La Meccanica Quantistica
La luce è stata di grandissima importanza anche per la scoperta della meccanica
quantistica. Alla fine del 1 800 il fisico Heinrich Hertz scopì, quasi casualmente,
un fenomeno che poi prese il nome di effetto fotoelettrico. Hertz aveva notato che
i suoi esperimenti di elettricità funzionavano diversamente al buio e alla luce. Da
bravo fisico sperimentale cercò di capire quanto meno le caratteristiche che doveva
avere la luce per modificare i suoi esperimenti e scoprì che, dopo aver caricato
elettricamente un elettroscopio
1. l’elettroscopio si scaricava se esposto alla luce blu o ultravioletta;
2. non si scaricava se esposto a luce di altri colori (gialla, verde, rossa);
3. si scaricava solo se caricato negativamente;
4. la rapidità della scarica dipendeva dall’intensità della luce.
Non fu in grado di spiegare quel che accadeva, perché credeva, come tutti all’epoca,
che la luce fosse un’onda. L’interpretazione del fenomeno tutto sommato sembrava
facile: immaginate le cariche elettriche sull’elettroscopio come oggetti posti sulla
sua superficie, come le conchiglie su una spiaggia. Se le cariche sono illuminate,
l’onda elettromagnetica di cui è composta potrebbe spostarle da dove sono, esattamente come fa l’onda del mare che finisce sulla battigia investendo le conchiglie. La
rimozione delle cariche ad opera dell’onda potrebbe spiegare l’effetto fotoelettrico,
ma come tutti sanno, se l’onda è molto bassa, indipendentemente dalla frequenza
(cioè da quante onde arrivano nell’unità di tempo), le conchiglie non si spostano.
Solo se arriva un’onda abbastanza alta le conchiglie si spostano, cosí le cariche
dell’elettroscopio potrebbero spostarsi solo se investite da una luce fatta di onde
molto ampie, cioè molto intensa, indipendentemente dalla frequenza.
Gi esperimenti sulla diffrazione dimostrano che la luce blu ha una frequenza
maggiore della luce gialla o di quella rossa e quel che si vede è che l’effetto fotoelettrico si verifica solo se la luce ha una frequenza piú alta di una certa soglia. Solo la
rapidità della scarica dipende dall’intensità della luce, ma se s’illumina l’elettroscopio
con un’intensa luce gialla non succede nulla, mentre con una fioca luce ultravioletta
l’elettroscopio si scarica.
Fu Albert Einstein a interpretare il fenomeno tornando all’ipotesi corpuscolare.
Secondo Einstein la luce poteva essere fatta di corpuscoli, detti fotoni, ciascuno dei
quali possiede energia pari a hf dove h è una costante detta costante di Planck
e f la frequenza associata al colore con gli esperimenti di diffrazione. Se la luce
fosse composta di corpuscoli, quelli che hanno poca energia (bassa frequenza: rossa,
verde, gialla), urtando le cariche sull’elettroscopio non riescono a spostarle, come le
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biglie di plastica con le quali si gioca al mare che, urtando le conchiglie, ne sono
respinte perché hanno poca energia. Se invece hanno tanta energia (come una biglia
di vetro o una boccia), e quindi alta frequenza come nel caso della luce blu, urtando
le cariche le spostano.
L’intensità della luce, a questo punto, dipende da quanti corpuscoli ci sono nel
fascio di luce: alta intenistà significa tanti corpuscoli e quindi alta probabilità di
urtare cariche elettriche e di rimuoverle. Ma se i corpuscoli, pur tantissimi, hanno
bassa energia, non riusciranno a rimuovere le cariche.
Ma allora come possiamo spiegare gli esperimenti sulla diffrazione? La fisica è
una scienza sperimentale e, che ci piaccia o no, dobbiamo ammettere che la luce non
è né un’onda né un corpuscolo, ma ha al contempo le due nature. È sia un’onda che
un corpuscolo (se preferito potete anche pensare che non è né l’uno né l’altro, ma
qualcosa di diverso che non sappiamo immaginare).
Se questa interpretazione è vera, allora potrebbe essere vero che quel che abbiamo sempre considerato come composto di corpuscoli possa manifestare, sotto
certe condizioni, comportamenti ondulatori! È la meccanica quantistica secondo
la quale tutto nell’Universo ha una natura duale. Gli elettroni, per esempio, da
sempre considerati particelle, possono avere un comportamento da onde e quindi
essere diffratti in certe condizioni. Per poter produrre diffrazione le fenditure devono essere molto strette rispetto alla lunghezza d’onda: se si fa passare un fascio
di elettroni attraverso un cristallo, per esempio di grafite, gli atomi del cristallo disposti regolarmente si comportano come ostacoli e l’onda di elettroni prosegue al
di là del cristallo procedendo con un fronte d’onda sferico, come le onde del mare.
Il risultato è che si vedranno gli elettroni finire in punti che formano un’immagine
simile a quella di una luce che passa attraverso uno stretto foro: il fascio di luce si
allarga e attorno a esso si vedono degli anelli. Lo stesso accade per gli elettroni, in
effetti, quindi l’interpretazione quantistica dev’essere corretta.
© 2015 Giovanni Organtini
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