Joseph Stiglitz La globalizzazione ei suoi oppositori 2002

Economia
Joseph Stiglitz
La globalizzazione e i suoi oppositori
2002
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
In questo libro Joseph E. Stiglitz si concentra, più che sulla globalizzazione dell’economia,
sulla critica delle politiche perseguite dalle istituzioni economiche internazionali, in
particolare dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’accusa principale dell’autore è
che queste istituzioni non fanno gli interessi dei paesi in via di sviluppo, ma quelli del loro
maggiore azionista, gli Stati Uniti. Per i titoli che poteva vantare (era stato consigliere
economico del presidente Clinton e aveva vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2000)
e per gli importanti ruoli che aveva ricoperto proprio all’interno delle istituzioni
internazionali contestate (aveva lavorato alla Banca Mondiale dal 1997 al 2000, quando fu
costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers), la sua polemica
suscitò una notevole risonanza.
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PUNTI CHIAVE

Il Fondo monetario internazionale (FMI) fa più male che bene.

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) favorisce i paesi ricchi e
danneggia quelli poveri.

La globalizzazione è potenzialmente buona, ma le istituzioni internazionali la fanno
sembrare cattiva.

Il FMI governa i paesi poveri con durezza, in segretezza e seguendo principi
economici sbagliati

Il FMI ha rovinato la Russia e ha peggiorato la crisi economica dell’Asia orientale.

Il governo può svolgere un ruolo legittimo nei sistemi economici dei paesi poveri.

Il mercato lasciato a se stesso spesso fallisce.

I paesi ricchi costringono i paesi poveri a liberalizzare secondo modalità che i
primi, quando si trovavano in una simile fase di sviluppo, non avrebbero mai
accettato

Le istituzioni internazionali, in particolare il Fondo monetario internazionale,
devono essere considerate responsabili per le politiche che impongono.
RIASSUNTO
Il progetto keynesiano di Bretton Woods
Nel 1944, poco prima della fine della seconda guerra mondiale, i delegati delle grandi
potenze alleate e di altri paesi più piccoli si riunirono nella conferenza di Bretton Woods,
nel New Hampshire, dove decisero di dar vita ad alcune istituzioni economiche
internazionali. Tra queste vi erano la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo
Sviluppo, ora chiamata Banca Mondiale, e il Fondo Monetario International (FMI).
Queste istituzioni trovavano fondamento nel pensiero economico di John Maynard
Keynes. Dovevano servire a rimediare ai guasti frequenti, talvolta catastrofici, del mercato
lasciato senza guida. Le forze di mercato, secondo Keynes, erano potenti, cieche e
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irrazionali. Per essere utili avevano bisogno, come gli animali, di attenzioni e
controlli costanti. Keynes pensava che fosse compito dei governi fornire questa
supervisione.
Il sistema di Bretton Woods istituì quindi un governo internazionale dell’economia,
assegnando alcune specifiche funzioni al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca
Mondiale. Il Fondo monetario internazionale doveva far rispettare le regole di un
complesso sistema di controlli delle valute e dei capitali, e aiutare i paesi che si trovavano
in una crisi monetaria. La funzione della Banca Mondiale era quella di fornire i capitali per
la ricostruzione postbellica.
Con il passar del tempo lo scopo originario di queste due istituzioni divenne irrilevante. La
ricostruzione postbellica venne completata entro un decennio o due, mentre il sistema
monetario internazionale imperniato sul Fondo Monetario crollò nel 1971. A quel punto
le istituzioni di Bretton Woods avevano raggiunto il loro scopo, oppure erano diventate
inutili. Le loro burocrazie allora si riciclarono, inventandosi nuovi obiettivi. La Banca
Mondiale si dedicò alla lotta alla povertà attraverso i prestiti allo sviluppo per i paesi
poveri; il Fondo Monetario divenne l’esecutore di una nuova ortodossia economica, detta
Washington Consensus.
Il Washington Consensus
Il Washington Consensus, secondo Stiglitz, si allontanò decisamente dai principi
economici keynesiani. Keynes diffidava del mercato acriticamente abbracciato dal
Consenso di Washington. Keynes aveva incatenato il mercato con delle regole, ma la
nuova ortodossia economica ha spezzato le catene. I suoi tre pilastri sono le
privatizzazioni, la liberalizzazione e la macro-stabilità. Questo consenso anti-governo e
pro-mercato nacque durante l’era Reagan-Thatcher come reazione alla crisi dell’economia
keynesiana, e non fu del tutto privo di meriti. Queste ricette tuttavia potevano essere utili
in alcuni luoghi e in alcune circostanze, ma in altre occasioni erano completamente prive
di senso.
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Le privatizzazioni
La teoria keynesiana non ha mai contestato il coinvolgimento del governo nell’economia.
L’ha prescritto anzi che come soluzione al fallimento dei mercati. In Gran Bretagna e
nell’Europa continentale la ricostruzione post-bellica ha lasciato in eredità un ampio
sistema di imprese statali. Molte ne sono sorte anche nei paesi in via di sviluppo, grazie
alla tutela e alle generose politiche di prestito della Banca Mondiale. Il Washington
Consensus ha giustamente osservato che i governi hanno gestito male queste imprese,
che si sono rivelate molto spesso inefficienti, dispendiose, mal amministrate e
antieconomiche. Quindi la privatizzazione, in teoria, aveva molto senso.
In pratica, tuttavia, la privatizzazione si è rivelata spesso un disastro. Invece di realizzare
un percorso di maggiore libertà ed efficienza, è diventata uno strumento di cleptocrazia.
In alcuni casi i governanti hanno venduto delle preziose proprietà pubbliche ai loro amici,
impoverendo lo Stato e arricchendo un’élite corrotta. In altri casi la privatizzazione ha
portato alla chiusura di programmi e servizi sui quali dipendevano i poveri. Il Fondo
monetario
internazionale,
tuttavia,
ha
imposto
ciecamente,
illogicamente
e
irragionevolmente le privatizzazioni come condizioni per assistere i paesi poveri.
Le liberalizzazioni
Le liberalizzazioni hanno ovviamente lo scopo di liberare qualcosa. In questo contesto per
liberalizzazione si intende la liberazione del capitale. I controlli sui capitali sono sempre
stati una pietra angolare della gestione keynesiana dell’economia. Il Fondo Monetario
Internazionale originariamente funzionava proprio come la chiave di volta di un’elaborata
rete di norme che regolavano il prezzo e la mobilità del denaro. Ai tempi d’oro
dell’economia keynesiana i governi regolamentavano i tassi di cambio, i tassi di interesse,
i movimenti dei capitali in entrata e in uscita dai paesi, e così via. Il nuovo consenso ha
condannato però questa regolamentazione come eccessiva e controproducente. Secondo
questa visione il giudizio collettivo del mercato avrebbero trovato l’uso migliore e più
economico del capitale, mentre i controlli governativi avrebbero sbarrato la strada o
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rallentato gli investimenti, oppure avrebbero indirizzato i capitali verso canali
antieconomici.
Il problema è che il flusso dei capitali internazionali è una corrente molto forte, e i paesi
piccoli sono come delle piccole barche facilmente sommerse dalle onde e dalle maree del
capitale in movimento. Il capitale speculativo si precipita in questi piccoli paesi alla ricerca
di profitti di breve periodo. Fa alzare i prezzi e spreca risorse in investimenti sconsiderati.
Poi quando l’umore del mercato cambia (e può avvenire senza apparente motivo) il
denaro fugge nuovamente, provocando turbolenze economiche, recessione e miseria. A
volte la liberalizzazione è la cosa peggiore che un paese in via di sviluppo può fare a se
stesso. Malgrado ciò Il Fondo monetario internazionale ha imposto ciecamente,
illogicamente e irragionevolmente le liberalizzazioni come condizioni per assistere i paesi
poveri.
La macro-stabilità
Macro-stabilità significa, in sostanza, bilancio statale in pareggio. La teoria keynesiana
prescrive invece un bilancio squilibrato come terapia per la stagnazione economica e la
recessione. In tempi di crisi economica, come durante la Grande Depressione, gli
investitori privati hanno paura e non sono disposti a fare gli investimenti necessari per
creare posti di lavoro e far ripartire l’economia. In questa situazione spetta al governo la
responsabilità di investire in programmi e progetti, ma dove deve trovare i soldi?
Certamente non aumentando le tasse. Il punto infatti è quello di mettere più soldi
nell’economia, non di toglierne. Quando i governi hanno bisogno di spendere di più
rispetto alle entrate fiscali, si indebitano o inflazionano la valuta riducendo i tassi
d’interesse, oppure fanno entrambe le cose.
In alcuni casi, naturalmente, i governi si comportano in maniera irresponsabile,
indebitandosi e inflazionando senza alcuna ragionevole giustificazione. In altri casi, però, i
governi usano i loro poteri economici con saggezza. Quando un paese è in difficoltà
economiche, per esempio quando una fuga improvvisa di capitali ha devastato l’economia
lasciando migliaia o addirittura milioni di persone senza lavoro, un pareggio di bilancio è
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l’ultima cosa di cui un paese ha bisogno. L’aumento delle tasse, il taglio della spesa
e l’aumento dei tassi di interesse è la cosa peggiore che può fare. Il Fondo monetario
internazionale, tuttavia, ha imposto ciecamente, illogicamente e irragionevolmente la
macro-stabilità come condizione per assistere i paesi poveri.
Il caso della Russia
Il mondo era pieno di speranza quando cadde il Muro di Berlino e la Russia, liberata
dall’oppressione comunista, si volse verso la democrazia e l’economia di mercato.
Purtroppo oggi la vita per il cittadino russo medio è peggiore, in termini economici, di
quanto non fosse sotto il comunismo. I redditi sono in calo. La povertà è alta. Il Fondo
Monetario Internazionale ha una grossa dose di colpa per aver imposto il Consenso di
Washington in Russia come un articolo di fede. Ma la fede cieca nel nuovo consenso non
ha maggior senso della fede cieca nel comunismo. Per ironia della sorte il Fondo
Monetario Internazionale ha agito come Lenin, eludendo o minando la democrazia per
imporre la sua ideologia sbagliata e pericolosa.
La Russia non ha le istituzioni dell’economia di mercato. Le sue banche non decidono i
prestiti e i investimenti, ma si limitano a raccogliere il risparmio e ad eseguire gli ordini del
governo. Le imprese non vanno a caccia di mercati e di risorse, né cercano il modo di
migliorare l’efficienza. Ricevono dallo Stato una quota di materie prime e di beni da
produrre, e spediscono la merce nel luogo indicato dal governo. Gli imprenditori in Russia
esercitano la loro ingegnosità cercando dei modi per evadere le tasse o eludere le norme
del governo. Queste istituzioni sono completamente impreparate e inadeguate per
un’economia di mercato. Eppure, nonostante questi fatti, il Fondo Monetario
Internazionale ha imposto ciecamente il Consenso di Washington alla Russia.
Anche se nessuna legge protegge o regola la proprietà privata, il Fondo Monetario ha
preteso le privatizzazioni. Il risultato è stato che una gruppo corrotto di operatori con
delle buone connessioni all’interno dello Stato si è appropriato delle ricchezze petrolifere,
minerarie e industriali della Russia, estraendo i capitali necessari al paese per investirli
all’estero. Per fronteggiare l’inflazione che era immediatamente seguita all’abolizione dei
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controlli sui prezzi nel 1992, il Fondo Monetario ha sollecitato una politica
monetaria restrittiva allo scopo di alzare i tassi di interesse. La Russia aveva bisogno di
crescita economica, ma questa politica di “stabilizzazione” era decisamente anti-crescita.
Alla fine il Fondo Monetario è intervenuto in “salvataggio” con un pacchetto di prestiti.
Molti esperti sostenevano che in queste circostanze il prestito alla Russia sarebbe stato
un errore. La Russia è un paese molto corrotto, ma ricco di risorse. Se eliminasse la
corruzione non avrebbe bisogno di prestiti, mentre nel caso contrario i prestiti esterni
sarebbero sprecati. Non importa. Il Fondo Monetario ha deciso di prestare molto denaro
alla Russia, ma il salvataggio è fallito, lasciando la Russia in condizioni peggiori di prima.
L’Asia orientale
Il Fondo Monetario Internazionale ha devastato anche l’est asiatico. Nel 1997 il crollo del
baht tailandese ha provocato il disastro economico peggiore dalla Grande Depressione. Il
contagio asiatico si è diffuso come l’influenza, infettando la Russia e in America Latina.
Fino al quel momento il Fondo Monetario e la Banca Mondiale avevano quasi ignorato
l’est asiatico, perché questa regione era considerata una storia di successo economico. È
interessante notare che questi paesi orientali avevano raggiunto il successo perché, in
gran parte, non avevano seguito le politiche del Washington Consensus. Avevano dato
importanza all’uguaglianza e alla riduzione della povertà, che l’ortodossia solitamente
ignora. Cosa forse ancor più importante, avevano controllato i capitali.
Quando un improvviso cambiamento di umore degli investitori ha portato alla fuga dei
capitali della Thailandia, il deflusso raggiunse quasi l’8% del PIL nell’anno 1997, oltre il
12% del PIL nel 1998 e il 7% nella prima metà del 1999. Con l’economia thailandese
barcollante, il Fondo Monetario chiese il solito mix di politiche inadeguate, tra cui la
macro-stabilizzazione, peggiorando ulteriormente la situazione. Il Fondo Monetario ha
cercato di fare in modo che i creditori stranieri dei paesi colpiti dalla crisi venissero pagati
il più possibile, anche a spese delle classi più povere. Pochi osavano o potevano
permettersi di ignorare o sfidare i dettami del Fondo Monetario, anche se la Malesia l’ha
fatto. Il primo ministro Mahathir bin Mohamed sfidò coraggiosamente il Fondo monetario
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internazionale, e la Malesia ha resistito alla crisi meglio della maggior parte dei
paesi vicini.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio
Se se il Fondo Monetario Internazionale è diventato il braccio applicativo del Consenso di
Washington, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, o WTO) non è molto
meglio. Dominata dai paesi ricchi, questa organizzazione, che avrebbe lo scopo di favorire
la libertà degli scambi su scala internazionale, tende a imporre delle regole commerciali
che avvantaggiano i paesi ricchi a danno di quelli poveri. I primi chiedono ai secondi di
aprire i loro mercati ai prodotti dei paesi ricchi, ma nello stesso tempo si rifiutano di
aprire i propri mercati ai prodotti in cui i paesi poveri sono competitivi. Le norme
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno lo scopo di far rispettare questa
scandalosa ingiustizia.
Ci sono molti aspetti positivi nella globalizzazione, ma le istituzioni economiche
internazionali, in particolare il Fondo Monetario e l’Organizzazione Mondiale del
Commercio, sono vergognosamente schierate con i paesi ricchi e potenti. Non bisogna
meravigliarsi, quindi, delle proteste anti-globalizzazione.
CITAZIONI RILEVANTI
Il fallimento del Fondo Monetario Internazionale
«Mezzo secolo dopo la sua fondazione, è chiaro che l’FMI ha fallito nella propria missione.
Non ha fatto ciò che doveva fare, cioè fornire ai paesi afflitti da una contrazione
economica fondi per consentirne la ripresa e aiutarli nel tentativo di avvicinarsi alla piena
occupazione. Nonostante una conoscenza molto più approfondita dei processi economici
rispetto a cinquant’anni fa, e malgrado gli sforzi compiuti dall’FMI negli ultimi venticinque
anni, le crisi nel mondo sono sempre più frequenti e più gravi (fatta eccezione per la
Grande Depressione)» (p. 13-14).
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I danni collaterali delle privatizzazioni
«Ristrutturare le aziende di Stato è importante e, spesso, la privatizzazione rappresenta
una soluzione efficace. Ma trasformare i lavoratori di un’impresa pubblica scarsamente
produttiva in disoccupati non contribuisce certo ad aumentare il reddito di un paese né
tantomeno il benessere dei lavoratori» (p. 57).
L’approccio “bolscevico” dei riformatori russi
«In effetti, i riformatori radicali adottarono strategie bolsceviche – sebbene i loro testi di
studio fossero altri. I bolscevichi cercarono di imporre il comunismo a un paese riluttante
negli anni successivi al 1917. Sostenevano che l’unico modo per costruire il socialismo era
che una cellula d’élite “conducesse” (un eufemismo, perché in realtà spesso la gente
veniva obbligata) le masse sulla retta via, che non era necessariamente quella preferita o
ritenuta migliore da queste ultime. Nella “nuova” rivoluzione postcomunista avvenuta in
Russia, un’élite, capeggiata da burocrati internazionali, tentò – allo stesso modo – di
imporre un cambiamento rapido a un popolo poco convinto» (p. 164).
Meglio far da sé
«I paesi in via di sviluppo devono quindi assumersi in prima persona la responsabilità del
loro benessere … Alla comunità internazionale dovrebbero chiedere una sola cosa: che
accetti il loro bisogno, e il loro diritto, di compiere autonomamente le scelte più giuste,
secondo modalità che riflettano il loro giudizio politico a proposito di chi, per esempio
debba affrontare quali rischi. Dovrebbero poi essere incoraggiati ad adottare leggi
fallimentari e strutture normative adeguate alla loro situazione e a non accettare schemi
studiati da e per paesi molto più sviluppati» (p. 255).
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L’AUTORE
Joseph E. Stiglitz è nato negli Stati Uniti a Gary (Indiana) il 9 febbraio 1943. È stato è stato
consigliere economico del presidente Clinton dal 1995 al 1997, e Senior Vice President e
Chief Economist presso la Banca Mondiale dal 1997 al 2000. Nel 2000 ha vinto il Premio
Nobel per l’Economia.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino, 2002, p. XXII-274,
traduzione di Daria Cavallini
Titolo originale: Globalization and Its Discontents
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