Vedere il DNA - Laboratorio di Evoluzione Microbica e Molecolare

OpenLab
http://hep.fi.infn.it/wyp2005/openlab/
Docente di riferimento
Prof. Renato Fani
Dip.to di Biologia Animale e Genetica, Via
Romana 19, 50125 Firenze
Tel 055 2288244
Email: [email protected]
Coordinatore
Dr. Samuele Scappini
Dip.to di Biologia Animale e Genetica, Via
Romana 19, 50125 Firenze
Tel 055 2288308
Email: [email protected]
Operatori
Dr. Emanuele Bonelli
Dr. Matteo Brilli
Dr.ssa Sara D’ambrosio
Dr. Marco Fondi
Dr.ssa Valentina Millarini
Dr.ssa Valentina Nucciotti
Dr. Francesco Pini
Dr. Samuele Scappini
Dr.ssa Valentina Sparvoli
Dr. Antonio Frandi
Dr. Cristiana Papaleo
Isabel Maida
Laura Giagnoni
Elena Perrin
Edda Russo
Cellula: variazioni sul tema
Nel mondo vivente si conoscono fondamentalmente due tipi di cellule, le cellule
eucariotiche (dal greco “vero nucleo”) e le cellule procariotiche (dal greco
“prenucleari”). Perciò gli organismi si possono suddividere in Procarioti, gruppo a cui
appartengono tutti i batteri, ed Eucarioti.
Eucarioti
Le cellule eucariotiche (a sinistra cellule di lievito, al centro un globulo rosso, una
piastrina e un globulo bianco) hanno morfologia tondeggiante e possono presentare,
sulla loro superficie, ciglia o appendici accessorie.
Il cambiamento morfologico di una cellula eucariotica è associato alla funzione che
essa svolge, per esempio, le cellule muscolari sono allungate e di dimensioni più grandi
rispetto alle altre. E’ il caso anche delle cellule del sistema nervoso (a destra),
conosciute anche con il nome di cellule stellate, che presentano prolungamenti
citoplasmatici per stabilire connessioni con cellule vicine o parti del corpo molto
distanti.
Negli Eucarioti la compartimentazione è spiccata: sono presenti all’interno del
citoplasma compartimenti racchiusi da membrana, ognuno dei quali deputato ad una
diversa funzione. Indichiamo i più importanti: reticolo endoplasmatico (rete di
comparti e canalicoli con la funzione di costituire una sorta di rete per il trasporto dei
materiali all'interno della cellula, mitocondri (le centrali energetiche della cellula),
lisosomi (vescicole che assolvono alla funzione digestiva primaria), tilacoidi (sede della
fase luminosa della fotosintesi nelle cellule vegetali), apparato del Golgi (sistema di
membrane da cui si staccano vescicole implicate nel trasporto di sostanze e materiali
all’interno della cellula).
Nella cellula eucariotica il materiale genetico non è libero, ma raccolto da una
membrana che delimita il nucleo. All’interno del nucleo si trova il DNA legato a
proteine ancorate sul versante interno della membrana nucleare. Questa è costellata
di pori che permettono il passaggio dell’informazione dal centro di controllo alla parte
dove viene decodificata e assemblata.
Procarioti
La cellula procariota presenta diverse morfologie, le più frequenti sono: Bacilli (a
bastoncino a sinistra), Cocchi (sferici al centro), Vibrioni (a forma di virgola) e Spirilli
(simili alla vite di un cavatappi). In più, possono essere dotate di appendici accessorie
come il flagello (a destra) che conferisce motilità e le fimbrie: le cilia che servono per
l’adesione ad un substrato o tra cellule, ed il pilus una struttura sessuale che serve
per il trasferimento di materiale genetico tra due batteri.
Per quanto riguarda l’organizzazione sub-cellulare, la cellula procariota è piuttosto
semplice. Partendo dall’esterno, troviamo la parete, composta da uno strato di
peptidoglicano o mureina circondata da una membrana esterna. Tra mureina e
membrana citoplasmatica si trova lo spazio periplasmico che ha diverse funzioni tra
cui facilitare l’assunzione di nutrienti grazie anche alla presenza di enzimi. All’interno
della cellula procariota non c’è compartimentazione. Nel citoplasma di una cellula
procariotica troviamo il nucleoide che rappresenta la zona dove si addensa il materiale
genetico che non è racchiuso da membrana. Tuttavia il nucleoide è attaccato alla
membrana citoplasmatica in modo da dividersi equamente durante il ciclo cellulare.
Come sono fatte le molecole della vita
Il materiale genetico di tutti gli esseri viventi conosciuti è il DNA (acido
deossiribonucleico). Fanno eccezione alcuni virus, in cui la funzione di custode
dell’informazione genetica può essere assolta anche dalla molecola di RNA (acido
ribonucleico).
Un acido nucleico (RNA o DNA) consiste di una sequenza di subunità unite tra loro da
legami chimici. Ogni subunità è formata da una base azotata (un anello eterociclico di
atomi di carbonio e di azoto), un pentoso (uno zucchero a forma di anello formato da
cinque atomi di carbonio) ed un gruppo fosfato. Una base legata ad un pentoso
costituisce una unità detta nucleoside. Quando si aggiunge a questa unità anche un
gruppo fosfato, l’insieme prende il nome di nucleotide. I nucleotidi sono le unità
costitutive degli acidi nucleici.
Gruppo fosfato
Sia DNA che RNA portano sulla parte esterna della molecola
gruppi fosfato ripetuti, costituiti ciascuno da un atomo di
fosforo (P) a cui sono legati covalentemente quattro atomi di
ossigeno (O), che conferiscono la carica negativa alla molecola
dell’acido nucleico.
Pentoso
I pentosi, gli zuccheri che si ritrovano nelle molecole di
DNA e RNA, possono essere di due tipi. Lo zucchero
della molecola di DNA è il 2-deossiribosio mentre lo
zucchero della molecola di RNA è il ribosio.
Basi azotate
Le basi azotate possono essere di due tipi:
pirimidiniche, con struttura ad anello a sei atomi
di carbonio, oppure puriniche, la cui struttura
deriva dalla fusione di due anelli, l’uno di sei,
l’altro di cinque atomi. Le basi puriniche che si
ritrovano nelle molecole di DNA ed RNA sono
adenina e guanina, le pirimidiniche timina,
citosina e uracile.
Ogni tipo di acido nucleico contiene quattro tipi di basi: le stesse due purine (adenina
e guanina) sono presenti sia nel DNA sia nell’RNA. Per quanto riguarda invece le
pirimidine, il DNA contiene citosina e timina mentre nell’RNA quest’ultima è sostituita
dall’uracile (uracile e timina differiscono solo per la presenza, in quest’ultima, di un
gruppo metile CH3 nella posizione C5).
Questi sono i “pezzi” che si ritrovano in una molecola
di acido nucleico, ma come si assemblano fra loro
tutte le componenti per dar luogo ad una molecola
“funzionante”? Nel 1953 J.Watson e F.Crick
arrivarono alla formulazione di un modello sulla
possibile struttura della molecola di DNA. Tre
precedenti scoperte avevano spianato la strada alla
delucidazione della struttura della molecola:
1) dati provenienti da studi con i raggi X avevano mostrato
che la struttura del DNA a doppia elica è regolare e che
compie un giro completo su se stessa ogni 3,4 nm, con un
diametro di circa 2 nm. Poiché la distanza fra due nucleotidi
adiacenti è di circa 0,34 nm, devono esservi 10 nucleotidi per
ogni giro d’elica;
2) studi condotti sulla densità di questa molecola
hanno suggerito che questa dovesse possedere due
catene polinucleotidiche. Il diametro costante
dell’elica si poteva spiegare assumendo che le basi
su ciascuna catena fossero affacciate verso
l’interno e avessero possibilità limitate di
combinazione, di modo che una purina si trovasse
sempre di fronte ad una pirimidina, e fossero
invece evitate combinazioni purina-purina (troppo
larga) o pirimidina-pirimidina (troppo stretta);
3) si era inoltre osservato che, indipendentemente dalla quantità in cui ciascuna base
è presente all’interno del DNA, la proporzione di G è sempre uguale a quella di C e la
proporzione di A è uguale a quella di T. Ne conseguiva che in una molecola di DNA il
numero di G avrebbe dovuto essere sempre uguale al numero di C e lo stesso sarebbe
dovuto accadere per l’altra coppia A, T.
Il modello che J.Watson e F.Crick proposero sulla base di queste nuove scoperte
prevedeva inoltre che:
1) le due catene polinucleotidiche della doppia elica fossero unite da legami ad
idrogeno fra le basi azotate. Gli unici legami possibili erano quelli che prevedevano
l’accoppiamento di A con T e di G con C. (dette appunto basi complementari).
2) I due filamenti fossero orientati in direzioni opposte (antiparallele) e
lo scheletro di fosfato e pentosi fosse orientato verso l’esterno, mentre le strutture
piatte e organizzate delle basi accoppiate fossero rivolte verso l’interno.
Queste idee portarono alla scoperta della struttura a doppia elica della molecola di
DNA.
I plasmidi
I procarioti possono contenere informazione genetica non solo a livello del loro DNA
nucleare (o cromosomico), ma anche in altre molecole di DNA, chiamate plasmidi, le cui
dimensioni sono variabili, da poche migliaia di basi fino a quelle di piccoli cromosomi (in
rari casi oltre un milione di basi, ma generalmente intorno alle 10-20 mila basi).
I plasmidi possono contenere un numero di geni variabile, dipendente perlopiù dalla
lunghezza del plasmide stesso, e questi possono essere coinvolti in diversi processi
metabolici. Fra questi i più noti sono sicuramente le resistenze agli antibiotici,
utilizzati comunemente come medicinali o integratori alimentari per gli animali
d’allevamento.
Le funzioni codificate a livello plasmidico possono inoltre permettere ai microrganismi
di utilizzare come fonte di energia composti xenobiotici, introdotti nell’ambiente
dall’attività umana, particolarità sfruttata nella cosiddetta bioremediation.
L’importanza di tali funzioni è perfettamente supportata dalla capacità dei plasmidi di
essere trasferiti non solo fra microrganismi di gruppi tassonomici vicini, ma anche fra
specie lontanamente imparentate.
Le grosse variazioni che sussistono fra organismi lontani, soprattutto a livello delle
sequenze di regolazione (fondamentali per la trascrizione dei geni), generalmente non
influiscono sull’espressione dei geni plasmidici.
Questo permette la trasmissione di geni (e quindi di attività metaboliche) fra
organismi diversi, garantendo contemporaneamente l’espressione dell’informazione
contenuta anche quando il donatore e l’ospite appartengano a gruppi tassonomici
distinti.
Questa trasmissione di geni per via orizzontale (contrapposta alla modalità più nota, il
trasferimento di informazione genetica alla prole, di tipo verticale) ha un ruolo
fondamentale in natura: essa ha raggiunto in alcuni casi una specializzazione tale da
permettere ad alcuni organismi (ad es. Agrobacterium tumefaciens ed i batteri
appartenenti al gruppo dei rizobi) di instaurare interazioni complesse con i loro ospiti
(vedi Box 1), ma anche i casi di semplice trasferimento dei pochi geni presenti su un
plasmide, sembrano aver rappresentato uno dei motori trainanti per l’evoluzione delle
forme di vita e dei procarioti in particolare.
Questo potente veicolo di novità evolutive, che è servito nelle prime fasi
dell’evoluzione della Vita a garantire la sopravvivenza delle prime cellule permettendo
l’acquisizione rapida di nuove attività metaboliche, può ritorcersi contro l’uomo,
come nel caso delle frequenti resistenze batteriche agli antibiotici di uso più comune,
che si risolvono nella difficoltà di eliminare infezioni che spesso hanno luogo proprio
all’interno dei centri ospedalieri.
I plasmidi dunque contengono informazione genetica eterogenea e poiché si replicano
nella cellula batterica in modo indipendente rispetto alla duplicazione cellulare, sono
generalmente presenti in numerose copie. In questo modo viene garantita la
possibilità che, con la divisione, ciascuna delle cellule figlie possa acquisire,
casualmente, almeno una molecola del plasmide.
Un’altra particolarità dei plasmidi è che essi non portano informazioni per funzioni
essenziali, ma generalmente solo per funzioni accessorie. Tali funzioni risultano
necessarie solo in certe condizioni di crescita, è quindi il mantenimento dei plasmidi
recanti queste informazioni all’interno delle cellule dipende dalla utilità delle
informazioni accessorie. Se l’utilità viene a mancare (termina ad esempio il
trattamento con antibiotico), allora è possibile che anche il plasmide, nel termine di
poche generazioni, venga perso. Questo fenomeno, noto come curing, è importante
perché difficilmente plasmidi diversi possono coesistere all’interno della stessa cellula
batterica; in questo modo la perdita dei plasmidi divenuti inutili permette alla cellula
di acquisirne di nuovi, magari più importanti in quel momento (ad esempio perché il
trattamento antibiotico è cambiato).
Tutte le caratteristiche che i plasmidi hanno acquisito in miliardi di anni di
evoluzione, e che permettono loro di ricoprire ruoli di primaria importanza
nell’evoluzione dei batteri, vengono oggi sfruttate nelle tecniche di laboratorio per
introdurre specifici geni all’interno di organismi modello (Box 2), fornendo una via
relativamente semplice per lo studio genetico e funzionale dei geni e dei loro
prodotti in un ambiente cellulare, molto migliore rispetto alle tecniche in vitro dove
le informazioni ottenute sono sempre falsate dall’utilizzo di condizioni sensibilmente
diverse rispetto a quelle reali che caratterizzano l’ambiente intracellulare.
Box 1:
Il batterio Agrobacterium
tumefaciens possiede un
plasmide, detto Ti che può
essere
trasferito
alle
cellule di una pianta (con un
meccanismo specifico che
si attiva in condizioni
particolari). L’informazione
presente nel plasmide viene
poi
espressa
all’interno
delle cellule vegetali dopo
che il DNA plasmidico è
stato integrato nel DNA
cromosomico,
garantendo
l’invasione e lo sviluppo di un
tumore chiamato galla, sul
tronco della pianta.
I batteri appartenenti al
gruppo
dei
rizobi sono
generalmente
capaci
di
fissare l’azoto atmosferico
in forma assimilabile dalle
piante,
promuovendo
la
crescita vegetale in molti
ambienti dove il fattore
nutritivo limitante è proprio
l’azoto fissato. I rizobi sono
inoltre in grado di instaurare
relazioni complesse con le
piante ospiti, inducendo la
pianta a produrre a livello
delle radici, grazie ai prodotti
dei geni nod (che si trovano
su di un plasmide), apposite
strutture che accolgono i
batteri e sostanze che li nutrono. All’interno di queste strutture, dette noduli, i batteri trovano un
habitat ottimale per la crescita e per la fissazione dell’azoto, di conseguenza sia la pianta (tramite
l’azoto fissato dai batteri) sia i rizobi (grazie alla crescita in un ambiente protetto e rifornito di un
gran numero di nutrienti ad opera della pianta), possono trarre vantaggio reciproco dalla situazione
(una relazione chiamata simbiosi).
Vediamo dunque che i plasmidi naturali non solo possono servire come semplice veicolo per il trasporto
di geni, ma anche come veicolo dell’informazione necessaria all’interazione fra organismi di gruppi
tassonomici distanti, come nei due casi riportati.
Box 2:
Il plasmide pBR322, comunemente utilizzato
in tecniche di biologia molecolare, mostrato
a titolo esemplificativo per descrivere
schematicamente
alcune
delle
caratteristiche dei plasmidi utilizzati in
laboratorio;
regioni importanti:
•
•
bla (ApR), corrisponde al gene
codificante un enzima capace di
conferire alla cellula che ospita il
plasmide la resistenza all’antibiotico
ampicillina.
tet (Tc R), gene che conferisce la
resistenza all’antibiotico tetraciclina.
I geni per la resistenza ad antibiotico
permettono di controllare l’esito della
procedura di inserimento del plasmide all’interno delle cellule batteriche in modo rapido ed economico:
dato che il plasmide conferisce resistenza all’antibiotico, mentre le cellule prive del plasmide sono
sensibili all’antibiotico, che ne blocca la crescita, allora in un terreno di coltura che contiene
l’antibiotico soltanto quelle cellule (minoritarie rispetto al totale) riusciranno a crescere, potendo
essere immediatamente riconosciute come candidate per l’analisi successiva.
•
•
rep: corrisponde alla regione che serve alla replicazione, e quindi al mantenimento, del plasmide,
in sua assenza il plasmide viene perso perché non può più essere replicato.
i punti indicati dalle scritte blu corrispondono a specifici siti al cui interno è possibile inserire il
DNA da analizzare.
Estrazione del DNA plasmidico
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Si inocula il ceppo dal quale si vuole estrarre il DNA in 3 ml di terreno
liquido e lo si fa crescere in agitazione a 37°C fino al mattino successivo.
Al mattino si centrifuga per 2 minuti a 12000 rpm un volume variabile tra
1,5 e 3 ml della coltura della sera prima e si risospende delicatamente il
pellet in 0,3 ml di tampone P1 (50mM Tris-HCl pH8, 10mM EDTA pH 8.0 +
RNasiA 100 mg/ml).
Si aggiungono quindi 0,3 ml di tampone P2 (200mM NaOH, 1% SDS). Si
agita delicatamente per inversione e si incuba a temperatura ambiente per
5 minuti.
Si aggiungono 0,3 ml di tampone P3 (2,55 M Potassio acetato pH 4,8), si
mescola ancora per inversione e si centrifuga a 13000 rpm per 10 minuti.
Si recupera il sopranatante con una micropipetta e lo si trasferisce in un
tubo sterile da 1,5 ml.
Si precipita il DNA aggiungendo 0,8 volumi di isopropanolo (preequilibrato
a temperatura ambiente per evitare la precipitazione di sali) mediante
centrifugazione a 12000 rpm per 10’.
Si elimina il sopranatante versandolo direttamente.
Si aggiungono 0,7 ml di etanolo 70%, si centrifuga a 12000 rpm per 2
minuti e si elimina il sopranatante.
Si risospende il pellet di DNA in un volume opportuno (20 µl) di TE.
Conservare il DNA a 4°C per brevi periodi, oppure a -20°C per tempi più lunghi.
Possiamo osservare il significato dei vari passaggi:
nel primo tampone usato (P1) è presente l’ RNasi che permette la digestione di
tutti gli RNA presenti nelle cellule, siano transfert, messaggeri, o ribosomali.
Questo permetterà di visualizzare meglio la successiva corsa su gel del DNA
estratto;
nella soluzione successiva (P2) la presenza di un composto alcalino, NaOH,
determinerà la lisi della cellula e la denaturazione del DNA, mentre quella di un
detergente, SDS, permetterà di distruggere le membrane;
l'ultimo tampone usato (P3) serve per far rinaturare il DNA. Solo quello
cromosomico, essendo di dimensioni maggiori, è interessato dalla denaturazione e
dalla rinaturazione, potendo quindi distinguersi dal plasmidico che rimane in
soluzione
Preparazione di un gel di agarosio
1. Pesare la quantità opportuna di agarosio (in base alle dimensioni dei frammenti
da separare) ed aggiungerla al volume stabilito di tampone TEA 1 X.
2. Portare ad ebollizione il gel su piastra magnetica o in un forno a microonde e
verificare il completo scioglimento dell'agarosio.
3. Aggiungere la giusta quantità di bromuro di etidio ATTENZIONE: agente
mutageno
4. Versare il gel nella vasca elettroforetica all’interno della slitta, sulla quale
sarà stato precedentemente sistemato un pettine vicino ad un'estremità della
vaschetta. I denti del pettine formeranno, una volta solidificatosi il gel, i
pozzetti in cui verranno caricati i campioni di DNA. E’ estrememente
importante che i denti del pettine non tocchino la base della slitta, per
evitare, al termine della preparazione, che i pozzetti risultino "bucati".
5. Quando il gel si è perfettamente solidificato (solitamente sono sufficienti per
questo circa 30 minuti a temperatura ambiente), rimuovere delicatamente il
pettine e i supporti per la slitta dalla vasca elettroforetica.
6. Aggiungere il tampone da elettroforesi (TEA 1X) fino a coprire il gel per
almeno 2 mm.
Preparazione e caricamento dei campioni
1. Aggiungere Blue di Bromofenolo ai campioni di DNA (ad esempio 2 µl di Blue
per 10 µl di campione) e caricarli nei pozzetti con una micropipetta.
2. Applicare il coperchio alla vasca elettroforetica e inserire gli elettrodi in
modo tale che il polo positivo (rosso) si trovi all'estremità del gel più lontana
dai pozzetti.
Utilizzando come riferimento la banda del Blue di Bromofenolo, continuare la
corsa elettroforetica per il tempo desiderato.
3. Terminato il tempo spengere l'apparato, porre il gel su di un transilluminatore
a raggi UV e documentare il risultato con una fotografia.
Glossario
AGAROSIO.
Un polimero lineare estratto da alghe, solido a temperatura ambiente.
BLU DI BROMOFENOLO (BBF).
Il BBF è un colorante blu violaceo che viene aggiunto al campione che carichiamo su gel di agarosio in modo da
visualizzarne la corsa. Di questo colorante sfruttiamo la mobilità in direzione dell’anodo, caratteristica
analoga al DNA. La soluzione madre si prepara al 5% in acqua distillata ed ha consistenza molto densa.
BROMURO DI ETIDIO.
Il 3-8 diamino 5 etil-fenilfenantridio bromuro è un mutageno che si intercala tra le basi del DNA e per
questo motivo va utilizzato con prudenza ed è necessario indossare i guanti quando si utilizzano materiali che
lo contengono. Possiede la proprietà di illuminarsi per fluorescenza quando viene colpita da un fascio di luce
ultravioletta. Viene preparato come soluzione a 10 mg/ml in acqua distillata e conservato a 4°C.
CENTRIFUGA.
Apparecchiatura da laboratorio utilizzata generalmente per separare composti con diversi pesi specifici o
densità mediante forza centrifuga. Oltre ad essere un mezzo di separazione e precipitazione, distingueremo
in quest’ultimo caso un SOPRANATANTE superiore ed un PELLET sottostante, è anche un mezzo efficiente
di essiccazione di campioni ed evaporazione di solventi come avviene negli evaporatori centrifughi. Ha un
campo di applicazioni compreso tra 14.000 rpm a 60.000 g.
COLTURA.
Insieme delle cellule cresciute in un terreno, sia esso liquido o solido.
CROMOSOMI.
Strutture presenti nel nucleo delle cellule in cui hanno sede i geni portatori dei caratteri ereditari.
DNA.
Acido desossiribonucleico. Materiale genetico di tutti gli organismi viventi. Nel nucleo degli eucarioti è
complessato con proteine ed organizzato in strutture lineari dette CROMOSOMI. Nei procarioti il DNA è
organizzato in un singolo cromosoma circolare al quale sono associate poche proteine.
I mitocondri e i cloroplasti contengono materiale genetico sotto forma di molecola circolare a doppia elica,
con associate poche o nessuna proteina.
EDTA pH 8.
Chelante degli ioni bipositivi cioè una molecola che sequestra ioni come magnesio (Mg++) e calcio (Ca++)
indispensabile per il funzionamento di alcuni enzimi tra cui quelli che tagliano il DNA.
ELUITO.
Definiamo eluito una soluzione liquida che passa attraverso un filtro durante una centrifugazione.
ETANOLO.
Anche detto alcol etilico CH3CH2OH, favorisce la precipitazione del DNA.
EUCARIOTI.
Organismi le cui cellule hanno il nucleo provvisto di una membrana che lo delimita rispetto al citoplasma.
INOCULO.
Cellule fatte crescere in terreno liquido.
MICROLITRO.
Unità di misura di un volume pari a 10-6l (simbolo µl).
NANOMETRO.
Unità di misura di lunghezza pari a 10-9m (simbolo nm).
NaOH.
Comunemente detta soda aumenta il pH facilitando la rottura della cellula.
NUCLEOSIDE.
Zucchero e base.
NUCLEOTIDE.
Subunità di base delle molecole di DNA e di RNA costituita da zucchero, base azotata e gruppo fosfato.
pH.
Il pH è una scala di misura dell'acidità o dell'alcalinità di una sostanza o di una soluzione. Varia tra 1 e 14.
POLIMERI.
Composti ad elevato peso molecolare ottenuti a partire da monomeri tramite reazioni di polimerizzazione.
PROCARIOTI.
Organismi le cui cellule hanno il nucleo mancante di una membrana cellulare.
PROTEINA.
Le proteine sono composti costituiti di amminoacidi e formano gran parte del “materiale di costruzione” delle
cellule e dell’organismo. Le proteine hanno anche la funzione di regolare o fare avvenire le reazioni
biochimiche che hanno luogo in tutte le cellule: in questo ultimo caso si dicono enzimi. Ogni proteina viene
costruita grazie all’informazione contenuta in uno o più geni.
RAGGI UV.
Radiazioni elettromagnetiche.
RNA.
Acido ribonucleico. Materiale di alcuni virus.
RNasi.
Enzima che taglia l’RNA.
SDS (Sodio dodecil solfato).
Sostanza detergente (sapone) che scioglie la membrana cellulare costituita in gran parte da lipidi (grassi).
TAMPONE.
Si definiscono tamponi tutti quei composti che mantengono il pH delle soluzioni ai valori di interesse.
TE.
E’ una soluzione contenete solitamente Tris-HCl 10 mM pH 8 e EDTA 1 mM pH 8 in acqua distillata.
Si utilizzano TE a pH diversi.
TEA 50X.
E’ un tampone per elettroforesi e contiene Tris base, Acido Acetico glaciale ed EDTA pH8.
Questo tampone viene diluito 50 volte al momento dell’uso: TEA 1X.
Tris-HCl pH8.
Soluzione tampone per mantenere il DNA nelle condizioni ottimali.