A Roberto Cavarra, Piera Rella, Ludovica Rossotti Francesca Bergamante, Tiziana Canal Il lavoro in crisi Trasformazioni del capitalismo e ruolo dei soggetti Copyright © MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre Indice Introduzione Capitolo I Il glorioso trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale .. I prodromi della società postindustriale, – .. L’araba fenice del capitalismo. Dal coma alla rivitalizzazione della produzione sociale, – ... Dal bullone all’attività cerebrale, ovvero la rivoluzione tecnico–scientifica, – .. La ristrutturazione capitalistica nel mondo. Dal postindustriale all’avvento della globalizzazione, – .. La crisi del paradigma economicistico e la complessità sociale, – .. I soggetti dentro la complessità sociale. Dalla classe sociale all’identità, – .. Il ruolo dei mass media, – .. Economia informale ed identità, – .. Le ambiguità dell’informale, – .. Il capitalismo non abita più qui?, . Capitolo II La grande trasformazione made in Italy .. La ristrutturazione capitalistica in Italia, – .. I cambiamenti della struttura produttiva dal al , – ... Il dibattito sullo sviluppo del terziario e della piccola e media impresa, – .. Gli investimenti e il ruolo dello Stato, – .. Le caratteristiche della nuova occupazione, – .. L’internazionalizzazione dell’economia italiana. Verso la globalizzazione, . Indice Capitolo III Un paese di Santi, poeti, navigatori e di. . . ceti e classi medie .. Il terziario, – .. I tre capitalismi, – .. La pancia grossa della struttura sociale italiana, – .. Le diseguaglianze sociali, – .. Ceti e classi medie, tra mercato e politica, – .. Il passaggio del testimone: la politica dalla “la barca va” ad un “milione di posti di lavoro”, – .. Una società di egoismi? Il buio della democrazia, – .. “L’epoca delle passioni tristi”: una ricerca sul campo, . Capitolo IV Alla ricerca del lavoro perduto .. L’offensiva neoliberista verso il lavoro, – .. Plasticità o precarietà del lavoro?, – .. Il contesto internazionale: dalla trappola della precarietà a quella della disoccupazione, – .. Le specificità italiane: gli aspetti legislativi, – .. Le trasformazioni del mercato del lavoro in Italia, – .. Dalla precarietà allo scoraggiamento e alla disoccupazione, – .. Rischi legati alla vulnerabilità: lavoro sommerso, lavoro sotto inquadrato, lavoro grigio e lavoro nero, – .. I reticoli sociali: l’importanza del capitale sociale, . Capitolo V Evidenze e prospettive della qualità del lavoro .. L’investimento infinito in capitale umano, – .. Flessibilità sul lavoro, flessibilità nella vita, – .. Job insecurity e difficoltà economiche, . Conclusioni Bibliografia Introduzione di R C Se la lettura e l’identificazione di una società avviene sulla base dell’evoluzione produttiva o tecnico–scientifica c’è il rischio di ritenere superato il capitalismo per il rilievo della creatività e della conoscenza. D’altra parte la complessità come paradigma interpretativo rischia di mettere in secondo piano le determinanti storiche e sociologiche dei processi e delle strutture sociali, così come parlare di lavoro creativo è stato un modo per nascondere la precarietà e la carenza di lavoro. Mettere al centro dell’attenzione il concetto di capitalismo, anche con tutte le sue varianti, significa rivolgere l’attenzione agli attori sociali nei loro concreti rapporti economici, di classe e guardare alle disuguaglianze e alle opportunità. Né la società post–industriale, né i sistemi complessi e differenziati hanno eliminato le strutture di classe, gerarchiche e di potere o la dipendenza economica e sociale. Il libro cerca di dimostrare queste affermazioni, a partire da dati statistici e indagini empiriche messe a confronto con alcune affermazioni teoriche. Diciamo subito quello che questo libro non è: un saggio teorico di sociologia. È il tentativo di unificare riflessioni frutto di diverse ricerche svolte sui ceti sociali e il lavoro (in termini di qualità, precarietà, o mancanza dello stes Introduzione so) nel corso di molti anni, confrontandole con tematiche ineludibili come le trasformazioni del capitalismo nel passaggio dalla società industriale a quella post industriale o globale e il ruolo dei soggetti, che, hanno interessato il dibattito sociologico negli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Il nodo della questione risiedeva nel fatto che quelle ricerche sollevavano alcune perplessità, prendendo atto dell’aumento della complessità e differenziazione dei sistemi sociali. Questi non erano più leggibili dentro il vecchio paradigma economicistico, e chiamavano in causa altri e più articolati schemi interpretativi dei comportamenti e delle azioni sociali. Quello che si delineava però, era una specie di attore “soft” in grado di poter scegliere questo o quello, liberamente tra eccessi di possibilità simbolici e materiali dati, di rendere reversibile le scelte effettuate, e di possedere identità multiple. Senza interrogarsi sia con quali risorse e vincoli, sia con quali limiti e possibilità concrete questi attori erano chiamati ad interagire. Perché era proprio quell’interazione a costruire le loro biografie. Non che la sociologia italiana, anche in quel periodo, si fosse dimenticata della struttura socioeconomica, ma prendeva atto che questa non era più in grado di spiegare un gran numero di comportamenti soggettivi. In sostanza il paradigma economicistico, fino agli anni Settanta egemone nelle teorie sociologiche e nella analisi della società italiana, viene in parte messo in soffitta. In una società sempre più complessa e differenziata, anche i comportamenti e le azioni non sono più ascrivibili dentro quel vecchio paradigma. Che la società fosse divenuta più complessa e differenziata non era in discussione, quel che invece si rischiava era uno slittamento verso teorie che, come metteva in guardia uno dei maggiori pensatori della sociologia, Robert Merton, spesso dimenticano di soffermarsi sui con- Introduzione testi all’interno dei quali quelle teorie sono maturate. Ciò non vuole dire che non abbiano un loro fondamento, ma si rischia di dimenticare, per esempio, ciò che in un convegno su “La società industriale metropolitana e i problemi dell’area milanese” Rusconi ebbe a dire del concetto di complessità: Come si concilia la situazione di complessità con la permanenza di strutture di classe, di gerarchie sociali e di potere, fondate sui diritti di proprietà e su altre risorse di influenza? Non spenderò molte parole per ricordare che la società complessa rimane una classista, comunque la si voglia ridefinire con criteri di collocazione dei gruppi sociali nella produzione o con criteri che rimandano alla quotidiana impossibilità per milioni di uomini e di donne di determinare liberamente la propria esistenza, a causa della loro dipendenza economica e sociale. (Rusconi ) La sociologia non aveva dimenticato anche in quel periodo fine anni Settanta, Ottanta e Novanta, le disuguaglianze di classe, e che il capitalismo mutava di “pelle” ma non di “sostanza”. Per quanto ci riguarda non erano in discussione i limiti delle teorie economicistiche di stampo marxista, ma lo erano anche i limiti delle teorie individualistiche, di stampo weberiano, che esaltano l’attore sociale senza prendere in esame le risorse e i vincoli che incontra nella sua azione. È in questa prospettiva generale che il libro si colloca. Emergono in esso due aspetti. Il primo rilegge sinteticamente alcune “piste” del dibattito sociologico italiano sviluppatosi tra gli anni Ottanta e Novanta, che furono le basi di alcune ricerche (in parte datate, ma che ben evidenziano come si è andato trasformando lo scenario) svolte con Paolo Calza Bini e Piera Rella, che riguardarono ca- Introduzione tegorie di soggetti che mettevano alla prova, più o meno indirettamente quel dibattito. Il secondo aspetto attiene invece al riscontro di come nell’ultimo periodo si assiste ad una sempre più insistente riflessione sulle conseguenze della globalizzazione sugli individui. La saldatura di questi due aspetti si può rintracciare nel fatto che le ricerche condotte ruotavano intorno a due assi portanti: da un lato la trasformazione dei sistemi sociali e il suo impatto sui soggetti e dall’altro la virata degli interessi sociologici negli ultimi anni sulla condizione lavorativa dei soggetti dentro la globalizzazione. Il tentativo che si fa in questo libro è di andare dal generale al particolare: comprendere le trasformazioni del capitalismo degli ultimi anni, le specificità italiane della trasformazione da società industriale a quella postindustriale in un ambito sempre più globale, i cambiamenti della struttura di ceto e di classe, i problemi di un mercato del lavoro in cui cresce precarietà e disoccupazione e in cui peggiora la qualità del lavoro. In particolare, il primo capitolo si apre sull’analisi della capacità del capitalismo di risorgere dalla crisi che l’aveva colpito verso la fine degli anni Settanta. La grande trasformazione dalla società fordista a quella informazionale con l’avvento della globalizzazione, è stata supportata dalla rivoluzione tecnico–scientifica che ha permesso il superamento della società fordista. Questo mutamento di fondo apre alle trasformazioni dei sistemi sociali alla loro complessificazione e differenziazione. È qui che si situa il dibattito sull’azione e l’identità, concetto che tende a sostituire il tradizionale concetto di classe. A questa esplosione di identità ha contribuito non poco, la rivoluzione culturale del e poi il femminismo, oltre all’economia informale e all’irrompere delle comunicazioni di massa con il loro Introduzione corredo pubblicitario e conseguentemente consumistico. Queste identità, sembrano alludere a soggetti che mettono in atto comportamenti che incrinano schemi convenzionali. In questo quadro si colloca una ricerca che ha riguardato il problema della diversità (Cavarra ). In concreto si è analizzato come l’economia informale non era solo il terreno dove finivano soggetti emarginati dal mercato del lavoro, ma anche soggettività in grado di esprimere diversità culturali niente affatto deboli. Insomma l’informale racchiudeva in sé intenzionalità soggettive che sceglievano quel terreno per esprimere le loro differenze identitarie. In altri termini l’economia informale era un crogiuolo dove convivevano creatività e sfruttamento. Proprio quest’ultimo aspetto rimetteva al centro le discriminazioni di classe anche nelle società differenziate e complesse. Nel secondo capitolo l’attenzione è rivolta alle trasformazioni di fondo che hanno interessato la struttura socioeconomica italiana. Emblema del passaggio al post fordismo e alla società post industriale sono le piccole e medie imprese industriali e terziarie e il cosiddetto capitalismo immateriale, due aspetti del capitalismo italiano, che diventano protagonisti indiscussi degli anni Ottanta e Novanta del dibattito scientifico ed anche in quello politico. Questa prorompente entrata in scena della piccola e media impresa non si registra in tutto il territorio nazionale, ma si concentra in gran parte nel Centro Nordest che diviene un territorio a trazione economica e politica nazionale. Nel terzo capitolo si approfondisce l’analisi delle piccole e medie imprese e del capitalismo immateriale guardando alle peculiarità del terziario e alla composizione e ampia presenza di classi e ceti medi. L’enfasi è sui soggetti, in particolare sui cosiddetti “ceti emergenti”, espressione con cui si suole identificare coloro che svolgono un lavoro Introduzione creativo, auto–realizzante ricercando una individualizzazione del lavoro. Sono soggetti che in qualche modo sono riconducibili a quelle identità che rompono gli schemi di riferimento tradizionali, di cui si è detto nel primo capitolo, che tendono a manifestare un cambiamento culturale quasi antropologico che investe non solo l’economia, ma la politica. Se questi soggetti si collocano sui pioli medio alti della scala sociale, nei gradini più in basso troviamo un pullulare di soggetti precari, malpagati e con scarse prospettive di salire la scala sociale. Il terzo capitolo si chiude con una analisi sul campo (Cavarra, Rella, Rossotti , ) sul declino dei ceti medi a Roma. La pubblicistica attuale pone l’accento su come le famiglie di ceto medio siano in situazione di vulnerabilità. Da una ricerca che indaga la relazione tra giovani e legalità, presso studenti romani dell’ultimo anno delle scuole superiori, sono stati estratti ed elaborati i risultati delle domande attinenti la condizione socio economica delle famiglie. Pur essendo per lo più di ceto medio, tali famiglie appaiono spesso in difficoltà economica e alcune, con scarse risorse, rischiano di slittare inesorabilmente verso l’impoverimento e l’emarginazione. Il quarto capitolo è incentrato sul lavoro e le sue trasformazioni di lungo periodo, soprattutto sul lavoro che manca, che produce disoccupazione e scoraggiamento, ed è effetto e causa di disuguaglianze sociali crescenti. Il senso di incertezza prodotto dal lavoro precario è ovviamente aumentato dentro la più grave crisi del capitalismo globalizzato. Questa deriva mondiale si rivela radicata e persistente anche in Italia e sta facendo pagare prezzi sociali altissimi in particolare ai giovani, che peraltro si trovavano in difficoltà nel trovare lavoro anche anni prima della crisi del . Introduzione Il quinto capitolo si sofferma sull’analisi di alcuni elementi specifici utili ad una lettura della qualità del lavoro in tempo di crisi. Abbiamo già sottolineato come uno dei fili conduttori di questo libro è la condizione lavorativa dei soggetti dentro la globalizzazione parlando del declino dei ceti medi. Questo declino anche quantitativo fa da pendant a uno qualitativo che emerge da diverse analisi e indagini, tra cui quella dell’ISFOL sulla qualità del lavoro, che consentono di osservare, da una parte la cattiva allocazione del capitale umano in Italia (non solo fra le eccellenze), dall’altra la sedimentazione di relazioni controverse tra vita lavorativa e vita privata, nonché gli effetti in termini di insicurezza sia lavorativa, sia economica. Il libro si conclude con una riflessione che cerca di contrapporre possibili vie di uscita alla diagnosi dei guasti prodotti dal neoliberismo: rimanere a contemplare i mirabolanti effetti del libero mercato, che loda il perseguimento di interessi privati, la complessità e differenziazione che produce, non ci ha fatto accorgere che si stava consumando la separazione tra cultura e politica da un lato ed economia dall’altro, in cui le prime non orientano ed organizzano più la seconda. L’effetto di questo capovolgimento è come una valanga che ci è piombata addosso: essa sta sotto gli occhi di tutti e sulla pelle di molti. Se ne può uscire solo con cambiamenti radicali che riconoscano anzitutto gli errori fatti, ma non sarà facile né immediato. Capitolo I Il glorioso trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale di R C .. I prodromi della società postindustriale Alla fine della seconda guerra mondiale, preso atto della crisi del ’, il proposito era di conciliare: Stato, mercato ed istituzioni democratiche, con l’intento di assicurare e distribuire il benessere economico e permettere la partecipazione democratica dei cittadini. Nell’Europa occidentale, lo Stato doveva anche farsi carico, agendo liberamente accanto ai meccanismi di mercato, della ricerca della piena occupazione. In sostanza, «lo Stato diveniva un campo di forza che assorbiva al proprio interno i rapporti di classe, e le istituzioni della classe operaia, come i sindacati e i partiti politici della sinistra, godevano di un’effettiva influenza nei suoi apparati» (Harvey , p. ). L’intervento attivo dello Stato nella politica industriale, soprattutto attraverso la creazione di vari sistemi di welfare, dalla sanità all’istruzione, dall’assicurazione infortunistica alle pensioni, influì non poco nel definire i livelli reddituali, le garanzie occupazionali, le prospettive di carriera e nel migliorare i consumi e le condizioni di vita di consistenti fasce sociali. Questa organizzazione Il lavoro in crisi economica–politica permise l’espansione dei ceti medi che ridefinirono profondamente la stratificazione sociale nelle società a capitalismo avanzato. Man mano che lo Stato estendeva la sua presenza diretta nel settore economico e soprattutto sociale, la vita delle persone dipendeva sempre meno dal mercato e sempre più dai meccanismi redistributivi dello Stato. Non solo indirettamente, usufruendo dei servizi che lo stato forniva (comprese le tariffe energetiche), ma anche direttamente come dipendenti pubblici. In sostanza si viene a configurare una società che con la commistione tra Stato, mercato ed istituzioni democratiche, regolava, teneva e sorvegliava le logiche “perverse” del mercato. Oggi la situazione è a dir poco cambiata. Ma come è stato possibile scardinare questa impalcatura producendo un vero e proprio sconquasso economico, politico e culturale? Per individuare gli aspetti più rilevanti che hanno prodotto l’insorgere di questa situazione, vorremmo richiamare alcune tendenze di fondo, rifiutando una visione deterministica della tecnologia nel plasmare la società. Come giustamente fa rilevare Castells la società adopera il progresso tecnico scientifico ma non è da questo modellata, tuttavia, è indubbio che l’innovazione tecnologica condensa il livello a cui è giunta una società (Castells ). D’altra parte, come suggerisce Marx, una società non si pone mai dei problemi se non ha già al suo interno gli elementi per risolverli (Marx ). In questo quadro, appare alquanto difficile sottrarsi all’idea che l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sia stata stimolata, se pure in maniera non strettamente collegata e deterministica, dalla grave crisi di accumulazione che investì il sistema capitalistico negli anni Settanta. L’evoluzione . Il trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale tecnologica fu infatti una risposta in grado di ripristinare sia l’egemonia di un élite economica dominante in crisi di legittimazione, erosa dalle lotte operaie e giovanili, sia le condizioni di una nuova accumulazione capitalistica . In sostanza nei momenti difficili, il capitalismo sembra tirare fuori il coniglio dal cilindro! Limitandoci agli elementi essenziali che hanno concorso a destabilizzare il modello economico–sociale dei paesi capitalistici avanzati, che hanno permesso per un trentennio tassi di sviluppo elevati, un benessere generalizzato ed una stabilità politica, mai raggiunti in precedenza, va ricordato come già alla fine degli anni Sessanta lo Stato sociale, erroneamente definito keynesiano , mostrava rilevanti crepe. Alla base di questa crisi vi è un aspetto positivo e due negativi: quello positivo è il rilevante sforzo per sostenere l’industrializzazione, in tali anni si assiste infatti ad un ampliamento generalizzato della presenza dello Stato nell’economia, emblematicamente rappresentato dalla realizzazione della nazionalizzazione dell’energia elettrica e da un rafforzamento ed espansione dell’industria pubblica in settori produttivi di base fondamentaliper lo sviluppo economico italiano, quali la siderurgia, la chimica, le materie energetiche. Mentre i due aspetti negativi sono uno di ordine micro e . Si veda in proposito Harvey e , Castells , Arrighi . . Keynes in realtà non aveva mai pensato ad un intervento dello Stato come duraturo nel tempo e soprattutto la spesa pubblica come volano per accrescere il consenso politico e sostenere lo sviluppo economico capitalistico. Nella sua impalcatura teorica l’intervento dello Stato era concepito più come aspetto congiunturale, in grado di favorire la fuoriuscita dell’economia da una situazione di depressione come quella verificatesi nel’. Insomma la visione keynesiana non considerava lo Stato come cardine strutturale economico–sociale del capitalismo, ma come semplice strumento di intervento in fase depressive del ciclo economico. Il lavoro in crisi l’altro di ordine macro (Regini ). Il primo, riguarda l’aumento del reddito, che avviene prevalentemente per via politica, ma che sconta, in particolare in Italia e nel settore industriale privato, un lungo periodo (dal al ), di bassi salari e di profitti crescenti. Il secondo fenomeno che contribuì alla crisi dello Stato sociale fu la spesa sociale che divenne fuori controllo. Semplificando e senza volere ripercorrere la storia delle trasformazioni economiche politiche e sociali dell’Italia post bellica, è interessante qui richiamare due aspetti di fondo che danno conto, in parte di questi due fenomeni che hanno concorso alla crisi dello stato sociale italiano e all’accumulazione capitalistica. Per quanto riguarda il primo fenomeno, gli aumenti retributivi. Alla fine degli anni Sessanta si aprì, dopo un lungo periodo di letargo, una conflittualità operaia la cui posta in gioco riguardava sia gli aumenti salariali sia le condizioni e quindi l’organizzazione del lavoro in fabbrica e sia un riconoscimento politico e sociale. Alla base di tale conflittualità vi sono due aspetti fondamentali: la riorganizzazione del lavoro nella grande impresa manifatturiera e i bassi salari. Negli anni Sessanta, data la crescente concorrenza internazionale, si assiste nella grande impresa manifatturiera all’introduzione, in sintonia con quanto già avvenuto in altri paesi, della organizzazione del lavoro fordista, che con la sua produzione di serie rappresentava il presupposto per fondare la società consumistica di massa. Questa nuova organizzazione che richiedeva una forza lavoro con scarse, se non nulle, capacità professionali, si fondava su una divisione del lavoro tanto rigida quanto alienante, e permetteva uno sventagliamento delle qualifiche che ampliava di molto la discrezionalità della dirigenza nella collocazione degli operai . In realtà negli USA il fordismo attecchisce molto prima. . Il trentennio del capitalismo e la crisi della società industriale nella gerarchia organizzativa. A questa nuova organizzazione del lavoro si legavano retribuzioni salariali di gran lunga inferiori rispetto alla produttività del lavoro. D’altra parte, la spesa sociale per malattie, infortuni, disoccupazione, vecchiaia, istruzione, serve a legittimare le democrazie capitalistiche e a riprodurre ed accrescere il consenso politico (cfr. Habermas , Offe ). In tal modo la vita di una moltitudine di persone viene sottratta alle dinamiche del mercato per essere dipendente dalle scelte politiche. In Italia si assiste, anche se in modo meno marcato che in altri paesi, ad un rafforzamento delle politiche sociali che comportavano un aumento di dipendenti pubblici anche oltre le necessità reali, per così dire “tecniche”(Paci ). Ma l’Italia presenta una specificità rispetto agli altri paesi: la presenza in Italia del più forte Partito Comunista occidentale. I partiti di governo, dinnanzi al rischio di un rafforzamento del PCI, pensarono bene non solo di adoperare la pubblica amministrazione, come camera di compensazione della disoccupazione, in particolare meridionale, gonfiandola oltre le sue esigenze, ma incentivarono e protessero politicamente l’affermarsi di un ceto medio costituito di gruppi e di corporazioni, premiandoli con politiche che ne accrebbero la loro capacità reddituale. In sostanza viene attuata una politica clientelare, che fonda la forza elettorale dei partiti di governo, stabilendo un baluardo ad un’eventuale avanzata comunista. Si tornerà più avanti nello specifico su questo ed altri aspetti della situazione italiana, qui basta sottolineare come la realtà italiana alla fine degli anni Sessanta sia differenziata ed esprima molteplici bisogni e interessi diversificati . . La società italiana alla fine del “miracolo economico è molto più complessa di quanto potesse apparire ad un’analisi superficiale. Al di là della Il lavoro in crisi Del resto queste tendenze di differenziazione, mano a mano che le società industriali avanzate occidentali si sviluppano, accomunano vari Paesi dando vita ad interessi organizzati che si strutturano nel tessuto sociale divenendo sempre più articolati e pressanti nel richiedere al sistema politico una maggiore estensione dei propri benefici. Dal momento che, il sistema politico basava il suo consenso proprio sulle politiche di spesa pubblica, diventava difficile, per quest’ultimo, ridurla soprattutto nel momento in cui la situazione dei conti pubblici era in difficoltà. In sostanza si veniva a profilare la “crisi fiscale dello stato” (O’Connor ). Le entrate non erano sufficienti a coprire le spese e nello stesso tempo le spese attuate dal sistema politico non facevano altro che alimentare l’inflazione. I bassi salari e le condizioni di lavoro nelle grandi fabbriche innescarono, come si è detto, una conflittualità operaia che rivendicava aumenti salariali e diverse condizioni di lavoro. Dinnanzi alle richieste di aumenti retributivi, che interessarono anche altre categorie di lavoratori, la borghesia industriale e commerciale pensò bene di scaricare l’aumento dei costi sui prezzi alimentando l’inflazione. Ad aggravare ulteriormente la situazione economica contribuì non poco l’aumento del costo delle materie prime ed in particolare del petrolio. Nel i paesi arabi, produttori di petrolio, decisero di aumentarne il prezzo, perdurante storica “questione meridionale”, tra stato e grande industria si situava e persisteva una non trascurabile presenza di piccola e media impresa industriale, agricola, terziaria e di lavoratori autonomi, non presenti in nessun altro paese industrializzato. Come vedremo in seguito, questa tradizionale presenza di ceti medi, con il tempo ed in situazioni diverse avrebbe svolto un ruolo non indifferente nella ridefinizione dell’articolazione dello sviluppo economico italiano, nella ristrutturazione sociale, nella rappresentanza degli interessi e nei rapporti con la politica.