Capitolo 7 INDICAZIONI PER UNA PROMOZIONE DELLA CULTURA DELLA QUALITA’: UN PROGETTO PER L’AUTOVALUTAZIONE DI ISTITUTO E DI CENTRO Giorgio BOCCA – Manuel GUTIERREZ – Eugenia LIBRATORE Vito MASSARI – Sergio MARCONI – Delio VICENTINI 1. Premessa Il tema dell’autovalutazione di Istituto e di Centro, considerata anche in relazione al monitoraggio ed agli altri ulteriori passaggi cui viene sottoposta l’analisi e la definizione della qualità all’interno dei processi di istruzione e formazione, risulta assai problematico da trattare. In realtà, oggi sembra che i livelli della certificazione, per l’ambito dell’istruzione, e quello dell’accreditamento, per la formazione professionale, finiscano per assorbire al proprio interno ogni e qualsiasi tensione alla rilevazione e all'analisi della qualità. Se per la FP una tale prospettiva risulta quasi obbligatoria data la svolta impressa alla sua evoluzione dalla normativa che discende dal cosiddetto pacchetto Treu (L. 196/97), oltre che per il diretto ‘traino’ che su di essa svolgono le logiche di impresa con le quali è strettamente connessa, per l’istruzione scolastica la dinamica della certificazione di qualità appare assai attraente laddove questa sembrerebbe essenziale al fine di delinearne un profilo "accreditato" di specificità, distinguente la singola e particolare scuola rispetto alle altre. Ciò appare ancor più interessante, ed allettante proprio nel momento attuale in cui si procede sempre più verso l’ipotesi di un sistema pubblico di istruzione che, nell’ambito dell’autonomia, quasi obbligatoriamente costringe ogni singola scuola a ricercare una propria "visibilità" sul territorio. D’altro canto, ci sono prassi certificatorie e pratiche di consulenza ad hoc che spesso mutuano le proprie procedure da culture che poco hanno a che fare con la realtà dell’istruzione e della formazione educative, finendo per dare vita sovente a sistemi intellettualmente affidabili quanto operativamente poco praticabili, almeno per chi intenda mantenere la specificità dei processi di istruzione educativa oltre ad uno spiccato riferimento ad una antropologia cristiana. 2. Autovalutazione, monitoraggio, accreditamento, certificazione: un percorso continuo In altra parte del presente volume si è ampiamente trattato di tutte le voci che compongono il ricco e variegato mondo della "qualità" nei processi di istruzione e formazione (Cfr. capitolo 1). Non si tratta quindi qui di ripercorrere vie già tracciate, quanto di cogliere come sussista una dimensione "sistemica" fra tutti gli ambiti di declinazione della qualità sino ad ora sviluppati. 116 CONFRONTO CON ALTRE SCUOLE (MONITORAGGIO ) ACCREDITAMENTO PUBBLICO (ESTERNO) autoanalisi di istituto certificazione di qualità (es. ISO 9000) ACCREDITAMENTO INTERNO (ASSOCIATIVO) Fig. 1 - Autovalutazione, monitoraggio, accreditamento, certificazione: un percorso continuo. Lo schema qui presentato mira soprattutto a visualizzare tale assieme di pratiche nelle loro interazioni. In realtà, una seppure superficiale analisi di ciascuno di questi aspetti ci permette di rilevare come vi sussista sempre uno spazio di pertinenza stretta dell’Organizzazione che partecipa al processo. Uno spazio in cui questa è richiesta di esplicitare con chiarezza e precisione la propria peculiare politica della qualità. All’interno della certificazione ISO il primo capitolo del Manuale della qualità, infatti, richiede che “le istituzioni di insegnamento e di formazione debbano definire gli obiettivi della loro politica della qualità, al fine di essere conformi con le esigenze di questa prima clausola della norma. Questa pianificazione deve esplicitare chiaramente l’impegno di qualità dell’istituzione nei confronti dei propri clienti [...] La politica della qualità deve includere o menzionare gli obiettivi specifici di qualità sui quali l’organizzazione si impegna [...]debbono dare corpo alle grandi linee della politica globale della qualità, che è sovente formulata in termini vaghi” (Van den Berghe, 1997, 52). E’ dunque necessario non solo formulare una politica di qualità, ma renderla esplicita, sì che i ‘clienti’ possano e sappiano verificarne la concreta attuazione attraverso i processi di istruzione e formazione. D’altro canto, una corretta azione di monitoraggio di scuole e CFP, ciascuno al proprio interno secondo una prospettiva diacronica, o fra di loro in termini sincronici, non potrà prescindere dalla previa costruzione di un assieme di criteri ed indicatori attorno ai quali il confronto possa avvenire. Criteri ed indicatori che possono venire agevolmente reperiti da testi e pubblicazioni varie, ma che richiedono pur sempre un adattamento alle specificità culturali delle scuole/centri coinvolti. Anche se meno scontato, tale discorso vale anche per i processi di accreditamento. Qui entrano in gioco organismi esterni all’organizzazione che eroga istruzione o formazione (Associazioni o Enti pubblici) rispetto ai quali viene richiesto il soddisfacimento di criteri formali di tipo strutturale o organizzativo, al fine di venire inseriti all’interno di circuiti associativi o di pubblico servizio. Rispetto a tale esigenza sembrerebbe che la singola istituzione di istruzione e formazione non possa che 117 assumere un atteggiamento di passivo soddisfacimento dei criteri imposti. Se ciò è pur vero, è comunque indispensabile sviluppare almeno due riflessioni di fondo: è possibile, almeno in termini teorici, che all’interno delle procedure di accreditamento si trovino, più o meno volutamente, aspetti che possono in qualche modo condizionare l’istituzione ben oltre i puri criteri formali proposti (si pensi ad esempio alla richiesta di presentare un progetto educativo specifico della scuola, al di là del quale però si imponga l’accettazione di qualsiasi iscrizione a prescindere proprio da una chiara e formale accettazione dei termini di tale progetto da parte dei potenziali "clienti"); è necessario che l’istituzione che chiede l’accreditamento sia in grado di valutare in quali termini i criteri che le vengono imposti possano venire ricompresi all’interno del proprio progetto di istruzione/formazione educativa enfatizzandone taluni aspetti di qualità (pensiamo ad esempio alla indispensabile attivazione all’interno di scuole e CFP di organismi di partecipazione ed alla loro possibile declinazione in relazione ad una antropologia educativa che fa della famiglia un interlocutore privilegiato nella educazione dei figli in età minore). Non è dunque possibile permettersi il lusso di una adesione passiva e routinaria a prassi di accreditamento, bensì si dovrà per quanto possibile sforzarsi di dialettizzare le richieste di ordine meramente formale all’interno della propria filosofia dell’educare in termini cristianamente ispirati. 3. L'autovalutazione di scuola/centro: le scelte metodologiche basilari a) Centralità dell'autovalutazione Qualsiasi sia il punto di approccio, non sfugge comunque la collocazione centrale che vi assume l’autovalutazione di istituto o di centro. Non si tratta di un esito casuale, bensì è frutto di una precisa scelta volta a riappropriarsi della precipua responsabilità di fissare quelli che si ritengono gli aspetti salienti della propria specifica qualità, rispetto ai quali, all’interno di un percorso di autochiarificazione, si definiscono i propri punti di forza e di debolezza e si articolano strategie di miglioramento. Tale percorso diviene cruciale al fine di responsabilizzare ogni singola organizzazione di istruzione o formazione rispetto alla propria qualità, ponendosi come punto imprescindibile di avvio per qualsiasi altra azione attinente la qualità stessa dell’istruzione erogata. In altri termini, non si tratta qui di negare l’utilità e l’importanza degli altri livelli di delineazione della qualità, bensì di riaffermare come questi possano venire correttamente impostati solo ed unicamente se si sia previamente sviluppato un processo di riflessione e controllo della propria caratteristica concezione della qualità rispetto al servizio che si eroga. Né ciò sembra in toto delegabile ad una associazione o ad una organizzazione di cui si fa parte, in una sorta di confusione terminologica fra mera raccolta di dati, autoanalisi e monitoraggio, con il concreto pericolo o di ridurre il tutto ad un puro censimento di strutture e documenti, o di finire omologati all’interno di strutture di riferimento a livello comprensoriale o provinciale. Se tale azione di analisi appare essenziale per ogni scuola e centro, ancora più lo diviene per un sistema che fa dell’ispirazione cristiana la propria caratteristica peculiare e quindi si assume l’onere aggiuntivo di declinare in una sintesi organica i criteri della qualità dell’essere scuola con quelli suoi specifici della sintesi culturale di cui è portatore rispetto ad una miriade di sfaccettature tipiche dei singoli carismi educativi di cui la cattolicità è ricca. 118 b) L’autovalutazione e il monitoraggio: un percorso a due vie La promozione di una cultura della qualità all’interno della scuola cattolica passa dunque attraverso alcune tappe fondamentali. Dapprima, la chiara distinzione fra i livelli di approccio alla qualità. La non chiarezza, infatti, nel tenere fermo il livello di autoanalisi di istituto quale perno essenziale della definizione e valutazione della propria qualità da parte della scuola finisce per espropriarla della capacità di definizione dei propri parametri di qualità, spesso a favore di sistemi di valori a lei estranei o, peggio, emergenti da ambiti del tutto distanti da essa. Quindi, la consapevolezza di poter addivenire a tale esito procedendo attraverso due vie. L’una, prevalentemente induttiva, che tematizza dall’interno della prassi della singola organizzazione di istruzione/formazione le quattro dimensioni tipiche della qualità (la qualità dichiarata nei suoi documenti, agita nella prassi quotidiana, percepita da chi ad essa partecipa o le presta attenzione, attesa da chi ad essa si indirizza alla ricerca di risposte concrete ai suoi bisogni educativi); l’altra, procedente anche per deduzione, che si avvale di tavole preesistenti di criteri utili al monitoraggio della qualità all’interno dei processi di istruzione/formazione al fine di operarne un progressivo adattamento alla propria specificità. In entrambi i casi l'esito è comunque convergente verso la ricerca di un assieme di strumenti utili a meglio conoscere e governare i processi che si attivano all’interno dell’istituzione in cui si opera. c) Centralità della singola comunità educativa e della valutazione interna La pratica della autovalutazione, di fatto pone la singola organizzazione che eroga istruzione/formazione come una realtà assoluta. Essa mira a costruire strumenti e modalità utili a meglio comprendere i processi in atto dal punto di vista della loro esplicitazione progettuale (la documentazione prodotta attorno ai processi di istruzione/formazione che si intende attivare) e della loro effettiva erogazione. Denunciamo qui una precisa scelta di campo, che afferma il principio della sussidiarietà nei termini della abilitazione di ogni singola scuola/centro di formazione ad assumersi direttamente l’onere del proprio autogoverno dei processi di istruzione/formazione educativa che progetta e realizza, sapendo costruirsi gli strumenti indispensabili ed attivando i processi decisionali relativi. Già in altra sede si sottolineava come “si può valutare l’attività di una scuola ‘dal di fuori’, secondo il principio di oggettività, con un’attività di consulenza e di analisi dei processi messi in atto. Ciò implica una presunzione di scientificità classica: l’occhio osserva dall’esterno e giudica, secondo criteri di razionalità assoluta (…) Si può, in modo complementare o alternativo, far valutare la scuola e le sue modalità di funzionamento ‘dal di dentro’, dagli attori stessi del servizio scolastico. In questo caso si sottolineano le dimensioni ‘soggettive’ o relative della funzionalità scolastica.”. In questo secondo caso, l’azione autovalutativa è finalizzata all’innesco “di processi autovalutativi [che] permette di acquisire un valore aggiunto alla professionalità degli operatori e favorisce un dinamismo, una flessibilità, nell’istituzione, che può ridurre il fattore primario di decadimento dell’organizzazione scolastica: la routine dei comportamenti, dei contenuti trasmessi, del clima formativo. La professione come routine è il maggior difetto professionale nei servizi e non va confuso con la tradizione, con l’identità culturale, con la creazione di una ‘scuola’ di pensiero: questi ultimi elementi sono auspicabili e costituiscono il patrimonio, il know how che caratterizza un’istituzione scolastica. La routine invece può colpire sia i docenti che i discenti ed è costituita dalla normalizzazione intellettuale sotto forma di un’offerta formativa che favorisce vissuti formali, meccanici, automatici, ovvi (=acritici e da non discutere).” (Alla ricerca della qualità, 1999, 17-18, passim) 119 A questo livello un percorso di autovalutazione dell’organizzazione (scuola o CFP) chiede di radiografarne il "contesto" al tempo x, procedendo dalle seguenti questioni: i valori culturali di autonomia, di cooperazione e di partecipazione sono diffusi e fondano il progetto educativo ?; vi è fra gli operatori e nella pratica didattica la capacità di risolvere in modo autonomo e pragmatico i problemi, investendovi tempo ed energie ?; vi è la percezione dei processi che caratterizzano il servizio di istruzione/formazione educativa o ci si fissa ancora unicamente sui contenuti e sugli esiti in termini di valutazioni finali ?; il personale docente ed il dirigente possiedono competenze relative ai processi innovativi ed alle modalità utili alla loro gestione ?; le modalità di autoanalisi cui si fa ricorso sono operativamente declinate ed integrate all’interno dei valori e dei modelli culturali di quella istituzione di istruzione e formazione ?. 4. Autovalutazione di scuola/centro: prospettive di lavoro Tenendo presenti queste fondamentali scelte di campo, le indicazioni fornite dall'indagine permettono di tracciare alcune linee propositive per il percorso futuro. La presente ricerca ha, in realtà, fatto tesoro della prima elaborazione attorno all’autovalutazione di qualità che è stata richiamata in precedenti capitoli, soprattutto nel primo (Scurati, 1998); avvalendosi dei suoi esiti sia nei termini di una ridefinizione dei settori (semplificati in contesto-risorse-processi-esiti) sia, soprattutto, nella possibilità di fruire di una ricca (sin troppo!) mappa di criteri ed indicatori cui attingere per la costruzione di strumenti di monitoraggio. Una prima azione è stata dedicata alla rilettura della mappa di riferimento ed una sua ricalibratura rispetto ad un ulteriore approfondimento delle specificità del sistema che genericamente possiamo chiamare della “scuola cattolica” (ivi comprendendo sia l’istruzione che la formazione professionale). Quindi non una pura e semplice "potatura", bensì una vera e propria rielaborazione tenendo conto di alcuni aspetti problematici, quali: a. l’urgenza di meglio chiarire i criteri ed al contempo ridurre il numero degli indicatori; b. la necessità di tenere conto dell’altro corno del problema, in quanto se di qualità della scuola si parla certo questa non può venire scissa o giustapposta alla sua dimensione di cattolicità, in quanto scuola cattolica (ed un tale passaggio viene naturalmente enfatizzato a livello di monitoraggio, mentre resta in buona parte implicito nell’autovalutazione); c. la ricerca di spazi per la figura del gestore, inteso non solo in termini di soggetto giuridico cui l’organizzazione fa capo, bensì soprattutto, in chiave educativa, quale espressione del "carisma" educativo che sta alla base della decisione di intraprendere una esperienza educativa scolastica di matrice cattolica. Procediamo dunque per gradi. 4.1. Dapprima, le macro aree proposte (contesto, risorse, processi, esiti) sembrano bene focalizzare altrettanti settori dal cui interno emergono ambiti significativi di qualità con cui la scuola si trova a fare i conti, soprattutto in una realtà di autonomia ed attraverso i processi di riforma in cui si trova immersa; mentre per la FP a questi stessi settori corrispondono specifici ambiti da tenere sotto controllo al fine di valutare l’andamento della propria offerta formativa. a) Per quanto attiene al contesto possiamo dire di avere raggiunto una buona declinazione dei fattori che entrano a farne parte, riuscendo ad evidenziarvi proprio quegli aspetti tipici della presenza della "scuola cattolica" legati al suo quadro ispirativo-fondativo oltre che alla storia del suo essere all’interno 120 del territorio e della comunità civile ed ecclesiale locale, ed al suo riconoscersi all’interno di determinate realtà associative. b) Nell’ambito delle risorse si è riusciti a riqualificare la dimensione valoriale e culturale non più solo in termini ispirativi originari, bensì in quanto reale input per i processi in atto. c) Ma è forse sul piano dei processi che l’introduzione del "livello strategico" si presenta come essenziale al fine di dare piena espressione al gestore in quanto soggetto educativo in grado di declinare in indirizzi strategici, e quindi in progettualità educativa, il carisma educativo di cui è portatore; mentre all’interno del "livello educativo" ha trovato uno spazio ben definito una ulteriore traduzione culturale della antropologia educativa cristianamente ispirata, vale a dire la dimensione di cooperazione fra i differenti soggetti interessati all’educazione (studenti, docenti, genitori...). Una tale impostazione assume un notevole rilievo proprio ai fini della qualificazione della ‘scuola cattolica’ nel momento in cui, la declinazione di tali fattori già la induce ad interrogarsi attorno alle proprie specificità rispetto ad esempio ad una scuola "pubblica" di stato in cui il gestore (lo Stato) appare estremamente sfumato e debole in quanto non è in grado di portare una propria scelta culturale, riducendosi ad enfatizzare della gestione gli aspetti meramente burocratico amministrativi e, per di più, rischiando di coinvolgere in un gioco al ribasso anche le scuole pubbliche di ispirazione cristiana. 4.2. Tali aspetti vanno poi inseriti all’interno di una chiara delineazione delle caratteristiche organizzative e gestionali delle singole realtà. Anche a questo livello, la dimensione di organizzazione educativa di istruzione e formazione sembra giocare un ruolo di tutto rilievo in relazione alla sua modalità di esprimere e vivere la qualità, mentre l’enfasi posta sulla necessità di ottenere dati aggiornati e precisi in relazione ai principali descrittori economico-amministrativi della scuola pone in luce l'importanza di raggiungere un obiettivo strategico: irrobustire le capacità di rendicontazione e di documentazione nel tempo della propria prassi operativa. Questa necessità è avvertita sia allo scopo di poter rispondere alle presenti e future richieste di documentazione amministrativa, sia, soprattutto in termini educativi, sia per favorire la maturazione di una cultura della documentazione adeguata alla sfida della autonomia che investe globalmente il sistema pubblico di istruzione e formazione. 4.3. Un passo ulteriore da compiere è rappresentato dalla necessità di non fermarsi a questo livello di formulazione delle dimensioni di qualità; occorre addentrarsi verso un suo ulteriore inveramento rappresentato dalla capacità di descrivere ciascun ambito in modo semplice, chiaro e distinto, sì da poterlo quindi declinare in criteri attraverso i quali svilupparne una attenta e precisa analisi dal punto di vista delle dimensioni del dichiarato/agito/percepito/atteso. Questo è un punto chiave se lo si considera - sia all’interno del processo di riappropriazione da parte del singolo istituto/centro della capacità di analisi e di governo dei processi di istruzione educativa che avvengono al suo interno ed in relazione alla percezione che ne matura rispetto a coloro che vi partecipano ed alla comunità che ad essi fa riferimento; - sia in relazione al complesso processo di autoeducazione che la dinamica dell’autonomia e soprattutto il progressivo svincolamento da un rigido ancoraggio a dimensioni verticisticamente predeterminate deve porre in essere, pena il pericolo di non riuscire più a situarsi all’interno delle complesse dinamiche in atto. Accettare di fare proprio un simile processo di analisi degli ambiti significa lasciarsi porre in crisi rispetto alle proprie sicurezze, al fine di poter cogliere come realmente i processi si organizzino, quali ne siano gli esiti reali, quali le percezioni che emergono dagli attori coinvolti o semplicemente ponentisi in atteggiamento di osservazione della "scuola cattolica"; al contempo si tratta di persistere alla ricerca di quei criteri che meglio possono porre tale scuola in grado di capire quali siano i propri punti di forza e quali i punti di debolezza. Dunque bisogna lasciarsi sfidare da un atteggiamento che 121 non sopporta una dinamica meramente teoretica, di pura teorizzazione su di sé, scevra da qualsiasi obbligo di traduzione delle proprie affermazioni in elementi di verifica concretamente agibili all’interno della prassi quotidiana e per ciò stesso in grado di fare percepire gli aspetti di scarto rispetto alla teoria in quanto tale. 4.4. Emerge altresì a questo livello un assieme di esigenze facenti capo ad alcuni ordini di problemi: l’onere di non moltiplicare i criteri senza necessità, mirando all’essenziale ed al realmente impiegabile; l’esigenza di non fermarsi alla mera loro definizione, quanto soprattutto cercare di andare oltre, in direzione della loro individuazione nella realtà attraverso la predisposizione di indicatori (utili appunti ad indicare dove, quanto e come tali criteri di rendono presenti in realtà); comunque il non considerare l’assieme dei processi come definiti e definibili una tantum, dando invece luogo ad una costante riflessione utile a meglio definire settori ed ambiti e a reimpostare i criteri e gli indicatori in direzione di una maggiore chiarezza e "impiegabilità". Rispetto a tali esigenze, l’esito e le prospettive della ricerca assumono un loro peculiare rilievo: in quanto pongono a disposizione un sistema di criteri ed indicatori che possono definirsi collaudati e quindi utilmente impiegabili, soprattutto nella loro ultima versione meglio ridefinita e semplificata; in quanto presentano un metodo di lavoro che può venire seguito: infatti nel momento in cui si cerca un riferimento per una azione di monitoraggio del proprio istituto/centro, vengono al contempo indicate e presidiate le modalità attraverso le quali l’esito qui prospettato è stato ottenuto, sì da porre ciascuno in grado di prendere nelle proprie mani la responsabilità di una ulteriore elaborazione e ridefinizione. In proposito la ricerca ha dato alcune altre indicazioni estremamente utili. a) Innanzitutto ha suggerito di procedere a forme di enucleazione dei criteri sulla base di scelte precise. Non tutti i criteri sono assumibili da subito e contemporaneamente; bensì appare essenziale individuare percorsi di scelta che siano in grado di fare procedere lungo un itinerario che, nel tempo, porti ad analizzare tutto l’assieme della propria operatività, secondo una logica funzionale al proprio progetto di offerta formativa. Pertanto in tale direzione appare importante che si possa usufruire di tavole di criteri al cui interno operare le scelte e, meglio ancora, di momenti di monitoraggio con altre realtà di istruzione/formazione, al fine di potersi confrontare rispetto a criteri comuni. b) Inoltre ha sottolineato la necessità di tenere conto, rispetto alla scelta dei criteri, delle peculiarità della scuola/centro stesso (quali la sua "grandezza"/portata di coinvolgimento della propria offerta formativa; il tipo di articolazione interna fra ordini e gradi di studio) che spesso paiono in grado di condizionarne gli esiti sul piano della significatività dei dati raccolti. Una buona declinazione di criteri, fra i quali scegliere, rappresenta anche il viatico più sicuro per approcciarsi a livelli più complessi e sofisticati di accreditamento e certificazione della qualità. 4.5. La ricerca ha altresì posto in luce la compossibilità di differenti modalità di delineazione degli indicatori: metrici, laddove si tratti di coglierne una misurazione in termini quantitativi; ordinali, se se ne chiede la collocazione secondo un ordine rispetto a scale; nominali, se la classificazione avviene in relazione alla presenza/assenza del fenomeno indicato. Al di là di queste mere definizioni, la ricerca FIDAE ha mirato prevalentemente alla costruzione di sistemi di items costruiti su indicatori metrici, apparentemente più freddi e meno ricollegabili con le dimensioni qualitative presenti nei processi formativi; cercando di contemperarli con l’introduzione di criteri "cardinali" della qualità della scuola cattolica, definiti attorno a scale di misurazione nominali ed ordinali. 122 La ricerca CONFAP ha diversamente privilegiato una analisi attraverso indicatori più marcatamente ordinali, meglio confacenti ad esigenze di più immediata evidenziazione delle dimensioni qualitative presenti nei fenomeni osservati. Si sono così ri-costruiti indicatori più in grado di sintetizzare a priori gli aspetti qualitativi dei fenomeni rispetto anche le specificità della formazione cristianamente ispirata (secondo gli elementi "cardinali" della scuola cattolica)1. La ricerca della FISM, tra i vari possibili livelli di verifica della qualità, ha optato per una peculiare prospettiva di autoanalisi di istituto, fondata su items pre-definiti attorno ai quali ha mirato a co-costruire un’idea condivisa di qualità in sede locale (auto-rappresentazione dell’idea di qualità). Si è così voluto valorizzare le singole scuole, riflettendo direttamente con loro sul tema della qualità in funzione di un miglioramento di quest’ultima. Più precisamente, l’autovalutazione è stata intesa come percezione e consapevolezza dello scarto esistente tra la concreta realtà vissuta e l’ideale di riferimento (tra "adeguato" e "strategico", secondo la terminologia usata nella ricerca) e facendo ampio ricorso ad indicatori ordinali e nominali, piuttosto che metrici. I contenuti dell’autovalutazione hanno riguardato tre livelli: - l’organizzazione e il coordinamento delle FISM provinciali; - il rapporto di rete ed il collegamento tra l’organismo provinciale e le singole scuole materne; - la singola unità scolastica. Rispetto a questi livelli l’indagine ha sondato sia gli aspetti gestionali che quelli pedagogici; e ciò in ordine all’organizzazione delle risorse; alla strutturazione delle singole scuole; alla funzionalità, affidabilità, alle informazioni (loro completezza), alle relazioni interne alla scuola o alla FISM ed esterne nei rapporti con le altre scuole o FISM, con Enti pubblici territoriali e non, con Enti di ricerca scientifica, con Associazioni di categoria, con Istituzioni ecclesiastiche. Per quanto riguarda i settori di analisi si deve notare che quelli ipotizzati nelle "classi di indicatori" previsti come sviluppo della ricerca FISM sono di numero superiore rispetto alla Mappa della qualità predisposta dal gruppo di coordinamento generale della ricerca (in sede FISM infatti si sono sviluppati indicatori in ordine agli utenti, alle risorse, al processo, all’output organizzativo, all'outcome, allo sviluppo del servizio, alla sua redditività). Si è comunque proceduto a confrontare le due impostazioni studiando la possibilità di riconduzione degli strumenti di ricerca al modello previsto in sede di elaborazione comune. 5. Alcuni criteri cardinali per la scuola "cattolica" Un ulteriore essenziale passaggio, a questo livello, è rappresentato dalla ipotesi dei criteri cardinali della qualità della "scuola cattolica". Proprio perché la "scuola cattolica" si assume l’onere di coniugare fra di loro tali due caratteri specifici, l’essere cioè luogo di istruzione/formazione e contemporaneamente declinare in sé una matrice culturale cattolica, il problema dei criteri di qualità vi si complessifica, in quanto questi debbono al contempo supportare l’analisi del suo essere scuola includendovi l’aspetto della "cattolicità". Come già rilevato in altra parte del presente rapporto, la dimensione di cattolicità appare in qualche modo delineabile attraverso alcuni caratteri specifici che la dottrina sociale ha nel tempo proposto: la scuola come servizio educativo per la comunità ecclesiale e civile; il suo essere ambiente 1 Ciò appare chiaramente, ad esempio, dagli indicatori di Risorse valoriali e culturali (ad es. 2.1.1. Caratterizzazione evidente in senso cristiano/cattolico della visione antropologica di riferimento per l’attività dell’organismo di formazione; per il quale la scala di riferimento è costituita da due soli items: a) la caratterizzazione è presente e si traduce in scelte riconoscibili sotto il profilo formativo/dei servizi offerti; b) la caratterizzazione è presente ma non si traduce in elementi specifici di rilevanza per i servizi offerti). 123 comunitario; l’attenzione all’educazione integrale della persona; la promozione della sintesi fra fede cultura e vita; la tensione alla testimonianza di vita oltre che all’insegnamento. Occorre che si sviluppi un duplice percorso rispetto a tali indicazioni: un’ulteriore riflessione in direzione del loro approfondimento all’interno dei processi di insegnamento ed apprendimento scolastico; un processo di ricerca azione che progressivamente riesca a porre in luce i modi e le forme in cui relazionare in termini sempre più stretti tali indicazioni magisteriali con la dimensione di istruzione/formazione quotidiana, potendoli ritrovare all’interno degli indicatori di qualità normalmente adottati. E’ forse questo il passaggio più complesso e delicato posto in luce dalla ricerca. Da un lato, sia la scuola che la FP sembrano porre in luce la necessità di ulteriormente approfondire i termini di tali indicazioni, al fine di farle proprie e comprenderne la portata per la propria specifica azione in quanto "scuola cattolica". All’interno di tale ambito si gioca, fra l’altro, un’ulteriore elemento di riflessione laddove il gestore stesso rappresenta un "carisma" educativo che chiede di potersi ritrovare rifluendo all’interno dell’azione quotidiana di istruzione/formazione. E’ in genere all’interno della sua cattolicità che la scuola/centro ritrova e ulteriormente declina appunto il suo carisma originario di riferimento. D’altro canto non appare neppure praticabile una netta scissura fra l’esser scuola/CFP e l’esser cattolico. In altri termini, riemerge qui il tema dei criteri di accreditamento della "cattolicità" di una scuola: se questa debba essere attributo intrinseco di una famiglia religiosa, sì che da essa si estenda naturalmente alle proprie scuole/centri di formazione, quasi peculiarità in sé del Gestore in quanto tale; se debba qualificarsi in forma indipendente dai termini e dai modi in cui questi la declina all’interno dei processi di istruzione e formazione che attiva; o ancora se possa darsi senza l’onere della esplicitazione dei termini e dei modi del suo reale declinarsi in organiche sintesi fra cultura fede e vita. Se quest'ultima impostazione era di fatto naturale all’interno di una scuola in cui il Gestore era presente massicciamente attraverso i confratelli che vi insegnavano, oggi essa appare meno scontata laddove molto consistente è l’ingresso dei laici a tutti i livelli di insegnamento, direzione e gestione delle scuole e dei centri, ma soprattutto nel momento in cui si richiede sia l’onere dell’accreditamento verso lo Stato o gli Enti pubblici, sia la qualificazione della propria offerta formativa al fine di rendersi "visibili" rispetto al proprio esserci in quanto "scuola cattolica", espressione di una determinata impostazione educativa. Ecco allora come tale attribuzione sia da fare emergere procedendo induttivamente dalla quotidianità educativa e dai modi e dalle forme in cui questa vi si esprime. La ricerca ha risentito fortemente di tale problematica, cercando una soluzione di mediazione attraverso alcuni passaggi: la delineazione dei criteri di qualità della "scuola" in quanto tale; l'indicazione dei caratteri peculiari della dimensione di cattolicità dell’educazione in criteri cardinali; il tentativo di porre a confronto tali due ordini di criteri al fine di poter cogliere i loro punti di intersezione (che sono chiaramente emersi a più livelli: a volte in una ridefinizione dei criteri di qualità della scuola sapendovi ri-collocare anche gli aspetti "cattolici" in quanto loro arricchimento; altre invece nella modalità di declinazione degli indicatori in quanto in grado di cogliere operativamente talune sfumature tipiche della scuola cattolica nel loro rilevare semplicemente criteri di qualità della scuola tout court; altri ancora giustapponendo gli uni agli altri, in attesa di 124 poter in futuro essere in grado di rinvenire una definizione di sintesi che possa ricomprenderli entrambi). Rispetto a tale impostazione sembra che la risposta ottenuta sia stata comunque positiva ed in grado di stimolare ulteriori riflessioni. Ciò fa pensare che tale pista non sia assolutamente da tralasciare, bensì richieda ulteriori riflessioni e tentativi di attuazione. Per un verso, infatti, non sembra ancora maturata appieno la comprensione e l’attuazione delle indicazioni del Magistero in relazione alla qualità cattolica della istruzione/formazione (basti cogliere la difficoltà di delineare i termini della sintesi fra fede cultura e vita, ad esempio). D’altro canto, esiste una difficoltà della cultura "scolastica" di procedere alla declinazione di criteri ed indicatori utili a "rinvenire" concretamente all’interno della prassi quotidiana le tracce di tale sintesi culturale. La mediazione proposta, con l'indicazione di alcuni "criteri" cardine (cardinali) della qualificazione di cattolicità della istruzione/formazione assieme alla richiesta di dialettizzarli con i criteri di qualità della scuola/CFP in quanto tale, nella consapevolezza di non essere ancora una soluzione definitiva, assume il valore comunque di mantenere vivo il problema indicando alcune vie di ulteriore perlustrazione sia a livello nazionale così come in sede locale. 6. La partecipazione dei soggetti educativi alla delineazione della qualità Un ulteriore tema attorno al quale la ricerca ha fatto emergere molteplici riflessioni è rappresentato dal coinvolgimento dei differenti soggetti educativi nella delineazione della qualità. A questo livello l’esperienza maturata può dare adito a differenti riflessioni. Dapprima, emerge con chiarezza come, di fronte all’esigenza di costituire delle commissioni di lavoro all’interno dei singoli istituti al fine di farsi carico del percorso prima di autovalutazione della qualità quindi di monitoraggio, il pensiero sia andato quasi completamente ai tecnici dell’istruzione/formazione (dirigente, docenti, segretari) e poco alle altre componenti quali genitori e studenti. Se ciò appare comprensibile nel momento del reperimento di dati tecnici circa il funzionamento dell’organizzazione, lo appare molto meno di fronte alla costante tensione della "scuola cattolica" al coinvolgimento attivo, almeno sul piano teorico, di tali componenti addirittura nella delineazione del piano dell’offerta formativa se non anche nei processi di insegnamento/apprendimento. Uno degli input offerti alle singole équipes è andato quindi in tale direzione partecipativa, facendo però rilevare una difficoltà realizzativa attinente alla scarsità di punti di coinvolgimento operativo all’interno di una scuola che continua a cogliersi come luogo di operatività di tecnici, luogo di realizzazione di processualità in cui genitori e studenti possono semmai realizzare forme di coinvolgimento passivo. La logica della qualità, invece, pone al proprio centro non tanto il processo nella sua autoreferenzialità bensì la soddisfazione del cliente in quanto portatore di bisogni al cui positivo esaurimento il processo è finalizzato. Va da sé come una simile impostazione richieda ulteriori delicati passaggi, quali ad esempio - la definizione chiara del concetto di cliente (al di là del mero "utente" in quanto passivo utilizzatore di un prodotto, ma altresì al di là anche dell’ipotesi di un mercato che imponendo alla scuola/centro di formazione di essere "produttore" di cultura immateriale venga semplicemente scambiato per un produttore di meri titoli di studio/qualifiche professionali); - l'acquisizione di una concezione della famiglia in quanto depositario naturale dell’educazione dei figli, con la quale la scuola/il centro collabora pienamente attraverso la realizzazione di processi di individualizzazione degli apprendimenti all’interno di percorsi culturali concordati; oppure ancora 125 la piena attuazione del diritto personale all’educazione di cui ogni singolo studente è portatore, anche se lo esprime secondo modalità e forme adeguate alla sua maturazione individuale. A questo livello si propone altresì il tema della necessaria presenza dei genitori in forma organizzata all’interno dell'istruzione e della formazione rivolte ai minori. Se per la scuola ciò è, tutto sommato, almeno a parole acquisito, all’interno della FP si tratta di una tematica assai difficile da affrontare data la oggettiva situazione di scarso coinvolgimento delle famiglie dei giovani iscritti. A tale livello però si gioca una dimensione essenziale della qualificazione cristiana della formazione e dell’istruzione, laddove la valorizzazione dei genitori si propone come aspetto essenziale del progetto educativo della persona. La presenza di una realtà organizzata di genitori all’interno della scuola come del centro, dovrebbe costituire la necessaria mediazione sia nei confronti di una partecipazione qualificata di tale componente ai processi educativi, sia nella capacità di mobilitare risorse utilissime anche in relazione alla attuazione di processi di autovalutazione dell’istituzione. L’associazionismo organizzato dei genitori si propone così, proprio dal punto di vista della valutazione della istruzione e della formazione, come un indispensabile prerequisito. L’impostazione di un’azione di autovalutazione della qualità finisce naturalmente per proporre tali temi alla riflessione comune, non foss'altro perché comporta una specifica attenzione non unicamente a quanto scritto ed attuato dall’istituzione stessa, quanto soprattutto alla percezione ed alle attese che su di essa hanno maturato coloro che vi partecipano a vario titolo. 7. Le linee di lavoro per la scuola 7.1. Valutazione e modelli gestionali Una tale riflessione attorno ai processi autovalutativi, non può non tenere conto come al suo interno si confrontino almeno tre livelli di analisi della qualità in relazione ai modelli gestionali. La qualità come valutazione. Procedendo da un approccio più squisitamente pedagogico, si presenta come un assieme di audit svolti in tempi e con metodi adeguati al "ciclo di vita" del processoprodotto formativo. Essa presenta, come già rilevato, almeno tre livelli: la valutazione ex ante (previa alla attuazione del processo formativo), quella in itinere (sostanziandosi di un monitoraggio di alcune variabili essenziali presenti all’interno del processo); quella ex post, volta a coglierne gli esiti (di prodotto e di processo). Attraverso l’attivazione di tale azione, la scuola può giungere alla enucleazione degli aspetti di qualità suoi propri in quanto realtà al cui interno di svolgono processi di insegnamento/apprendimento. Ma vi è anche una valutazione di sistema che punta a rilevare la coerenza tra obiettivi iscritti nei piani di sviluppo dell’organizzazione erogatrice e gli interventi realmente svolti sì da ottenere elementi di comparabilità fra differenti processi ed al contempo di accettabilità rispetto a criteri formali prefissati. A questo livello possiamo indicare alcuni rischi, attinenti ai processi di omologazione, di appiattimento sugli standard, di frammentazione dell’assieme del processo in singole puntuali azioni formative cui gli standard fanno riferimento. Essa pare funzionale altresì alla precisa enucleazione di "standard" di fedeltà alla propria missione, tipici di una scuola che è anche "cattolica". La logica dell’affidabilità presenta ulteriori caratteri di specificità. Con essa si intende la "confidenza" che una data organizzazione evidenzia nell’assicurare che il proprio processo/prodotto sia continuativamente reso coerente con le aspettative dei clienti/utenti. Tale prospettiva nasce da due esigenze di fondo: assicurare la rispondenza del prodotto a specifiche tecniche definite; garantire la sicurezza da parte dell’utilizzatore. Da ciò discende un diretto e continuativo coinvolgimento del personale nell’impegno di assicurare la qualità e la sua valutazione in direzione della rilevazione/soddisfacimento dei bisogni emergenti nei clienti cui i processi/prodotti si riferiscono. A questo livello l’autovalutazione appare matura per un approccio di certificazione di qualità. 126 7.2. Quale approccio all’autovalutazione ? Non ci sembra si possa indicare un’unica modalità di approccio all’autovalutazione, né appare possibile circoscrivere l’impostazione degli indicatori di rilevazione dei processi unicamente in termini numerali o metrici o ordinali. La linea proposta mira così ad indurre: dapprima ad una riflessione attorno al modello di riferimento, che comunque appare storicamente determinato, rispetto al quale debbono prevalere criteri di scelta mirati alla semplicità e alla facile padronanza da parte degli operatori preposti al processo di autovalutazione; quindi alla chiara delineazione degli ambiti rispetto ai quali si vuole esercitare l’azione di autoanalisi in funzione autovalutativa; in relazione ad essi, la declinazione di criteri e quindi di indicatori richiederà una specifica attenzione a procedere dal già esistente, sì da farli emergere dalla concreta storia della scuola e del CFP, allontanando il pericolo di costruire sistemi valutativi astratti ed avulsi dalla realtà. La costante attenzione a contemperare aspetti più squisitamente di valutazione pedagogica dei processi con riferimenti (per quanto riguarda la specificità "cattolica") ai requisiti minimi di accettabilità dati dalla propria collocazione all’interno della propria Congregazione o Associazione di riferimento, porterà a definire una modalità di costruzione e di "misurazione" degli indicatori: privilegiando indicatori metrici (quantitativi) con i quali dialettizzare i criteri cardinali (con un progressivo passaggio dall’immediatezza della misurazione quantitativa alla complessiva qualità del quadro finale d’insieme, secondo l’ipotesi FIDAE); operando già una sintesi delle dimensioni formative e dei requisiti minimi di ispirazione cristiana mediante l'utilizzo di indicatori ordinali (secondo l’ipotesi CONFAP); producendo un sistema di indicatori (ordinali, metrici e nominali) riferiti sia alla rilevazione della qualità percepita (nominali) sia alla rilevazione delle prestazioni organizzative e del valore aggiunto pedagogico (ordinali e metrici) al fine di indurre dall’interno dei singoli plessi scolastici una azione di auto osservazione e di autovalutazione con possibilità anche di un confronto rispetto a standard rilevati a livello provinciale, regionale e nazionale (secondo l’ipotesi FISM). Qualsiasi sia l’approccio prescelto, comunque la garanzia del passaggio dalla mera autoanalisi a processi autovalutativi è affidata alla capacità/volontà di tradurre gli esiti in punti di forza e di debolezza rispetto al quali avviare concrete azioni di trasformazione migliorativa e di monitoraggio nel tempo, riappropriando la sede locale della capacità di governo della propria azione sul campo. Bibliografia Alla ricerca della qualità. Guida operativa per un percorso autovalutativo, Fidae, Roma 1999. SCURATI C. (Ed.), Qualità allo specchio, La Scuola, Brescia 1998. VAN DEN BERGHE W., L’application des normes ISO 9000 dans l’enseignement et la formation. Interpretation et lignes directrices dans una perspective européenne, CEDEFOP Documents, Thessaloniki 1997.