Sintesi dei risultati dello scavo del 2006 -2008 La villa delle Vignacce, assieme agli acquedotti, rappresenta il monumento antico visibile più rilevante del Parco degli Acquedotti. In antico, la villa era posta sulla destra della via Latina, poco oltre il IV miglio. La residenza deve il suo nome o alla presenza in quest’area di vigne ora scomparse, o alla deformazione del nome pignacce/pignatte, attribuito a Roma alle anfore sovente utilizzate come meccanismo di alleggerimento delle volte di copertura degli edifici romani, ed ancora ben visibili su alcuni brani superstiti delle volte della nostra struttura. I primi scavi di cui si ha qualche notizia risalgono al Cinquecento e si devono alla famiglia degli Astalli, all’epoca proprietaria dell’area. Si trattò evidentemente di scavi finalizzati alla ricerca di sculture da collezione. La villa, poi, è certamente conosciuta e citata, per le sue imponenti conserve d’acqua, nella celeberrima opera del Fabretti sugli acquedotti, nella seconda metà del XVII secolo. Al 1780 risalgono gli scavi condotti nella villa da G. Volpato, finalizzati al recupero di sculture e materiali per servire all’erigendo Museo Pio-Clementino: da questi scavi, provengono alcune importanti sculture oggi conservate ai Musei Vaticani (come ad esempio la Tyche di Antiochia) ed un gruppo di fistulae in piombo di notevole importanza per avanzare alcune ipotesi circa l’identità dei proprietari della villa. Nell’ultimo decennio del Settecento, l’area della villa e tutta la tenuta di Roma Vecchia passano in proprietà di Giovanni Torlonia. Proprio alla famiglia Torlonia, nel corso dell’Ottocento, si devono una serie di interventi di scavo nei terreni posti tra il IV ed il VII miglio della via Latina. Lo studio antiquario preliminare avviato con il progetto Villa delle Vignacce ha permesso di raccogliere in proposito una serie di documenti inediti o quasi dimenticati che permettono di arricchire notevolmente il quadro dei dati sull’area, oltre che di aprire la strada all’eventuale ritrovamento dei numerosi arredi scultorei allora rinvenuti ed in gran parte andati dispersi. In particolare, negli anni Ottanta del XIX secolo,gli scavi Torlonia hanno interessato un’importante villa aristocratica che, in via ipotetica, potrebbe forse essere identificata con il settore residenziale della villa delle Vignaccce. Ai primi del XX secolo T. Ashby fornisce quello che può essere considerato il primo studio scientifico sulla villa. Ad esso fa seguito negli anni Venti, sempre ad opera dell’archeologo inglese ed in collaborazione con G. Lugli, un secondo lavoro di analisi, che in parte riprende e corregge, in parte approfondisce quanto delineato nel lavoro precedente. E’ a questi due studi che, sostanzialmente, si rifanno tutti gli studiosi che in seguito trattano a vario titolo la villa delle Vignacce. L’unico scavo scientifico realizzato nella villa è costituito da un piccolo saggio eseguito tra l’acquedotto Marcio/Felice e la cisterna monumentale della villa negli anni Ottanta: scavo finalizzato ad indagare le relazioni strutturali e funzionali tra la cisterna e l’acquedotto. Poche dunque, in assenza di scavi sistematici, sono al momento le informazioni generali sul complesso. Nella letteratura più recente si tendono a considerare come pertinenze della villa i resti di strutture attualmente compresi tra l’acquedotto Marcio/Felice e via Lemonia. La lettura di questi resti è nell’impianto di base quella data da Ashby e Lugli, con piccole correzioni ed ulteriori annotazioni fornite dagli studiosi successivi. Esse si possono così riassumere: ad una prima fase architettonica, genericamente datata tra I secolo avanti e I secolo dopo Cristo, sembra appartenere un lungo muro di contenimento lungo oltre 120 metri ed orientato in senso NE/SW. Ad età adrianea, come indicano chiaramente i numerosi bolli rinvenuti ed in parte ancora in opera, risalgono invece tutti i resti di strutture monumentali ancora visibili. Partendo da nord ovest, si tratta di una grande cisterna e tre ambienti (in pianta A), una serie di padiglioni ed ambienti dall’interessante pianta mistilinea (C, D, E) ipoteticamente interpretati come ambienti termali, alcune strutture di cui si riferirà più avanti poichè oggetto della prima campagna di scavo del nostro progetto, una piccola cisterna oggi non più visibile (L), ed una grande cisterna a due piani in gran parte conservata, la cui funzione doveva forse essere anche quella di un monumentale ninfeo affacciato su un’area a parco. L’attribuzione delle fistulae degli scavi Volpato alla villa delle Vignacce ha permesso di ipotizzare l’identità di uno dei proprietari del complesso, supposto responsabile peraltro della grande fase di ristrutturazione della villa di età adrianea: si tratterebbe di Q. Servilio Pudente, ricco proprietario terriero e di figline. Sempre al complesso residenziale delle Vignacce sono stati attribuiti una serie di fabbricati rustici rinvenuti ai primi del Novecento nell’ambito dei lavori connessi con la realizzazione della Ferrovia Roma-Napoli, a non più di 400 metri circa dal nucleo principale della villa. In quest’area negli anni Ottanta del XX secolo sono stati poi rinvenuti numerosi resti di edifici monumentali, sia a carattere residenziale che produttivo e funerario, rimasti purtroppo fino ad ora quasi inediti. Tra di essi si segnala l’esistenza di una villa monumentale, caratterizzata da una lunga fase di utilizzo ed una serie di strutture sepolcrali. La contiguità tra questi resti e la villa delle Vignacce induce ad ipotizzare, almeno per una parte di essi, l’eventualità dell’esistenza di una qualche forma di rapporto reciproco. Dalle sintetica rassegna dei dati topografici raccolti emerge così, per il tratto di territorio articolato lungo la via Latina subito dopo il IV miglio, un quadro di presenze monumentali di età tardo repubbicana ed imperiale estremamente ricco. A questo si aggiunga che l’area suddetta era in antico interessata dal passaggio di ben sei acquedotti antichi la gran parte dei quali correnti su monumentali arcate tuttora in buona parte conservate. Se l’idea della villa unica dovesse essere confermata dalle nuove indagini, si avrebbe così l’interessante caso di una residenza privata estesa su molti ettari attraversata ed in un certo senso all’interno segmentata da una serie di terreni pubblici, quelli degli acquedotti e delle loro immediata pertinenze. Lo scavo degli anni 2006-2008 ha interessato un’ampia zona situata a SE dei citati ambienti a pianta mistilinea, dove, al momento dell’inizio delle indagini, emergevano qua e là lacerti di strutture e frammenti più o meno consistenti di conglomerato cementizio. Sono stati eseguiti, in particolare, due adiacenti vasti sondaggi stratigrafici (A e B), che nel 2008 sono stati riuniti a formare un’unica vasta area d’indagine, che hanno confermato l’esistenza di un esteso complesso di resti, prevalentemente strutturali; lo stato di conservazione delle murature si è rivelato eccezionale. In particolare è stato sinora possibile riconoscere un originario complesso in opera laterizia pertinente forse al I d.C., che fu inglobato, già nel II secolo, in un grandioso fabbricato termale, la cui integrale estensione non è ancora stata individuata. I bagni subirono in seguito svariate ristrutturazioni fino almeno al VI secolo della nostra era, quando ebbe verosimilmente inizio la fase di abbandono. L’edificio di II secolo parrebbe essere coevo, per l’analogia delle tecniche edilizie impiegate, ai vani mistilinei localizzati a NO. Il dato interessante è che il piano di calpestio di tali vani si trova ad una quota decisamente superiore rispetto a quello del gruppo di ambienti rinvenuti a sud; anche se tuttora non si può stabilire con certezza l’esistenza di due piani nel settore settentrionale, residui di preparazioni pavimentali sulle superfici superiori dei solai crollati ancora in situ e resti di frammenti di pareti murarie rinvenuti stratigraficamente al di sopra dei solai suddetti testimoniano che il corpo di fabbrica indagato a sud fosse costituito da due piani, addirittura tre, comprendendo alcuni ambienti sotterranei scoperti nel settore nord. Nel corso dell’analisi stratigrafica e poi di quella interpretativa ci si è trovati di fronte ad un’inaspettata difficoltà di lettura delle cosiddette stratigrafie verticali. A parte forse il primo impianto sinora documentato nell’area, le planimetrie e volumetrie dei vari fabbricati riconosciuti sono sempre il risultato dell’unione delle vecchie architetture con quelle di nuova realizzazione; dal I al VI d.C. tutte le strutture preesistenti sono state infatti di volta in volta riutilizzate e aggiustate per il loro inserimento nel progetto successivo. Si riscontrano: rasature e tagli irregolari nei muri in elevato, che spesso rimangono in vita in forma ridotta (in qualche caso diventano piccoli parallelepipedi) o vengono addirittura privati di parte della precedente cortina. Non di rado un muro risulta resecato più volte tanto che rimane difficile comprenderne l’unità originale. chiusura di varchi esistenti, finestre e porte, mediante tamponature dalle più svariate tecniche edilizie e apertura di nuovi rifacimenti di decorazioni pavimentali e parietali che si sovrappongono e giustappongono agli antichi; molti dei rivestimenti parietali coprono direttamente le irregolarità provocate dai tagli nei muri. tagli ed esposizione delle parti fondali di alcune strutture allo scopo di creare ambienti sotterranei. Alla complessità della sequenza architettonica si aggiunge la scarsa presenza di strati di terreno; si tratta di alcuni depositi intatti all’interno di qualche condotto fognario e pochi strati, prevalentemente di abbandono o funzionali ad eventi di ristrutturazione dei piani pavimentali. La mancanza di accumuli di terreno sembra imputabile essenzialmente al fatto che, come già evidenziato, quasi tutte le parti del fabbricato furono reimpiegate nel corso del tempo. Suolo naturale (periodo I) Il suolo naturale, tufo, è stato sinora portato alla luce solo nel settore nord dell’area indagata, in corrispondenza di alcuni vani sotterranei costruiti sotto i vani B1 e B4. La superficie doveva essere tendenzialmente piana. Prime occupazioni dell’area (periodo II) Gli unici elementi strutturali che potrebbero appartenere ad un periodo precedente la realizzazione del fabbricato in mattoni sono rappresentati da alcuni condotti fognari e una fondazione muraria nel settore nord. Le evidenze appartenevano senz’altro ad un edificio la testimonianza della cui esistenza è costituita anche dall’anomalia degli orientamenti delle strutture in mattoni nell’area settentrionale; se si osserva infatti la planimetria del periodo cui appartiene l’impianto in opera lateriza, è piuttosto evidente che le sue murature seguono una pianta regolare con ambienti i cui assi principali seguono un andamento NE-SO e NO-SE. Le murature della parte settentrionale, divergono da tali direzioni, fungendo da cerniera fra due diversi orientamenti, adeguandosi ad uno dei condotti fognari e alla fondazione citati. L’edificio in opera laterizia (periodo III) Nel I d.C. l’area fu dunque interessata dalla costruzione di un ampio fabbricato in opera laterizia, i cui confini non sono ancora stati rintracciati. Sono stati scoperti sette vani, ma l’impianto deveva essere sicuramente più esteso, come dimostra il fatto che alcuni ambienti mostrano di proseguire ad ovest oltre il limite di scavo. Le caratteristiche tecniche del complesso in esame sono ricorrenti in tutte le murature; le pareti inoltre sono ben conservate in altezza, fino a m 3.50-4 circa; nulla rimane delle coperture. È a livello del piano di fondazione dei muri descritti che doveva forse trovarsi il piano di calpestio dell’impianto (nulla resta in realtà degli originali rivestimenti pavimentali asportati nell’epoca immediatamente successiva). In merito ai rivestimenti parietali sembrerebbe prevalente l’uso di intonaci dipinti; l’unico elemento residuale in realtà è un frammento di intonaco con pellicola pittorica di colore rosso conservato presso il limite SE del fabbricato. Le altre tracce leggibili sulle pareti, essenzialmente per rivestimenti a lastre, appartengono alle ristrutturazioni di epoca successiva. Non molto altro si può dire sull’aspetto architettonico complessivo e funzionale dell’edificio. Per quanto concerne la destinazione d’uso, essa rimane per ora sconosciuta, a causa dell’assenza di tutte le pertinenze originali. Il fabbricato di II secolo d.C.: le prime terme (periodo IV fasi a – b) È nei primi decenni del II secolo che l’edificio in opera laterizia fu interamente inglobato, almeno per la parte a tutt’oggi indagata, in un nuovo e grandioso progetto edilizio. Tale progetto includeva, molto probabilmente, la costruzione di quei vani dalla pianta mistilinea situati a NO dell’area indagata, interpretati dagli studiosi come pertinenti ad un impianto termale. Nella sequenza degli eventi sinora ricostruita sono state riferite al periodo che si sta esaminando due fasi costruttive (a – b); esse rappresentano la testimonianza di cambiamenti di cui non si riesce allo stato attuale comprendere l’entità, per l’oggettiva mancanza di una visione d’insieme del complesso. Sinteticamente si può riassumere che nella prima fase (a) la gran parte parte del vecchio fabbricato, in particolare i settori nord e centrale, fu dotato di un impianto di riscaldamento, per far funzionare il quale si crearono dei vani sotterranei nella zona settentrionale adibiti a camera di combustuione o praefurnium. Le murature di nuova realizzazione si adeguano in parte all’andamento di quelle precedenti, mentre per il resto disegnano sul terreno ambienti dalla pianta mistilinea. Nel settore centrale del saggio A apre uno spazio dai confini imprecisati; in questa zona giace il crollo di un’imponente volta a crociera Nell’area circostante tale frammento, l’esplorazione stratigrafica è stata purtroppo impedita dalla presenza di un altro grande frammento di solaio piano e altri pezzi di murature e soffitti. Dei piani pavimentali del complesso rimangono essenzialmente gli strati di preparazione e qualche frammento musivo. Laddove fu realizzato un’ipocausto la base del pavimento sospeso su pilastrini o suspensurae fu posto alla quota della risega di fondazione dei precedenti muri laterizi, in seguito all’asportazione delle loro originarie pavimentazioni. In merito alle decorazioni parietali, la maggior parte di esse erano a lastre marmoree; alcuni frammenti di lastre rimangono alla base delle pareti, per il resto rimangono sui muri residui delle preparazioni e le tracce delle grappe di sostegno dei vari elementi lapidei. La costruzione della camera di combustione per la produzione dell’aria calda, o praefurnium, e dell’impianto di riscaldamento nel settore settentrionale del nuovo complesso non è al momento sufficiente per stabilire l’esatta funzione dei vani riscaldati; a causa dell’assenza qui di tracce sull’esistenza di vasche si deve infatti supporre che, nell’ambito dei presunti bagni, suddetti ambienti avessero una destinazione d’uso specifica ancora da definire. Nella prossima campagna di scavo ci riproponiamo di indagare proprio la fascia di terreno che divide la zona dalle stanze articolate a nord e quella di recente scoperta, allo scopo di comprendere se ci troviamo in presenza di due corpi di fabbrica all’interno di un unico edificio o meno. Per la costruzione del praefurnium si previde innanzi tutto l’asportazione dell’anteriore pavimento e lo scavo del terreno naturale giacente sulla testa del banco di tufo. Il tufo fu inoltre tagliato in modo regolare, formando un ampio bancone a forma di “U” e rivestito con cortina di mattoni. La copertura della camera è una volta a botte, il cui intradosso è interamente rivestito da bessali. Il manto di bessali doveva essere coperto da una fila di bipedali, solo in minima parte in situ, per il resto rinvenuti crollati sul bancone e sul piano di calpestio. L’accesso da parte degli schiavi alla zona sotterranea doveva probabilmente provenire da est, dove si conserva uno stretto corridoio solo in minima parte analizzato. Sono stati attribuiti alla II fase costruttiva (b) del periodo in esame alcuni eventi che riguardano modifiche funzionali nel settore settentrionale del complesso e la realizzazione di vani dall’architettura articolata nel suo settore centrale e meridionale. Nel Settore nord i vani vengono decorati con nuovi rivestimenti parietali, una volta chiuse alcune delle aperture esistenti,e sono privati del sistema di riscaldamento a parete; sembra invece mantenersi quello sotto il pavimento poiché i passaggi qui esistenti fra i vari ambienti non risultano ancora tamponati. Le pareti furono rivestite stavolta con un intonaco dipinto, che si conserva a tratti. I pavimenti rimasero inalterati con aggiustamenti e restauri e, solo in corrispondenza del limite settentrionale furono realizzati due gradoni per raggiungere il piano di calpestio del settore nord del fabbricato. I gradoni dovevano essere coperti da lastre, delle quali rimangono le impronte. Nel settore centrale del complesso si registra la realizzazione di un’ampia esedra in opera mista aperta verso oriente. Solo per un tratto irrisorio si è scoperta la pavimentazione musiva originaria.La costruzione della possente struttura deve aver completamente modificato l’assetto precedente della zona in cui sorse. Si ignora al momento su quale tipo di ambiente si aprisse ad est l’esedra in esame poiché su questo lato fu costruito un muro con cortina a spina di pesce in età piuttosto tarda e poiché l’indagine archeologica ad oriente di esso è ancora da eseguire. In corrispondenza della parte centrale di quello denominato saggio A il crollo di un’imponente volta a crociera, rivestita all’intradosso con un mosaico a tessere bianche decorato con elementi vegetali in pasta vitrea gialli e verdi informa sulla monumentalità e complessità del fabbricato. Non sappiamo in realtà se la volta, il cui pilastro di sostegno è in opera vittata, appartenga a questa fase edilizia o alla fase precedente. Subito a SO di questo grande ambiente si apre un vasto spazio la cui destinazione è ancora da definire; era sicuramente un vano di rappresentanza poiché pavimentato con lastre marmoree di cui rimangono le tracce sul piano di preparazione. Nella parte sud i resti di due absidi, rintracciati al di sotto di murature di età successiva, testimoniano la realizzazione, in quest’epoca, di un fabbricato volumetricamente articolato.. Per tutto il II secolo si registra dunque la vita, arricchita da modifiche decorative ed architettoniche, di un grande presunto complesso termale; a quest’epoca appartiene, come già anticipato sopra, quel Sevilio Pudente il cui nome compare su svariate condutture plumbee rinvenute dal Volpato nell’area. L’associazione fra il personaggio e l’edificio in questione è immediata e suggestiva. Riutilizzazione di parte del complesso di II secolo (periodo V) In un momento cronologicamente da stabilire parrebbe riscontrarsi un evento edilizio di difficile interpretazione; esso si localizza nel settore meridionale del vasto fabbricato e non sembra contestuale ad altre attività nell’area. La lettura dei vani qui costruiti risulta complicata a causa della frammentarietà dei resti murari e dei cambiamenti degli apparati decorativi, delle dimensioni nonché della localizzazione dei varchi. Tali cambiamenti furono dettati da una sostanziale modifica funzionale che previde successivamente in quest’area l’erezione di una nuova struttura termale. Gli ambienti che si stanno esaminando sono di forma quadrangolare, disposti con l’asse principale in direzione NE-SO; essi tagliano e in parte reimpiegano alcune strutture conservatesi per tratti veramente irrisori, pertinenti ai vecchi fabbricati. Le nuove murature presentano caratteristiche identiche. La sovrapposizione delle modeste stanze alle precedenti caratterizzate da absidi induce a supporre che in determinato momento, forse nel corso del III secolo, il complesso abbia subito una sorta di ridimensionamento monumentale e funzionale, almeno in un settore. Ricostruzione dell’impianto termale (periodo VI) Alla fine del III o inizi del IV secolo il vasto fabbricato del II secolo fu completamente rinnovato nelle forme e nelle funzioni. Non sappiamo cosa accadde nel settore a nord dell’area indagata, occupato dai resti dei vani a pianta mistilinea non ancora esplorati; è certo invece che il corpo di fabbrica settentrionale, corrispondente al saggio B, fu interamente reimpiegato per un utilizzo da definire. Eliminato il sistema di riscaldamento, la maggior parte dei suoi vani furono ripavimentati a quota più alta, ma solo in alcuni si conservano resti significativi di tale attività. Nella nuova sistemazione del complesso in uno degli ambienti fu probabilmente realizzata una latrina. Il dato più interessante relativo all’evento costruttivo che si sta esaminando è quello che riguarda la colmatura, con i detriti provenienti dalla distruzione delle pertinenze del complesso di II secolo, dello spazio fra le suspensurae sotto i pavimenti ed anche i vani ipogei pertinenti al precedente praefurnium; dagli interri provengono infatti numerosi pezzi di materiale da costruzione ridotto in frammenti ed anche alcuni elementi architettonici e scultorei. Si segnala fra questi un capitello corinzio e una splendida testa di uno Zeus Serapide o Esculapio. Segni evidenti della sopraelevazione pavimentale sono leggibili in più punti anche nella zona interessata dalle parti nord e centrale del saggio A. Nella parte centrale la uno degli ambienti fu probabilmente trasformato in uno spogliatoio, o apodyterium. Più consistenti sono invece gli indizi dell’evento edilizio che ha interessato in quest’epoca il settore meridionale, rappresentato dalla realizzazione all’interno dei vani esistenti di ambienti termali (un calidarium e un probabile laconicum) e di due praefurnia. I bagni dovevano certamente estendersi oltre i confini sinora portati alla luce, come dimostra la prosecuzione delle strutture ad essi riferibili oltre gli attuali limiti di scavo. I due praefurnia erano uno funzionale al calidario e l’altro per il laconicum; della prima camera di combustione rimane la parte basale e parte dell’elevato dalla forma tendenzialmente circolare. Il calidario aveva in origine due vasche absidate; a quella settentrionale si accedeva tramite due gradoni. Il vano era interamente rivestito a lastre di marmo. Sotto il pavimento si estende l’ipocausto ben preservato, costituito da un piano di bipedali posto sopra le suspensurae, costituite da pilastrini di bessali ed elementi circolari fittili, con piccole aperture a forma di cuore. Tali elementi poggiano sul sottopavimento di bipedali. La trasformazione dell’ambiente adiacente in un laconicum previde l’inserimento di due absidi in opera laterizia sul lato nord e sud della preesistente stanza. L’aria calda proveniva da sud, dove è stato scoperto l’altro praefurnium, di cui si conserva solamente la parte basale. Il rinnovamento dell’impianto, attribuibile forse all’età massenziana, trova un confronto puntuale con quanto accadde alla grandiosa villa di Erode Attico sull’Appia Antica, trasformata e di nuovo monumentalizzata proprio da Massenzio e ci pone di fronte al problema dell’eventuale passaggio di proprietà di possedimenti privati all’imperatore sul territorio di Roma in età tarda. Ristrutturazione delle terme a carattere monumentale (periodo VII) Successivamente a descritto evento costruttivo si registrano, nel corso del IV e V secolo, numerose attività edilizie individuate in varie zone dei due saggi; di alcune di esse è possibile stabilire la contemporaneità, per altre non si è in possesso di indizi sulla loro cronologia relativa e assoluta. Tale situazione è dettata dall’estrema frammentarietà delle evidenze poste nella sequenza stratigrafica più in alto, a causa degli interventi di spoliazione occorsi in seguito all’abbandono del complesso. Le ristrutturazioni attestano in ogni caso l’importanza e la monumentalità che il complesso mantenne nel tempo. Nella zona nord-orientale e centrale del saggio A si conservano alcuni resti relativi a più interventi di rialzamento dei piani di calpestio, preceduti da un rifacimento dei condotti fognari. Un uniforme pavimento in mosaico a tessere bianche si stende nell’area orientale all’interno dell’esedra già menzionata e nel grande spazio centrale . Tale pavimento subì peraltro, nel corso della sua vita, varie ristrutturazioni; una risarcitura in particolare, dalla forma stretta e allungata andò verosimilmente a coprire il taglio per l’asportazione di una fistula. Anche lo spogliatorio fu ristrutturato con l’aggiunta di un bancone per la seduta. Nella parte nord dell’edificio la latrina fu ricostruita a quota più alta e fu realizzata un’altra piccola latrina anche nello spazio ad est. Della latrina più grande rimane il condotto lungo le pareti e i fori per le mensole di sostegno dei banconi per la seduta evidentemente asportati; il pavimento, perfettamente conservato, è costituito da un opus spicatum realizzato esclusivamente con frammenti di anfore Dressel 20. Tale pavimento riveste il piano della latrina piccola e anche parte dell’area denominata dove esisteva precedentemente una grande esedra; al suo posto fu costruito un pilastro semicircolare ed un muretto a definire un ambiente di passaggio per accedere per l’appunto al settore delle latrine. Nel lasso di tempo che stiamo esaminando il grande vano a sud dello spogliatorio fu trasformato in una grande piscina, forse il frigidario; fu riutilizzato in parte il pavimento più antico in marmo, cui fu aggiunto un pavimento in opera spicata di marmo bianco. Il calidario e il laconico furono rivestiti in piano con un nuovo lastricato, in cui furono alloggiate lastre marnoree chiaramente di reimpiego. Nel calidario in particolare fu modificato anche il lato sud; tagliata la più antica abside, fu qui realizzata una vasca circolare. Non siamo certi, per mancanza di dati stratigrafici, se gli interventi descritti siano contestuali; sembra tuttavia di supporre una contemporaneità delle operazioni perché denotano tutte una volontà di ristrutturazione a carattere monumentale dell’edificio. Altre ristrutturazioni delle terme (periodo VIII) Alcuni resti rinvenuti nel settore NE del saggio A e nella latrina piccola B2 testimoniano un ulteriore fase di ristrutturazione, la cui entità è sconosciuta. Si ricorda solo ad esempio che sul pavimento nell’area della latrina piccola, furono praticati degli stretti incassi a sezione semicircolare in cui erano alloggiate alcune fistule; visto il numero degli incassi anche nelle zone limitrofe si deve pensare ad un sistema idrico complesso. I dati in possesso sono limitati, ma indicativi per supporre una volontà di ristrutturazione consistente del complesso; si tratta ovviamente di un’ipotesi di lavoro che andrà verificata con il prosieguo delle indagini. Il rifacimento dell’impianto di conduttura delle acque parrebbe coevo ad un rialzamento dei piani di calpestio, documentato nell’area della latrina stessa, dove si conserva un residuo di una pavimentazione con frammenti laterizi. Una simile operazione è documentata anche in corrispondenza dello spogliatoio; sulle pareti dell’ingresso orientale del vano in esame si leggono infatti le impronte dei blocchi che costituivano la soglia, situate a cm 40 al di sopra del cocciopesto, il quale costituisce l’ultimo livello pavimentale qui conservato. Ultimo riutilizzo del complesso (periodo IX) L’ultimo evento edilizio del complesso delle Vignacce è rappresentato dalla costruzione di un muro con cortina a spina di pesce nel settore NE del saggio A; la tecnica edilizia, documentata a Roma in edifici di VI d.C., induce a datare a quest’epoca la struttura. L’epoca di appartenenza della muratura potrebbe essere coeva a quella in cui avvenne l’assedio dei Goti di Vitige a Roma nel corso della guerra greco-gotica degli anni trenta del VI secolo. Sappiamo da Procopio che i Goti tennero il loro accampamento base in un luogo da secoli ben noto e oggi chiamato Campo Barbarico, distante non più di 500 metri in linea d’aria dalla villa delle Vignacce; quest’ultima potrebbe essere stata collegata funzionalmente e strategicamente al Campo. I dati raccolti si rivelano dunque di estremo interesse ed aprono nuove prospettive di ricerca per la conoscenza dell’assetto del suburbio sudorientale di Roma in età tardo-antica. Quanto sinora esposto corrisponde ai sorprendenti risultati sinora ottenuti; con la prosecuzione del progetto abbiamo la certezza di raccogliere altri dati che ci consentiranno di ricostruire l’architettura del complesso nel corso della sua evoluzione. Rimarrà in ogni caso una difficoltà ardua da superare; è noto che un complesso edilizio non rappresenta solo il frutto di un progetto che prevede l’assetto planimetrico e volumetrico, ma anche l’unione fra l’impianto stesso e lo spazio circostante che ne definisce la visione, sarà nostro compito tentare di ricomporre il colloquio con la materia del terreno circostante. Per la villa delle Vignacce tale colloquio sembra essersi fissato nel tempo, come stampato su una foto, nel secolo XIX; sebbene l’invasione dell’edilizia moderna abbia modificato il territorio subito a nord delle evidenze archeologiche, la realizzazione del parco degli Acquedotti è infatti riuscita a bloccare l’immagine dei resti e del loro rapporto con il paesaggio circostante quale era quella rappresentata sulle opere pittoriche, grafiche e letterarie di artisti, italiani e stranieri, che visitavano la campagna romana nel corso dei loro tours.