Bollettino Pat. Cardiovascolare

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EDIZIONE SPECIALE
Novembre 2010 - Anno XXVII
Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, CN Ferrara
e
Edizione Special
BOLLETTINO
Ordine dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri
della Provincia di Ferrara
LA PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE
NELLA DONNA:
AGGIORNAMENTI NELLA PREVENZIONE,
DIAGNOSI E TERAPIA
A CURA DI:
Dott.ssa Monica Sartea
Medico Chirurgo, Specialista in Cardiologia
Dott.ssa Cristina Tarabbia
Medico Chirurgo Specialista in Ginecologia e Ostetricia
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
“Non basta sapere, si deve anche fare.
Non è abbastanza volere, si deve anche agire.”
Johan Wolfgang Von Goethe
Anno XXVII – EDIZIONE SPECIALE
DIREZIONE REDAZIONE:
c/o Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Ferrara – Piazza Sacrati 11 –
Tel. 0532/202247 - Fax 0532/247134
Sito Internet: www.ordinemedicife.it
e-mail: [email protected]
[email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE
Dott. Massimo Masotti
AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI FERRARA:
decreto 17/04/1982 n. 299
In memoria del
Dott. Alberto Barioni
amico discreto e sincero,
collega attento e paziente
Sped. In abb. Postale – IV trimestre 2010
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, CN Ferrara)
STAMPA:
Siaca Arti Grafiche
Via Ferrarese 31/1 - 44042 Cento (FE)
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
INTRODUZIONE
Nel gennaio del 2009 è stata costituita presso l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri della Provincia di Ferrara la Commissione Donne Medico, costituita da
dott.ssa Isabel Carbonell Luna,
dott.ssa Maria Gabriella Piccinini,
dott.ssa Debora Romano ( coordinatore)
dott.ssa Cristina Tarabbia,
Perchè una Commissione Donne Medico?
Sostanzialmente per due scopi: l’esplorazione dei nuovi scenari indotti dalla predominanza numerica delle laureate in Medicina e Chirurgia e la diffusione della Medicina di
Genere.
L’incremento progressivo delle laureate in Medicina e Chirurgia, che nei prossimi 10
anni vedrà una predominanza delle donne medico di circa il 70%, lascia supporre che si
creeranno nuove situazioni e nuovi equilibri nell’ambito dell’assistenza sanitaria.
E’ importante valutare l’attuale situazione delle donne medico nella nostra città ,esaminare il patrimonio e le risorse apportabili dalla specificità femminile nell’organizzazione
e nella gestione dei servizi, proporre miglioramenti nella normativa vigente per la professione della donna medico, dal punto di vista previdenziale, della tutela della gravidanza,
della tutela della maternità e della sicurezza sul lavoro.
La Medicina di Genere
La Medicina di Genere si occupa delle patologie comuni a uomini e donne, ma che
per differenze biologiche, soprattutto ormono sessuali-mediate, e per motivi culturali e
sociali, presentano espressioni, diagnosi e trattamenti diversi.
Le origini di questo concetto risalgono alla fine degli anni 80, in cui ci si rese conto che,
le donne non ricevevano un trattamento medico adeguato sull’erronea convizione della
perfetta equivalelnza fra maschio e femmina. Inoltre le donne venivano incluse negli
studi clinici in proporzione nettamente inferiore , della loro biologia di base si sapeva
poco o nulla e alcune malattie risultavano prevalenti nel sesso femminile.
Oggi, grazie al progredire delle ricerche, si è capito che il sesso biologico è molto importante nell’economia delle cellule, dei tessuti, dell’organismo in toto: il DNA è espresso
in modo diverso a seconda del sesso di appartenenza.
Queste scoperte servono a comprendere meglio la fisiologia femminile, ma anche quella
maschile: la medicina di genere non è la medicina del sesso femminile.
Il reclutamento della popolazione femminile negli studi clinici in modo coerente rispetto a
quella maschile porterà non solo a farmaci differenziati per sesso, ma anche a strategie
terapeutiche diverse per curare le malattie negli uomini e nelle donne.
Finora la patologia più studiata in ambito femminile è la malattia cardiovascolare, maggiore causa di mortalità nelle donne.
Questo numero speciale del Bollettino dell’Ordine dei Medici di Ferrara vuole aiutare a
diffondere il concetto di Medicina di Genere, le differenze biologiche dell’apparato cardiovascolare femminile e la malattia cardiovascolare nella donna.
Speriamo di esserci riuscite
Dott. Debora Romano
Coordinatore Commissione Donne Medico
dell’ Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Ferrara
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
LA DIMENSIONE BIOLOGICA DEL GENERE FEMMINILE
La differenza tra uomini e donne: cenni storici
Le donne sono state vittime sin dall’antichità di una concezione che le rappresentava
come “una forma modificata, incompleta, imperfetta, non pienamente realizzata del
maschile”. Galeno rappresentava l’apparato genitale femminile come un pene
introflesso, e questa rappresentazione è stata accettata fino ai tempi di Andrea Vesalio
che lo ha disegnato così in una delle sue magnifiche tavole (De humanis corporis
fabrica, 1543). Bastava dunque studiare il maschio, come “forma neutra universale”
per capire anche il corpo femminile.
Finchè alla fine del 1700 un anatomista tedesco, Samuel Thomas von Sömmerring,
disegnò un prototipo di scheletro femminile, rappresentato in comparazione a quello
maschile, in contrasto con l’opinione corrente che riteneva l’apparato osteo-articolare
uguale nei due sessi (Tabula sceleti femminini, 1796). E’ dunque dal Settecento che
finalmente la scienza ha cominciato ad esprimere il concetto di “DIFFERENZA”
morfologica tra maschio e femmina, anche se tale diversità è stata accompagnata
spesso da stereotipi sulla natura della donna.
“Uomini e donne si nasce o si diventa?”
La diversità osservata tra uomini e donne è acquisita progressivamente nel corso della
vita, a seguito di condizionamenti ambientali, educativi e socio-culturali, variabili storicamente, oppure l’origine di tale dicotomia risiede nell’eredità biologica, sessualmente
differenziata, geneticamente-dipendente e dunque innata?
Dagli anni Settanta, quando si iniziò a parlare di GENERE, studiosi delle più disparate discipline in vari ambiti culturali si sono occupati dell’argomento, schierandosi
fondamentalmente in due correnti di pensiero: gli “innatisti” e gli “empiristi”. I primi
danno priorità al sesso genetico nella causalità delle differenze tra maschio e femmina, asserendo che la dicotomia biologica (=nature) determina i comportamenti
sociali e le scelte di stili di vita nelle due categorie; i secondi pensano viceversa
che la differenza di genere sia un costrutto storico, socio-culturale (=nurture).
La contrapposizione “nature versus nurture” è risultata ben presto infondata da
almeno due punti di vista: concettuale e scientifico.
Concettualmente il riduzionismo biologico oppure ambientale estremizza un rigido binarismo maschio/femmina, riduce la decisionalità dell’individuo, lo deresponsabilizza
ed intrappola o nell’immutabilità prefissata della natura oppure nei condizionamenti e
ricondizionamenti socio-culturali.
D’altro canto, gli studi epigenetici hanno scientificamente dimostrato che i geni non
sono strutture biochimiche immutabili che determinano prevedibilmente il nostro destino, ma sono plasmabili dall’ambiente in un rapporto di feed back continuo, dunque
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
hanno un ruolo di “causa ed effetto delle nostre azioni”.
I fattori ambientali sono in grado di modificare la cromatina attraverso metilazioni ed
acetilazioni trasmissibili ereditariamente: tali modificazioni chimiche non comportano alterazioni della sequenza delle basi nucleotidiche del DNA, ma regolano l’espressione
genica, variando il fenotipo dell’individuo e della sua progenie.
In aggiunta a ciò, non deve essere trascurata l’ampia variabilità individuale che prevede somiglianze, commistione di elementi comuni tra i membri dello stesso sesso,
ma che conferma “sempre e comunque” l’unicità del singolo soggetto.
Sulla base di tali considerazioni, le nuove correnti psico-sociologiche si sono attualmente orientate verso il concetto co-evolutivo di “sistema sesso/genere” (natura
via nurture) per cui la “femminilità” e la “mascolinità” possiedono una doppia dimensione, biologica e storico-culturale, che si integrano profondamente in un rapporto
reciproco dinamico, su cui si inserisce comunque la variabilità individuale.
Ogni disciplina umana, nei vari ambiti culturali, deve necessariamente evolvere
nella nuova direzione delle differenze di “sesso-genere”, non per realizzare una separazione dicotomica che produca una qualsiasi forma di disuguaglianza, discriminazione o gerarchia, ma per conoscere profondamente le peculiarità maschili e femminili,
al fine di migliorarne un qualsivoglia approccio.
In ambito sanitario, il concetto di genere è stato proposto dall’OMS nel documento
programmatico del 1988: “Una sfida di genere. Salute, sviluppo e strategie preventive”,
mentre a livello nazionale questo approccio è stato recepito in un progetto ministeriale
per la salute della donna del 2005, tuttora attivo.
La medicina di genere non è una nuova branca specialistica .
E’ una dimensione trasversale della medicina che fornisce una chiave di lettura più
corretta delle osservazioni cliniche: la possiamo considerare uno strumento di maggiore
appropriatezza clinica, per rispondere più adeguatamente ai bisogni di salute della donna e dell’uomo, nonché al principio di equità delle cure.
La medicina di genere si occupa “di maschi e di femmine” laddove il loro dismorfismo
influenza con meccanismi differenziati sia la fisio-patologia di organi ed apparati
comuni, sia la manifestazione clinica ed evolutiva delle malattie, sia l’esperienza del
dolore ed il vissuto dello stato morboso.
La conoscenza delle differenze deve dunque sconfinare dall’ambito puramente culturale e prevedere importanti applicazioni genere-specifiche in termini di prevenzione,
diagnosi, terapia e di politica sanitaria.
Perché è sorta la necessità pratica di una medicina di genere?
Non solo per l’evoluzione culturale cui si è fatto riferimento.
Innanzitutto è evidenza clinica il differente profilo di morbilità nei due generi: vi sono
patologie che compaiono solo in un genere, altre prevalenti, altre ancora che si manifestano in modo diverso.
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
Per esempio, è stata osservata una prevalenza femminile in:
- malattie autoimmuni (AR, MS, LES….)
- patologie tiroidee
- patologie gastroenteriche: (GERD, IBS, AIH, PSC, PBC,calcolosi colecisti)
- patologie broncopolmonari (asma, >sensibilità a PCO e a carcenogenesi da tabacco)
- osteoporosi
- patologie renali e urinarie (CKD, incontinenza)
- obesità
- malattie cardiovascolari
- depressione
zione di SRY associata alla disattivazione di RSPO1 determinano l’attivazione di Sox9,
responsabile dell’avvio embrionale alla via differenziativa maschile .
In realtà, anche sul cromosoma X è presente un gene della differenziazione sessuale
femminile: DAX1, la cui presenza in duplice copia è in grado di promuovere attivamente
la differenziazione della gonade in ovaio, anche in eventuale presenza di un cromosoma Y. Infatti, tale gene antagonizza direttamente l’attività del gene SRY.
E poi, perché la medicina attuale è stata costruita a misura d’uomo sia a livello di ricerca, sia di studi clinici, sia di sperimentazione farmacologica, ed il tentativo di trasferire
semplicemente al genere femminile i meccanismi che caratterizzano la clinica maschile
è risultato un errore metodologico non privo di conseguenze ai fini terapeutici.
Occorre pertanto cercare di inquadrare correttamente la malattia quando il paziente
è donna, attraverso la conoscenza accurata della fisiopatologia femminile nella sua
specificità.
Il discorso si complica ulteriormente dal punto di vista genomico se consideriamo la presenza dei polimorfismi genetici, in cui le modificazioni di basi nel DNA codificano per
proteine modificate, a funzione alterata, con cambiamento del fenotipo.
La specificità biologica femminile
La specificità biologica femminile ha una “duplice dimensione” che le attribuisce un
peculiare dismorfismo anatomo-funzionale rispetto al maschio:
→ genotipica (cromosomica)
→ fenotipica (ormono-mediata)
Infine, la cascata trascrizionale è caratterizzata dalla successione di numerose tappe
finemente regolate, che porta alla codificazione di una serie di proteine enzimatiche
catalizzatrici delle reazioni chimiche implicate nei processi differenziativi.
DISMORFISMO FENOTIPICO: ormono-mediato
→ Cellulare di base: la cellula è sessuata !
Diversa programmazione del destino cellulare
Senescenza
Morte
DISMORFISMO GENOTIPICO: determinato dal cariotipo
geni della differenziazione sessuale
geni X-linked
polimorfismi genetici
transcriptomica, proteomica, metabolomica
La donna è caratterizzata dalla presenza nel cariotipo del cromosoma X in duplice copia. Si pensava che il fenotipo femminile fosse determinato dalla semplice assenza del
cromosoma Y, su cui sono presenti i geni della differenziazione sessuale maschile:
SRY, RSPO1 e Sox9. Questi agiscono secondo un modello a cascata, per cui l’attiva-
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La differenziazione sessuale è inoltre coadiuvata da altri geni X-linked, presenti sugli
autosomi, che codificano per coattivatori e co-repressori coinvolti nel rimodellamento
cromatinico.
Diversa fisiologia cellulare
Meccanismi elettrici
Funzione mitocondriale
Risposta allo stress ossidativo
Citocromi
Produzione neuro-ormonale
→ Anatomo-funzionale di tessuti, organi ed apparati
Dimensioni corporee ed organiche
Densità e reclutamento cellulare
Composizione della massa corporea
DIVERSO COMPORTAMENTO BIOLOGICO
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La diversità morfologica tra maschio e femmina viene classicamente riferita all’apparato riproduttivo.
In realtà, il dismorfismo fenotipico non riguarda solamente i caratteri sessuali primari
e secondari, ma coinvolge l’intero organismo a tutti i livelli organizzativi: persino le
singole cellule hanno un sesso!
Il processo di “femminilizzazione” dell’embrione è indotto dal genotipo XX tramite l’azione degli ormoni sessuali, attraverso meccanismi genomici e non genomici mediati da un
sofisticato sistema ormone-recettore.
Dalla 3°settimana di vita intra-uterina, i geni della differenziazione sessuale inducono le
cellule germinali indifferenziate a differenziarsi nei “progenitori” degli “oociti”.
Dalla 5°settimana, le cellule progenitrici “orientate” migrano verso i cordoni sessuali primitivi delle gonadi indifferenziate, vi si localizzano e le inducono a differenziarsi in ovaie.
Dalla 7°settimana di sviluppo embrionale, le ovaie producono ormoni sessuali i quali,
riversati nel torrente circolatorio fetale, agiscono sia sulle ovaie (con ulteriore differenziazione dei follicoli ovarici corticali) sia sugli organi genitali primitivi embrionali indifferenziati (con formazione dei caratteri sessuali primari) sia su tutti i tessuti embrionali,
tracciando il profilo di una peculiare fisiologia d’organo ed apparato sesso-genere
specifica.
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
aminoacidi (ad opera di proteasi) e colesterolo C (ad opera di lipasi).
Il colesterolo C diffonde libero nel citoplasma, dove opera la propria autoregolazione,
impedendo il sovraccarico intracellulare. Impedisce infatti la sintesi di colesterolo exnovo dall’acetato (inibendo la 3OH-3metilglutaril redattasi), riesterifica il colesterolo
in eccesso, accumulandolo in gocce lipidiche (stimolando l’acil CoA colesterolo acil
transferasi) ed inibisce la sintesi di nuovi recettori per le LDL.
Successivamente, si lega ad una proteina citoplasmatica di trasporto e si accumula
sulla membrana esterna del mitocondrio, grazie all’attivazione del complesso citoscheletrico (microtubuli e microfilamenti) tramite un meccanismo proteinchinasi c-AMP
dipendente.
Una proteina labile promuove il passaggio dalla membrana mitocondriale esterna a
quella interna, ove esiste un complesso enzimatico che “spezza” la catena del colesterolo C , con produzione di Pregnenolone C e di un frammento a 6 atomi di carbonio
detto acido isocaproico.
Il Pregnenolone è il precursore di tutti gli steroidi.
Una volta sintetizzato, viene rapidamente convertito (ad opera di una 3B-HSD-delta
isomerasi) in un ormone biologicamente attivo: il Progesterone C , da cui derivano
gli altri steroidi ovarici, grazie agli enzimi della via delta che rimuovono gli atomi di carbonio, accorciando progressivamente la catena carboniosa.
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Le molecole ormonali
Gli enzimi implicati nella steroidogenesi sono distribuiti nelle cellule endocrine ovariche secondo un pattern specializzato, così che ciascun tipo di cellula risponda la
biosintesi di un ormone specifico.
Le cellule luteiniche della teca producono prevalentemente C -progestinici, le cellule
interstiziali secernono prevalentemente C -androgeni, mentre gli estrogeni derivano
per conversione dell’androstenedione in 17BEstradiolo.
La biosintesi steroidea è dunque cito-specifica e si modifica sia nei diversi periodi
della vita, sia nelle diverse fasi del ciclo mestruale.
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I recettori agli estrogeni
Gli ormoni steroidei secreti dall’ovaio della donna adulta sono: gli Estrogeni (di cui
il principale è il 17 Beta-Estradiolo) il Progesterone, l’Androstenedione.
La produzione e la secrezione sono sotto il controllo dell’asse ipotalamo-ipofisario.
Gli steroidi ovarici derivano dal colesterolo proveniente dalle LDL circolanti.
Le lipoproteine si legano ad un recettore ad alta affinità presente sulle cellule
deputate alla steroidogenesi, cui fa seguito l’internalizzazione del complesso LDLrecettore sotto forma di vescicola di endocitosi .
La vescicola si fonde con un lisosoma, dove la molecola di LDL viene idrolizzata in
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RECETTORI AGLI ESTROGENI
ERa
(recettore alfa intracitoplasmatico)
ERb
(recettore beta intracitoplasmatico)
GPER (proteina G di transmembrana accoppiata al recettore estrogenico)
Gli effetti biologici degli estrogeni sono mediati da tre recettori specifici, a diversa distribuzione nelle cellule dell’organismo:
I recettori ER-alfa ed ER-beta sono stati identificati rispettivamente nel 1973 e nel
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1996, e possiedono entrambi un’alta affinità di legame per gli estrogeni.
Poiché l’estrogeno è un ligando che possiede una scarsa flessibilità conformazionale e
pochi siti di riconoscimento stereospecifico, le molecole dei due recettori (approssimativamente di 800 residui aminoacidici) presentano delle caratteristiche morfologiche
comuni, ripiegandosi in cinque domini distinti, di cui almeno tre fondamentali:
- dominio A/B amino-terminale (con la regione AF-1, ormono-indipendente, regolata
da fattori di crescita)
- dominio C intermedio (DBD: che lega il DNA )
- dominio E carbossi-terminale (LBD: con la regione AF2, ormono-dipendente)
La trasmissione del segnale ormonale alla cellula bersaglio, mediata dal legame con i
recettori ERs, avviene secondo due vie principali: “genomica” e “non genomica”.
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
intermedio C, alla “superfamiglia dei recettori nucleari”, sequenze specifiche di DNA
adiacenti ai geni specifici di cui verrà regolata la trascrizione.
Tali recettori nucleari sono mantenuti inattivi da combinazioni di proteine regolatrici
inibitorie associate, specifiche per gene e per segnale, denominate EREs (elementi
di risposta -“promoters”-): l’attacco del complesso HR altera la conformazione del
recettore nucleare inattivo, provocando un “dialogo molecolare” con le regolatrici che
produce alcuni effetti fondamentali:
1) la dissociazione del recettore nucleare dal complesso inibitore
2) il legame a proteine co-attivatrici
3) l’attacco del complesso HR al DNA, attraverso il dominio amino-terminale.
Tale legame destabilizza la struttura del DNA, ripiegandola, in modo che la tensione torsionale favorisca l’avvio della RNA-polimerasi al sito TATA di inizio.
Si avvia dunque la trascrizione genica, che avviene in passaggi successivi: entro
circa 30 minuti si verifica la risposta primaria precoce per attivazione diretta di un piccolo
numero di geni che codificano per alcune proteine di cui una parte spegne la risposta
primaria, mentre parte accende i geni della risposta secondaria ritardata.
Tuttavia, la risposta transcrizionale è molto complessa: non è legata solamente al “dialogo” con gli elementi di risposta EREs, ma è mediata anche dall’interazione con AP1
(proteina di attivazione) e dalla modulazione di altri regolatori della trascrizione, quali
SP-1 (Specific Protein 1) ed NFb (Nuclear Factor beta).
Il meccanismo non genomico prevede invece il legame degli steroidi non con un recettore intra-citoplasmatico, bensì con una sottopopolazione di recettori ER non selettivi
(es: mER-X) associati alla membrana plasmatica delle cellule bersaglio.
Il legame con gli estrogeni attiva una rapida cascata metabolica che coinvolge le
proteine kinasi e produce varie risposte intracellulari legate a meccanismi fosforilativi.
Il meccanismo genomico è quello classicamente conosciuto.
Gli estrogeni, in virtù della propria idrofobia, sono insolubili e possono diffondere nel
sangue e nei liquidi extracellulari solo grazie al legame con proteine trasportatrici specifiche, le quali consentono loro una permanenza nei fluidi organici per diverse ore.
Appena raggiunge la cellula bersaglio, l’ormone si dissocia dalle proteine trasportatrici,
diffonde attraverso la membrana plasmatica per lipofilia e trasporto facilitato, e si
lega al dominio E carbossil-terminale della forma inattiva del recettore intracitoplasmatico, producendo il cambiamento allosterico responsabile della sua attivazione.
Il complesso “ormone-recettore” attivato si lega a sua volta, attraverso il dominio
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Nel 2006 si è evidenziato che gli estrogeni sono in grado di interagire con un terzo
recettore specifico: il recettore GPER1.
Si tratta di una specifica proteina G espressa sulla membrana del reticolo endoplasmico
delle cellule bersaglio, la cui attivazione avvia una cascata rapida di fosforilazioni successive delle molecole segnale.
Le molecole segnale fosforilate sono “attive” e fungono da secondo messaggero, provocando risposte biologiche intracellulari specifiche per il tipo di cellula bersaglio coinvolta: l’ attivazione delle kinasi, la stimolazione dell’attività adenilato-ciclasica con produzione di cAMP e la mobilitazione del calcio intracellulare.
Sembra che anche questi recettori possano avere un meccanismo “genomico”, con la
regolazione dell’espressione di alcuni geni.
Le cellule umane esprimono variamente i tre tipi di recettori ERa, ERb, GPER1, sia
singolarmente che in compresenza.
I complessi ormone-recettore producono una risposta biologica specifica, a volte in
combinazione tra loro, spesso in opposizione, a seconda del contesto cellulare e della
presenza di altri cofattori, e regolano reciprocamente l’espressione genica.
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Differenze biologiche tra i due sessi
Senescenza
La senescenza è basata su continui rimodellamenti nell’omeostasi cellulare, che variano
in maniera dinamica tra due estremi: robustezza e fragilità.
Tali rimodellamenti risultano progressivamente meno efficaci con l’età e quando falliscono innescano un processo di morte cellulare programmata.
I principali meccanismi di rimodellamento sono volti al mantenimento della stabilità genetica (promossa fondamentalmente attraverso la replicazione programmata del DNA
in ripetizioni telomeriche) ed all’attivazione dei meccanismi enzimatici di riparazione
del genoma, per neutralizzare l’accumulo di danni ai vari livelli dell’organizzazione
biologica.
Il rimodellamento è inoltre sostenuto dalla risposta integrata immunitaria e neuro-endocrina agli agenti stressogeni, dal controllo di eccessivi segnali mitogenici e genotossici,
e dal controllo mitocondriale della formazione di specie reattive (ROS).
I meccanismi di rimodellamento sono maggiormente efficaci nelle cellule femminili,
che vanno incontro a cambiamenti continui ed evolvono verso la senescenza, mentre le cellule maschili hanno un comportamento stereotipato, difficilmente modificabile
ed adattabile all’ambiente.
Pertanto, se sottoposte a stress ambientale, le cellule femminili si adattano meglio
rispetto a quelle maschili e sopravvivono più a lungo, invecchiando.
Morte cellulare
Esiste un meccanismo preferenziale di morte cellulare differenziato per genere.
Le cellule maschili, sotto stress ambientale e farmacologico ripetuti, non riescono ad
adattarsi ed evolvono verso la morte programmata : apoptosi.
L’apoptosi procede attraverso una complessa reazione proteolitica a cascata, ad opera
soprattutto di specifiche proteasi: le caspasi, che smantellano rapidamente i propri
componenti, con propagazione successiva “ad onda”, permettendone la digestione rapida da parte degli enzimi lisosomiali (catepsine) di un’altra cellula limitrofa.
L’azione proteolitica, mediata da kinasi, viene innescata dall’interazione tra specifici “ligandi extracellulari” ed i “recettori di morte” espressi sulla superficie cellulare stessa.
L’apoptosi ha una regolazione molto complessa, sia per quanto riguarda i segnali
extracellulari che la innescano, sia per la presenza di una lunga serie di proteine
intracellulari che la promuovono (Bcl2) o inibiscono (IAP), sia per il controllo da parte
di geni specifici deputati alla modulazione del processo di morte cellulare, quali la
famiglia dei geni Forkhead.
La cellula femminile danneggiata, invece, ha maggiore plasticità ed è più parsimoniosa: non programma la propria morte, ma sceglie l’autofagia, per cui inizia a digerire
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
i propri organuli danneggiati e a riciclarne le proteine per ricavare materiale nutritivo.
Il processo inizia racchiudendo l’organulo in membrane, creando un autofagosoma,
che si fonde poi con un lisosoma, ove vengono degradate grazie ad idrolasi lisosomali
provenienti dal reticolo del Golgi mediante vescicole di trasporto.
Solamente quando tutte le risorse sono esaurite, la cellula muore .
L “autocannibalismo” rappresenta un’efficace strategia di sopravvivenza femminile, in
alternativa al “suicidio programmato” maschile.
Meccanismi elettrici
I canali ionici sono dei “pori idrofilici” posti nello spessore del doppio strato lipidico delle
membrane cellulari, che permettono a ioni inorganici di dimensioni e cariche appropriate di attraversare la membrana lungo i loro gradienti elettrochimici, a velocità circa 10
volte superiori a quelle raggiunte da tutti gli altri trasportatori.
Ogni canale consente il passaggio di un solo tipo di ione, grazie alla specificità geneticamente determinata delle proteine che lo costituiscono.
I canali sono chiusi da un “cancello” e solitamente si aprono in risposta a perturbamenti specifici di membrana quali: il cambiamento del potenziale di membrana,
oppure l’attacco di un ligando, oppure uno stress meccanico.
Nel primo caso si parla di canali cationici voltaici (canale Na, canale K, canale Ca), nel
secondo di canali ionici regolati dai neurotrasmettitori (canale Na ad Ach, canale Na a
serotonina, canale Cl-K a glicina, canale Cl-K a GABA, canale Ca a glutammato) nel
terzo di canali ionici regolati meccanicamente.
I canali voltaici recepiscono direttamente la depolarizzazione di membrana attraverso
flussi elettrici rapidi e specifici di Na e generano a loro volta il potenziale d’azione,
in un processo di auto-amplificazione.
Per impedire lo “spasmo cellulare”, i canali del Na si inattivano spontaneamente, ma
soprattutto si aprono i canali del K, che ripolarizzano la membrana riportandola rapidamente al suo potenziale negativo.
I canali ligando-dipendenti, invece, recepiscono un segnale chimico grazie al legame recettoriale con un neurotrasmettitore rilasciato per esocitosi dalla depolarizzazione
della membrana pre-sinaptica e lo convertono in segnale elettrico, mediante un flusso
ionico promosso “direttamente”, oppure tramite l’attivazione o l’inibizione proteinaGmediata dell’adenilato ciclasi.
Alcuni neurotrasmettitori (Ach Serot) sono eccitatori: aprono canali Na, con depolarizzazione della membrana post-sinaptica, ed avvio del potenziale d’azione.
Altri (GABA, Glic) sono inibitori: aprono i canali K e Cl e mantengono polarizzata la
membrana post-sinaptica, sopprimendo il potenziale d’azione.
Il Glutammato ha un comportamento particolare: apre i canali ionici Ca e depolarizza
la membrana post-sinaptica, con significato eccitatorio ed avvio del potenziale d’azione. Tuttavia, una sottoclasse di tali canali altamente permeabili al calcio (detti canali
recettori di NMDA) produce una breve raffica di PSP ripetuti e successivi, che provocano in alcuni tipi di sinapsi un potenziale a lungo termine (LTP) ed un segnale retrogrado.
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
I canali ionici sono dunque strutture altamente specializzate che consentono la comunicazione tra le cellule.
Gli estrogeni promuovono attivamente l’ apertura specifica dei Canali del K (Cadipendenti ed ATP-sensibili) con aumento dell’effetto polarizzante di membrana.
La cellula femminile possiede dunque meccanismi più efficaci di “salvataggio dallo
spasmo” rispetto a quella maschile, quando viene stimolata ripetutamente una risposta elettrica eccitatoria.
Funzione mitocondriale
Il mitocondrio è l’organulo intra-citoplasmatico che permette l’utilizzo dell’ossigeno a
livello cellulare e dove si produce più del 90% dell’energia utilizzata dal nostro organismo, grazie ad un complicato meccanismo di “accoppiamento chemio-osmotico”.
Nella matrice mitocondriale avviene la maggior parte delle reazioni di ossidazione cellulare che degradano le catene carboniose dei carboidrati e degli acidi grassi ad anidride
carbonica, generando NADH e FADH .
Queste molecole cedono elettroni alle proteine trasportatrici presenti nei quattro complessi della catena respiratoria, creando il gradiente protonico necessario sia alla
respirazione e sia all’innesco della fosforilazione ossidativa dell’ADP da parte del V
complesso (ATP sintetasi) .
Le subunità proteiche dei complessi, così come le molecole indispensabili alla loro
biosintesi, sono codificate dai geni presenti sul DNA circolare mitocondriale.
Le disfunzioni mitocondriali sono dovute sia ad alterazioni genetiche parziali del mtDNA,
con anomalie strutturali della catena respiratoria e diminuita capacità cellulare ad utilizzare l’ossigeno, sia ad un difetto dell’attività enzimatica a vari livelli, con diminuita
produzione finale di ATP.
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Le femmine sono meno vulnerabili alle disfunzioni mitocondriali in quanto gli estrogeni
modulano positivamente l’espressione genica e l’attività di alcuni enzimi coinvolti nel
ciclo ossidativo di Krebs (citrato-sintasi) e del complesso IV della catena respiratoria
(citocromo c ossidasi).
Risposta allo stress ossidativo
Durante la respirazione, vengono prodotte alcune specie ossigeno reattive (ROS) ad
opera delle ossidasi, fra cui la NADPH-ossidasi, la xantino-ossidasi, delle lipossigenasi,
delle ciclossigenasi, del citocromo P450, della nitrossido-sintetasi ed anche del disaccoppiamento della catena respiratoria.
Il mitocondrio ha la capacità di neutralizzare i radicali liberi ad opera di enzimi anti-ossidanti (super ossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi, paraossonasi) che
catalizzano l’ossidazione di particolari molecole-substrato, il glutatione ridotto in primis,
utilizzando i protoni ricavati per ridurre le specie ossigeno-reattive.
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
Le femmine sono meno vulnerabili allo stress ossidativo rispetto ai maschi, in quanto
gli estrogeni aumentano l’attività enzimatica degli enzimi anti-ossidanti, diminuendo la
presenza di ROS intra-cellulari.
Inoltre, gli estrogeni modulano l’espressione di alcuni fattori nucleari che controllano la
biogenesi di nuovi mitocondri, che sostituiscono quelli danneggiati.
Citocromi epatici
Il citocromo P-450 è una superfamiglia di isoenzimi epatici che, trasferendo elettroni,
catalizzano l’ossidazione di molti composti di origine endogena e delle molecole farmacologiche.
Ogni singolo citocromo viene contrassegnato da una sigla, composta dal suffisso CYP,
seguito dal numero della famiglia, dalla lettera che indica la sottofamiglia, e dal numero
che indica il gene specifico.
La specificità genetica rende ragione della diversa sensibilità allo stesso farmaco da
parte di pazienti diversi, sia in termini di dosaggio e di efficacia della molecola , sia per
la differente sensibilità agli inibitori o agli induttori, responsabili delle reazioni avverse.
Esiste un “profilo” di genere degli isoenzimi epatici, responsabile di una clearance genere-specifica dei farmaci.
E’ prevalentemente “femminile” la distribuzione di CYP3A4 e P-SP, mentre i maschi
prediligono CYP2D6, CYP1A2 e CYP2E1.
Nessuna differenza per quanto riguarda CYP2C19.
Produzione neuro-ormonale
E’ stato dimostrato che, a livello centrale, l’attivazione del complesso ormone steroideo-recettore dei neuroni ipotalamici e limbici deputati alla regolazione di molteplici
neurotrasmettitori e neuropeptidi esercita un effetto genere-specifico sulla trascrizione
neuro-ormonale.
La stimolazione estrogenica pare correlata ad una diminuzione della produzione di Acetilcolina, di Serotonina (gli uomini ne producono il 52% in più delle donne), di Noradrenalina; viceversa determina un aumento di Dopamina, di B-endorfine, di Melatonina,
di CRF, di NPY e di Galantina.
Anche perifericamente sono state osservate differenze di genere nella risposta neuroormonale all’ambiente: per esempio, la donna sotto stress produce una quantità di
cortisolo superiore rispetto all’uomo.
Dimensioni corporee ed organiche
Da un punto di vista antropometrico, la donna è in media di statura inferiore rispetto
all’uomo.
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Proporzionalmente, il rapporto tronco/arti inferiori è maggiore nella donna, gli arti superiori risultano più corti, con leve ridotte.
Anche gli organi femminili sono in media più piccoli e pesano di meno rispetto ai corrispettivi maschili.
Densità e reclutamento cellulare
Alcuni organi possiedono “aree funzionali” dotate di un numero di cellule più elevato in un sesso piuttosto che nell’altro.
Inoltre, donne e uomini utilizzano in alcuni casi aree funzionali diverse per espletare
una stessa funzione.
Per esempio, in risposta allo stress psicologico le donne attivano aree funzionali limbiche, mentre nell’uomo è coinvolta la corteccia pre-frontale dx.
Analogamente, per orientarsi le donne utilizzano la corteccia parietale e pre-frontale
dx, l’uomo invece l’ ippocampo sn.
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
- fibroblasti
cardiomiociti → soprattutto ERs
Pertanto, si può parlare di un dismorfismo fenotipico ormono-mediato dell’apparato cardiovascolare femminile, rispetto a quello maschile, che si manifesta macroscopicamente in alcune peculiarità anatomiche. Le coronarie della donna sono più piccole e tortuose, il volume medio del cuore risulta inferiore (650cc vs 800cc) le cavità cardiache
più ridotte, le fibre muscolari più piccole.
Tutto ciò si traduce in parametri funzionali inferiori rispetto all’uomo, per quanto riguarda la portata cardiaca massima, la capacità anaerobica, la forza muscolare massima
estrinsecabile.
Ma il dimorfismo si rende particolarmente interessante soprattutto a livello “cellulare”,
gettando le basi di una vera e propria “fisiologia cardiovascolare femminile”.
L’interazione con i recettori estrogenici produce effetti diretti ed indiretti sulle cellule:
Composizione della massa corporea
La composizione della massa corporea presenta differenze genere-specifiche: la donna possiede maggiore massa grassa rispetto all’uomo (25% vs 15%), minor massa
muscolare (36% vs 45%), percentuale più elevata di tessuto osseo pro chilo di peso.
Questo profilo determina fondamentalmente una performance fisica di circa 10% in
meno rispetto a quella dell’uomo.
Dimorfismo anatomo-funzionale di tessuto/organo/apparato
Gli steroidi tracciano il profilo di una peculiare FISIOLOGIA SESSO-GENERE SPECIFICA, determinando peculiarità di genere nel funzionamento dei diversi organi
bersaglio.
La femminilizzazione dei tessuti embrionali è proporzionale sia alla densità dei recettori steroidei nelle diverse cellule bersaglio (risposta cito-specifica), sia al pattern recettoriale presente (risposta ER-specifica), sia all’affinità recettoriale a precisi segnali
ormonali (risposta ormono-specifica). Ci sono pertanto: tessuti ed organi maggiormente
responsivi agli steroidi, effetti biologici diversi a seconda del tipo di recettori attivati, e
molecole ormonali a differente impatto sullo stesso tessuto.
La specificità biologica femminile nell’apparato cardiovascolare
L’apparato cardiovascolare è particolarmente responsivo all’azione degli estrogeni, grazie alla dimostrata e consistente presenza di tutti e tre i tipi di recettori agli estrogeni
(ERalfa, ERbeta, GPER) nelle seguenti cellule:
- endotelio
cellule muscolari lisce vasali (MSC) → soprattutto GPER
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EFFETTI CELLULARI DIRETTI DEGLI ESTROGENI
Anoikis resistance
Diversa espressione dei canali ionici
Mantenimento della ottimale “funzione endoteliale”
Anoikis resistance
Il citoscheletro conferisce forma, polarità ed adesività alla cellula, pertanto rappresenta
un bersaglio appetibile per le ROS che, danneggiandolo, possono indurre il distacco
cellulare ed un particolare tipo di apoptosi (anoikia) risultante dalla perdita o dall’inadeguatezza dell’adesione cellulare.
Anoikis resistance è la maggiore resistenza dei cardiomiociti e delle cellule muscolari
lisce femminili all’anoikia da stress ossidativo.
Tale resistenza è motivata dal fatto che la cellula muscolare liscia femminile non
solo mostra un notevole incremento dell’attività autofagica adattativa, ma possiede un
fenotipo “più adesivo” rispetto a quello maschile, in quanto il suo citoscheletro è meglio
organizzato nei filamenti di actina .
Inoltre, le chinasi di adesione focale (FAK) che traducono il “segnale adesivo” veicolato
dalle integrine, presentano livelli aumentati della forma attiva fosforilata.
Il fenomeno dell’anoikia, laddove presente, deve essere compensato da un corretto
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recupero cellulare: nella femmina si verifica il processo di “homing riparativa”, per cui i
mioblasti sono in grado di ripopolare le aree di distacco cellulare, prendendo contatti con
miociti limitrofi ed avviando la differenziazione cellulare irreversibile in cellule muscolari
specializzate.
Diversa espressione dei canali ionici
Nel cuore, la genesi del battito cardiaco consta di due fasi: l’apertura dei canali del Na,
che promuove depolarizzazione di membrana ed avvia il battito, e l’apertura dei canali
del K, che polarizzano la membrana e riportano il cuore in condizioni di riposo. Gli estrogeni inducono una maggiore efficacia nella corrente di potassio, con durata “corretta”
dell’intervallo QT (inferiore a 460 msec) e dunque ritmo cardiaco regolare.
Il potenziamento estrogeno-dipendente della polarizzazione indotta dai canali ionici del K
assume un ruolo interessante anche nelle cellule muscolari lisce vasali, dove tale meccanismo è coinvolto nel rilassamento del tono arterioso promosso dal fattore iperpolarizzante.
Mantenimento dell’ottimale funzione endoteliale
L’endotelio vascolare è un tessuto altamente attivo che può essere definito “PARACRINO” in quanto, attraverso la produzione e la secrezione di numerose sostanze, modula funzioni metaboliche specifiche, le quali producono un profilo fisiologico peculiare: la
“funzione endoteliale”, mantenuta a regime ottimale dagli estrogeni circolanti.
ENDOTELIO
FATTORE IPERPOLARIZZANTE
(EPDH) !!
PROSTACICLINA (PGI2) !!
OSSIDO NITRICO
ENDOTELINA 1
trombossano A2
prostaglandina A2
PAF
ione superossido
enzima di conversione dell’angiotensina
eparan solfato
proteina S
fattore Von Willebrant
inibitore dell’attivitore del plasminogeno
lipoproteinlipasi
citochine
fattori di crescita
molecole adesive
FUNZIONE ENDOTELIALE
regolazione ottimale del microcircolo → vasodilatazione!
maggiore rimodellamento vascolare → angiogenesi
meccanismi anti-aterogeni
→ antinfiammatori
→ anticoagulanti
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
La funzione endoteliale riguarda fondamentalmente la regolazione del microcircolo,
attraverso il controllo del tono muscolare liscio e della permeabilità vascolare, che
conduce alla vasodilatazione.
Tale effetto è prodotto grazie all’azione metabolica del fattore iperpolarizzante endotelio-derivato, della prostaciclina, dell’ossido nitrico e della endotelina 1, che promuovono il rilassamento delle cellule muscolari lisce vascolari secondo modalità
specifiche .
Il fattore iperpolarizzante endotelio-derivato comprende una serie di segnali, elettrici
o chimici, rilasciati o sintetizzati dall’ iperpolarizzazione della membrana endoteliale
la quale si propaga rapidamente alla membrana della cellula muscolare liscia attigua
tramite gap junctions mioendoteliali formate da connexine.
Si è molto indagato sulla natura di tali segnali: pare coinvolto il citocromo P450, alcuni
metaboliti dell’acido arachidonico, i canali al K, il perossido d’idrogeno ed il peptide
natriuretico C.
La prostaciclina, metabolita dell’acido arachidonico, agisce riducendo la quantità di
ioni calcio intracellulari della miocellula, attivando il sistema dell’adenilato-ciclasi /
kinasi A.
L’ossido nitrico è sintetizzato a partire dalla L-arginina ad opera dell’enzima NOS II
(ossido nitrico sintasi endoteliale) attivato dal complesso Ca-Calmodulina.
Una volta rilasciato dall’endotelio, anche l’ossido nitrico promuove la riduzione del
calcio intracellulare della cellula muscolare liscia, ma ciò avviene grazie all’attivazione
del sistema guanilato-ciclasi / kinasi G.
E’ importante osservare che la vasodilatazione indotta dai metaboliti endoteliali è maggiore nella donna rispetto all’uomo solamente in arterie con diametro interno <200 micron, mentre nelle grosse arterie non è evidente alcuna differente fisiologia endoteliale
di genere.
Inoltre, nella femmina il fattore iperpolarizzante rappresenta la principale sostanza
vasodilatante, seguito dalla prostaciclina, mentre l’ossido nitrico prevale nettamente
nell’endotelio maschile.
Un ulteriore differenza di genere è riscontrabile nei meccanismi di controllo del tono vascolare di cui sono protagoniste le endoteline, peptidi prodotti nel citoplasma dell’endotelio attraverso una cascata di precursori intermedi.
Gli estrogeni riducono l’espressione del gene dell’endotelina, rendendo questa sostanza poco disponibile nell’endotelio femminile.
Inoltre, l’endotelina1 esercita classicamente un potente effetto vasocostrittore, tramite
l’interazione con il recettore A, localizzato sulla membrana della miocellula liscia ed
associato ad una proteina G di membrana. Nella donna, pare che il recettore prevalente delle endoteline è quello di tipo B, la cui interazione con il ligando promuove
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indirettamente la vasodilatazione, attraverso la produzione intermedia di prostacicline
ed ossido nitrico.
Il rimodellamento vasale è un fenomeno fisiologico che prevede la continua proliferazione e differenziazione delle cellule muscolari lisce, in cui sono coinvolte diverse
molecole segnale, tra cui i ROS a basse concentrazioni ed i fattori di crescita.
La struttura della parete arteriosa è elastica, compliante, grazie alla prevalenza di elastina rispetto alle proteine della matrice extracellulare, collagene e fibronectina.
L’endotelio integro e funzionale non va incontro a quei processi microinfiammatori diffusi, sostenuti fondamentalmente da citochine e da fattori chemiotattici, che innescano il
processo di aterosclerosi precoce.
Gli estrogeni esercitano il loro effetto anti-aterogeno locale su base antinfiammatoria.
L’effetto diretto estrogenico sull’apparato cardiovascolare viene poi sostenuto ed amplificato dall’influenza che gli steroidi esercitano sugli altri distretti dell’organismo, concorrendo a determinare un profilo fisiologico cardiovascolare di genere.
EFFETTI INDIRETTI DEGLI ESTROGENI
 emostasi
Effetto protrombotico ( > Fibr, FPA, Fatt.VI, Fatt.X < ATIII, Prot.S, Attivatore Plasm)
Diminuita attivazione piastrinica ( diminuita selectina P dagli alfa granuli)
 modulazione del metabolismo
(< Col,LDL,APOA1, APOB,Trigl, Omocist , Insulina > HDL, sensib Insul, utilizzo glucosio)
 risposta al carico pressorio
(anche metabolica: ossidazione glucosio ed acidi grassi)
 risposta all’aumento di volume
 massa grassa e massa magra
 diversa risposta presso ria
down regulation del sistema renina-angiotensina-aldosterone
> rilevanza del sistema nervoso autonomo
 Ciclico aumento peri-mestruale dell’ematocrito e delle resistenze periferiche
Il dismorfismo anatomo-funzionale operato dall’interazione ormono-recettore nell’endo-
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
telio, nei cardiomiociti, nelle cellule muscolari lisce vasali e nei fibroblasti si traduce
complessivamente in una maggiore protezione dell’apparato cardiovascolare femminile ai meccanismi patogenetici della malattia cardiovascolare rispetto al maschio.
Purtroppo, tale vantaggio è limitato soltanto all’età fertile, dal momento che la cessazione dell’attività gonadica post-menopausale ha come immediata conseguenza la
carenza estrogenica e la perdita degli effetti positivi diretti ed indiretti ormono-mediati.
Il risultato non è semplicemente una “minore protezione” , bensì una possibile “aumentata affezione”, in quanto le variazioni funzionali che si instaurano progressivamente
durante il climaterio possono fungere da substrato biologico per l’insorgenza della malattia cardiovascolare.
Il genere femminile può dunque essere incluso, a giusta ragione, tra i “fattori di rischio”
da tenere in considerazione per la corretta valutazione della paziente donna in postmenopausa.
------------------------Effetti della carenza estrogenica post-menopausale
sulla fisiologia cardiovascolare
La cessazione dell’attività gonadica comporta nella donna la comparsa di un nuovo pattern fisiologico assimilabile a quello presente nella sindrome dismetabolica, che funge
da “corollario” alle modificazioni dirette indotte dalla carenza estrogenica sull’apparato
cardiovascolare.
Si instaura un profilo lipidico “aterogeno”, caratterizzato da ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, aumento delle LDL, della lipoproteina a, di APOA ed APOB, lieve calo
delle HDL. Per quanto concerne i glicidi, aumenta il rischio diabetogeno per intolleranza
glucidica, diminuisce la produzione di insulina ed aumentano le resistenze periferiche
all’insulina.
Si verifica una tendenza all’aumento della pressione arteriosa, per aumento della pressione differenziale ed aumento dell’attività del sistema renina/angiotensina, e disturbi
dell’emostasi di tipo pro-trombotico, con iperfibrinogenemia, aumento del fattore VII e
dell’aggregazione piastrinica.
La letteratura ha recentemente focalizzato l’attenzione sul “grasso addominale”, cioè
sull’adiposità viscerale distribuita a livello del peritoneo e delle strutture connettivali
intraddominali (e non dunque in sede ipodermica o intra-muscolare) che determina
una forma del corpo tipicamente maschile, androgenica.
La pericolosità del grasso addominale è legata soprattutto alla sua funzione paracrina
ed endocrina, mediata da specifiche adipochine, peptici bioattivi rilasciati dagli adipociti bianchi ed implicati non soltanto nel controllo dell’appetito, del peso corporeo
e del bilancio energetico, ma in parecchie funzioni dell’organismo (immunità, angiogenesi, riproduzione, flogosi, metabolismo).
Le principali adipochine sono: l’adiponectina, la leptina, la resistina, l’interleukina-6,
il TNFalfa, la visfatina, il PAI-1, ASP.
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
telio-dipendente e la prostaciclina.
EFFETTI CELLULARI DIRETTI
DELLA CARENZA ESTROGENICA
 Diminuzione dell’attività antiossidante
 Diversa espressione dei canali ionici
( allungamento dell’intervallo QT)
 Disfunzione diastolica
 “Disfunzione endoteliale”
Disregolazione del microcircolo → vasocostrizione
Gli elevati livelli di ROS promossi da stress ossidativi assumono un rilievo importante
anche nelle modificazioni strutturali della parete vasale, rendendo i processi riparativi di
rimodellamento vasale meno efficaci poichè inducono l’espressione delle molecole
di adesione e reazioni di perossidazione lipidica.
Promuovono inoltre una sorta di “rigidità di parete” a ridotta compliance, poiché stimolano l’ipertrofia e l’iperplasia cellulare, aumentano la deposizione di fibronectina
e di collagene, e riducono la componente elastinica degradandola ad opera di metalloproteinasi MMP9.
Infine, programmano l’apoptosi delle cellule endoteliali e dei miociti.
Prende avvio un importante meccanismo infiammatorio di parete, cui concorrono
diversi meccanismi fisiopatologici: l’espressione delle molecole di adesione vascolare,
la liberazione di citochine, di fattori chemiotattici.
Minore rimodellamento vascolare
Meccanismo aterogeno
- pro-infiammatorio
- pro-coagulativo
La disfunzione endoteliale si esprime infine con lo sbilanciamento emostatico in senso pro-coagulante.
Si verifica un aumento del fibrinogeno, del fattore VII della coagulazione, della selectina
E liberata dagli alfa-granuli, ad effetto stimolante l’aggregazione piastrinica.
-------------------------
La disfunzione endoteliale rappresenta il substrato fisiopatologico della specificità
biologica femminile in post-menopausa.
Il meccanismo principale attraverso il quale la carenza estrogenica produce la “disfunzione endoteliale” è l’aumento incontrollato dei livelli delle specie ossigeno-reattive
(ROS), che innescano un vero e proprio processo “infiammatorio” diffuso .
Poiché la maggiore formazione di ROS avviene al interno dei mitocondri, risulta evidente il ruolo fondamentale di questi organuli nel destino cellulare, specie a livello
cardiovascolare, per la particolare densità mitocondriale intorno ai microtubuli, cui va
indirizzata l’energia prodotta dalla catena respiratoria.
Si verifica una disregolazione del microcircolo, per la prevalenza di meccanismi enzimatici regolatori del tono vascolare che promuovono la vasocostrizione.
La carenza estrogenica porta ad una diminuzione dell’attività della NOS II (ossido nitrico sintasi endoteliale), con riduzione della biosintesi dell’ ossido nitrico: il calcio intracellulare rimane nel citoplasma della cellula muscolare liscia, che si contrae.
Inoltre, aumenta l’espressione del gene dell’endotelina1, che esercita un potente effetto
vasocostrittore, tramite l’interazione con il recettore A, localizzato sulla membrana
della miocellula liscia ed associato ad una proteina G di membrana.
Infine, si riduce l’attività dei fisiologici segnali vasodilatanti: il fattore polarizzante endo-
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La menopausa non può essere definita una malattia, eppure i meccanismi neurofisiologici ad essa sottesi provocano una perturbazione che può alterare, a volte
profondamente, la qualità di vita.
Le conseguenze vanno valutate tenendo conto di due osservazioni fondamentali.
Innanzitutto, il miglioramento dello stile di vita, del lavoro, l’avvento di nuove terapie
hanno allungato l’aspettativa di vita (nella donna 82,5 anni), mentre il momento di
insorgenza della menopausa non si è modificato, come è accaduto per la pubertà.
Dunque un numero sempre crescente di donne si trova a vivere quasi 1/3 della
propria vita in una condizione di ipoestrinismo.
Inoltre, il panorama che ci si offre per le cinquantenni di oggi è sostanzialmente
diverso da quello di poche generazioni addietro: allora la menopausa segnava
l’inizio dell’invecchiamento, e comunque con penalizzazione dei ruoli; mentre oggi
le donne sono ancora efficienti da un punto di vista fisico, intellettuale, affettivo,
inserite in un contesto socio-familiare e professionale in cui svolgono ruoli attivi,
con aspettative ancora lunghe di conservarli.
E’ dunque legittimo prendere in considerazione l’adozione di comportamenti terapeutici tesi a preservare a lungo la buona qualità di vita femminile.
Legittimo….ma arduo!!!
L’osservazione e la rilevazione di sintomi e di segni semeiotici o di laboratorio risulta ancora parzialmente inadeguata per riconoscere e classificare il profilo corretto
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degli stati patologici della donna, ed ancora insufficiente per esprimere il benessere
completo e la percezione individuale di esso.
Non è sempre facile, per il medico, trasferire i bilanci che la scienza opera al microscopio o a tavolino direttamente sulle scelte personali della paziente, integrando
i dati clinici con il suo vissuto personale.
Le nuove conoscenze nella medicina di genere potrebbero fornire al medico una splendida opportunità per addentrarsi con passo più sicuro nella complessità femminile.
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
LA PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE NELLA DONNA,
AGGIORNAMENTI NELLA DIAGNOSI PREVENZIONE E TERAPIA
Epidemiologia e fattori di rischio
Da anni si persegue per la donna una capillare campagna di sensibilizzazione e prevenzione nei confronti delle patologie tumorali degli organi riproduttivi, dimenticando
che i dati statistici americani ed europei indicano nelle malattie cardiovascolari la prima
causa di morte nella popolazione femminile ( ben il 43,8%, contro il 24,3% di decessi
indotti da tumore). Un interessamento al femminile che supera quello maschile (43,8%
nelle donne versus 33,4% negli uomini), con predominanza di stroke nelle donne over
75 aa e di coronaropatia nelle donne più giovani.
I dati italiani sono sovrapponibili a quelli internazionali riferiti solitamente alla popolazione caucasica ma presentano ugual rilevanza, anche se diversa incidenza, nella
popolazione nera ed asiatica.
Il sempre maggior “invecchiamento” della popolazione femminile induce a riflettere
sull’importanza che deve essere data alla conoscenza, coscienza e prevenzione della
patologia cardiovascolare, anche come valore socio-economico.
La donna presenta delle peculiarità cardiovascolari non solo sesso dipendenti
ma anche età dipendenti. Infatti l’incidenza di comparsa di patologie cardiovascolari è inferiore rispetto all’uomo durante
l’età fertile, va ad eguagliare l’uomo con
la menopausa, fino a superarlo dopo i 75
anni, questo in virtù delle modifiche endocrino-metaboliche dovute alla perdita
della protezione estrogenica.
Inoltre, in tutte le fasce d’età la mortalità per eventi coronarici è superiore nelle donne
rispetto agli uomini, addirittura superiore nelle donne colpite da IMA prima dei 50 aa.
Quindi le giovani donne presentano minori probabilità di ammalarsi, ma maggiore mortalità e complicanze in caso di insorgenza della patologia ischemica.
L’errata consapevolezza dell’incidenza delle malattie cardiovascolari nelle donne è il
peggior nemico della donna stessa. Per fare una corretta informazione e prevenzione
bisogna migliorare il rapporto consequenziale fra ricerca, linee guida e divulgazione.
A tutt’oggi non vi sono studi multicentrici indirizzati esclusivamente alla popolazione
femminile; percentualmente il numero di uomini reclutati è sempre superiore a quello
delle donne; i trials spesso non suddividono i risultati in funzione dell’appartenenza al
sesso maschile o femminile.
Le prime linee guida specificatamente per la donna sono state pubblicate solo nel 1999
e negli ultimi 10 anni sono usciti:
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
___________________________________________________________________
Rischio basso:
1. nessun fattore di rischio, rischio calcolato con la carta o il punteggio del
«Progetto Cuore» dell’Istituto Superiore della Sanità <10%, stile di vita sano.
Quelle cui faremo riferimento sono le linee guida del 2007; nel 2009 è uscita solo una
loro review.
Le linee guida dell’AHA del 2007 hanno introdotto il concetto di rischio globale assoluto ed individuato tre fasce di rischio sulla base dei rilievi anamnestici e laboratoristici
distinguendo un rischio elevato o molto elevato, medio, basso.
_____________________________________________________________________
Rischio elevato o molto elevato:
1. coronaropatia nota;
2. malattia cerebrovascolare o vascolare periferica;
3. aneurisma aorta addominale;
4. uremia terminale o nefropatia cronica;
5. diabete;
6. rischio calcolato con la carta o il punteggio del «Progetto Cuore» dell’Istituto
Superiore della Sanità ≥20%.
_____________________________________________________________________
Rischio medio:
1. uno o più fattori di rischio (fumo, inattività fisica, errate abitudini alimentari,
obesità, soprattutto adiposità centrale, storia di malattia cardiovascolare prima dei 55 anni in un familiare uomo e prima dei 65 anni in un familiare donna,
ipertensione, dislipidemia);
2. evidenza di malattia vascolare subclinica (per esempio calcificazioni coronariche);
3. sindrome metabolica;
4. scarsa capacità di esercizio al treadmill test e/o ridotto recupero della
frequenza cardiaca dopo sforzo.
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Come è evidente, un’elevata percentuale di popolazione rientra nel rischio medio: sarà
quindi importante individuare ed introdurre nuovi fattori di screening (omocisteina,
PCR-hs, fibrinogeno etc).
La presenza del solo diabete colloca la donna nella classe di rischio elevato.
Sono affette da diabete il 10% di donne in più rispetto agli uomini, questo in tutte le fasce d’età, e la donna diabetica presenta una maggior probabilità di sviluppare malattia
coronarica rispetto all’uomo diabetico.
Una metanalisi (Impact of diabetes on coronary artery disease in women and men: a meta-analysis of prospective
studies. Diabetes Care 2000;23:962-968.) ha confrontato il rischio relativo di morte coronarica nelle
donne diabetiche rispetto alle non diabetiche e rispetto agli uomini diabetici. È emerso
che il rischio relativo di morte coronarica è del 2,58 per la donna e di 1,85 per l’uomo.
Si annulla, pertanto, con il diabete il vantaggio femminile nei confronti della morte coronarica.
Inoltre dal 1971 al 2000 la mortalità complessiva, per cause cardiologiche e non, dell’uomo diabetico si è ridotta del 43%, mentre nelle donne non si è avuta alcuna riduzione.
Poiché il diabete rappresenta forse il principale fattore di rischio cardiovascolare nella
donna, la sua prevenzione, diagnosi e cura rivestono un ruolo fondamentale nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.
A tutt’oggi la donna diabetica è trattata in modo meno intensivo rispetto all’uomo diabetico e le donne raggiungono i target terapeutici meno frequentemente degli uomini.
Esiste anche una differenza genere specifica dei valori di glicemia a digiuno e dopo
curva da carico. Nella donna si hanno valori di glicemia a digiuno più bassi rispetto
all’uomo (valore medio 90 mg/dl versus 100 mg/dl), riducendo la possibilità di evidenziare la patologia, giacché il parametro di riferimento laboratoristico è lo stesso per
entrambi i sessi. Inoltre nella donna si ha una ridotta tolleranza ai carboidrati superiore
del 20% rispetto all’uomo.
Come il diabete colloca la donna nella classe di rischio elevato, la presenza di sindrome
metabolica colloca la donna nel rischio medio.
La Sindrome metabolica è identificata dalla presenza di una circonferenza addome
> di 94 cm per gli uomini e > di 80 cm per le donne associata ad almeno a 2 fattori di
rischio:
- l’ipertrigliceremia ( TG >150 mg/dl o trattamento ipolipidemizzante);
- basso HDL (< 40 mg/dl per gli uomini e < 50 mg/dl per le donne o trattamento
dislipidemico);
- intolleranza glucidica ( glucosio > 100 mg/dl);
- ipertensione ( PAS > 130 mmHg, PAD > 85 mmHg o terapia antiipertesiva)
Fare diagnosi di sindrome metabolica conferisce un rischio ben più elevato di quello de-
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rivante dalla semplice somma dei singoli fattori; questo perché l’asse adipociti-endotelio
controlla, tramite macrofagi attivati residenti nel tessuto adiposo l’invio di segnali infiammatori all’endotelio vascolare. L’insulto infiammatorio sbilancia l’emostasi verso lo stato
pro-trombotico predisponendo ad eventi ischemici coronarici e cerebrali. Il tessuto adiposo addominale costituisce quindi un vero organo endocrino aggiuntivo. Fare diagnosi
di sindrome metabolica consente di identificare in epoca precoce i soggetti a rischio di
sviluppare complicanze cardiovascolari in giovane età.
La sua associazione con l’insorgenza di coronaropatia è dimostrata su ampie popolazioni (170.000 individui con follow-up di 26 anni), ed il peso di questa associazione appare
ancora più rilevante nella donna, in cui determina un rischio di sviluppare diabete di 5
volte superiore, e morte cardiovascolare di 3 volte superiore rispetto all’uomo (The Metabolic
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
patie e le patologie infiammatorie.
La semplice pratica clinica ci conferma che sono affette da queste patologie più le donne che gli uomini.
Syndrome and the Impact of Diabetes on Coronary Heart Disease Mortality in Women and Men: The San Antonio Heart Study.
Ann Epidemiol 2007;17:870-877).
Le linee guida dell’AHA/07 hanno distinto i fattori di rischio in: fattori di rischio modificabili, fattori non modificabili, fattori di rischio emergenti e fattori di rischio
genere-specifici del sesso femminile.
FATTORI DI RISCHIO MODIFICABILI:
Obesità
Fumo
Dislipidemia
Ipertensione
Diabete
Frequenza cardiaca
FATTORI DI RISCHIO NON MODIFICABILI:
Età
Familiarità
Menopausa
Endocrinopatie (ovaio policistico, patologia
ipofisaria, distiroidismo, patologia surrenalica)
FATTORI DI RISCHIO EMERGENTI:
Sindrome metabolica
Patologie infiammatorie (malattie autoimmuni)
Livelli di omocisteina
FATTORI DI RISCHIO GENERE SPECIFICI:
Salute gestazionale o ginecologica (diabete gravidico ed
eclampsia)
Si aggiungono quindi, ai fattori di rischio classici, fattori specifici del sesso femminile
come la menopausa, l’ovaio policistico o la salute gestazionale.
Donne che presentano diabete o eclampsia durante la gravidanza hanno un’alta probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari a 5 anni dal termine della gravidanza, anche
se presentano risoluzione della patologia nel postpartum.
Sono indicate anche patologie che sono prevalentemente femminili come le endocrino-
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La disfunzione endoteliale, determinata da un processo microinfiammatorio diffuso, sarebbe l’elemento che accumuna queste patologie alla malattia cardiovascolare e spiega
perché tali malattie siano spesso presenti nello stesso soggetto, anche se con tempistica diversa. L’aterosclerosi è fondamentalmente una patologia infiammatoria; processi infiammatori caratterizzano tutte le fasi di formazione del trombo. I primi processi
molecolari e cellulari nell’aterogenesi sono scatenati da un danno all’endotelio vasale
con disfunzione funzionale, apoptosi e morte delle cellule endoteliali. Si instaura così
un processo infiammatorio che coinvolge diversi processi patologici, tra cui il rilascio di
citochine, di fattori chemiotattici e il richiamo di monociti, che si infiltrano nello spazio
sottoendoteliale, ove si differenziano a macrofagi.
Questi sono in grado di captare le lipoproteine ossidate e di infarcirsi di lipidi. Inoltre, vi è la proliferazione e migrazione delle
cellule muscolari lisce, la sintesi di matrice
extracellulare, la degenerazione e morte
cellulare.
È importante far emergere il concetto che i fattori di rischio, anche i più classici quali
l’obesità, il fumo, la dislipidemia, l’ipertensione etc. debbono essere considerati in fun-
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zione al sesso. Sono state, infatti, dimostrate differenze significative sull’incidenza che
hanno nella comparsa della patologia cardiovascolare nella donna rispetto all’uomo.
Ad esempio il fumo, forte predittore indipendente di malattie cardiovascolari, prima appannaggio soprattutto maschile, interessa attualmente una vasta popolazione femminile
con prospettive future di superare quella maschile.
L’associazione fumo ed estroprogestinici nella giovane donna potenzia la probabilità di
comparsa di menopausa precoce con un’azione sinergica.
Il fumo agisce sull’aterotrombosi con diversi meccanismi: oltre ad accelerare la progressione aterosclerotica, aumenta l’ossidazione delle LDL-c e riduce quella delle HDL-c;
riduce la vasodilatazione endotelio-dipendente, aumenta l’adesione intercellulare, promuove l’aggregazione piastrinica spontanea, il fibrinogeno e gli indici di infiammazione;
aumenta la possibilità di spasmo coronarico e riduce la soglia per le aritmie ventricolari.
L’utilizzo di sigarette “leggere” non riduce il rischio d’infarto miocardico.
Le donne che fumano anche meno di dieci sigarette al giorno, presentano un rischio di
morte cardiovascolare del 50% superiore rispetto alle donne non fumatrici; il rischio di
infarto miocardico nelle donne che fumano più di 35 sigarette al giorno è 10 volte più alto
delle non fumatrici. Confrontate con chi non ha mai fumato, le donne fumatrici hanno
un rischio maggiore di mortalità totale di quasi 3 volte, mentre la sospensione del fumo
porta ad una rapida riduzione del rischio cardiovascolare, riducendo del 65% il rischio di
un primo evento cardiovascolare.
In Italia il 38% delle donne in menopausa ha una colesterolemia totale uguale o superiore a 240 mg/dl, e il 35% presenta valori compresi 200 e 239 mg/dl. Il valore medio del
colesterolo HDL è 58 mg/dl, il valore medio del colesterolo LDL è 137 mg/dl. Le differenze di genere riguardano soprattutto il colesterolo HDL, che sembra essere inversamente
associato al rischio di coronaropatia nelle donne di più di quanto non sia negli uomini;
gli elevati livelli di trigliceridi aumentano il rischio relativo di malattia coronarica in modo
maggiore nelle donne rispetto agli uomini, soprattutto nelle donne anziane.
I valori pressori nel sesso femminile sono mediamente inferiori a quelli rilevati nel
sesso maschile nelle fasce di età comprese fra i 30 e i 44 anni. Tuttavia con l’avanzare
dell’età la pressione arteriosa tende ad aumentare più rapidamente nelle donne che
negli uomini, al punto che dopo i 60 anni la prevalenza di ipertensione arteriosa risulta
superiore nel sesso femminile. Le donne con ipertensione sistolica isolata presentano
un minore rischio rispetto alle donne con ipertensione sisto-diastolica; infatti l’aumento
della pressione diastolica è un indice di incremento della resistenza arteriolare sede
tipica di patologia vascolare femminile.
Risulta sempre più evidente che non tutti gli eventi cardiovascolari colpiscono individui
con fattori di rischio “classici” e che in alcuni soggetti anomalie isolate dell’emostasi e
della trombosi giocano un ruolo chiave.
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
In seguito a queste osservazioni, recentissimi studi hanno consentito di definire nuovi
fattori di rischio per la patologia aterosclerotica quali l’omocisteina, il fibrinogeno, la lipoproteina (a), gli indici di infiammazione (PCR-hs o proteina C reattiva ad alta sensibilità),
gli indici di funzione fibrinolitica (t-PA o attivatore del plasminogeno tissutale, PAI-1 o
inibitore dell’attivatore del plasminogeno).
Di questi i più indagati sono l’omocisteina e la PCR-hs che potrebbero rientrare nella
pratica clinica come markers predittivi di rischio cardiovascolare, soprattutto per meglio
definire il rischio in quella vastissima popolazione classificabile nel rischio globale intermedio.
L’omocisteina è un aminoacido con gruppo sulfidrilico derivato dalla demetilazione della metionina proveniente dalla dieta. Esiste un raro difetto ereditario del metabolismo
della metionina che induce severa iperomocisteinemia (> 100 mol/l), con aterotrombosi
precoce, morte per IMA entro i 30 aa. I possibili meccanismi sono la tossicità endoteliale, l’accelerata ossidazione delle LDL-c, la riduzione della produzione del vasodilatatore
endoteliale (EDRF), e la riduzione della vasodilatazione arteriosa flusso-mediata.
Oltre a questa patologia ereditaria rara, è frequente osservare valori di omocisteina da
lievemente a moderatamente elevati nella popolazione generale (> 15 mol/l), principalmente dovuti a carenza di acido folico nella dieta.
Altri gruppi di pazienti che presentano iperomocisteinemia sono quelli in terapia con
antagonisti dei folati, quali il metotrexate e la carbamazepina e quelli con alterato metabolismo della metionina da ipotiroidismo od insufficienza renale.
Anche se il dosaggio a digiuno dell’omocisteina totale plasmatica è sufficiente in molte
condizioni cliniche, il test più preciso è il dosaggio dei livelli di omocisteina a 2 e 6 ore
dopo carico orale di metionina (0,1 g/Kg).
Esiste una correlazione positiva tra lieve-moderata iperomocisteinemia ed aterosclerosi; valori plasmatici superiori a 15 mol/l comportano un rischio relativo da 1,5 a 2
volte superiore di patologia cardiovascolare rispetto a livelli inferiori, ma gli effetti della
implementazione con acido folico per abbassare i livelli plasmatici di omocisteina sono
incerti. Infatti mentre l’assunzione di acido folico ha prodotto una riduzione media del
25% dei livelli di omocisteina, non ha determinato effetti significativi sull’outcome vascolare nel follow-up a 5 anni.
Le molteplici condizioni che determinano l’iperomocisteinemia, la possibilità di correzione ematica con l’apporto dietetico, il riscontro che correggendo l’iperomocisteinemia
non si modifica la probabilità di insorgenza della malattia coronarica, suggerisce di non
considerare l’iperomocisteinemia come un marker predittivo, se non nei casi di valori
eccessivamente elevati indicativi di patologia genetica. Infatti a tutt’oggi l’American Heart Association e l’American College of Cardiology, non raccomandano uno ”screening”
a tappeto sulla popolazione, riservandolo solo ad alcuni gruppi di pazienti, quelli con
aterosclerosi precoce in assenza di altri fattori di rischio o con insufficienza renale cronica .
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Tabella 3. Cause di iperomocisteinemia.
__________________________________________________________________________________
Cause genetiche
Carenze nutrizionali
Folato
Vitamina B12
Vitamina B6
Patologie
Insufficienza renale
Ipotiroidismo
Neoplasie (LLA, ovaio, mammella, pancreas)
Psoriasi grave
Malattie infiammatorie intestino
Trapianto di organo
Farmaci
Antagonisti di folati (fenitoina, metotrexate, carbamazepina)
Antagonisti di vitamina B12 (teofillina, estrogeni)
Altro
Sesso maschile
Età
Menopausa
Fumo
Caffé
Alcol
Dieta vegetariana
Vita sedentaria
_________________________________________________________________________________
Il fibrinogeno plasmatico influenza l’aggregazione piastrinica e la viscosita’ ematica,
interagisce con il plasminogeno e, in combinazione con la trombina, media la via finale
della formazione del coagulo.
Da vari studi è emersa un’associazione positiva e significativa tra il fibrinogeno e il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari; in particolare si è evidenziato un rischio di
sviluppo di eventi cardiovascolari 1.8 volte superiore nei soggetti con livelli di fibrinogeno
ai valori massimi della norma rispetto ai soggetti con livelli a un terzo dei valori basali.
L’infiammazione caratterizza tutte le fasi della formazione del trombo. Durante il processo infiammatorio si ha la liberazione di diverse citochine.
Tra tutti i marcatori dell’infiammazione, la Proteina C reattiva ad alta sensibilità ( PCRhs) è quello che presenta un elevato valore predittivo, sia nell’uomo sano, sia nella
donna, di eventi ischemici cardiaci acuti ed eventi cerebrovascolari.
È prodotta dal fegato e dalle cellule muscolari lisce delle arterie coronariche in risposta
a stimoli infiammatori. Il dosaggio della PCR è direttamente proporzionale al grado di
infezione, infiammazione e necrosi presente ma non è specifico; ecco perché si è introdotta la PCR-hs.
Pazienti con livelli plasmatici di PCR-hs < 1 mg/L hanno un rischio basso; pazienti con
livelli plasmatici di PCR-hs compresi tra 1 e 3 mg/L hanno un rischio moderato ed al di
sopra ai 3 mg/L il rischio diventa elevato. Per valori >10 mg/L il test non è considerato significativo ai fini della determinazione del rischio cardiovascolare, perché probabilmente
condizionato da uno stato infiammatorio di altra origine.
La PCR ha un’emivita di 18-20 ore per cui è lo strumento ideale per un monitoraggio clinico. Poiché tra i markers d’infiammazione è quello con caratteristiche più adatte all’uso
clinico può essere utilizzato per impostare studi o per decisioni terapeutiche nella prevenzione primaria dei soggetti a rischio intermedio.
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
Pare, inoltre, che la PCR fornisca informazioni predittive ulteriori sul rischio cardiovascolare sia rispetto al profilo lipidico, che rispetto al Framingham Cardiovascular Risk Score
( in Italia le carte del rischio).
Lo studio JUPITER ha dimostrato una riduzione significativa in prevenzione primaria
degli eventi vascolari maggiori in pazienti normocolesterolemici di entrambi i sessi con
presenza di PCR-hs > 2mg/l. La riduzione del rischio si otteneva determinando un calo
della colesterolemia LDL del 50%, trigliceremia del 17%, PCR-hs del 37% e con un
incremento della colesterolemia HDL del 4%. La peculiarità di questo studio è di aver
reclutato per la prima volta un elevato numero di pazienti di sesso femminile di età >
di 60 aa, per evitare donne di età fertile, e di aver coinvolto paesi dei cinque continenti.
I dati estratti dal Third National Health and Nutrition Examination Survey dimostrano che
le donne in generale hanno valori mediamente più elevati di PCR-hs rispetto agli uomini a partire dalla pubertà. I livelli di PCR-hs variano inoltre non solo con il genere, ma
anche con l’etnia. Dal Women’s Health Study emerge infatti che la mediana dei livelli di
PCR-hs è molto più elevata fra le donne nere (2,96 mg/l) rispetto a quelle bianche (2,02
mg/l) e fra le ispaniche (2,06 mg/l) rispetto alle asiatiche (1,12 mg/l).
Aspetti anatomici e fisiopatologici
della cardiopatia ischemica nella donna.
Prendiamo in esame ora le peculiarità anatomiche, funzionali e fisiopatologiche dell’apparato cardiovascolare femminile.
Sono rosa:
- La comparsa più tardiva della malattia
- L’effetto protettivo degli estrogeni
- La perdita della protezione: la menopausa
- Le coronarie “piccole”, cuore più piccolo
- Il fenotipo morfologico di placche più “giovani” (minor quota di collagene denso)
- L’erosione di placca come substrato di trombosi
- La dissecazione coronarica
- Il balloning ventricolare sinistro (l’effetto dei fattori di rischio o “trigger” acuti)
- La patologia organica e funzionale microvascolare
- Il diverso effetto di fattori di rischio
- I sintomi (dolore toracico) atipici rispetto al profilo “tipico” maschile
- Il ritardo tra inizio sintomi ed afferenza all’osservazione (la visita dal cardiologo)
(accompagnare il marito dal cardiologo)
- Minore aggressività negli interventi di rivascolarizzazione
- Maggiore frequenza di complicanze dopo trombolisi
- Maggiore frequenza di complicanze in intervento coronarico percutaneo
- La rottura di cuore
- Maggiore frequenza di complicanze postchirurgiche in interventi di rivascolarizzazione
La comparsa più tardiva della patologia coronarica rispetto al sesso maschile viene
meno con la menopausa per la perdita dell’effetto protettivo degli estrogeni.
Anatomicamente le coronarie nella donna sono effettivamente più piccole, ma questo
non determina una discriminante con l’uomo, in quanto anche la massa muscolare è in-
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
feriore, pertanto il rapporto letto vascolare e tessuto irrorato è uguale a quello maschile.
Oltre ad essere più piccole, le coronarie sono più tortuose e più fragili, tutti fattori che
determinano un handicap in fase d’interventistica strumentale sia per eseguire un’angioplastica, che per posizionare un stent o per effettuare un bay-pass. Anche l’arteria
mammaria utilizzata per il bay-pass è di dimensioni ridotte, e i vasi venosi spesso non
sono utilizzabili nelle donne per pregresse patologie delle safene.
La presentazione anatomo-patologica della placca coronarica nella donna anziana non
si differenzia sostanzialmente da quella dell’uomo: la placca coronarica presenta un
ricco «core» lipidico, determina una restrizione/occlusione localizzata del vaso e si può
complicare con la rottura del cappuccio fibroso, provocando la sindrome clinica dell’infarto miocardico acuto (o della morte cardiaca improvvisa) per formazione trombotica.
Nella donna più giovane assistiamo, invece, ad un rimodellamento del vaso per lo più
diffuso e concentrico; la placca presenta una minore componente di collagene e la trombosi si verifica per erosione di un cappuccio fibroso più sottile e meno stabile. Un cappuccio fibroso sottile e infiltrato da macrofagi è più debole e sensibile alla rottura.
La trombosi, soprattutto nelle donne più giovani ( periodo fertile), si può verificare anche
in assenza di placca a causa del fenomeno della disfunzione endoteliale su base infiammatoria/autoimmune o dismetabolica. La disfunzione endoteliale, con conseguente
inibizione delle proprietà antiaggreganti ed anticoagulanti, è in grado da sola di promuovere l’aggregazione delle piastrine, primum movens della formazione del trombo
occludente. L’eziogenesi della coronaropatia legata alla disfunzione endoteliale spiega
l’interessamento per lo più diffuso e non localizzato nella donna e la conseguente minore possibilità di evidenziare la lesione con le metodiche di visualizzazione.
Una patologia del vaso arterioso, tipica del sesso femminile è la dissezione spontanea
dell’arteria. Questa è probabilmente associata all’effetto sulla parete vasale degli ormoni
sessuali femminili o di patologie congenite del connettivo. È gravata da elevata mortalità,
in quanto richiede per lo più un repentino intervento endovascolare di impianto di stent.
Un’altra condizione clinico-patologica peculiare della donna ( il 90% dei casi riguarda
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
pazienti di sesso femminile) è rappresentata dalla Sindrome Tako-Tsubo o «apical
ballooning». E’ detta di Tako-Tsubo perchè evidenziata per la prima volta in Giappone; il
nome è patognomonico del quadro ecocardiografico nella fase acuta, quando il ventricolo assume l’aspetto di uno strumento da pesca giapponese. Sarebbe determinata da un
abnorme spill-over di catecolamine dell’asse ortosimpatico-adrenalina, che determina
un’ischemia diffusa apicale con asistolia ed assunzione in sistole di un aspetto morfologico simile ad un vaso panciuto.
Questa è una patologia emergente ora riscontrabile anche nella popolazione caucasica
ed è caratteristica proprio delle donne, poiché risponde a determinati requisiti anatomofunzionali propri dell’albero coronarico femminile e specificamente interessa il microcircolo. Sono peculiari la causa scatenante, che si identifica spesso in un’importante connotazione emotiva, e la guarigione con «restitutio ad integrum» in un’alta percentuale
di casi.
Attualmente è dubbio se la limitata localizzazione apicale risponda alla sola patologia
vascolare o se si associ ad un quadro di miopatia e/o ad una diversa espressione distrettuale dei recettori β1 e β2. Inoltre, l’assente visualizzazione di stenosi emodinamicamente significative in fase acuta non esclude placche di modesta entità vulnerabili a
rischio ( placche con core necrotico), la cui stadiazione sarebbe auspicabile per indirizzare il trattamento nel post-acuto.
È in atto in Italia (Centro Monzino Dott. Fiorentini Cesare, atti congresso ARCA 2010) uno studio di valutazione istologica virtuale (intravascular ultrasound virtuale histology, VH-IVUS) che permette di valutare la composizione della placca nel tratto medio-basale della discendente
anteriore. La disfunzione endoteliale, oltre ad alterare l’azione paracrina versus il fronte
coagulativo, determina anche una modifica della struttura miointimale sia come proliferazione dell’intima, che come risposta vasodilatativa ossido nitrico (NO) mediata. La
Sindrome Tako-Tsubo rientra nel quadro di vasocostrizione a coronarie angiograficamente indenni ( es. Sindrome X od angina da vasospasmo).
La base della patologia vascolare nella donna è quindi la disfunzione endoteliale sia
essa da eziogenesi infiammatoria, come nelle patologie immunosoppressive, o secondaria ad un processo fisiologico come la menopausa, dove al cessare della funzione
ovarica, viene meno la concentrazione plasmatica di 17-beta estradiolo e la sua azione
protettiva sull’endotelio.
Importante sarebbe individuare anticipatamente il grado di disfunzione endoteliale in
donne che presentano probabilità di eventi ischemici. Una modalità è quella di valutare
la risposta dilatativa vascolare flusso mediata tramite misurazione doppler dell’arteria
radiale (FMD) in risposta all’aumento del flusso ematico. La presenza di disfunzione
endoteliale determina una ridotta produzione endoteliale di NO mediatore della vasodilatazione miointimale flusso dipendente.
Un’altra metodica diagnostica non invasiva che ci permette di identificare un ”aterosclerosi preclinica” è la valutazione ecocolordoppler carotidea dello spessore medio-intimale
aumentato ( normale se < 0,9 mm, aumentato tra 0,9 e 1,5 mm e se superiore a 1,5
mm identifica una placca carotidea asintomatica). L’ispessimento intimale (carotideo e/o
femorale) è indicativo di una malattia vasale che non raggiunge i criteri di criticità emodi-
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
namica e non viene conseguentemente svelata dai test provocativi classici.
Alla base del danno vascolare c’è sempre un processo infiammatorio a bassissima intensità che riscontriamo nella menopausa, nelle patologie infiammatorie, nell’ipertensione,
nel diabete e nella sindrome metabolica. Questa conoscenza ha portato a considerare
i diversi markers infiammatori (PCR ad alta sensibilità e il fibrinogeno) come indicatori
predittivi di coronaropatia sia in donne sane che portatrici di malattia aterosclerotica
manifesta. Ad esempio donne ipertese con ispessimento medio-intimale e/o placca carotidea asintomatica, presentano valori plasmatici di markers infiammatori, quali il fibrinogeno e la PCR significativamente associati all’estensione delle lesioni.
Questa base fisiopatologica comune spiega perché queste patologie tendono a presentarsi frequentemente insieme nello stesso paziente, anche se non necessariamente
nello stesso momento.
Anche in corso d’infarto il quadro femminile presenta delle peculiarità.
Nella donna la sintomatologia della cardiopatia ischemica ha spesso caratteristiche atipiche e di minor intensità:
Caratteristiche “tip­iche” dei sintomi di cardiopatia ischemica.
- Pressione, bruciore, senso di costrizione al centro del torace
- Malessere a braccia, guance, collo, mascella, stomaco e schiena
- Dispnea
- Affaticabilità, sudorazione algida, nausea, debolezza
Caratteristiche “atipiche” dei sintomi di cardiopatia ischemica.
- Dolore interscapolare, alla mascella o al collo
- Dispnea
- Sintomi simil-influenzali: nausea o vomito
- Facile affaticabilità o astenia
- Ansia, inappetenza, malessere
Per questo, spesso la patologia cardiovascolare nella donna viene riconosciuta più tardivamente e a volte accidentalmente con conseguente ritardo, non solo nell’accesso al
pronto soccorso ma anche nei tempi di latenza per l’intervento terapeutico.
Diversa è anche la manifestazione clinico-strumentale.
Nello studio GUSTO IIb, emergeva che l’incidenza di infarto con ST sopraslivellato
(STEMI) è inferiore nelle donne. È più frequente l’incidenza di sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento persistente del tratto ST (NSTEMI), a volte anche senza
movimento enzimatico.
La mortalità intraospedaliera è più elevata nelle donne, soprattutto negli infarti STEMI,
ed è legata al maggior numero di complicanze meccaniche post-infartuali, che risulta
doppio nelle donne rispetto all’uomo; tra queste: l’insufficienza mitralica acuta, lo scompenso cardiaco, il difetto del setto interventricolare, la rottura di muscolo papillare e la
rottura di cuore (collasso cardiovascolare con dissociazione elettromeccanica, persi-
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
stenza dell’attività elettrica in assenza di gittata e polso).
La terapia fibrinolitica è stata concausa dell’eccesso di mortalità intraospedaliera in
quanto legata alla maggior comparsa di emorragia intracranica nella donna trattata.
L’uso dell’angioplastica primaria ha ridotto il precedente eccesso di mortalità femminile
ed appare una tecnica ugualmente efficace nei due sessi nel ripristinare la pervietà del
vaso. Pur ricevendone un beneficio similare a quello dell’uomo, le donne hanno una minore probabilità di essere sottoposte alla rivascolarizzazione urgente, e quando lo sono,
hanno una maggiore probabilità di complicanze procedurali, soprattutto emorragiche,
in particolare quando l’impiego di device e dei farmaci non è adeguato al peso e alla
superficie corporea delle donne. E’ anche presente una limitazione prettamente meccanica dovuta alla ridotta dimensione dei vasi, alla loro tortuosità ed all’interessamento
vascolare diffuso.
L’insorgenza più tardiva della malattia e la presenza di lesioni emodinamicamente meno
significative determinano una ridotta efficacia dei meccanismi di pre-condizionamento
ischemico con una conseguente più elevata mortalità correlata all’evento acuto, soprattutto in età giovanile. L’interessamento plurivasale con stenosi non emodinamicamente
significative riduce l’istaurarsi di un circolo collaterale.
Diagnostica e prevenzione
Consideriamo ora qual è l’accuratezza diagnostica nelle donne dei test comunemente
utilizzati per la diagnosi di coronaropatia.
Per il suo basso costo e la relativa semplicità di esecuzione, il test ergometrico rappresenta il più comune test per la diagnosi di malattia coronarica.
Come dimostra una metaanalisi effettuata nel 1999 sensibilità e specificità sono minori nella donna. Questo divario fra uomo e donna aumenta se la valutazione è basata
esclusivamente sulle alterazioni del tratto ST, in quanto nella donna è più significativo il
corredo di informazioni date dai parametri correlati.
Se infatti nell’interpretazione del test ergometrico oltre, all’analisi dell’entità del sopraslivellamento o del sottoslivellamento
del tratto ST, si considerano vari parametri,
come l’andamento della pressione arteriosa durante sforzo, la capacità di esercizio,
l’incompetenza cronotropa, l’anomalo recupero della frequenza cardiaca, la sintomatologia riferita, questi elementi utilizzati
in combinazione con l’analisi elettrocardiografica ne incrementano l’accuratezza
diagnostica.
Ciò è vero in qualsiasi indagine e particolarmente nella donna. È un esame ad elevato
potere predittivo negativo ed il miglior test cui sottoporre le pazienti ad elevato rischio
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con ECG basale normale. La probabilità pre-test di malattia è alla base sia della valutazione della risposta al test provocativo, della scelta del test utilizzabile, che della scelta
terapeutica successiva. Nella donna i test provocativi hanno un potere predittivo positivo ridotto per la frequente presenza di stenosi non emodinamicamente significative.
Se il test ergometrico viene accompagnato da un esame ecocardiografico trans toracico
a riposo, si assiste ad un sostanziale incremento nella probabilità di riconoscere donne
con coronaropatia significativa.
L’accuratezza diagnostica può essere migliorata se il test ergometrico viene associato alla scintigrafia miocardica. Nella donna la tecnica nucleare presenta limitazioni
di perfusione ed interpretazione. Tra le cause di questa minore accuratezza diagnostica svolgono un ruolo importante le minori dimensioni delle camere cardiache e
l’attenuazione dell’attività miocardica da parte della mammella, soprattutto nel territorio dell’arteria discendente anteriore. Quest’ultimo problema è stato in parte superato con i traccianti tecneziati (sesta mibi) rispetto al tallio. Un’altra possibile causa della minore accuratezza dell’imaging radionuclidico da stress nella donna è la
maggior prevalenza di malattia monovasale, che diminuisce l’accuratezza diagnostica.
Se la probabilità pre-test è mediamente bassa è conveniente prediligere un test a più
alta sensibilità come la scintigrafia miocardica; se invece vi è una probabilità pre-test
elevata è opportuno orientarsi verso un test ad elevata specificità come l’eco-stress.
L’ecocardiografia da stress è l’indagine che ha la maggiore capacità nel riconoscere
la coronaropatia nella donna che presentano stenosi vascolari multiple. Evidenzia le alterazioni funzionali trans murali, espressione di lesione emodinamicamente significativa
di un vaso epicardico. Non evidenzia alterazioni del microcircolo.
La più ampia disponibilità, i costi inferiori e l’assenza di rischio radiologico costituiscono
ulteriori vantaggi della tecnica ecografica rispetto a quella nucleare.
La vera limitazione dell’ecostress è la valutazione operatore-dipendente, accentuata
dalla ancora limitata utilizzazione della procedura.
Il gold standard diagnostico è la coronarografia che nella donna presenta alcune peculiarità. Infatti, le donne hanno vasi di calibro minore, c’è una maggiore frequenza di
lesioni multiple e/o diffuse con una riduzione del calibro del vaso continua, quindi più
difficilmente interpretabile radiologicamente.
A ciò si aggiunge che nelle donne, soprattutto se giovani, le lesioni coronariche multiple
non sono trombotiche ma erosive e dissecanti e l’elemento comune è la disfunzione
vascolare.
Ricordiamoci, però, che la coronarografia ci fornisce una valutazione morfologica, mentre il test da sforzo ci dà indicazioni delle alterazioni funzionali ischemiche.
Per questo è interessante quanto è emerso dallo studio WISE (Women’s Ischemic Syndrome Evaluation). La disfunzione microvascolare è stata identificata in circa la metà
delle donne con dolore toracico ed ischemia elettrocardiograficamente documentata,
40
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
che non presentavano stenosi coronariche significative documentate all’angiografia.
Lo studio WISE ha anche dimostrato che donne con segni e sintomi di ischemia, senza
malattia coronarica ostruttiva alla coronarografia, sono a maggior rischio di eventi cardiovascolari rispetto a donne asintomatiche.
In dettaglio le donne sintomatiche con più di 4 fattori di rischio cardiovascolare presentano una probabilità di eventi a 5 anni ben del 7,9% versus il 16% delle donne sintomatiche con stenosi documentata < al 50%.
Le donne con sintomi e segni di ischemia miocardica, ma senza evidenza di patologia coronarica all’angiografia, dovrebbero quindi effettuare ulteriori approfondimenti diagnostici,
ciò spiega la remissione dei sintomi se trattate farmacologicamente come coronaropatiche.
L’angioTAC coronarica è un esame con un potere predittivo elevato quindi molto utile per escludere una patologia coronarica. Nella donna, però, presenta una sensibilità
ridotta a carico dei segmenti distali, inoltre la espone ad un alto carico di radiazioni
ionizzanti. Questa stessa motivazione limita l’utilizzo dello score del calcio coronarico
per il riconoscimento precoce dell’aterolosclerosi. Il calcio coronarico è sempre presente
in caso di coronaropatia angiograficamente significativa e la sua presenza non correla
con la severità della patologia. È un esame che ha un elevato potere predittivo negativo,
quindi un utilizzo valido per escludere la patologia in condizioni dubbie, ma con la limitazione dalla ridotta sensibilità nei segmenti distali.
Trattamento farmacologico
Le linee guida dell’AHA del 2007, revisionate nel 2009, hanno ribadito l’importanza di
correggere i fattori di rischio maggiori fino al raggiungimento dei valori ottimali in rapporto al rischio individuale, secondo questo schema :
1) stratificare il rischio valutando la storia familiare, la sintomatologia cardiovascolare,
la valutazione obiettiva (indice di massa corporea, peso, pressione) e laboratoristica ( glicemia, lipidemia);
2) intervenire sullo stile di vita con la cessazione del fumo, controllo del peso, attività
fisica regolare;
3) effettuare indagini strumentali pertinenti;
4) intervenire con terapia farmacologica idonea per correggere l’ipertensione e la
lipidemia fino al raggiungimento dei target ottimali.
Nelle linee guida proposte dall’AHA per la prima volta viene considerato lo stress emotivo il quale stimola il rilascio di catecolamine e corticosteridi, aumenta la frequenza
cardiaca, la gittata cardiaca, la pressione arteriosa, altera l’emostasi e la trombosi, aumentando la vulnerabilità all’ischemia miocardica, alla trombosi coronarica e all’infarto
miocardio.
L’intervento sui fattori di rischio maggiori riguarda la correzione della lipidemia e dell’ipertensione.
I valori di lipidemia ideali sono: CT <200 mg/dL, LDL <100 mg/dL, HDL >50 mg/dL, TG
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<150mg/dL.
Vanno perseguiti nella popolazione sia con lo stile di vita sia con il trattamento farmacologico.
Le attuali raccomandazioni terapeutiche sono le seguenti:
- in presenza di valori di LDL ≥190 mg/dL va iniziata la terapia farmacologica
indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio;
- si utilizza la terapia farmacologica in presenza di valori LDL ≥160 mg/dL se il rischio
cardiovascolare assoluto a 10 anni è inferiore al 10%;
- la terapia è raccomandata in presenza di LDL ≥130 mg/dL quando la presenza di
fattori di rischio multipli determina un rischio assoluto a 10 anni tra il 10 e 20%.
Valori “normali” secondo NCEP, National Cholesterol Educatio Program, ATP III
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI
LIVELLI DI PRESSIONE ARTERIOSA
Categoria
Ottimale Normale
Normale alta
Ipertensione di grado I (lieve)
Ipertensione di grado II (moderata)
Ipertensione di grado III (severa)
Ipertensione sistolica isolata
Sistolica (mmHg)
Diastolica (mmHg)
< 120
120 – 129
130 – 139
140 - 159
160 – 179
>180
>140
< 80
80 - 84
85 - 89
90 - 99
100 - 109
≥ 110
< 90
Colesterolo totale (CT):
<200 mg/dl.
Colesterolo LDL (LDL-C):
<160 mg/dl (in soggetti altrimenti sani);
<130 mg/dl (in soggetti con più di due fattori di rischio cardiovascolare);
<100 mg/dl (in soggetti già interessati da lesioni vascolari, diabetici o
affetti da sindrome metabolica).
Colesterolo HDL (HDL-C):
>40 mg/dl. Se alto è protettivo !
Per le pazienti a rischio elevato le indicazioni attuali, secondo le linee guida anglosassoni, propendono al raggiungimento di valori di LDL < 70 mg/dL nelle diabetiche in
prevenzione primaria e nelle pazienti in prevenzione secondaria.
I valori pressori ottimali da perseguire sono <120/80 mmHg intervenendo sullo stile di
vita con il controllo del peso, l’attività fisica aerobica regolare ( 30 min giornalieri od almeno 45 min 3 volte alla settimana), la restrizione sodica.
Per valori >140/90 mmHg si consiglia di introdurre la terapia farmacologica, terapia che
in pz diabetiche o in presenza di malattie renali deve essere impostata anche per valori
>130/80 mmHg.
L’importanza di ridurre ulteriormente il range di normalizzazione nelle ultime classificazioni e in determinate patologie è motivato dall’evidenza clinica che il rischio coronarico
e vascolare aumenta del 20% per un aumento di pressione media di 10 mmHg.
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Le linee guida dell’AHA/09 indica come trattamento iniziale delle donne ad alto rischio
l’utilizzo dei beta bloccanti e degli ACE inibitori. L’utilizzo dei Sartani (AT1 antagonisti)
viene suggerito come intervento secondario all’intolleranza agli Ace inibitori. Nelle donne la comparsa di effetti collaterali indesiderati agli ACE inibitori è più frequente rispetto
all’uomo. La terapia diuretica tiazinica è da preferire solo come aggiunta secondaria
quando necessario.
Nella donna la minor massa corporea, la più elevata percentuale di tessuto adiposo, il
diverso profilo ormonale, il diverso metabolismo epatico e legame proteico dei farmaci, la relativa riduzione della velocità di filtrazione glomerulare, sono potenzialmente in
grado di differenziare la risposta terapeutica rispetto all’uomo. Purtroppo gli studi di farmacodinamica ed efficacia terapeutica solitamente non distinguono i risultati per sesso.
La differenza di sesso non determina una differenza fisiopatologica solo in rapporto alla
presenza degli ormoni sessuali, ma è espressa da un differente metabolismo mitocondriale e produzione di radicali liberi, differente produzione di NO, di endotelina e del
sistema renina angiotensina aldosterone.
Non esistono trials farmacologici specifici per il sesso femminile. Inoltre le attuali terapie
sono più mirate al trattamento della coronaropatia ostruttiva, che alla disfunzione microvascolare, carattere prettamente femminile.
Tutti i processi che avvengono a livello del vaso possono essere un importante bersaglio
farmacologico per una terapia antiaterosclerotica che agisca direttamente sulla parete
del vaso, indipendentemente dalla correzione dei fattori di rischio.
Un’azione antiossidante potrebbe interferire con i processi ossidativi che favoriscono la
captazione dei lipidi da parte delle cellule della parete dei vasi. D’altra parte una azione
antinfiammatoria bloccherebbe la catena di processi che portano al richiamo e all’attivazione di cellule, tipo i monociti/macrofagi, che giocano un ruolo fondamentale nell’intero
processo.
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Nelle donne a parità di patologia è accertato un uso significativamente minore di aspirina, antiaggreganti, ipolipemizzanti, statine e della politerapia antiipertensiva rispetto
alla controparte maschile. Molto meno donne nel post IMA assumono beta bloccanti o
ACE inibitori pur avvalendosi come l’uomo del loro effetto sul risparmio del consumo di
O2 e sul rimodellamento. Vanno sempre utilizzati beta bloccanti ed ACE inibitori nelle
donne con pregresso infarto miocardico, evidenza clinica di insufficienza cardiaca, frazione d’eiezione ≤ 40% o con diabete mellito. Per il sesso femminile sono preferibili le
molecole che riducono lo stress ossidativo e che intervengono nel controllo del metabolismo del NO endoteliale.
Gli ACE inibitori sono in grado di migliorare la funzione endoteliale in pazienti con
malattia coronarica, riducendo i livelli di angiotensina II ed inibendo la degradazione
della bradichinina. Si ritiene che durante l’ACE-inibizione le funzioni vasodilatatrici, antimitogeniche e antitrombotiche delle cellule endoteliali possano essere potenziate dalle
azioni delle chinine vascolari. L’attivazione del sistema ACE può inoltre determinare
un’alterazione del bilancio fra fattori proliferativi endoteliali (endotelina, angiotensina II,
prostaglandina, trombossano) e fattori inibitori (NO, prostaciclina, bradichinina).
Gli ACE inibitori agiscono riducendo la disfunzione endoteliale e potenzialmente prevengono la proliferazione miointimale dopo un danno vascolare.
Questa classe di farmaci ha dato prova di osteoneutralità e possono pertanto costituire
una terapia idonea nelle donne in menopausa affette da osteoporosi. Nella donna però,
causano maggior incidenza di effetti collaterali.
L’utilizzo dei farmaci Beta bloccanti è raccomandato nella donna come nell’uomo in
prevenzione primaria ed è indiscusso presidio della prevenzione secondaria. L’incremento e il più vasto utilizzo dei beta bloccanti è sicuramente da ricondurre ai benefici
prodotti dai beta bloccanti di ultima generazione che, oltre alla riduzione della frequenza
cardiaca, della forza di contrazione miocardica e all’inibizione dei recettori b1 adrenergici a livello del rene (caratteristiche dei beta bloccanti di prima e seconda generazione),
presentano una maggiore cardioselettività ed un effetto vasodilatatorio periferico. Queste ultime due caratteristiche fanno sì che i beta bloccanti di terza generazione presentino un profilo emodinamico e di tollerabilità più vantaggioso rispetto ai beta bloccanti
“classici”.
Nella donna i beta bloccanti raggiungono un maggiore livello plasmatico determinando
una maggiore riduzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Attualmente si evidenzia l’importanza della funzione endoteliale nell’ipertensione arteriosa e
nell’insufficienza cardiaca e i vantaggi che i nuovi beta bloccanti possono avere sull’endotelio. Si riconoscono alla parete endoteliale il ruolo di barriera, le proprietà antitrombogeniche, angiogeniche, proliferative e la capacità d’inibire l’adesione delle cellule circolanti, quali neutrofili e monociti. Tali alterazioni sono tutte da ricondurre ad una carente
sintesi di Ossido Nitrico (NO) da parte della ossido nitrico sintetasi endoteliale. È ormai
chiaro, infatti, il ruolo del NO come mediatore fondamentale tra endotelio, cellule muscolari lisce ed elementi circolanti.
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
Tra i beta bloccanti di terza generazione, il nebivololo ha dimostrato di avere, oltre alla
capacità di bloccare i recettori b1, anche di indurre vasodilatazione NO-mediata. A differenza di altri beta bloccanti la vasodilatazione NO-dipendente, indotta dal nebivololo, è
anche conseguenza di un’azione agonistica sui recettori b3 adrenergici. In particolare, i
recettori b3 sono presenti in vari tessuti, a livello dei quali svolgono funzioni diverse. A livello del tessuto adiposo, ad esempio, stimolano la lipolisi, mentre a livello dell’endotelio
inducono la vasodilatazione. I recettori b3 sono localizzati anche nei miocardiociti. Il nebivololo, attraverso un effetto agonista sul recettore b3 miocardico è in grado di indurre
la produzione di NO anche a livello di questo tessuto. Pertanto i beta bloccanti di terza
generazione come nebivololo, oltre ad essere b1 bloccanti altamente selettivi, inducono
una vasodilatazione NO mediata e non alterano il profilo metabolico, anzi verosimilmente provocano effetti benefici grazie alla loro azione b3 agonista.
In prevenzione primaria si è accertato che l’Aspirina non presenta nelle donne la stessa efficacia nel ridurre l’insorgenza di eventi maggiori (IMA) come nell’uomo, pertanto
l’impiego routinario nelle donne sane di età < 65 anni non è raccomandato. Nelle donne
di età ≥ 65 a rischio intermedio la terapia antiaggregante è consigliabile se, in base ai
fattori di rischio, è prevedibile che il beneficio su stroke ischemico ed infarto superi il
rischio di sanguinamento.
La terapia antiaggregante deve essere intrapresa nel rischio elevato e in prevenzione
secondaria per tutte le fasce d’età.
Le linee guida americane non inseriscono i Calcio antagonisti nei protocolli terapeutici. In seguito all’osservazione di un netto cambiamento nel trasporto transmembrana
del calcio nei vasi aterosclerotici, è stata ipotizzata una potenziale attività benefica dei
calcioantagonisti nell’aterogenesi. Infatti, è stato dimostrato da molti ricercatori che i calcioantagonisti, in aggiunta alla loro favorevole azione sulla pressione sanguigna, sono
anche in grado di rallentare la formazione della placca in modelli animali di aterogenesi.
Sebbene il meccanismo alla base di questo effetto non sia ancora stato ben chiarito,
sembra non essere dipendente dalle proprietà antiipertensive di questa classe di farmaci. Questi dati si riferiscono ai calcioantagonisti 1,4-diidropiridinici lipofili di terza generazione: amlodipina, lacidipina e lercanidipina. Questi farmaci hanno una lunga durata
d’azione conseguente alla loro particolare struttura chimica altamente lipofila. Questo
permette una loro distribuzione ed accumulo nei compartimenti idrofobici delle membrane cellulari con concentrazioni che superano di molto i livelli plasmatici di farmaco,
anche di diversi ordini di grandezza durante somministrazione cronica.
È stato dimostrato che l’amlodipina è in grado di ridurre la suscettibilità all’ossidazione
delle lipoproteine a bassa densità ed, in aggiunta a questa azione antiossidante, ha anche un’azione antinfiammatoria in quanto inibisce l’entrata di macrofagi nella parete dei
vasi. Inoltre, l’amlodipina è in grado di inibire l’apoptosi delle cellule endoteliali indotta
da citochine e di modulare l’espressione di NO da parte dell’endotelio, aumentandone
la velocità di produzione e riducendo il microspasmo. Azione analoga si riscontra con il
verapamil.
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A differenza dell’amlodipina, la nifedipina e il diltiazem non stimolano il rilascio di NO dai
microvasi coronarici. Quindi il blocco dei canali del calcio riduce la pressione arteriosa
e migliora la disfunzione endoteliale nelle arterie di resistenza, determinando un miglioramento del rilassamento arterioso endotelio-mediato. Inoltre le coronarie delle donne
sembrerebbero più sensibili agli stimoli vasocostrittori.
Si è ribadito più volte come la menopausa modifichi il profilo di rischio della popolazione femminile, eppure nel nostro paese il profilo delle donne in postmenopausa risulta
essere:
- Il 49% delle donne italiane in menopausa presenta una ipertensione moderata/severa
oppure è in trattamento farmacologico specifico.
- Il 70% delle donne in post-menopausa è in una condizione di ipertensione lieve.
- Il 38% ha colesterolemia totale uguale o superiore a 240 mg/dl oppure è in trattamento.
- Il 35% presenta valori di colesterolemia compresa fra 200 e 239mg/dl.
- Il 30% ha un livello basso di colesterolemia HDL (<50 mg/dl).
- Il 71% ha un livello elevato di colesterolemia LDL (>115 mg/dl).
- Il 24% ha un livello elevato di trigliceridemia (>150 mg/dl).
- Il 48% delle donne in menopausa non svolge attività fisica durante il tempo libero.
- Il 14% fuma in media 12 sigarette al giorno.
- Il 30% delle donne in menopausa è obeso, il 40% è in sovrappeso.
- Il 10% è diabetico (glicemia≥126 mg/dl). Il 6% presenta «scarsa tolleranza glucidica»
(glicemia compresa tra 110 e 125 mg/dl).
- Il 33% è affetto da sindrome metabolica.
Raccomandazioni
Nella quotidianità clinica dobbiamo ricordarci di applicare pochi, ma fondamentali principi:
1) Valutare il rischio globale in rapporto al sesso ed all’età;
2) Correggere i fattori di rischio maggiori perseguendo i target ottimali sia con le modifi
che opportune dello stile di vita, sia con le terapie farmacologiche idonee.
In attesa, che studi di farmacocinetica indichino molecole e dosaggi più idonei per la fisiologia femminile è importante correggere la disparità di trattamento fra i due sessi.
È significativo che, nel nuovo algoritmo per la stratificazione del rischio trombo-embolico,
il CHA2DS2-VASc Score, si sia introdotto come fattore di rischio il sesso femminile e potenziato il concetto di età (compresa tra i 65-74 aa) il cui punteggio (+2 e +1) sposta un
maggior numero di pazienti nella fascia con score a rischio trombo-embolico elevato (≥ 2),
quindi da candidare alla TAO.
La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
A tutt’oggi le donne hanno meno probabilità di essere sottoposte ad una completa
correzione dei fattori di rischio cardiovascolari, di ricevere terapia multipla, di essere
sottoposte ad un test ergometrico, a coronarografia od a rivascolarizzazione coronarica rispetto agli uomini.
Bisogna ricordare inoltre, che la cardiopatia ischemica presenta delle peculiarità tipiche
del sesso femminile:
- L’insorgenza più tardiva della malattia e la ridotta efficacia dei meccanismi di precondizionamento ischemico che determinano però, anche una più elevata mortalità
correlata all’evento acuto, soprattutto in età giovanile.
- Esistono sindromi coronariche praticamente sconosciute nel sesso maschile e sono
quindi rilevate solo nelle donne (la dissecazione spontanea delle coronarie, delle carotidi e di altri vasi arteriosi rientrano in questa categoria).
- La presenza di dolore ricorrente, soprattutto se refrattario alla terapia antianginosa,
anche in assenza di coronaropatia aterosclerotica, non è un fenomeno “benigno” nella
donna. Se presente, è infatti associato ad un rischio doppio di infarto miocardico e di
ictus.
Pertanto:
→ Non sottovalutare la sintomatologia riferita anche se aspecifica
→ Valutare attentamente i fattori di rischio in rapporto all’età
→ Ricordarsi che la sensibilità dei test diagnostici è inferiore nelle donne
→ Ricordarsi che la terapia al femminile deve essere massiva come nell’uomo e
che la risposta terapeutica della donna presenta alcune peculiarità
→ La sintomatologia è l’indicatore principe della patologia vascolare anche a
coronarie indenni.
Inoltre, considerando l’importanza del diabete come rischio predittivo di eventi coronarici
acuti, un accurato screening del diabete (screening specificatamente riferito al carico orale
di glucosio) potrebbe essere eseguito in tutte le donne con familiarità per diabete, obese,
con pregressa diagnosi di diabete gestazionale, con sindrome dell’ovaio policistico, con
altri fattori di rischio cardiovascolare (dislipidemia ed ipertensione), comunque in tutte le
donne dopo la menopausa. Un accurato screening cardiovascolare dovrebbe essere eseguito in tutte le donne diabetiche.
Fondamentale è ricordare che:
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La patologia cardiovascolare nella donna: aggiornamenti nella prevenzione,diagnosi e terapia
Ringraziamenti
Bibliografia essenziale
Un sentito ringraziamento al dott. Bruno Di Lascio, Presidente dell’Ordine dei Medici di
Ferrara, che ha avuto fiducia in noi, dandoci la possibilità di seguire Corsi di Aggiornamento in tutta Italia e all’estero e di acquisire tutte le novità in Medicina di Genere e negli
argomenti specialistici , che seguiranno.
Grazie al Consiglio tutto, sempre pronto a sostenerci.
Un particolare ringraziamento alla sig.ra Barbara Busoli, senza la quale questa edizione
speciale non avrebbe mai visto la luce, e a tutto il personale della Segreteria dell’Ordine
dei Medici, sempre disponibile.
Dott.ssa Debora Romano
“La dimensione biologica del sesso femminile”
Un sentito ringraziamento alla prof.ssa Maria Grazia Modena per la documentazione che
mi ha generosamente fornito e per il costante impegno profuso da anni nello studio e
divulgazione delle tematiche cardiologiche al femminile, conoscenze che arricchiscono la
nostra professione.
Dott.ssa Monica Sartea
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Edizioni Franco Angeli, 2009
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