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IN PROFONDITÀ
di Maria Voce
L’AMORE, UN’ARTE
CHE RICHIEDE
SFORZO E SAGGEZZA
Settima puntata di una conversazione della presidente dei Focolari
su uno dei punti cardine della spiritualità dell’unità
S
e, davanti ad ognuno, siamo veramente un nulla
d’amore, lo Spirito Santo guida con la sua luce
il nostro dialogo e il fratello può completamente
aprirsi. Ci dà così la possibilità di cogliere ciò
che c’è di vivo in lui, vivo in senso soprannaturale – ci dice Chiara –, «fiammella della vita divina
dentro il suo cuore»; o vivo in senso semplicemente
umano, «espressione cioè di quei valori che Dio, creandoci, ha disseminato in ogni anima umana» (1).
L’esperienza di Chiara e di tutto il Movimento è
che proprio su questo qualcosa di “vivo” possiamo –
in atteggiamento di servizio – innestare con dolcezza
quegli aspetti del messaggio evangelico che portiamo
in noi e che danno pienezza a ciò che quel fratello
già crede. Questi aspetti sono da lui spesso attesi e
trascinano con sé, poi, tutta la verità.
Ho voluto farmi indicare qualche scintilla di questa vita colta qua e là e ne cito solo qualcuna fra le
tante, tutte significative.
Per le varie Chiese cristiane, ad esempio, John Wesley, fondatore del movimento metodista, ci ricorda:
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«Il necessario frutto di questo amore di Dio è l’amore per il nostro prossimo, per ogni anima che Dio
ha creato; senza eccezione per i nostri nemici, senza
eccezione per coloro “che ci insultano e ci perseguitano”; lo stesso amore con il quale amiamo noi stessi,
e amiamo la nostra anima» (2).
E nel mondo evangelico-luterano Walter e Hanna
Hümmer, fondatori della Christusbruderschaft: «La
nostra vita interiore si arricchisce se doniamo (al fratello) quello che l’amore ha operato in noi. Essere per
l’altro non impoverisce, ma arricchisce» (3).
Nei maestri delle altre grandi religioni troviamo
sempre la “regola d’oro”.
Nell’Islam un hadith recita: «Nessuno di voi è vero
credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso» (4).
Nell’induismo l’essenza di tutta l’adorazione è
essere buoni e far del bene agli altri. Colui che vede la divinità nel povero, nel debole e nel malato,
adora realmente Dio; se qualcuno vede Dio solo in
Domenico Salmaso
È un’arte che si impara come la musica, come la pittura
un’immagine, la sua adorazione è soltanto allo stadio iniziale. Chi ha servito e aiutato un uomo povero, vedendo Dio in lui, senza pensare alla sua casta
o credo o razza o a qualcos’altro, di lui Dio è più
soddisfatto di quanto lo sia con l’uomo che lo vede
solo nei templi.
Il venerabile Etai Yamada, buddhista, amava citare il motto del grande maestro Saicho, fondatore del
buddhismo Tendai: «Dimenticare sé stessi e servire
gli altri è l’apice dell’amore-compassione» (5), parole
che aveva citato anche Giovanni Paolo II quando ha
incontrato i rappresentanti di altre religioni nel 1981
a Tokyo. Il venerabile Yamada ci incoraggiava dicendo: «Si può dire che il Focolare mette in pratica le
parole del maestro dopo 1.200 anni».
E nel mondo di quanti non si riconoscono in alcuna convinzione religiosa come non ricordare Erich
Fromm, psicologo e filosofo, che descrive l’amore come una capacità che bisogna sviluppare esercitandola, come un pianista si esercita sul pianoforte?
«È l’amore un’arte? Allora richiede sforzo e saggezza. […] la maggior parte della gente ritiene che
amore significhi “essere amati”, anziché amare; di
conseguenza, per loro il problema è come farsi amare, come rendersi amabili. […] Il primo passo è convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è
un’arte: se vogliamo sapere come amare dobbiamo
procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura,
oppure la medicina o l’ingegneria» (6).
(continua)
1) C. Lubich, Santi insieme, Città Nuova, Roma 1994, p.
106; 2) J. Wesley, The Marks of the New Birth, 1748, cit. in
V. Benecchi-J. Wesley, L’ottimismo della grazia, Claudiana,
Torino 2005, p. 35; 3) H. e W. Hümmer, Leise und ganz nah,
Selbitz 2009, p. 323 (nostra traduz.); 4) An-Nawawi, Quaranta hadith, Cesi, Roma 1982, p. 64; 5) Regole per i monaci della scuola Tendai, 6; 6) E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 13.16.
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