Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze MM.FF.NN. Corso di Laurea Specialistica in Fisica Tesi di Laurea Anno Accademico 2007-2008 Modelli di stati metastabili, risonanze e scattering anelastico in Meccanica Quantistica Relatore Ch.mo Prof. Rodolfo Figari Candidata Serena Cenatiempo matr. 358/037 a Chiara, grazie Indice Introduzione 4 1 Sistemi quantistici instabili 6 1.1 Proprietà dei sistemi instabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Stati legati, del continuo e risonanze . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 6 12 16 2.1 Teoria perturbativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 2.2 Perturbazione indipendente dal tempo e perturbazione armonica . . 21 2.3 Spettro discreto: evoluzione quasi periodica . . . . . . . . . . . . . 26 2.4 Spettro continuo: sistema instabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 3 Un approccio non perturbativo H 32 3.1 L'hamiltoniano e il suo risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Perturbazioni dello spettro e risonanze 3.3 Il metodo delle dilatazioni 33 . . . . . . . . . . . . . . . . 36 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Senza numero. Alcune considerazioni storiche in forma di parentesi 4 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 42 44 4.1 Interazioni puntuali: una breve introduzione . . . . . . . . . . . . . 45 4.2 Interazioni puntuali dipendenti dallo spin . . . . . . . . . . . . . . . 48 4.3 Hamiltoniano imperturbato 53 4.4 Hamiltoniano perturbato e risonanze . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4.5 Decadimento della risonanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusione 68 2 3 Indice A Operatori lineari e teoria spettrale 70 A.1 Denizioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 A.2 Operatori di proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 A.3 Spettro di un operatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 A.4 Operatori autoaggiunti e teorema spettrale . . . . . . . . . . . . . . 79 A.5 Schiera spettrale e suddivisioni dello spettro 83 . . . . . . . . . . . . . B Interazioni puntuali 86 B.1 Costruzione di interazioni puntuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . B.2 Interazione puntuale in tre dimensioni con un unico centro di interazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . n 89 B.3 Generalizzazione a B.4 Interazioni puntuali in una dimensione . . . . . . . . . . . . . . . . 95 B.5 Interazioni puntuali come limiti di potenziali . . . . . . . . . . . . . 98 Bibliograa centri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 93 102 Introduzione Il decadimento dei sistemi quantistici instabili rappresenta un processo di grande rilevanza in sica, basti pensare al decadimento dei nuclei radioattivi o ai picchi pronunciati osservabili nelle sezioni d'urto di reazioni nucleari e subnucleari, che manifestano la formazione di prodotti di reazione instabili, detti risonanze. Essendo i fenomeni d'urto lo strumento sperimentale più ecace a volte l'unico per l'indagine dei fenomeni microscopici, appare evidente l'importanza che l'analisi delle risonanze assume in sica atomica, materia condensata e sica delle alte energie. Storicamente la prima spinta verso l'elaborazione di una teoria quantitativa del decadimento di un sistema quantistico è stata l'osservazione della radioattività naturale, ma dagli albori della meccanica quantistica ad oggi i processi di decadimento sono stati analizzati e modellizzati molte volte (si veda ad es. [15, 19, 16]). Tuttavia, nonostante la legge di decadimento di un sistema instabile faccia parte del bagaglio culturale di ogni sico, si può dicilmente dire che i processi di decadimento siano totalmente compresi all'interno dello schema interpretativo della meccanica quantistica. Un caso paradigmatico è rappresentato da un atomo in interazione con il campo elettromagnetico, la cui descrizione qualitativa è interamente basata su eventi di assorbimento ed emissione della radiazione. Attraverso l'assorbimento di fotoni, l'atomo può passare dal suo stato fondamentale in uno stato eccitato. Quest'ultimo ha una probabilità nita di decadere spontaneamente verso stati con energia minore; quando ciò avviene, viene emesso un fotone con lunghezza d'onda associata al salto in energia tra i due stati tra cui avviene la transizione. L'unico stato dell'atomo che non dà origine a decadimento è lo stato fondamentale. Nella descrizione classica gli spettri di emissione ed assorbimento dell'atomo sono ricavati utilizzando un approccio di tipo perturbativo, in cui il campo dei fotoni è descritto mediante un potenziale classico esterno al sistema. La vita media dello stato metastabile è ottenuta tramite la cosiddetta regola d'oro di Fermi, che fornisce all'ordine più basso dello sviluppo perturbativo la probabilità di transizione nell'unità di tempo dallo stato iniziale di energia energia Ei allo stato nale di Ef , ad opera della perturbazione descritta dal potenziale. Tale descrizione - presentata in dettaglio nel capitolo 2 della tesi - pur apparendo suciente e soddisfacente ai ni pratici, non prova a caratterizzare gli stati metastabili all'interno del quadro interpretativo della meccanica quantistica, poiché il sistema dei fotoni 4 5 Introduzione non è trattato come un sistema quantistico. Inoltre essa non rende conto di tutta la fenomenologia del sistema, in quanto non spiega come mai, a dierenza di ciò che avviene per gli stati eccitati, lo stato di energia minore dell'atomo sia uno stato stabile. La fenomenologia di un atomo investito da radiazione e la sua connessione con i livelli energetici dell'atomo isolato possono essere comprese solo se si ammettono validi i seguenti risultati: a ) il sistema presenta un solo stato stabile, con energia vicina a quella dello stato fondamentale dell'atomo isolato; b ) il sistema presenta molti stati metastabili, con energie vicine a quelle degli stati eccitati dell'atomo isolato. Una descrizione che sia totalmente all'interno dello schema concettuale della meccanica quantistica richiede che tali risultati siano ottenuti in termini dell'interazione tra sistemi genuinamente quantistici, ovvero analizzando l'interazione tra un atomo non relativistico e il campo elettromagnetico quantizzato. A tutt'oggi non esistono modelli semplici di sistemi di questo tipo. I tentativi che vanno in questa direzione, portati avanti nell'ambito dell'elettrodinamica semi-relativistica (si veda ad es. [1, 4, 22]), si scontrano infatti con la complessità dei sistemi considerati. Le investigazioni teoriche in merito alla caratterizzazione dei sistemi instabili - cui è dedicato il capitolo 3 della tesi - pur collocandosi all'interno del quadro concettuale della meccanica quantistica, restano analisi di carattere generale che non permettono il calcolo di quantità sicamente rilevanti, quali il tempo di vita medio della risonanza o il suo comportamento temporale. Giusticazioni di tipo sico e computazionale spingono a pensare che una modellistica semplice - nel senso di risolubile - ma non banale, possa dare risultati sia qualitativi che quantitativi, rilevanti anche in modelli che presentano dicoltà tipiche di sistemi più realistici. La tesi si pone in questo lone metodologico, con la presentazione - nel capitolo 4 - di un modello completamente risolubile di sistema quantistico in cui è possibile investigare esplicitamente la formazione di stati metastabili e le loro proprietà di decadimento. Lo strumento tecnico utilizzato a questo scopo sono gli Hamiltoniani con interazione puntuale. Questi ultimi rappresentano un modello di interazione esplicitamente risolubile, ecace nel descrivere il comportamento di particelle quantistiche di bassa energia interagenti con potenziali a corto range. In particolare si considerano gli Hamiltoniani che generano la dinamica di una particella quantistica (non relativistica e senza spin) che interagisce mediante interazioni puntuali con un sistema quantistico localizzato, con un numero nito di livelli energetici. Quest'ultimo può essere considerato un atomo-modello di estensione spaziale piccola rispetto alla lunghezza d'onda della particella incidente. Il sistema considerato non solo rappresenta un modello di sistema instabile, ma costituisce anche il più semplice modello di diusione anelastica. Capitolo 1 Sistemi quantistici instabili 1.1 Proprietà dei sistemi instabili La scoperta della radioattività naturale nel 1896 segna l'inizio degli studi e dei tentativi teorici di descrizione dei processi di decadimento in sica. Il modo più semplice per ottenere un'espressione della probabilità di decadimento di un sistema instabile consiste nel seguire un approccio di tipo euristico. Tale approccio è basato sull'assunzione che il sistema instabile abbia una certa probabilità di decadimento per unità di tempo, secondo un processo specico, e che tale probabilità, che indichiamo con Γ, sia costante e non dipenda né dal numero di sistemi instabili, né dalla loro storia passata, né dall'ambiente circostante. Si ipotizzano quindi assenti sia eetti di memoria che eetti cooperativi tra i diversi sistemi e con l'ambiente. Ne segue immediatamente che la variazione del numero N (t) di nuclei radiattivi che sono presenti al tempo t durante un intervallo di tempo innitesimo N (t) e dt, essere proporzionale a dt deve ovvero dN (t) = −ΓN (t)dt ⇒ dN (t) = −ΓN (t) dt (1.1) da cui si ricava la legge esponenziale N (t) = N0 e−Γt dove N0 = N (0) è il numero di sistemi presenti al tempo il numero di sistemi sopravvissuti al tempo all'istante iniziale (1.2) t=0 t t = 0. Il rapporto tra ed il numero di sistemi presenti si denisce probabilità di sopravvivenza : P (t) = N (t) = e−Γt . N0 (1.3) Γ prende il nome di tasso di decadimento e può essere interpretata come l'inverso del tempo di vita medio τ del sistema instabile. Infatti, poiché −dP (t) = −P 0 (t) dt è la probabilità che il sistema instabile decada nell'intervallo La quantità positiva 6 Capitolo 1. di tempo 7 Sistemi quantistici instabili (t, t + dt), il sistema vive in media un tempo ∞ Z ∞ Z 0 t Γe−Γt dt = −t P (t) dt = τ= 0 0 1 . Γ (1.4) Si noti che la legge (1.3) è caratterizzata dalla proprietà P 0 (t) = −Γ = costante P (t) e che a tempi brevi P (t) (1.5) decresce linearmente P (t) ' 1 − Γt . (1.6) Per quanto la descrizione presentata sia di tipo fenomenologico, e non indaghi il meccanismo responsabile del decadimento, l'equazione (1.2) descrive molto bene le osservazioni sperimentali. Si consideri un generico processo di collisione a più canali: l'Hamiltoniano che descrive la dinamica del sistema conterrà le particelle iniziali, i prodotti di reazione e le loro interazioni mutue. Un urto tra particelle può generare diversi tipi di eventi, con caratteristiche dinamiche dierenti. Lo scattering è detto elastico se le particelle nello stato nale, cioè lontano dalla regione di interazione, sono identiche a quelle nello stato iniziale e l'energia cinetica del processo (nel sistema del centro di massa) non è variata. Al contrario si parla di scattering anelastico se l'energia cinetica nello stato nale è diversa da quella dello stato iniziale, ovvero le particelle nello stato nale non sono identiche 1 a quelle iniziali o una o più particelle si trovano in stati eccitati . Lo scattering è detto risonante, se la collisione genera stati intermedi instabili, che decadono successivamente nei prodotti di reazione nali. Le diverse tipologie di urto corrispondono a possibili stati del sistema. L'Hamiltoniano che genera la dinamica contiene: - Stati stabili, autostati dell'Hamiltoniano, tali che la probabilità di trovare la particella sia supportata in una regione nita e non vari nel tempo; 1 Si noti che se si considera il sistema globale è sempre vero che lo scattering è elastico nel senso della conservazione di massa-energia, che nel caso classico corrisponde alla conservazione dell'energia. Indicati con e − Come esempio si consideri lo scattering risonante di un elettone su un atomo. A l'atomo nel suo stato fondamentale, con l'elettrone incidente e con nγ A∗ l'atomo in uno stato eccitato, con i fotoni emessi dall'atomo nel passaggio dallo stato eccitato a quello fondamentale, il processo complessivo può essere schematizzato come segue: e− + A −→ e− + A∗ −→ e− + A + n γ . La variazione di energia cinetica dell'elettrone rispetto allo stato iniziale è uguale alla dierenza di energia tra lo stato fondamentale dell'atomo e lo stato eccitato A∗ , nonché all'energia dei fotoni emessi. L'energia complessiva del sistema resta quindi invariata ad ogni passo. D'altra parte l'urto è inelastico se si guarda al solo l'elettrone (essendo variata la sua energia cinetica) o se si considera il fatto che tra i prodotti di reazione sono presenti un certo numero di fotoni, assenti nello stato iniziale. Capitolo 1. 8 Sistemi quantistici instabili - Stati di collisione, che descrivono un'interazione tra particelle simile a quella classica, ovvero una collisione senza formazione di stati intermedi. Il tempo di interazione tipico del processo è proporzionale al tempo di volo classico nella regione di interazione, ovvero t∗ = p dove con L L (1.7) 2Ecin /m si è indicata l'estensione della regione di interazione e con Ecin l'energia cinetica nel sistema di riferimento del centro di massa. - Stati metastabili, che corrispondono a situazioni in cui l'interazione trattiene il sistema in regioni limitate per tempi molto più grandi dei tempi di volo classici. Ciò corrisponde alla generazione di prodotti di reazione quasi stabili, che tendono a decadere per l'interazione con gli altri sistemi stabili presenti. La densità di probabilità di trovare uno stato metastabile ha supporto in una regione nita per un tempo nito; uno stato metastabile può essere quindi interpretato come una particella con vita media nita. Tale descrizione, che corrisponde alla fenomenologia dei processi d'urto, evidenzia come lo spettro dell'Hamiltoniano di un sistema ad N particelle non con- tenga solo stati legati e stati di collisione, ma anche stati metastabili. In par- ticolare uno stato metastabile è generato dall'interazione con le altre parti del sistema dell'Hamiltoniano di un sottosistema che, quando isolato, possiede uno stato legato. All'interno del quadro esplicativo della Meccanica Quantistica, nelle forme che vanno dalla Meccanica Quantistica non relativistica alla Cromodinamica Quantistica, la spiegazione qualitativa dei sistemi stabili ed instabili può essere rozzamente sintetizzata come segue. i ) Ad ogni scala atomica e subatomica esistono dei costituenti fondamentali indivisibili (nuclei ed elettroni, su scala atomica; protoni e neutroni su scala nucleare; quark, leptoni e mediatori delle interazioni su scala subnucleare etc.). ii ) La dinamica è descritta da un Hamiltoniano che tiene conto di tutte le possibili interazioni elementari tra i costituenti fondamentali; questi ultimi corrispondono allo spettro puntuale di tale Hamiltoniano. iii ) La dinamica lascia invariati alcuni stati del sistema, che vengono considerati gli aggregati stabili. iv ) Considerato uno stato stabile dell'Hamiltoniano di un sottosistema, la perturbazione con altri canali di reazione può generare uno stato metastabile, che può essere interpretato come caratterizzante un aggregato instabile. Dal punto di vista spettrale uno stato instabile corrisponde ad una regione di energia in cui la densità spettrale non è singolare (come in corrispondenza di stati legati) ma molto elevata. Capitolo 1. 9 Sistemi quantistici instabili 16 Figura 1.1: Sezione d'urto totale di neutroni su 8 O. I picchi sono dovuti alla formazione di stati eccitati di 17 O. Un caso paradigmatico in cui quanto esposto al punto iv ) si riconosce con estrema chiarezza è il sistema atomico in interazione con il campo di radiazione. L'atomo isolato presenta un Hamiltoniano con un numero nito o innito di stati stabili, corrispondenti ai diversi livelli energetici dell'elettrone. L'atomo in interazione con le particelle quantistiche del campo elettromagnetico ha un solo stato stabile, quello di energia minore - vicino allo stato fondamentale dell'atomo isolato - e molti stati metastabili - vicini agli stati eccitati dell'atomo isolato - che decadono, dopo tempi più o meno lunghi, in stati con energia minore. Si noti che l'eetto dell'interazione con il campo fotonico deve essere piccolo se è vero che la descrizione fenomenologica di un atomo investito da radiazione è generalmente data in termini dei livelli dell'atomo isolato. In un tipico esperimento di scattering, un fascio collimato di particelle di energia ben denita incide su un bersaglio e le particelle deesse nelle varie direzioni sono contate per mezzo di opportuni contatori. In generale si può assumere che la densità delle particelle nel fascio incidente sia sucientemente bassa da rendere trascurabili le interazioni tra le particelle del fascio. Inoltre, se il bersaglio è sucientemente sottile, si possono trascurare le collisioni multiple di una particella proiettile con diversi centri diusori. Questo permette di trattare il processo di collisione come se fosse coinvolto un proiettile ed una sola particella bersaglio. Indicando con solido dΩ N (θ, φ) dΩ il numero di particelle deesse, in un secondo, nell'angolo attorno alla direzione (θ, φ), si denisce sezione d'urto dierenziale del processo dove I è il usso si particelle N (θ, φ) dσ(θ, φ) = dΩ nI incidenti ed n il numero (1.8) di centri diusori contenuti nel bersaglio. Spesso lo scattering ha simmetria cilindrica, per cui la sezione d'urto dierenziale dipende solo da θ. Capitolo 1. 10 Sistemi quantistici instabili Figura Forma Breit-Wigner di una sezione 1.2: d'urto in prossimità di una risonanza. La manifestazione sperimentale della formazione di risonanze in un processo di collisione è l'osservazione di picchi pronunciati nella sezione d'urto, come mostrato in g. 1.1. In particolare la sezione d'urto in corrispondenza dell'energia di risonanza ER 2 ha la forma di una Lorentziana (Breit-Wigner per i sici, si veda g. 1.2). Nel caso specico di una collisione elastica la sezione d'urto totale per una risonanza in onda s è data da: 2 Γ 2 4π σ(E) = 2 k (E − ER )2 + dove ER Γ 2 2 , (1.9) è l'energia corrispondente al picco della risonanza e Γ è la larghezza a metà altezza della Breit-Wigner. La vita media della risonanza è legata a Γ dalla relazione τ= } . Γ (1.10) In generale, una risonanza può decadere in diversi canali; in questo caso si denisce per ciascun canale una larghezza parziale percentuale di decadimenti λi Γ1 , Γ2 , Γ3 , · · · , che è proporzionale alla Γi = λi }. La larghezza P i λi . La forma generale nel canale relativo, ovvero totale della risonanza è data da Γ= P i Γi così come λ= di una sezione d'urto totale risonante si scrive: σ(E) = dove Γi Γi Γ 4π 2 2 g k 2 (E − ER )2 + Γ 2 2 , (1.11) è la larghezza parziale relativa al canale di decadimento della risonanza nel canale di ingresso e g è un fattore statistico. Quando la sezione d'urto viene 2 Si chiama Lorentziana la funzione ad un picco (normalizzata ad uno): L(x) = dove x0 e Γ 1 Γ/2 π (x − x0 )2 + (Γ/2)2 sono rispettivamente il massimo di L(x) e la larghezza a metà altezza del picco. Capitolo 1. 11 Sistemi quantistici instabili misurata (come avviene generalmente) sommando su tutti gli stati di spin nali e g = (2J + 1)/[(2sa + 1)(2sb + 1)] , sa è lo spin del proiettile e sb quello mediando su quelli iniziali, tale fattore è dato da dove J è il momento angolare della risonanza, del bersaglio. La prima descrizione teorica del meccanismo di formazione di una risonanza fu data, indipendentemente e quasi simultaneamente, da Gamow [20] e da Gurney e Condon [21], nel 1928, come un'applicazione della meccanica quantistica al problema della stabilità nucleare. Si consideri l'urto di un fascio incidente su un bersaglio molto sottile, nelle seguenti condizioni. - La distanza tra i centri diusori è maggiore della lunghezza d'onda di De Bröglie associata alla particella incidente; sono pertanto trascurabili i fenomeni di dirazione. - La massa della particella bersaglio è molto maggiore di quella della particella proiettile; ciò implica che si possono considerare i centri diusori praticamente immobili sia prima che dopo l'urto. - La forza tra il proiettile e il bersaglio è descrivibile mediante un potenziale (classico) V (~r) fortemente attrattivo in una regione limitata dello spazio, limr→∞ r V (~r) = 0; in questo caso esiste una regione nita al di cioè tale che fuori della quale le particelle diuse possano essere considerate libere. Sotto queste ipotesi è possibile ridurre l'urto alla diusione di un'onda piana incidente da parte di un solo centro diusore, immobile prima e dopo l'urto. L'interazione tra proiettile e bersaglio è descritta dal potenziale V (~r), per cui in questa schematizzazione si parla di scattering da potenziale. Nel sistema considerato si verica una diusione risonante del tipo che si ha in una buca di potenziale. Nelle vicinanze dell'energia di risonanza ER , l'onda incidente penetra profondamente nella regione in cui agisce il potenziale; gran parte del pacchetto d'onda incidente resta in tale regione per un tempo τ nito prima di essere riemesso nella forma di un'onda diusa. Durante l'intero periodo che precede la riemissione, la probabilità di presenza della particella nella regione in cui agisce il potenziale è molto alta, come in uno stato legato. Tuttavia, mentre uno stato stazionario ha vita media innita, lo stato metastabile ha una vita media che - pur potendo essere grande è comunque nita. Capitolo 1. 12 Sistemi quantistici instabili 1.2 Stati legati, del continuo e risonanze La proprietà che caratterizza gli stati metastabili e che li distingue dagli stati legati o dello spettro continuo è il loro comportamento a tempi brevi. Al ne di precisare tale caratterizzazione richiamiamo di seguito le prescrizioni della meccanica quantistica per la descrizione della dinamica di un sistema quantistico. In meccanica quantistica la dinamica del sistema è descritta dalla ben nota equazione di Schrödinger, i d | Ψ(t) i = H | Ψ(t) i dt con Ψ0 = | Ψ(t0 ) i (1.12) | Ψ0 i è lo stato del sistema all'istante t0 e sono state scelte unità di misura che } = 1. I successi della (1.12) nei campi più diversi della sica sono dove tali innumerevoli. La linearità dell'equazione di Schrödinger implica che il vettore di stato dipende linearmente dal vettore di stato iniziale | Ψ0 i . | Ψ(t) i = U (t, t0 ) | Ψ0 i , dove U (t, t0 ) | Ψ(t) i Possiamo allora scrivere (1.13) è un operatore lineare unitario che prende il nome di operatore di evoluzione temporale e soddisfa l'equazione i d U (t, t0 ) = H U (t, t0 ), dt (1.14) con la condizione iniziale U (t0 , t0 ) = 1. (1.15) Nell'ipotesi in cui il sistema in considerazione sia isolato, l'operatore hamiltoniano H nella rappresentazione di Schrödinger è indipendente dal tempo. E' facile veri- care che la soluzione della (1.14) assume la forma notevole U (t, t0 ) = e−iH(t−t0 ) (1.16) | Ψ(t) i = e−iHt | Ψ0 i (1.17) per cui dove si è posto t0 = 0. La conoscenza dello spettro dell'Hamiltoniano consente di conoscere ad ogni istante l'evoluzione del sistema, in quanto l'operatore di evoluzione temporale è dato da U (t) = e −iHt Z +∞ e−iλt dEλ = (1.18) −∞ dove Eλ è la famiglia di operatori di proiezione che costituisce la risoluzione spet- trale associata all'operatore autoaggiunto 3 H e l'integrale nella (1.18) è un integrale secondo Stieltjes . La (1.18) è da intendersi nel senso seguente: Z +∞ Uψ (t) = (ψ, U (t)ψ) = e−iλt d(ψ, Eλ ψ) . −∞ 3 Per la denizione di risoluzione spettrale si veda appendice A, pag. 79. (1.19) Capitolo 1. 13 Sistemi quantistici instabili L'operatore di evoluzione temporale è quindi la trasformata di Fourier della misura spettrale di H , d(ψ, Eλ ψ) , corrispondente allo stato ψ. Come ben noto, gli stati legati (corrispondenti allo spettro discreto) dell'Hamiltoniano non danno origine a diusione, mentre stati dello spettro continuo si. La proprietà matematica che distingue questi due casi (e che connette l'intuizione sica con la formulazione matematica) è il decadimento della trasformata di Fourier (1.19) delle corrispondenti misure spettrali. t0 = 0 è nell'autostato | φn i λn dello spettro discreto di H . In questo caso la d(φn , Eλ φn ) = δ(λ − λn ), per cui la (1.19) si riduce a Si consideri un sistema che all'istante iniziale corrispondente ad un autovalore misura spettrale è Uφn (t) = e−iλn t , (1.20) ovvero l'evoluzione temporale di uno stato legato è data da un fattore di fase. Indichiamo con φn (x) = h x | φn i la funzione d'onda che corrisponde allo stato | φn i . | φn (x, t) | 2 di uno stato legato è la La (1.20) implica che la densità di probabilità stessa ad ogni istante; inoltre il valor medio di qualsiasi operatore e la probabilità di misurare un dato valore di un qualsiasi osservabile sono costanti nel tempo. In particolare | φn i t rimane autostato di H con energia denita dall'autovalore λn corrispondente. Per questi motivi, uno stato legato è detto anche stazionario. Lo stato stazionario di energia più bassa viene detto stato fondamentale del sistema, mentre le altre autofunzioni proprie dell'Hamiltoniano deniscono gli stati eccitati. In corrispondenza delle energie λ appartenenti allo spettro continuo di H le au- tofunzioni (dette improprie) non appartengono allo spazio di Hilbert, pertanto non rappresentano stati del sistema. Loro sovrapposizioni continue con coeciente c(λ) a modulo quadrato integrabile sono invece normalizzabili e quindi corrispondono a possibili stati: Z |ψi = c(λ) | φλ i dλ. (1.21) | c(λ) | 2 Consideriamo uno stato tale che la funzione abbia supporto solo sullo 2 3 spettro continuo e studiamone l'evoluzione libera. L'hamiltoniano libero in L (R ) H0 = −∆ / 2m, dove m è la massa della particella. Nel seguito si è posto 2m = 1. 2 L'operatore H0 agisce come una moltiplicazione per p nello spazio dei momenti L2 (R3 ), ovvero h i H0 ψ (x) = F −1 p2 F ψ (p) (1.22) è dove con F si è indicata la trasformata di Fourier. Il proiettore spettrale di la funzione caratteristica sull'insieme formalmente Z [0, +∞) H0 è che ne costituisce lo spettro, ovvero +∞ H0 = −∞ p2 dEp con Ep = χ[0,+∞) . (1.23) Capitolo 1. 14 Sistemi quantistici instabili Usando la (1.17), la (1.22) e la (1.23) si ha: h i 2 ψ(x, t) = ei ∆ t ψ0 (x) = F −1 e− i p t F ψ (p) . (1.24) L'ultimo membro della (1.24) è l'antitrasformata della moltiplicazione di due funzioni nello spazio di Fourier pertanto, usando la nota proprietà F −1 F(f ) F(g) = f ∗ g , dove con f ∗g si è indicata la convoluzione 4 (1.25) delle due funzioni, si ottiene: Z ψ(x, t) = kt (x − y) ψ(y) dy con h i 2 kt (x − y) = F −1 e− i p t = ∀t (1.26) i | x−y | 2 1 4t e . (4πit)3/2 (1.27) Il generatore della dinamica libera per una particella in 3 dimensioni è quindi 2 3 2 3 l'operatore U (t) : L (R ) → L (R ) denito da: U (t)ψ (x) = Se ψ ∈ L1 (R3 ) ∩ L2 (R3 ), 1 (4πit)3/2 Z e i | x−y | 2 4t ψ(y) dy. (1.28) l'evoluzione data dalla (1.28) è tale che sup | ei ∆ t ψ | ≤ x cioè il massimo della funzione c k ψ k L1 t3/2 (1.29) ψ(x, t) decade almeno come t−3/2 . Ciò mostra come in corrispondenza di stati che abbiano componenti solo sullo spettro continuo la 2 −3 densità di probabilità k ψ k decade come t . Questo vuol dire che è suciente aspettare un tempo t piccolo perché ci sia una probabilità diversa da zero di trovare la particella fuori da qualunque regione nita. Una risonanza è inne uno stato quasi legato con un andamento dispersivo per tempi piccoli molto lento rispetto a quello di uno stato dello spettro continuo. In corrispondenza di una risonanza si ha infatti | ψt (x) | 2 = | ψ0 (x) | 2 e−y 4 La convoluzione di due funzioni 2t f, g : R → R su un intervallo [a, b] Z b [f ∗ g](t) = f (τ ) g(t − τ ) dτ (1.30) è data da a dove il simbolo [f ∗ g](t) indica la convoluzione. Più spesso la convoluzione è calcolata su un intervallo nito: Z +∞ [f ∗ g](t) = Z +∞ f (τ ) g(t − τ ) dτ = −∞ f (t − τ ) g(τ ) dτ . −∞ Capitolo 1. 15 Sistemi quantistici instabili con 2 e−y t ' 1 Quanto più la costante y2 per t 1/y 2 . (1.31) è piccola, tanto più a lungo il sistema resterà nel suo stato iniziale. È interessante osservare che la legge di decadimento esponenziale (1.30), nonché tutte le altre proprietà osservabili di una risonanza, si prestano ad essere coerentemente descritte assumendo che essa abbia uno sviluppo temporale identico a quello di uno stato stazionario di un Hamiltoniano formalmente complesso con autovalore z0 = ER − iΓ/2: Ψ(x, t) = e−i (E0 −iΓ/2) t / } Ψ(x, 0) . (1.32) Il valore del modulo quadrato della funzione d'onda (1.32) è infatti | Ψ(x, t) | 2 = | Ψ(x, 0) | 2 e−Γt/} . La parte reale di z0 (1.33) fornisce il valore medio dell'energia, mentre la parte immag- inaria è l'ampiezza della Breit-Wigner, ovvero il tempo di vita medio dello stato metastabile. Al limite per Γ → 0 otteniamo uno stato esattamente stazionario, con tempo di vita innito, la cui distribuzione in energia è una funzione delta. Si noti che il comportamento di un sistema instabile a tempi lunghi dipende dallo stato nale del decadimento. Il sistema può infatti passare in uno stato legato, come accade quando un atomo decade da uno stato eccitato al suo stato fondamentale, oppure in uno stato del continuo, come nel caso di processi di scattering risonante. Capitolo 2 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard In questo capitolo verrà presentata una derivazione standard della legge di decadimento esponenziale e della regola d'oro di Fermi, basata su un approccio di tipo perturbativo. Nel presentare tale derivazione saranno sottolineate le ipotesi neces- 1 sarie e il loro campo di validità . Un accento particolare è posto sulla descrizione di un atomo investito da radiazione: nell'ambito della teoria perturbativa il campo elettromagnetico che causa la transizione tra due diversi autostati dell'atomo è descritto da un potenziale dipendente dal tempo. 2.1 Teoria perturbativa Consideriamo un sistema descritto da un operatore hamiltoniano H(t), in generale dipendente dal tempo, esprimibile come somma di due termini: H(t) = H0 + V (t), dove l'Hamiltoniano libero non dipende esplicitamente dal tempo ed è risolto H0 . V (t) dipende esplicitamente dal tempo, anche se all'istante iniziale il sistema si trova in un autostato di H0 , la perturbazione può il problema con V (t) = 0, H0 (2.1) nel senso che sono noti autovalori ed autovettori di Poichè l'Hamiltoniano di interazione causare transizioni verso stati diversi da quello iniziale. E' conveniente lavorare in rappresentazione di interazione. sentazione l'evoluzione di un generico operatore A In tale rappre- associato ad un'osservabile è dettata solo dal termine di Hamiltoniano libero i d AI (t) = [AI (t), H0 ] , dt 1 Per la stesura di questo capitolo si è seguito in particolare il [16, cap. IV]. 16 (2.2) Capitolo 2. Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard per cui (2.2) l'operatore Schrödinger A = AI (0) AI (t) 17 dipende dall'operatore nella rappresentazione di tramite l'equazione AI (t) = eiH0 t A e−iH0 t . (2.3) In particolare, usando la (2.3), si vede che l'operatore hamiltoniano libero è indipendente dal tempo, mentre l'operatore hamiltoniano di interazione assume la forma VI (t) = eiH0 t V e−iH0 t , dove V (2.4) senza indice va inteso come potenziale dipendente dal tempo nella rap- presentazione di Schrödinger. Tutta la variazione del vettore di stato è dovuta unicamente all'eetto dell'interazione i d | ψI (t) i = VI (t) | ψI (t) i . dt L'operatore di evoluzione temporale U (t, t0 ) (2.5) nella rappresentazione di interazione è dato da UI (t, t0 ) = eiH0 t U (t, t0 ) e−iH0 t = eiH0 t e−iH(t−t0 ) e−iH0 t (2.6) e soddisfa la stessa equazione (2.5) che descrive la dinamica del vettore di stato i d UI (t, t0 ) = VI (t) UI (t, t0 ), dt (2.7) con la condizione iniziale UI (t0 , t0 ) = 1 . (2.8) E' possibile risolvere formalmente l'equazione (2.7) ottenendo uno sviluppo molto importante per la teoria delle perturbazioni. A questo scopo riscriviamo la (2.7) con la condizione iniziale (2.8) sotto forma di equazione integrale Z t UI (t, t0 ) = 1 − i dt1 VI (t1 ) UI (t1 , t0 ) . (2.9) t0 Iterando ripetutamente la (2.9) si arriva allo sviluppo in serie UI (t, t0 ) = ∞ X n Z t t1 dt1 (−i) n=0 Z t0 Z tn−1 dt2 . . . t0 dtn VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) (2.10) t0 che, supposto convergente, dà l'operatore UI (t, t0 ). dinaria e non un operatore, la funzione integranda VI fosse una funzione orVI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) sarebbe Se simmetrica nei suoi argomenti e l'integrazione potrebbe essere estesa a tutto l'ipercubo n-dimensionale di lato [ t0 , t ] permutando i fattori integrandi. Si otterrebbe così: Z t UI (t, t0 ) = exp −i t0 dt0 VI (t0 ) . (2.11) Capitolo 2. Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard Questa operazione si basa sulla commutatività dei fattori ti diversi, proprietà in generale non valida poiché VI VI 18 considerati ad istan- dipende esplicitamente dal tempo: [ VI (t0 ) , VI (t00 ) ] 6= 0 per Si noti che, come mostra la (2.4), l'operatore VI t0 6= t00 . (2.12) nella rappresentazione di inte- razione dipende dal tempo anche se nella rappresentazione di Schrödinger non vi dipende. E' possibile, tuttavia, simmetrizzare l'espressione integranda notando che nella (2.10) si ha t1 > t2 > . . . > tn (2.13) T VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) , (2.14) ed introducendo l'espressione che prende il nome di prodotto cronologico o prodotto temporalmente ordinato. Esso è denito come il prodotto dei fattori disposti secondo l'ordine dei tempi decrescenti (2.13). Ad esempio si ha T VI (t1 ) VI (t2 ) ≡ VI (t1 ) VI (t2 ) VI (t2 ) VI (t1 ) per per t1 > t2 t1 < t2 (2.15) ovvero T VI (t1 ) VI (t2 ) = VI (t1 ) VI (t2 ) θ(t1 − t2 ) + VI (t2 ) VI (t1 ) θ(t2 − t1 ) (2.16) dove θ(t) è la funzione gradino di Heaviside. Introducendo il prodotto cronologico nella (2.10) si può estendere l'integrazione a tutto l'ipercubo scrivendo UI (t, t0 ) = Z ∞ X (−i)n n! n=0 o, formalmente, t t0 Z t dt1 Z t dt2 . . . t0 dtn T VI (t1 )VI (t2 ) . . . VI (tn ) (2.17) t0 h Z t i 0 0 UI (t, t0 ) = T exp −i dt VI (t ) . (2.18) t0 L'equazione (2.17) prende il nome di sviluppo di Dyson. In principio esso permette di trovare la soluzione completa del problema delle perturbazioni dipendenti dal tempo. In pratica è di solito impossibile calcolare più di pochi termini dell'es- pansione e, cosa peggiore, in molti casi l'espansione converge molto lentamente o non converge per nulla. Esistono anche importanti interazioni (decadimento beta, legami interatomici nei liquidi e nei gas) per i quali ogni termine della (2.17) risulta innito, anche se UI certamente esiste. Nonostante ciò, lo sviluppo di Dyson viene usato con grande successo in elettrodinamica quantistica, meccanica statistica e altre aree importanti della sica. Capitolo 2. 19 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard In teoria dei campi a partire dalla (2.18) si denisce l'operatore S≡ lim UI (t, t0 ) , (2.19) t →+∞ t0 →−∞ che lega tra loro gli stati asintotici del sistema | ψ(+∞) i = S | ψ(−∞) i . (2.20) Per assicurare la convengenza del limite nella (2.19) si può eventualmente introdurre un'accensione e uno spegnimento adiabatico dell'interazione e− | t | con → 0+ , per cui si ha formalmente h Z S = lim+ T exp −i →0 +∞ 0 0 dt VI (t ) e − | t | i . (2.21) −∞ Se prima dell'interazione il sistema si trovava nello stato iniziale |ii, vale a dire in una certa collezione di particelle libere, l'ampiezza di probabilità di ottenere, per eetto dell'interazione VI , uno stato nale |f i, cioè un'altra collezione di particelle libere, è data dall'espressione Sf i = h f | ψ(+∞) i = h f | S | i i . I coecienti Sf i (2.22) formano la matrice di diusione o matrice S, che contiene tutte le informazioni sul processo di diusione o di decadimento in considerazione. Assumiamo che il sistema si trovi all'istante dell'operatore hamiltoniano libero | ψ0 i = | a i , H0 | a i = Ea | a i , t0 = 0 in un dato autostato dove h a | a i = 1. (2.23) Chiamiamo ampiezza di sopravvivenza A(t) = h ψ0 | ψt i , (2.24) ovvero l'ampiezza di probabilità che una determinazione dello stato del sistema al tempo t fornisca il valore inziale | ψ0 i . Con la nostra scelta dello stato iniziale, utilizzando l'espressione (2.6) dell'operatore di evoluzione e la (2.23), possiamo riscrivere la (2.24) nella forma: A(t) = h ψ0 | U (t, 0) | ψ0 i = h a | e−iH0 t UI (t, 0) | a i = e−iEa t h a | UI (t, 0) | a i . usando la (2.6) usando la (2.23) (2.25) Capitolo 2. 20 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard Sostituendo lo sviluppo di Dyson (2.17) nella (2.25) otteniamo: A(t) = e −iEa t Z ∞ X (−i)n n=0 n! t dt1 t0 Z t Z dt2 . . . t0 t dtn t0 h a | T VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) | a i . Se l'interazione è caratterizzata da una costante di accoppiamento (2.26) χ la (2.26) è uno sviluppo in serie di potenze della costante di accoppiamento; se χ 1 è suciente considerare i primi termini non nulli dello sviluppo per ottenere una buona approssimazione di A(t): A(t) = A0 (t) + A1 (t) + A2 (t) + O(χ3 ) . (2.27) Siamo interessati ai seguenti problemi. a ) Interazione tra un atomo e il campo di radiazione: dell'atomo isolato e V (t) H0 è l'Hamiltoniano è un potenziale periodico nel tempo che descrive 2 l'interazione tra l'atomo e il campo elettromagnetico . In particolare, V (t) = V0 eiωt + V0∗ e−iωt . b ) Diusione di una particella libera da parte di una particella-bersaglio: H0 descrive la dinamica di una particella libera, mentre l'interazione con l'atomobersaglio è descritta mediante un potenziale V, indipendente dal tempo, fortemente attrattivo in una regione limitata dello spazio. 2 L'Hamiltoniano che determina i livelli dell'atomo isolato non contiene alcun campo radiativo, ma solo un potenziale statico che descrive l'interazione tra un singolo elettrone e il nucleo. Ad esempio, l'Hamiltoniano dell'atomo di idrogeno è H0 = p2 /2m + V (r), dove V (r) è il potenziale di Coulomb. La possibilità di ridurre il problema atomico ad un problema ad una sola particella (il singolo elettrone) in un campo statico generato dal nucleo è una conseguenza delle proprietà fermioniche degli elettroni. Capitolo 2. Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 21 2.2 Perturbazione indipendente dal tempo e perturbazione armonica Si consideri il caso di una perturbazione che non dipende esplicitamente dal tempo. Calcoliamo il termine di ordine zero della (2.27): A0 (t) = e−iEa t h a | a i = e−iEa t . (2.28) Per il termine del primo ordine, utilizzando la (2.4), si ottiene A1 (t) = e −iEa t t Z dt0 h a | VI (t0 ) | a i (−i) 0 = e−iEa t (−i) t Z 0 0 dt0 h a | eiH0 t V e−iH0 t | a i 0 = e−iEa t (−it) h a | V | a i . Nel caso in cui la perturbazione {|ai} V (2.29) abbia solo elementi non diagonali fra gli autostati dell'operatore hamiltoniano libero, ovvero ha|V |ai = 0 ∀ | a i : H0 | a i = Ea | a i , (2.30) la (2.29) si annulla identicamente: A1 (t) = 0 . (2.31) Per il termine del secondo ordine, sempre usando la (2.4), si ottiene: −iEa t A2 (t) = e Z t Z t1 − dt1 dt2 h a | VI (t1 ) VI (t2 ) | a i 0 0 Z t Z t1 −iEa t iH0 t1 −iH0 t1 iH0 t2 −iH0 t2 =e − dt1 dt2 h a | e V e e V e |ai 0 0 Z t Z t1 −iEa t iEa (t1 −t2 ) −iH0 (t1 −t2 ) =e − dt1 dt2 e ha|V e V |ai . 0 (2.32) 0 Inserendo nella (2.32), tra gli operatori di interazione X V, la quantità | f ih f | = 1 , (2.33) f dove gli stati |f i sono anch'essi autostati di h a | V e−iH0 (t1 −t2 ) V | a i = X H0 , si ha h a | V e−iH0 (t1 −t2 ) | f i h f | V | a i f = X f e−iEf (t1 −t2 ) | h f | V | a i |2 . (2.34) Capitolo 2. Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 22 Sostituendo la (2.34) nella (2.32) si ottiene −iEa t A2 (t) = e h − X 2 t Z |hf |V |ai| dt1 0 f t1 Z dt2 e −i (Ef −Ea )(t1 −t2 ) i . (2.35) 0 L'integrale della (2.35) si può facilmente risolvere ponendo come variabile di inte- τ = t1 − t2 : Z t Z t1 Z t1 Z t − i (Ef −Ea ) (t1 −t2 ) dτ e− i (Ef −Ea ) τ dt1 dt2 e = dt1 grazione 0 0 0 0 Z = t dt1 0 e− i Ef −Ea ) t1 − 1 1 − e− i (Ef −Ea ) t t = + 2 − i (Ef − Ea ) (Ef − Ea ) i (Ef − Ea ) 1 − cos (Ef − Ea ) t sin (Ef − Ea ) t t = + i + . (Ef − Ea )2 (Ef − Ea ) (Ef − Ea )2 (2.36) Sostituendo la (2.36) nella (2.35) si ha 2 ( A2 (t) = e−iEa t − ( − i e−iEa t Ef −Ea 2 X 2 sin h f | V | a i 2 (Ef − Ea )2 f X h f | V | a i 2 f ) t ) sin (Ef − Ea ) t t + . (Ef − Ea ) (Ef − Ea )2 (2.37) Sostituendo la (2.28), la (2.29) e la (2.37) nella (2.27) e calcolandone il quadrato del modulo si ottiene la probabilità di sopravvivenza al secondo ordine P(t) = | A(t) | 2 = 1 + t2 | h a | V | a i |2 sin2 X 2 − |hf |V |ai| f Ef −Ea 2 Ef −Ea 2 t 2 + O(χ3 ) . (2.38) Alla probabilità di sopravvivenza (2.38) contribuisce solo la parte reale dell'ampiezza del secondo ordine (2.37), in quanto la parte immaginaria apporta solo contributi di ordine superiore al secondo nella costante di accoppiamento termine 2 " | h f | V | a i |2 sin Ef −Ea 2 Ef −Ea 2 χ. Si noti che il 2 # (2.39) 2 f =a Capitolo 2. Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 23 nella (2.38) si compensa identicamente con il termine dovuto ad A1 (t), t2 | h a | V | a i |2 (2.40) sin2 (ωt) = t2 . ω→0 ω2 (2.41) poiché lim Di conseguenza la probabilità di sopravvivenza all'ordine perturbativo considerato risulta essere X P(t) = | A(t) | 2 = 1 − f 6=a sin2 2 |hf |V |ai| Ef −Ea 2 Ef −Ea 2 t 2 + O(χ3 ) , (2.42) ovvero si ha lo stesso risultato che si avrebbe nel caso in cui l'operatore di interazione soddisfacesse la (2.30). D'altra parte gli elementi di autostati di H0 V diagonali negli comportano solo una traslazione degli autostati dell'Hamiltoni- ano imperturbato, mentre l'interazione vera e propria è descritta dai termini fuori diagonale. Per la conservazione della probabilità, espressa matematicamente dall'unitarietà dell'operatore di evoluzione (1.16), si deve avere X Pf a (t) = X = X ∀t | h f | U (t, t0 ) | a i | 2 f f h a | U † (t, t0 ) | f i h f | U (t, t0 ) | a i f = h a | U † (t, t0 ) U (t, t0 ) | a i = 1 . Poichè Paa (t) = P(t) (2.43) dalla (2.43) si ottiene P (t) = 1 − X Pf a (t) . (2.44) f 6=a Dal confronto tra la (2.38) e la (2.44) è evidente che i termini della sommatoria nella (2.42) rappresentano le probabilità che al tempo negli stati |f i, t il sistema eettui una transizione allo stesso ordine della teoria perturbativa. transizione dallo stato |ai allo stato |f i La probabilità di è pertanto data da: 2 2 Ef −Ea t 2 sin 2 Pf a (t) = h f | V | a i + O(χ3 ) . 2 Ef −Ea 2 (2.45) Capitolo 2. 24 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard Figura 2.1: Funzione sin(ω t)/ω 2 . Allo stesso risultato si giunge in maniera diretta, valutando l'ampiezza di transizione h f | U (t, 0) | a i = e−iEa t h f | UI (t, 0) | a i Z t −iEa t 0 0 = e h f | 1 − i dt V (t ) | a i + O(χ2 ) 0 = − i e−iEa t hf |V |ai t Z dt0 ei(Ef −Ea )t + O(χ2 ) 0 = − i e−iEa t ei Ef −Ea 2 " t # E −E sin f 2 a t + O(χ2 ) hf |V |ai Ef −Ea 2 (2.46) e calcolandone il quadrato. Le formule precedenti sono valide in generale, anche in presenza di degenerazione energetica dei livelli. Si noti che la probabilità di transizione (2.45) al variare del tempo t oscilla con una pulsazione ωf a = Ef − Ea (2.47) che aumenta con l'aumentare della distanza energetica tra lo stato | a i e lo stato | f i . L'ampiezza di oscillazione invece è proporzionale a 1/(ωf a )2 e ha un picco pronunciato quando ωf a = 0, ovvero i due stati hanno la stessa energia. Si veda a proposito la gura 2.1. Nel caso in cui Pf a (t) Ef =Ea ωf a = 0, usando la (2.41), la (2.45) diventa = | h f | V | a i |2 t2 + O(χ3 ) (2.48) cioè la probabilità di transizione cresce come il quadrato del tempo. A tale comportamento è legato l'eetto Zenone quantistico (si veda ad es. [15, 16]): poiché la probabilità di popolare stati diversi da quello inziale cresce quadraticamente con Capitolo 2. 25 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard il tempo risulta possibile inibire la transizione verso stati diversi da quello iniziale tramite una serie di misure ripetute. E' da sottolinearsi che la (2.48) è un'espressione valida solo per tempi piccoli, soddisfacenti la t |hf |V |ai| 1 (2.49) in modo tale che il primo termine non nullo dello sviluppo perturbativo approssimi bene la somma della serie. Per tempi più lunghi viene a cadere la validità della teoria delle perturbazioni. Pertanto, sebbene lo sviluppo perturbativo sia eet- tuato in termini della costante di accoppiamento, esso ha validità in un intervallo temporale nito, dell'ordine dell'inverso della costante di accoppiamento, come si evince dalla (2.49). Si consideri ora il caso di un potenziale dipendente dal tempo che varia in modo sinusoidale, noto usualmente come perturbazione armonica : V (t) = V0 eiωt + V0∗ e−iωt . (2.50) Le relazioni per la probabilità di sopravvivenza e la probabilità di transizione dallo stato |ai ad uno stato |f i sono identiche a quelle ricavate per una perturbazione indipendente dal tempo, salvo per il fatto che la pulsazione Ef − Ea , ωf a non è data da bensì ωf a = Ef − Ea ± ω . (2.51) Infatti, nel calcolo delle ampiezze di sopravvivenza, il potenziale ±iωt tribuisce all'integrale sul tempo con il termine e . Si trova: 2 sin Pf a (t) = h f | V | a i 2 Ef −Ea ±ω 2 Ef −Ea ±ω 2 2 t 2 V0 e±iωt + O(χ3 ) . con- (2.52) Ciò corrisponde al fatto che il potenziale esterno scambia energia con il sistema quantistico, per cui il picco dell'ampiezza di oscillazione della probabilità di transizione si ha per energie nali tali che Ef = Ea + ω o Ef = Ea − ω , a seconda che il potenziale abbia ceduto o sottratto energia al sistema. (2.53) Capitolo 2. 26 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 2.3 Spettro discreto: evoluzione quasi periodica L'analisi del paragrafo precedente è di validità generale e prescinde dalle caratteristiche dei modelli studiati. Si consideri ora un hamiltoniano H con spettro discreto: H | r i = Er | r i . (2.54) Utilizzando la condizione di chiusura su un insieme ortonormale completo di autovettori di H X | r ih r | = 1 (2.55) r e la (1.16) l'ampiezza di sopravvivenza si può scrivere A(t) = h a | U (t, t0 ) | a i X X | h a | r i |2 e−iEr t h a | e−iH t | r i h r | a i = = (2.56) r r dove la somma nella (2.56) è al più su un insieme numerabile di termini, essendo lo spettro discreto. Se i livelli energetici Er hanno valori commensurabili tra loro, la (2.56) si riduce alla somma di una serie di Fourier e rappresenta perciò una funzione periodica di pulsazione pari al massimo comun divisore dei valori Er . Nel caso in cui, invece, ci siano livelli energetici incommensurabili fra loro, la A(t) non è più strettamente periodica, cioè il sistema non ripassa più per lo stato iniziale per nessun intervallo di tempo nito. Tuttavia è suciente aspettare un tempo sucientemente grande perché il sistema passi tanto vicino quanto si voglia allo stato iniziale. sistema al tempo t Si ottiene cioè un moto quasi periodico. Infatti, lo stato del può essere scritto nella forma | ψ(t) i = e−iH t | a i = ∞ X | r ih r | e −iH t |ai = r=1 avendo posto | ψ(0) i cr = h r | a i . ∞ X cr e−iEr t | r i , (2.57) r=1 La distanza tra lo stato | ψ(t) i e lo stato iniziale vale allora D(t) = kψ(t) − ψ(0)k2 = h ψ(t) − ψ(0) | ψ(t) − ψ(0) i = ∞ X c∗r cs eiEr t − 1 e−iEs t − 1 h r | s i r,s=1 = 2 ∞ X r=1 | cr | 2 1 − cos(Er t) = 4 ∞ X r=1 2 | cr | sin 2 Er t 2 . (2.58) Capitolo 2. 27 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard Nell'ipotesi in cui lo stato sia normalizzabile si ha 2 kψ(t) − ψ(0)k = ∞ X | cr | 2 = 1 (2.59) r=1 pertanto, ssato un numero ε positivo piccolo a piacere, ∞ X | cr | 2 < r=ν+1 esiste un intero ε . 8 ν tale che (2.60) Possiamo allora scrivere 4 ∞ X 2 2 | cr | sin r = ν+1 e quindi Er t 2 ≤ 4 ∞ X | cr | 2 < r = ν+1 ε , 2 ν X 2 2 Er t | cr | sin f (t) = 4 . 2 r=1 D(t) < f (t) + con Poiché f (t) ε 2 (2.61) (2.62) (2.63) è una somma nita di funzioni periodiche continue e limitate essa 3 è una funzione quasi periodica . 4 relativamente denso { T }τ (ε) In corrispondenza di ε esiste cioè un insieme sulla retta reale tale che, per ogni suo elemento vale la relazione T ε . 2 (2.64) D(t) = kψ(t) − ψ(0)k2 < ε (2.65) |f (T ) − f (0)| = f (T ) < Possiamo quindi aermare che la relazione è valida in un insieme relativamente denso della retta reale. Il comportamento dei sistemi quantistici con spettro discreto presenta quindi un fenomeno di ricorrenza del tutto analogo a quello di Poincaré per i sistemi classici costretti in una regione limitata dello spazio delle fasi. 3 Si veda ad esempio [9]. 4 Un insieme di numeri reali si dice relativamente denso (nell'insieme dei reali) se esiste un valore σ tale che ogni intervallo di ampiezza σ contiene almeno un elemento dell'insieme. Se un insieme è denso è anche relativamente denso, ma il viceversa non è vero. Per esempio l'insieme dei numeri relativi è relativamente denso (ma non denso) nei reali. τ = inf σ rappresenta il tempo di ricorrenza. Dal punto di vista sico Capitolo 2. 28 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard 2.4 Spettro continuo: sistema instabile Si consideri un sistema con spettro energetico continuo. La sommatoria nella (2.56) va interpretata come un integrale, almeno per quanto riguarda l'autovalore dell'energia: Z dE ωa (E) e−iEt , A(t) = dove ωa (E) |ai è la densità energetica dello stato iniziale ωa (E) = X (2.66) | h r | a i |2 δ(E − Er ) . (2.67) r r nel caso continuo contiene un integrale sui numeri quantici che caratterizzano lo stato | r i di energia Er . Se si inserisce nella (2.56) un sistema completo di autostati di H { | E, s i }, dove E è l'energia ed s sono altri numeri quantici degeneri rispetto ad E si ha: Z XZ −iH t dE h a | e | E, s i h E, s | a i = dE ωa (E) e−iEt (2.68) A(t) = La sommatoria su s con ωa (E) = X | h E, s | a i |2 . (2.69) s La (2.69) è identica alla (2.67) ma è scritta in modo diverso: infatti è già stato eettuato l'integrale sulle funzioni δ. L'ampiezza di sopravvivenza nel caso di spettro continuo è espressa tramite un integrale di Fourier e, quindi, non è più una funzione periodica. In particolare può tendere a zero per t → ∞. Ciò mostra che un sistema quantistico realmente instabile deve necessariamente possedere uno spettro continuo. Inserendo nell'espressione (2.38) della probabilità di sopravvivenza la quantità Z 1= dE δ(E − Ef ) e scambiando la sommatoria con l'integrale, si ottiene che per un sistema instabile tale probabilità vale: Z P(t) = 1 − 2 2 ωf a t sin X 2 + O(χ3 ) . dE | h f | V | a i |2 δ(E − Ef ) 2 ωf a 2 f 6=a Nel caso di perturbazione indipendente dal tempo (2.70) ωf a = Ef − Ea ; si giunge quindi all'espressione: Z P(t) = 1 − 2 dE ρ(E) |h E k V k a i|2 sin E−Ea 2 E−Ea 2 2 t 2 + O(χ3 ) , (2.71) Capitolo 2. dove ρ(E) Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard è la densità energetica degli stati nali ρ(E) = X |f i di energia 29 Ef δ(E − Ef ) , (2.72) f mentre con |h E k Hint k a i|2 sono stati indicati gli elementi di matrice ridotta dell'- operatore di interazione, ovvero la media degli elementi di matrice su tutti i numeri quantici rimanenti una volta ssata l'energia: P 2 |h E k V k a i| = f 6=a | h f | V | a i |2 δ(E − Ef ) . ρ(E) Nel caso di una perturbazione armonica del tipo V0 e±iωt si ha (2.73) ωf a = Ef − Ea ± ω , per cui: 2 Z dE ρ(E) |h E k V k a i|2 P(t) = 1 − sin E−Ea ±ω 2 2 E−Ea 2 2 t + O(χ3 ) . (2.74) La (2.71) e la (2.74) consentono una derivazione breve ed ecace della regola d'oro di Fermi nel caso di perturbazione indipendente dal tempo e di perturbazione armonica. Consideriamo un sistema instabile, la cui probabilità di sopravvivenza nell'approssimazione perturbativa è data dalla (2.71). E' possibile individuare un intervallo di energia ∆E intorno ad Ea in cui il prodotto della densità degli stati per l'elemento di matrice rimane praticamente costante e uguale al suo valore centrale ρ(E)|h E k V k a i|2 ' ρ(Ea )|h Ea k V k a i|2 per |E − Ea | < ∆E . (2.75) Per quanto riguarda invece la funzione sin2 (ωt)/ω 2 essa al variare di ω ha un massimo nell'origine pari a ωm = m 2π , t con (2.76) t2 e degli zeri per m = ±1, ±2, . . . t il valore del massimo della (2.76) cresce quadraticamente mentre la distanza tra gli zeri diminuisce sempre più. Per tempi t che soddisfano la condizione Al crescere di t 2π ∆E la (2.76) oscilla rapidamente all'interno dell'intervallo (2.77) ∆E e ha un picco pronun- ciato nell'origine. Possiamo pertanto scrivere con buona approssimazione che la Capitolo 2. Figura 2.2: energia ω a) Emissione stimolata: il sistema quantistico cede al potenziale V (cosa possibile solo se lo stato iniziale è eccitato). b) Assorbimento: il sistema quantistico riceve energia da 30 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard V ω e nisce in uno stato eccitato. probabilità di sopravvivenza, nel caso di perturbazioni indipendenti dal tempo, è data da P(t) = 1 − ρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2 Z +∞ −∞ 2 a sin2 E−E t 2 dE 2 , (2.78) E−Ea 2 dove la condizione (2.77) è stata usata per estendere l'integrazione a tutto l'asse reale. L'integrale (2.78) può essere risolto in modo elementare e si ottiene: P(t) = 1 − 2πρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2 t ' exp(−γ t) dove il tasso di transizione γ (2.79) è costante nel tempo e pari a γ ≡ 2π ρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2 = 2π X | h f | V | a i |2 δ(Ef − Ea ) . (2.80) f 6=a L'equazione (2.80) è nota come regola d'oro di Fermi, nome che le viene dalla sua semplicità ed importanza. La funzione delta nella (2.80) assicura che l'interazione provochi transizioni soltanto verso stati nali che hanno la stessa energia di quello iniziale. Per una perturbazione armonica il tasso di transizione γ = 2π X γ nella (2.79) è dato da: | h f | V | a i |2 δ(Ef − Ea ± ω) . (2.81) f 6=a In questo caso la condizione di conservazione dell'energia non è soddisfatta dal solo sistema quantistico, ma l'apparente mancanza di conservazione è compensata dall'energia ceduta o estratta dal potenziale esterno V (t). Una descrizione pittorica di ciò è data dalla gura 2.2. Nel caso a) il sistema quantistico cede energia ω a V (emissione stimolata ); ciò è possibile solo se lo stato iniziale è eccitato. Nel caso b) il sistema quantistico riceve un'energia (assorbimento ). ω da V e nisce in uno stato eccitato Capitolo 2. 31 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard Formalmente la regola d'oro di Fermi si può ottenere a partire dalla (2.71) nel limite t→∞ utilizzando sin2 (ωt) lim = πδ(ω) t→∞ t ω2 (2.82) Si ha infatti Z P(t) ' 1 − π t E − Ea dE ρ(E) |h E k V k a i| δ 2 2 da cui, utilizzando le proprietà della (2.83) δ(x), si ottiene immediatamente la (2.78). Del tutto analogamente può essere ritrovata la (2.74). Questo procedimento formale nasconde però alcune ipotesi fondamentali che limitano il campo di validità della (2.80) (rispettivamente della (2.81)). Infatti, oltre al limite inferiore sul tempo dettato dalla (2.77), esiste anche un limite superiore, dovuto al fatto che per tempi troppo grandi vengono a cadere le ipotesi della teoria perturbativa. Gli sviluppi fatti sono validi infatti nché il termine lineare in si mantiene minore dell'unità, ovvero per tempi t < Il valore di ∆E t t al secondo membro della (2.79) che soddisfano la condizione 1 . γ (2.84) nella (2.77) è di solito dello stesso ordine di grandezza dell'energia γ è molto minore di Ea , pertanto esiste un intervallo considerevole t in cui sono soddisfatte contemporaneamente entrambe le condizioni sul tempo iniziale, mentre di (2.77) e (2.84) 1 2π t < . ∆E γ (2.85) Per tutto l'intervallo di tempi intermedi (2.85) la regola d'oro di Fermi (2.80) assume la sua piena validità e la probabilità di sopravvivenza segue con ottima approssimazione la legge esponenziale (2.79). Tuttavia il limite superiore nella (2.85) risulta di fatto troppo restrittivo. Infatti il risultato ottenuto P (t) ' exp(−γt) vale solo per tempi tali che la probabilità di sopravvivenza si discosti poco dall'unità, cioè per tempi minori della vita media. Solo in questo intervallo, infatti, l'esponenziale viene ben approssimato da un andamento lineare, che è in eetti ciò che si ricava esplicitamente dalla teoria perturbativa. Invece sperimentalmene la legge esponenziale descrive bene il decadimento su periodi molto più lunghi della vita media. Capitolo 3 Un approccio non perturbativo Questo capitolo è dedicato alla presentazione di un'analisi teorica per la caratterizzazione delle risonanze nell'ambito della teoria da potenziale. recenti (si veda ad es. H0 Molte analisi [5, 13, 23, 26, 32]) mostrano che, dato un Hamiltoniano che abbia stati legati immersi nello spettro continuo, genericamente una per- turbazione di H0 sposta tali autovalori in un successivo foglio di Riemann della variabile energia, nelle vicinanze dell'asse reale, come mostrato in g. 3.1. Ciò si palesa nell'osservazione di picchi nella sezione d'urto di un processo di scattering in prossimità della parte reale dell'energia degli autovalori perturbati. Nel capitolo è presentato un metodo di analisi spettrale utilizzato per lo studio di perturbazioni di Hamiltoniani con autovalori immersi nel continuo, noto come metodo delle dilatazioni, che rappresenta un lone di ricerca che arriva no ad oggi. Un breve spazio è dedicato in coda al capitolo all'importanza assunta dalle risonanze nell'ambito del quadro assiomatico della teoria della matrice S. Figura 3.1: Formazione di risonanze: continuo dell'Hamiltoniano H0 gli stati immersi nel passano nelle cosiddette energie complesse non siche per eetto di una perturbazione. 32 Capitolo 3. 33 Un approccio non perturbativo E' utile richiamare il concetto di risolvente dell'operatore hamiltoniano. 3.1 L'hamiltoniano H e il suo risolvente H Lo spettro di può essere caratterizzato da varie funzioni limitate dell'operatore 1 Hamiltoniano, dalla conoscenza delle quali è possibile risalire alla misura spettrale . U (t) (vedi appendi H , ovvero la funzione della variabile complessa z , Funzioni di questo tipo sono l'operatore di evoluzione temporale dice A pag. 82) e il risolvente a valori operatori sullo spazio di Hilbert, denita da: dove con Eλ +∞ Z 1 R(z) ≡ = H −z 1 dEλ , λ−z −∞ (3.1) si è indicata la schiera spettrale corrispondente all'operatore H. La (3.1) è da intendersi nel senso seguente: Z +∞ Rψ (z) = (ψ, R(z)ψ) = −∞ 1 d(ψ, Eλ ψ) . λ−z (3.2) L'interesse per l'operatore risolvente, chiamato funzione di Green di to al fatto che tro di H: dai punti H , è dovu- R(z) è una funzione analitica le cui singolarità costituiscono lo spet- gli autovalori discreti sono poli semplici e lo spettro continuo è costituito λ in cui (H − λ) ha inverso non limitato. In tutti gli altri punti fuori dallo spettro il risolvente è un operatore limitato e, detta 2 dallo spettro, si prova che la sua norma ∆(z) la distanza di z è data da kR(z)k = 1 . ∆(z) (3.3) Valgono le seguenti relazioni operatoriali che legano il risolvente e l'operatore di evoluzione: η∞ Z eizt U (t) dt R(z) = −i (3.4) 0 1 U (t) = 2πi dove Z e−izt R(z) dz , (3.5) B η è il segno di Im z , mentre il cammino di integrazione nel piano complesso B , detto cammino di Bromwich, è costituito da una retta orizzontale nel semipiano Im z < 0 t>0 Im z > 0 (quindi al di sotto di tutte le singolarità del risolvente) che per è chiusa in senso antiorario da un grande semicerchio nel semipiano così da contenere tutte le singolarità; per invece chiuso nel semipiano Im z < 0, t<0 il cammino di integrazione viene dove, non essendoci singolarità, si ottiene un risultato nullo. 1 Per la denizione di misura spettrale e il teorema di risoluzione spettrale si veda pag. 79, appendice A. 2 La norma di un operatore O è denita nel seguente modo: generico vettore della sfera unitaria. kOk = supkxk=1 kOxk, con x Capitolo 3. 34 Un approccio non perturbativo Figura Cammino 3.2: di integrazione dell'antitrasformata di Laplace. Si consideri un Hamiltoniano no con H con spettro interamente discreto. Si indichi- E0 , E1 , . . . , Ei , . . . gli autovalori di H , | ψi i le corrispondenti autofunzioni. ne, e con ripetuti nel caso di degenerazioL'operatore Pi = | ψ i i h ψ i | è il proiettore sull'autospazio relativo all'autovalore i-esimo: H Pi = Ei Pi . (3.6) Valgono le relazioni di chiusura e ortogonalità: Pi Pj = δij Pi X e Pi = 1 . (3.7) i Dalla denizione di risolvente si ha R(z)Pi = Pi z − Ei (3.8) Pi . z − Ei (3.9) e quindi R(z) = X i Utilizzando la (3.9) è banale vericare che il residuo del risolvente in un suo polo Ei è il proiettore Pi corrispondente. Utilizzando il teorema dei residui si ha: 1 Pi = 2πi dove Γi I R(z) dz , è un contorno chiuso nel piano complesso che contiene singolarità di R(z). Ei ma non le altre Γ è un contorno chiuso nel piano complesso H e PΓ è la somma dei proiettori Pi contenuti all'interno di Γ vale: I 1 PΓ = R(z) dz . (3.11) 2πi Γ Più in generale, se che non passa attraverso alcun autovalore di relativi agli autovalori (3.10) Γi Capitolo 3. 35 Un approccio non perturbativo Si consideri ora il caso generale in cui continuo. Se λ H abbia sia spettro puntuale che spettro è un punto isolato dello spettro di H, ovvero esiste ε>0 tale che {z ∈ C : |z − λ| < ε} ∩ σ(H) = {λ} , (3.12) il proiettore ortogonale sull'autospazio corrispondente all'autovalore λ di H si ot- tiene, come visto, con il teorema dei residui: 1 Pλ = − 2πi con Γr = {z ∈ C : |µ − λ| = r} e I Γr 1 dµ H −µ (3.13) 0 < r < ε. Il proiettore sulla parte continua dello spettro, invece, è dato dalla seguente relazione, nota come formula di Stone (si veda ad. es [28, pag. 237]): 1 lim ε→0 2πi Z b a 1 1 − H − (λ + iε) H − (λ − iε) dλ = 1 P [ a, b ] + P ( a, b ) 2 (3.14) ε si intende un numero reale piccolo e positivo nel limite in cui tende a zero. Con P [ a, b ] e P ( a, b ) si sono indicati rispettivamente il proiettore sugli stati di energia compresa tra Ea ed Eb e il proiettore sugli stati di energia Ea ≤ E ≤ Eb . Si noti che se H ha spettro discreto P [ a, b ] 6= P ( a, b ) in quanto la misura (che denidove con amo, per convenzione, continua da destra) può presentare un salto in un estremo, in corrispondenza di un autovalore. Nel caso in cui lo spettro è puramente continuo, invece, non vi è dierenza tra i due proiettori. La formula di Stone si ottiene banalmente una volta che si noti che la funzione 1 fε (x) = 2πi Z b a 1 1 − x − λ − iε x − λ + iε dλ (3.15) è l'integrale di una Lorentziana 1 fε (x) = π che nel limite ε→0 Z a b ε dλ (x − λ)2 + ε2 (3.16) tende a 0 x∈ / [a, b ] ; 1 x = a o x = b; fε (x) → 2 1 x ∈ (a, b) . (3.17) Capitolo 3. 36 Un approccio non perturbativo 3.2 Perturbazioni dello spettro e risonanze Lo scopo della teoria delle perturbazioni è determinare la variazione dello spettro di un operatore le cui proprietà spettrali siano per ipotesi note quando gli si aggiunga una perturbazione, cioè un operatore che possa essere considerato piccolo in H0 qualche senso. Detto l'operatore le cui proprietà spettrali sono note, si consid- eri un operatore perturbato T (β) = H0 + β V , dove β è un parametro reale (spesso detto costante di accoppiamento ) che misura l'intensità della perturbazione specicata dall'operatore con V. In questa notazione l'operatore imperturbato H0 si indica T (0). Si dimostra che lo spettro discreto varia con continuità per eetto di una pertur- bazione. In particolare gli autovalori (autovettori) dell'Hamiltoniano perturbato possono essere scritti a partire dagli autovalori (autovettori) dell'Hamiltoniano imperturbato come serie di potenze nella perturbazione. La teoria delle perturbazioni regolari di Kato [24] dà semplici criteri secondo i quali si può provare che tali serie formali hanno un raggio di convergenza non nullo. Per una trattazione completa della teoria delle perturbazioni per spettro discreto si rimanda al [30, XII.2]; di seguito ci limitiamo ad enunciare un risultato rilevante. L'operatore V sia tale che D(V ) ⊂ D(H0 ) e valga k V ψ k ≤ a k H0 ψ k + b k ψ k In questo caso V ∀ ψ ∈ D(H0 ) a, b ∈ R . (3.18) H0 -limitato. Il minimo valore di a, ã, per cui vale la (3.18) V rispetto ad H0 . Se V è H0 -limitato con limite relativo ã, 3 −1 famiglia olomorfa di operatori nel cerchio Ω = {β : |β| < a }. è detto è detto limite relativo di T (β) è una ã = 0, T (β) è una allora Se famiglia olomorfa in tutto il piano complesso. Teorema 1 (Rellich-Kato) Ω ⊂ C. Sia λ0 un autovalore isolato di H0 = T (0), 0 ∈ Ω, di molteplicità geometrica m. Per |β| sucientemente piccolo λ0 è stabile, cioè esistono al più m punti λj (β) dello spettro di T (β) vicini a λ0 . Se m = 1 l'unico autovalore λ(β) vicino a λ0 ha molteplicità 1 ed è analitico attorno a β = β0 . Sia T (β) una famiglia olomorfa nel senso di Kato in La teoria delle perturbazioni per spettro discreto si basa sulle proprietà di analiticità del risolvente pertanto non può essere utilizzata per studiare lo spostamento di autostati dell'Hamiltoniano immersi nello spettro continuo. Infatti, il risolvente non è analitico in alcun intorno di tali autovalori. 3 Sia Ω∈C aperto. Una famiglia di funzioni a valori operatori β 7→ T (β) ∈ H, β ∈ Ω è detta analitica (nel senso di Kato) se e solo se: i ) T (β) è chiuso e ha un insieme risolvente non vuoto, per ogni β ∈ Ω; ii ) per ogni β0 ∈ Ω sso, esiste un punto dell'insieme risolvente di T (β0 ), λ0 , che appartiene T (β) β0 . anche all'insieme risolvente di funzione analitica di β vicino per β vicino a β0 e l'operatore (T (β) − λ0 )− 1 è una Capitolo 3. Figura 3.3: 37 Un approccio non perturbativo Esempio di spettro di un Figura 3.4: Esempio di spettro di sistema costituito da un atomo (non rela- un sistema costituito da un atomo (non tivistico) e un campo di bosoni liberi non relativistico) e il campo fotonico. interagenti con l'atomo. Un esempio di sistema (parzialmente relativistico) il cui spettro presenta autovalori immersi nel continuo è un sistema costituito da un atomo non relativistico e un campo di bosoni liberi e non interagenti con l'atomo. L'energia di un generico stato di tale sistema è data dalla somma dell' energia dell'atomo e dell'energia dei bosoni. Lo stato fondamentale del sistema corrisponde all'atomo nel suo stato di energia minore E0 e al vuoto bosonico. La soglia dello spettro continuo ha un distacco dallo stato fondamentale almeno corrispondente all'energia di un bosone con energia cinetica nulla: ciò corrisponde ad uno stato in cui l'atomo è nel suo stato fondamentale ed è presente un bosone di massa m con energia pari alla sua 2 energia intrinseca e0 = mc . I livelli energetici dell'atomo con energia maggiore di E0 possono essere nello spettro continuo delle energie del campo bosonico, come mostrato nella gura 3.3. Se il campo bosonico ha massa nulla, come nel caso del campo fotonico, l'autovalore corrispondente allo stato fondamentale si trova invece sulla soglia dello spettro continuo, come mostrato in gura 3.4, a meno che non sia stato eettuato un taglio infrarosso sulle energie del fotone. La fenomenologia degli spettri di assorbimento ed emissione indica che il sistema costituito da un atomo in interazione con il campo di radiazione presenta di fatto un solo stato stabile ed una serie di stati quasi stabili, con energie vicine a quelle indicate dalla teoria per l'atomo isolato. Ciò suggerisce che l'interazione sposti gli autovalori del sistema imperturbato immersi nello spettro continuo fuori dall'asse reale. Tale spostamento non può avvenire al di sopra di R nel primo foglio di Riemann, in quanto ciò corrisponderebbe all'esistenza di autovalori complessi di H. L'unica regione in cui i poli possono sparire in maniera continua è un successivo foglio di Riemann collegato in maniera analitica alle energie sull'asse reale (si veda a proposito la gura 3.1, pag. 32). Capitolo 3. 38 Un approccio non perturbativo Figura 3.5: Sezione d'urto schematica per lo scattering di fotoni su un atomo di elio. Il sistema d'altra parte conserva memoria degli autovalori che sono stati spostati fuori dall'asse reale; infatti, in prossimità delle energie dei vecchi autovalori si osservano picchi nella sezione d'urto di processi di diusione, come mostrato in g. 3.5. Ciò si spiega ammettendo che l'interazione allontani poco gli autovalori dall'asse reale. Infatti un polo z0 del risolvente che si trovi in foglio di Riemann non sico ma immediatamente al di sotto dell'asse reale, fa si che il valore del risolvente nel primo foglio di Riemann, al di sopra dell'asse reale e nella regione di energia data dalla parte reale di z0 , sia molto elevato. Si consideri la (3.14); la dierenza 1 2πi 1 1 − H − (λ + iε) H − (λ − iε) (3.19) rappresenta la densità di proiezione spettrale dell'operatore hamiltoniano. Se il risolvente ha una singolarità in un foglio di Riemann non sico, nel punto z0 = λ − iη , con η piccolo, la dierenza (3.19) tra i valori al bordo del risolvente nel primo foglio di Riemann è molto elevata. La presenza di una singolarità del risolvente in un foglio di Riemann collegato in maniera analitica al primo, comporta dunque un valore alto della densità degli stati nella regione di energia prossima alla singolarità. In generale, nella letteratura sica, il legame sopra descritto tra esistenza di una risonanza e presenza di un polo di R(z) in un successivo foglio di Riemann viene tradotto in termini di ampiezze di diusione dei processi di scattering per energie vicine alla parte reale della singolarità [30, cap. XII.6]. f L'ampiezza di diusione è una funzione complessa dell'energia e dell'angolo di diusione il cui modulo quadro dà la sezione d'urto del processo. piano tagliato che f (E) Essa è tipicamente analitica in C \ σ(H), dove con σ(H) si è indicato lo spettro di H . E nel Se si suppone abbia una continuazione analitica in un successivo foglio di Riemann e che lì vi sia un polo semplice alla posizione f (E) = z0 = ER − iΓ/2 C + fb (E) , E − ER + 12 iΓ si ha: (3.20) Capitolo 3. dove fb (E) 39 Un approccio non perturbativo è una funzione analitica in all'asse reale e se fb (ER ) non è troppo larga, | f (E) | 2 = dove il resto R E = ER − 21 iΓ. Se il polo è molto vicino allora la sezione d'urto del processo è |C |2 + R, (E − ER )2 + 41 Γ2 è piccolo per energie vicine ad ER . (3.21) La funzione | C | 2 (E − ER )2 + Γ2 /4 −1 Γ (vedi g. 1.2). Se per E = ER il fb (E) allora Γ approssima picco nella sezione d'urto per E = ER . Un polo di f (E) ad una risonanza di ampiezza pari alla parte immaginaria Γ è una Breit-Wigner con larghezza a metà altezza termine dovuto al polo è più grande del termine di fondo la larghezza di un corrisponde quindi del polo. Quanto detto sopra giustica la seguente denizione di risonanza. Supponiamo che esista un insieme denso di vettori di D⊂H tale che per ogni ψ∈D entrambi i risolventi (0) Rψ (z) = ( ψ, (H0 − z)−1 ψ ) e Rψ (z) = ( ψ, (H − z)−1 ψ ) (0) abbiano una continuazione analitica nel secondo foglio di Riemann. Se Rψ (z) è 1 analitico in z0 = ER − i Γ ed Rψ (z) ha un polo in z0 per qualche ψ , diremo che 2 all'energia ER corrisponde una risonanza di larghezza Γ. Capitolo 3. Un approccio non perturbativo Figura 3.6: 40 Azione sullo spettro della dilatazione denita dalla (3.22): la parte discreta resta invariata, mentre lo spettro continuo viene ruotato. 3.3 Il metodo delle dilatazioni La discussione del paragrafo precedente ha permesso di mettere in relazione la larghezza di una risonanza nella sezione d'urto di un processo di diusione con una quantità matematicamente rigorosa: la parte immaginaria della posizione di un polo su un foglio di Riemann non sico. In particolare si tratta di un polo della continuazione analitica del valore di aspettazione del risolvente su un insieme denso di stati. Il passo successivo è quello di dimostrare il meccanismo di formazione della risonanza utilizzando la teoria delle perturbazioni per operatori autoaggiunti. In particolare va mostrato che per eetto di una perturbazione gli autostati immersi nel continuo di un Hamiltoniano libero si spostano fuori dall'asse reale, in un successivo foglio di Riemann. Una derivazione rigorosa di questi risultati può essere ottenuta attraverso un metodo generale di analisi spettrale, chiamato metodo delle dilatazioni. Tale metodo consente di analizzare perturbazioni dello spettro di un sistema quantistico che esibisce autovalori immersi nel continuo. Uno spettro di questo tipo non può essere infatti studiato con la teoria delle perturbazioni per spettro discreto in quanto quest'ultima vale solo se la funzione considerata è analitica in un intorno della singolarità, mentre lo spettro continuo rappresenta una regione di non analiticità. L'idea alla base del metodo delle dilatazioni è la seguente. Si consideri il gruppo 2 3 di operatori unitari u(θ) su L (R ) dato da u(θ) ψ (r) = e3 θ/2 ψ(eθ r), (3.22) e3 θ/2 serve a rendere u unitario. Tale gruppo è detto gruppo degli operatori di dilatazione su R3 . L'energia cinetica H0 = −∆ si trasforma in maniera dove il fattore molto semplice sotto dilatazioni, infatti u(θ) H0 u(θ)−1 = −e− 2 θ H0 ≡ H0 (θ) . (3.23) Capitolo 3. 41 Un approccio non perturbativo Figura 3.7: Azione di una dilatazione sullo spettro di un Hamiltoniano con più soglie di spettro continuo. u(θ) H0 u(θ)−1 , denito a priori quando θ è reale, ha una continuazione analitica per θ ∈ C. Possiamo restringere i potenziali a quelli per i quali lo stesso sia vero quando si considera invece di H0 l'Hamiltoniano H = −∆ + V . Ciò è vero in particolare per i potenziali di Coulomb e Yukawa. Quest'ultima espressione implica che E' possibile mostrare che lo spettro discreto di H è indipendente da θ lasciato invariato dalla dilatazione. Al contrario, come è chiaro dal caso di cioé è H0 in cui lo spettro dopo la dilatazione è σ( H0 (θ) ) = { e−2θ λ | λ ∈ [ 0 , ∞ ) } , (3.24) lo spettro continuo viene ruotato di un angolo che dipende dalla parte immaginaria di θ, come mostrato in g. 3.6 . Ciò consente di separare lo spettro continuo dall'asse reale e di poter quindi applicare allo spettro discreto l'usuale teoria delle perturbazioni per spettro discreto. Nel caso in cui H0 abbia più soglie di spettro continuo l'azione della dilatazione avrà come risultato la rotazione di tutti i continui come mostrato in g. 3.7 . La teoria delle dilatazioni consente di ricavare lo spostamento dei poli di H0 immersi nel continuo dall'asse reale al secondo foglio di Riemann per eetto della perturbazione e come conseguenza di ciò la regola d'oro di Fermi (si veda [30, cap. XII.6 e XIII.10]). D'altra parte tale teoria è valida solo per Hamiltoniani su cui siano fatte ipotesi molto restrittive. Inoltre il metodo delle dilatazioni ha lo svantaggio di non essere utilizzabile per perturbazioni di autovalori che si trovano sulla soglia dello spettro continuo, come capita al livello di energia E3 dello spettro in gura 3.7. Infatti in questo caso spettro continuo e discreto non possono essere separati mediante una rotazione dei continui. Capitolo 3. Un approccio non perturbativo 42 Senza numero. Alcune considerazioni storiche in forma di parentesi Stati metastabili e risonanze hanno avuto varia importanza in meccanica quantistica. In particolare hanno assunto grande rilevanza nei dieci anni a cavallo degli anni sessanta con l'esplosione di un nuovo programma di ricerca, quello della cosiddetta teoria della matrice S [19, 31]. All'interno del quadro interpretativo di tale teoria infatti gli stati metastabili rappresentano il linguaggio di tutte le particelle elementari. La teoria della matrice S, che ha radici in alcuni lavori di Heisenberg degli anni '40, si proponeva di reimpostare la sica teorica delle alte energie stabilendo una stretta connessione tra quantità sicamente osservabili (in particolare le ampiezze di diusione di stati sici di sistemi interagenti) e proprietà analitiche della matrice di diusione. Tale teoria appariva come una possibilità, seppur fenomenologica, di interpretare l'enorme varietà di particelle e di fenomeni nucleari che si osservavano in esperimenti con acceleratori sempre più potenti, che andavano ad investigare energie sempre più elevate. Non esisteva ancora, infatti, una teoria di campo per le interazioni forti. Secondo il programma della matrice S le risonanze nucleari, le soglie ener- getiche di processi anelastici, gli stati legati del sistema o ancora le costanti di accoppiamento di interazioni forti sono riconducibili allo studio dei poli della matrice S, dei suoi punti di diramazione o dei residui nei poli. I punti fondamentali della teoria sono i seguenti. a ) I processi di diusione elastica danno orgine ad un taglio sull'asse reale positivo dell'energia. b ) Ad ogni processo inelastico corrisponde un nuovo taglio, sovrapposto a quello elastico; la soglia del taglio corrisponde alla soglia energetica per il processo inelastico. c ) Stati legati del sistema danno origine a poli semplici per energie reali negative, corrispondenti alle energie di legame. d ) Le particelle instabili sono in corrispondenza uno ad uno con i poli della matrice S prossimi all'asse reale su fogli di Riemann non sici della variabile energia, purché la matrice S possa essere continuata analiticamente in dette regioni. La posizione di un polo nel piano complesso dell'energia viene interpretata come presenza di una particella di massa pari alla parte reale dell'energia del polo. Se il polo è reale la particella è stabile a tale energia; viceversa, la particella è instabile e le informazioni sulla durata della risonanza sono contenute proprio nella parte immaginaria dell'energia del polo. Capitolo 3. 43 Un approccio non perturbativo Nella teoria della matrice S tutto è riconducibile all'analisi della matrice di scattering di un sistema complesso a molte particelle, dove le particelle sono viste come strutture dinamiche. La creazione e successiva distruzione di una particella può essere interpretata in termini di formazione e decadimento di una risonanza e i picchi nella sezione d'urto di un determinato processo diventano l'indicatore di produzione di particelle. In particolare, la larghezza di ciascun picco è legata alla vita media della particella prodotta, mentre l'altezza alla sua probabilità di produzione. L'interazione stessa, essendo descritta come scambio di particelle con vita media nita, può essere letta in termini di risonanze. Ciascuna risonanza oltre ad essere mediatrice dell'interazione può allo stesso tempo decadere in nuove particelle, che possono a loro volta interagire e così via. Il tempo di operatività di un'interazione corrisponde quindi al tempo di permanenza del sistema in un certo stato metastabile, legato a sua volta al numero e tipo di particelle che vengono scambiate durante l'interazione. Nella teoria della matrice S la dinamica non è quindi specicata dal modello di un'interazione nello spazio-tempo, ma è anch'essa determinata dalla struttura di singolarità dell'ampiezza di scattering. Le particelle non sono costituite di particelle più elementari di altre, ma al contrario, date da tutti gli insiemi di particelle che possono interagire. In altre parole una particella è vista come un evento e non come un oggetto. In particolare ogni particella può avere un triplo ruolo: essere struttura costituente, costituita o anche una particella di scambio, cioè un'interazione. Secondo i teorici della matrice S la matrice di diusione non doveva essere interpretata come un ente derivato dalla teoria quantistica dei campi, ma essere una struttura formale totalmente autonoma e autoconsistente, soggetta ad un principio, detto di massima analiticità, secondo il quale le uniche singolarità presenti nella matrice S dovevano essere quelle imposte dall'unitarietà e da altre simme- trie. Lo studio di determinate ampiezze di diusione e delle loro singolarità doveva permettere la descrizione di nuove ampiezze di diusione (come somme e integrali deniti su queste singolarità); imponendo poi a queste ultime le proprietà di unitarietà e invarianza, sarebbe stato possibile descrivere nuovi processi di reazione, che avrebbero coinvolto altre particelle o risonanze, in un processo iterativo che avrebbe dovuto intepretare le caratteristiche di ogni possibile adrone e di ogni sua interazione. In questo schema autoconsistente tutte le costanti sarebbero state trovate nell'ambito della teoria stessa, e non imposte arbitrariamente e mediante esperimenti, come accadeva nella teoria dei campi. Il programma ambizioso della matrice S non fu mai realizzato nei suoi aspetti più radicali. Esso incontrò una serie di dicoltà teoriche e matematiche cosicché si limitò a caratterizzazioni generali, senza che fosse possibile sviluppare modelli espliciti di interesse. Tra la ne degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta, si trovò a dover cedere il passo di fronte ai successi delle teorie di gauge, del modello a quark e quindi della cromodinamica quantistica. Nonostante ciò esso costituì per diversi anni un paradigma di riferimento per una larga parte della comunità scientica. Capitolo 4 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito In questo capitolo verrà presentato un modello completamente risolubile di sistema quantistico a più componenti in cui è possibile investigare esplicitamente la formazione di uno stato metastabile e le sue proprietà di decadimento. In particolare sarà denito ed analizzato un sistema costituito da un sistema quantistico localizzato con due livelli (un atomo-modello o uno spin) che interagisce a corto range con una particella quantistica non relativistica e con spin nullo. Tale sistema può essere considerato un modello semplicato di atomo in interazione con una particella quantistica. Infatti, se le dimensioni dell'atomo sono piccole rispetto alla lunghezza d'onda di De Bröglie associata alla particella, quest'ultima non distingue i dettagli della struttura atomica e si comporta come se interagisse con un oggetto puntiforme con diversi gradi di libertà interni, che corrispondono ai diversi livelli atomici. Il modello discusso se da una parte si inquadra nel lone di analisi non perturbativa presentato nel capitolo 3, dall'altra ha il vantaggio di essere un modello di interazione tra sottosistemi quantistici. L'approccio seguito è di tipo costruttivo (o bottom-up ) nel senso della denizione di un modello a molte particelle che sia risolubile, e quindi necessariamente semplicato, ma a dispetto di ciò mostri caratteristiche tipiche di sistemi più elaborati e realistici. E' possibile vericare che ogni caratterizzazione di risonanza può essere ricondotta al modello presentato. Inoltre l'estensione dei risultati ad un generico in- sieme di sistemi quantistici a molti livelli è banale. Con un'opportuna scelta delle posizioni, dei livelli energetici e dei parametri di interazione è possibile denire Hamiltoniani con una struttura spettrale molto ricca. In particolare l'Hamiltoniano nale può esibire qualsiasi numero di stati metastabili o stati legati isolati, così come un qualunque numero di soglie di spettro continuo. Come visto nel capitolo 3 la particolare situazione dinamica che porta alla comparsa di uno stato metastabile è la perturbazione dell'Hamiltoniano di un sistema che sia formato da due sistemi non interagenti e che presenti autovalori 44 Capitolo 4. 45 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito immersi nello spettro continuo. Per semplicità nel modello saranno investigati solo stati metastabili ottenuti come perturbazione di autovalori che non si trovano alla soglia dello spettro continuo. L'analisi presentata nel capitolo seguirà i seguenti passi. a ) Denizione di un Hamiltoniano libero (in un senso che sarà specicato) Hα che presenta un livello fondamentale di energia ed un livello eccitato immerso nella parte continua dello spettro. b ) Denizione di un Hamiltoniano ta di Hα Hε ottenuto come perturbazione autoaggiun- nel senso del risolvente. c ) Analisi dello spostamento dell'autovalore immerso nel continuo che acquista una parte immaginaria negativa, diventando una risonanza; l'energia dello stato fondamentale resta reale ed è spostata solo leggermente dalla perturbazione. d ) Analisi del comportamento temporale dello stato metastabile. Lo strumento tecnico utilizzato per denire l'interazione nel modello è la teoria degli Hamiltoniani con interazione puntuale, di cui di seguito sono richiamati gli elementi essenziali. Per maggiori dettagli su tale teoria si rimanda all'appendice B e alle referenze in essa contenute. 4.1 Interazioni puntuali: una breve introduzione Le interazioni puntuali (note anche come interazioni delta o interazioni di contatto o pseudopotenziali di Fermi), introdotte storicamente agli albori della meccanica quantistica, hanno il vantaggio di far parte di quei modelli esplicitamente risolubili in meccanica quantistica 1 che, a dispetto della loro semplicità, riescono a ripro- durre comportamenti universali osservati in sistemi complessi. Ciò fa sì che tali interazioni risultino particolarmente utili nelle applicazioni, in quanto si possono considerare come un primo passo verso analisi più dettagliate di un dato fenomeno. Le interazioni puntuali corrispondono formalmente a potenziali di interazione con supporto su un insieme discreto (nito o innito) di punti. L'operatore di d interazione puntuale è una particolare perturbazione del laplaciano libero in R (d = 1, 2, 3) su un insieme di musura nulla e formalmente può essere scritto come: H = −∆ + n X αj δyj (4.1) j=1 1 Con tale espressione si indicano quei modelli per i quali si hanno forme analitiche esplicite per autovalori ed autofunzioni e per il propagatore dell'operatore hamiltoniano che genera la dinamica del sistema descritto dal modello. Tutte le quantità siche rilevanti relative al problema specico possono pertanto essere calcolate esplicitamente. Capitolo 4. dove Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 46 αj ∈ R e yj ∈ Rd indicano rispettivamente l'intensità e la posizione del j-esimo punto di interazione. I parametri necessari a descrivere un'interazione puntuale costituiscono quindi un insieme minimale: per caratterizzare un'interazione concentrata in alcuni punti è suciente ssare la posizione dei centri di interazione (parametri geometrici) e l'intensità in ciascun punto (parametri dinamici). Le ragioni storiche che hanno portato all'introduzione di interazioni puntuali sono legate alla descrizione di particelle quantistiche a bassa energia in potenziali di interazione a corto range; data l'elevata lunghezza d'onda di De Broglie determinata dal piccolo valore dell'energia, le particelle non riescono a distinguere la struttura spaziale del potenziale e si comportano come se interagissero con un oggetto puntiforme. Nell'articolo di Kronig e Penney del 1931 [25], in cui le interazioni puntuali fanno la loro prima comparsa, interazioni delta in una dimensione vengono utilizzate per descrivere l'evoluzione dello stato di un elettrone all'interno di un reticolo cristallino monodimensionale con atomi ssi. Gli atomi del reticolo sono descritti con N →∞ centri diusori caratterizzati dai medesimi parametri dinamici e da parametri geometrici periodici. Tale modello ancor oggi è uno dei pochi problemi completamente risolubili con un'interazione che presenti una periodicità spaziale. Risale a pochi anni dopo, al 1935, lo studio di operatori hamiltoniani con interazioni a range nullo in tre dimensioni. In particolare lo studio portato avanti da Bethe e Peierls [7] di sistemi a due corpi interagenti con un potenziale attrattivo a range nullo aveva come obiettivo la descrizione del deutone: l'interazione forte tra protone e neutrone nel nucleo avviene infatti in un range praticamente nullo se confrontato con le dimensioni atomiche. Questo modello rappresenta la prima applicazione delle interazioni puntuali in sica nucleare e permise di risolvere il problema della fotodisintegrazione del deutone. Un'ulteriore motivazione per l'introduzione di un Hamiltoniano con interazione puntuale fu data da Fermi [17], che nel 1936 l'utilizzò nell'analisi della diusione di neutroni a bassa energia su un bersaglio di materia condensata. Se i neutroni sono sucientemente lenti la loro lunghezza d'onda di De Broglie è molto più grande del range della forza nucleare che agisce tra ciascun neutrone e ogni nucleo del bersaglio; d'altra parte tale forza è estremamente intensa. E' quindi ragionevole modellizzare l'interazione tra neutrone e nucleo con un'interazione di contatto localizzata nella posizione del nucleo stesso. Negli anni '60 le perturbazioni su insiemi di misura nulla furono poste su solide basi matematiche, grazie al lavoro di Berezin e Faddeev [6]. Successivamente l'impiego di Hamiltoniani con interazione puntuale, superando i conni della sica atomica e molecolare, si è esteso a molti altri campi, quali lo studio dei sistemi caotici quantistici, la teoria dei sistemi a molti corpi e la modellizzazione di alcuni fenomeni chimici e biologici. Non ultime sono le applicazioni di interazioni puntuali in nanoelettronica, teoria delle reti neurali, acustica ed idrodinamica, a dimostrazione della grande versatilità di questo modello. Usando funzioni che descrivono un cambiamento nel tempo dei parametri geometrici e/o dinamici del- Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 47 l'interazione è possibile inoltre studiare casi in cui i punti in cui è centrato il potenziale delta si muovono o cambiano in intensità. Il dominio di applicabilità delle interazioni puntuali resta tuttavia limitato all'ambito di una sola particella quantistica. Le dicoltà di estendere le interazioni a range nullo a sistemi costituiti da più di due particelle, evidenziate già nel 1962 [27], non sono state ancora superate né è stato trovato un teorema di impossibilità. Dal punto di vista matematico il primo passo per la costruzione di interazioni puntuali consiste nel dare una denizione dell'operatore formale (4.1) come ope2 d ratore autoaggiunto in L (R ), requisito fondamentale in quanto garantisce l'unitarietà dell'evoluzione. Infatti la (4.1) ha senso solo formalmente e non denisce un potenziale, non essendo δyj una funzione. Lo si vede facilmente dal fatto che | Hψ | 2 contiene termini δy2j ψ 2 , in cui appaiono delle δy2j che non sono denite neppure come distribuzioni. Hψ non può essere quindi inteso in alcun modo come 2 funzione di L (R). La denizione dell'operatore (4.1) come operatore autoaggiunto su L2 (Rd ) deve corrispondere all'idea intuitiva di interazione puntuale. E' ragionevole allora richiedere che l'operatore H soddis: H u = −∆ u per ogni u (4.2) tale che ∃ I(yi ) : u(x) = 0 ∀x ∈ I(yi ), i = 1, . . . , n . Stiamo cioè richiedendo che la dinamica generata da H (4.3) sia l'evoluzione libera per particelle con funzioni d'onda nulle nell'intorno dei punti in cui ha luogo l'interazione. Tali particelle infatti non avvertono la presenza del potenziale. Seguendo questa idea si considera la seguente restrizione dell'operatore Hamiltoniano: Ĥ = −∆, D(Ĥ) = C0∞ ( Rd \ {y1 , . . . , yn } ) . E' facile vedere che l'operatore (4.4) è simmetrico ma non autoaggiunto in Infatti, essendo Ĥ (4.4) L2 (Rd ). ottenuto come restrizione di un operatore autoaggiunto, il suo dominio sarà certamente più piccolo del dominio del suo aggiunto. Nel nostro † specico caso il dominio di Ĥ contiene le funzioni f tali che il prodotto scalare in 2 d † L (R ) F (u) = (f, Ĥ u) sia un funzionale limitato ∀u ∈ D(Ĥ). Poiché le funzioni u ∈ D(Ĥ) sono nulle negli intorni degli yi è chiaro che le f potranno non solo essere diverse da zero in tali intorni, ma anche divergere nei punti yi , purché restino in L2 (Rd ). Il dominio di Ĥ † risulta così essere più grande di quello di Ĥ . L'operatore (4.4) ammette almeno un'estensione autoaggiunta ovvero l'Hamiltoniano di particella libera H0 = −∆, D(H0 ) = H 2 (Rd ), (4.5) 2 2 d si è indicato lo spazio di Sobolev delle funzioni f ∈ L (R ) 2 d con prima e seconda derivata generalizzata in L (R ) o equivalentemente tali che R 2 2 ˆ 2 (1 + |k| ) | f (k) | dk < ∞, dove fˆ(k) è la trasformata di Fourier di f . dove con H 2 (Rd ) 2 Per la denizione di spazio di Sobolev si veda la nota a pag. 86. Capitolo 4. 48 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Supponiamo che esistano estensioni autoaggiunte di (4.4) non banali. Tali operatori daranno l'evoluzione libera su funzioni che sono a supporto compatto fuori dai centri di interazione {y1 , . . . , yn } e un'evoluzione diversa da quella lib- era su funzioni d'onda che vedono l'interazione. Questa osservazione porta in maniera naturale alla seguente denizione. Denizione 1 Si denisce Hamiltoniano con interazioni puntuali posizionate nei d punti y1 , . . . , yn ∈ R ogni estensione autoaggiunta non banale del'operatore (4.4). La totale classicazione delle interazioni delta consiste quindi nella costruzione di tutte le estensioni autoaggiunte di Ĥ . La costruzione degli Hamiltoniani di interazione puntuale in una e tre dimensioni è riportata in appendice B. 4.2 Interazioni puntuali dipendenti dallo spin In questo paragrafo sarà denita la classe di Hamiltoniani con interazione puntuale che genera la dinamica di una particella quantistica non relativistica che interagisce a corto range con un sottosistema localizzato a due livelli (bit quantistico o spin). Deniamo innanzitutto lo spazio degli stati per un sistema quantistico di questo tipo. Poiché il sottosistema a due livelli è descritto come uno spin 1/2 posizionato in una determinata regione dello spazio, il suo stato è rappresentato da un vettore 2 unitario appartenente a C . Senza perdere in generalità possiamo assumere che lo (1) spin sia posizionato nell'origine. Indichiamo con σ la prima matrice di Pauli e (1) con χσ gli autovettori generalizzati di σ : σ (1) χσ = σ χσ σ = ±1; k χσ k C2 = 1. (4.6) Con questa notazione ogni stato dello spin può essere scritto come una sovrappo2 2 sizione lineare a χ+ + b χ− , con a, b ∈ C e |a| + |b| = 1. Lo spazio di Hilbert per un sistema costituito da una particella in dimensioni H := L2 (Rd ) ⊗ C2 Nel seguito indicheremo i vettori in H d e uno spin 1/2 è allora d = 1, 2, 3. con lettere greche maiuscole. Ogni (4.7) Ψ∈H ammette una decomposizione del seguente tipo: Ψ = X ψσ ⊗ χσ , (4.8) σ σ = ±1 mentre ψσ ∈ L2 (Rd ) ∀ σ è la 2 d'onda dello stato Ψ. La scelta degli χσ come base di C è arbitraria; (1) scelto come base proprio quella degli autovettori di σ in accordo con dove la somma corre sui possibili valori di funzione abbiamo quella che sarà la nostra scelta dell'Hamiltoniano libero. Nella rappresentazione (4.8) il prodotto scalare in H è denito in modo naturale come: hΨ, Φi = X σ (ψσ , φσ )L2 Ψ, Φ ∈ H . (4.9) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito H: Si consideri il seguente operatore autoaggiunto in D(H) = H 2 (Rd ) ⊗ C2 d = 1, 2, 3 H := −∆ ⊗ IC2 + IL2 ⊗ β σ (1) L'operatore 49 β ∈ R+ . (4.10) H descrive l'evoluzione libera di una particella quantistica e uno spin (1) localizzato la cui dinamica è generata dall'Hamiltoniano β σ . Nella (4.10) sono } = 2m = 1, state scelte unità di misura tali che m indica la massa della particella. La costante dove β } è la costante di Planck ed ha le dimensioni di un'energia (che nelle nostre unità corrisponde al reciproco del quadrato di una lunghezza) e misura la metà della dierenza di energia tra gli stati di spin di H χ+ e χ− . L'azione sui vettori del suo dominio può essere scritta come: HΨ = X −∆ + β σ ψσ ⊗ χσ Ψ ∈ D(H). (4.11) σ R(z) := (H − z)−1 agisce su H X −∆ − z + β σ ψσ ⊗ χσ R(z) Ψ = Il suo risolvente come segue: Ψ ∈ H; z ∈ ρ(H) (4.12) σ ω 0 indica l'insieme risolvente di H . Indichiamo con G (x − x ) il nucleo −1 integrale dell'operatore (−∆ − ω) . La sua espressione è ben nota ed è: dove ρ(H) ei√ω|x| i 2√ω , (1) √ i H0 ( ω|x|) Gω (x) := 4 ei√ω|x| , 2π|x| dove ω ∈ C\R+ √ e Im( ω) > 0. Nella (4.13) d=1 d=2 (4.13) d=3 (1) H0 (η) è la zero-esima funzione di Bessel del terzo tipo (nota anche come funzione di Hankel del primo tipo). Tale funzione tende a zero quando |η| → ∞ e Im η > 0 e ha una singolarità logaritmica in zero: (1) H0 (η) = dove γ η 2iγ 2i ln + 1 + + O ln(η) η 2 , π 2 π (4.14) è la costante di Eulero. Note le proprietà spettrali dell'operatore vedere che lo spettro di H −∆, il cui dominio è H 2 (R)d , è facile è assolutamente continuo e in particolare: σpp (H) = ∅; σess (H) = σac (H) = [−β, ∞) (4.15) dove si è adottata la classicazione dello spettro data in [28] e riportata in appendice A, pag. 84. La soluzione dell'equazione di Schrödinger i d t Ψ = HΨt dt (4.16) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 50 con condizione iniziale Ψt=0 = Ψ0 = X ψσ0 ⊗ χσ Ψ0 ∈ H (4.17) σ −iHt 0 è scritta formalmente come e Ψ . Ricordando il legame tra risolvente e ope−iHt ratore di evoluzione e e usando la seguente proprietà della trasformata di Laplace L L−1 L(f ) (· + s) (τ ) = eisτ f (τ ) si ottiene il gruppo unitario e−iHt (4.18) (vedi ad es. [28, Th. VIII.7]) Ψt = e−iHt Ψ0 = X U t ψσ0 ⊗ e−iβσt χσ (4.19) σ dove in d U t : L2 (Rd ) → L2 (Rd ) è il generatore della dinamica libera per una particella dimensioni t U f (x) = L'Hamiltoniano 1 (4πit)d/2 Z ei |x−x0 |2 4t f (x0 ) dx0 . (4.20) Rd H come atteso non dà origine a nessuna interazione tra la particella e lo spin. Per introdurre l'interazione tra particella e spin, nello spirito della denizione delle interazioni puntuali, ricerchiamo gli Hamiltoniani la cui azione concida con quella di H su funzioni il cui supporto non contiene il punto in cui è posizionato lo spin (nel nostro caso l'origine), ma è diversa dall'evoluzione libera su funzioni che vedono l'interazione. Sia S l'operatore lineare in H il cui dominio e la cui azione sono deniti come segue: D(S) := C0∞ (Rd \ 0) ⊗ C2 d = 1, 2, 3 S := −∆ ⊗ IC2 + IL2 ⊗ β σ (1) β ∈ R+ (4.21) C0∞ (Rd \ 0) indica lo spazio delle funzioni innitamente dierenziabili in L2 (Rd ) con supporto compatto non contenente l'origine. S è un operatore simmetrico densamente denito in H ma non autoaggiunto, in quanto è ottenuto restringendo il dominio dell'operatore autoaggiunto H . Utilizzando la teoria delle estensioni audove toaggiunte di operatori simmetrici è possibile però derivare l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte di S, ovvero la famiglia di Hamiltoniani che descrivono la dinamica di una particella quantistica che interagisce mediante un'interazione a † range nullo con uno spin localizzato. Indichiamo con S l'aggiunto di S e con Ki = ker[S † − z] per Imz 6= 0 . (4.22) La teoria di Von Neumann delle estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici (si veda ad es. [2, 29]) aerma che l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte di S è parametrizzata dalla famiglia di applicazioni unitarie tra gli spazi Kz e K−z . Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Si deniscono indici di difetto n± = dim[K±z ]. n± di S 51 le dimensioni dei due spazi, in particolare Per valutare gli indici n± è necessario trovare tutte le soluzioni indipendenti dell'equazione: ( S † − z ) Φz = 0 Decomponendo Φz z ∈ C\R; Φz ∈ D(S † ) . (4.23) secondo la (4.8) Φz = X φzσ ⊗ χσ (4.24) σ la (4.23) è equivalente a φzσ , (−∆ − z̄ + βσ) ψ L2 φzσ ∈ L2 (Rd ); z ∈ C\R, =0 ∀ ψ ∈ C0∞ (Rd \ 0 ) (4.25) H. La richiesta che avendo utilizzato la denizione (4.9) del prodotto scalare in z∈ /R garantisce che il risolvente esista limitato. Deniamo: Φzσ := Gz−βσ ⊗ χσ dove Gw (x) Kz . d = 1, 2, 3, Φz+ e Φz− sono soluzioni z z dimensioni due e tre {Φ+ , Φ− } è una base In una dimensione esistono invece altre due soluzioni indipendenti della (4.23), ovvero dove (4.26) è stato denito nella (4.13). Per indipendenti dell'equazione (4.23). In per z ∈ C\R. (Gω )0 0 Φz1,σ := Gz−βσ ⊗ χσ , indica la derivata prima di 0 eiω|x| Gω (x) = −sgn(x) 2 Gω σ = ±1 rispetto ad ω ∈ C\R; Im( x, (4.27) data da √ ω) > 0 d = 1 . In questo caso una base nello spazio di difetto è data da (4.28) {Φz+ , Φz− , Φz1,+ , Φz1,− }. In conclusione gli indici di difetto sono: (n+ , n− ) = (4, 4) per d=1 (n+ , n− ) = (2, 2) per d = 2, 3 (4.29) In una dimensione esiste una famiglia a 16 parametri (reali) di estensioni autoaggiunte di d≥4 S, mentre in due e tre dimensioni il numero di parametri liberi è 4. Per si trova (n+ , n− ) = (0, 0) cioè l'operatore autoaggiunte diverse dall'Hamiltoniano libero S non ammette altre estensioni H. Nella denizione delle famiglie di estensioni autoaggiunte faremo uso di matrici 2×2 i cui elementi saranno etichettati secondo la seguente notazione: M := M(+,+) M(+,−) M(−,+) M(−,−) . (4.30) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Date due matrici M1 ed M2 e seconda colonna data dalle colonne di colonne di M2 . Teorema 2 (M1 |M2 ) indichiamo con M1 A e B due matrici 2×4 con prima e terza e quarta colonna data dalle E' dimostrato il seguente teorema. Siano la matrice 52 2×2 3 AB ∗ = BA∗ tali che e A|B abbia rango massimo. Deniamo l'operatore n X D(H AB ) := Ψ = ψσ ⊗ χσ ∈ H | Ψ = Ψz + X σ qσ Φzσ ; Ψz ∈ D(H); σ X z ∈ ρ(H AB ); Aσ,σ0 qσ0 = X σ0 qσ = ψ 0 (0− ) − ψ 0 (0+ ) fσ = ψσ (0) h fσ = lim ψσ (x) + |x|→0 h fσ = lim ψσ (x) − qσ 2π ln(|x|) i i 2π ψσ (x) |x|→0 ln(|x|) qσ 4π|x| |x|→0 X H AB Ψ = HΨz + z Bσ,σ0 fσ0 ; σ0 qσ = − lim d = 2; qσ = lim 4π|x|ψσ (x) d = 3. |x|→0 qσ Φzσ d = 1; Ψ ∈ D(H AB ). (4.31) σ H AB RAB = (H AB − z)−1 è dato da: (ΓAB (z))−1 σ,σ0 Bσ0 ,σ00 hΦz̄σ00 , · i Φzσ z ∈ ρ(H AB ). è autoaggiunto e il suo risolvente X RAB (z) = R(z) + σ,σ 0 ,σ 00 (4.32) dove AB Γ (z) 2×2 è la matrice ΓAB (z) = B Γ(z) + A (4.33) con Γ(z) = Γ(z) = i − 2√z−β 0 0 i − 2√z+β √ ln( z−β/2) + γ−iπ/2 2π 0 √ Γ(z) = z−β 4πi 0 dove con γ 0 ! d=1 0 √ ln( z+β/2) + γ−iπ/2 2π ! d=2 ! √ z+β 4πi d = 3. (4.34) si è indicata la costante di Eulero. 3 Si veda [11] per le dimostrazioni in una e tre dimensioni e [10] per la dimostrazione in due dimensioni. o Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 53 d = 2, 3 il teorema 2 dà tutte le possibili estensioni autoaggiunte di S . AB Per d = 1, invece, gli Hamiltoniani H includono solo quelle estensioni di S AB tali che i vettori in D(H ) abbiano funzione d'onda continua nell'origine. Per ottenere l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte di S , e così includere anche Per gli Hamiltoniani deniti su vettori con funzione d'onda discontinua, bisognerebbe considerare l'intera base dello spazio di difetto di S. Per l'analisi del caso generale in una dimensione si rimanda a [11]. E' facile vedere che per Im z >0 l'operatore RAB (z) − R(z) è di classe traccia, quindi compatto. Questo implica che (si veda ad es. [8] o [28, pag. 106]) σess (H AB ) = σess (H) = [−β, ∞) mentre lo spettro puntuale di H AB , σp (H AB ) (4.35) è dato dalle soluzioni reali di det(ΓAB (z)) = 0. (4.36) Estensioni autoaggiunte diverse dell'Hamiltoniano libero corrispondono a diversi modelli sici di interazione tra particella e spin. E' quindi possibile caratterizzare particolari sottofamiglie di estensioni a seconda della dinamica che esse generano. Nel paragrafo successivo sarà considerata una sottofamiglia di Hamiltoniani che generano una dinamica in cui lo spin non è inuenzato dall'interazione con la particella, mentre quest'ultima risente di un'interazione puntuale di intensità dipendente dal valore della componente di spin dello spin localizzato. 4.3 Hamiltoniano imperturbato All'interno della famiglia di Hamiltoniani con interazione puntuale descritta nella precedente sezione, scegliamo un Hamiltoniano imperturbato Ĥ0 che esibisca un autovalore immerso nello spettro continuo. Una maniera immediata per ottenere ciò consiste nel considerare un Hamiltoniano Ĥ0 che generi la dinamica di una particella che evolve in un potenziale a corto range in due canali indipendenti caratterizzati da una dierente energia dello spin: Ĥ0 = (hα + β) ⊗ Π+ + (hα − β) ⊗ Π− , (4.37) hα è un Hamiltoniano con un'interazione puntuale di intensità α nell'origine 4 e Π± sono rispettivamente i proiettori su χ+ e χ− , Π± = ( χ± , · )C2 χ± . Lo spettro totale di Ĥ0 è l'unione delle due componenti ottenute traslando rispettivamente di +β o −β lo spettro di hα . Scegliendo opportunamente i parametri α e β si ottiene dove lo spettro richiesto, come mostrato in g. 4.1 e 4.2. 4 Per la denizione di Hamiltoniano di interazione puntuale in tre dimensioni con un unico centro diusore si veda pag. 89, appendice B. Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Figura 4.2: Figura zione 4.1: puntuale imperturbato Hamiltoniani di interadi rispettivamente di intensità −β L'Hamiltoniano e α Spettro dell'hamiltoniano Ĥ0 nel caso in cui l'auto- valore più alto è immerso nello spettro traslati +β . Ĥ0 54 continuo. si ottiene dalla famiglia di operatori autoaggiunti denita dal teorema 2 scegliendo A = I2 e B = −α I2 per d=1 A = α I2 e B = I2 per d = 2, 3 (4.38) −∞ < α < ∞, ovvero denendo l'operatore Ĥ0 come segue: n X X ψσz ⊗ χσ ∈ D(H); z ∈ ρ(Ĥ0 ) qσ Φzσ ; Ψz = D(Ĥ0 ) := Ψ ∈ H | Ψ = Ψz + con σ σ qσ = −α fσ , d = 1; Ĥ0 Ψ := H Ψz + z α qσ = fσ , d = 2, 3 X qσ Φzσ o Ψ ∈ D(Ĥ0 ). (4.39) σ L'autoaggiuntezza di Ĥ0 viene direttamente dal teorema 2; quest'ultimo dà anche Ĥ0 : (Γ0 (z))−1 σ,σ0 hΦz̄σ0 , ·i Φzσ la formula esplicita del risolvente di R̂0 (z) = R(z) + X z ∈ C\R (4.40) σ,σ 0 dove Γ0 (z) = B −1 (BΓ(z) + A), i − 2√z−β − Γ0 (z) = ovvero 1 α i − 2√z+β − 0 √ ln( Γ0 = µ (z−β)) − iπ/2 2π √ ln( 0 Γ0 (z) = 0 con µ = e2(γ+2πα) /4. +α µ (z+β)) − iπ/2 2π d=2 ! 0 d=3 √ z+β 4πi d=1 1 α 0 √ z−β 4πi ! 0 +α (4.41) Capitolo 4. Essendo Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Γ0 (z) Ĥ0 diagonale, le condizioni al bordo per variabili di spin. Ciò implica che la componente sulla funzione d'onda χ+ (χ− ) 55 sono diagonali nella dello spin inuisce solo ψ+ (ψ− ). Pertanto, dato uno stato iniziale in cui la funzione σ (1) , Ψ0 = ψ 0 ⊗ χσ , l'evoluzione generata da Ĥ0 t t t t lascia invariata la parte di spin; si ha cioè Ψ = ψ ⊗ χσ con ψ (x) = Uα ψ0 (x) e Uαt gruppo unitario fortemente continuo in L2 (Rd ). d'onda di spin è un autostato di Si noti che gli elementi di matrice di radice di un'energia per d = 1, hanno la dimensione dell'inverso della d=3 la dimensione della radice di un'energia per d = 2. Ψ ∈ D(Ĥ0 ) mentre sono adimensionali per d'onda di un generico stato Γ Si noti anche che per d = 1 la funzione è continua ma ha derivata discontinua, in particolare valgono le seguenti condizioni al bordo: ψσ0 (0+ ) − ψσ0 (0− ) ≡ α ψσ (0). ψσ (0+ ) = ψσ (0− ) ≡ ψσ (0), (4.42) Seguendo una pratica comune in letteratura (si veda pag. 95 appendice B) indichiamo gli Hamiltoniani Ĥ0 come interazioni δ . Utilizzando la (4.35) e la (4.36) si trova la caratterizzazione dello spettro di Teorema 3 Per d = 1, 2, 3 lo spettro essenziale di Ĥ0 Ĥ0 . è σess (Ĥ0 ) = [−β, +∞). (4.43) Lo spettro puntuale coincide con l'insieme delle radici reali dell'equazione det Γ0 (z) = 0. d=1. Se 0 ≤ α < ∞ lo spettro puntuale è vuoto. (4.44) Se −∞ < α < 0 lo spettro puntuale consiste di due autovalori semplici dati da E0,− = −β − Per ogni −∞ < α < 0 α2 ; 4 E0,+ = β − l'autovalore più basso, E0,− α2 . 4 si trova al di sotto della soglia dello spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore a seconda del valore di - α possono vericarsi due casi: √ α < −2 2β : E0,+ si trova al di sotto della soglia dello spettro es- senziale; in questo caso lo spettro puntuale è solo discreto e lo spettro essenziale è assolutamente continuo. - d=2. Se √ −2 2β ≤ α < 0: l'autovalore più alto è immerso nello spettro continuo, ovvero −β ≤ E0,+ < β . 0<µ<∞ lo spettro puntuale consiste di due autovalori semplici dati da E0,− = −β − 1 ; µ E0,+ = β − 1 . µ Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito L'autovalore più basso, E0,− 56 si trova sempre al di sotto della soglia dello spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore, a seconda del µ valore di si ha: 0 < 2βµ < 1: - il secondo autovalore, E0,+ , si trova anch'esso al di sotto della soglia dello spettro essenziale; in questo caso lo spettro puntuale è solo discreto e lo spettro essenziale è assolutamente continuo. 1 < 2βµ < ∞: l'autovalore ovvero −β ≤ E0,+ < β . - d=3. Se Se 0≤α<∞ più alto è immerso nello spettro continuo, lo spettro puntuale è vuoto. Se −∞ < α < 0 lo spettro puntuale consiste di due autovalori semplici dati da E0,− = −β − (4πα)2 ; L'autovalore più basso, E0,− E0,+ = β − (4πα)2 . si trova sempre al di sotto della soglia dello spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore a seconda del α valore di possono vericarsi due casi: √ ∞ < α < −2 2β/(4π): E0,+ - si trova come E0,− al di sotto della soglia dello spettro essenziale; in questo caso lo spettro puntuale è solo discreto e lo spettro essenziale è assolutamente continuo. √ −2 2β/(4π) ≤ α < 0: l'autovalore continuo, ovvero −β ≤ E0,+ < β . - più alto è immerso nello spettro 4.4 Hamiltoniano perturbato e risonanze L'Hamiltoniano Ĥ0 denito nella sezione precedente genera un'interazione diag- onale nelle variabili di spin, nel senso che la particella risente di un potenziale dipendente dallo spin ma quest'ultimo non viene inuenzato dall'interazione. All'interno della stessa famiglia di estensioni autoaggiunte di tratto Ĥ0 S da cui abbiamo es- è possibile estrarre una sottofamiglia di perturbazioni di da un parametro perturbativo ε, Ĥ0 , individuate che genera una dinamica che accoppia i due stati di spin. Denizione 2 Sia −∞ < α < ∞ e 0 < ε |α|. L'Hamiltoniano Ĥε è denito come segue: D(Ĥε ) := n Ψ ∈ H | Ψ = Ψz + X qσ Φzσ ; Ψz = X σ σ q± = −α f± − ε f± d = 1; α q± + ε q± = f± d = 2, 3 Ĥε Ψ := HΨ + z X σ ψσz ⊗ χσ ∈ D(H); z ∈ ρ(Ĥε ) qσ Φzσ o Ψ ∈ D(Ĥε ) . (4.45) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 57 Ĥε è di nuovo una conseguenza diretta del teorema 2 in quanto Ĥε è ottenuto aggiungendo −ε (risp. +ε) ai termini fuori diagonale della matrice B (risp.A) usata nella denizione dell'operatore Ĥ0 per d = 1 (risp. d = 2, 3). Il risolvente di Ĥε è X R̂ε (z) = R(z) + (Γε (z))−1 σ,σ0 h Φz̄σ0 , · i Φzσ (4.46) L'autoaggiutezza di σ,σ 0 dove Γε (z) = B −1 (BΓ(z) + A) i − 2√z−β − Γε (z) = ha la seguente espressione α α2 −ε2 ε α2 −ε2 i − 2√z+β − ε α2 −ε2 ! √ µ (z−β)) − iπ/2 2π ln( Γε (z) = √ ln( ε √ z−β 4πi Γε (z) = +α ε µ (z+β)) − iπ/2 2π ! ε z+β 4πi Si verica facilmente che per ogni d=3. è una costante positiva. (4.47) +α z∈C esiste ε0 k R̂ε (z) − R̂0 (z) k B(H,H) ≤ ε C C d=2 √ ε dove d=1 α α2 −ε2 tale che ∀ 0 < ε < ε0 (4.48) La (4.48) implica la convergenza uniforme del al risolvente di Ĥ0 per ε → 0. Di conseguenza (si veda ad. es. −iĤε t −iĤ0 t [28]) il gruppo unitario e converge uniformemente a e per ogni tempo risolvente di 0 ≤ t ≤ T. Ĥ0 . nito di Ĥε In questo senso l'Hamiltoniano Ĥε è una piccola perturbazione Da un'analisi diretta delle singolarità del risolvente è facile mostrare come per sucientemente piccolo l'Hamiltoniano anche se di Ĥ0 Ĥ0 ne possiede. che si trova tra −β Ĥε ε non ha autovalori immersi nel continuo In particolare si trova che il polo reale del risolvente e +β si sposta in un polo di R̂ε nel secondo foglio di Riemann. Teorema 4 Si assuma che −2 p 2β < α < 0 d=1 1 < 2βµ < ∞ d=2 p − 2β /(4π) < α < 0 allora esiste ε0 > 0 tale che per ogni 0 < ε < ε0 d=3 lo spettro essenziale di (4.49) Ĥε è solo assolutamente continuo, σess (Ĥε ) = σac (Ĥε ) = [−β, +∞). (4.50) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 58 0 < ε < ε0 lo spettro puntuale consiste di un singolo autovalore, Eε,− < −β e il risolvente R̂ε (z) ha un polo semplice (una risonanza) nel secondo foglio di Riemann. La risonanza è vicina all'autovalore immerso di Ĥ0 , ovvero | Eεres − E0,+ | ≤ C ε2 , per una qualche costante positiva C . Inoltre per ogni Si noti che le (4.49) rappresentano le condizioni per cui l'autovalore più alto dell'Hamiltoniano Ĥ0 è immerso nello spettro continuo. Dimostriamo il teorema 4. spettro essenziale di Ĥε del teorema, ovvero che Dalla compattezza di coincide con Ĥε [−β, ∞]. R̂ε (z) − R(z) segue che lo Per provare la prima aermazione non ha autovalori che si trovino al di sopra della soglia dello spettro continuo è suciente provare che l'equazione det Γ̂ε (z) = 0 (4.51) [−β, ∞). Nel seguito scriveremo z = λ det Γ̂ε (z) = 0 per d = 1, 2, 3 dà p p i(α2 − ε2 ) + 2α z − β i(α2 − ε2 ) + 2α z + β p p − 4 ε2 z − β z + β = 0 p p ln( µ(z − β) − iπ/2 ln( µ(z + β) − iπ/2 − (2πε)2 = 0 p p −i z − β + 4πα −i z + β + 4πα − (4πε)2 = 0 non ha soluzioni reali in z ogni volta in cui è reale. L'equazione Analizziamo le proprietà spettrali di caso d = 3. Ĥε per ε tali che ε/|α| 1 d=1 (4.52) d=2 (4.53) d=3 (4.54) e per λ > −β nel Deniamo la funzione: f (z) := −i p p z − β + 4πα −i z + β + 4πα . (4.55) L'equazione (4.54) è equivalente a f (z) = (4πε)2 . (4.56) E' facile vericare che: - se α > 0, - se α<0 per ogni e λ ≥ β, λ ≥ −β Imf (λ) Imf (λ) <0 ; > 0; in questi due casi la (4.56) non può essere quindi soddisfatta. Resta da considerare il caso α<0 e −β < λ < β . f 0 (E0,+ ) = f (z) intorno all'autovalore E0,+ f (E0,+ ) = 0 mentre Sviluppiamo trova in questa regione dello spettro; p 1 (i 2β − (4πα)2 + 4π|α|) . 8π|α| che si (4.57) Capitolo 4. Dalla (4.57) si vede che Imz < 0 59 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito e Rez f 0 (E0,+ ) (z − E0,+ ) > E0,+ . assume valori reali positivi solo se 2 Questo signica che la soluzione di f (z) = (4πε) , se esiste, si trova nel secondo foglio di Riemann corrispondente alla radice di Un ragionamento analogo prova lo stesso risultato per d = 1. Per z + β. d = 2 la parte immaginaria si muove sempre verso valori negativi mentre la parte reale della risonanza è più grande o più piccola di o maggiore di zero. Infatti per f (z) = (2πε)2 con d=2 E0,+ l'equazione a seconda che E0,+ det Γε (z) = 0 sia minore è equivalente a p p f (z) = ln( µ(z − β) − iπ/2 ln( µ(z + β) − iπ/2 . (4.58) Si ha: µ p µ ln 2βµ − 1 + i π . 2 4 0 Anché f (E0,+ )(z − E0,+ ) sia reale e positivo Imz deve essere quanto riguarda la parte reale di z possono vericarsi due casi: f 0 (E0,+ ) = − a) b) (4.59) negativa. Per √ ln 2βµ − 1 > 0 e Re[ f 0 (E0,+ ) ] < 0. 2 Anché sia soddisfatta l'equazione f (z) = (2πε) deve essere Rez < E0,+ . √ 1 < 2βµ < 2 cioè E0,+ < 0: ln 2βµ − 1 < 0 e Re[f 0 (E0,+ )] > 0. 2 L'equazione f (z) = (2πε) può essere soddisfatta solo se Rez > E0,+ . 2βµ > 2 cioè E0,+ > 0: Proviamo ora che nell'intervallo al di sotto di λ < −β −β . √ − 2β/(4π) ≤ α < 0 esiste un solo autovalore A questo scopo è suciente analizzare l'equazione (4.54) per e per valori di λ per i quali l'equazione è reale. Usiamo |α| = −α. Le soluzioni dell'equazione (4.54) sono date da: √ √ β−λ −β − λ ε2 −1 −1 = 4π|α| 4π|α| |α|2 λ < −β . (4.60) Se la condizione (4.49) è soddisfatta, la funzione al membro sinistro dell'equazione 2 è positiva se e solo se λ < −β − (4πα) , cioè se λ < E0,− . Inoltre in questo intervallo la funzione è strettamente decrescente in λ +∞ per λ → −∞. sotto −β . Fermandosi e tende a Pertanto esiste uno e un solo autovalore, Eε,− che si trova 2 al primo ordine in ε la formula esplicita per Eε,− è la seguente: 2(4π)2 Eε,− = E0,− − p ε2 + O(ε4 ) . 2 2β/(4πα) + 1 − 1 Resta da provare che per √ − 2β/(4π) ≤ α < 0, (Γε (z))−1 (4.61) ha una continuazio- ne analitica nel secondo foglio attraverso l'asse reale e che nel secondo foglio di Riemann ha un polo. Riscriviamo l'equazione (4.54) come √ √ β−z β+z − |α| − |α| = ε2 . 4π 4πi (4.62) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 60 Con la seguente posizione √ β−z ξ= − |α| ; 4π √ η=− β+z − |α| , 4πi (4.63) l'equazione (4.62) diventa ε2 ξ = − . η (4.64) Consideriamo la seguente procedura di ricorrenza; ssiamo p 2β − (4πα)2 η0 = i + |α| 4π (4.65) e calcoliamo ad ogni passo p 2β − [ 4π(ξk−1 + |α|) ]2 ηk = |α| + i 4π ε2 ξk = − ; ηk all'interno della sfera | η − η0 | < C ε 2 . Nella denizione di ηk (4.66) la radice è la continuazione analitica della radice di un numero positivo: è denita con un parte reale positiva, mentre la parte immaginaria può essere positiva o negativa a seconda che l'argomento nella radice sia rispettivamente nel primo o nel secondo foglio di Riemann. Ne segue che ε2 . |α| (4.67) ε2 (ηk+1 − ηk ) ηk ηk+1 (4.68) |ηk | > |α| Essendo ξk+1 − ξk = |ξk | < e si ha anche | ξk+1 − ξk | ≤ ε2 | ηk+1 − ηk | . |α|2 ηk p p 2β − [ 4π(ξk + |α|) ]2 2β − [ 4π(ξk−1 + |α|) ]2 | ηk+1 − ηk | = − 4π 4π (4.69) Inoltre come conseguenza della denizione di ≤ C | ξk − ξk−1 | per una qualche costante positiva | ξk+1 − ξk | ≤ C. (4.70) Dalla (4.69) e dalla (4.70) ε2 ε2 C | η − η | ≤ | ξk − ξk−1 | . k+1 k |α|2 |α|2 (4.71) Usando la (4.71) ricorsivamente si ha | ξk+1 − ξk | ≤ ε2 C |α|2 k | ξ1 − ξ0 | (4.72) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 61 per cui sommando la serie si ottiene | ξ∞ − ξ0 | ≤ | ξ1 − ξ0 | 2 1 − εα2C (4.73) con ξ1 − ξ0 = p i |α| 2β − (4πα)2 |α| + i 4π 4 6 3 ε + O(ε ) . p 2β − (4πα)2 (4.74) La procedura è quindi convergente e la posizione della risonanza è data da Eεres = β − [4π(ξ∞ + |α|)]2 . Essendo (4π)2 ε2 ε2 =− ξ0 = − η0 2β p 2β − (4πα)2 |α| − 4π la posizione della risonanza al primo ordine in i ε2 (4.76) è (4π)4 α2 2 (4π)4 α2 p ε − i ε2 2β/(4πα)2 − 1 + O(ε4 ) . β β Eεres = E0,+ + Pertanto (4.75) | Eεres − E0,+ | < C ε2 e la parte immaginaria negativa di Eεres (4.77) sta a signicare che il polo si trova nel secondo foglio di Riemann. La prova del teorema 4 nei casi d = 1, 2 non dierisce sostanzialmente da quella data per il caso tridimensionale. All'ordine perturbativo più basso l'autovalore al di sotto di −β è dato da Eε,− = E0,− − ε2 p + O(ε4 ) 2 2( 8β/α + 1 − 1) d=1 (4.78) Eε,− = E0,− − 8π 2 ε2 /µ √ + O(ε4 ) ln( 2βµ + 1 ) d=2 (4.79) mentre la risonanza è Eεres = E0,+ Eεres = E0,+ con ε2 α 2 ε2 + − i 16β 2 p 8β/α2 − 1 + O(ε4 ) 8β/α2 8π 2 ε2 /µ π − 2 a + i + O(ε4 ) a + (π/2)2 2 d=1 (4.80) d=2 (4.81) √ a = ln( 2βµ − 1). E0,− è reale e negativo. Lo spostamento della parte reale della risonanza, invece, per d = 1, 3 è sempre positivo, mentre per d = 2, come già sottolineato, è positivo se E0,+ < 0 , negativo se E0,+ > 0. In gura 4.3 è gracato l'andamento della parte immaginaria della risonanza in funzione del parametro perturbativo ε, per d = 1, 2, 3. Si noti che per d = 1, 2, 3 lo spostamento dell'autovalore più basso Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Figura 4.3: 62 Parte immaginaria della risonanza al variare del parametro perturbativo ε per d = 1, 2, 3. 4.5 Decadimento della risonanza Obiettivo di questo paragrafo è l'analisi del comportamento temporale associato alla presenza di una risonanza. In particolare sarà calcolato il decadimento della probabilità di sopravvivenza di uno stato con spin su per uno stato iniziale il cui supporto in energia è contenuto in un piccolo intervallo dello spettro attorno alla posizione dell'autovalore nel continuo. attorno a E0,+ che nell'Hamiltoniano imperturbato è immerso E' ovvio che diversi stati iniziali avranno un diverso decadimento t = 0; la conoscenza delle autofunzioni generalizzate permette di trovare per ogni stato iniziale una formula specica. ε sucientemente piccolo lo spettro essenziale di Ĥε è solo assolutamente continuo e coincide con [−β, ∞). Pertanto per d = 1, 2, 3 e λ ≥ −β la proiezione spettrale di Ĥε sulla parte assolutamente continua dello spettro può Ricordiamo che per essere denita attraverso la formula di Stone (si veda pag. 35) come: Pε (z) := s − lim+ δ→0 dove con 1 R̂ε (λ − iδ) − R̂ε (λ + iδ) 2πi s − lim si è indicato il limite in senso forte. λ ∈ [−β, ∞) Dato uno stato iniziale ha solo proiezione sulla parte assolutamente continua dello spettro di Z (4.82) Ĥε Ψ che si ha che +∞ Ψ(t) = −β e−iλt Pε (λ) Ψ dλ . (4.83) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 63 D'altra parte in tutte le dimensioni è possibile derivare una formula esplicita per Pε (λ) in termini delle autofunzioni generalizzate. Vediamo i dettagli per d = 3. Con un calcolo diretto della (4.82) si trova che: Pε (λ) = XZ σ=± (4.84) Ω Ĥε sono date da X −1 0 Φ̂σε (λ; ω) = Φσ (λ; ω) + φσ (λ; ω, 0) Γε,+ (λ) σ0 ,σ G+λ−σ α ⊗ χσ0 dove Ω Φ̂σε (λ; ω) hΦ̂σε (λ; ω), · i dω è l'angolo solido e le autofunzioni di λ ∈ [σβ, ∞) . σ0 (4.85) I vettori σ Φ (λ; ω) sono le autofunzioni generalizzate dell'operatore H denito dalla (4.10), Φσ (λ; ω) := φσ ⊗ χσ ; φσ (λ; ω, x) = mentre 0 α Gλ−σ + e (λ − σβ)1/4 iω√λ−σβ x e 4π 3/2 Γε,+ (λ) λ ∈ [σβ, ∞) ω ∈ Ω (4.86) sono denite da G+λ−σα = lim+ G λ−σα+iδ Γε,+ (λ) = lim+ Γε (λ + iδ) . δ→0 Essendo l'interazione generata da Ĥε δ→0 (4.87) non diagonale nelle componenti di spin, l'in- terazione con la particella induce lo spin ad evolvere verso una sovrapposizione di stati anche quando lo stato iniziale è tale che la parte di spin sia un autostato di σ (1) . E' riportata di seguito l'espressione esplicita delle autofunzioni generalizzate di Ĥε : √ " Φ̂+ ε (λ; ω) √ iω λ−β · = e ⊗ χ+ + √ λ−β 4πi − ei ε − √ λ−β 4πi λ+β − |α| 4πi √ λ+β |α| − 4πi √ λ+β − |α| − |α| − ε2 4πi √ ei |α| − ε2 # λ+β | · | 4π| · | ⊗ χ− √ λ−β | · | 4π| · | ⊗ χ+ 1 (λ − β) 4 λ ≥ β, ω ∈ Ω 3 4π 2 (4.88) " Φ̂− ε (λ; ω) √ √ iω λ+β · = e − √ λ−β 4πi ⊗ χ− + √ λ−β 4πi − λ−β − |α| 4πi √ λ+β |α| − 4πi ei ε √ λ+β − ε2 − |α| − |α| 4πi √ ei |α| − ε2 # λ−β | · | 4π| · | ⊗ χ+ √ λ+β | · | 4π| · | ⊗ χ− 1 (λ + β) 4 3 4π 2 λ ≥ −β, ω ∈ Ω (4.89) dove si è usata la condizione √ − 2β/(4π) ≤ α < 0. Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 64 Vogliamo analizzare al comportamento temporale di uno stato metastabile, quindi di uno stato con componente dello spin intorno dell'autovalore χ+ con supporto in energia in un −β < E0,+ < β dell'Hamiltoniano imperturbato. Esaminiχ+ dell'autostato Φ̂− ε (λ; ω). Indichi2 l'intervallo centrato in E0,+ e di ampiezza 2∆ tale che ε 2∆ (4πα) . amo pertanto l'evoluzione della componente amo con I Si consideri il seguente proiettore: 1 1 PI,++ (t; x, x0 ) := 4 64π |x||x0 | Z I √ √ 0 ε2 λ + β e−iλt e− β−λ(|x|+|x |) dλ √ 2 √ λ − β/(4πi) − |α| λ + β/(4πi) − |α| − ε2 (4.90) Per λ∈I β−λ > 0 per cui la funzione integranda nella (4.90) è limitata. 0 Ciò implica che l'operatore PI,++ (t; x, x ) è un operatore di Hilbert-Schmidt per ogni t > 0. si ha Eettuando il seguente cambiamento di variabili √ ξ≡ β−λ − |α| 4π (4.91) possiamo riscrivere la (4.90) come segue: 0 2 −ε2 e−(4π) |α|(|x|+|x |) PI,++ (t; x, x ) = 2π 2 |x||x0 | Z 0 I0 2 2 2 0 f (ξ) e−i (β−(4π) (ξ+|α|) ) t e−(4π) ξ (|x|+|x |) dξ 2β 2 2 4 ξ 4 + 2|α|ξ 3 − (4π) 2 ξ − 2ε |α|ξ − ε (4.92) dove f (ξ) = p 2β − (4π)2 (ξ + |α|)2 (ξ + |α|) (4.93) e I0 = h p(4π|α|)2 − ∆ 4π p i (4π|α|)2 + ∆ − |α| , − |α| . 4π (4.94) Le quattro radici del denominatore della funzione integranda della (4.92) sono facilmente analizzabili. Due di esse sono reali ξ1 (ε), ξ2 (ε) ∈ R e vicine alle radici 2β 2 reali dell'equazione ξ +2|α|ξ − = 0. Le ultime due radici ξ3 (ε), ξ3∗ (ε) ∈ C sono (4π)2 2β complesse coniugate e vicine alle radici dell'equazione ξ 2 + 2ε2 |α|ξ + ε4 = 0. (4π)2 res Tra queste ultime due, quella corrispondente a Eε (diciamo ξ3 (ε)) ha parte im2 magnaria positiva e per ε sucientemente piccolo |ξ3 (ε)| ≤ C ε . Con la notazione appena introdotta possiamo scrivere: 2 0 −ε2 e−(4π) |α|(|x|+|x |) PI,++ (t; x, x ) = 2π 2 |x||x0 | 0 2 2 2 0 f (ξ)e−i (β−(4π) (ξ+|α|) ) t e−(4π) ξ (|x|+|x |) dξ . ∗ I 0 (ξ − ξ1 (ε))(ξ − ξ2 (ε))(ξ − ξ3 (ε))(ξ − ξ3 (ε)) Z (4.95) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito Si noti che la densità degli stati è approssimativamente una Lorentziana in I 0. 65 La dierenza con un puro comportamento Lorentziano è indicato dalla presenza di un termine quartico al denominatore e di una funzione che varia molto lentamente al numeratore della funzione integranda. Allo scopo di ritrovare il risultato standard per il comportamento temporale di uno stato metastabile vogliamo estrarre il termine esponenziale e stimare il resto associato alla parte non Lorentziana della densità degli stati. Nel seguito parte reale e immaginaria della risonanza saranno indicate come segue: Eεres := bε − iγε . −β < bε < β , | bε − (β − 4πα)2 | < Cε2 ε sucientemente piccolo e per qualche costante positiva C . Dal teorema 4 si ha per Teorema 5 Sia PI,++ (t; x, x0 ) e 0 < γε < Cε2 denito come nella (4.90), allora PI,++ (t; x, x0 ) := L(t, ε) + B(t, ε) (4.96) dove si è usata la seguente notazione iρε2 K(x, x0 ) e−ibε t e−γε t L( x, x ; t, ε) = − ∗ π(ξ3 (ε) − ξ − 3(ε)) 0 con 0 2 e−(4π) |α|(|x|+|x |) K(x, x0 ) = , |x| + |x0 | p |α| 2β − (4π|α|)2 ρ= . ξ1 (ε)ξ2 ε (4.97) (4.98) Vale la seguente stima k B(t, ε) k HS ≤ Cε2 . (4.99) Dimostriamo il teorema. Consideriamo il sottinsieme aperto di C denito da Q = {z ∈ C | |z| < diam(I 0 ) , 0 ≤ arg(z) ≤ π}. L'insieme Q è un semicerchio 0 nel piano complesso superiore, con centro nell'origine e avente I come diametro. La funzione che compare nella (4.95) può essere continuata analiticamente in Q. Usando il teorema dei residui si trova: PI,++ (t) := P1 (t) − P2 (t) (4.100) P1 (t; x, x0 ) è il residuo nel polo risonante z = ξ3 (che è l'unica singolarità con0 tenuta in Q) mentre P2 (t; x, x ) è l'integrale sulla parte semicircolare della frontiera dove di Q. Esplicitamente: 2 0 f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |) iε2 e−ibε t e−γε t 0 P1 (t; x, x ) = − K(x, x ) π(ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε)) (ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε)) 0 (4.101) e ε2 P2 (t; x, x ) = − K(x, x0 ) 2π 0 Z ∂Q\I 0 2 2 0 f (z) e−i (β−(4π) (z+|α|)) t e−(4π) z(|x|+|x |) dz (z − ξ1 (ε))(z − ξ2 (ε))(z − ξ3 (ε))(z − ξ3∗ (ε)) (4.102) Capitolo 4. Formazione di stati metastabili: un modello esplicito 66 √ β−bε +iγε − |α| in modo da far comparire parte reale e im4π maginaria della risonanza. Ovviamente gli operatori P1 (t) e P2 (t) dipendono da ε dove si è usato ξ3 = anche se tale dipendenza non è indicata esplicitamente. Analizziamo ora il termine P2 (t; x, x0 ). Per ogni x, x0 ∈ R3 e per ε suciente- mente piccolo 2 | P2 (t; x, x0 ) | ≤ ε2 C |K(x, x0 )| e−(4π) dove si è usato il fatto che per ogni z ∈ ∂Q\I 0 , Im inf(I 0 )(|x|+|x0 |) (z + |α|)2 > 0 (4.103) e che per ε sucientemente piccolo | f (z) | ≤ C Poiché | (z − ξ1 (ε))(z − ξ2 (ε))(z − ξ3 (ε))(z − ξ3∗ (ε)) | −1 ≤ C. e |α| + inf(I 0 ) > 0 k P2 (t) k HS ≤ C ε2 . Dalla denizione di L(t, ε) e P1 (t) (4.105) si ha | L(t, ε; x, x0 ) − P1 (t, x, x0 ) | = − Da (4.104) i ε2 e−ibε t e−γ−εt K(x, x0 ) π (ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε)) p 2 0 |α| 2β − (4π|α|)2 f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |) − ξ1 (ε)ξ2 (ε) (ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε)) | ξ3 (ε) | ≤ Cε2 k L(t, ε) − P1 (t) k HS ≤ Cε2 . B(t, ε) = P1 (t) − L(t, ε) − P2 (t). segue ottiene quindi ponendo (4.106) La prova del teorema si Il teorema 5 chiarisce completamente il comportamento asintotico della risonanza. In particolare si trova che il termine L(t, ε) per tempi grandi va a zero più velocemente di un esponenziale. D'altra parte un puro comportamento esponenziale sarebbe impossibile anche se la densità degli stati fosse una pura Lorentziana. Infatti l'integrale di una densità degli stati Lorenztiana restituisce un esponenziale solo se l'integrazione è estesa all'intero asse reale, mentre lo spettro di un operatore Hamiltoniano è sempre limitato inferiormente. La stima (4.96) mostra come correzioni non esponenziali alla legge di decadimento siano presenti durante l'intero processo di decadimento, anche se si manifestano solo in qualche regione temporale. Per quanto riguarda il comportamento della risonanza a tempi brevi la stima data dal teorema 5 non è esplicita. Infatti il termine dovuto alla parte non B(t, ε) può essere in principio molto più grande di | L(0, ε) − L(t, ε) | 0 ≤ t < 1. Per esaminare i dettagli dell'evoluzione del proiettore a tempi brevi conveniente una rappresentazione alternativa di PI,++ (t). Scriviamo lorentziana per è PI,++ (t) = PI,++ (0) + (PI,++ (t) − PI,++ (0)) (4.107) Capitolo 4. dove Formazione di stati metastabili: un modello esplicito a(x, x0 ) = PI,++ (0) 67 e PI,++ (t) − PI,++ (0) = ε2 − K(x, x0 ) 2π 2 f (ξ) e−i(β−(4π) 2 (ξ+|α|)2 Z I0 ξ 4 + 2|α|ξ 3 − )t − 1e−(4π)2 ξ(|x|+|x0 |) 2β ξ2 (4π)2 − 2ε2 |α|ξ − ε4 dξ. (4.108) Seguendo la dimostrazione fatta per il teorema 5 possiamo continuare analitica- PI,++ (t) e usare il teorema dei residui per calcolare la (4.108). Indicando 0 0 con b(x, x ) il contributo dovuto al polo risonante e con c(x, x ) la derivata in t = 0 0 dell'integrale sul semicerchio Q\I , si ha per PI,++ (t) il seguente sviluppo valido per 0 ≤ t 1/ε: mente res PI,++ (t) = a(x, x0 ) − b(x, x0 ) (1 − e−iEε t ) + c(x, x0 ) ε2 t + O(ε2 t2 ) d(x, x0 ) (4.109) con ε2 a(x, x ) = − 2 K(x, x0 ) 2π 0 Z I0 2 0 f (ξ) e−(4π) ξ (|x|+|x |) dξ 2β 2 2 4 ξ 4 + 2|α|ξ 3 − (4π) 2 ξ − 2ε |α|ξ − ε 2 0 f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |) ε2 0 K(x, x ) b(x, x ) = − 2 2π (ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε)) (ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε)) Z 2 0 f (z) i (β − (4π)2 (z + |α|)2 ) e−(4π) z(|x|+|x |) 1 0 0 c(x, x ) = 2 K(x, x ) dz. 2β 2 2 4 2π z 4 + 2|α|z 3 − (4π) Q\I 0 2 z − 2ε |α|z − ε 0 Con argomentazioni simili a quelle usate per il teorema 5 si mostra che: k a k HS ≤ C; k b k HS ≤ C; k c k HS ≤ C; k d k HS ≤ C. (4.110) Conclusione Il modello esplicito presentato nel capitolo 4 rappresenta il risultato di un'analisi teorica costruttiva, basata sulla denizione di modelli semplici, ma sicamente signicativi, in cui le proprietà della dinamica possono essere analizzate in dettaglio. In esso il processo di formazione di uno stato metastabile è ottenuto in termini dell'interazione tra due sistemi genuinamente quantistici, una particella non relativistica e un atomo-modello. In particolare il modello consente di mostrare esplicitamente che autovalori dell'Hamiltoniano libero immersi nello spettro continuo diventano risonanze per l'Hamiltoniano perturbato. La solubilità del modello consente l'analisi esplicita del comportamento temporale del proiettore su una regione dello spettro vicina alla risonanza, sia per tempi lunghi che per tempi brevi. Le stime ottenute mostrano come durante l'intero processo di decadimento siano presenti correzioni non esponenziali alla legge di decadimento; tali risultati possono essere rilevanti per esaminare gli eetti Zenone e anti-Zenone quantistici (si veda ad es. [16, 15]), in quanto tali eetti sono legati al decadimento non esponenziale a tempi piccoli. Nonostante l'interazione denita nel modello sia un'interazione a bassa energia, essa può essere generalizzata a potenziali qualsiasi. Infatti ogni operatore di Schrödinger a valori matrici con un potenziale regolare può essere approssimato con Hamiltoniani con interazione puntuale del tipo denito nel capitolo 4 (si veda [18]). Per questo motivo il modello presentato si presta all'indagine di situazioni più generali. Lo stesso modello può essere utilizzato per lo studio di sistemi in cui sono presenti autostati sulla soglia dello spettro continuo, denendo un Hamiltoniano libero che abbia le caratteristiche spettrali richieste e studiandone le perturbazioni nel senso del risolvente. Sistemi di questo tipo sono rilevanti come modello di interazione dell'atomo-modello con campi a massa zero. Le caratteristiche generali dei risultati ottenuti non variano nel caso in cui si considerino un grande numero di bosoni interagenti con un bit quantistico localizzato. Può essere di interesse pedagogico l'analogia che esiste tra quest'ultimo sistema e un sistema costituito da un atomo non relativistico accoppiato con il campo di radiazione. La corrispondenza con questo sistema quantistico molto più complesso può essere stabilita interpretando il sistema quantistico localizzato come un atomo e la ionizzazione di una particella nel modello che abbiamo analizzato 68 Conclusione 69 come creazione di un fotone. L'emissione spontanea corrisponderà alla transizione da uno stato metastabile ad uno stato in cui l'atomo passa in un livello di energia più basso e viene prodotta una particella ionizzata. La distruzione di un fotone corrisponderà viceversa alla formazione di uno stato metastabile. Un'interazione attrattiva locale tra atomo e particelle produce uno stato di vuoto in cui tutti i bosoni sono connati nell'atomo, quindi, nell'interpretazione data, assenti. Appendice A Operatori lineari e teoria spettrale A.1 Denizioni generali Uno spazio di Hilbert H è uno spazio lineare vettoriale metrico (e quindi normato) completo e separabile. Un operatore o trasformazione T è una corrispondenza che associa ad ogni D(T ) dello spazio di H: elemento di un opportuno sottoinsieme (proprio o improprio) Hilbert H, detto dominio di T, uno ed un solo elemento di φ ∈ D(T ) . T φ = φ̃ Al variare di o range di T. φ (A.1) D(T ) le immagini descrivono un insieme detto codominio L di dice lineare se il suo dominio D(L) è una varietà linearmente su D(L), vale a dire: su tutto Un operatore lineare e se esso agisce e aφ + bψ ∈ D(L) ∀ φ, ψ ∈ D(L) (A.2) L(aφ + bψ) = a Lφ + b Lψ . (A.3) In meccanica quantistica si è interessati ad operatori lineari o deniti dappertutto, ovvero per i quali D(L) = H, oppure densamente deniti, ovvero tali che la chiusura del loro dominio coincide con Una trasformazione lineare se, per ogni arbitrario ε > 0, ∀ φ ∈ D(L) L H, [D(L)] = H. si dice continua in un punto χ del suo dominio esiste un numero positivo kφ − χk < δ(ε) ⇒ δ(ε) tale che: kLφ − Lχk < ε . (A.4) Enunciamo di seguito alcuni teoremi senza dimostrazione, per le quali si veda ad es. [12, 28]. Teorema 6 Se una trasformazione lineare risulta continua in un punto del suo dominio allora essa è continua in tutti i punti del suo dominio. 70 Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale T Un operatore si dice limitato se esiste una costante reale positiva C ∀ φ ∈ D(T ) Teorema 7 71 Una trasformazione T tale che: kT φk < Ckφk . (A.5) risulta continua se e solo se è limitata, ovvero continuità e limitatezza, nel caso di trasformazioni lineari dello spazio di Hilbert, risultano equivalenti. Un operatore lineare D(Ā) ⊇ D(A) Teorema 8 e Ā Ā estensione dell'operatore lineare A (Ā ⊇ A) se si dice un' coincide con A D(A) sul dominio di A. Ogni operatore lineare continuo (quindi limitato) ammette un'unica estensione lineare alla chiusura del suo dominio. Dimostrazione. Preso un punto χ D(A) ma appartiene alla di D(A) che converge a χ: che non appartiene a sua chiusura, esisterà una successione {φn } di elementi φn −−−−→ χ. n→+∞ Usando la (A.5) è immediato mostrare che la successione mati degli elementi della successione attraverso A {Φn = Aφn } dei trasfor- soddisfa il criterio di Cauchy. Infatty: kΦj − Φk k = kAφj − aφk k = kA(φj − φk )k ≤ Ckφj − φk k (A.6) e l'ultimo termine può rendersi arbitrariamente piccolo in quanto la successione {φn } soddisfa a sua volta il criterio di Cauchy. Poiché lo spazio successione {Φn } H è completo la risulterà convergente, ovvero esisterà un elemento Φ ∈ H tale che Aφn = Φn −−−−→ Φ. n→+∞ Possiamo allora considerare un operatore che coincide con A su D(A) ma è Āχ = Φ. Lo stesso procedimento può applicarsi a tutti i punti di accumulazione di D(A), ottenendo l'estensione di A alla varietà chiusa D(A) . Si noti che la scelta di considerare solo operatori densamente deniti in H comporta, per il teorema (8), che ogni operatore continuo è denito su tutto H. denito anche su χ Ā ponendo Si consideri un operatore lineare † un operatore T , che si dice T densamente denito. Possiamo allora denire aggiunto o hermitiano coniugato suo dominio sia costituito da tutti quei vettori ∃ χ̃ : Dal fatto che T ( χ̃ , φ ) = ( χ , T φ ) χ∈H di T tale che il per i quali ∀ φ ∈ D(T ) . è densamente denito segue immediatamente che l'elemento (A.7) χ̃, se esiste, è unico. Si denisce allora: χ̃ = T † χ . (A.8) Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale Si noti che il dominio di 72 T† non è vuoto in quanto almeno l'elemento nullo vi † appartiene. Inoltre è immediato vericare che T è un operatore lineare. Possiamo † esprimere la relazione tra T e T mediante la seguente uguaglianza: ( T †χ , φ ) = ( χ , T φ ) Un operatore lineare T ∀ χ ∈ D(T † ) densamente denito si dice ∀ φ ∈ D(T ) . e (A.9) simmetrico o hermitiano se D(T ) ⊂ D(T † ) T φ = T† φ T† in altre parole ∀ φ ∈ D(T ); costituisce un'estensione di T. giunto se coincide con il proprio aggiunto cioè T = T† Teorema 9 L'aggiunto T† e (A.10) Un operatore T si dice D(T ) = D(T † ) . di un operatore continuo T autoag(A.11) risulta esso stesso continuo e denito ovunque. Per il teorema 9, ogni operatore continuo simmetrico è autoaggiunto. Un operatore A con dominio D(A) si dice chiuso se e solo se l'insieme Γ(A) = { hφ, ψi ∈ H ⊗ H | φ ∈ D(A) è chiuso. Un operatore graco di un operatore chiusa di A A. si dice chiudibile e ψ = Aφ } se la chiusura di (A.12) Γ(A), Γ(A), è il Quest'ultimo risulta essere la più piccola estensione A. Sono riportati senza dimostrazione i seguenti due fondamentali teoremi per operatori simmetrici densamente deniti. Teorema 10 Se A è densamente denito, allora A è chiudibile e particolare ogni operatore hermitiano è chiudibile. Teorema 11 Le seguenti aermazioni sono equivalenti: a) A è autoaggiunto; b) A ha un'unica estensione autoaggiunta; c) A† = A†† ; d) A† è hermitiano. A = (A† )† . In Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale Se una delle proprietà che A è a) . . . d) è vera per un operatore simmetrico essenzialmente autoaggiunto. 73 A si dirà Riportiamo di seguito alcuni criteri per l'autoaggiuntezza (per le dimostrazioni si veda [28]). Indichiamo con RanA il codominio di A e con KerA il suo kernel ovvero: Teorema 12 A RanA = {A ψ | ψ ∈ D(A)} (A.13) KerA = {ψ ∈ D(A) | A ψ = 0} . (A.14) è autoaggiunto se e solo se è vericata una delle seguenti con- dizioni: a) Ran(A b) A ± i) = H; è chiuso e Ker(A Teorema 13 A † è essenzialmente autoaggiunto se e solo se è vericata una delle seguenti condizioni: a) Ran(A b) Ker(A † ± i) ± i) = 0. è denso; ± i) = 0. Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 74 A.2 Operatori di proiezione Teorema 14 (Decomposizione di vettori rispetto ad una varietà lineare) Si consideri una varietà lineare chiusa [L] ⊂ H. Un arbitrario vettore φ ∈ H, può scomporsi in uno e un solo modo nella somma di due vettori φ = φL + φ⊥ : φL ∈ [L] e φ⊥ ∈ H − [L]. (A.15) Con riferimento al teorema appena enunciato, possiamo denire l' proiezione PL sulla varietà [L] ponendo operatore di PL φ = φ L . E' facile vericare che PL è denito ovunque (per il teorema 14) ed è lineare, 2 hermitiano e idempotente, ovvero PL = PL . Tali condizioni risultano necessarie e sucienti anché PL risulti un proiettore. In altre parole, per qualsiasi operatore P lineare denito dappertutto, hermitiano e idempotente, esiste una varietà lineare chiusa [L] tale che P risulta l'operatore che associa ad ogni vettore la sua proiezione su [L]. ed Dati due operatori di proiezione PL e PM associati alle varietà lineari chiuse [L] [M ], rispettivamente, diremo che essi risultano ordinati e scriveremo PM ≤ PL [M ] ⊆ [L]. E' immediato vericare che la relazione appena introdotta soddisfa se 1 alle condizioni necessarie per denire un ordinamento parziale . Si consideri una {Pj }. Essa si P1 ≤ P2 ≤ P3 ≤ . . . successione di operatori di proiezione cente se valgono le relazioni: se si ha monotona non decrese monotona non crescente dirà P1 ≥ P 2 ≥ P3 ≥ . . . . Teorema 15 (Successioni monotone di proiettori) Qualunque successione di proiettori monotona non decrescente o monotona non crescente converge sempre ad un proiettore (che indichiamo come genza va intesa nel senso che per ogni vettore {Pj φ} ha come limite Pi [Li ] seguente. Poniamo anzitutto 1 Un φ dello spazio di Hilbert la successione di varietà lineari chiuse a due a due ortogonali e dei relativi proiettori. Sfruttando le proprietà sopra menzionate possiamo costruire una nuova successsione sono ortogonali La conver- {P∞ φ}. Si consideri la successione la successione P∞ ). Π2 Π1 = P1 Πi di operatori di proiezione nel modo e quindi Π 2 = P1 + P2 . Poiché è un proiettore che proietta sulla somma diretta ordinamento parziale [L1 ] ed [L2 ] [L1 ] ⊕ [L2 ] (indicata con il simbolo ) è una relazione tra elementi di un insieme che gode delle seguenti proprietà: 1. A B e B A ⇒ A = B; 2. A B e B C ⇒ A B. Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale delle due varietà. Poiché ovviamente [L1 ] ⊆ [L1 ] ⊕ [L2 ], 75 si ha che Π1 ≤ Π2 . Si può allora procedere in modo analogo ponendo Πk = P1 + P2 + . . . + Pk che ovviamente proietta sulla somma diretta delle prima evidente che la successione Πi k varietà lineari. E' risulta monotona non decrescente e quindi converge ad un proiettore. Risulta di particolare importanza il caso in cui questo limite è proprio l'operatore identità o, equivalentemente, in cui la somma diretta di tutte le varietà lineari della successione coincide con tutto lo spazio di Hilbert. Denizione 3 Si denisce risoluzione dell'identità una famiglia completamente ordinata di operatori di proiezione λ ∈ (−∞, +∞) 1. Pλ ortogonali e dipendenti dal parametro reale soddisfacenti le seguenti condizioni: Pλ −−−−→ 0 λ→−∞ , dove la convergenza è da intendersi nel senso che Pλ φ −−−−→ 0, λ→−∞ 2. Pλ continua in λ a destra ovvero ∀ φ ∈ H; Pλ −−−→ Pλ̃ ; λ→λ̃+ 3. Pλ ≥ Pλ̃ 4. Pλ −−−−→ I, λ→+∞ per λ ≥ λ̃; ovvero Pλ φ −−−−→ I φ = φ, λ→+∞ ∀ φ ∈ H. Poiché gli elementi della famiglia risultano totalmente ordinati, la dierenza per λ ≥ λ̃ è un proiettore. Pλ −Pλ̃ Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 76 A.3 Spettro di un operatore A Dato un operatore lineare seguenti due sottoinsiemi di 1. densamente denito in possiamo associare ad A i C: Insieme risolvente ρ(A): Rz (A) = (A − z I), H z ∈ C per i quali l'operatore costituito dai valori detto operatore risolvente, esiste ed è limitato. In questo caso l'equazione (A − z I)ϕ = ψ ϕ nel vettore incognito (A.16) ammette una ed una sola soluzione ∀ψ ∈ H ϕ = Rz (A)ψ (A.17) Rz (A) limitato, la soluzione (A.17) iniziale ψ (per il teorema 7). e il problema è ben posto perché, essendo è continua rispetto alla condizione 2. Spettro di A σ(A): sieme risolvente: All'interno dello spettro di a) costituito dai valori di z che non appartengono all'in- σ(A) ≡ C − ρ(A). Spettro puntuale: A possiamo distinguere le seguenti componenti: z per i (A − z I) non costituito dai valori di esiste, ovvero per i quali l'applicazione (A − z I)ψ = 0 quali il risolvente non è iniettiva: ψ ∈ H, ψ 6= 0 . con (A.18) z è detto autovalore di A, mentre ψ è chiamato autovettore corrispondente a z . Si dimostra che autovettori relativi ad autovalori distinti In questo caso sono linearmente indipendenti. b) Spettro residuo: costituito dai valori z ∈ C per i quali il risolvente esi- ste (limitato o non limitato) ma non è densamente denito. Esistono cioè in H vettori ortogonali alla chiusura del dominio del risolvente. l'equazione c) (A − z I)ψ = 0 Spettro continuo: non implica che z Pertanto sia un autovalore di A. insieme dei punti dello spettro che non appartengono né 2 allo spettro puntuale né allo spettro residuo . Lo spettro continuo è costituito dai valori z∈C per i quali il risolvente ma non è limitato. Se z Rz (A) esiste, è densamente denito appartiene allo spettro continuo l'equazione (A.16) ammette soluzione ma quest'ultima non è continua nel termine noto essendo Un numero A se esiste Rz (A) ψ, non continuo. λ ∈ C è detto autovalore generalizzato o improprio dell'operatore una successione {ψn } di vettori di H tale che lim = (A − λI)ψn = 0 n→+∞ kψn k = 1, ∀n∈N 2 Si confronti con la denizione di spettro continuo data a pag. 84. (A.19) Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 77 o equivalentemente se ∀ > 0 ∃ψ ∈ H, kψk = 1 : k(A − λI) ψk < . (A.20) Ogni autovalore è un autovalore generalizzato e ogni autovalore generalizzato appartiene allo spettro. Le soluzioni φλ dell'equazione agli autovalori relative ad autovalori generalizzati sono detti propri). Questi ultimi non appartengono ad Aφλ = λφλ autovettori generalizzati (o imH, tuttavia vale la proprietà: Z φλ dλ = Φ∆ ∈ H (A.21) ∆ per ogni ∆ contenuto negli intervalli di variabilità di λ. E' facile vericare che i punti dello spettro residuo sono costituiti dai numeri z ∈ C che non sono autovalori di A, ma tali che z̄ sia autovalore di A† . † Se A è un operatore simmetrico A ⊂ A e tutti gli autovalori di A sono anche † autovalori di A . Pertanto lo spettro residuo è costituito dai complessi coniugati † degli autovalori di A che non sono autovalori di A. Se si eettua un'estensione complessi simmetrica à di A, il che implica A ⊂ à ⊂ Æ ⊂ A† , lo spettro residuo di sione autoaggiunta à risulta minore di quello di A. Nel caso si à = Æ lo spettro residuo risulta vuoto. ottenga un'estenL'ampiezza del- lo spettro residuo è quindi correlata per un operatore simmetrico al grado di allontanamento dalla condizione di autoaggiuntezza. Se A è un operatore simmetrico lo spetto σ(A) è un sottoinsieme dell'asse reale. L'insieme risolvente di un operatore simmetrico ha quindi al più due componenti disgiunte corrispondenti al semipiano superiore e al semipiano inferiore del campo complesso. Per ogni numero complesso z con parte immaginaria diversa da zero possiamo considerare il sottospazio ortogonale all'immagine di (A − z). Per A simmetrico si dimostra che la dimensione di questi sottospazi è costante in ogni componente dell'insieme risolvente. Si deniscono indici di difetto dell'operatore A: a) m ≡ dim[ Ran(A − Z) ]⊥ Imz >0 b) n ≡ dim[ Ran(A − Z) ]⊥ Imz <0 Esiste un'importante relazione tra gli indici di difetto di A e la molteplicità del† † l'autovalore z̄ di A . Indichiamo con (A )z̄ il sottospazio lineare degli autovettori † di A relativi all'autovalore z̄ . Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 78 Si ha: a) m ≡ dim(A† )z̄ Imz >0 b) n ≡ dim(A† )z̄ Imz < 0. La nozione di indice di difetto permette di classicare gli operatori simmetrici densamente deniti. Possono vericarsi i seguenti casi: 1. se m=n=0A 2. se m = n 6= 0 3. se m 6= n l'operatore è autoaggiunto; l'operatore ammette estensioni autoaggiunte; ed uno dei due indici è nullo l'operatore non possiede estensioni simmetriche e quindi autoaggiunte. Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 79 A.4 Operatori autoaggiunti e teorema spettrale Teorema 16 1. σ(A) 2. A Sia A un operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert è un sottoinsieme chiuso di H. Allora: R. non ha spettro residuo; 3. Autovettori corrispondenti ad autovalori distinti sono ortogonali e l'insieme delle autofunzioni proprie {φk } ed improprie {φλ } risulta completo nel senso che qualsiasi elemento dello spazio può scriversi come X ψ= dove ck = (φk , ψ) Supponiamo che A Z ck φk + c(λ) φλ dλ (A.22) c(λ) = (φλ , ψ) e Z X 2 2 kψk = |ck | + |c(λ)|2 dλ < +∞. e sia un operatore autoaggiunto in puntuale. Gli autovettori φk di A H (A.23) con spettro puramente normalizzati come segue (φi , φj ) = δij costituiscono un insieme ortonormale completo in (A.24) H, per cui qualunque vettore dello spazio potrà esprimersi come: χ= ∞ X ( φk , χ ) φk . (A.25) k=1 E' nota l'azione di A sui suoi autovettori A φk = λk φk . Usando la (A.25) e la linearità di A (A.26) si ha ∞ ∞ X X Aψ = (φk , ψ) A φk = λk (φk , ψ) k=1 per ogni ψ ∈ H. (A.27) k=1 La (A.27) si può anche scrivere come Aψ = ∞ X λ k Pk ψ (A.28) k=1 dove Pk ψ = (φk , ψ) φk è il proiettore di ψ sull'autovarietà generata da maniera formale vale la seguente rappresentazione spettrale di A φk . In in termini dei suoi autovalori e dei proiettori sulle sue autovarietà. A= ∞ X k=1 λk Pk . (A.29) Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 80 La (A.29) implica ed è implicata dal fatto che valga per ogni elemento dominio di A ψ del la relazione (ψ, Aψ) = ∞ X λk (ψ, Pk ψ) . (A.30) k=1 A (A.29) al caso in λK è un autovalore generalizzato di A non esiste alcun vettore φk ∈ H tale che A φk = λk φk , per cui non è possibile denire i proiettori Pk . Scriviamo allora la rappresentazione spettrale (A.29) in una forma Vogliamo ora generalizzare la rappresentazione spettrale di cui A abbia anche spettro continuo. Se che sia generalizzabile allo spettro continuo. Consideriamo il proiettore: X Eλ = Pk (A.31) λk ≤ λ dove gli autovalori discreti tospazio λk ≤ λ. Mλ λk sono ordinati per valori crescenti. Eλ proietta sull'au- ottenuto come somma diretta degli autospazi relativi agli autovalori La famiglia di proiettori Eλ è una risoluzione dell'identità in quanto sod- disfa le condizioni della denizione 3. In particolare il teorema 16 garantisce che Eλ tenda all'identità per Si noti che λ tendente all'innito. (ψ, Eλ ψ) rappresenta la componente del vettore ψ con λ. La funzione F (λ) = (ψ, Pλ ψ) è positiva, in quanto energia minore o uguale a (ψ, Eλ ψ) = (ψ, (Eλ )2 ψ) = (Eλ ψ, Eλ ψ) = |Eλ ψ|2 ≥ 0 (A.32) non decrescente e a peso totale uno per cui può essere utilizzata per denire una misura di Stieltjes, che indicheremo con d(ψ, Pλ ψ). Secondo la denizione di integrale secondo Stieltjes regioni diverse dell'intervallo d'integrazione contribuiscono all'integrale in modo diverso: ad un intervallo (a, b) si attribuisce un valore che non è dato come nell'integrazione ordinaria dalla dierenza (b−a), ma dalla dierenza µ(a, b) = F (b)−F (a) dove F (x) è arbitrario una funzione positiva e monotona non decrescente. A dierenza di quanto accade con la misura di Lebesgue la misura di un intervallo può essere nulla (se F (x) è F (x) costante sull'intervallo) e la misura di un solo punto può essere non nulla (se è discontinua in quel punto). Utilizzando l'integrale di Stieltjes possiamo quindi scrivere una somma come un integrale. E' suciente infatti considerare una funzione F (x) costante a tratti: tutti gli intervalli in cui la funzione risulta costante non contribuiscono all'integrale perché, secondo la prescrizione di Stieltjes, il loro F (b) − F (a). Al contrario, denito valore x̃ dell'asse x, allora peso risulta nullo, essendo proporzionale alla dierenza se tra a e b la funzione F (x) fa un salto per un l'unico intervallo contenuto tra questi due estremi che può contribuire all'integrale è quello che contiene il punto di discontinuità; in questo intervallo il salto F (b) − F (a) viene moltiplicato per il valore f (x̃) punto in cui avviene il salto. Utilizzando la misura Z della funzione integranda nel d(ψ, Eλ ψ) possiamo scrivere: +∞ (ψ, A ψ) = λ d(ψ, Eλ ψ) . −∞ (A.33) Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale E' facile vedere che la famiglia di proiettori Eλ 81 può essere denita anche nel caso di spettro continuo. Si consideri infatti l'operatore Z P∆ ψ = (φλ , ψ) φλ dλ (A.34) ∆ dove con φλ sono indicate le autofunzioni improprie appartenenti agli autovalori di un intervallo ∆ dello spettro continuo, normalizzate come segue: ( φλ , φλ0 ) = δ( λ − λ0 ). L'operatore (A.34) risulta essere un proiettore. Infatti (A.35) P∆ è denito dappertutto, H. in quanto l'integrale a destra denisce in ogni caso un elemento di Inoltre utilizzando la (A.35) e l'ortogonalità tra stati dello spettro discreto e dello spettro continuo si mostra che P∆2 ψ Z Z 0 è idempotente ed hermitiano: Z 0 dλ δ(λ − λ)(φλ , ψ) φλ0 = dλ = P∆ ∆ ∆ dλ(φλ , ψ)φλ = P∆ ψ (A.36) ∆ e Z (ψ, P∆ χ) = dλ (ψ, φλ ) (φλ , χ) = (P∆ ψ, χ) . (A.37) ∆ Se l'operatore A ha solo spettro continuo la famiglia di proiettori Eλ è data da Zλ Eλ ψ = (φλ , ψ) φλ dλ (A.38) −∞ dove l'integrale è esteso sullo spettro continuo di A. La (A.33) consente di trattare in modo unicato il caso di spettro discreto, in cui funzione cumulante (ψ, Eλ ψ) varia con discontinuità nei punti corrispondenti agli autovalori, e quello di spettro continuo, in cui la funzione in questione cresce con continuità. Enunciamo quindi il teorema di risoluzione spettrale nella sua forma più generale. Teorema 17 (Teorema di risoluzione spettrale) A è associata una risoluzione spettrale dell'identità A cioè una famiglia di operatori di proiezione Eλ che costituiscono una risoluzione dell'identità tale che ∀ ψ ∈ D(A) Z +∞ (ψ, Aψ) = λ d(ψ, EλA ψ) (A.39) Ad ogni operatore autoaggiunto −∞ dove EλA ψ è una funzione crescente che denisce l'integrale di Stieltjes al secondo membro della (A.39). Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 82 Formalmente possiamo scrivere: +∞ Z λ dEλ A= (A.40) −∞ dove la (A.40) va intesa nel senso della (A.39). La risoluzione spettrale dell'identità associata all'operatore A rende possibile lo sviluppo del calcolo funzionale per A; in f (Â) mediante operatori particolare è possibile trattare con osservabili della forma f (A) deniti formalmente da: +∞ Z f (λ)dEλ . f (A) = (A.41) −∞ Fissato un intervallo ∆⊂R possiamo scrivere l'operatore di proiezione di A su ∆ come: E∆ (A) = χ∆ (A), dove χ∆ è la funzione caratteristica del'intervallo (A.42) ∆. Usando il teorema spettrale, il gruppo di operatori unitari ad un parametro generato da A è denito come: iAt e +∞ Z eiλt dEλ . = (A.43) −∞ In questo linguaggio la soluzione dell'equazione di Schrödinger è data da i | Ψ(t) i = e− } H(t−t0 ) |Ψ(t0 )i . (A.44) La (A.44) resta una scrittura formale no a quando non si conosca la risoluzione spettrale relativa all'operatore H. La (A.44) è da intendersi, infatti, nel senso seguente (ψ, e iHt Z +∞ ψ) = eiλt d(ψ, Eλ ψ) . (A.45) −∞ Si noti che il secondo membro della (A.45) è la trasformata di Fourier della iHt misura, per cui conoscere l'operatore di evoluzione U = e equivale a conoscere la risoluzione spettrale di H. Il teorema spettrale può essere espresso anche in un'altra formulazione che sottolinea come ogni operatore autoaggiunto possa essere rappresentato come operatore di moltiplicazione sullo spazio delle funzioni a quadrato sommabile rispetto ad una qualche misura (detta misura spettrale). Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 83 A.5 Schiera spettrale e suddivisioni dello spettro è la schiera spettrale di un operatore autoaggiunto A si può provare che A per tutti i vettori ψ ∈ H la misura d(ψ, Eλ ψ) ha supporto contenuto nello spettro σ(A) dell'operatore A. Una caratterizzazione di tale misura al variare di ψ Se Eλ consente un'importante suddivisione dello spettro dell'operatore autoaggiunto A. Consideriamo il seguente teorema della teoria astratta della misura. Teorema 18 Ogni misura µ sulla retta reale ha un'unica decomposizione µ = µp.p. + µa.c. + µsing (A.46) dove - µp.p. è una misura puramente a punti cioè può essere scritta come somma di misure delta; - µa.c. è assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue cioè per ogni R (a, b) esiste una funzione f localmente L1 tale che gdµ = gf dx per ogni funzione di Borel 3 g ∈ L1 (R, dµ). Possiamo quindi scrivere intervallo nito R dµ = f dx. - µsing è singolare rispetto alla misura di Lebesgue cioè µ(S) S tale che R \S ha misura di Lebesgue nulla 4 . =0 per qualche insieme Utilizzando il teorema precedente possiamo dividere lo spazio di Hilbert H nella maniera seguente. Teorema 19 Sia A un operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert esiste un'unica decomposizione di invariata da H H. Allora in tre componenti ortogonali ciascuna lasciata A H = Hp.p. ⊕ Ha.c. ⊕ Hsing (A.47) dove - per ogni ψ ∈ Hp.p. - per ogni ψ ∈ Ha.c. la misura d(ψ, EλA ψ) la misura è puramente a punti; d(ψ, EλA ψ) è assolutamente continua rispetto d(ψ, EλA ψ) è singolare rispetto alla misura di alla misura di Lebesgue; - per ogni ψ ∈ Hsing la misura Lebesgue. funzione di Borel se e solo se f −1 [(a, b)] è un insieme di Borel per insiemi di Borel di R costituiscono la più piccola famiglia di sottoinsiemi di 3 Una funzione è detta ogni R a, b. Gli che è chiusa rispetto a complementi ed unioni numerabili e contiene ogni intervallo aperto. Generalmente parlando, gli insiemi di Borel sono gli insiemi che possono essere costruiti a partire da insiemi aperti o chiusi prendendo ripetutamente unioni e intersezioni numerabili. 4 Per un esempio di misura singolare si veda [28, pag. 21]. Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 84 Ciascuno dei sottospazi deniti nel teorema 19 è invariante sotto l'azione di A. Inoltre A Hp.p. A Ha.c. ha un insieme completo di autovettori; spettrale solo assolutamente continua; A Hsing ha misura ha solo misure spettrali singolari. Si deniscono i seguenti sottoinsiemi dello spettro. Denizione 4 Spettro puramente puntuale σpp (A): insieme degli autovalori di Spettro singolare σac (A) = σ A Ha.c. σsing (A) = σ A Hsing ; Spettro continuo σcont (A) = σ A Hcont ≡ Hsing ⊕ Ha.c. Spettro assolutamente continuo Poiché non abbiamo denito σpp (A) come σ A Hp.p A; ; . può accadere che σac ∪ σsing ∪ σpp 6= σ. (A.48) σcont (A) = σac (A) ∪ σsing (A) (A.49) σ(A) = σpp (A) ∪ σcont (A) (A.50) Si ha invece sempre: dove i diversi sottoinsiemi non devono essere necessariamente disgiunti. La suddivisione dello spettro qui riportata è quella seguita dal [28] ed è quella utilizzata nella tesi. Alcuni autori usano invece la nozione di spettro continuo data a pag. 76. Il seguente esempio è utile per mostrare la dierenza tra le due denizioni. Si consid1 2 erino lo spazio di Hilbert H = C⊕L [0, 1] e l'operatore A : hα, f (x)i → h α, xf (x)i. 2 1 Se si utilizza la denizione 4 dello spettro il punto λ = appartiene sia allo spettro 2 puramente puntuale che allo spettro continuo. Con la nozione di spettro continuo 1 data a pag. 76 invece λ = allo spettro puntuale mentre lo spettro 12 appartiene 1 continuo è costituito da 0, ∪ , 1 . 2 2 A partire dalle caratteristiche della famiglia spettrale EλA è possibile introdurre un'altra utile suddivisione dello spettro. Si ha infatti che: a) b) λ ∈ R appartiene allo spettro dell'operatore A se e solo se E(λ−ε,λ+ε) 6= 0 per ogni ε > 0; λ∈R non appartiene allo spettro se esiste un ε>0 per cui E(λ−ε,λ+ε) = 0. L'insieme di tutti questi reali e di tutti gli altri numeri complessi con parte immaginaria non nulla formano l'insieme risolvente z per cui l'operatore (A − z) ρ(A) ossia l'insieme degli è invertibile e ha inverso limitato. Ciò suggerisce di distinguere tra due tipi di spettro: Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale 85 Denizione 5 Spettro essenziale che E(λ−ε, λ+ε) σess (A) costituito dai punti dello spettro è innito dimensionale σdisc (A), E(λ−ε, λ+ε) è nito λ ∈ σ(A) tali ∀ ε > 0. Spettro discreto costituito dai punti dello spettro per i quali il proiettore dimensionale per qualche ε > 0. A dierenza della decomposizione data dalla denizione 4, quest'ultima è una decomposizione in due sottoinsiemi disgiunti. Di essi chiuso mentre σdisc (A) σess (A) è sempre chiuso. La prova di λn → λ con ogni λn ∈ σess (A). semplice. Sia infatti I intorno a λ non è necessariamente questa ultima aermazione è Poiché ogni intervallo aperto contiene almeno un intervallo attorno a qualche dimensionale per ogni intervallo I λn , EI (A) è innito considerato. I seguenti teoremi, riportati senza dimostrazione, danno descrizioni alternative di σess (A) e σdisc (A). Teorema 20 λ ∈ σdisc (A) se e solo se sono soddisfatte entrambe le seguenti richieste: 1. λ è un punto isolato di σ(A), cioè per qualche ε si ha (λ − ε, λ + ε) ∩ σ(A) = {λ}. 2. λ è un autovalore di molteplicità nita cioè {ψ : Aψ = λψ} è nito dimen- sionale. Teorema 21 λ ∈ σess (A) se e solo se almeno una delle seguenti richieste è soddisfatta: 1. λ ∈ σcont (A) ≡ σac ∪ σsing (A); 2. λ è un punto di accumulazione di 3. λ è un autovalore di molteplicità innita. σpp (A); Si dimostra (si veda [28, pag. 106]) che lo spettro essenziale non può essere rimosso da alcuna perturbazione nito dimensionale. Infatti si ha nel caso in cui A−B è compatto. σess (A) = σess (B) Appendice B Interazioni puntuali B.1 Costruzione di interazioni puntuali Nel capitolo 4 (pag. 47) si è denito Hamiltoniano con interazione puntuale ogni estensione autoaggiunta dell'operatore D(Ĥ) = C0∞ ( Rd \ {y1 , . . . , yn } ), Ĥ = −∆, dove i punti y1 , . . . , yn ∈ Rd (B.1) sono i centri dell'interazione. Nel classicare total- mente gli Hamiltoniani di interazione puntuale seguiremo la teoria di Krein sulle estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici, anche se allo stesso scopo possono essere utilizzate molte e diverse tecniche matematiche. Per ricercare l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte del'operatore (B.1) è utile ricavare informazioni sul suo aggiunto. Dalla denizione di Ĥ deriva che: ( ψ, −∆φ ) = ( −∆ψ, φ ) ∀ψ ∈ H 2 (Rd ), ∀φ ∈ D(Ĥ) essendo D(Ĥ) ⊂ H 2 (Rd ). (B.2) Dalla disuguaglianza di Schwartz inoltre | (−∆ψ, φ ) | ≤ k ψ k H 2 k φ k L2 dove Z k ψ k H2 = 1 Con H 2 (Rd ) 1 + |k|2 2 | ψ̃(k) | 2 dk 1 . f ∈ L2 (Rd ) con d derivata generalizzata in L (R ). In generale, dato un sottoinsieme Ω di R , s 2 indicati con H (Ω), s ∈ N, i seguenti sottoinsiemi di L (Ω): n o H s (Ω) = f ∈ L2 (Ω) | ∀ | α | ≤ s, ∂xα f ∈ L2 (Ω) è indicato lo spazio di Sobolev delle funzioni 2 d (B.3) (B.4) prima e seconda per d ≥ 1, sono α = (α1 , . . . , αd ), | α | = α1 +. . .+αd e le derivate ∂xα f = ∂xα11 f . . . ∂xαdd f sono intese in sens so debole. Gli spazi H sono spazi di Hilbert rispetto al prodotto scalare seguente, denito in terP 2 α α mini del prodotto scalare di L (Ω), (f , g)H s (Ω) = α≤n (∂x f, ∂x g)L2 (Ω) e possono essere ugualR 2 (1 + | k | 2 )s | fˆ(k) | 2 dk mente deniti come gli spazi delle funzioni f con norma k f k H s (Ω) = Ω dove nita. 86 Appendice B. Interazioni puntuali 87 F (φ) = (ψ, −∆φ) denito ∀φ ∈ D(Ĥ) è limitato H (R ) ⊆ D(Ĥ † ). Si consideri ora la funzione o più in La (B.3) implica che il funzionale 2 d 2 ∀ψ ∈ H (R ), d ovvero che z generale distribuzione Gi tale che: (−∆ − z)Giz = δyi , (B.5) −1 in modo da essere certi che il risolvente (−∆ − z) z esista limitato. In tutte le dimensioni Gi è la trasformata di Fourier inversa di avendo considerato z ∈ C\R+ G̃z (~k) = Supposto Giz ∈ L2 ei k·yi . (k 2 − z) (B.6) vale: (Giz , Ĥφ) = (−∆Giz , φ) = (δyi , φ) + (zGiz , φ) = (zGiz , φ) (B.7) C0∞ Rd \{y1 , . . . , yn }. Giz è quindi † z autofunzione di Ĥ con autovalore z. D'altra parte le Gi e le loro derivate sono le uniche distribuzioni che soddisfano la (B.7). Infatti le δyi con le loro derivate z sono le uniche distribuzioni con supporto sull'insieme discreto {y1 , . . . , yn } e le Gi poiché le δy i danno zero su tutte le funzioni le uniche soluzioni soddisfacenti la (B.5). Indichiamo con Nz ⊂ L2 (Rd ) Ĥ † relativo all'autovalore z ∈ C. Giz e le loro derivate, a patto che l'autospazio di Tale autospazio conterrà tutte le distribuzioni 2 queste appartengano a L . A seconda del numero di dimensioni si vericano tre casi: - - d = 1 : Giz e le sue con n il numero di d = 2, 3 : punti in cui si verica d ≥ 4 : Giz appartengono dim(Nz ) = n; le distribuzioni derivate. In questo caso - L2 (R), pertanto, indicato interazione dim(Nz ) = 2n; derivate prime appartengono a dim(Nz ) = 0 a L2 (R), poiché nessuna funzione di ma non così le loro L2 (R) soddisfa la (B.7). z Infatti, dall'espressione (B.6) della trasformata di Fourier di Gi si vede che G̃z (~k) appartiene ad L2 (Rd ) solo se d ≤ 3, cioè solo in questo caso G̃z (~k) può rappresentare lo stato di un sistema sico. La dimensione dei sottospazi Nz è quindi costante al variare di z nel piano com- plesso (al di fuori dell'asse reale positivo) e dipende solo dalla dimensione e dal numero di punti di interazione. 2 d Abbiamo visto come i sottospazi Nz siano contenuti, insieme a H (R ), nel † dominio di Ĥ . Utilizzando una formula generale di decomposizione, nota come 2 d formula di Von Neumann, è possibile mostrare che H (R ) e i sottospazi Nz cos† tituiscono l'intero dominio di Ĥ . La formula di Von Neumann aerma che se A è un operatore simmetrico densamente denito su uno spazio di Hilbert sepa- rabile H, allora il dominio del suo aggiunto è completamente caratterizzato dal Appendice B. Interazioni puntuali fatto che ∀z tale che Imz > 0, ogni vettore 88 f nel dominio di A† ammette un'unica decomposizione f = f0 + f z + f z̄ , (B.8) z z̄ appartiene alla chiusura del dominio di A mentre f ed f appartengono † 2 † agli autospazi di A relativi agli autovalori z e z̄ . L'azione di A su f è ovviamente dove f0 data da A† f = A f0 + z f z + z̄ f z̄ . Nel caso dell'operatore Ĥ (B.9) la (B.9) diventa: Ĥ † f = H0 f0 + z f z + z̄ f z̄ (B.10) f0 ∈ H 2 (Rd \{y1 , . . . , yn }). La (B.9) fornisce la strategia per costruire estensioni autoaggiunte di Ĥ . E' suciente infatti individuare quei sottospazi dello † spazio lineare delle funzioni in Nz e Nz̄ sui quali Ĥ agisce come un operatore autoaggiunto (se gli Nz hanno dimensione nita è suciente vericarne la simmetria). A ciascuna scelta di un sottospazio corrisponderà un'estensione di Ĥ (o † equivalentemente una restrizione di Ĥ ) autoaggiunta. Un'immediata applicazione dove di questo metodo costituisce la prova del fatto che a dimensioni maggiori di tre non esiste alcuna estensione autoaggiunta di in quanto gli autospazi Nz Ĥ diversa dal laplaciano libero sono tutti vuoti. 2 Per la dimostrazione della formula di Von Neumann si veda ad es. [2]. H0 , Appendice B. Interazioni puntuali 89 B.2 Interazione puntuale in tre dimensioni con un unico centro di interazione Vediamo i dettagli della costruzione delle estensioni autoaggiunte di Ĥ di una sola interazione puntuale, in tre dimensioni, posizionata nel punto z L'espressione della funzione di Green G (x) per d = 3 è la seguente: nel caso y ∈ R3 . √ ei z | x | G z (x) = 4π | x | (B.11) Per la (B.8) si ha n o 2 3 z z̄ D(Ĥ ) = f ∈ L (R ) : f = f0 + β G (· − y) + γ G (· − y) , † con f0 ∈ H 2 (Rd \ {y}). L'azione di Ĥ † su f (B.12) è data da: Ĥ † f = −∆ f0 + β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y) . Il passo successivo consiste nel cercare i sottospazi di Nz ed Nz̄ su cui (B.13) Ĥ † agisce come operatore simmetrico. A questo scopo è suciente ricercare le condizioni su z z̄ una generica combinazione lineare di elementi di G e G per le quali il prodotto scalare β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y) , Ĥ † β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y) | β | 2 z + | γ | 2 z̄ k G z k 2 + 2< γ̄ β (G z , G z̄ ) = (B.14) è un numero reale. Ciò accade se e solo se | β | = | γ | o, equivalentemente, se β = eiφ γ . Esiste quindi una famiglia ad un parametro di estensioni autoaggiunte † di Ĥ (o restrizioni autoaggiunte di Ĥ ) denite come segue: D(Hφ,y ) = n o f ∈ L2 (R3 ) | f = f0 + β G z (· − y) + β eiφ G z̄ (· − y) Hφ,y f = −∆f + β z G z + β eiφ z̄ G z̄ (· − y) . (B.15) E' utile dare una descrizione alternativa di questa famiglia. Osserviamo che attorno ad x=y √ i z 1 + + g00 , G (x − y) = 4π | x − y | 4π z g00 una funzione λ > 0 si ha: con regolare che si annulla in x = y. Denito (B.16) Gλ = G z=−λ G z (x − y) + eiφ G z̄ (x − y) − (1 + eiφ ) Gλ (x − y) √ √ √ i z λ iφ i z̄ = + e + (1 + eiφ ) + g0 4π 4π 4π √ λ iφ = (1 + e )( α + ) + g0 , 4π con (B.17) Appendice B. Interazioni puntuali dove g0 90 x = y mentre √ √ < z φ = z α = tan − . 4π 2 4π è una funzione regolare che si annulla in (B.18) Utilizzando la (B.17) si ottiene: f (x) = f0 (x) + β G z (x − y) + eiφ G z̄ (x − y) √ λ = f0 (x) + β (1 + eiφ )( α + ) + g0 (x) + β (1 + eiφ )Gλ (x − y) , 4π dove Gλ (x − y) rappresenta la parte di f singolare nel punto x = y (B.19) in cui è concentrata l'interazione, mentre la restante parte, che indichiamo con Φλ (x), è iφ regolare nello stesso punto. Si noti che il coeciente q = β (1 + e ) che si trova davanti alla parte singolare può essere scritto in termini di q= Φλ (y) √ λ 4π α+ Φλ : . (B.20) Possiamo pertanto caratterizzare le funzioni appartenenti ai domini delle diverse estensioni autoaggiunte attraverso una relazione che connette il loro comportamento nella singolarità con il valore assunto nello stesso punto dalla parte regolare. Per ogni α∈R esiste una estensione autoaggiunta di Ĥ denita nel modo seguente: D(Hα,y ) = f ∈ L2 (R3 ) | f = Φλ + q Gλ (· − y), Φλ ∈ H 2 (R3 ), q = Φλ (y) √ α + λ/4π . (B.21) L'azione di Hα,y sul suo dominio è data da: Hα,y f = Hα,y Φλ + q Gλ (· − y) = −∆ Φλ − q λ Gλ (· − y) da cui, aggiungendo ad entrambi i membri (B.22) +λ f Hα,y + λ f = −∆ + λ Φλ . (B.23) −1 2 3 La (B.21) implica che l'azione del risolvente (Hα,y + λ) su funzioni di H (R \ {y}) −1 è identica a quella di (−∆ + λ essendo in questo caso q = 0. Poiché D(Hα,y ) è −1 il codominio del risolvente (Hα,y + λ) si ha (Hα,y + λ)−1 g(x) = Φλ (x) + q Gλ (x − y) da cui, applicando (Hα,y + λ) (B.24) ad ambo i membri, si ottiene g(x) = (−∆ + λ) Φλ . (B.25) Quest'ultima relazione implica che Φλ (x) = Gλ g (x) . (B.26) Appendice B. Interazioni puntuali 91 Utilizzando la (B.26) nella (B.24) si ha inne: (Hα,y + λ)−1 g(x) = Gλ g (x) + L'espressione del risolvente di Hα,y 1 √ Gλ g (y) Gλ (x − y) α + λ/4π (B.27) dierisce da quella del risolvente del laplaciano solo per la presenza del secondo termine della (B.27), proporzionale al proiettore sullo stato Gλ (x − y); tale termine va a α come una costante di può considerare zero per α → ∞, mostrando che non si accoppiamento. Il signicato sico di α diventa chiaro se si studia la teoria della diusione per Hamiltoniani con interazione puntuale; si trova infatti che all'Hamiltoniano α è l'inverso della lunghezza di diusione associata Hα,y . Dall'espressione esplicita del risolvente si deducono immediatamente le proprietà spettrali di Hα,y . secondo termine per Lo spettro coincide con quello di α<0 H0 tranne per il fatto che il aggiunge un punto allo spettro discreto: - σ(Hα,y ) = [ 0, ∞ ] - σ(Hα,y ) = {−16π 2 α2 } ∪ [ 0, ∞ ] per α≥0 per α < 0. La parte continua dello spettro è assolutamente continua. Si noti che per α > 0, 2 2 2 non essendo Gλ una funzione di L , λ = −16π α non rappresenta un autovalore. Per α < 0 l'unico autovalore è non degenere e vi corrisponde la seguente autofunzione normalizzata: ψα (x) = Per ogni valore di α ∈ R, √ e4πα | x−y | . |x − y| −2α (B.28) le autofunzioni improprie corrispondenti alle energie E dello spettro continuo sono ψα (k, x) = con 1 ik·x eiky ei | k | | x−y | e − (2π)3/2 α − i | k | /(4π) | x − y | (B.29) | k | 2 = E. La forma esplicita della decomposizione spettrale di rispondente autofunzione (nel caso α < 0) Hα,y in termini della cor- e delle autofunzioni generalizzate ci consente di scrivere la soluzione dell'equazione di Schrödinger i per qualunque stato iniziale ∂ψt = Hα,y ψt ∂t (B.30) ψ0 ∈ L2 (R3 ) come un integrale sulla misura spettrale. In particolare la trasformata di Laplace inversa del risolvente dà l'espressione per l'operatore di evoluzione corrispondente alla dinamica descritta dalla (B.30). Si trova: ψt (x) = U0 (t)ψ0 (x) + i Z t ds U0 ( t − s; | x − y | ) q(s) 0 (B.31) Appendice B. Interazioni puntuali dove con U0 92 si è indicato il propagatore libero | x−x0 | 2 e 4t U0 (t; x − x0 ) = (4π i t)3/2 mentre q(t) (B.32) è soluzione dell'equazione Z t √ √ Z t U0 (s)ψ0 (y) q(s) √ q(t) + 4 iπ α ds √ = 4 iπ ds . t−s t−s 0 0 (B.33) La (B.31) mostra che l'evoluzione di uno stato dovuta ad una hamiltoniana con interazione puntuale in x = y è data dalla sovrapposizione della sua evoluzione libera con un termine che rappresenta onde sferiche generate nel centro di interazione. Il coeciente q della parte singolare delle funzioni appartenenti a rappresenta la carica che genera l'onda. D(Hα,y ) Appendice B. Interazioni puntuali 93 B.3 Generalizzazione a n centri Si vuole denire l'Hamiltoniano di interazione puntuale in tre dimensioni nel caso Il procedimento di estensione dell'operatore Ĥ è analogo + al precedente tuttavia, essendo dimNz = n ∀z ∈ C \ R , la ricerca dei sottospazi † su cui Ĥ è simmetrico è più complicata. Si trova che Ĥ è autoaggiunto se esteso V ai sottospazi Nz formati dalle combinazioni lineari del tipo fz + V fz , con fz ∈ Nz e V operatore unitario da Nz a Nz̄ . Si noti che per n = 1 l'operatore V è unico iφ 2 e pari a e . In generale invece esiste una famiglia n -dimensionale di matrici 2 complesse unitarie che connettono Nz con Nz̄ (perché n è il numero di parametri di n centri di interazione. reali necessari per individuare autoaggiunta di V ); ad ogni scelta di V corrisponde un'estensione Ĥ . n-dimensionale di estensioni autoaggiunte è quelV la che corrisponde ad una scelta degli Nz con V operatore unitario diagonale. Ne 3 riportiamo di seguito le proprietà. Siano y = {y1 , . . . , yn } con yi ∈ R e i = 1, . . . , n i centri di interazione. Per ciascuna ennupla di numeri reali α = {α1 . . . , αn } ci Una particolare sottofamiglia sarà un Hamiltoniano di interazione puntuale denito come segue: n n X 2 3 D(Hα,y ) = u ∈ L (R ) | u = φλ + qk Gλ (· − yk ), φλ ∈ H 2 (R3 ), k=1 φλ (yj ) = n X Γα,y (λ) q , j = 1, . . . , n jk k o (B.34) k=1 dove Γα,y (λ) jk √ λ = αj + δjk − Gλ (yj − yk )(1 − δjk ) . 4π (B.35) L'operatore (B.34) agisce nel modo seguente: (Hα,y + λ) u = (−∆ + λ) φλ . Per ogni funzione regolare q=0 u ∈ D(Hα,y ) che si annulla nei punti (B.36) y1 , . . . , y n si ha e dalla (B.36) Hα,y u = −∆ u , (B.37) come atteso trattandosi di una Hamiltoniano di interazione puntuale. L'ultima uguaglianza nella (B.34) è la condizione al bordo che gli elementi del dominio yj . Denendo rj = | x − yj | (rj è interazione j -esimo) tale condizione può essere devono soddisfare in ogni punto quindi la distanza dal centro di scritta in maniera equivalente come: ∂(rj u) lim − 4π αj (rj u) rj →0 ∂rj La particolare forma della matrice V = 0, j = 1, . . . , n . (B.38) ci permette quindi di scrivere la condizione al contorno separatamente in ciascun punto yi . In altre parole la famiglia di estensioni Appendice B. Interazioni puntuali 94 autoaggiunte (B.34) può essere caratterizzata, così come nel caso unidimensionale, dal comportamento delle funzioni attorno a ciascun centro di interazione. E' questo il motivo per cui tale famiglia è detta locale. Per trovare le proprietà spettrali di (B.34) è suciente conoscere la forma esplicita del risolvente. Con un procedimento analogo al caso di un solo centro 2 3 diusore, usando la (B.36), si trova che ∀f ∈ L (R ) la soluzione u dell'equazione (Hα,y + λ) u = f (B.39) u = Gλ f + q Gλ (· − y) (B.40) può essere scritta nella forma dove le cariche q sono determinate imponendo le condizioni al contorno (B.34) o (B.38). Si ha: −1 (Hα,y + λ) = Gλ + n X Γα,y (λ) −1 jk Gλ (· − yj ) Gλ (· − yk ) (B.41) j,k=1 con λ reale positivo abbastanza grande, in modo che la matrice Γ 3 sia invertibile . Dall'analisi della (B.41) si trova che tutti i punti dell'asse reale positivo apparten- n autovalori E ≥ 0 dell'equazione det Γα,y (−E) = 0. Le gono allo spettro continuo, mentre lo spettro discreto consiste al più di negativi dati dalle eventuali soluzioni autofunzioni proprie ed improprie possono essere esplicitamente calcolate. Rispetto al caso di un unico centro di interazione, il risolvente contiene una {yj }. In particolare la parte fuori Gλ (yj −yk ). Se le distanze (yj −yk ) tra i vari punti in cui avviene l'interazione sono grandi rispetto alle αj , Γ è praticamente diagonale e gli autostati di Hα,y sono dati dalle funzioni di Green Gλ posizionate matrice Γ che lega i diversi centri diusori diagonale di tale matrice è proporzionale a intorno ai vari centri di interazione. Se al contrario questi ultimi sono vicini tra loro rispetto all'intensità dell'interazione l'autostato non è concentrato intorno a qualche singolo centro diusore, ma è distribuito nell'intera regione in cui si verica l'interazione. 3 Qualsiasi operatore autoaggiunto H che rappresenti l'energia di un sistema sico deve essere limitato dal basso, ovvero il suo spettro deve ammettere un estremo inferiore nito. Esiste quindi nito (H + λ)−1 con λ reale positivo abbastanza grande. Appendice B. Interazioni puntuali 95 B.4 Interazioni puntuali in una dimensione Nel caso unidimensionale, poiché giunte di Ĥ dim Nz = 2n, la famiglia di estensioni autoag- è ancora più ricca della precedente. Se si ha un solo centro di inte- razione la dimensione di Nz è due e la famiglia di operatori autoaggiunti è una famiglia a quattro parametri reali. Le diverse estensioni autoaggiunte che si ottengono in questo caso possono essere caratterizzate tramite la condizione al bordo soddisfatta dalle funzioni appartenenti al loro dominio che in generale è: φ(y + ) = η a φ(y − ) + η b dφ − (y ) dx dφ dφ + (y ) = η c φ(y − ) + η d (y − ) dx dx con (B.42) η ∈ C, | η | = 1; a, b, c, d ∈ R, ad − bc = 1. Di seguito sono riportate, senza entrare nei dettagli della loro costruzione, le proprietà di due particolari sottofamiglie di estensioni autoaggiunte in una di0 mensione, note come interazioni δ e δ . Per una trattazione completa si rimanda al [3]. L'Hamiltoniano di interazione delta con un unico centro (posizionato in Hα,y y ∈ R) è denito come D(Hα,y ) = n φ ∈ H 1 (R) ∩ H 2 (R \{y}) | o dφ + dφ (y ) − (y − ) = α φ(y), α ∈ R dx dx (B.43) cioè si ottiene per η = a = 1, b = 0, c = α, d = 1. Hα,y φ = − d2 φ dx2 per Per ogni φ ∈ D(Hα,y ) x 6= y . (B.44) Il nucleo integrale del risolvente è: (Hα,y + λ)−1 (x, x0 ) = e √ − λ | x−x0 | √ 2 λ √ √ √ − λ | x−y | − λ | x0 −y | 2α λ e e √ √ √ − . α+2 λ 2 λ 2 λ Analizzando le singolarità del risolvente si trova lo spettro di σ(Hα,y ) = [0, +∞), α ≥ 0 α2 σ(Hα,y ) = − ∪ [0, +∞), 4 α < 0. (B.45) Hα,y : (B.46) In entrambi i casi lo spettro continuo coincide con la semiretta reale positiva; l'unico autovalore, che si ha per normalizzata è: α < 0, è non degenere e la corrispondente autofunzione r α α (B.47) Ψα (x) = − e 2 | x−y | . 2 Appendice B. Interazioni puntuali 96 A partire dall'espressione del risolvente si ottiene l'equazione implicita per la soluzione dell'equazione di Schrödinger (corrispondente alla (B.31) in ψt (x) = U0 (t)ψ0 (x) + i Z d = 3): t ds U0 ( t − s; | x − y | ) ψs (y) (B.48) 0 dove U0 è il propagatore libero in una dimensione e ψ0 lo stato iniziale del sistema. La (B.48) mostra che l'evoluzione data dall'Hamiltoniano con interazione delta è completamente determinata dall'evoluzione libera di ψ0 e da ψt (y), che a sua volta soddisfa l'equazione integrale: ψt (y) = U0 (t)ψ0 (y) + i t Z ds U0 ( t − s; 0) ψs (y) . (B.49) 0 E' interessante introdurre la forma quadratica associata all'operatore D(Fα,y ) = H 1 (R) Z dx | ∇ u | 2 + α | u(y) | 2 . Fα,y (u) = Hα,y : (B.50) (B.51) R Si noti che il dominio di forma di Hα,y 4 è uguale al dominio di forma del laplaciano . n interazioni {α1 , . . . , αn } ≡ α: In termini di forme è immediata la generalizzazione al caso di delta centrate nei punti {y1 , . . . , yn } ≡ y e di intensità D(Fα,y ) = H 1 (R) (B.52) Z dx | ∇ u | Fα,y (u) = 2 n X + R αj | u(yj ) | 2 (B.53) j=1 La (B.53) mostra che, a dierenza di quanto accade a dimensioni più alte, per d = 1 le interazioni delta sono additive e i parametri dinamici αi giocano il ruolo di costanti di accoppiamento, nel senso che per αi → 0, ∀ i = 1 . . . , n l'Hamiltoniano con interazione delta si riduce all'Hamiltoniano libero. Proprio un insieme di interazioni delta in una dimensione fu usato da Kronig e Penney nel 1931 per costruire un modello di dinamica di un elettrone in un cristallo. 4 Con un'integrazione per parti è immediato vedere che la forma quadratica associata al laplaciano è ( φ , −∆ψ ) = dφ dx , dψ . dx Il dominio di tale forma è lo spazio delle funzioni per cui ha senso il prodotto scalare suddetto ovvero H 1. Appendice B. Interazioni puntuali 97 L'altra sottofamiglia di estensioni autoaggiunte di 0 come interazione δ si ottiene ssando η = a = 1, b 0 , nota Ĥ per d = 1, Hβ,y = β, c = 0, d = 1, cui corrisponde la condizione al bordo φ(y + ) − φ(y − ) = β L'interazione una funzione β∈R (B.54) δ 0 può essere denita anche attraverso l'azione del suo risolvente su f ∈ L2 (R). Indicando con y ∈ R il punto di interazione, per ogni vale: 0 + λ)−1 f = (−∆ + λ)−1 f + (Hβ,y dove si è indicata con G0λ G0λ = λ 6= (2/β)2 se β < 0. 2βλ √ G0λ (· − y) G0λ f (y) , 2+β λ la derivata della funzione di Green per ( e dφ − (y ) . dx (B.55) z = −λ, λ > 0 √ − 12 e−√ λ | x−y | , 1 − λ | x−y | , e 2 Lo spettro di 0 Hβ,y x>y x<y (B.56) è σ(Hβ,y ) = [0, +∞), β ≥ 0 4 σ(Hβ,y ) = − 2 ∪ [0, +∞), β β < 0. (B.57) Per una trattazione dettagliata delle perturbazioni puntuali del laplaciano in 1, 2 e 3 dimensioni, con 1, N e ∞ centri diusori si veda [3]. Appendice B. Interazioni puntuali 98 B.5 Interazioni puntuali come limiti di potenziali Generalmente, sia in meccanica classica (nell'ambito della teoria hamiltoniana) che in meccanica quantistica, per descrivere la dinamica di un sistema sico si procede individuando un potenziale di interazione del sistema come H = H0 + V , dove H0 V e scrivendo l'Hamiltoniano è l'Hamiltoniano di particella libera. Tale decomposizione non è una richiesta fondamentale in meccanica quantistica; l'unica richiesta è che H sia autoaggiunto. Le interazioni puntuali sono un esempio in cui gli Hamiltoniani sono non convenzionali, nel senso che la richiesta di interazione a range nullo porta all'impossibilità di rappresentare con un potenziale V l'interazione stessa. Infatti, se di considera l'Hamiltoniano (B.1) e si sfruttano le tecniche standard della teoria perturbativa per H = H0 + λV si ottiene la seguente serie di Von Neumann (H − z)−1 = (H0 − z)−1 − λ (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1 + λ2 (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1 + . . . (B.58) k λ V k < ∆0 (z), avendo indicato con ∆0 (z) z dallo spettro di H0 . In termini dei nuclei integrali che converge assolutamente per quadrato della distanza di il Gz (x, y) : (H − z) Gz (x, y) = δ(x − y) (B.59) Gz0 (x, y) : (H − z) Gz0 (x, y) = δ(x − y) (B.60) la (B.58) diventa: Gz (x, y) = Gz0 (x, y) + λ 2 Z − λ ZZ Gz0 (x, w) V (w) Gz0 (w, y) d d w Gz0 (x, w) V (w) Gz0 (w, v) V (v) Gz0 (v, y) d d w d d v + . . . . (B.61) In dimensioni maggiori di uno per Gz0 (x, y) è singolare per ei √ x = y, ad esempio z | x−y | d=1 Gz0 (x, y) = − d=3 Gz0 (x, y) ei z | x−y | = , 4π | x − y | √ 2i z (B.62) √ per mentre sul resto della retta reale né Gz0 (B.63) né la sua derivata prima hanno singolarità. Andando a sostituire nello sviluppo (B.61) la delta di Dirac al potenziale V si ha che i termini di ordine superiore al primo esplodono nel caso d > 1. Nel caso d = 1, invece, le interazioni δ e δ 0 possono essere denite all'interno dello schema perturbativo classico. Appendice B. Interazioni puntuali 99 Anche se l'Hamiltoniano di interazione puntuale non può essere scritto come somma di un Hamiltoniano libero e di un potenziale, data l'importanza che tale decomposizione assume in meccanica quantistica, viene naturale chiedersi se le interazioni puntuali possano essere viste come limiti di potenziali a corto range 5 opportunamente riscalati . Per d = 1 V. δ(x) ciò avviene sotto condizioni molto generali per il potenziale Consideriamo il caso di una sola interazione puntuale in x = 0. La funzione può essere approssimata in termini di distribuzioni considerando un potenziale R V (x) ∈ C0∞ (Rd ) (o che decade esponenzialmente all'innito) tale che R V (x)dx = 1. Allora: x 1 V εd ε −−−→ δ(x) , + (B.64) ε→0 dove la convergenza nella (B.64) è intesa nel senso delle distribuzioni ovvero 1 εd ∀ φ(x) Z V x ε Z φ(x) dx −−−→ φ(0) = + φ(x) δ(x) dx (B.65) ε→0 continua. Si denisca quindi l'Hamiltoniano Hε = −∆ + Se per ε → 0+ Hε 1 V ε−1 x . ε (B.66) converge (in un senso che preciseremo subito dopo) ad un Hamiltoniano diverso dal laplaciano libero e con un'interazione nell'origine, avremo dimostrato che l'Hamiltoniano di interazione puntuale può essere ottenuto come limite di potenziali. Si consideri la forma quadratica associata a (B.66): ( φ , Hε ψ ) = dφ dψ 1 , + φ , V ε−1 x ψ dx dx ε denita nel dominio di forma del laplaciano φ, H 1. 1 V ε−1 x ψ −−−→ ε→0+ ε Nel limite (B.67) ε → 0+ φ̄(0) ψ(0) . (B.68) In una dimensione φ̄(0) ψ(0) ha senso per ogni funzione che appartiene al dominio 1 di forma H in quanto per d = 1 ogni funzione che ammette derivata generalizzata è regolare, per cui esistono forma ( φ , Hε ψ ) φ(0) e ψ(0). Poiché φ̄(0) ψ(0) esiste nel dominio, la converge alla forma di un operatore non banale Hint dato da dφ dψ ( φ , Hint ψ ) = , + φ̄(0) ψ(0) . dx dx In generale, nel caso di n centri di interazione si dimostra che per ogni V ∈ L1 (R) l'Hamiltoniano n 1 X Hε = −∆ + Vj ε−1 (x − yj ) ε j=1 5 Dove riscalare un potenziale ε −a V (ε−1 x) con a ∈ R+ e ε → 0+ V . (B.69) ε>0 e (B.70) vuol dire eettuare un limite ad un paramentro del tipo Appendice B. Interazioni puntuali è tale che, per λ 100 sucientemente grande si ha lim k (Hε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0 (B.71) ε→0 con αj = Per R R dx Vj (x). d = 2, 3 invece esistono funzioni di H1 6 che non sono continue , per cui il procedimento visto non denisce in alcun modo una forma e quindi un operatore. Hε nel limite ε → 0+ si riduce all'Hamiltoniano libero, a meno che il potenziale V non appartenga ad una classe molto ristretta di potenziali, quelli tali che H = −∆ + V abbia una risonanza ad In particolare in tre dimensioni l'operatore energia zero, ovvero ∃ ψ ∈ L2loc (R3 ) , ∇ψ ∈ L2 (R3 ) : In questo caso (−∆ + V ) ψ = 0 . ψ è chiamata funzione risonante ad energia zero. (B.72) Nel caso di un solo centro di interazione, la richiesta (B.72) è vericata se considerato un potenziale V ∈ L2 (R3 ) : esiste un'unica funzione ξ ∈ L2 (R3 ) (1 + | · | ) V ∈ L1 (R3 ) tale che (u G0 v) ξ = − ξ, ( v , ξ ) 6= 0 (B.73) dove u(x) = | V (x) | 1/2 sign V (x) , v(x) = | V (x) | 1/2 . (B.74) Se la (B.73) è vericata la funzione ψ(x) = (G0 v ξ)(x) (B.75) è una funzione risonante ad energia zero. Sotto queste restrizioni sul potenziale, la sequenza di operatori hamiltoniani Hε = −∆ + per λ 1 + εµ V ε−1 (x − y) , 2 ε µ ∈ R, (B.76) sucientemente grande, verica la relazione lim k (Hε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0 (B.77) ε→0 con α = − µ | ( v, ξ) | −2 . D'altra parte dal modo in cui il potenziale V è stato riscalato nella (B.76) è chiaro che in tre dimensioni l'interazione puntuale non può essere considerata come una vera e propria funzione 6 Ad esempio, la funzione ad 1 3 H (R ). f = 1/ | x | α δ. non è denita nell'origine, ma per α < 1/2 appartiene Appendice B. Interazioni puntuali 101 L'approssimazione di interazione puntuale in tre dimensioni può essere resa più chiara considerando il seguente problema con condizioni al bordo. Sia 2 3 di raggio ε e centro in y , f una funzione di L (R ). Il problema (−∆ + λ) uε = f λ>0 e γε ∈ R una sfera in R3 \ Sε (B.78) su Sε (B.79) ∂uε ∂uε − = γε uε ∂n+ ∂n− con Sε ammette come soluzione (Hγε ,Sε ) + λ)−1 f (B.80) Hγε ,Sε laplaciano in R3 con un'interazione δ di intensità γε con supporto sulla sfera Sε . Nel limite ε → 0 la sfera si riduce al punto y e si dimostra che per λ con sucientemente grande lim k (Hγε ,Sε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0 ε→0 dove α è legato a γε (B.81) dalla relazione γε = − 1 + 4πα . ε (B.82) Per concludere è interessante sottolineare che ogni operatore di Schrödinger con un potenziale smooth e integrabile può essere approssimato mediante opportuni Hamiltoniani con interazione puntuale. Ciò è facile da provare in una dimensione per la famiglia di Hamiltoniani noti come interazioni δ , poiché esse sono additive. In questo caso ogni approssimazione di una funzione potenziale con combinazioni δ da' un'eciente approssimazione per i corrispondenti operatori. d = 3 il discorso è molto diverso perché, come sottolineato in questo lineari di funzioni Per d=2 e paragrafo, in questo caso un Hamiltoniano con interazione puntuale non può essere visto come somma di un operatore imperturbato e un potenziale, né è connesso in alcun modo alle funzioni δ. Tuttavia anche in questo caso è possibile sviluppare una procedura di approssimazione (si veda a proposito [14, pag. 184]). Bibliograa [1] W. K. Abou Salem, J. Faupin, J. Frölich, e I.M. Sigal. On the theory of resonances in non-relativistic QED and related models, 2008. arXiv:0711.4708v2 [math-ph]. [2] N.I. Akhiezer e I.M. Glazman. Theory of Linear Operator in Hilbert Spaces, volume 2. Pitman, Boston-London-Melbourne, 1981. [3] S. Albeverio, F. Gesztesy, R. Högh-Krohn, e H. Holden. Solvable Models in Quantum Mechanics. Springer-Verlag, New York, 1988. 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