmi di videoscrittura - ad indicare il punto del
testo sul quale si sta al momento operando). E poi i tasti funzione, presenti di norma
nell’area superiore o in quella laterale della tastiera: si tratta di tasti la cui funzione varia
da programma a programma, e che vengono in genere fatti corrispondere ai comandi più
frequentemente usati. Una convenzione piuttosto diffusa collega il primo tasto funzione
(F1) all’attivazione dell’aiuto in linea (help) del programma.
Il mouse affianca la tastiera come dispositivo di input, in particolare quando si lavora
all’interno di ambienti o sistemi operativi ad icone (ne parleremo più diffusamente in
seguito). Al movimento del mouse su un piano (molto spesso quello del ‘tappetino’ o
mousepad) viene fatto corrispondere il movimento del puntatore nello schermo. Il
puntatore del mouse costituisce un altro familiare ‘oggetto virtuale’ che ci aiuta a
selezionare aree e oggetti nello schermo; anche sulla funzione del cursore, che
rappresenta un po’ il nostro ‘alter ego’ nello ‘spazio virtuale’ aperto da un programma,
avremo modo di soffermarci in seguito. Il movimento del mouse viene comunicato al
computer attraverso i segnali inviati da sensori collocati intorno alla pallina posta sulla
superficie inferiore del mouse stesso.
Il mouse ha sulla superficie superiore uno o più tasti, alla cui pressione il programma fa
corrispondere ‘azioni’ sugli ‘oggetti’ situati nell’area dello schermo indicata dal puntatore.
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Talvolta, il mouse viene sostituito da dispositivi quali la trackball (una sorta di ‘mouse
rovesciato’, che permette il controllo dei movimenti del puntatore attraverso la rotazione
di una pallina) o il trackpoint (i movimenti del puntatore sono controllati attraverso la
pressione nelle varie direzioni di un piccolo bottone di gomma), utilizzato soprattutto nei
computer portatili. Sempre nei portatili, possiamo trovare il touchpad, un’area di forma
rettangolare sensibile al tatto: il movimento del puntatore è in questo caso controllato dal
movimento del dito sul touchpad.
Anche il joystick è un dispositivo di input concettualmente non troppo lontano dal mouse;
è molto usato nei giochi: la direzione di spostamento della levetta del joystick viene fatta
in genere corrispondere alla direzione del movimento del personaggio o del veicolo da noi
controllato, e la pressione del bottone corrisponde a specifiche azioni all’interno del gioco
(ad esempio, al ‘fuoco’ di un’arma).
Fra i dispositivi di input, parleremo fra breve in maniera più approfondita dello scanner,
utilizzato per far acquisire al computer immagini e (con l’aiuto di un programma OCR per
il riconoscimento automatico dei caratteri) testi a stampa.
Un dispositivo di input relativamente meno diffuso (ma utilissimo ad esempio per lavori
grafici) è la tavoletta grafica; i movimenti di una sorta di ‘penna’ sulla sua superficie
vengono registrati da appositi sensori e vengono fatti corrispondere ai movimenti di una
‘penna virtuale’ sullo schermo del computer. In associazione con un programma grafico,
la tavoletta grafica permette di ‘disegnare’ al computer.
Figura 14 - Una tavoletta grafica
Monitor
Monitor CRT
CTR è l’acronimo di Cathode Ray Tube, cioè tubo a raggi catodici. È il più comune tipo di
monitor. Gli schermi CRT sono costruiti attorno a un tubo sottovuoto (tubo catodico) che
contiene tre cannoni elettronici, i cui raggi di elettroni scansionano orizzontalmente
l'interno della superficie anteriore dello schermo che è ricoperta di fosfori. Ogni cannone
irradia uno dei tre tipi di fosforo (rosso, verde, blu - RGB) che quando viene colpito
diventa fosforescente ed emette luce rossa, verde o blu. I vari "puntini" (detti “pixel”
abbreviazione di “picture element”) colorati cosi realizzati, formano l'immagine sullo
schermo.
I monitor CTR sono relativamente voluminosi (con profondità di 14 – 16 pollici) e
piuttosto pesanti. Hanno schermi di dimensioni che possono variare dai 14 ai 21 pollici
(fino a 19Kg.). Un monitor a 17 pollici significa che la diagonale che va da un angolo
all’angolo opposto dello schermo è lunga 17 pollici. L’area dello schermo disponibile per le
immagini però, è più piccola di 17 pollici (circa 16 pollici) perché il fascio di elettroni che
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disegna le immagini non è in grado di arrivare fino al bordo del tubo catodico e, quindi,
dello schermo.
I dati vengono inviati al monitor mediante un cavo munito di connettore D-shell a 15-pin
che si college alla scheda video la quale, a sua volta è inserita in uno degli slot di
espansione del PC.
Una caratteristica importante dei monitor è il “dot pitch”. Essa è la misura della distanza
fra i singoli pixel visualizzati sullo schermo. Più è piccolo il dot pitch, tanto migliore è lo
schermo e tanto è più nitida l'immagine. La maggior parte dei monitor attuali hanno un
dot pitch di 0.24mm. o inferiore. I monitor più vecchi ed economici hanno un dot pitch di
0.29mm o 0.35mm, e sono visibilmente sfocati.
Quanto più è alta la risoluzione dello schermo, tanto più diventa importante il dot pitch.
Se si vuole una risoluzione di 640x480 su un monitor da 21 pollici con un dot pitch
0.60mm la visione è accettabile. Ma se la risoluzione sullo stesso monitor sale a
1280x1024, sarà necessario un dot pitch di almeno 0.30mm.
Vantaggi: qualità dell’immagine, precisione colori
Svantaggi: consumo energetico elevato, peso e ingombro elevato
Monitor LCD
Acronimo di Liquid Crystal Display, schermo piatto a cristalli liquidi. Molti apparecchi di
largo consumo (orologi, calcolatrici, telefoni...) vengono corredati con schermi LCD di
piccole dimensioni, mentre schermi più sofisticati di maggiori dimensioni e prezzo sono
utilizzati nei computer portatili e, più in generale, nei monitor ultrapiatti di nuova
generazione. L'utilizzo dei display LCD, infatti, si sta diffondendo anche nei computer da
scrivania, grazie agli indubbi vantaggi in termini d'ingombro, nitidezza dell'immagine e
bassa emissione di radiazioni, rispetto ai tradizionali monitor con tubo catodico (CRT).
¾
APPROFONDIMENTO MONITOR LCD
Gli schermi LCD si differenziano notevolmente dai CRT per quanto riguarda la
visualizzazione delle immagini sullo schermo: invece di inviare un fascio di
elettroni verso il materiale fosforescente disposto sul vetro, la maggior parte degli
schermi piatti utilizza una carica elettrica per stimolare dei cristalli liquidi sospesi
tra due strati di vetro. Per questo motivo non occorre che il monitor abbia una
profondità elevata. Anche nel caso degli LCD, i testi e le immagini vengono
formate da pixel. Ciascuno di essi è formati da “camere” rosso verde e blu le quali
devono essere aperte a sufficienza e nelle giuste proporzioni una rispetto all’altra
per riprodurre esattamente il colore o la luminosità. Affinché un monitor LCD
possa fornire una risoluzione di 1024 x 768 pixels (SVGA), deve avere 786.432
(1024 x 768) pixels.
Gli schermi LCD a colori possono essere a matrice passiva (STN - SuperTwist
Nematic display -, DSTN - double layer supertwist nematic - e CSTN - color super
twist nematic) o attiva (TFT, Thin Film Transistor). Il secondo tipo è più costoso,
ma offre una maggiore qualità d'immagine: in questo tipo di monitor LCD ciascun
pixel è controllato da un piccolo transistor che si apre e si chiude come le
“camere” in ogni pixel. In questo modo i monitor a matrice attiva sono in grado di
offrire colori più vividi a tutte le angolazioni e assenza di effetto scia. Va
comunque rilevato che gli schermi a matrice passiva di nuova generazione (STN e
DSTN) offrono una qualità d'immagine competitiva con quelli a matrice attiva, pur
avendo un costo più contenuto.
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A differenza dei monitor CRT, che sono apparecchiature analogiche, i monitor LCD
adottano una tecnologia digitale. I dati vengono trasferiti allo schermo mediante un cavo
munito di connettore a 15-pin che si collega alla scheda video tramite il connettore
corrispondente posto su di essa, oppure con connettore digitale tipo DVI.
Vantaggi: consumo energetico basso, peso e ingombro ridotto
Svantaggi: qualità dell’immagine minore rispetto ai CRT, angoli di campo minori
Un monitor è un importante investimento. Processore a parte, il monitor di norma è a
volte la parte più costosa del sistema e probabilmente la più duratura, visto che spesso
sopravvive al suo PC originale per avere una seconda vita con un nuovo sistema. Detto
questo, conviene comprare il monitor prevedendone una vita da tre a cinque anni,
considerando questi punti:
garanzia: il tubo catodico è il componente più delicato. Assicurarsi che la garanzia
lo copra il più a lungo possibile. Considerare anche chi deve sopportare le spese di
spedizione per eventuali riparazioni ed i tempi di restituzione.
marchio Energy Star: si risparmia energia ed il monitor dura più a lungo.
low radiation: nell'incertezza sulla dannosità, molti fabbricanti offrono monitor con
bassa emissione di radiazioni. Gli schermi a cristalli liquidi (LCD) non emettono
radiazioni elettromagnetiche.
comandi: controllare che siano efficienti e facili da usare.
caratteristiche: preferire un basso dot pitch (0,28 o inferiore), alta risoluzione
massima ed un alta frequenza di refresh.
qualità: controllare direttamente la qualità dell'immagine, anche confrontando
diversi monitor.
Stampanti
L’altro fondamentale dispositivo di output è la stampante. La stampante è la periferica di
output che trasferisce su carta o su materiali di altra natura le informazioni digitali
contenute in un computer. In questo campo, le tecnologie fondamentali sono tre: stanno
ormai scomparendo le vecchie stampanti ad aghi, a favore delle stampanti laser e di
quelle a getto d’inchiostro; la relativa tecnologia ha compiuto negli ultimi anni notevoli
passi avanti. La qualità delle stampanti è talmente migliorata nel tempo da relegare a un
mercato molto specializzato i cosiddetti plotter, stampanti grafiche a ‘pennini’ utilizzate
per la progettazione e il disegno architettonico.
Stampanti ad aghi - Testine di stampa, generalmente con standard di 9 o 18 oppure 24
aghi, mossi da elettromagneti, battono sulla carta attraverso un nastro inchiostrato
mentre si spostano lateralmente sul foglio. La sequenza dei colpi è generata da un
circuito elettronico per comporre i pixel che costituiscono i caratteri o parte di una
immagine. La stampa può avvenire in entrambi i sensi di spostamento della testina, con
un aumento della velocità complessiva (stampa bidirezionale).
Stampanti a getto di inchiostro - È la tecnologia che ha avuto il maggiore successo
presso l'utenza privata ed i piccoli uffici, principalmente a causa del basso costo di
produzione, della silenziosità e buona resa dei colori. Una schiera di centinaia di
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microscopici ugelli spruzzano minuscole gocce di inchiostro a base di acqua sulla carta
durante lo spostamento del carrello. Il movimento dell'inchiostro è ottenuto per mezzo di
due distinte tecnologie:
•
•
pompe piezoelettriche che comprimono il liquido in una minuscola camera,
resistenze elettriche che scaldano bruscamente il fluido all'interno della camera di
compressione aumentandone il volume e quindi facendolo schizzare dall'ugello
(Jet_Plate – Bubble-Jet).
La risoluzione e la qualità di stampa di queste testine raggiunge livelli paragonabili alla
fotografia tradizionale, ma solamente utilizzando carta la cui superficie sia stata
opportunamente trattata per ricevere l'inchiostro. Il problema più grave di questa tecnica
è l'essiccamento dell'inchiostro nelle testine, che è frequente causa di malfunzionamenti.
Un altro svantaggio è dato dall'elevato costo per copia stampata se confrontato con le
altre tecnologie.
Stampanti a cera - Tecnologia simile alla precedente, ma che offre anche su carta
comune immagini dall'aspetto fotografico, grazie alla lucidità della cera. L'impiego di
queste stampanti si sta espandendo sempre più. La tecnologia solid ink utilizza degli stick
di inchiostro solido al posto dell'inchiostro fluido o delle cartucce di toner abitualmente
utilizzate nelle stampanti. Dopo che lo stick di inchiostro viene caricato nella stampante,
viene sciolto ed utilizzato per produrre immagini sulla carta in un processo molto simile
alla stampa offset. La stampa con gli inchiostri solidi ha colori più vibranti rispetto agli
altri metodi di stampa, può essere fatta su una varietà di mezzi molto ampia ed è
maggiormente eco-compatibile dal momento che riduce la produzione di sostanze di
scarto. Gli stick non sono tossici e si possono maneggiare senza alcuna conseguenza
nociva.
Stampanti Laser - Questa tecnologia deriva direttamente dalla xerografia comunemente
implementata nelle fotocopiatrici analogiche. In sintesi, un raggio laser infrarosso viene
modulato secondo la sequenza di pixel che deve essere impressa sul foglio. Viene poi
deflesso da uno specchio rotante su un tamburo fotosensibile elettrizzato che si scarica
dove colpito dalla luce. L'elettricità statica attira una fine polvere di materiali sintetici e
pigmenti, il toner, che viene trasferito sulla carta (sviluppo). Il foglio passa poi sotto un
rullo riscaldato che fonde il toner facendolo aderire alla carta (fissaggio). Per ottenere la
stampa a colori si impiegano quattro toner: nero, cìano, magenta e giallo, trasferiti da un
unico tamburo oppure da quattro distinti.
Il piccolo elenco che abbiamo cercato di stilare non esaurisce certo le periferiche e i
dispositivi di input-output possibili; in particolare, resta da dire qualcosa su quei
dispositivi che servono non solo a acquisire dati, ma anche a trasformarli in formato
digitale.
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APPROFONDIMENTO INPUT DATI
Input e digitalizzazione dei dati
La funzione specifica dei dispositivi di input è, abbiamo visto, quella di fornire dati in
ingresso al nostro computer. In molti casi, tuttavia, questa operazione presuppone un
passaggio molto importante: la codifica in formato numerico dell’informazione acquisita.
Come sappiamo, infatti, il computer utilizza unicamente lunghe catene di ‘0’ e ‘1’.
Quando vogliamo far lavorare il computer su testi, suoni, immagini, occorre prima
convertire questa informazione, che in partenza non è in formato digitale, nelle catene di
‘0’ e ‘1’ che il computer è in grado di comprendere. A questo processo di conversione ci si
riferisce spesso col termine digitalizzazione. Si capirà, allora, che molti dispositivi di
input, oltre inviare al computer dati in formato digitale, svolgono l’importantissima
funzione di strumenti di digitalizzazione: strumenti cioè per convertire informazione non
digitale (come testi stampati, la voce umana, i suoni prodotti da strumenti musicali,
fotografie, filmati) in informazione in formato digitale che il computer sia
immediatamente in grado di utilizzare.
Vogliamo provare a vedere più da vicino alcuni di questi dispositivi? Parleremo,
nell’ordine, di dispositivi per l’acquisizione e la digitalizzazione di immagini, testi, suoni e
brani video.
Immagini
Come si è già accennato, lo strumento utilizzato più spesso per trasformare in formato
digitale delle immagini statiche è lo scanner. Ne esistono di vari tipi; il più diffuso è lo
scanner piano, che dall’esterno assomiglia molto a una fotocopiatrice. L’immagine da
digitalizzare (che sarà in genere una fotografia stampata, ma potrà anche essere,
attraverso l’uso di particolari dispositivi, un negativo fotografico o una diapositiva) si
appoggia sul piano di vetro dello scanner, e viene progressivamente illuminata e ‘letta’ da
una testina scorrevole. In sostanza, lo scanner sovrappone idealmente all’immagine una
griglia (la cui risoluzione dipenderà dalla risoluzione di cui è capace lo scanner, o da
quella per la quale l’abbiamo impostato) e ‘legge’ il colore che si trova in ogni singola
celletta (pixel) della griglia, sulla base della palette di colori da lui riconosciuta (così, uno
scanner a 16 bit potrà distinguere 65.536 colori diversi, e uno scanner a 24 bit potrà
distinguere oltre 16 milioni di colori diversi). È anche possibile acquisire un’immagine,
anziché a colori, in tonalità di grigio: in questo caso il singolo pixel sarà codificato sulla
base della sua intensità luminosa o luminanza. Man mano che acquisisce l’immagine, lo
scanner - collegato al computer attraverso la porta parallela (obsoleto) o attraverso
una più veloce porta SCSI (sistemi professionali) o ancora tramite USB (il più diffuso
oggi) - trasmette al computer la lunga catena di ‘0’ e ‘1’ che è il risultato del processo di
digitalizzazione. Il computer potrà poi, attraverso appositi programmi, elaborare
ulteriormente l’immagine, applicandovi ad esempio filtri ed effetti particolari.
Figura 16 - Uno scanner piano
Se lo scanner svolge la funzione sia di strumento di digitalizzazione che di strumento di
input, sempre più diffusa è ormai la tendenza ad acquisire le immagini direttamente in
formato digitale, senza bisogno di passare attraverso lo stadio ‘analogico’ rappresentato
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dalla tradizionale fotografia stampata, dal negativo fotografico o dalla diapositiva. In
questo caso, si utilizza di norma una macchina fotografica digitale, che salva
direttamente l’immagine su un supporto che potrà essere una scheda di memoria interna
rimovibile. L’immagine è poi trasferita su computer, in genere collegandovi direttamente
la macchina fotografica tramite un cavo di trasmissione dati oppure inserendo la scheda
di memoria in un’apposito slot del lettore del computer.
Figura 17 - Una macchina fotografica digitale
Testi
Il sistema più semplice per digitalizzare un testo è sicuramente quello di... scriverlo alla
tastiera di un computer (lo strumento di input!). Come sappiamo, infatti, i testi che
immettiamo attraverso un normale programma di videoscrittura sono gestiti e conservati
dal computer in formato digitale.
Quando si parte da un testo su supporto tradizionale (ad esempio da un libro), l’idea di
digitalizzarlo copiandolo tutto, parola per parola, può naturalmente risultare assai poco
attraente. In questi casi, se la qualità di stampa dell’originale è buona, si utilizza spesso
uno scanner associato a un programma di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR Optical Character Recognition). Sappiamo che lo scanner, infatti, acquisisce un
documento - sia esso una pagina scritta o una fotografia - come una immagine composta
di minuscoli pixel (dei quali, come abbiamo visto, viene di norma codificato il colore): non
ha alcun modo per capire che invece quella particolare immagine contiene del testo
scritto, e che ci interessa rappresentare in formato digitale non già il colore (o la tonalità
di grigio) dei suoi singoli pixel, ma i caratteri scritti che vi compaiono. Il programma di
riconoscimento ottico dei caratteri ha proprio il compito di trasformare lo scanner in uno
strumento adatto a questo secondo lavoro: gli richiede innanzitutto di trascurare, nella
codifica, colori e tonalità di grigio, e analizza poi l’immagine restituita dallo scanner
cercandovi le ‘forme’ delle familiari lettere dell’alfabeto, e ricostruendo, carattere per
carattere, il testo di partenza. Può sembrare un compito semplice, ma in realtà non lo è
affatto: testi a stampa diversi possono infatti utilizzare tipi di carattere diversi, e anche in
uno stesso testo le procedure di stampa possono portare a variazioni anche notevoli
nell’aspetto di uno stesso carattere. Un programma OCR deve imparare a trascurare
questi fattori: deve in sostanza imparare a leggere, anche se naturalmente non capisce
quello che legge. Proprio perché il compito è difficile, un OCR si aiuta in genere
confrontando le parole che legge con un dizionario della lingua nella quale è scritto il
documento; anche così, comunque, gli errori di riconoscimento non mancano, e - almeno
nell’attuale situazione della tecnologia - se vogliamo una digitalizzazione pienamente
affidabile il testo ‘letto’ da un OCR dovrà sempre essere controllato da un revisore
umano.
Una terza possibilità per acquisire un testo in formato digitale è quella di... leggerlo ad
alta voce al computer. Per farlo, serviranno una scheda sonora con un buon microfono
(vedi oltre) e un programma di riconoscimento vocale, che dovrà fare col suono della
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nostra voce un po’ quello che un OCR fa con l’immagine della pagina stampata:
analizzarlo per riconoscere le singole lettere (in questo caso, i singoli fonemi) e le singole
parole. Compito tutt’altro che facile - anche perché le tonalità e le inflessioni di pronuncia
variano non solo da persona a persona, ma anche, per una stessa persona, di momento
in momento. Il programma di riconoscimento vocale dovrà quindi innanzitutto essere
‘addestrato’ alla pronuncia del suo utente, al quale sarà richiesto di leggere ad alta voce
una serie di frasi prestabilite. La percentuale di errori introdotta da un programma di
riconoscimento vocale è ancora molto alta, ma si tratta di un campo in cui l’evoluzione è
continua, ed è prevedibile che in futuro la ‘dettatura’ di testi al computer potrà rivelarsi
assai più semplice e sicura di quanto non sia attualmente.
Suoni
Per quanto riguarda i suoni, l’acquisizione (input) e la conversione in formato digitale
avviene in genere attraverso una scheda di acquisizione sonora: ve ne sono di molti tipi,
dalle economiche schede sonore montate sui normali personal computer a vere e proprie
stazioni dedicate usate in studi di registrazione professionali. La scheda sonora di un
normale computer multimediale è comunque quasi sempre in grado di digitalizzare in
tempo reale il suono, anche stereofonico, proveniente da un microfono o da un apparato
analogico (radio, giradischi, registratore a cassette) ad essa collegato, permettendo di
scegliere fra diverse frequenze di campionatura e fra diversi standard di codifica sonora.
La qualità del risultato naturalmente dipende, dando per scontata una sufficiente velocità
del computer e la buona qualità della scheda sonora, anche da fattori che esulano
dall’ambito strettamente informatico, come la qualità dei dispositivi e dei supporti
analogici di partenza (nel caso di registrazione in diretta, ad esempio, dalla qualità del
microfono) e dei collegamenti. Anche nel caso dei suoni, comunque, l’acquisizione in
formato digitale può ormai avvenire attraverso apparati dedicati piuttosto lontani dal
computer tradizionale, come i registratori digitali, che utilizzano spesso la tecnologia DAT
(Digital Audio Tape) o sono direttamente in grado di ‘masterizzare’ supporti digitali ottici
o magnetico-ottici come i dischetti MD.
Anche nel caso del video, potremo trasformare in formato digitale una sorgente video
analogica e fornire come input al nostro computer i relativi dati attraverso una scheda di
acquisizione video alla quale collegare un apparato video tradizionale (un televisore, un
registratore, una cinepresa). Dato che il video digitalizzato richiede un notevole impiego
di memoria, per la sua acquisizione ed elaborazione sarà essenziale disporre di risorse
informatiche sufficientemente potenti: in altre parole, computer piuttosto veloci, dotati di
parecchia memoria e di dischi rigidi molto capienti. È anche possibile acquisire brani
video direttamente in formato digitale, attraverso una videocamera digitale. Per la loro
maggiore flessibilità (ad esempio, la possibilità di inserire automaticamente complessi
effetti di ripresa o di montaggio), le telecamere digitali e il relativo standard
rappresentato al momento dal formato DV (digital video) hanno conosciuto negli ultimi
anni un notevolissimo successo: pur essendo per ora più care di quelle analogiche, si
avviano probabilmente a sostituirle.
Fonti:
http://it.wikipedia.org/
L’enciclopedia libera
http://www.tomshw.it/
Sito sull’hardware dei PC
http://www.hwupgrade.it Sito sull’hardware dei PC
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