Modelli di stati metastabili, risonanze e scattering anelastico

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Università degli Studi di Napoli Federico II
Facoltà di Scienze MM.FF.NN.
Corso di Laurea Specialistica in Fisica
Tesi di Laurea
Anno Accademico 2007-2008
Modelli di stati metastabili,
risonanze e scattering anelastico
in Meccanica Quantistica
Relatore
Ch.mo Prof. Rodolfo Figari
Candidata
Serena Cenatiempo
matr. 358/037
a Chiara,
grazie
Indice
Introduzione
4
1 Sistemi quantistici instabili
6
1.1
Proprietà dei sistemi instabili
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2
Stati legati, del continuo e risonanze
. . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
6
12
16
2.1
Teoria perturbativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
2.2
Perturbazione indipendente dal tempo e perturbazione armonica . .
21
2.3
Spettro discreto: evoluzione quasi periodica
. . . . . . . . . . . . .
26
2.4
Spettro continuo: sistema instabile
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
28
3 Un approccio non perturbativo
H
32
3.1
L'hamiltoniano
e il suo risolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2
Perturbazioni dello spettro e risonanze
3.3
Il metodo delle dilatazioni
33
. . . . . . . . . . . . . . . .
36
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
40
Senza numero. Alcune considerazioni storiche in forma di parentesi
4 Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
42
44
4.1
Interazioni puntuali: una breve introduzione
. . . . . . . . . . . . .
45
4.2
Interazioni puntuali dipendenti dallo spin . . . . . . . . . . . . . . .
48
4.3
Hamiltoniano imperturbato
53
4.4
Hamiltoniano perturbato e risonanze
. . . . . . . . . . . . . . . . .
56
4.5
Decadimento della risonanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
62
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Conclusione
68
2
3
Indice
A Operatori lineari e teoria spettrale
70
A.1
Denizioni generali
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
70
A.2
Operatori di proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
74
A.3
Spettro di un operatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
76
A.4
Operatori autoaggiunti e teorema spettrale . . . . . . . . . . . . . .
79
A.5
Schiera spettrale e suddivisioni dello spettro
83
. . . . . . . . . . . . .
B Interazioni puntuali
86
B.1
Costruzione di interazioni puntuali
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
B.2
Interazione puntuale in tre dimensioni
con un unico centro di interazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
n
89
B.3
Generalizzazione a
B.4
Interazioni puntuali in una dimensione
. . . . . . . . . . . . . . . .
95
B.5
Interazioni puntuali come limiti di potenziali . . . . . . . . . . . . .
98
Bibliograa
centri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
86
93
102
Introduzione
Il decadimento dei sistemi quantistici instabili rappresenta un processo di grande
rilevanza in sica, basti pensare al decadimento dei nuclei radioattivi o ai picchi pronunciati osservabili nelle sezioni d'urto di reazioni nucleari e subnucleari,
che manifestano la formazione di prodotti di reazione instabili, detti risonanze.
Essendo i fenomeni d'urto lo strumento sperimentale più ecace a volte l'unico per l'indagine dei fenomeni microscopici, appare evidente l'importanza che
l'analisi delle risonanze assume in sica atomica, materia condensata e sica delle
alte energie.
Storicamente la prima spinta verso l'elaborazione di una teoria quantitativa
del decadimento di un sistema quantistico è stata l'osservazione della radioattività
naturale, ma dagli albori della meccanica quantistica ad oggi i processi di decadimento sono stati analizzati e modellizzati molte volte (si veda ad es. [15, 19, 16]).
Tuttavia, nonostante la legge di decadimento di un sistema instabile faccia parte
del bagaglio culturale di ogni sico, si può dicilmente dire che i processi di
decadimento siano totalmente compresi all'interno dello schema interpretativo
della meccanica quantistica.
Un caso paradigmatico è rappresentato da un atomo in interazione con il campo elettromagnetico, la cui descrizione qualitativa è interamente basata su eventi
di assorbimento ed emissione della radiazione. Attraverso l'assorbimento di fotoni,
l'atomo può passare dal suo stato fondamentale in uno stato eccitato. Quest'ultimo ha una probabilità nita di decadere spontaneamente verso stati con energia
minore; quando ciò avviene, viene emesso un fotone con lunghezza d'onda associata al salto in energia tra i due stati tra cui avviene la transizione. L'unico stato
dell'atomo che non dà origine a decadimento è lo stato fondamentale.
Nella descrizione classica gli spettri di emissione ed assorbimento dell'atomo
sono ricavati utilizzando un approccio di tipo perturbativo, in cui il campo dei fotoni è descritto mediante un potenziale classico esterno al sistema. La vita media
dello stato metastabile è ottenuta tramite la cosiddetta regola d'oro di Fermi,
che fornisce all'ordine più basso dello sviluppo perturbativo la probabilità di transizione nell'unità di tempo dallo stato iniziale di energia
energia
Ei
allo stato nale di
Ef , ad opera della perturbazione descritta dal potenziale.
Tale descrizione
- presentata in dettaglio nel capitolo 2 della tesi - pur apparendo suciente e soddisfacente ai ni pratici, non prova a caratterizzare gli stati metastabili all'interno
del quadro interpretativo della meccanica quantistica, poiché il sistema dei fotoni
4
5
Introduzione
non è trattato come un sistema quantistico. Inoltre essa non rende conto di tutta
la fenomenologia del sistema, in quanto non spiega come mai, a dierenza di ciò
che avviene per gli stati eccitati, lo stato di energia minore dell'atomo sia uno stato
stabile.
La fenomenologia di un atomo investito da radiazione e la sua connessione con
i livelli energetici dell'atomo isolato possono essere comprese solo se si ammettono
validi i seguenti risultati:
a ) il sistema presenta un solo stato stabile, con energia vicina a quella dello
stato fondamentale dell'atomo isolato;
b ) il sistema presenta molti stati metastabili, con energie vicine a quelle degli
stati eccitati dell'atomo isolato.
Una descrizione che sia totalmente all'interno dello schema concettuale della meccanica quantistica richiede che tali risultati siano ottenuti in termini dell'interazione
tra sistemi genuinamente quantistici, ovvero analizzando l'interazione tra un atomo non relativistico e il campo elettromagnetico quantizzato.
A tutt'oggi non
esistono modelli semplici di sistemi di questo tipo. I tentativi che vanno in questa
direzione, portati avanti nell'ambito dell'elettrodinamica semi-relativistica (si veda
ad es. [1, 4, 22]), si scontrano infatti con la complessità dei sistemi considerati.
Le investigazioni teoriche in merito alla caratterizzazione dei sistemi instabili
- cui è dedicato il capitolo 3 della tesi - pur collocandosi all'interno del quadro
concettuale della meccanica quantistica, restano analisi di carattere generale che
non permettono il calcolo di quantità sicamente rilevanti, quali il tempo di vita
medio della risonanza o il suo comportamento temporale.
Giusticazioni di tipo sico e computazionale spingono a pensare che una modellistica semplice - nel senso di risolubile - ma non banale, possa dare risultati
sia qualitativi che quantitativi, rilevanti anche in modelli che presentano dicoltà
tipiche di sistemi più realistici.
La tesi si pone in questo lone metodologico,
con la presentazione - nel capitolo 4 - di un modello completamente risolubile di
sistema quantistico in cui è possibile investigare esplicitamente la formazione di
stati metastabili e le loro proprietà di decadimento. Lo strumento tecnico utilizzato a questo scopo sono gli Hamiltoniani con interazione puntuale. Questi ultimi
rappresentano un modello di interazione esplicitamente risolubile, ecace nel descrivere il comportamento di particelle quantistiche di bassa energia interagenti
con potenziali a corto range.
In particolare si considerano gli Hamiltoniani che
generano la dinamica di una particella quantistica (non relativistica e senza spin)
che interagisce mediante interazioni puntuali con un sistema quantistico localizzato, con un numero nito di livelli energetici. Quest'ultimo può essere considerato
un atomo-modello di estensione spaziale piccola rispetto alla lunghezza d'onda
della particella incidente.
Il sistema considerato non solo rappresenta un modello di sistema instabile, ma
costituisce anche il più semplice modello di diusione anelastica.
Capitolo 1
Sistemi quantistici instabili
1.1 Proprietà dei sistemi instabili
La scoperta della radioattività naturale nel 1896 segna l'inizio degli studi e dei
tentativi teorici di descrizione dei processi di decadimento in sica. Il modo più
semplice per ottenere un'espressione della probabilità di decadimento di un sistema
instabile consiste nel seguire un approccio di tipo euristico. Tale approccio è basato
sull'assunzione che il sistema instabile abbia una certa probabilità di decadimento
per unità di tempo, secondo un processo specico, e che tale probabilità, che
indichiamo con
Γ, sia costante e non dipenda né dal numero di sistemi instabili, né
dalla loro storia passata, né dall'ambiente circostante. Si ipotizzano quindi assenti
sia eetti di memoria che eetti cooperativi tra i diversi sistemi e con l'ambiente.
Ne segue immediatamente che la variazione del numero
N (t)
di nuclei radiattivi
che sono presenti al tempo
t
durante un intervallo di tempo innitesimo
N (t)
e
dt,
essere proporzionale a
dt
deve
ovvero
dN (t) = −ΓN (t)dt
⇒
dN (t)
= −ΓN (t)
dt
(1.1)
da cui si ricava la legge esponenziale
N (t) = N0 e−Γt
dove
N0 = N (0)
è il numero di sistemi presenti al tempo
il numero di sistemi sopravvissuti al tempo
all'istante iniziale
(1.2)
t=0
t
t = 0.
Il rapporto tra
ed il numero di sistemi presenti
si denisce probabilità di sopravvivenza :
P (t) =
N (t)
= e−Γt .
N0
(1.3)
Γ prende il nome di tasso di decadimento e può essere interpretata come l'inverso del tempo di vita medio τ del sistema instabile. Infatti, poiché
−dP (t) = −P 0 (t) dt è la probabilità che il sistema instabile decada nell'intervallo
La quantità positiva
6
Capitolo 1.
di tempo
7
Sistemi quantistici instabili
(t, t + dt),
il sistema vive in media un tempo
∞
Z
∞
Z
0
t Γe−Γt dt =
−t P (t) dt =
τ=
0
0
1
.
Γ
(1.4)
Si noti che la legge (1.3) è caratterizzata dalla proprietà
P 0 (t)
= −Γ = costante
P (t)
e che a tempi brevi
P (t)
(1.5)
decresce linearmente
P (t) ' 1 − Γt .
(1.6)
Per quanto la descrizione presentata sia di tipo fenomenologico, e non indaghi il
meccanismo responsabile del decadimento, l'equazione (1.2) descrive molto bene
le osservazioni sperimentali.
Si consideri un generico processo di collisione a più canali: l'Hamiltoniano che
descrive la dinamica del sistema conterrà le particelle iniziali, i prodotti di reazione
e le loro interazioni mutue. Un urto tra particelle può generare diversi tipi di eventi,
con caratteristiche dinamiche dierenti.
Lo scattering è detto elastico se le particelle nello stato nale, cioè lontano
dalla regione di interazione, sono identiche a quelle nello stato iniziale e l'energia
cinetica del processo (nel sistema del centro di massa) non è variata. Al contrario
si parla di scattering anelastico se l'energia cinetica nello stato nale è diversa da
quella dello stato iniziale, ovvero le particelle nello stato nale non sono identiche
1
a quelle iniziali o una o più particelle si trovano in stati eccitati . Lo scattering
è detto risonante, se la collisione genera stati intermedi instabili, che decadono
successivamente nei prodotti di reazione nali.
Le diverse tipologie di urto corrispondono a possibili stati del sistema. L'Hamiltoniano che genera la dinamica contiene:
- Stati stabili, autostati dell'Hamiltoniano, tali che la probabilità di trovare la
particella sia supportata in una regione nita e non vari nel tempo;
1 Si noti che se si considera il sistema globale è sempre vero che lo scattering è elastico nel
senso della conservazione di massa-energia, che nel caso classico corrisponde alla conservazione
dell'energia.
Indicati con
e
−
Come esempio si consideri lo scattering risonante di un elettone su un atomo.
A
l'atomo nel suo stato fondamentale, con
l'elettrone incidente e con
nγ
A∗
l'atomo in uno stato eccitato, con
i fotoni emessi dall'atomo nel passaggio dallo stato eccitato a
quello fondamentale, il processo complessivo può essere schematizzato come segue:
e− + A
−→
e− + A∗
−→
e− + A + n γ .
La variazione di energia cinetica dell'elettrone rispetto allo stato iniziale è uguale alla dierenza
di energia tra lo stato fondamentale dell'atomo e lo stato eccitato
A∗ ,
nonché all'energia dei
fotoni emessi. L'energia complessiva del sistema resta quindi invariata ad ogni passo. D'altra
parte l'urto è inelastico se si guarda al solo l'elettrone (essendo variata la sua energia cinetica)
o se si considera il fatto che tra i prodotti di reazione sono presenti un certo numero di fotoni,
assenti nello stato iniziale.
Capitolo 1.
8
Sistemi quantistici instabili
- Stati di collisione, che descrivono un'interazione tra particelle simile a quella
classica, ovvero una collisione senza formazione di stati intermedi. Il tempo
di interazione tipico del processo è proporzionale al tempo di volo classico
nella regione di interazione, ovvero
t∗ = p
dove con
L
L
(1.7)
2Ecin /m
si è indicata l'estensione della regione di interazione e con
Ecin
l'energia cinetica nel sistema di riferimento del centro di massa.
- Stati metastabili, che corrispondono a situazioni in cui l'interazione trattiene il sistema in regioni limitate per tempi molto più grandi dei tempi di
volo classici. Ciò corrisponde alla generazione di prodotti di reazione quasi
stabili, che tendono a decadere per l'interazione con gli altri sistemi stabili
presenti. La densità di probabilità di trovare uno stato metastabile ha supporto in una regione nita per un tempo nito; uno stato metastabile può
essere quindi interpretato come una particella con vita media nita.
Tale descrizione, che corrisponde alla fenomenologia dei processi d'urto, evidenzia come lo spettro dell'Hamiltoniano di un sistema ad
N
particelle non con-
tenga solo stati legati e stati di collisione, ma anche stati metastabili.
In par-
ticolare uno stato metastabile è generato dall'interazione con le altre parti del
sistema dell'Hamiltoniano di un sottosistema che, quando isolato, possiede uno
stato legato.
All'interno del quadro esplicativo della Meccanica Quantistica, nelle forme che
vanno dalla Meccanica Quantistica non relativistica alla Cromodinamica Quantistica, la spiegazione qualitativa dei sistemi stabili ed instabili può essere rozzamente
sintetizzata come segue.
i ) Ad ogni scala atomica e subatomica esistono dei costituenti fondamentali
indivisibili (nuclei ed elettroni, su scala atomica; protoni e neutroni su scala
nucleare; quark, leptoni e mediatori delle interazioni su scala subnucleare
etc.).
ii ) La dinamica è descritta da un Hamiltoniano che tiene conto di tutte le
possibili interazioni elementari tra i costituenti fondamentali; questi ultimi
corrispondono allo spettro puntuale di tale Hamiltoniano.
iii ) La dinamica lascia invariati alcuni stati del sistema, che vengono considerati
gli aggregati stabili.
iv ) Considerato uno stato stabile dell'Hamiltoniano di un sottosistema, la perturbazione con altri canali di reazione può generare uno stato metastabile,
che può essere interpretato come caratterizzante un aggregato instabile. Dal
punto di vista spettrale uno stato instabile corrisponde ad una regione di
energia in cui la densità spettrale non è singolare (come in corrispondenza
di stati legati) ma molto elevata.
Capitolo 1.
9
Sistemi quantistici instabili
16
Figura 1.1: Sezione d'urto totale di neutroni su 8 O. I
picchi sono dovuti alla formazione di stati eccitati di
17 O.
Un caso paradigmatico in cui quanto esposto al punto iv ) si riconosce con
estrema chiarezza è il sistema atomico in interazione con il campo di radiazione.
L'atomo isolato presenta un Hamiltoniano con un numero nito o innito di stati
stabili, corrispondenti ai diversi livelli energetici dell'elettrone. L'atomo in interazione con le particelle quantistiche del campo elettromagnetico ha un solo stato
stabile, quello di energia minore - vicino allo stato fondamentale dell'atomo isolato - e molti stati metastabili - vicini agli stati eccitati dell'atomo isolato - che
decadono, dopo tempi più o meno lunghi, in stati con energia minore. Si noti che
l'eetto dell'interazione con il campo fotonico deve essere piccolo se è vero che
la descrizione fenomenologica di un atomo investito da radiazione è generalmente
data in termini dei livelli dell'atomo isolato.
In un tipico esperimento di scattering, un fascio collimato di particelle di energia
ben denita incide su un bersaglio e le particelle deesse nelle varie direzioni sono
contate per mezzo di opportuni contatori.
In generale si può assumere che la
densità delle particelle nel fascio incidente sia sucientemente bassa da rendere
trascurabili le interazioni tra le particelle del fascio.
Inoltre, se il bersaglio è
sucientemente sottile, si possono trascurare le collisioni multiple di una particella
proiettile con diversi centri diusori.
Questo permette di trattare il processo di
collisione come se fosse coinvolto un proiettile ed una sola particella bersaglio.
Indicando con
solido
dΩ
N (θ, φ) dΩ
il numero di particelle deesse, in un secondo, nell'angolo
attorno alla direzione
(θ, φ),
si denisce sezione d'urto dierenziale del
processo
dove
I
è il usso si particelle
N (θ, φ)
dσ(θ, φ)
=
dΩ
nI
incidenti ed n il numero
(1.8)
di centri diusori contenuti
nel bersaglio. Spesso lo scattering ha simmetria cilindrica, per cui la sezione d'urto
dierenziale dipende solo da
θ.
Capitolo 1.
10
Sistemi quantistici instabili
Figura
Forma Breit-Wigner di una sezione
1.2:
d'urto in prossimità di una risonanza.
La manifestazione sperimentale della formazione di risonanze in un processo di
collisione è l'osservazione di picchi pronunciati nella sezione d'urto, come mostrato
in g. 1.1. In particolare la sezione d'urto in corrispondenza dell'energia di risonanza
ER
2
ha la forma di una Lorentziana
(Breit-Wigner per i sici, si veda g.
1.2). Nel caso specico di una collisione elastica la sezione d'urto totale per una
risonanza in onda
s
è data da:
2
Γ
2
4π
σ(E) = 2
k (E − ER )2 +
dove
ER
Γ 2
2
,
(1.9)
è l'energia corrispondente al picco della risonanza e
Γ
è la larghezza a
metà altezza della Breit-Wigner. La vita media della risonanza è legata a
Γ
dalla
relazione
τ=
}
.
Γ
(1.10)
In generale, una risonanza può decadere in diversi canali; in questo caso si denisce
per ciascun canale una larghezza parziale
percentuale di decadimenti
λi
Γ1 , Γ2 , Γ3 , · · · ,
che è proporzionale alla
Γi = λi }. La larghezza
P
i λi . La forma generale
nel canale relativo, ovvero
totale della risonanza è data da
Γ=
P
i Γi
così come
λ=
di una sezione d'urto totale risonante si scrive:
σ(E) =
dove
Γi
Γi Γ
4π
2 2
g
k 2 (E − ER )2 +
Γ 2
2
,
(1.11)
è la larghezza parziale relativa al canale di decadimento della risonanza
nel canale di ingresso e
g
è un fattore statistico. Quando la sezione d'urto viene
2 Si chiama Lorentziana la funzione ad un picco (normalizzata ad uno):
L(x) =
dove
x0
e
Γ
1
Γ/2
π (x − x0 )2 + (Γ/2)2
sono rispettivamente il massimo di
L(x)
e la larghezza a metà altezza del picco.
Capitolo 1.
11
Sistemi quantistici instabili
misurata (come avviene generalmente) sommando su tutti gli stati di spin nali e
g = (2J + 1)/[(2sa + 1)(2sb + 1)] ,
sa è lo spin del proiettile e sb quello
mediando su quelli iniziali, tale fattore è dato da
dove
J
è il momento angolare della risonanza,
del bersaglio.
La prima descrizione teorica del meccanismo di formazione di una risonanza
fu data, indipendentemente e quasi simultaneamente, da Gamow [20] e da Gurney e Condon [21], nel 1928, come un'applicazione della meccanica quantistica al
problema della stabilità nucleare. Si consideri l'urto di un fascio incidente su un
bersaglio molto sottile, nelle seguenti condizioni.
- La distanza tra i centri diusori è maggiore della lunghezza d'onda di De Bröglie associata alla particella incidente; sono pertanto trascurabili i fenomeni
di dirazione.
- La massa della particella bersaglio è molto maggiore di quella della particella proiettile; ciò implica che si possono considerare i centri diusori
praticamente immobili sia prima che dopo l'urto.
- La forza tra il proiettile e il bersaglio è descrivibile mediante un potenziale
(classico)
V (~r) fortemente attrattivo in una regione limitata dello spazio,
limr→∞ r V (~r) = 0; in questo caso esiste una regione nita al di
cioè tale che
fuori della quale le particelle diuse possano essere considerate libere.
Sotto queste ipotesi è possibile ridurre l'urto alla diusione di un'onda piana incidente da parte di un solo centro diusore, immobile prima e dopo l'urto. L'interazione tra proiettile e bersaglio è descritta dal potenziale
V (~r),
per cui in questa
schematizzazione si parla di scattering da potenziale. Nel sistema considerato si
verica una diusione risonante del tipo che si ha in una buca di potenziale. Nelle
vicinanze dell'energia di risonanza
ER ,
l'onda incidente penetra profondamente
nella regione in cui agisce il potenziale; gran parte del pacchetto d'onda incidente
resta in tale regione per un tempo
τ
nito prima di essere riemesso nella forma di
un'onda diusa. Durante l'intero periodo che precede la riemissione, la probabilità
di presenza della particella nella regione in cui agisce il potenziale è molto alta,
come in uno stato legato. Tuttavia, mentre uno stato stazionario ha vita media
innita, lo stato metastabile ha una vita media che - pur potendo essere grande è comunque nita.
Capitolo 1.
12
Sistemi quantistici instabili
1.2 Stati legati, del continuo e risonanze
La proprietà che caratterizza gli stati metastabili e che li distingue dagli stati legati
o dello spettro continuo è il loro comportamento a tempi brevi. Al ne di precisare tale caratterizzazione richiamiamo di seguito le prescrizioni della meccanica
quantistica per la descrizione della dinamica di un sistema quantistico.
In meccanica quantistica la dinamica del sistema è descritta dalla ben nota
equazione di Schrödinger,
i
d
| Ψ(t) i = H | Ψ(t) i
dt
con
Ψ0 = | Ψ(t0 ) i
(1.12)
| Ψ0 i è lo stato del sistema all'istante t0 e sono state scelte unità di misura
che } = 1. I successi della (1.12) nei campi più diversi della sica sono
dove
tali
innumerevoli.
La linearità dell'equazione di Schrödinger implica che il vettore di stato
dipende linearmente dal vettore di stato iniziale
| Ψ0 i .
| Ψ(t) i = U (t, t0 ) | Ψ0 i ,
dove
U (t, t0 )
| Ψ(t) i
Possiamo allora scrivere
(1.13)
è un operatore lineare unitario che prende il nome di operatore di
evoluzione temporale e soddisfa l'equazione
i
d
U (t, t0 ) = H U (t, t0 ),
dt
(1.14)
con la condizione iniziale
U (t0 , t0 ) = 1.
(1.15)
Nell'ipotesi in cui il sistema in considerazione sia isolato, l'operatore hamiltoniano
H
nella rappresentazione di Schrödinger è indipendente dal tempo. E' facile veri-
care che la soluzione della (1.14) assume la forma notevole
U (t, t0 ) = e−iH(t−t0 )
(1.16)
| Ψ(t) i = e−iHt | Ψ0 i
(1.17)
per cui
dove si è posto
t0 = 0.
La conoscenza dello spettro dell'Hamiltoniano consente di conoscere ad ogni
istante l'evoluzione del sistema, in quanto l'operatore di evoluzione temporale è
dato da
U (t) = e
−iHt
Z
+∞
e−iλt dEλ
=
(1.18)
−∞
dove
Eλ
è la famiglia di operatori di proiezione che costituisce la risoluzione spet-
trale associata all'operatore autoaggiunto
3
H
e l'integrale nella (1.18) è un integrale
secondo Stieltjes . La (1.18) è da intendersi nel senso seguente:
Z
+∞
Uψ (t) = (ψ, U (t)ψ) =
e−iλt d(ψ, Eλ ψ) .
−∞
3 Per la denizione di risoluzione spettrale si veda appendice A, pag. 79.
(1.19)
Capitolo 1.
13
Sistemi quantistici instabili
L'operatore di evoluzione temporale è quindi la trasformata di Fourier della misura
spettrale di
H , d(ψ, Eλ ψ) ,
corrispondente allo stato
ψ.
Come ben noto, gli stati legati (corrispondenti allo spettro discreto) dell'Hamiltoniano non danno origine a diusione, mentre stati dello spettro continuo si. La
proprietà matematica che distingue questi due casi (e che connette l'intuizione sica con la formulazione matematica) è il decadimento della trasformata di Fourier
(1.19) delle corrispondenti misure spettrali.
t0 = 0 è nell'autostato | φn i
λn dello spettro discreto di H . In questo caso la
d(φn , Eλ φn ) = δ(λ − λn ), per cui la (1.19) si riduce a
Si consideri un sistema che all'istante iniziale
corrispondente ad un autovalore
misura spettrale è
Uφn (t) = e−iλn t ,
(1.20)
ovvero l'evoluzione temporale di uno stato legato è data da un fattore di fase. Indichiamo con
φn (x) = h x | φn i
la funzione d'onda che corrisponde allo stato | φn i .
| φn (x, t) | 2 di uno stato legato è la
La (1.20) implica che la densità di probabilità
stessa ad ogni istante; inoltre il valor medio di qualsiasi operatore e la probabilità
di misurare un dato valore di un qualsiasi osservabile sono costanti nel tempo. In
particolare
| φn i t
rimane autostato di
H
con energia denita dall'autovalore
λn
corrispondente. Per questi motivi, uno stato legato è detto anche stazionario.
Lo stato stazionario di energia più bassa viene detto stato fondamentale del
sistema, mentre le altre autofunzioni proprie dell'Hamiltoniano deniscono gli stati
eccitati.
In corrispondenza delle energie
λ appartenenti allo spettro continuo di H
le au-
tofunzioni (dette improprie) non appartengono allo spazio di Hilbert, pertanto non
rappresentano stati del sistema. Loro sovrapposizioni continue con coeciente
c(λ)
a modulo quadrato integrabile sono invece normalizzabili e quindi corrispondono
a possibili stati:
Z
|ψi =
c(λ) | φλ i dλ.
(1.21)
| c(λ) | 2
Consideriamo uno stato tale che la funzione
abbia supporto solo sullo
2
3
spettro continuo e studiamone l'evoluzione libera. L'hamiltoniano libero in L (R )
H0 = −∆ / 2m, dove m è la massa della particella. Nel seguito si è posto 2m = 1.
2
L'operatore H0 agisce come una moltiplicazione per p nello spazio dei momenti
L2 (R3 ), ovvero
h
i
H0 ψ (x) = F −1 p2 F ψ (p)
(1.22)
è
dove con
F
si è indicata la trasformata di Fourier. Il proiettore spettrale di
la funzione caratteristica sull'insieme
formalmente
Z
[0, +∞)
H0
è
che ne costituisce lo spettro, ovvero
+∞
H0 =
−∞
p2 dEp
con
Ep = χ[0,+∞) .
(1.23)
Capitolo 1.
14
Sistemi quantistici instabili
Usando la (1.17), la (1.22) e la (1.23) si ha:
h
i
2
ψ(x, t) = ei ∆ t ψ0 (x) = F −1 e− i p t F ψ (p) .
(1.24)
L'ultimo membro della (1.24) è l'antitrasformata della moltiplicazione di due funzioni nello spazio di Fourier pertanto, usando la nota proprietà
F −1 F(f ) F(g) = f ∗ g ,
dove con
f ∗g
si è indicata la convoluzione
4
(1.25)
delle due funzioni, si ottiene:
Z
ψ(x, t) =
kt (x − y) ψ(y) dy
con
h
i
2
kt (x − y) = F −1 e− i p t =
∀t
(1.26)
i | x−y | 2
1
4t
e
.
(4πit)3/2
(1.27)
Il generatore della dinamica libera per una particella in 3 dimensioni è quindi
2
3
2
3
l'operatore U (t) : L (R ) → L (R ) denito da:
U (t)ψ (x) =
Se
ψ ∈ L1 (R3 ) ∩ L2 (R3 ),
1
(4πit)3/2
Z
e
i | x−y | 2
4t
ψ(y) dy.
(1.28)
l'evoluzione data dalla (1.28) è tale che
sup | ei ∆ t ψ | ≤
x
cioè il massimo della funzione
c
k ψ k L1
t3/2
(1.29)
ψ(x, t) decade almeno come t−3/2 .
Ciò mostra come
in corrispondenza di stati che abbiano componenti solo sullo spettro continuo la
2
−3
densità di probabilità k ψ k decade come t . Questo vuol dire che è suciente
aspettare un tempo
t
piccolo perché ci sia una probabilità diversa da zero di trovare
la particella fuori da qualunque regione nita.
Una risonanza è inne uno stato quasi legato con un andamento dispersivo
per tempi piccoli molto lento rispetto a quello di uno stato dello spettro continuo.
In corrispondenza di una risonanza si ha infatti
| ψt (x) | 2 = | ψ0 (x) | 2 e−y
4 La convoluzione di due funzioni
2t
f, g : R → R su un intervallo [a, b]
Z b
[f ∗ g](t) =
f (τ ) g(t − τ ) dτ
(1.30)
è data da
a
dove il simbolo
[f ∗ g](t)
indica la convoluzione.
Più spesso la convoluzione è calcolata su un
intervallo nito:
Z
+∞
[f ∗ g](t) =
Z
+∞
f (τ ) g(t − τ ) dτ =
−∞
f (t − τ ) g(τ ) dτ .
−∞
Capitolo 1.
15
Sistemi quantistici instabili
con
2
e−y t ' 1
Quanto più la costante
y2
per
t 1/y 2 .
(1.31)
è piccola, tanto più a lungo il sistema resterà nel suo
stato iniziale.
È interessante osservare che la legge di decadimento esponenziale (1.30), nonché
tutte le altre proprietà osservabili di una risonanza, si prestano ad essere coerentemente descritte assumendo che essa abbia uno sviluppo temporale identico a quello
di uno stato stazionario di un Hamiltoniano formalmente complesso con autovalore
z0 = ER − iΓ/2:
Ψ(x, t) = e−i (E0 −iΓ/2) t / } Ψ(x, 0) .
(1.32)
Il valore del modulo quadrato della funzione d'onda (1.32) è infatti
| Ψ(x, t) | 2 = | Ψ(x, 0) | 2 e−Γt/} .
La parte reale di
z0
(1.33)
fornisce il valore medio dell'energia, mentre la parte immag-
inaria è l'ampiezza della Breit-Wigner, ovvero il tempo di vita medio dello stato
metastabile.
Al limite per
Γ → 0
otteniamo uno stato esattamente stazionario,
con tempo di vita innito, la cui distribuzione in energia è una funzione delta.
Si noti che il comportamento di un sistema instabile a tempi lunghi dipende
dallo stato nale del decadimento.
Il sistema può infatti passare in uno stato
legato, come accade quando un atomo decade da uno stato eccitato al suo stato fondamentale, oppure in uno stato del continuo, come nel caso di processi di
scattering risonante.
Capitolo 2
Regola d'oro di Fermi:
una derivazione standard
In questo capitolo verrà presentata una derivazione standard della legge di decadimento esponenziale e della regola d'oro di Fermi, basata su un approccio di tipo
perturbativo. Nel presentare tale derivazione saranno sottolineate le ipotesi neces-
1
sarie e il loro campo di validità . Un accento particolare è posto sulla descrizione
di un atomo investito da radiazione: nell'ambito della teoria perturbativa il campo elettromagnetico che causa la transizione tra due diversi autostati dell'atomo è
descritto da un potenziale dipendente dal tempo.
2.1 Teoria perturbativa
Consideriamo un sistema descritto da un operatore hamiltoniano
H(t), in generale
dipendente dal tempo, esprimibile come somma di due termini:
H(t) = H0 + V (t),
dove l'Hamiltoniano libero
non dipende esplicitamente dal tempo ed è risolto
H0 .
V (t) dipende esplicitamente dal tempo, anche
se all'istante iniziale il sistema si trova in un autostato di H0 , la perturbazione può
il problema con
V (t) = 0,
H0
(2.1)
nel senso che sono noti autovalori ed autovettori di
Poichè l'Hamiltoniano di interazione
causare transizioni verso stati diversi da quello iniziale.
E' conveniente lavorare in rappresentazione di interazione.
sentazione l'evoluzione di un generico operatore
A
In tale rappre-
associato ad un'osservabile è
dettata solo dal termine di Hamiltoniano libero
i
d
AI (t) = [AI (t), H0 ] ,
dt
1 Per la stesura di questo capitolo si è seguito in particolare il [16, cap. IV].
16
(2.2)
Capitolo 2.
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
per cui (2.2) l'operatore
Schrödinger
A = AI (0)
AI (t)
17
dipende dall'operatore nella rappresentazione di
tramite l'equazione
AI (t) = eiH0 t A e−iH0 t .
(2.3)
In particolare, usando la (2.3), si vede che l'operatore hamiltoniano libero è indipendente dal tempo, mentre l'operatore hamiltoniano di interazione assume la
forma
VI (t) = eiH0 t V e−iH0 t ,
dove
V
(2.4)
senza indice va inteso come potenziale dipendente dal tempo nella rap-
presentazione di Schrödinger.
Tutta la variazione del vettore di stato è dovuta
unicamente all'eetto dell'interazione
i
d
| ψI (t) i = VI (t) | ψI (t) i .
dt
L'operatore di evoluzione temporale
U (t, t0 )
(2.5)
nella rappresentazione di interazione
è dato da
UI (t, t0 ) = eiH0 t U (t, t0 ) e−iH0 t
= eiH0 t e−iH(t−t0 ) e−iH0 t
(2.6)
e soddisfa la stessa equazione (2.5) che descrive la dinamica del vettore di stato
i
d
UI (t, t0 ) = VI (t) UI (t, t0 ),
dt
(2.7)
con la condizione iniziale
UI (t0 , t0 ) = 1 .
(2.8)
E' possibile risolvere formalmente l'equazione (2.7) ottenendo uno sviluppo molto
importante per la teoria delle perturbazioni. A questo scopo riscriviamo la (2.7)
con la condizione iniziale (2.8) sotto forma di equazione integrale
Z
t
UI (t, t0 ) = 1 − i
dt1 VI (t1 ) UI (t1 , t0 ) .
(2.9)
t0
Iterando ripetutamente la (2.9) si arriva allo sviluppo in serie
UI (t, t0 ) =
∞
X
n
Z
t
t1
dt1
(−i)
n=0
Z
t0
Z
tn−1
dt2 . . .
t0
dtn VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn )
(2.10)
t0
che, supposto convergente, dà l'operatore
UI (t, t0 ).
dinaria e non un operatore, la funzione integranda
VI fosse una funzione orVI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) sarebbe
Se
simmetrica nei suoi argomenti e l'integrazione potrebbe essere estesa a tutto l'ipercubo
n-dimensionale
di lato
[ t0 , t ]
permutando i fattori integrandi. Si otterrebbe
così:
Z
t
UI (t, t0 ) = exp −i
t0
dt0 VI (t0 ) .
(2.11)
Capitolo 2.
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
Questa operazione si basa sulla commutatività dei fattori
ti diversi, proprietà in generale non valida poiché
VI
VI
18
considerati ad istan-
dipende esplicitamente dal
tempo:
[ VI (t0 ) , VI (t00 ) ] 6= 0
per
Si noti che, come mostra la (2.4), l'operatore
VI
t0 6= t00 .
(2.12)
nella rappresentazione di inte-
razione dipende dal tempo anche se nella rappresentazione di Schrödinger non vi
dipende.
E' possibile, tuttavia, simmetrizzare l'espressione integranda notando
che nella (2.10) si ha
t1 > t2 > . . . > tn
(2.13)
T VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) ,
(2.14)
ed introducendo l'espressione
che prende il nome di prodotto cronologico o prodotto temporalmente ordinato. Esso
è denito come il prodotto dei fattori disposti secondo l'ordine dei tempi decrescenti (2.13). Ad esempio si ha
T VI (t1 ) VI (t2 ) ≡
VI (t1 ) VI (t2 )
VI (t2 ) VI (t1 )
per
per
t1 > t2
t1 < t2
(2.15)
ovvero
T VI (t1 ) VI (t2 ) = VI (t1 ) VI (t2 ) θ(t1 − t2 ) + VI (t2 ) VI (t1 ) θ(t2 − t1 )
(2.16)
dove
θ(t)
è la funzione gradino di Heaviside. Introducendo il prodotto cronologico
nella (2.10) si può estendere l'integrazione a tutto l'ipercubo scrivendo
UI (t, t0 ) =
Z
∞
X
(−i)n
n!
n=0
o, formalmente,
t
t0
Z
t
dt1
Z
t
dt2 . . .
t0
dtn T VI (t1 )VI (t2 ) . . . VI (tn )
(2.17)
t0
h Z t
i
0
0
UI (t, t0 ) = T exp −i
dt VI (t )
.
(2.18)
t0
L'equazione (2.17) prende il nome di sviluppo di Dyson. In principio esso permette
di trovare la soluzione completa del problema delle perturbazioni dipendenti dal
tempo.
In pratica è di solito impossibile calcolare più di pochi termini dell'es-
pansione e, cosa peggiore, in molti casi l'espansione converge molto lentamente o
non converge per nulla. Esistono anche importanti interazioni (decadimento beta,
legami interatomici nei liquidi e nei gas) per i quali ogni termine della (2.17) risulta
innito, anche se
UI
certamente esiste. Nonostante ciò, lo sviluppo di Dyson viene
usato con grande successo in elettrodinamica quantistica, meccanica statistica e
altre aree importanti della sica.
Capitolo 2.
19
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
In teoria dei campi a partire dalla (2.18) si denisce l'operatore
S≡
lim
UI (t, t0 ) ,
(2.19)
t →+∞
t0 →−∞
che lega tra loro gli stati asintotici del sistema
| ψ(+∞) i = S | ψ(−∞) i .
(2.20)
Per assicurare la convengenza del limite nella (2.19) si può eventualmente introdurre un'accensione e uno spegnimento adiabatico dell'interazione
e− | t |
con
→ 0+ ,
per cui si ha formalmente
h Z
S = lim+ T exp −i
→0
+∞
0
0
dt VI (t ) e
− | t |
i
.
(2.21)
−∞
Se prima dell'interazione il sistema si trovava nello stato iniziale
|ii,
vale a dire
in una certa collezione di particelle libere, l'ampiezza di probabilità di ottenere,
per eetto dell'interazione
VI ,
uno stato nale
|f i,
cioè un'altra collezione di
particelle libere, è data dall'espressione
Sf i = h f | ψ(+∞) i = h f | S | i i .
I coecienti
Sf i
(2.22)
formano la matrice di diusione o matrice S, che contiene tutte
le informazioni sul processo di diusione o di decadimento in considerazione.
Assumiamo che il sistema si trovi all'istante
dell'operatore hamiltoniano libero
| ψ0 i = | a i ,
H0 | a i = Ea | a i ,
t0 = 0
in un dato autostato
dove
h a | a i = 1.
(2.23)
Chiamiamo ampiezza di sopravvivenza
A(t) = h ψ0 | ψt i ,
(2.24)
ovvero l'ampiezza di probabilità che una determinazione dello stato del sistema al
tempo
t
fornisca il valore inziale
| ψ0 i .
Con la nostra scelta dello stato iniziale,
utilizzando l'espressione (2.6) dell'operatore di evoluzione e la (2.23), possiamo
riscrivere la (2.24) nella forma:
A(t) = h ψ0 | U (t, 0) | ψ0 i
= h a | e−iH0 t UI (t, 0) | a i
= e−iEa t h a | UI (t, 0) | a i .
usando la (2.6)
usando la (2.23)
(2.25)
Capitolo 2.
20
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
Sostituendo lo sviluppo di Dyson (2.17) nella (2.25) otteniamo:
A(t) = e
−iEa t
Z
∞
X
(−i)n
n=0
n!
t
dt1
t0
Z
t
Z
dt2 . . .
t0
t
dtn
t0
h a | T VI (t1 ) VI (t2 ) . . . VI (tn ) | a i .
Se l'interazione è caratterizzata da una costante di accoppiamento
(2.26)
χ
la (2.26) è
uno sviluppo in serie di potenze della costante di accoppiamento; se
χ 1
è
suciente considerare i primi termini non nulli dello sviluppo per ottenere una
buona approssimazione di
A(t):
A(t) = A0 (t) + A1 (t) + A2 (t) + O(χ3 ) .
(2.27)
Siamo interessati ai seguenti problemi.
a ) Interazione tra un atomo e il campo di radiazione:
dell'atomo isolato e
V (t)
H0
è l'Hamiltoniano
è un potenziale periodico nel tempo che descrive
2
l'interazione tra l'atomo e il campo elettromagnetico . In particolare,
V (t) = V0 eiωt + V0∗ e−iωt .
b ) Diusione di una particella libera da parte di una particella-bersaglio:
H0
descrive la dinamica di una particella libera, mentre l'interazione con l'atomobersaglio è descritta mediante un potenziale
V,
indipendente dal tempo,
fortemente attrattivo in una regione limitata dello spazio.
2 L'Hamiltoniano che determina i livelli dell'atomo isolato non contiene alcun campo radiativo,
ma solo un potenziale statico che descrive l'interazione tra un singolo elettrone e il nucleo. Ad
esempio, l'Hamiltoniano dell'atomo di idrogeno è
H0 = p2 /2m + V (r),
dove
V (r)
è il potenziale
di Coulomb. La possibilità di ridurre il problema atomico ad un problema ad una sola particella
(il singolo elettrone) in un campo statico generato dal nucleo è una conseguenza delle proprietà
fermioniche degli elettroni.
Capitolo 2.
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
21
2.2 Perturbazione indipendente dal tempo
e perturbazione armonica
Si consideri il caso di una perturbazione che non dipende esplicitamente dal tempo.
Calcoliamo il termine di ordine zero della (2.27):
A0 (t) = e−iEa t h a | a i = e−iEa t .
(2.28)
Per il termine del primo ordine, utilizzando la (2.4), si ottiene
A1 (t) = e
−iEa t
t
Z
dt0 h a | VI (t0 ) | a i
(−i)
0
= e−iEa t (−i)
t
Z
0
0
dt0 h a | eiH0 t V e−iH0 t | a i
0
= e−iEa t (−it) h a | V | a i .
Nel caso in cui la perturbazione
{|ai}
V
(2.29)
abbia solo elementi non diagonali fra gli autostati
dell'operatore hamiltoniano libero, ovvero
ha|V |ai = 0
∀ | a i : H0 | a i = Ea | a i ,
(2.30)
la (2.29) si annulla identicamente:
A1 (t) = 0 .
(2.31)
Per il termine del secondo ordine, sempre usando la (2.4), si ottiene:
−iEa t
A2 (t) = e
Z t Z t1
− dt1
dt2 h a | VI (t1 ) VI (t2 ) | a i
0
0
Z t Z t1
−iEa t
iH0 t1
−iH0 t1 iH0 t2
−iH0 t2
=e
− dt1
dt2 h a | e
V e
e
V e
|ai
0
0
Z t Z t1
−iEa t
iEa (t1 −t2 )
−iH0 (t1 −t2 )
=e
− dt1
dt2 e
ha|V e
V |ai .
0
(2.32)
0
Inserendo nella (2.32), tra gli operatori di interazione
X
V,
la quantità
| f ih f | = 1 ,
(2.33)
f
dove gli stati
|f i
sono anch'essi autostati di
h a | V e−iH0 (t1 −t2 ) V | a i =
X
H0 ,
si ha
h a | V e−iH0 (t1 −t2 ) | f i h f | V | a i
f
=
X
f
e−iEf (t1 −t2 ) | h f | V | a i |2 .
(2.34)
Capitolo 2.
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
22
Sostituendo la (2.34) nella (2.32) si ottiene
−iEa t
A2 (t) = e
h
−
X
2
t
Z
|hf |V |ai|
dt1
0
f
t1
Z
dt2 e
−i (Ef −Ea )(t1 −t2 )
i
.
(2.35)
0
L'integrale della (2.35) si può facilmente risolvere ponendo come variabile di inte-
τ = t1 − t2 :
Z t Z t1
Z t1
Z t
− i (Ef −Ea ) (t1 −t2 )
dτ e− i (Ef −Ea ) τ
dt1
dt2 e
=
dt1
grazione
0
0
0
0
Z
=
t
dt1
0
e− i Ef −Ea ) t1 − 1
1 − e− i (Ef −Ea ) t
t
=
+
2
− i (Ef − Ea )
(Ef − Ea )
i (Ef − Ea )
1 − cos (Ef − Ea ) t
sin (Ef − Ea ) t
t
=
+ i
+
.
(Ef − Ea )2
(Ef − Ea )
(Ef − Ea )2
(2.36)
Sostituendo la (2.36) nella (2.35) si ha
2
(
A2 (t) = e−iEa t
−
(
− i e−iEa t
Ef −Ea
2
X
2 sin
h f | V | a i 2
(Ef − Ea )2
f
X
h f | V | a i 2
f
)
t
)
sin (Ef − Ea ) t
t
+
.
(Ef − Ea )
(Ef − Ea )2
(2.37)
Sostituendo la (2.28), la (2.29) e la (2.37) nella (2.27) e calcolandone il quadrato
del modulo si ottiene la probabilità di sopravvivenza al secondo ordine
P(t) = | A(t) | 2 = 1 + t2 | h a | V | a i |2
sin2
X
2
−
|hf |V |ai|
f
Ef −Ea
2
Ef −Ea
2
t
2
+ O(χ3 ) .
(2.38)
Alla probabilità di sopravvivenza (2.38) contribuisce solo la parte reale dell'ampiezza del secondo ordine (2.37), in quanto la parte immaginaria apporta solo contributi
di ordine superiore al secondo nella costante di accoppiamento
termine
2
"
| h f | V | a i |2
sin
Ef −Ea
2
Ef −Ea
2
χ.
Si noti che il
2 #
(2.39)
2
f =a
Capitolo 2.
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
23
nella (2.38) si compensa identicamente con il termine
dovuto ad
A1 (t),
t2 | h a | V | a i |2
(2.40)
sin2 (ωt)
= t2 .
ω→0
ω2
(2.41)
poiché
lim
Di conseguenza la probabilità di sopravvivenza all'ordine perturbativo considerato
risulta essere
X
P(t) = | A(t) | 2 = 1 −
f 6=a
sin2
2
|hf |V |ai|
Ef −Ea
2
Ef −Ea
2
t
2
+ O(χ3 ) ,
(2.42)
ovvero si ha lo stesso risultato che si avrebbe nel caso in cui l'operatore di interazione soddisfacesse la (2.30). D'altra parte gli elementi di
autostati di
H0
V
diagonali negli
comportano solo una traslazione degli autostati dell'Hamiltoni-
ano imperturbato, mentre l'interazione vera e propria è descritta dai termini fuori
diagonale.
Per la conservazione della probabilità, espressa matematicamente dall'unitarietà
dell'operatore di evoluzione (1.16), si deve avere
X
Pf a (t) =
X
=
X
∀t
| h f | U (t, t0 ) | a i | 2
f
f
h a | U † (t, t0 ) | f i h f | U (t, t0 ) | a i
f
= h a | U † (t, t0 ) U (t, t0 ) | a i = 1 .
Poichè
Paa (t) = P(t)
(2.43)
dalla (2.43) si ottiene
P (t) = 1 −
X
Pf a (t) .
(2.44)
f 6=a
Dal confronto tra la (2.38) e la (2.44) è evidente che i termini della sommatoria nella
(2.42) rappresentano le probabilità che al tempo
negli stati
|f i,
t il sistema eettui una transizione
allo stesso ordine della teoria perturbativa.
transizione dallo stato
|ai
allo stato
|f i
La probabilità di
è pertanto data da:
2
2 Ef −Ea
t
2 sin
2
Pf a (t) = h f | V | a i + O(χ3 ) .
2
Ef −Ea
2
(2.45)
Capitolo 2.
24
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
Figura 2.1: Funzione
sin(ω t)/ω 2 .
Allo stesso risultato si giunge in maniera diretta, valutando l'ampiezza di transizione
h f | U (t, 0) | a i = e−iEa t h f | UI (t, 0) | a i
Z t
−iEa t
0
0
= e
h f | 1 − i dt V (t ) | a i + O(χ2 )
0
= − i e−iEa t hf |V |ai
t
Z
dt0 ei(Ef −Ea )t + O(χ2 )
0
= − i e−iEa t ei
Ef −Ea
2
"
t
#
E −E
sin f 2 a t
+ O(χ2 )
hf |V |ai Ef −Ea
2
(2.46)
e calcolandone il quadrato.
Le formule precedenti sono valide in generale, anche in presenza di degenerazione energetica dei livelli. Si noti che la probabilità di transizione (2.45) al variare
del tempo
t
oscilla con una pulsazione
ωf a = Ef − Ea
(2.47)
che aumenta con l'aumentare della distanza energetica tra lo stato | a i e lo stato
| f i . L'ampiezza di oscillazione invece è proporzionale a 1/(ωf a )2 e ha un picco
pronunciato quando
ωf a = 0,
ovvero i due stati hanno la stessa energia. Si veda a
proposito la gura 2.1. Nel caso in cui
Pf a (t)
Ef =Ea
ωf a = 0,
usando la (2.41), la (2.45) diventa
= | h f | V | a i |2 t2 + O(χ3 )
(2.48)
cioè la probabilità di transizione cresce come il quadrato del tempo. A tale comportamento è legato l'eetto Zenone quantistico (si veda ad es. [15, 16]): poiché la
probabilità di popolare stati diversi da quello inziale cresce quadraticamente con
Capitolo 2.
25
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
il tempo risulta possibile inibire la transizione verso stati diversi da quello iniziale
tramite una serie di misure ripetute.
E' da sottolinearsi che la (2.48) è un'espressione valida solo per tempi piccoli,
soddisfacenti la
t |hf |V |ai| 1
(2.49)
in modo tale che il primo termine non nullo dello sviluppo perturbativo approssimi
bene la somma della serie. Per tempi più lunghi viene a cadere la validità della
teoria delle perturbazioni.
Pertanto, sebbene lo sviluppo perturbativo sia eet-
tuato in termini della costante di accoppiamento, esso ha validità in un intervallo
temporale nito, dell'ordine dell'inverso della costante di accoppiamento, come si
evince dalla (2.49).
Si consideri ora il caso di un potenziale dipendente dal tempo che varia in modo
sinusoidale, noto usualmente come perturbazione armonica :
V (t) = V0 eiωt + V0∗ e−iωt .
(2.50)
Le relazioni per la probabilità di sopravvivenza e la probabilità di transizione dallo
stato
|ai
ad uno stato
|f i
sono identiche a quelle ricavate per una perturbazione
indipendente dal tempo, salvo per il fatto che la pulsazione
Ef − Ea ,
ωf a
non è data da
bensì
ωf a = Ef − Ea ± ω .
(2.51)
Infatti, nel calcolo delle ampiezze di sopravvivenza, il potenziale
±iωt
tribuisce all'integrale sul tempo con il termine e
. Si trova:
2
sin
Pf a (t) = h f | V | a i 2
Ef −Ea ±ω
2
Ef −Ea ±ω
2
2
t
2
V0 e±iωt
+ O(χ3 ) .
con-
(2.52)
Ciò corrisponde al fatto che il potenziale esterno scambia energia con il sistema
quantistico, per cui il picco dell'ampiezza di oscillazione della probabilità di transizione si ha per energie nali tali che
Ef = Ea + ω
o
Ef = Ea − ω ,
a seconda che il potenziale abbia ceduto o sottratto energia al sistema.
(2.53)
Capitolo 2.
26
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
2.3 Spettro discreto: evoluzione quasi periodica
L'analisi del paragrafo precedente è di validità generale e prescinde dalle caratteristiche dei modelli studiati.
Si consideri ora un hamiltoniano
H
con spettro
discreto:
H | r i = Er | r i .
(2.54)
Utilizzando la condizione di chiusura su un insieme ortonormale completo di autovettori di
H
X
| r ih r | = 1
(2.55)
r
e la (1.16) l'ampiezza di sopravvivenza si può scrivere
A(t) = h a | U (t, t0 ) | a i
X
X
| h a | r i |2 e−iEr t
h a | e−iH t | r i h r | a i =
=
(2.56)
r
r
dove la somma nella (2.56) è al più su un insieme numerabile di termini, essendo
lo spettro discreto.
Se i livelli energetici
Er
hanno valori commensurabili tra loro, la (2.56) si riduce
alla somma di una serie di Fourier e rappresenta perciò una funzione periodica di
pulsazione pari al massimo comun divisore dei valori
Er .
Nel caso in cui, invece, ci siano livelli energetici incommensurabili fra loro, la
A(t)
non è più strettamente periodica, cioè il sistema non ripassa più per lo stato
iniziale per nessun intervallo di tempo nito. Tuttavia è suciente aspettare un
tempo sucientemente grande perché il sistema passi tanto vicino quanto si voglia
allo stato iniziale.
sistema al tempo
t
Si ottiene cioè un moto quasi periodico.
Infatti, lo stato del
può essere scritto nella forma
| ψ(t) i = e−iH t | a i
=
∞
X
| r ih r | e
−iH t
|ai =
r=1
avendo posto
| ψ(0) i
cr = h r | a i .
∞
X
cr e−iEr t | r i ,
(2.57)
r=1
La distanza tra lo stato
| ψ(t) i
e lo stato iniziale
vale allora
D(t) = kψ(t) − ψ(0)k2 = h ψ(t) − ψ(0) | ψ(t) − ψ(0) i
=
∞
X
c∗r cs eiEr t − 1 e−iEs t − 1 h r | s i
r,s=1
= 2
∞
X
r=1
| cr |
2
1 − cos(Er t) = 4
∞
X
r=1
2
| cr | sin
2
Er t
2
.
(2.58)
Capitolo 2.
27
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
Nell'ipotesi in cui lo stato sia normalizzabile si ha
2
kψ(t) − ψ(0)k =
∞
X
| cr | 2 = 1
(2.59)
r=1
pertanto, ssato un numero
ε positivo piccolo a piacere,
∞
X
| cr | 2 <
r=ν+1
esiste un intero
ε
.
8
ν
tale che
(2.60)
Possiamo allora scrivere
4
∞
X
2
2
| cr | sin
r = ν+1
e quindi
Er t
2
≤ 4
∞
X
| cr | 2 <
r = ν+1
ε
,
2
ν
X
2
2 Er t
| cr | sin
f (t) = 4
.
2
r=1
D(t) < f (t) +
con
Poiché
f (t)
ε
2
(2.61)
(2.62)
(2.63)
è una somma nita di funzioni periodiche continue e limitate essa
3
è una funzione quasi periodica .
4
relativamente denso
{ T }τ (ε)
In corrispondenza di
ε
esiste cioè un insieme
sulla retta reale tale che, per ogni suo elemento
vale la relazione
T
ε
.
2
(2.64)
D(t) = kψ(t) − ψ(0)k2 < ε
(2.65)
|f (T ) − f (0)| = f (T ) <
Possiamo quindi aermare che la relazione
è valida in un insieme relativamente denso della retta reale.
Il comportamento dei sistemi quantistici con spettro discreto presenta quindi
un fenomeno di ricorrenza del tutto analogo a quello di Poincaré per i sistemi
classici costretti in una regione limitata dello spazio delle fasi.
3 Si veda ad esempio [9].
4 Un insieme di numeri reali si dice relativamente denso (nell'insieme dei reali) se esiste un
valore
σ
tale che ogni intervallo di ampiezza
σ
contiene almeno un elemento dell'insieme. Se un
insieme è denso è anche relativamente denso, ma il viceversa non è vero. Per esempio l'insieme
dei numeri relativi è relativamente denso (ma non denso) nei reali.
τ = inf σ
rappresenta il
tempo di ricorrenza.
Dal punto di vista sico
Capitolo 2.
28
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
2.4 Spettro continuo: sistema instabile
Si consideri un sistema con spettro energetico continuo.
La sommatoria nella
(2.56) va interpretata come un integrale, almeno per quanto riguarda l'autovalore
dell'energia:
Z
dE ωa (E) e−iEt ,
A(t) =
dove
ωa (E)
|ai
è la densità energetica dello stato iniziale
ωa (E) =
X
(2.66)
| h r | a i |2 δ(E − Er ) .
(2.67)
r
r nel caso continuo contiene un integrale sui numeri quantici che
caratterizzano lo stato | r i di energia Er . Se si inserisce nella (2.56) un sistema
completo di autostati di H { | E, s i }, dove E è l'energia ed s sono altri numeri
quantici degeneri rispetto ad E si ha:
Z
XZ
−iH t
dE h a | e
| E, s i h E, s | a i =
dE ωa (E) e−iEt
(2.68)
A(t) =
La sommatoria su
s
con
ωa (E) =
X
| h E, s | a i |2 .
(2.69)
s
La (2.69) è identica alla (2.67) ma è scritta in modo diverso: infatti è già stato eettuato l'integrale sulle funzioni
δ.
L'ampiezza di sopravvivenza nel caso di
spettro continuo è espressa tramite un integrale di Fourier e, quindi, non è più
una funzione periodica. In particolare può tendere a zero per
t → ∞.
Ciò mostra
che un sistema quantistico realmente instabile deve necessariamente possedere uno
spettro continuo.
Inserendo nell'espressione (2.38) della probabilità di sopravvivenza la quantità
Z
1=
dE δ(E − Ef )
e scambiando la sommatoria con l'integrale, si ottiene che per un sistema instabile
tale probabilità vale:
Z
P(t) = 1 −
2
2 ωf a
t
sin
X
2
+ O(χ3 ) .
dE
| h f | V | a i |2 δ(E − Ef ) 2
ωf a
2
f 6=a
Nel caso di perturbazione indipendente dal tempo
(2.70)
ωf a = Ef − Ea ; si giunge quindi
all'espressione:
Z
P(t) = 1 −
2
dE ρ(E) |h E k V k a i|2
sin
E−Ea
2
E−Ea
2
2
t
2
+ O(χ3 ) ,
(2.71)
Capitolo 2.
dove
ρ(E)
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
è la densità energetica degli stati nali
ρ(E) =
X
|f i
di energia
29
Ef
δ(E − Ef ) ,
(2.72)
f
mentre con
|h E k Hint k a i|2
sono stati indicati gli elementi di matrice ridotta dell'-
operatore di interazione, ovvero la media degli elementi di matrice su tutti i numeri
quantici rimanenti una volta ssata l'energia:
P
2
|h E k V k a i| =
f 6=a
| h f | V | a i |2 δ(E − Ef )
.
ρ(E)
Nel caso di una perturbazione armonica del tipo
V0 e±iωt
si ha
(2.73)
ωf a = Ef − Ea ± ω ,
per cui:
2
Z
dE ρ(E) |h E k V k a i|2
P(t) = 1 −
sin
E−Ea ±ω
2
2
E−Ea
2
2
t
+ O(χ3 ) .
(2.74)
La (2.71) e la (2.74) consentono una derivazione breve ed ecace della regola
d'oro di Fermi nel caso di perturbazione indipendente dal tempo e di perturbazione
armonica.
Consideriamo un sistema instabile, la cui probabilità di sopravvivenza nell'approssimazione perturbativa è data dalla (2.71). E' possibile individuare un intervallo di energia
∆E
intorno ad
Ea
in cui il prodotto della densità degli stati per
l'elemento di matrice rimane praticamente costante e uguale al suo valore centrale
ρ(E)|h E k V k a i|2 ' ρ(Ea )|h Ea k V k a i|2
per
|E − Ea | < ∆E .
(2.75)
Per quanto riguarda invece la funzione
sin2 (ωt)/ω 2
essa al variare di
ω
ha un massimo nell'origine pari a
ωm = m
2π
,
t
con
(2.76)
t2
e degli zeri per
m = ±1, ±2, . . .
t il valore del massimo della (2.76) cresce quadraticamente mentre la
distanza tra gli zeri diminuisce sempre più. Per tempi t che soddisfano la condizione
Al crescere di
t 2π
∆E
la (2.76) oscilla rapidamente all'interno dell'intervallo
(2.77)
∆E
e ha un picco pronun-
ciato nell'origine. Possiamo pertanto scrivere con buona approssimazione che la
Capitolo 2.
Figura 2.2:
energia
ω
a) Emissione stimolata: il sistema quantistico cede
al potenziale
V
(cosa possibile solo se lo stato iniziale è
eccitato). b) Assorbimento: il sistema quantistico riceve energia
da
30
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
V
ω
e nisce in uno stato eccitato.
probabilità di sopravvivenza, nel caso di perturbazioni indipendenti dal tempo, è
data da
P(t) = 1 − ρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2
Z
+∞
−∞
2
a
sin2 E−E
t
2
dE
2 ,
(2.78)
E−Ea
2
dove la condizione (2.77) è stata usata per estendere l'integrazione a tutto l'asse
reale. L'integrale (2.78) può essere risolto in modo elementare e si ottiene:
P(t) = 1 − 2πρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2 t ' exp(−γ t)
dove il tasso di transizione
γ
(2.79)
è costante nel tempo e pari a
γ ≡ 2π ρ(Ea ) |h Ea k V k a i|2 = 2π
X
| h f | V | a i |2 δ(Ef − Ea ) .
(2.80)
f 6=a
L'equazione (2.80) è nota come regola d'oro di Fermi, nome che le viene dalla sua
semplicità ed importanza. La funzione delta nella (2.80) assicura che l'interazione
provochi transizioni soltanto verso stati nali che hanno la stessa energia di quello
iniziale.
Per una perturbazione armonica il tasso di transizione
γ = 2π
X
γ
nella (2.79) è dato da:
| h f | V | a i |2 δ(Ef − Ea ± ω) .
(2.81)
f 6=a
In questo caso la condizione di conservazione dell'energia non è soddisfatta dal
solo sistema quantistico, ma l'apparente mancanza di conservazione è compensata
dall'energia ceduta o estratta dal potenziale esterno
V (t).
Una descrizione pittorica
di ciò è data dalla gura 2.2. Nel caso a) il sistema quantistico cede energia
ω
a
V
(emissione stimolata ); ciò è possibile solo se lo stato iniziale è eccitato. Nel caso
b) il sistema quantistico riceve un'energia
(assorbimento ).
ω
da
V
e nisce in uno stato eccitato
Capitolo 2.
31
Regola d'oro di Fermi: una derivazione standard
Formalmente la regola d'oro di Fermi si può ottenere a partire dalla (2.71) nel
limite
t→∞
utilizzando
sin2 (ωt)
lim
= πδ(ω)
t→∞
t ω2
(2.82)
Si ha infatti
Z
P(t) ' 1 − π t
E − Ea
dE ρ(E) |h E k V k a i| δ
2
2
da cui, utilizzando le proprietà della
(2.83)
δ(x), si ottiene immediatamente la (2.78).
Del
tutto analogamente può essere ritrovata la (2.74). Questo procedimento formale
nasconde però alcune ipotesi fondamentali che limitano il campo di validità della
(2.80) (rispettivamente della (2.81)).
Infatti, oltre al limite inferiore sul tempo
dettato dalla (2.77), esiste anche un limite superiore, dovuto al fatto che per tempi
troppo grandi vengono a cadere le ipotesi della teoria perturbativa. Gli sviluppi
fatti sono validi infatti nché il termine lineare in
si mantiene minore dell'unità, ovvero per tempi
t <
Il valore di
∆E
t
t al secondo membro della (2.79)
che soddisfano la condizione
1
.
γ
(2.84)
nella (2.77) è di solito dello stesso ordine di grandezza dell'energia
γ è molto minore di Ea , pertanto esiste un intervallo considerevole
t in cui sono soddisfatte contemporaneamente entrambe le condizioni sul tempo
iniziale, mentre
di
(2.77) e (2.84)
1
2π
t < .
∆E
γ
(2.85)
Per tutto l'intervallo di tempi intermedi (2.85) la regola d'oro di Fermi (2.80)
assume la sua piena validità e la probabilità di sopravvivenza segue con ottima
approssimazione la legge esponenziale (2.79).
Tuttavia il limite superiore nella (2.85) risulta di fatto troppo restrittivo. Infatti il risultato ottenuto
P (t) ' exp(−γt)
vale solo per tempi tali che la probabilità
di sopravvivenza si discosti poco dall'unità, cioè per tempi minori della vita media.
Solo in questo intervallo, infatti, l'esponenziale viene ben approssimato da
un andamento lineare, che è in eetti ciò che si ricava esplicitamente dalla teoria perturbativa.
Invece sperimentalmene la legge esponenziale descrive bene il
decadimento su periodi molto più lunghi della vita media.
Capitolo 3
Un approccio non perturbativo
Questo capitolo è dedicato alla presentazione di un'analisi teorica per la caratterizzazione delle risonanze nell'ambito della teoria da potenziale.
recenti (si veda ad es.
H0
Molte analisi
[5, 13, 23, 26, 32]) mostrano che, dato un Hamiltoniano
che abbia stati legati immersi nello spettro continuo, genericamente una per-
turbazione di
H0
sposta tali autovalori in un successivo foglio di Riemann della
variabile energia, nelle vicinanze dell'asse reale, come mostrato in g. 3.1. Ciò si
palesa nell'osservazione di picchi nella sezione d'urto di un processo di scattering
in prossimità della parte reale dell'energia degli autovalori perturbati.
Nel capitolo è presentato un metodo di analisi spettrale utilizzato per lo studio
di perturbazioni di Hamiltoniani con autovalori immersi nel continuo, noto come
metodo delle dilatazioni, che rappresenta un lone di ricerca che arriva no ad
oggi. Un breve spazio è dedicato in coda al capitolo all'importanza assunta dalle
risonanze nell'ambito del quadro assiomatico della teoria della matrice S.
Figura
3.1:
Formazione di risonanze:
continuo dell'Hamiltoniano
H0
gli stati immersi nel
passano nelle cosiddette energie
complesse non siche per eetto di una perturbazione.
32
Capitolo 3.
33
Un approccio non perturbativo
E' utile richiamare il concetto di risolvente dell'operatore hamiltoniano.
3.1 L'hamiltoniano H e il suo risolvente
H
Lo spettro di
può essere caratterizzato da varie funzioni limitate dell'operatore
1
Hamiltoniano, dalla conoscenza delle quali è possibile risalire alla misura spettrale .
U (t) (vedi appendi H , ovvero la funzione della variabile complessa z ,
Funzioni di questo tipo sono l'operatore di evoluzione temporale
dice A pag. 82) e il risolvente
a valori operatori sullo spazio di Hilbert, denita da:
dove con
Eλ
+∞
Z
1
R(z) ≡
=
H −z
1
dEλ ,
λ−z
−∞
(3.1)
si è indicata la schiera spettrale corrispondente all'operatore
H.
La
(3.1) è da intendersi nel senso seguente:
Z
+∞
Rψ (z) = (ψ, R(z)ψ) =
−∞
1
d(ψ, Eλ ψ) .
λ−z
(3.2)
L'interesse per l'operatore risolvente, chiamato funzione di Green di
to al fatto che
tro di
H:
dai punti
H , è dovu-
R(z) è una funzione analitica le cui singolarità costituiscono lo spet-
gli autovalori discreti sono poli semplici e lo spettro continuo è costituito
λ
in cui
(H − λ)
ha inverso non limitato. In tutti gli altri punti fuori
dallo spettro il risolvente è un operatore limitato e, detta
2
dallo spettro, si prova che la sua norma
∆(z)
la distanza di
z
è data da
kR(z)k =
1
.
∆(z)
(3.3)
Valgono le seguenti relazioni operatoriali che legano il risolvente e l'operatore di
evoluzione:
η∞
Z
eizt U (t) dt
R(z) = −i
(3.4)
0
1
U (t) =
2πi
dove
Z
e−izt R(z) dz ,
(3.5)
B
η è il segno di Im z , mentre il cammino di integrazione nel piano complesso B ,
detto cammino di Bromwich, è costituito da una retta orizzontale nel semipiano
Im z < 0
t>0
Im z > 0
(quindi al di sotto di tutte le singolarità del risolvente) che per
è chiusa in senso antiorario da un grande semicerchio nel semipiano
così da contenere tutte le singolarità; per
invece chiuso nel semipiano
Im z < 0,
t<0
il cammino di integrazione viene
dove, non essendoci singolarità, si ottiene
un risultato nullo.
1 Per la denizione di misura spettrale e il teorema di risoluzione spettrale si veda pag. 79,
appendice A.
2 La norma di un operatore
O
è denita nel seguente modo:
generico vettore della sfera unitaria.
kOk = supkxk=1 kOxk,
con
x
Capitolo 3.
34
Un approccio non perturbativo
Figura
Cammino
3.2:
di
integrazione
dell'antitrasformata di Laplace.
Si consideri un Hamiltoniano
no con
H
con spettro interamente discreto. Si indichi-
E0 , E1 , . . . , Ei , . . . gli autovalori di H ,
| ψi i le corrispondenti autofunzioni.
ne, e con
ripetuti nel caso di degenerazioL'operatore
Pi = | ψ i i h ψ i |
è il
proiettore sull'autospazio relativo all'autovalore i-esimo:
H Pi = Ei Pi .
(3.6)
Valgono le relazioni di chiusura e ortogonalità:
Pi Pj = δij Pi
X
e
Pi = 1 .
(3.7)
i
Dalla denizione di risolvente si ha
R(z)Pi =
Pi
z − Ei
(3.8)
Pi
.
z − Ei
(3.9)
e quindi
R(z) =
X
i
Utilizzando la (3.9) è banale vericare che il residuo del risolvente in un suo polo
Ei
è il proiettore
Pi
corrispondente. Utilizzando il teorema dei residui si ha:
1
Pi =
2πi
dove
Γi
I
R(z) dz ,
è un contorno chiuso nel piano complesso che contiene
singolarità di
R(z).
Ei
ma non le altre
Γ è un contorno chiuso nel piano complesso
H e PΓ è la somma dei proiettori Pi
contenuti all'interno di Γ vale:
I
1
PΓ =
R(z) dz .
(3.11)
2πi Γ
Più in generale, se
che non passa attraverso alcun autovalore di
relativi agli autovalori
(3.10)
Γi
Capitolo 3.
35
Un approccio non perturbativo
Si consideri ora il caso generale in cui
continuo. Se
λ
H
abbia sia spettro puntuale che spettro
è un punto isolato dello spettro di
H,
ovvero esiste
ε>0
tale che
{z ∈ C : |z − λ| < ε} ∩ σ(H) = {λ} ,
(3.12)
il proiettore ortogonale sull'autospazio corrispondente all'autovalore
λ
di
H
si ot-
tiene, come visto, con il teorema dei residui:
1
Pλ = −
2πi
con
Γr = {z ∈ C : |µ − λ| = r}
e
I
Γr
1
dµ
H −µ
(3.13)
0 < r < ε.
Il proiettore sulla parte continua dello spettro, invece, è dato dalla seguente
relazione, nota come formula di Stone (si veda ad. es [28, pag. 237]):
1
lim
ε→0 2πi
Z b
a
1
1
−
H − (λ + iε) H − (λ − iε)
dλ =
1
P [ a, b ] + P ( a, b )
2
(3.14)
ε si intende un numero reale piccolo e positivo nel limite in cui tende a
zero. Con P [ a, b ] e P ( a, b ) si sono indicati rispettivamente il proiettore sugli stati di
energia compresa tra Ea ed Eb e il proiettore sugli stati di energia Ea ≤ E ≤ Eb .
Si noti che se H ha spettro discreto P [ a, b ] 6= P ( a, b ) in quanto la misura (che denidove con
amo, per convenzione, continua da destra) può presentare un salto in un estremo,
in corrispondenza di un autovalore. Nel caso in cui lo spettro è puramente continuo, invece, non vi è dierenza tra i due proiettori.
La formula di Stone si ottiene banalmente una volta che si noti che la funzione
1
fε (x) =
2πi
Z b
a
1
1
−
x − λ − iε x − λ + iε
dλ
(3.15)
è l'integrale di una Lorentziana
1
fε (x) =
π
che nel limite
ε→0
Z
a
b
ε
dλ
(x − λ)2 + ε2
(3.16)
tende a


0 x∈
/ [a, b ] ;


1
x = a o x = b;
fε (x) →
2


 1 x ∈ (a, b) .
(3.17)
Capitolo 3.
36
Un approccio non perturbativo
3.2 Perturbazioni dello spettro e risonanze
Lo scopo della teoria delle perturbazioni è determinare la variazione dello spettro
di un operatore le cui proprietà spettrali siano per ipotesi note quando gli si aggiunga una perturbazione, cioè un operatore che possa essere considerato piccolo in
H0
qualche senso. Detto
l'operatore le cui proprietà spettrali sono note, si consid-
eri un operatore perturbato
T (β) = H0 + β V , dove β
è un parametro reale (spesso
detto costante di accoppiamento ) che misura l'intensità della perturbazione specicata dall'operatore
con
V.
In questa notazione l'operatore imperturbato
H0
si indica
T (0).
Si dimostra che lo spettro discreto varia con continuità per eetto di una pertur-
bazione. In particolare gli autovalori (autovettori) dell'Hamiltoniano perturbato
possono essere scritti a partire dagli autovalori (autovettori) dell'Hamiltoniano imperturbato come serie di potenze nella perturbazione. La teoria delle perturbazioni
regolari di Kato [24] dà semplici criteri secondo i quali si può provare che tali serie
formali hanno un raggio di convergenza non nullo. Per una trattazione completa
della teoria delle perturbazioni per spettro discreto si rimanda al [30, XII.2]; di
seguito ci limitiamo ad enunciare un risultato rilevante.
L'operatore
V
sia tale che
D(V ) ⊂ D(H0 )
e valga
k V ψ k ≤ a k H0 ψ k + b k ψ k
In questo caso
V
∀ ψ ∈ D(H0 ) a, b ∈ R .
(3.18)
H0 -limitato. Il minimo valore di a, ã, per cui vale la (3.18)
V rispetto ad H0 . Se V è H0 -limitato con limite relativo ã,
3
−1
famiglia olomorfa di operatori nel cerchio Ω = {β : |β| < a }.
è detto
è detto limite relativo di
T (β) è una
ã = 0, T (β) è una
allora
Se
famiglia olomorfa in tutto il piano complesso.
Teorema 1 (Rellich-Kato)
Ω ⊂ C. Sia λ0 un autovalore
isolato di H0 = T (0), 0 ∈ Ω, di molteplicità geometrica m. Per |β| sucientemente
piccolo λ0 è stabile, cioè esistono al più m punti λj (β) dello spettro di T (β) vicini
a λ0 . Se m = 1 l'unico autovalore λ(β) vicino a λ0 ha molteplicità 1 ed è analitico
attorno a β = β0 .
Sia
T (β)
una famiglia olomorfa nel senso di Kato in
La teoria delle perturbazioni per spettro discreto si basa sulle proprietà di
analiticità del risolvente pertanto non può essere utilizzata per studiare lo spostamento di autostati dell'Hamiltoniano immersi nello spettro continuo.
Infatti, il
risolvente non è analitico in alcun intorno di tali autovalori.
3 Sia
Ω∈C
aperto. Una famiglia di funzioni a valori operatori
β 7→ T (β) ∈ H, β ∈ Ω
è detta
analitica (nel senso di Kato) se e solo se:
i ) T (β) è chiuso e ha un insieme risolvente non vuoto, per ogni β ∈ Ω;
ii ) per ogni β0 ∈ Ω sso, esiste un punto dell'insieme risolvente di T (β0 ), λ0 , che appartiene
T (β)
β0 .
anche all'insieme risolvente di
funzione analitica di
β
vicino
per
β
vicino a
β0
e l'operatore
(T (β) − λ0 )− 1
è una
Capitolo 3.
Figura 3.3:
37
Un approccio non perturbativo
Esempio di spettro di un
Figura
3.4:
Esempio
di
spettro
di
sistema costituito da un atomo (non rela-
un sistema costituito da un atomo (non
tivistico) e un campo di bosoni liberi non
relativistico) e il campo fotonico.
interagenti con l'atomo.
Un esempio di sistema (parzialmente relativistico) il cui spettro presenta autovalori immersi nel continuo è un sistema costituito da un atomo non relativistico e
un campo di bosoni liberi e non interagenti con l'atomo. L'energia di un generico
stato di tale sistema è data dalla somma dell' energia dell'atomo e dell'energia dei
bosoni. Lo stato fondamentale del sistema corrisponde all'atomo nel suo stato di
energia minore
E0
e al vuoto bosonico.
La soglia dello spettro continuo ha un
distacco dallo stato fondamentale almeno corrispondente all'energia di un bosone
con energia cinetica nulla: ciò corrisponde ad uno stato in cui l'atomo è nel suo
stato fondamentale ed è presente un bosone di massa m con energia pari alla sua
2
energia intrinseca e0 = mc . I livelli energetici dell'atomo con energia maggiore di
E0
possono essere nello spettro continuo delle energie del campo bosonico, come
mostrato nella gura 3.3.
Se il campo bosonico ha massa nulla, come nel caso del campo fotonico, l'autovalore corrispondente allo stato fondamentale si trova invece sulla soglia dello
spettro continuo, come mostrato in gura 3.4, a meno che non sia stato eettuato
un taglio infrarosso sulle energie del fotone.
La fenomenologia degli spettri di assorbimento ed emissione indica che il sistema costituito da un atomo in interazione con il campo di radiazione presenta
di fatto un solo stato stabile ed una serie di stati quasi stabili, con energie vicine
a quelle indicate dalla teoria per l'atomo isolato. Ciò suggerisce che l'interazione
sposti gli autovalori del sistema imperturbato immersi nello spettro continuo fuori
dall'asse reale. Tale spostamento non può avvenire al di sopra di
R nel primo foglio
di Riemann, in quanto ciò corrisponderebbe all'esistenza di autovalori complessi
di
H.
L'unica regione in cui i poli possono sparire in maniera continua è un
successivo foglio di Riemann collegato in maniera analitica alle energie sull'asse
reale (si veda a proposito la gura 3.1, pag. 32).
Capitolo 3.
38
Un approccio non perturbativo
Figura 3.5: Sezione d'urto schematica per
lo scattering di fotoni su un atomo di elio.
Il sistema d'altra parte conserva memoria degli autovalori che sono stati spostati fuori dall'asse reale; infatti, in prossimità delle energie dei vecchi autovalori
si osservano picchi nella sezione d'urto di processi di diusione, come mostrato in
g. 3.5. Ciò si spiega ammettendo che l'interazione allontani poco gli autovalori
dall'asse reale. Infatti un polo
z0
del risolvente che si trovi in foglio di Riemann
non sico ma immediatamente al di sotto dell'asse reale, fa si che il valore del
risolvente nel primo foglio di Riemann, al di sopra dell'asse reale e nella regione
di energia data dalla parte reale di
z0 ,
sia molto elevato. Si consideri la (3.14); la
dierenza
1
2πi
1
1
−
H − (λ + iε) H − (λ − iε)
(3.19)
rappresenta la densità di proiezione spettrale dell'operatore hamiltoniano.
Se
il risolvente ha una singolarità in un foglio di Riemann non sico, nel punto
z0 = λ − iη ,
con
η
piccolo, la dierenza (3.19) tra i valori al bordo del risolvente
nel primo foglio di Riemann è molto elevata. La presenza di una singolarità del
risolvente in un foglio di Riemann collegato in maniera analitica al primo, comporta dunque un valore alto della densità degli stati nella regione di energia prossima
alla singolarità.
In generale, nella letteratura sica, il legame sopra descritto tra esistenza di una
risonanza e presenza di un polo di
R(z)
in un successivo foglio di Riemann viene
tradotto in termini di ampiezze di diusione dei processi di scattering per energie
vicine alla parte reale della singolarità [30, cap. XII.6].
f
L'ampiezza di diusione
è una funzione complessa dell'energia e dell'angolo di diusione il cui modulo
quadro dà la sezione d'urto del processo.
piano tagliato
che
f (E)
Essa è tipicamente analitica in
C \ σ(H), dove con σ(H) si è indicato lo spettro di H .
E
nel
Se si suppone
abbia una continuazione analitica in un successivo foglio di Riemann e
che lì vi sia un polo semplice alla posizione
f (E) =
z0 = ER − iΓ/2
C
+ fb (E) ,
E − ER + 12 iΓ
si ha:
(3.20)
Capitolo 3.
dove
fb (E)
39
Un approccio non perturbativo
è una funzione analitica in
all'asse reale e se
fb (ER ) non è troppo larga,
| f (E) | 2 =
dove il resto
R
E = ER − 21 iΓ.
Se il polo è molto vicino
allora la sezione d'urto del processo è
|C |2
+ R,
(E − ER )2 + 41 Γ2
è piccolo per energie vicine ad
ER .
(3.21)
La funzione
| C | 2 (E − ER )2 + Γ2 /4
−1
Γ (vedi g. 1.2). Se per E = ER il
fb (E) allora Γ approssima
picco nella sezione d'urto per E = ER . Un polo di f (E)
ad una risonanza di ampiezza pari alla parte immaginaria Γ
è una Breit-Wigner con larghezza a metà altezza
termine dovuto al polo è più grande del termine di fondo
la larghezza di un
corrisponde quindi
del polo.
Quanto detto sopra giustica la seguente denizione di risonanza. Supponiamo
che esista un insieme denso di vettori di
D⊂H
tale che per ogni
ψ∈D
entrambi
i risolventi
(0)
Rψ (z) = ( ψ, (H0 − z)−1 ψ )
e
Rψ (z) = ( ψ, (H − z)−1 ψ )
(0)
abbiano una continuazione analitica nel secondo foglio di Riemann. Se Rψ (z) è
1
analitico in z0 = ER − i Γ ed Rψ (z) ha un polo in z0 per qualche ψ , diremo che
2
all'energia ER corrisponde una risonanza di larghezza Γ.
Capitolo 3.
Un approccio non perturbativo
Figura 3.6:
40
Azione sullo spettro della dilatazione
denita dalla (3.22): la parte discreta resta invariata,
mentre lo spettro continuo viene ruotato.
3.3 Il metodo delle dilatazioni
La discussione del paragrafo precedente ha permesso di mettere in relazione la
larghezza di una risonanza nella sezione d'urto di un processo di diusione con
una quantità matematicamente rigorosa: la parte immaginaria della posizione di
un polo su un foglio di Riemann non sico. In particolare si tratta di un polo della
continuazione analitica del valore di aspettazione del risolvente su un insieme denso
di stati. Il passo successivo è quello di dimostrare il meccanismo di formazione della
risonanza utilizzando la teoria delle perturbazioni per operatori autoaggiunti. In
particolare va mostrato che per eetto di una perturbazione gli autostati immersi
nel continuo di un Hamiltoniano libero si spostano fuori dall'asse reale, in un
successivo foglio di Riemann.
Una derivazione rigorosa di questi risultati può essere ottenuta attraverso un
metodo generale di analisi spettrale, chiamato metodo delle dilatazioni. Tale metodo consente di analizzare perturbazioni dello spettro di un sistema quantistico che
esibisce autovalori immersi nel continuo. Uno spettro di questo tipo non può essere infatti studiato con la teoria delle perturbazioni per spettro discreto in quanto
quest'ultima vale solo se la funzione considerata è analitica in un intorno della
singolarità, mentre lo spettro continuo rappresenta una regione di non analiticità.
L'idea alla base del metodo delle dilatazioni è la seguente. Si consideri il gruppo
2
3
di operatori unitari u(θ) su L (R ) dato da
u(θ) ψ (r) = e3 θ/2 ψ(eθ r),
(3.22)
e3 θ/2 serve a rendere u unitario. Tale gruppo è detto gruppo degli
operatori di dilatazione su R3 . L'energia cinetica H0 = −∆ si trasforma in maniera
dove il fattore
molto semplice sotto dilatazioni, infatti
u(θ) H0 u(θ)−1 = −e− 2 θ H0 ≡ H0 (θ) .
(3.23)
Capitolo 3.
41
Un approccio non perturbativo
Figura 3.7: Azione di una dilatazione sullo spettro
di un Hamiltoniano con più soglie di spettro continuo.
u(θ) H0 u(θ)−1 , denito a priori quando θ è
reale, ha una continuazione analitica per θ ∈ C. Possiamo restringere i potenziali a
quelli per i quali lo stesso sia vero quando si considera invece di H0 l'Hamiltoniano
H = −∆ + V . Ciò è vero in particolare per i potenziali di Coulomb e Yukawa.
Quest'ultima espressione implica che
E' possibile mostrare che lo spettro discreto di
H
è indipendente da
θ
lasciato invariato dalla dilatazione. Al contrario, come è chiaro dal caso di
cioé è
H0
in
cui lo spettro dopo la dilatazione è
σ( H0 (θ) ) = { e−2θ λ | λ ∈ [ 0 , ∞ ) } ,
(3.24)
lo spettro continuo viene ruotato di un angolo che dipende dalla parte immaginaria
di
θ,
come mostrato in g. 3.6 .
Ciò consente di separare lo spettro continuo
dall'asse reale e di poter quindi applicare allo spettro discreto l'usuale teoria delle
perturbazioni per spettro discreto.
Nel caso in cui
H0
abbia più soglie di spettro continuo l'azione della dilatazione
avrà come risultato la rotazione di tutti i continui come mostrato in g. 3.7 .
La teoria delle dilatazioni consente di ricavare lo spostamento dei poli di
H0
immersi nel continuo dall'asse reale al secondo foglio di Riemann per eetto della perturbazione e come conseguenza di ciò la regola d'oro di Fermi (si veda
[30, cap. XII.6 e XIII.10]). D'altra parte tale teoria è valida solo per Hamiltoniani
su cui siano fatte ipotesi molto restrittive. Inoltre il metodo delle dilatazioni ha lo
svantaggio di non essere utilizzabile per perturbazioni di autovalori che si trovano
sulla soglia dello spettro continuo, come capita al livello di energia
E3
dello spettro
in gura 3.7. Infatti in questo caso spettro continuo e discreto non possono essere
separati mediante una rotazione dei continui.
Capitolo 3.
Un approccio non perturbativo
42
Senza numero.
Alcune considerazioni storiche in forma di parentesi
Stati metastabili e risonanze hanno avuto varia importanza in meccanica quantistica. In particolare hanno assunto grande rilevanza nei dieci anni a cavallo degli
anni sessanta con l'esplosione di un nuovo programma di ricerca, quello della cosiddetta teoria della matrice S [19, 31]. All'interno del quadro interpretativo di tale
teoria infatti gli stati metastabili rappresentano il linguaggio di tutte le particelle
elementari.
La teoria della matrice
S,
che ha radici in alcuni lavori di Heisenberg degli
anni '40, si proponeva di reimpostare la sica teorica delle alte energie stabilendo una stretta connessione tra quantità sicamente osservabili (in particolare le
ampiezze di diusione di stati sici di sistemi interagenti) e proprietà analitiche
della matrice di diusione.
Tale teoria appariva come una possibilità, seppur
fenomenologica, di interpretare l'enorme varietà di particelle e di fenomeni nucleari che si osservavano in esperimenti con acceleratori sempre più potenti, che
andavano ad investigare energie sempre più elevate. Non esisteva ancora, infatti,
una teoria di campo per le interazioni forti.
Secondo il programma della matrice
S
le risonanze nucleari, le soglie ener-
getiche di processi anelastici, gli stati legati del sistema o ancora le costanti di
accoppiamento di interazioni forti sono riconducibili allo studio dei poli della matrice
S,
dei suoi punti di diramazione o dei residui nei poli. I punti fondamentali
della teoria sono i seguenti.
a ) I processi di diusione elastica danno orgine ad un taglio sull'asse reale
positivo dell'energia.
b ) Ad ogni processo inelastico corrisponde un nuovo taglio, sovrapposto a quello
elastico; la soglia del taglio corrisponde alla soglia energetica per il processo
inelastico.
c ) Stati legati del sistema danno origine a poli semplici per energie reali negative, corrispondenti alle energie di legame.
d ) Le particelle instabili sono in corrispondenza uno ad uno con i poli della
matrice
S
prossimi all'asse reale su fogli di Riemann non sici della variabile
energia, purché la matrice
S
possa essere continuata analiticamente in dette
regioni.
La posizione di un polo nel piano complesso dell'energia viene interpretata come
presenza di una particella di massa pari alla parte reale dell'energia del polo. Se il
polo è reale la particella è stabile a tale energia; viceversa, la particella è instabile
e le informazioni sulla durata della risonanza sono contenute proprio nella parte
immaginaria dell'energia del polo.
Capitolo 3.
43
Un approccio non perturbativo
Nella teoria della matrice
S
tutto è riconducibile all'analisi della matrice di
scattering di un sistema complesso a molte particelle, dove le particelle sono viste
come strutture dinamiche. La creazione e successiva distruzione di una particella
può essere interpretata in termini di formazione e decadimento di una risonanza
e i picchi nella sezione d'urto di un determinato processo diventano l'indicatore
di produzione di particelle. In particolare, la larghezza di ciascun picco è legata
alla vita media della particella prodotta, mentre l'altezza alla sua probabilità di
produzione.
L'interazione stessa, essendo descritta come scambio di particelle con vita media nita, può essere letta in termini di risonanze.
Ciascuna risonanza oltre ad
essere mediatrice dell'interazione può allo stesso tempo decadere in nuove particelle, che possono a loro volta interagire e così via.
Il tempo di operatività di
un'interazione corrisponde quindi al tempo di permanenza del sistema in un certo
stato metastabile, legato a sua volta al numero e tipo di particelle che vengono
scambiate durante l'interazione.
Nella teoria della matrice
S
la dinamica non è
quindi specicata dal modello di un'interazione nello spazio-tempo, ma è anch'essa
determinata dalla struttura di singolarità dell'ampiezza di scattering. Le particelle
non sono costituite di particelle più elementari di altre, ma al contrario, date da
tutti gli insiemi di particelle che possono interagire. In altre parole una particella
è vista come un evento e non come un oggetto. In particolare ogni particella può
avere un triplo ruolo: essere struttura costituente, costituita o anche una particella
di scambio, cioè un'interazione.
Secondo i teorici della matrice S la matrice di diusione non doveva essere interpretata come un ente derivato dalla teoria quantistica dei campi, ma essere una
struttura formale totalmente autonoma e autoconsistente, soggetta ad un principio, detto di massima analiticità, secondo il quale le uniche singolarità presenti
nella matrice
S
dovevano essere quelle imposte dall'unitarietà e da altre simme-
trie. Lo studio di determinate ampiezze di diusione e delle loro singolarità doveva
permettere la descrizione di nuove ampiezze di diusione (come somme e integrali
deniti su queste singolarità); imponendo poi a queste ultime le proprietà di unitarietà e invarianza, sarebbe stato possibile descrivere nuovi processi di reazione,
che avrebbero coinvolto altre particelle o risonanze, in un processo iterativo che
avrebbe dovuto intepretare le caratteristiche di ogni possibile adrone e di ogni sua
interazione.
In questo schema autoconsistente tutte le costanti sarebbero state
trovate nell'ambito della teoria stessa, e non imposte arbitrariamente e mediante
esperimenti, come accadeva nella teoria dei campi.
Il programma ambizioso della matrice
S
non fu mai realizzato nei suoi aspetti
più radicali. Esso incontrò una serie di dicoltà teoriche e matematiche cosicché
si limitò a caratterizzazioni generali, senza che fosse possibile sviluppare modelli
espliciti di interesse. Tra la ne degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta, si
trovò a dover cedere il passo di fronte ai successi delle teorie di gauge, del modello
a quark e quindi della cromodinamica quantistica.
Nonostante ciò esso costituì
per diversi anni un paradigma di riferimento per una larga parte della comunità
scientica.
Capitolo 4
Formazione di stati metastabili:
un modello esplicito
In questo capitolo verrà presentato un modello completamente risolubile di sistema quantistico a più componenti in cui è possibile investigare esplicitamente la
formazione di uno stato metastabile e le sue proprietà di decadimento. In particolare sarà denito ed analizzato un sistema costituito da un sistema quantistico
localizzato con due livelli (un atomo-modello o uno spin) che interagisce a corto
range con una particella quantistica non relativistica e con spin nullo.
Tale sistema può essere considerato un modello semplicato di atomo in interazione con una particella quantistica. Infatti, se le dimensioni dell'atomo sono piccole rispetto alla lunghezza d'onda di De Bröglie associata alla particella, quest'ultima non distingue i dettagli della struttura atomica e si comporta come se interagisse con un oggetto puntiforme con diversi gradi di libertà interni, che corrispondono ai diversi livelli atomici.
Il modello discusso se da una parte si inquadra nel lone di analisi non perturbativa presentato nel capitolo 3, dall'altra ha il vantaggio di essere un modello di
interazione tra sottosistemi quantistici. L'approccio seguito è di tipo costruttivo
(o bottom-up ) nel senso della denizione di un modello a molte particelle che
sia risolubile, e quindi necessariamente semplicato, ma a dispetto di ciò mostri
caratteristiche tipiche di sistemi più elaborati e realistici.
E' possibile vericare che ogni caratterizzazione di risonanza può essere ricondotta al modello presentato.
Inoltre l'estensione dei risultati ad un generico in-
sieme di sistemi quantistici a molti livelli è banale. Con un'opportuna scelta delle
posizioni, dei livelli energetici e dei parametri di interazione è possibile denire
Hamiltoniani con una struttura spettrale molto ricca. In particolare l'Hamiltoniano nale può esibire qualsiasi numero di stati metastabili o stati legati isolati,
così come un qualunque numero di soglie di spettro continuo.
Come visto nel capitolo 3 la particolare situazione dinamica che porta alla
comparsa di uno stato metastabile è la perturbazione dell'Hamiltoniano di un
sistema che sia formato da due sistemi non interagenti e che presenti autovalori
44
Capitolo 4.
45
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
immersi nello spettro continuo. Per semplicità nel modello saranno investigati solo
stati metastabili ottenuti come perturbazione di autovalori che non si trovano alla
soglia dello spettro continuo.
L'analisi presentata nel capitolo seguirà i seguenti passi.
a ) Denizione di un Hamiltoniano libero (in un senso che sarà specicato)
Hα
che presenta un livello fondamentale di energia ed un livello eccitato immerso
nella parte continua dello spettro.
b ) Denizione di un Hamiltoniano
ta di
Hα
Hε ottenuto come perturbazione autoaggiun-
nel senso del risolvente.
c ) Analisi dello spostamento dell'autovalore immerso nel continuo che acquista
una parte immaginaria negativa, diventando una risonanza; l'energia dello
stato fondamentale resta reale ed è spostata solo leggermente dalla perturbazione.
d ) Analisi del comportamento temporale dello stato metastabile.
Lo strumento tecnico utilizzato per denire l'interazione nel modello è la teoria
degli Hamiltoniani con interazione puntuale, di cui di seguito sono richiamati gli
elementi essenziali. Per maggiori dettagli su tale teoria si rimanda all'appendice
B e alle referenze in essa contenute.
4.1 Interazioni puntuali: una breve introduzione
Le interazioni puntuali (note anche come interazioni delta o interazioni di contatto
o pseudopotenziali di Fermi), introdotte storicamente agli albori della meccanica
quantistica, hanno il vantaggio di far parte di quei modelli esplicitamente risolubili
in meccanica quantistica
1
che, a dispetto della loro semplicità, riescono a ripro-
durre comportamenti universali osservati in sistemi complessi. Ciò fa sì che tali
interazioni risultino particolarmente utili nelle applicazioni, in quanto si possono
considerare come un primo passo verso analisi più dettagliate di un dato fenomeno.
Le interazioni puntuali corrispondono formalmente a potenziali di interazione
con supporto su un insieme discreto (nito o innito) di punti.
L'operatore di
d
interazione puntuale è una particolare perturbazione del laplaciano libero in R
(d
= 1, 2, 3)
su un insieme di musura nulla e formalmente può essere scritto come:
H = −∆ +
n
X
αj δyj
(4.1)
j=1
1 Con tale espressione si indicano quei modelli per i quali si hanno forme analitiche esplicite
per autovalori ed autofunzioni e per il propagatore dell'operatore hamiltoniano che genera la
dinamica del sistema descritto dal modello. Tutte le quantità siche rilevanti relative al problema
specico possono pertanto essere calcolate esplicitamente.
Capitolo 4.
dove
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
46
αj ∈ R e yj ∈ Rd indicano rispettivamente l'intensità e la posizione del j-esimo
punto di interazione.
I parametri necessari a descrivere un'interazione puntuale
costituiscono quindi un insieme minimale: per caratterizzare un'interazione concentrata in alcuni punti è suciente ssare la posizione dei centri di interazione
(parametri geometrici) e l'intensità in ciascun punto (parametri dinamici).
Le ragioni storiche che hanno portato all'introduzione di interazioni puntuali
sono legate alla descrizione di particelle quantistiche a bassa energia in potenziali
di interazione a corto range; data l'elevata lunghezza d'onda di De Broglie determinata dal piccolo valore dell'energia, le particelle non riescono a distinguere
la struttura spaziale del potenziale e si comportano come se interagissero con un
oggetto puntiforme.
Nell'articolo di Kronig e Penney del 1931 [25], in cui le interazioni puntuali
fanno la loro prima comparsa, interazioni delta in una dimensione vengono utilizzate per descrivere l'evoluzione dello stato di un elettrone all'interno di un reticolo
cristallino monodimensionale con atomi ssi. Gli atomi del reticolo sono descritti
con
N →∞
centri diusori caratterizzati dai medesimi parametri dinamici e da
parametri geometrici periodici. Tale modello ancor oggi è uno dei pochi problemi
completamente risolubili con un'interazione che presenti una periodicità spaziale.
Risale a pochi anni dopo, al 1935, lo studio di operatori hamiltoniani con
interazioni a range nullo in tre dimensioni. In particolare lo studio portato avanti
da Bethe e Peierls [7] di sistemi a due corpi interagenti con un potenziale attrattivo
a range nullo aveva come obiettivo la descrizione del deutone: l'interazione forte
tra protone e neutrone nel nucleo avviene infatti in un range praticamente nullo
se confrontato con le dimensioni atomiche. Questo modello rappresenta la prima
applicazione delle interazioni puntuali in sica nucleare e permise di risolvere il
problema della fotodisintegrazione del deutone.
Un'ulteriore motivazione per l'introduzione di un Hamiltoniano con interazione
puntuale fu data da Fermi [17], che nel 1936 l'utilizzò nell'analisi della diusione di
neutroni a bassa energia su un bersaglio di materia condensata. Se i neutroni sono
sucientemente lenti la loro lunghezza d'onda di De Broglie è molto più grande
del range della forza nucleare che agisce tra ciascun neutrone e ogni nucleo del
bersaglio; d'altra parte tale forza è estremamente intensa. E' quindi ragionevole
modellizzare l'interazione tra neutrone e nucleo con un'interazione di contatto
localizzata nella posizione del nucleo stesso.
Negli anni '60 le perturbazioni su insiemi di misura nulla furono poste su solide
basi matematiche, grazie al lavoro di Berezin e Faddeev [6].
Successivamente
l'impiego di Hamiltoniani con interazione puntuale, superando i conni della sica
atomica e molecolare, si è esteso a molti altri campi, quali lo studio dei sistemi
caotici quantistici, la teoria dei sistemi a molti corpi e la modellizzazione di alcuni fenomeni chimici e biologici. Non ultime sono le applicazioni di interazioni
puntuali in nanoelettronica, teoria delle reti neurali, acustica ed idrodinamica,
a dimostrazione della grande versatilità di questo modello. Usando funzioni che
descrivono un cambiamento nel tempo dei parametri geometrici e/o dinamici del-
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
47
l'interazione è possibile inoltre studiare casi in cui i punti in cui è centrato il
potenziale delta si muovono o cambiano in intensità.
Il dominio di applicabilità delle interazioni puntuali resta tuttavia limitato
all'ambito di una sola particella quantistica. Le dicoltà di estendere le interazioni
a range nullo a sistemi costituiti da più di due particelle, evidenziate già nel 1962
[27], non sono state ancora superate né è stato trovato un teorema di impossibilità.
Dal punto di vista matematico il primo passo per la costruzione di interazioni
puntuali consiste nel dare una denizione dell'operatore formale (4.1) come ope2
d
ratore autoaggiunto in L (R ), requisito fondamentale in quanto garantisce l'unitarietà dell'evoluzione. Infatti la (4.1) ha senso solo formalmente e non denisce
un potenziale, non essendo δyj una funzione. Lo si vede facilmente dal fatto che
| Hψ | 2 contiene termini δy2j ψ 2 , in cui appaiono delle δy2j che non sono denite neppure come distribuzioni. Hψ non può essere quindi inteso in alcun modo come
2
funzione di L (R).
La denizione dell'operatore (4.1) come operatore autoaggiunto su
L2 (Rd )
deve corrispondere all'idea intuitiva di interazione puntuale. E' ragionevole allora
richiedere che l'operatore
H
soddis:
H u = −∆ u
per ogni
u
(4.2)
tale che
∃ I(yi ) : u(x) = 0 ∀x ∈ I(yi ),
i = 1, . . . , n .
Stiamo cioè richiedendo che la dinamica generata da
H
(4.3)
sia l'evoluzione libera per
particelle con funzioni d'onda nulle nell'intorno dei punti in cui ha luogo l'interazione. Tali particelle infatti non avvertono la presenza del potenziale. Seguendo
questa idea si considera la seguente restrizione dell'operatore Hamiltoniano:
Ĥ = −∆,
D(Ĥ) = C0∞ ( Rd \ {y1 , . . . , yn } ) .
E' facile vedere che l'operatore (4.4) è simmetrico ma non autoaggiunto in
Infatti, essendo
Ĥ
(4.4)
L2 (Rd ).
ottenuto come restrizione di un operatore autoaggiunto, il suo
dominio sarà certamente più piccolo del dominio del suo aggiunto. Nel nostro
†
specico caso il dominio di Ĥ contiene le funzioni f tali che il prodotto scalare in
2
d
†
L (R ) F (u) = (f, Ĥ u) sia un funzionale limitato ∀u ∈ D(Ĥ). Poiché le funzioni
u ∈ D(Ĥ) sono nulle negli intorni degli yi è chiaro che le f
potranno non solo essere
diverse da zero in tali intorni, ma anche divergere nei punti yi , purché restino in
L2 (Rd ). Il dominio di Ĥ † risulta così essere più grande di quello di Ĥ .
L'operatore (4.4) ammette almeno un'estensione autoaggiunta ovvero l'Hamiltoniano di particella libera
H0 = −∆,
D(H0 ) = H 2 (Rd ),
(4.5)
2
2
d
si è indicato lo spazio di Sobolev delle funzioni f ∈ L (R )
2
d
con prima e seconda derivata generalizzata in L (R ) o equivalentemente tali che
R
2 2 ˆ
2
(1 + |k| ) | f (k) | dk < ∞, dove fˆ(k) è la trasformata di Fourier di f .
dove con
H 2 (Rd )
2 Per la denizione di spazio di Sobolev si veda la nota a pag. 86.
Capitolo 4.
48
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Supponiamo che esistano estensioni autoaggiunte di (4.4) non banali.
Tali
operatori daranno l'evoluzione libera su funzioni che sono a supporto compatto
fuori dai centri di interazione
{y1 , . . . , yn }
e un'evoluzione diversa da quella lib-
era su funzioni d'onda che vedono l'interazione.
Questa osservazione porta in
maniera naturale alla seguente denizione.
Denizione 1
Si denisce Hamiltoniano con interazioni puntuali posizionate nei
d
punti y1 , . . . , yn ∈ R ogni estensione autoaggiunta non banale del'operatore (4.4).
La totale classicazione delle interazioni delta consiste quindi nella costruzione
di tutte le estensioni autoaggiunte di
Ĥ .
La costruzione degli Hamiltoniani di
interazione puntuale in una e tre dimensioni è riportata in appendice B.
4.2 Interazioni puntuali dipendenti dallo spin
In questo paragrafo sarà denita la classe di Hamiltoniani con interazione puntuale
che genera la dinamica di una particella quantistica non relativistica che interagisce
a corto range con un sottosistema localizzato a due livelli (bit quantistico o spin).
Deniamo innanzitutto lo spazio degli stati per un sistema quantistico di questo
tipo. Poiché il sottosistema a due livelli è descritto come uno spin
1/2
posizionato
in una determinata regione dello spazio, il suo stato è rappresentato da un vettore
2
unitario appartenente a C . Senza perdere in generalità possiamo assumere che lo
(1)
spin sia posizionato nell'origine. Indichiamo con σ
la prima matrice di Pauli e
(1)
con χσ gli autovettori generalizzati di σ
:
σ (1) χσ = σ χσ
σ = ±1;
k χσ k C2 = 1.
(4.6)
Con questa notazione ogni stato dello spin può essere scritto come una sovrappo2
2
sizione lineare a χ+ + b χ− , con a, b ∈ C e |a| + |b| = 1. Lo spazio di Hilbert per
un sistema costituito da una particella in dimensioni
H := L2 (Rd ) ⊗ C2
Nel seguito indicheremo i vettori in
H
d
e uno spin
1/2
è allora
d = 1, 2, 3.
con lettere greche maiuscole. Ogni
(4.7)
Ψ∈H
ammette una decomposizione del seguente tipo:
Ψ =
X
ψσ ⊗ χσ ,
(4.8)
σ
σ = ±1 mentre ψσ ∈ L2 (Rd ) ∀ σ è la
2
d'onda dello stato Ψ. La scelta degli χσ come base di C è arbitraria;
(1)
scelto come base proprio quella degli autovettori di σ
in accordo con
dove la somma corre sui possibili valori di
funzione
abbiamo
quella che sarà la nostra scelta dell'Hamiltoniano libero. Nella rappresentazione
(4.8) il prodotto scalare in
H
è denito in modo naturale come:
hΨ, Φi =
X
σ
(ψσ , φσ )L2
Ψ, Φ ∈ H .
(4.9)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
H:
Si consideri il seguente operatore autoaggiunto in
D(H) = H 2 (Rd ) ⊗ C2
d = 1, 2, 3
H := −∆ ⊗ IC2 + IL2 ⊗ β σ (1)
L'operatore
49
β ∈ R+ .
(4.10)
H
descrive l'evoluzione libera di una particella quantistica e uno spin
(1)
localizzato la cui dinamica è generata dall'Hamiltoniano β σ
. Nella (4.10) sono
} = 2m = 1,
state scelte unità di misura tali che
m
indica la massa della particella. La costante
dove
β
}
è la costante di Planck ed
ha le dimensioni di un'energia
(che nelle nostre unità corrisponde al reciproco del quadrato di una lunghezza) e
misura la metà della dierenza di energia tra gli stati di spin
di
H
χ+
e
χ− .
L'azione
sui vettori del suo dominio può essere scritta come:
HΨ =
X
−∆ + β σ ψσ ⊗ χσ
Ψ ∈ D(H).
(4.11)
σ
R(z) := (H − z)−1 agisce su H
X
−∆ − z + β σ ψσ ⊗ χσ
R(z) Ψ =
Il suo risolvente
come segue:
Ψ ∈ H; z ∈ ρ(H)
(4.12)
σ
ω
0
indica l'insieme risolvente di H . Indichiamo con G (x − x ) il nucleo
−1
integrale dell'operatore (−∆ − ω) . La sua espressione è ben nota ed è:
dove
ρ(H)
 ei√ω|x|
i 2√ω ,





(1) √
i
H0 ( ω|x|)
Gω (x) :=
4




 ei√ω|x|
,
2π|x|
dove
ω ∈ C\R+
√
e Im(
ω) > 0.
Nella (4.13)
d=1
d=2
(4.13)
d=3
(1)
H0 (η)
è la zero-esima funzione
di Bessel del terzo tipo (nota anche come funzione di Hankel del primo tipo).
Tale funzione tende a zero quando
|η| → ∞
e Im η
> 0
e ha una singolarità
logaritmica in zero:
(1)
H0 (η) =
dove
γ
η
2iγ
2i
ln + 1 +
+ O ln(η) η 2 ,
π
2
π
(4.14)
è la costante di Eulero.
Note le proprietà spettrali dell'operatore
vedere che lo spettro di
H
−∆,
il cui dominio è
H 2 (R)d ,
è facile
è assolutamente continuo e in particolare:
σpp (H) = ∅;
σess (H) = σac (H) = [−β, ∞)
(4.15)
dove si è adottata la classicazione dello spettro data in [28] e riportata in appendice A, pag. 84. La soluzione dell'equazione di Schrödinger
i
d t
Ψ = HΨt
dt
(4.16)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
50
con condizione iniziale
Ψt=0 = Ψ0 =
X
ψσ0 ⊗ χσ
Ψ0 ∈ H
(4.17)
σ
−iHt 0
è scritta formalmente come e
Ψ . Ricordando il legame tra risolvente e ope−iHt
ratore di evoluzione e
e usando la seguente proprietà della trasformata di
Laplace
L
L−1 L(f ) (· + s) (τ ) = eisτ f (τ )
si ottiene il gruppo unitario
e−iHt
(4.18)
(vedi ad es. [28, Th. VIII.7])
Ψt = e−iHt Ψ0 =
X
U t ψσ0 ⊗ e−iβσt χσ
(4.19)
σ
dove
in
d
U t : L2 (Rd ) → L2 (Rd ) è il generatore della dinamica libera per una particella
dimensioni
t
U f (x) =
L'Hamiltoniano
1
(4πit)d/2
Z
ei
|x−x0 |2
4t
f (x0 ) dx0 .
(4.20)
Rd
H come atteso non dà origine a nessuna interazione tra la particella
e lo spin.
Per introdurre l'interazione tra particella e spin, nello spirito della denizione
delle interazioni puntuali, ricerchiamo gli Hamiltoniani la cui azione concida con
quella di
H
su funzioni il cui supporto non contiene il punto in cui è posizionato
lo spin (nel nostro caso l'origine), ma è diversa dall'evoluzione libera su funzioni
che vedono l'interazione. Sia
S
l'operatore lineare in
H
il cui dominio e la cui
azione sono deniti come segue:
D(S) := C0∞ (Rd \ 0) ⊗ C2
d = 1, 2, 3
S := −∆ ⊗ IC2 + IL2 ⊗ β σ (1)
β ∈ R+
(4.21)
C0∞ (Rd \ 0) indica lo spazio delle funzioni innitamente dierenziabili in L2 (Rd )
con supporto compatto non contenente l'origine. S è un operatore simmetrico densamente denito in H ma non autoaggiunto, in quanto è ottenuto restringendo il
dominio dell'operatore autoaggiunto H . Utilizzando la teoria delle estensioni audove
toaggiunte di operatori simmetrici è possibile però derivare l'intera famiglia di
estensioni autoaggiunte di
S,
ovvero la famiglia di Hamiltoniani che descrivono la
dinamica di una particella quantistica che interagisce mediante un'interazione a
†
range nullo con uno spin localizzato. Indichiamo con S l'aggiunto di S e con
Ki = ker[S † − z]
per Imz
6= 0 .
(4.22)
La teoria di Von Neumann delle estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici
(si veda ad es. [2, 29]) aerma che l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte di
S è parametrizzata dalla famiglia di applicazioni unitarie tra gli spazi
Kz
e
K−z .
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Si deniscono indici di difetto
n± = dim[K±z ].
n±
di
S
51
le dimensioni dei due spazi, in particolare
Per valutare gli indici
n±
è necessario trovare tutte le soluzioni
indipendenti dell'equazione:
( S † − z ) Φz = 0
Decomponendo
Φz
z ∈ C\R;
Φz ∈ D(S † ) .
(4.23)
secondo la (4.8)
Φz =
X
φzσ ⊗ χσ
(4.24)
σ
la (4.23) è equivalente a
φzσ , (−∆ − z̄ + βσ) ψ
L2
φzσ ∈ L2 (Rd ); z ∈ C\R,
=0
∀ ψ ∈ C0∞ (Rd \ 0 )
(4.25)
H.
La richiesta che
avendo utilizzato la denizione (4.9) del prodotto scalare in
z∈
/R
garantisce che il risolvente esista limitato. Deniamo:
Φzσ := Gz−βσ ⊗ χσ
dove
Gw (x)
Kz .
d = 1, 2, 3, Φz+ e Φz− sono soluzioni
z
z
dimensioni due e tre {Φ+ , Φ− } è una base
In una dimensione esistono invece altre due soluzioni indipendenti della
(4.23), ovvero
dove
(4.26)
è stato denito nella (4.13). Per
indipendenti dell'equazione (4.23). In
per
z ∈ C\R.
(Gω )0
0
Φz1,σ := Gz−βσ ⊗ χσ ,
indica la derivata prima di
0
eiω|x|
Gω (x) = −sgn(x)
2
Gω
σ = ±1
rispetto ad
ω ∈ C\R;
Im(
x,
(4.27)
data da
√
ω) > 0 d = 1 .
In questo caso una base nello spazio di difetto è data da
(4.28)
{Φz+ , Φz− , Φz1,+ , Φz1,− }.
In
conclusione gli indici di difetto sono:
(n+ , n− ) = (4, 4)
per
d=1
(n+ , n− ) = (2, 2)
per
d = 2, 3
(4.29)
In una dimensione esiste una famiglia a 16 parametri (reali) di estensioni autoaggiunte di
d≥4
S,
mentre in due e tre dimensioni il numero di parametri liberi è 4. Per
si trova
(n+ , n− ) = (0, 0)
cioè l'operatore
autoaggiunte diverse dall'Hamiltoniano libero
S
non ammette altre estensioni
H.
Nella denizione delle famiglie di estensioni autoaggiunte faremo uso di matrici
2×2
i cui elementi saranno etichettati secondo la seguente notazione:
M :=
M(+,+) M(+,−)
M(−,+) M(−,−)
.
(4.30)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Date due matrici
M1
ed
M2
e seconda colonna data dalle colonne di
colonne di
M2 .
Teorema 2
(M1 |M2 )
indichiamo con
M1
A
e
B
due matrici
2×4
con prima
e terza e quarta colonna data dalle
E' dimostrato il seguente teorema.
Siano
la matrice
52
2×2
3
AB ∗ = BA∗
tali che
e
A|B
abbia
rango massimo. Deniamo l'operatore
n
X
D(H AB ) := Ψ =
ψσ ⊗ χσ ∈ H
| Ψ = Ψz +
X
σ
qσ Φzσ ;
Ψz ∈ D(H);
σ
X
z ∈ ρ(H AB );
Aσ,σ0 qσ0 =
X
σ0
qσ = ψ 0 (0− ) − ψ 0 (0+ )
fσ = ψσ (0)
h
fσ = lim ψσ (x) +
|x|→0
h
fσ = lim ψσ (x) −
qσ
2π
ln(|x|)
i
i
2π
ψσ (x)
|x|→0 ln(|x|)
qσ
4π|x|
|x|→0
X
H AB Ψ = HΨz + z
Bσ,σ0 fσ0 ;
σ0
qσ = − lim
d = 2;
qσ = lim 4π|x|ψσ (x)
d = 3.
|x|→0
qσ Φzσ
d = 1;
Ψ ∈ D(H AB ).
(4.31)
σ
H AB
RAB = (H AB − z)−1 è dato da:
(ΓAB (z))−1 σ,σ0 Bσ0 ,σ00 hΦz̄σ00 , · i Φzσ
z ∈ ρ(H AB ).
è autoaggiunto e il suo risolvente
X
RAB (z) = R(z) +
σ,σ 0 ,σ 00
(4.32)
dove
AB
Γ
(z)
2×2
è la matrice
ΓAB (z) = B Γ(z) + A
(4.33)
con
Γ(z) =
Γ(z) =
i
− 2√z−β
0
0
i
− 2√z+β
√
ln( z−β/2) + γ−iπ/2
2π
0
√
Γ(z) =
z−β
4πi
0
dove con
γ
0
!
d=1
0
√
ln( z+β/2) + γ−iπ/2
2π
!
d=2
!
√
z+β
4πi
d = 3.
(4.34)
si è indicata la costante di Eulero.
3 Si veda [11] per le dimostrazioni in una e tre dimensioni e [10] per la dimostrazione in due
dimensioni.
o
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
53
d = 2, 3 il teorema 2 dà tutte le possibili estensioni autoaggiunte di S .
AB
Per d = 1, invece, gli Hamiltoniani H
includono solo quelle estensioni di S
AB
tali che i vettori in D(H
) abbiano funzione d'onda continua nell'origine. Per
ottenere l'intera famiglia di estensioni autoaggiunte di S , e così includere anche
Per
gli Hamiltoniani deniti su vettori con funzione d'onda discontinua, bisognerebbe
considerare l'intera base dello spazio di difetto di
S.
Per l'analisi del caso generale
in una dimensione si rimanda a [11].
E' facile vedere che per Im z
>0
l'operatore
RAB (z) − R(z)
è di classe traccia,
quindi compatto. Questo implica che (si veda ad es. [8] o [28, pag. 106])
σess (H AB ) = σess (H) = [−β, ∞)
mentre lo spettro puntuale di
H AB , σp (H AB )
(4.35)
è dato dalle soluzioni reali di
det(ΓAB (z)) = 0.
(4.36)
Estensioni autoaggiunte diverse dell'Hamiltoniano libero corrispondono a diversi
modelli sici di interazione tra particella e spin. E' quindi possibile caratterizzare
particolari sottofamiglie di estensioni a seconda della dinamica che esse generano.
Nel paragrafo successivo sarà considerata una sottofamiglia di Hamiltoniani
che generano una dinamica in cui lo spin non è inuenzato dall'interazione con
la particella, mentre quest'ultima risente di un'interazione puntuale di intensità
dipendente dal valore della componente di spin dello spin localizzato.
4.3 Hamiltoniano imperturbato
All'interno della famiglia di Hamiltoniani con interazione puntuale descritta nella
precedente sezione, scegliamo un Hamiltoniano imperturbato
Ĥ0
che esibisca un
autovalore immerso nello spettro continuo. Una maniera immediata per ottenere
ciò consiste nel considerare un Hamiltoniano
Ĥ0
che generi la dinamica di una
particella che evolve in un potenziale a corto range in due canali indipendenti
caratterizzati da una dierente energia dello spin:
Ĥ0 = (hα + β) ⊗ Π+ + (hα − β) ⊗ Π− ,
(4.37)
hα è un Hamiltoniano con un'interazione puntuale di intensità α nell'origine
4
e Π± sono rispettivamente i proiettori su χ+ e χ− , Π± = ( χ± , · )C2 χ±
. Lo spettro
totale di Ĥ0 è l'unione delle due componenti ottenute traslando rispettivamente di
+β o −β lo spettro di hα . Scegliendo opportunamente i parametri α e β si ottiene
dove
lo spettro richiesto, come mostrato in g. 4.1 e 4.2.
4 Per la denizione di Hamiltoniano di interazione puntuale in tre dimensioni con un unico
centro diusore si veda pag. 89, appendice B.
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Figura 4.2:
Figura
zione
4.1:
puntuale
imperturbato
Hamiltoniani di interadi
rispettivamente di
intensità
−β
L'Hamiltoniano
e
α
Spettro dell'hamiltoniano
Ĥ0
nel caso in cui l'auto-
valore più alto è immerso nello spettro
traslati
+β .
Ĥ0
54
continuo.
si ottiene dalla famiglia di operatori autoaggiunti denita
dal teorema 2 scegliendo
A = I2
e
B = −α I2
per
d=1
A = α I2
e
B = I2
per
d = 2, 3
(4.38)
−∞ < α < ∞, ovvero denendo l'operatore Ĥ0 come segue:
n
X
X
ψσz ⊗ χσ ∈ D(H); z ∈ ρ(Ĥ0 )
qσ Φzσ ; Ψz =
D(Ĥ0 ) := Ψ ∈ H | Ψ = Ψz +
con
σ
σ
qσ = −α fσ , d = 1;
Ĥ0 Ψ := H Ψz + z
α qσ = fσ , d = 2, 3
X
qσ Φzσ
o
Ψ ∈ D(Ĥ0 ).
(4.39)
σ
L'autoaggiuntezza di
Ĥ0
viene direttamente dal teorema 2; quest'ultimo dà anche
Ĥ0 :
(Γ0 (z))−1 σ,σ0 hΦz̄σ0 , ·i Φzσ
la formula esplicita del risolvente di
R̂0 (z) = R(z) +
X
z ∈ C\R
(4.40)
σ,σ 0
dove
Γ0 (z) = B −1 (BΓ(z) + A),
i
− 2√z−β
−
Γ0 (z) =

ovvero
1
α
i
− 2√z+β
−
0
√
ln(
Γ0 = 
µ (z−β)) − iπ/2
2π
√
ln(
0
Γ0 (z) =
0
con
µ = e2(γ+2πα) /4.
+α
µ (z+β)) − iπ/2
2π


d=2
!
0
d=3
√
z+β
4πi
d=1
1
α
0
√
z−β
4πi
!
0
+α
(4.41)
Capitolo 4.
Essendo
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Γ0 (z)
Ĥ0
diagonale, le condizioni al bordo per
variabili di spin. Ciò implica che la componente
sulla funzione d'onda
χ+ (χ− )
55
sono diagonali nella
dello spin inuisce solo
ψ+ (ψ− ).
Pertanto, dato uno stato iniziale in cui la funzione
σ (1) , Ψ0 = ψ 0 ⊗ χσ , l'evoluzione generata da
Ĥ0
t
t
t
t
lascia invariata la parte di spin; si ha cioè Ψ = ψ ⊗ χσ con ψ (x) = Uα ψ0 (x) e
Uαt gruppo unitario fortemente continuo in L2 (Rd ).
d'onda di spin è un autostato di
Si noti che gli elementi di matrice di
radice di un'energia per
d = 1,
hanno la dimensione dell'inverso della
d=3
la dimensione della radice di un'energia per
d = 2.
Ψ ∈ D(Ĥ0 )
mentre sono adimensionali per
d'onda di un generico stato
Γ
Si noti anche che per
d = 1
la funzione
è continua ma ha derivata discontinua, in
particolare valgono le seguenti condizioni al bordo:
ψσ0 (0+ ) − ψσ0 (0− ) ≡ α ψσ (0).
ψσ (0+ ) = ψσ (0− ) ≡ ψσ (0),
(4.42)
Seguendo una pratica comune in letteratura (si veda pag. 95 appendice B) indichiamo gli Hamiltoniani
Ĥ0
come interazioni
δ .
Utilizzando la (4.35) e la (4.36) si trova la caratterizzazione dello spettro di
Teorema 3
Per
d = 1, 2, 3
lo spettro essenziale di
Ĥ0
Ĥ0 .
è
σess (Ĥ0 ) = [−β, +∞).
(4.43)
Lo spettro puntuale coincide con l'insieme delle radici reali dell'equazione
det Γ0 (z) = 0.
d=1.
Se
0 ≤ α < ∞
lo spettro puntuale è vuoto.
(4.44)
Se
−∞ < α < 0
lo spettro
puntuale consiste di due autovalori semplici dati da
E0,− = −β −
Per ogni
−∞ < α < 0
α2
;
4
E0,+ = β −
l'autovalore più basso,
E0,−
α2
.
4
si trova al di sotto della
soglia dello spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore a
seconda del valore di
-
α
possono vericarsi due casi:
√
α < −2 2β : E0,+
si trova al di sotto della soglia dello spettro es-
senziale; in questo caso lo spettro puntuale è solo discreto e lo spettro
essenziale è assolutamente continuo.
-
d=2.
Se
√
−2 2β ≤ α < 0: l'autovalore più alto è immerso nello spettro continuo,
ovvero −β ≤ E0,+ < β .
0<µ<∞
lo spettro puntuale consiste di due autovalori semplici dati
da
E0,− = −β −
1
;
µ
E0,+ = β −
1
.
µ
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
L'autovalore più basso,
E0,−
56
si trova sempre al di sotto della soglia dello
spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore, a seconda del
µ
valore di
si ha:
0 < 2βµ < 1:
-
il secondo autovalore,
E0,+ ,
si trova anch'esso al di sotto
della soglia dello spettro essenziale; in questo caso lo spettro puntuale è
solo discreto e lo spettro essenziale è assolutamente continuo.
1 < 2βµ < ∞: l'autovalore
ovvero −β ≤ E0,+ < β .
-
d=3.
Se Se
0≤α<∞
più alto è immerso nello spettro continuo,
lo spettro puntuale è vuoto. Se
−∞ < α < 0
lo spettro
puntuale consiste di due autovalori semplici dati da
E0,− = −β − (4πα)2 ;
L'autovalore più basso,
E0,−
E0,+ = β − (4πα)2 .
si trova sempre al di sotto della soglia dello
spettro essenziale. Per quanto riguarda il secondo autovalore a seconda del
α
valore di
possono vericarsi due casi:
√
∞ < α < −2 2β/(4π): E0,+
-
si trova come
E0,−
al di sotto della soglia
dello spettro essenziale; in questo caso lo spettro puntuale è solo discreto
e lo spettro essenziale è assolutamente continuo.
√
−2 2β/(4π) ≤ α < 0: l'autovalore
continuo, ovvero −β ≤ E0,+ < β .
-
più alto è immerso nello spettro
4.4 Hamiltoniano perturbato e risonanze
L'Hamiltoniano
Ĥ0
denito nella sezione precedente genera un'interazione diag-
onale nelle variabili di spin, nel senso che la particella risente di un potenziale
dipendente dallo spin ma quest'ultimo non viene inuenzato dall'interazione. All'interno della stessa famiglia di estensioni autoaggiunte di
tratto
Ĥ0
S
da cui abbiamo es-
è possibile estrarre una sottofamiglia di perturbazioni di
da un parametro perturbativo
ε,
Ĥ0 , individuate
che genera una dinamica che accoppia i due stati
di spin.
Denizione 2
Sia
−∞ < α < ∞
e
0 < ε |α|.
L'Hamiltoniano
Ĥε
è denito
come segue:
D(Ĥε ) :=
n
Ψ ∈ H | Ψ = Ψz +
X
qσ Φzσ ; Ψz =
X
σ
σ
q± = −α f± − ε f±
d = 1;
α q± + ε q± = f±
d = 2, 3
Ĥε Ψ := HΨ + z
X
σ
ψσz ⊗ χσ ∈ D(H); z ∈ ρ(Ĥε )
qσ Φzσ
o
Ψ ∈ D(Ĥε ) .
(4.45)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
57
Ĥε è di nuovo una conseguenza diretta del teorema 2 in quanto
Ĥε è ottenuto aggiungendo −ε (risp. +ε) ai termini fuori diagonale della matrice
B (risp.A) usata nella denizione dell'operatore Ĥ0 per d = 1 (risp. d = 2, 3). Il
risolvente di Ĥε è
X
R̂ε (z) = R(z) +
(Γε (z))−1 σ,σ0 h Φz̄σ0 , · i Φzσ
(4.46)
L'autoaggiutezza di
σ,σ 0
dove
Γε (z) = B −1 (BΓ(z) + A)
i
− 2√z−β
−
Γε (z) =
ha la seguente espressione
α
α2 −ε2
ε
α2 −ε2
i
− 2√z+β
−
ε
α2 −ε2
!
√

µ (z−β)) − iπ/2
2π
ln(
Γε (z) = 
√
ln(
ε
√
z−β
4πi
Γε (z) =
+α

ε
µ (z+β)) − iπ/2
2π
!
ε
z+β
4πi
Si verica facilmente che per ogni
d=3.
è una costante positiva.
(4.47)
+α
z∈C
esiste
ε0
k R̂ε (z) − R̂0 (z) k B(H,H) ≤ ε C
C
d=2

√
ε
dove
d=1
α
α2 −ε2
tale che
∀ 0 < ε < ε0
(4.48)
La (4.48) implica la convergenza uniforme del
al risolvente di Ĥ0 per ε → 0. Di conseguenza (si veda ad. es.
−iĤε t
−iĤ0 t
[28]) il gruppo unitario e
converge uniformemente a e
per ogni tempo
risolvente di
0 ≤ t ≤ T.
Ĥ0 .
nito
di
Ĥε
In questo senso l'Hamiltoniano
Ĥε
è una piccola perturbazione
Da un'analisi diretta delle singolarità del risolvente è facile mostrare come per
sucientemente piccolo l'Hamiltoniano
anche se
di
Ĥ0
Ĥ0
ne possiede.
che si trova tra
−β
Ĥε
ε
non ha autovalori immersi nel continuo
In particolare si trova che il polo reale del risolvente
e
+β
si sposta in un polo di
R̂ε
nel secondo foglio di
Riemann.
Teorema 4
Si assuma che
−2
p
2β < α < 0
d=1
1 < 2βµ < ∞
d=2
p
− 2β /(4π) < α < 0
allora esiste
ε0 > 0
tale che per ogni
0 < ε < ε0
d=3
lo spettro essenziale di
(4.49)
Ĥε
è solo
assolutamente continuo,
σess (Ĥε ) = σac (Ĥε ) = [−β, +∞).
(4.50)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
58
0 < ε < ε0 lo spettro puntuale consiste di un singolo autovalore,
Eε,− < −β e il risolvente R̂ε (z) ha un polo semplice (una risonanza) nel secondo
foglio di Riemann. La risonanza è vicina all'autovalore immerso di Ĥ0 , ovvero
| Eεres − E0,+ | ≤ C ε2 , per una qualche costante positiva C .
Inoltre per ogni
Si noti che le (4.49) rappresentano le condizioni per cui l'autovalore più alto
dell'Hamiltoniano
Ĥ0
è immerso nello spettro continuo.
Dimostriamo il teorema 4.
spettro essenziale di
Ĥε
del teorema, ovvero che
Dalla compattezza di
coincide con
Ĥε
[−β, ∞].
R̂ε (z) − R(z)
segue che lo
Per provare la prima aermazione
non ha autovalori che si trovino al di sopra della soglia
dello spettro continuo è suciente provare che l'equazione
det Γ̂ε (z) = 0
(4.51)
[−β, ∞). Nel seguito scriveremo z = λ
det Γ̂ε (z) = 0 per d = 1, 2, 3 dà
p
p
i(α2 − ε2 ) + 2α z − β i(α2 − ε2 ) + 2α z + β
p
p
− 4 ε2 z − β z + β = 0
p
p
ln( µ(z − β) − iπ/2 ln( µ(z + β) − iπ/2 − (2πε)2 = 0
p
p
−i z − β + 4πα −i z + β + 4πα − (4πε)2 = 0
non ha soluzioni reali in
z
ogni volta in cui
è reale. L'equazione
Analizziamo le proprietà spettrali di
caso
d = 3.
Ĥε
per
ε
tali che
ε/|α| 1
d=1
(4.52)
d=2
(4.53)
d=3
(4.54)
e per
λ > −β
nel
Deniamo la funzione:
f (z) := −i
p
p
z − β + 4πα −i z + β + 4πα .
(4.55)
L'equazione (4.54) è equivalente a
f (z) = (4πε)2 .
(4.56)
E' facile vericare che:
- se
α > 0,
- se
α<0
per ogni
e
λ ≥ β,
λ ≥ −β
Imf (λ)
Imf (λ)
<0
;
> 0;
in questi due casi la (4.56) non può essere quindi soddisfatta. Resta da considerare
il caso
α<0
e
−β < λ < β .
f 0 (E0,+ ) =
f (z) intorno all'autovalore E0,+
f (E0,+ ) = 0 mentre
Sviluppiamo
trova in questa regione dello spettro;
p
1
(i 2β − (4πα)2 + 4π|α|) .
8π|α|
che si
(4.57)
Capitolo 4.
Dalla (4.57) si vede che
Imz
< 0
59
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
e Rez
f 0 (E0,+ ) (z − E0,+ )
> E0,+ .
assume valori reali positivi solo se
2
Questo signica che la soluzione di f (z) = (4πε) , se
esiste, si trova nel secondo foglio di Riemann corrispondente alla radice di
Un ragionamento analogo prova lo stesso risultato per
d = 1.
Per
z + β.
d = 2
la
parte immaginaria si muove sempre verso valori negativi mentre la parte reale
della risonanza è più grande o più piccola di
o maggiore di zero. Infatti per
f (z) = (2πε)2 con
d=2
E0,+
l'equazione
a seconda che
E0,+
det Γε (z) = 0
sia minore
è equivalente a
p
p
f (z) = ln( µ(z − β) − iπ/2 ln( µ(z + β) − iπ/2 .
(4.58)
Si ha:
µ p
µ
ln 2βµ − 1 + i π .
2
4
0
Anché f (E0,+ )(z − E0,+ ) sia reale e positivo Imz deve essere
quanto riguarda la parte reale di z possono vericarsi due casi:
f 0 (E0,+ ) = −
a)
b)
(4.59)
negativa.
Per
√
ln 2βµ − 1 > 0 e Re[ f 0 (E0,+ ) ] < 0.
2
Anché sia soddisfatta l'equazione f (z) = (2πε) deve essere Rez < E0,+ .
√
1 < 2βµ < 2 cioè E0,+ < 0: ln 2βµ − 1 < 0 e Re[f 0 (E0,+ )] > 0.
2
L'equazione f (z) = (2πε) può essere soddisfatta solo se Rez > E0,+ .
2βµ > 2
cioè
E0,+ > 0:
Proviamo ora che nell'intervallo
al di sotto di
λ < −β
−β .
√
− 2β/(4π) ≤ α < 0
esiste un solo autovalore
A questo scopo è suciente analizzare l'equazione (4.54) per
e per valori di
λ
per i quali l'equazione è reale. Usiamo
|α| = −α.
Le
soluzioni dell'equazione (4.54) sono date da:
√
√
β−λ
−β − λ
ε2
−1
−1 =
4π|α|
4π|α|
|α|2
λ < −β .
(4.60)
Se la condizione (4.49) è soddisfatta, la funzione al membro sinistro dell'equazione
2
è positiva se e solo se λ < −β − (4πα) , cioè se λ < E0,− . Inoltre in questo
intervallo la funzione è strettamente decrescente in
λ
+∞ per λ → −∞.
sotto −β . Fermandosi
e tende a
Pertanto esiste uno e un solo autovalore, Eε,− che si trova
2
al primo ordine in ε la formula esplicita per Eε,− è la seguente:
2(4π)2
Eε,− = E0,− − p
ε2 + O(ε4 ) .
2
2β/(4πα) + 1 − 1
Resta da provare che per
√
− 2β/(4π) ≤ α < 0, (Γε (z))−1
(4.61)
ha una continuazio-
ne analitica nel secondo foglio attraverso l'asse reale e che nel secondo foglio di
Riemann ha un polo. Riscriviamo l'equazione (4.54) come
√
√
β−z
β+z
− |α|
− |α| = ε2 .
4π
4πi
(4.62)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
60
Con la seguente posizione
√
β−z
ξ=
− |α| ;
4π
√
η=−
β+z
− |α| ,
4πi
(4.63)
l'equazione (4.62) diventa
ε2
ξ = − .
η
(4.64)
Consideriamo la seguente procedura di ricorrenza; ssiamo
p
2β − (4πα)2
η0 = i
+ |α|
4π
(4.65)
e calcoliamo ad ogni passo
p
2β − [ 4π(ξk−1 + |α|) ]2
ηk = |α| + i
4π
ε2
ξk = − ;
ηk
all'interno della sfera
| η − η0 | < C ε 2 .
Nella denizione di
ηk
(4.66)
la radice è la
continuazione analitica della radice di un numero positivo: è denita con un parte
reale positiva, mentre la parte immaginaria può essere positiva o negativa a seconda
che l'argomento nella radice sia rispettivamente nel primo o nel secondo foglio di
Riemann. Ne segue che
ε2
.
|α|
(4.67)
ε2
(ηk+1 − ηk )
ηk ηk+1
(4.68)
|ηk | > |α|
Essendo
ξk+1 − ξk =
|ξk | <
e
si ha anche
| ξk+1 − ξk | ≤
ε2
| ηk+1 − ηk | .
|α|2
ηk
p
p
2β − [ 4π(ξk + |α|) ]2
2β − [ 4π(ξk−1 + |α|) ]2
| ηk+1 − ηk | = −
4π
4π
(4.69)
Inoltre come conseguenza della denizione di
≤ C | ξk − ξk−1 |
per una qualche costante positiva
| ξk+1 − ξk | ≤
C.
(4.70)
Dalla (4.69) e dalla (4.70)
ε2
ε2 C
|
η
−
η
|
≤
| ξk − ξk−1 | .
k+1
k
|α|2
|α|2
(4.71)
Usando la (4.71) ricorsivamente si ha
| ξk+1 − ξk | ≤
ε2 C
|α|2
k
| ξ1 − ξ0 |
(4.72)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
61
per cui sommando la serie si ottiene
| ξ∞ − ξ0 | ≤
| ξ1 − ξ0 |
2
1 − εα2C
(4.73)
con
ξ1 − ξ0 = p
i |α|
2β − (4πα)2 |α| +
i
4π
4
6
3 ε + O(ε ) .
p
2β − (4πα)2
(4.74)
La procedura è quindi convergente e la posizione della risonanza è data da
Eεres = β − [4π(ξ∞ + |α|)]2 .
Essendo
(4π)2 ε2
ε2
=−
ξ0 = −
η0
2β
p
2β − (4πα)2
|α| −
4π
la posizione della risonanza al primo ordine in
i
ε2
(4.76)
è
(4π)4 α2 2
(4π)4 α2 p
ε − i ε2
2β/(4πα)2 − 1 + O(ε4 ) .
β
β
Eεres = E0,+ +
Pertanto
(4.75)
| Eεres − E0,+ | < C ε2
e la parte immaginaria negativa di
Eεres
(4.77)
sta a
signicare che il polo si trova nel secondo foglio di Riemann.
La prova del teorema 4 nei casi
d = 1, 2 non dierisce sostanzialmente da quella
data per il caso tridimensionale. All'ordine perturbativo più basso l'autovalore al
di sotto di
−β
è dato da
Eε,− = E0,− −
ε2
p
+ O(ε4 )
2
2( 8β/α + 1 − 1)
d=1
(4.78)
Eε,− = E0,− −
8π 2 ε2 /µ
√
+ O(ε4 )
ln( 2βµ + 1 )
d=2
(4.79)
mentre la risonanza è
Eεres
= E0,+
Eεres = E0,+
con
ε2 α 2
ε2
+
− i
16β
2
p
8β/α2 − 1
+ O(ε4 )
8β/α2
8π 2 ε2 /µ π
− 2
a
+
i
+ O(ε4 )
a + (π/2)2
2
d=1
(4.80)
d=2
(4.81)
√
a = ln( 2βµ − 1).
E0,− è reale
e negativo. Lo spostamento della parte reale della risonanza, invece, per d = 1, 3
è sempre positivo, mentre per d = 2, come già sottolineato, è positivo se E0,+ < 0 ,
negativo se E0,+ > 0. In gura 4.3 è gracato l'andamento della parte immaginaria
della risonanza in funzione del parametro perturbativo ε, per d = 1, 2, 3.
Si noti che per
d = 1, 2, 3
lo spostamento dell'autovalore più basso
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Figura 4.3:
62
Parte immaginaria della risonanza al
variare del parametro perturbativo
ε
per
d = 1, 2, 3.
4.5 Decadimento della risonanza
Obiettivo di questo paragrafo è l'analisi del comportamento temporale associato
alla presenza di una risonanza. In particolare sarà calcolato il decadimento della
probabilità di sopravvivenza di uno stato con spin su per uno stato iniziale il
cui supporto in energia è contenuto in un piccolo intervallo dello spettro attorno
alla posizione dell'autovalore
nel continuo.
attorno a
E0,+
che nell'Hamiltoniano imperturbato è immerso
E' ovvio che diversi stati iniziali avranno un diverso decadimento
t = 0;
la conoscenza delle autofunzioni generalizzate permette di trovare
per ogni stato iniziale una formula specica.
ε sucientemente piccolo lo spettro essenziale di Ĥε è solo
assolutamente continuo e coincide con [−β, ∞). Pertanto per d = 1, 2, 3 e λ ≥ −β
la proiezione spettrale di Ĥε sulla parte assolutamente continua dello spettro può
Ricordiamo che per
essere denita attraverso la formula di Stone (si veda pag. 35) come:
Pε (z) := s − lim+
δ→0
dove con
1 R̂ε (λ − iδ) − R̂ε (λ + iδ)
2πi
s − lim si è indicato il limite in senso forte.
λ ∈ [−β, ∞)
Dato uno stato iniziale
ha solo proiezione sulla parte assolutamente continua dello spettro di
Z
(4.82)
Ĥε
Ψ che
si ha che
+∞
Ψ(t) =
−β
e−iλt Pε (λ) Ψ dλ .
(4.83)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
63
D'altra parte in tutte le dimensioni è possibile derivare una formula esplicita per
Pε (λ)
in termini delle autofunzioni generalizzate. Vediamo i dettagli per
d = 3.
Con un calcolo diretto della (4.82) si trova che:
Pε (λ) =
XZ
σ=±
(4.84)
Ω
Ĥε sono date da
X
−1
0
Φ̂σε (λ; ω) = Φσ (λ; ω) +
φσ (λ; ω, 0) Γε,+ (λ) σ0 ,σ G+λ−σ α ⊗ χσ0
dove
Ω
Φ̂σε (λ; ω) hΦ̂σε (λ; ω), · i dω
è l'angolo solido e le autofunzioni di
λ ∈ [σβ, ∞) .
σ0
(4.85)
I vettori
σ
Φ (λ; ω) sono le autofunzioni generalizzate dell'operatore H
denito dalla
(4.10),
Φσ (λ; ω) := φσ ⊗ χσ ;
φσ (λ; ω, x) =
mentre
0
α
Gλ−σ
+
e
(λ − σβ)1/4 iω√λ−σβ x
e
4π 3/2
Γε,+ (λ)
λ ∈ [σβ, ∞) ω ∈ Ω
(4.86)
sono denite da
G+λ−σα = lim+ G λ−σα+iδ
Γε,+ (λ) = lim+ Γε (λ + iδ) .
δ→0
Essendo l'interazione generata da
Ĥε
δ→0
(4.87)
non diagonale nelle componenti di spin, l'in-
terazione con la particella induce lo spin ad evolvere verso una sovrapposizione di
stati anche quando lo stato iniziale è tale che la parte di spin sia un autostato di
σ (1) . E' riportata di seguito l'espressione esplicita delle autofunzioni generalizzate
di
Ĥε :
√
"
Φ̂+
ε (λ; ω)
√
iω λ−β ·
= e
⊗ χ+ + √
λ−β
4πi
−
ei
ε
− √
λ−β
4πi
λ+β
− |α|
4πi
√
λ+β
|α|
−
4πi
√
λ+β
− |α|
−
|α|
− ε2
4πi
√
ei
|α| − ε2
#
λ+β | · |
4π| · |
⊗ χ−
√
λ−β | · |
4π| · |
⊗ χ+
1
(λ − β) 4
λ ≥ β, ω ∈ Ω
3
4π 2
(4.88)
"
Φ̂−
ε (λ; ω)
√
√
iω λ+β ·
= e
− √
λ−β
4πi
⊗ χ− + √
λ−β
4πi
−
λ−β
− |α|
4πi
√
λ+β
|α|
−
4πi
ei
ε
√
λ+β
− ε2
− |α|
−
|α|
4πi
√
ei
|α| − ε2
#
λ−β | · |
4π| · |
⊗ χ+
√
λ+β | · |
4π| · |
⊗ χ−
1
(λ + β) 4
3
4π 2
λ ≥ −β, ω ∈ Ω
(4.89)
dove si è usata la condizione
√
− 2β/(4π) ≤ α < 0.
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
64
Vogliamo analizzare al comportamento temporale di uno stato metastabile,
quindi di uno stato con componente dello spin
intorno dell'autovalore
χ+
con supporto in energia in un
−β < E0,+ < β
dell'Hamiltoniano imperturbato. Esaminiχ+ dell'autostato Φ̂−
ε (λ; ω). Indichi2
l'intervallo centrato in E0,+ e di ampiezza 2∆ tale che ε 2∆ (4πα) .
amo pertanto l'evoluzione della componente
amo con
I
Si consideri il seguente proiettore:
1
1
PI,++ (t; x, x0 ) :=
4
64π |x||x0 |
Z
I
√
√
0
ε2 λ + β e−iλt e− β−λ(|x|+|x |) dλ
√
2
√
λ − β/(4πi) − |α|
λ + β/(4πi) − |α| − ε2 (4.90)
Per
λ∈I
β−λ > 0
per cui la funzione integranda nella (4.90) è limitata.
0
Ciò implica che l'operatore PI,++ (t; x, x ) è un operatore di Hilbert-Schmidt per
ogni
t > 0.
si ha
Eettuando il seguente cambiamento di variabili
√
ξ≡
β−λ
− |α|
4π
(4.91)
possiamo riscrivere la (4.90) come segue:
0
2
−ε2 e−(4π) |α|(|x|+|x |)
PI,++ (t; x, x ) =
2π 2
|x||x0 |
Z
0
I0
2
2
2
0
f (ξ) e−i (β−(4π) (ξ+|α|) ) t e−(4π) ξ (|x|+|x |)
dξ
2β
2
2
4
ξ 4 + 2|α|ξ 3 − (4π)
2 ξ − 2ε |α|ξ − ε
(4.92)
dove
f (ξ) =
p
2β − (4π)2 (ξ + |α|)2 (ξ + |α|)
(4.93)
e
I0 =
h p(4π|α|)2 − ∆
4π
p
i
(4π|α|)2 + ∆
− |α| ,
− |α| .
4π
(4.94)
Le quattro radici del denominatore della funzione integranda della (4.92) sono
facilmente analizzabili. Due di esse sono reali ξ1 (ε), ξ2 (ε) ∈ R e vicine alle radici
2β
2
reali dell'equazione ξ +2|α|ξ −
= 0. Le ultime due radici ξ3 (ε), ξ3∗ (ε) ∈ C sono
(4π)2
2β
complesse coniugate e vicine alle radici dell'equazione
ξ 2 + 2ε2 |α|ξ + ε4 = 0.
(4π)2
res
Tra queste ultime due, quella corrispondente a Eε
(diciamo ξ3 (ε)) ha parte im2
magnaria positiva e per ε sucientemente piccolo |ξ3 (ε)| ≤ C ε . Con la notazione
appena introdotta possiamo scrivere:
2
0
−ε2 e−(4π) |α|(|x|+|x |)
PI,++ (t; x, x ) =
2π 2
|x||x0 |
0
2
2
2
0
f (ξ)e−i (β−(4π) (ξ+|α|) ) t e−(4π) ξ (|x|+|x |)
dξ
.
∗
I 0 (ξ − ξ1 (ε))(ξ − ξ2 (ε))(ξ − ξ3 (ε))(ξ − ξ3 (ε))
Z
(4.95)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
Si noti che la densità degli stati è approssimativamente una Lorentziana in
I 0.
65
La
dierenza con un puro comportamento Lorentziano è indicato dalla presenza di un
termine quartico al denominatore e di una funzione che varia molto lentamente al
numeratore della funzione integranda.
Allo scopo di ritrovare il risultato standard per il comportamento temporale di
uno stato metastabile vogliamo estrarre il termine esponenziale e stimare il resto
associato alla parte non Lorentziana della densità degli stati.
Nel seguito parte
reale e immaginaria della risonanza saranno indicate come segue:
Eεres := bε − iγε .
−β < bε < β , | bε − (β − 4πα)2 | < Cε2
ε sucientemente piccolo e per qualche costante positiva C .
Dal teorema 4 si ha
per
Teorema 5
Sia
PI,++ (t; x, x0 )
e
0 < γε < Cε2
denito come nella (4.90), allora
PI,++ (t; x, x0 ) := L(t, ε) + B(t, ε)
(4.96)
dove si è usata la seguente notazione
iρε2
K(x, x0 ) e−ibε t e−γε t
L( x, x ; t, ε) = −
∗
π(ξ3 (ε) − ξ − 3(ε))
0
con
0
2
e−(4π) |α|(|x|+|x |)
K(x, x0 ) =
,
|x| + |x0 |
p
|α| 2β − (4π|α|)2
ρ=
.
ξ1 (ε)ξ2 ε
(4.97)
(4.98)
Vale la seguente stima
k B(t, ε) k HS ≤ Cε2 .
(4.99)
Dimostriamo il teorema. Consideriamo il sottinsieme aperto di C denito da
Q = {z ∈ C | |z| < diam(I 0 ) , 0 ≤ arg(z) ≤ π}. L'insieme Q è un semicerchio
0
nel piano complesso superiore, con centro nell'origine e avente I come diametro.
La funzione che compare nella (4.95) può essere continuata analiticamente in
Q.
Usando il teorema dei residui si trova:
PI,++ (t) := P1 (t) − P2 (t)
(4.100)
P1 (t; x, x0 ) è il residuo nel polo risonante z = ξ3 (che è l'unica singolarità con0
tenuta in Q) mentre P2 (t; x, x ) è l'integrale sulla parte semicircolare della frontiera
dove
di Q. Esplicitamente:
2
0
f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |)
iε2 e−ibε t e−γε t
0
P1 (t; x, x ) = −
K(x, x )
π(ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε))
(ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε))
0
(4.101)
e
ε2
P2 (t; x, x ) = −
K(x, x0 )
2π
0
Z
∂Q\I 0
2
2
0
f (z) e−i (β−(4π) (z+|α|)) t e−(4π) z(|x|+|x |)
dz
(z − ξ1 (ε))(z − ξ2 (ε))(z − ξ3 (ε))(z − ξ3∗ (ε))
(4.102)
Capitolo 4.
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
66
√
β−bε +iγε
− |α| in modo da far comparire parte reale e im4π
maginaria della risonanza. Ovviamente gli operatori P1 (t) e P2 (t) dipendono da ε
dove si è usato
ξ3 =
anche se tale dipendenza non è indicata esplicitamente.
Analizziamo ora il termine
P2 (t; x, x0 ).
Per ogni
x, x0 ∈ R3
e per
ε
suciente-
mente piccolo
2
| P2 (t; x, x0 ) | ≤ ε2 C |K(x, x0 )| e−(4π)
dove si è usato il fatto che per ogni
z ∈ ∂Q\I 0 ,
Im
inf(I 0 )(|x|+|x0 |)
(z + |α|)2 > 0
(4.103)
e che per
ε
sucientemente piccolo
| f (z) | ≤ C
Poiché
| (z − ξ1 (ε))(z − ξ2 (ε))(z − ξ3 (ε))(z − ξ3∗ (ε)) | −1 ≤ C.
e
|α| + inf(I 0 ) > 0
k P2 (t) k HS ≤ C ε2 .
Dalla denizione di
L(t, ε)
e
P1 (t)
(4.105)
si ha
| L(t, ε; x, x0 ) − P1 (t, x, x0 ) | = −
Da
(4.104)
i ε2 e−ibε t e−γ−εt
K(x, x0 )
π (ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε))
p
2
0
|α| 2β − (4π|α|)2
f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |)
−
ξ1 (ε)ξ2 (ε)
(ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε))
| ξ3 (ε) | ≤ Cε2
k L(t, ε) − P1 (t) k HS ≤ Cε2 .
B(t, ε) = P1 (t) − L(t, ε) − P2 (t).
segue
ottiene quindi ponendo
(4.106)
La prova del teorema si
Il teorema 5 chiarisce completamente il comportamento asintotico della risonanza. In particolare si trova che il termine
L(t, ε)
per tempi grandi va a zero più
velocemente di un esponenziale. D'altra parte un puro comportamento esponenziale sarebbe impossibile anche se la densità degli stati fosse una pura Lorentziana.
Infatti l'integrale di una densità degli stati Lorenztiana restituisce un esponenziale
solo se l'integrazione è estesa all'intero asse reale, mentre lo spettro di un operatore
Hamiltoniano è sempre limitato inferiormente. La stima (4.96) mostra come correzioni non esponenziali alla legge di decadimento siano presenti durante l'intero
processo di decadimento, anche se si manifestano solo in qualche regione temporale.
Per quanto riguarda il comportamento della risonanza a tempi brevi la stima data dal teorema 5 non è esplicita.
Infatti il termine dovuto alla parte non
B(t, ε) può essere in principio molto più grande di | L(0, ε) − L(t, ε) |
0 ≤ t < 1. Per esaminare i dettagli dell'evoluzione del proiettore a tempi brevi
conveniente una rappresentazione alternativa di PI,++ (t). Scriviamo
lorentziana
per
è
PI,++ (t) = PI,++ (0) + (PI,++ (t) − PI,++ (0))
(4.107)
Capitolo 4.
dove
Formazione di stati metastabili: un modello esplicito
a(x, x0 ) = PI,++ (0)
67
e
PI,++ (t) − PI,++ (0) =
ε2
−
K(x, x0 )
2π 2
f (ξ) e−i(β−(4π)
2 (ξ+|α|)2
Z
I0
ξ 4 + 2|α|ξ 3 −
)t − 1e−(4π)2 ξ(|x|+|x0 |)
2β
ξ2
(4π)2
− 2ε2 |α|ξ − ε4
dξ.
(4.108)
Seguendo la dimostrazione fatta per il teorema 5 possiamo continuare analitica-
PI,++ (t) e usare il teorema dei residui per calcolare la (4.108). Indicando
0
0
con b(x, x ) il contributo dovuto al polo risonante e con c(x, x ) la derivata in t = 0
0
dell'integrale sul semicerchio Q\I , si ha per PI,++ (t) il seguente sviluppo valido
per 0 ≤ t 1/ε:
mente
res
PI,++ (t) = a(x, x0 ) − b(x, x0 ) (1 − e−iEε
t
) + c(x, x0 ) ε2 t + O(ε2 t2 ) d(x, x0 )
(4.109)
con
ε2
a(x, x ) = − 2 K(x, x0 )
2π
0
Z
I0
2
0
f (ξ) e−(4π) ξ (|x|+|x |)
dξ
2β
2
2
4
ξ 4 + 2|α|ξ 3 − (4π)
2 ξ − 2ε |α|ξ − ε
2
0
f (ξ3 (ε)) e−(4π) ξ3 (ε)(|x|+|x |)
ε2
0
K(x,
x
)
b(x, x ) = − 2
2π (ξ3 (ε) − ξ3∗ (ε))
(ξ3 (ε) − ξ1 (ε))(ξ3 (ε) − ξ2 (ε))
Z
2
0
f (z) i (β − (4π)2 (z + |α|)2 ) e−(4π) z(|x|+|x |)
1
0
0
c(x, x ) = 2 K(x, x )
dz.
2β
2
2
4
2π
z 4 + 2|α|z 3 − (4π)
Q\I 0
2 z − 2ε |α|z − ε
0
Con argomentazioni simili a quelle usate per il teorema 5 si mostra che:
k a k HS ≤ C;
k b k HS ≤ C;
k c k HS ≤ C;
k d k HS ≤ C.
(4.110)
Conclusione
Il modello esplicito presentato nel capitolo 4 rappresenta il risultato di un'analisi
teorica costruttiva, basata sulla denizione di modelli semplici, ma sicamente signicativi, in cui le proprietà della dinamica possono essere analizzate in dettaglio.
In esso il processo di formazione di uno stato metastabile è ottenuto in termini
dell'interazione tra due sistemi genuinamente quantistici, una particella non relativistica e un atomo-modello. In particolare il modello consente di mostrare esplicitamente che autovalori dell'Hamiltoniano libero immersi nello spettro continuo
diventano risonanze per l'Hamiltoniano perturbato.
La solubilità del modello consente l'analisi esplicita del comportamento temporale del proiettore su una regione dello spettro vicina alla risonanza, sia per tempi
lunghi che per tempi brevi.
Le stime ottenute mostrano come durante l'intero
processo di decadimento siano presenti correzioni non esponenziali alla legge di
decadimento; tali risultati possono essere rilevanti per esaminare gli eetti Zenone
e anti-Zenone quantistici (si veda ad es. [16, 15]), in quanto tali eetti sono legati
al decadimento non esponenziale a tempi piccoli.
Nonostante l'interazione denita nel modello sia un'interazione a bassa energia, essa può essere generalizzata a potenziali qualsiasi. Infatti ogni operatore di
Schrödinger a valori matrici con un potenziale regolare può essere approssimato
con Hamiltoniani con interazione puntuale del tipo denito nel capitolo 4 (si veda
[18]). Per questo motivo il modello presentato si presta all'indagine di situazioni
più generali.
Lo stesso modello può essere utilizzato per lo studio di sistemi in cui sono
presenti autostati sulla soglia dello spettro continuo, denendo un Hamiltoniano
libero che abbia le caratteristiche spettrali richieste e studiandone le perturbazioni
nel senso del risolvente.
Sistemi di questo tipo sono rilevanti come modello di
interazione dell'atomo-modello con campi a massa zero.
Le caratteristiche generali dei risultati ottenuti non variano nel caso in cui si
considerino un grande numero di bosoni interagenti con un bit quantistico localizzato. Può essere di interesse pedagogico l'analogia che esiste tra quest'ultimo
sistema e un sistema costituito da un atomo non relativistico accoppiato con il
campo di radiazione. La corrispondenza con questo sistema quantistico molto più
complesso può essere stabilita interpretando il sistema quantistico localizzato come
un atomo e la ionizzazione di una particella nel modello che abbiamo analizzato
68
Conclusione
69
come creazione di un fotone. L'emissione spontanea corrisponderà alla transizione
da uno stato metastabile ad uno stato in cui l'atomo passa in un livello di energia
più basso e viene prodotta una particella ionizzata. La distruzione di un fotone
corrisponderà viceversa alla formazione di uno stato metastabile. Un'interazione
attrattiva locale tra atomo e particelle produce uno stato di vuoto in cui tutti i
bosoni sono connati nell'atomo, quindi, nell'interpretazione data, assenti.
Appendice A
Operatori lineari e teoria spettrale
A.1 Denizioni generali
Uno
spazio di Hilbert H
è uno spazio lineare vettoriale metrico (e quindi
normato) completo e separabile.
Un
operatore o trasformazione T
è una corrispondenza che associa ad ogni
D(T ) dello spazio di
H:
elemento di un opportuno sottoinsieme (proprio o improprio)
Hilbert
H,
detto dominio di
T,
uno ed un solo elemento di
φ ∈ D(T ) .
T φ = φ̃
Al variare di
o range di
T.
φ
(A.1)
D(T ) le immagini descrivono un insieme detto codominio
L di dice lineare se il suo dominio D(L) è una varietà
linearmente su D(L), vale a dire:
su tutto
Un operatore
lineare e se esso agisce
e
aφ + bψ ∈ D(L) ∀ φ, ψ ∈ D(L)
(A.2)
L(aφ + bψ) = a Lφ + b Lψ .
(A.3)
In meccanica quantistica si è interessati ad operatori lineari o deniti dappertutto, ovvero per i quali
D(L) = H,
oppure densamente deniti, ovvero tali che la
chiusura del loro dominio coincide con
Una trasformazione lineare
se, per ogni arbitrario
ε > 0,
∀ φ ∈ D(L)
L
H, [D(L)] = H.
si dice
continua in un punto χ del suo dominio
esiste un numero positivo
kφ − χk < δ(ε)
⇒
δ(ε)
tale che:
kLφ − Lχk < ε .
(A.4)
Enunciamo di seguito alcuni teoremi senza dimostrazione, per le quali si veda ad
es. [12, 28].
Teorema 6
Se una trasformazione lineare risulta continua in un punto del suo
dominio allora essa è continua in tutti i punti del suo dominio.
70
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
T
Un operatore
si dice
limitato se esiste una costante reale positiva C
∀ φ ∈ D(T )
Teorema 7
71
Una trasformazione
T
tale che:
kT φk < Ckφk .
(A.5)
risulta continua se e solo se è limitata, ovvero
continuità e limitatezza, nel caso di trasformazioni lineari dello spazio di Hilbert,
risultano equivalenti.
Un operatore lineare
D(Ā) ⊇ D(A)
Teorema 8
e
Ā
Ā
estensione dell'operatore lineare A (Ā ⊇ A) se
si dice un'
coincide con
A
D(A)
sul dominio
di
A.
Ogni operatore lineare continuo (quindi limitato) ammette un'unica
estensione lineare alla chiusura del suo dominio.
Dimostrazione. Preso un punto
χ
D(A) ma appartiene alla
di D(A) che converge a χ:
che non appartiene a
sua chiusura, esisterà una successione
{φn }
di elementi
φn −−−−→ χ.
n→+∞
Usando la (A.5) è immediato mostrare che la successione
mati degli elementi della successione attraverso
A
{Φn = Aφn }
dei trasfor-
soddisfa il criterio di Cauchy.
Infatty:
kΦj − Φk k = kAφj − aφk k = kA(φj − φk )k ≤ Ckφj − φk k
(A.6)
e l'ultimo termine può rendersi arbitrariamente piccolo in quanto la successione
{φn }
soddisfa a sua volta il criterio di Cauchy. Poiché lo spazio
successione
{Φn }
H
è completo la
risulterà convergente, ovvero esisterà un elemento
Φ ∈ H
tale
che
Aφn = Φn −−−−→ Φ.
n→+∞
Possiamo allora considerare un operatore
che coincide con
A
su
D(A)
ma è
Āχ = Φ. Lo stesso procedimento può applicarsi a
tutti i punti di accumulazione di D(A), ottenendo l'estensione di A alla varietà
chiusa D(A) . Si noti che la scelta di considerare solo operatori densamente
deniti in H comporta, per il teorema (8), che ogni operatore continuo è denito
su tutto H.
denito anche su
χ
Ā
ponendo
Si consideri un operatore lineare
†
un operatore T , che si dice
T
densamente denito. Possiamo allora denire
aggiunto o hermitiano coniugato
suo dominio sia costituito da tutti quei vettori
∃ χ̃ :
Dal fatto che
T
( χ̃ , φ ) = ( χ , T φ )
χ∈H
di
T
tale che il
per i quali
∀ φ ∈ D(T ) .
è densamente denito segue immediatamente che l'elemento
(A.7)
χ̃,
se
esiste, è unico. Si denisce allora:
χ̃ = T † χ .
(A.8)
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
Si noti che il dominio di
72
T†
non è vuoto in quanto almeno l'elemento nullo vi
†
appartiene. Inoltre è immediato vericare che T è un operatore lineare. Possiamo
†
esprimere la relazione tra T e T mediante la seguente uguaglianza:
( T †χ , φ ) = ( χ , T φ )
Un operatore lineare
T
∀ χ ∈ D(T † )
densamente denito si dice
∀ φ ∈ D(T ) .
e
(A.9)
simmetrico o hermitiano se
D(T ) ⊂ D(T † )
T φ = T† φ
T†
in altre parole
∀ φ ∈ D(T );
costituisce un'estensione di
T.
giunto se coincide con il proprio aggiunto cioè
T = T†
Teorema 9
L'aggiunto
T†
e
(A.10)
Un operatore
T
si dice
D(T ) = D(T † ) .
di un operatore continuo
T
autoag(A.11)
risulta esso stesso continuo
e denito ovunque.
Per il teorema 9, ogni operatore continuo simmetrico è autoaggiunto. Un operatore
A
con dominio
D(A)
si dice
chiuso se e solo se l'insieme
Γ(A) = { hφ, ψi ∈ H ⊗ H | φ ∈ D(A)
è chiuso.
Un operatore
graco di un operatore
chiusa di
A
A.
si dice
chiudibile
e
ψ = Aφ }
se la chiusura di
(A.12)
Γ(A), Γ(A),
è il
Quest'ultimo risulta essere la più piccola estensione
A.
Sono riportati senza dimostrazione i seguenti due fondamentali teoremi per
operatori simmetrici densamente deniti.
Teorema 10
Se
A
è densamente denito, allora
A
è chiudibile e
particolare ogni operatore hermitiano è chiudibile.
Teorema 11
Le seguenti aermazioni sono equivalenti:
a)
A
è autoaggiunto;
b)
A
ha un'unica estensione autoaggiunta;
c)
A† = A†† ;
d)
A†
è hermitiano.
A = (A† )† .
In
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
Se una delle proprietà
che
A
è
a) . . . d)
è vera per un operatore simmetrico
essenzialmente autoaggiunto.
73
A
si dirà
Riportiamo di seguito alcuni criteri per l'autoaggiuntezza (per le dimostrazioni
si veda [28]). Indichiamo con RanA il codominio di
A
e con KerA il suo kernel
ovvero:
Teorema 12 A
RanA
= {A ψ | ψ ∈ D(A)}
(A.13)
KerA
= {ψ ∈ D(A) | A ψ = 0} .
(A.14)
è autoaggiunto se e solo se è vericata una delle seguenti con-
dizioni:
a) Ran(A
b)
A
± i) = H;
è chiuso e Ker(A
Teorema 13 A
†
è essenzialmente autoaggiunto se e solo se è vericata una delle
seguenti condizioni:
a) Ran(A
b) Ker(A
†
± i)
± i) = 0.
è denso;
± i) = 0.
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
74
A.2 Operatori di proiezione
Teorema 14 (Decomposizione di vettori rispetto ad una varietà lineare)
Si consideri una varietà lineare chiusa
[L] ⊂ H.
Un arbitrario vettore
φ ∈ H,
può
scomporsi in uno e un solo modo nella somma di due vettori
φ = φL + φ⊥ :
φL ∈ [L]
e
φ⊥ ∈ H − [L].
(A.15)
Con riferimento al teorema appena enunciato, possiamo denire l'
proiezione PL sulla varietà [L] ponendo
operatore di
PL φ = φ L .
E' facile vericare che
PL
è denito ovunque (per il teorema 14) ed è lineare,
2
hermitiano e idempotente, ovvero PL = PL . Tali condizioni risultano necessarie e
sucienti anché PL risulti un proiettore. In altre parole, per qualsiasi operatore
P
lineare denito dappertutto, hermitiano e idempotente, esiste una varietà lineare
chiusa
[L] tale che P
risulta l'operatore che associa ad ogni vettore la sua proiezione
su
[L].
ed
Dati due operatori di proiezione PL e PM associati alle varietà lineari chiuse [L]
[M ], rispettivamente, diremo che essi risultano ordinati e scriveremo PM ≤ PL
[M ] ⊆ [L]. E' immediato vericare che la relazione appena introdotta soddisfa
se
1
alle condizioni necessarie per denire un ordinamento parziale . Si consideri una
{Pj }. Essa si
P1 ≤ P2 ≤ P3 ≤ . . .
successione di operatori di proiezione
cente se valgono le relazioni:
se si ha
monotona non decrese monotona non crescente
dirà
P1 ≥ P 2 ≥ P3 ≥ . . . .
Teorema 15 (Successioni monotone di proiettori)
Qualunque successione di proiettori monotona non decrescente o monotona non
crescente converge sempre ad un proiettore (che indichiamo come
genza va intesa nel senso che per ogni vettore
{Pj φ}
ha come limite
Pi
[Li ]
seguente. Poniamo anzitutto
1 Un
φ dello spazio di Hilbert la successione
di varietà lineari chiuse a due a due ortogonali e
dei relativi proiettori. Sfruttando le proprietà sopra menzionate
possiamo costruire una nuova successsione
sono ortogonali
La conver-
{P∞ φ}.
Si consideri la successione
la successione
P∞ ).
Π2
Π1 = P1
Πi
di operatori di proiezione nel modo
e quindi
Π 2 = P1 + P2 .
Poiché
è un proiettore che proietta sulla somma diretta
ordinamento parziale
[L1 ] ed [L2 ]
[L1 ] ⊕ [L2 ]
(indicata con il simbolo ) è una relazione tra elementi di un
insieme che gode delle seguenti proprietà:
1.
A B
e
B A ⇒ A = B;
2.
A B
e
B C ⇒ A B.
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
delle due varietà. Poiché ovviamente
[L1 ] ⊆ [L1 ] ⊕ [L2 ],
75
si ha che
Π1 ≤ Π2 .
Si può
allora procedere in modo analogo ponendo
Πk = P1 + P2 + . . . + Pk
che ovviamente proietta sulla somma diretta delle prima
evidente che la successione
Πi
k
varietà lineari.
E'
risulta monotona non decrescente e quindi converge
ad un proiettore.
Risulta di particolare importanza il caso in cui questo limite è proprio l'operatore identità o, equivalentemente, in cui la somma diretta di tutte le varietà lineari
della successione coincide con tutto lo spazio di Hilbert.
Denizione 3
Si denisce risoluzione dell'identità una famiglia completamente
ordinata di operatori di proiezione
λ ∈ (−∞, +∞)
1.
Pλ
ortogonali e dipendenti dal parametro reale
soddisfacenti le seguenti condizioni:
Pλ −−−−→ 0
λ→−∞
, dove la convergenza è da intendersi nel senso che
Pλ φ −−−−→ 0,
λ→−∞
2.
Pλ
continua in
λ
a destra ovvero
∀ φ ∈ H;
Pλ −−−→ Pλ̃ ;
λ→λ̃+
3.
Pλ ≥ Pλ̃
4.
Pλ −−−−→ I,
λ→+∞
per
λ ≥ λ̃;
ovvero
Pλ φ −−−−→ I φ = φ,
λ→+∞
∀ φ ∈ H.
Poiché gli elementi della famiglia risultano totalmente ordinati, la dierenza
per
λ ≥ λ̃
è un proiettore.
Pλ −Pλ̃
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
76
A.3 Spettro di un operatore
A
Dato un operatore lineare
seguenti due sottoinsiemi di
1.
densamente denito in
possiamo associare ad
A
i
C:
Insieme risolvente ρ(A):
Rz (A) = (A − z I),
H
z ∈ C per i quali l'operatore
costituito dai valori
detto operatore risolvente, esiste ed è limitato. In questo
caso l'equazione
(A − z I)ϕ = ψ
ϕ
nel vettore incognito
(A.16)
ammette una ed una sola soluzione
∀ψ ∈ H
ϕ = Rz (A)ψ
(A.17)
Rz (A) limitato, la soluzione (A.17)
iniziale ψ (per il teorema 7).
e il problema è ben posto perché, essendo
è continua rispetto alla condizione
2.
Spettro di A σ(A):
sieme risolvente:
All'interno dello spettro di
a)
costituito dai valori di
z
che non appartengono all'in-
σ(A) ≡ C − ρ(A).
Spettro puntuale:
A
possiamo distinguere le seguenti componenti:
z per i
(A − z I) non
costituito dai valori di
esiste, ovvero per i quali l'applicazione
(A − z I)ψ = 0
quali il risolvente non
è iniettiva:
ψ ∈ H, ψ 6= 0 .
con
(A.18)
z è detto autovalore di A, mentre ψ è chiamato autovettore
corrispondente a z . Si dimostra che autovettori relativi ad autovalori distinti
In questo caso
sono linearmente indipendenti.
b)
Spettro residuo:
costituito dai valori
z ∈ C
per i quali il risolvente esi-
ste (limitato o non limitato) ma non è densamente denito. Esistono cioè
in
H
vettori ortogonali alla chiusura del dominio del risolvente.
l'equazione
c)
(A − z I)ψ = 0
Spettro continuo:
non implica che
z
Pertanto
sia un autovalore di A.
insieme dei punti dello spettro che non appartengono né
2
allo spettro puntuale né allo spettro residuo . Lo spettro continuo è costituito
dai valori
z∈C
per i quali il risolvente
ma non è limitato. Se
z
Rz (A)
esiste, è densamente denito
appartiene allo spettro continuo l'equazione (A.16)
ammette soluzione ma quest'ultima non è continua nel termine noto
essendo
Un numero
A
se esiste
Rz (A)
ψ,
non
continuo.
λ ∈ C è detto autovalore generalizzato o improprio dell'operatore
una successione {ψn } di vettori di H tale che
lim = (A − λI)ψn = 0
n→+∞
kψn k = 1,
∀n∈N
2 Si confronti con la denizione di spettro continuo data a pag. 84.
(A.19)
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
77
o equivalentemente se
∀ > 0 ∃ψ ∈ H, kψk = 1 :
k(A − λI) ψk < .
(A.20)
Ogni autovalore è un autovalore generalizzato e ogni autovalore generalizzato appartiene allo spettro. Le soluzioni
φλ
dell'equazione agli autovalori
relative ad autovalori generalizzati sono detti
propri).
Questi ultimi non appartengono ad
Aφλ = λφλ
autovettori generalizzati (o imH,
tuttavia vale la proprietà:
Z
φλ dλ = Φ∆ ∈ H
(A.21)
∆
per ogni
∆
contenuto negli intervalli di variabilità di
λ.
E' facile vericare che i punti dello spettro residuo sono costituiti dai numeri
z ∈ C che non sono autovalori di A, ma tali che z̄ sia autovalore di A† .
†
Se A è un operatore simmetrico A ⊂ A e tutti gli autovalori di A sono anche
†
autovalori di A . Pertanto lo spettro residuo è costituito dai complessi coniugati
†
degli autovalori di A che non sono autovalori di A. Se si eettua un'estensione
complessi
simmetrica
Ã
di
A,
il che implica
A ⊂ à ⊂ Æ ⊂ A† ,
lo spettro residuo di
sione autoaggiunta
à risulta minore di quello di A. Nel caso si
à = Æ lo spettro residuo risulta vuoto.
ottenga un'estenL'ampiezza del-
lo spettro residuo è quindi correlata per un operatore simmetrico al grado di
allontanamento dalla condizione di autoaggiuntezza.
Se
A è un operatore simmetrico lo spetto σ(A) è un sottoinsieme dell'asse reale.
L'insieme risolvente di un operatore simmetrico ha quindi al più due componenti
disgiunte corrispondenti al semipiano superiore e al semipiano inferiore del campo
complesso. Per ogni numero complesso
z
con parte immaginaria diversa da zero
possiamo considerare il sottospazio ortogonale all'immagine di
(A − z).
Per
A
simmetrico si dimostra che la dimensione di questi sottospazi è costante in ogni
componente dell'insieme risolvente.
Si deniscono
indici di difetto dell'operatore A:
a)
m ≡ dim[ Ran(A − Z) ]⊥
Imz
>0
b)
n ≡ dim[ Ran(A − Z) ]⊥
Imz
<0
Esiste un'importante relazione tra gli indici di difetto di A e la molteplicità del†
†
l'autovalore z̄ di A . Indichiamo con (A )z̄ il sottospazio lineare degli autovettori
†
di A relativi all'autovalore z̄ .
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
78
Si ha:
a)
m ≡ dim(A† )z̄
Imz
>0
b)
n ≡ dim(A† )z̄
Imz
< 0.
La nozione di indice di difetto permette di classicare gli operatori simmetrici
densamente deniti. Possono vericarsi i seguenti casi:
1. se
m=n=0A
2. se
m = n 6= 0
3. se
m 6= n
l'operatore è autoaggiunto;
l'operatore ammette estensioni autoaggiunte;
ed uno dei due indici è nullo l'operatore non possiede estensioni
simmetriche e quindi autoaggiunte.
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
79
A.4 Operatori autoaggiunti e teorema spettrale
Teorema 16
1.
σ(A)
2.
A
Sia
A
un operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert
è un sottoinsieme chiuso di
H.
Allora:
R.
non ha spettro residuo;
3. Autovettori corrispondenti ad autovalori distinti sono ortogonali e l'insieme
delle autofunzioni proprie
{φk }
ed improprie
{φλ }
risulta completo nel senso
che qualsiasi elemento dello spazio può scriversi come
X
ψ=
dove
ck = (φk , ψ)
Supponiamo che
A
Z
ck φk +
c(λ) φλ dλ
(A.22)
c(λ) = (φλ , ψ) e
Z
X
2
2
kψk =
|ck | + |c(λ)|2 dλ < +∞.
e
sia un operatore autoaggiunto in
puntuale. Gli autovettori
φk
di
A
H
(A.23)
con spettro puramente
normalizzati come segue
(φi , φj ) = δij
costituiscono un insieme ortonormale completo in
(A.24)
H,
per cui qualunque vettore
dello spazio potrà esprimersi come:
χ=
∞
X
( φk , χ ) φk .
(A.25)
k=1
E' nota l'azione di
A
sui suoi autovettori
A φk = λk φk .
Usando la (A.25) e la linearità di
A
(A.26)
si ha
∞
∞
X
X
Aψ =
(φk , ψ) A φk =
λk (φk , ψ)
k=1
per ogni
ψ ∈ H.
(A.27)
k=1
La (A.27) si può anche scrivere come
Aψ =
∞
X
λ k Pk ψ
(A.28)
k=1
dove
Pk ψ = (φk , ψ) φk
è il proiettore di
ψ
sull'autovarietà generata da
maniera formale vale la seguente rappresentazione spettrale di
A
φk .
In
in termini dei
suoi autovalori e dei proiettori sulle sue autovarietà.
A=
∞
X
k=1
λk Pk .
(A.29)
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
80
La (A.29) implica ed è implicata dal fatto che valga per ogni elemento
dominio di
A
ψ
del
la relazione
(ψ, Aψ) =
∞
X
λk (ψ, Pk ψ) .
(A.30)
k=1
A (A.29) al caso in
λK è un autovalore generalizzato di A non
esiste alcun vettore φk ∈ H tale che A φk = λk φk , per cui non è possibile denire i
proiettori Pk . Scriviamo allora la rappresentazione spettrale (A.29) in una forma
Vogliamo ora generalizzare la rappresentazione spettrale di
cui
A
abbia anche spettro continuo. Se
che sia generalizzabile allo spettro continuo. Consideriamo il proiettore:
X
Eλ =
Pk
(A.31)
λk ≤ λ
dove gli autovalori discreti
tospazio
λk ≤ λ.
Mλ
λk sono ordinati per valori crescenti. Eλ proietta sull'au-
ottenuto come somma diretta degli autospazi relativi agli autovalori
La famiglia di proiettori
Eλ
è una risoluzione dell'identità in quanto sod-
disfa le condizioni della denizione 3. In particolare il teorema 16 garantisce che
Eλ
tenda all'identità per
Si noti che
λ
tendente all'innito.
(ψ, Eλ ψ) rappresenta la componente del vettore ψ con
λ. La funzione F (λ) = (ψ, Pλ ψ) è positiva, in quanto
energia
minore o uguale a
(ψ, Eλ ψ) = (ψ, (Eλ )2 ψ) = (Eλ ψ, Eλ ψ) = |Eλ ψ|2 ≥ 0
(A.32)
non decrescente e a peso totale uno per cui può essere utilizzata per denire una
misura di Stieltjes, che indicheremo con
d(ψ, Pλ ψ).
Secondo la denizione di integrale secondo Stieltjes regioni diverse dell'intervallo d'integrazione contribuiscono all'integrale in modo diverso: ad un intervallo
(a, b) si attribuisce un valore che non è dato come nell'integrazione ordinaria dalla dierenza (b−a), ma dalla dierenza µ(a, b) = F (b)−F (a) dove F (x) è
arbitrario
una funzione positiva e monotona non decrescente. A dierenza di quanto accade
con la misura di Lebesgue la misura di un intervallo può essere nulla (se
F (x) è
F (x)
costante sull'intervallo) e la misura di un solo punto può essere non nulla (se
è discontinua in quel punto). Utilizzando l'integrale di Stieltjes possiamo quindi
scrivere una somma come un integrale. E' suciente infatti considerare una funzione
F (x)
costante a tratti: tutti gli intervalli in cui la funzione risulta costante
non contribuiscono all'integrale perché, secondo la prescrizione di Stieltjes, il loro
F (b) − F (a). Al contrario,
denito valore x̃ dell'asse x, allora
peso risulta nullo, essendo proporzionale alla dierenza
se tra
a
e
b
la funzione
F (x)
fa un salto per un
l'unico intervallo contenuto tra questi due estremi che può contribuire all'integrale è quello che contiene il punto di discontinuità; in questo intervallo il salto
F (b) − F (a)
viene moltiplicato per il valore
f (x̃)
punto in cui avviene il salto. Utilizzando la misura
Z
della funzione integranda nel
d(ψ, Eλ ψ)
possiamo scrivere:
+∞
(ψ, A ψ) =
λ d(ψ, Eλ ψ) .
−∞
(A.33)
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
E' facile vedere che la famiglia di proiettori
Eλ
81
può essere denita anche nel caso
di spettro continuo. Si consideri infatti l'operatore
Z
P∆ ψ =
(φλ , ψ) φλ dλ
(A.34)
∆
dove con
φλ
sono indicate le autofunzioni improprie appartenenti agli autovalori
di un intervallo
∆
dello spettro continuo, normalizzate come segue:
( φλ , φλ0 ) = δ( λ − λ0 ).
L'operatore (A.34) risulta essere un proiettore. Infatti
(A.35)
P∆
è denito dappertutto,
H.
in quanto l'integrale a destra denisce in ogni caso un elemento di
Inoltre
utilizzando la (A.35) e l'ortogonalità tra stati dello spettro discreto e dello spettro
continuo si mostra che
P∆2 ψ
Z
Z
0
è idempotente ed hermitiano:
Z
0
dλ δ(λ − λ)(φλ , ψ) φλ0 =
dλ
=
P∆
∆
∆
dλ(φλ , ψ)φλ = P∆ ψ
(A.36)
∆
e
Z
(ψ, P∆ χ) =
dλ (ψ, φλ ) (φλ , χ) = (P∆ ψ, χ) .
(A.37)
∆
Se l'operatore
A
ha solo spettro continuo la famiglia di proiettori
Eλ
è data da
Zλ
Eλ ψ =
(φλ , ψ) φλ dλ
(A.38)
−∞
dove l'integrale è esteso sullo spettro continuo di
A.
La (A.33) consente di trattare in modo unicato il caso di spettro discreto, in
cui funzione cumulante
(ψ, Eλ ψ)
varia con discontinuità nei punti corrispondenti
agli autovalori, e quello di spettro continuo, in cui la funzione in questione cresce
con continuità.
Enunciamo quindi il teorema di risoluzione spettrale nella sua
forma più generale.
Teorema 17 (Teorema di risoluzione spettrale)
A è associata una risoluzione spettrale dell'identità
A
cioè una famiglia di operatori di proiezione Eλ che costituiscono una risoluzione
dell'identità tale che ∀ ψ ∈ D(A)
Z +∞
(ψ, Aψ) =
λ d(ψ, EλA ψ)
(A.39)
Ad ogni operatore autoaggiunto
−∞
dove
EλA ψ
è una funzione crescente che denisce l'integrale di Stieltjes al secondo
membro della (A.39).
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
82
Formalmente possiamo scrivere:
+∞
Z
λ dEλ
A=
(A.40)
−∞
dove la (A.40) va intesa nel senso della (A.39). La risoluzione spettrale dell'identità
associata all'operatore
A rende possibile lo sviluppo del calcolo funzionale per A; in
f (Â) mediante operatori
particolare è possibile trattare con osservabili della forma
f (A)
deniti formalmente da:
+∞
Z
f (λ)dEλ .
f (A) =
(A.41)
−∞
Fissato un intervallo
∆⊂R
possiamo scrivere l'operatore di proiezione di
A
su
∆
come:
E∆ (A) = χ∆ (A),
dove
χ∆
è la funzione caratteristica del'intervallo
(A.42)
∆.
Usando il teorema spettrale, il gruppo di operatori unitari ad un parametro
generato da A è denito come:
iAt
e
+∞
Z
eiλt dEλ .
=
(A.43)
−∞
In questo linguaggio la soluzione dell'equazione di Schrödinger è data da
i
| Ψ(t) i = e− } H(t−t0 ) |Ψ(t0 )i .
(A.44)
La (A.44) resta una scrittura formale no a quando non si conosca la risoluzione
spettrale relativa all'operatore
H.
La (A.44) è da intendersi, infatti, nel senso
seguente
(ψ, e
iHt
Z
+∞
ψ) =
eiλt d(ψ, Eλ ψ) .
(A.45)
−∞
Si noti che il secondo membro della (A.45) è la trasformata di Fourier della
iHt
misura, per cui conoscere l'operatore di evoluzione U = e
equivale a conoscere
la risoluzione spettrale di
H.
Il teorema spettrale può essere espresso anche in un'altra formulazione che
sottolinea come ogni operatore autoaggiunto possa essere rappresentato come operatore di moltiplicazione sullo spazio delle funzioni a quadrato sommabile rispetto
ad una qualche misura (detta misura spettrale).
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
83
A.5 Schiera spettrale e suddivisioni dello spettro
è la schiera spettrale di un operatore autoaggiunto A si può provare che
A
per tutti i vettori ψ ∈ H la misura d(ψ, Eλ ψ) ha supporto contenuto nello spettro σ(A) dell'operatore A. Una caratterizzazione di tale misura al variare di ψ
Se
Eλ
consente un'importante suddivisione dello spettro dell'operatore autoaggiunto
A.
Consideriamo il seguente teorema della teoria astratta della misura.
Teorema 18
Ogni misura
µ
sulla retta reale ha un'unica decomposizione
µ = µp.p. + µa.c. + µsing
(A.46)
dove
-
µp.p.
è una misura puramente a punti cioè può essere scritta come somma di
misure delta;
-
µa.c.
è assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue cioè per ogni
R
(a, b) esiste una funzione f localmente L1 tale che gdµ =
gf dx per ogni funzione di Borel 3 g ∈ L1 (R, dµ). Possiamo quindi scrivere
intervallo nito
R
dµ = f dx.
-
µsing
è singolare rispetto alla misura di Lebesgue cioè µ(S)
S tale che R \S ha misura di Lebesgue nulla 4 .
=0
per qualche
insieme
Utilizzando il teorema precedente possiamo dividere lo spazio di Hilbert
H
nella
maniera seguente.
Teorema 19
Sia A un operatore autoaggiunto sullo spazio di Hilbert
esiste un'unica decomposizione di
invariata da
H
H.
Allora
in tre componenti ortogonali ciascuna lasciata
A
H = Hp.p. ⊕ Ha.c. ⊕ Hsing
(A.47)
dove
- per ogni
ψ ∈ Hp.p.
- per ogni
ψ ∈ Ha.c.
la misura
d(ψ, EλA ψ)
la misura
è puramente a punti;
d(ψ, EλA ψ)
è assolutamente continua rispetto
d(ψ, EλA ψ)
è singolare rispetto alla misura di
alla misura di Lebesgue;
- per ogni
ψ ∈ Hsing
la misura
Lebesgue.
funzione di Borel se e solo se f −1 [(a, b)] è un insieme di Borel per
insiemi di Borel di R costituiscono la più piccola famiglia di sottoinsiemi di
3 Una funzione è detta
ogni
R
a, b.
Gli
che è chiusa rispetto a complementi ed unioni numerabili e contiene ogni intervallo aperto.
Generalmente parlando, gli insiemi di Borel sono gli insiemi che possono essere costruiti a partire
da insiemi aperti o chiusi prendendo ripetutamente unioni e intersezioni numerabili.
4 Per un esempio di misura singolare si veda [28, pag. 21].
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
84
Ciascuno dei sottospazi deniti nel teorema 19 è invariante sotto l'azione di
A.
Inoltre
A Hp.p.
A Ha.c.
ha un insieme completo di autovettori;
spettrale solo assolutamente continua;
A Hsing
ha misura
ha solo misure spettrali singolari.
Si deniscono i seguenti sottoinsiemi dello spettro.
Denizione 4
Spettro puramente puntuale
σpp (A):
insieme degli autovalori di
Spettro singolare
σac (A) = σ A Ha.c.
σsing (A) = σ A Hsing ;
Spettro continuo
σcont (A) = σ A Hcont ≡ Hsing ⊕ Ha.c.
Spettro assolutamente continuo
Poiché non abbiamo denito
σpp (A)
come
σ A Hp.p
A;
;
.
può accadere che
σac ∪ σsing ∪ σpp 6= σ.
(A.48)
σcont (A) = σac (A) ∪ σsing (A)
(A.49)
σ(A) = σpp (A) ∪ σcont (A)
(A.50)
Si ha invece sempre:
dove i diversi sottoinsiemi non devono essere necessariamente disgiunti. La suddivisione dello spettro qui riportata è quella seguita dal [28] ed è quella utilizzata nella
tesi. Alcuni autori usano invece la nozione di spettro continuo data a pag. 76. Il
seguente esempio è utile per mostrare la dierenza tra le due denizioni. Si consid1
2
erino lo spazio di Hilbert H = C⊕L [0, 1] e l'operatore A : hα, f (x)i → h α, xf (x)i.
2
1
Se si utilizza la denizione 4 dello spettro il punto λ =
appartiene sia allo spettro
2
puramente puntuale che allo spettro continuo. Con la nozione di spettro continuo
1
data a pag. 76 invece λ =
allo spettro puntuale mentre lo spettro
12 appartiene
1
continuo è costituito da 0,
∪
,
1
.
2
2
A partire dalle caratteristiche della famiglia spettrale
EλA
è possibile introdurre
un'altra utile suddivisione dello spettro. Si ha infatti che:
a)
b)
λ ∈ R appartiene allo spettro dell'operatore A se e solo se E(λ−ε,λ+ε) 6= 0 per
ogni ε > 0;
λ∈R
non appartiene allo spettro se esiste un
ε>0
per cui
E(λ−ε,λ+ε) = 0.
L'insieme di tutti questi reali e di tutti gli altri numeri complessi con parte
immaginaria non nulla formano l'insieme risolvente
z
per cui l'operatore
(A − z)
ρ(A) ossia l'insieme degli
è invertibile e ha inverso limitato.
Ciò suggerisce di distinguere tra due tipi di spettro:
Appendice A. Operatori lineari e teoria spettrale
85
Denizione 5
Spettro essenziale
che
E(λ−ε, λ+ε)
σess (A)
costituito dai punti dello spettro
è innito dimensionale
σdisc (A),
E(λ−ε, λ+ε) è nito
λ ∈ σ(A)
tali
∀ ε > 0.
Spettro discreto
costituito dai punti dello spettro per i quali il
proiettore
dimensionale per qualche
ε > 0.
A dierenza della decomposizione data dalla denizione 4, quest'ultima è una decomposizione in due sottoinsiemi disgiunti. Di essi
chiuso mentre
σdisc (A)
σess (A) è sempre chiuso. La prova di
λn → λ con ogni λn ∈ σess (A).
semplice. Sia infatti
I
intorno a
λ
non è necessariamente
questa ultima aermazione è
Poiché ogni intervallo aperto
contiene almeno un intervallo attorno a qualche
dimensionale per ogni intervallo
I
λn , EI (A)
è innito
considerato.
I seguenti teoremi, riportati senza dimostrazione, danno descrizioni alternative
di
σess (A)
e
σdisc (A).
Teorema 20 λ ∈ σdisc (A)
se e solo se sono soddisfatte entrambe le seguenti
richieste:
1.
λ
è un punto isolato di
σ(A),
cioè per qualche
ε
si ha
(λ − ε, λ + ε) ∩ σ(A) = {λ}.
2.
λ
è un autovalore di molteplicità nita cioè
{ψ : Aψ = λψ}
è nito dimen-
sionale.
Teorema 21 λ ∈ σess (A)
se e solo se almeno una delle seguenti richieste è
soddisfatta:
1.
λ ∈ σcont (A) ≡ σac ∪ σsing (A);
2.
λ
è un punto di accumulazione di
3.
λ
è un autovalore di molteplicità innita.
σpp (A);
Si dimostra (si veda [28, pag. 106]) che lo spettro essenziale non può essere rimosso da alcuna perturbazione nito dimensionale. Infatti si ha
nel caso in cui
A−B
è compatto.
σess (A) = σess (B)
Appendice B
Interazioni puntuali
B.1 Costruzione di interazioni puntuali
Nel capitolo 4 (pag. 47) si è denito Hamiltoniano con interazione puntuale ogni
estensione autoaggiunta dell'operatore
D(Ĥ) = C0∞ ( Rd \ {y1 , . . . , yn } ),
Ĥ = −∆,
dove i punti
y1 , . . . , yn ∈ Rd
(B.1)
sono i centri dell'interazione. Nel classicare total-
mente gli Hamiltoniani di interazione puntuale seguiremo la teoria di Krein sulle
estensioni autoaggiunte di operatori simmetrici, anche se allo stesso scopo possono essere utilizzate molte e diverse tecniche matematiche. Per ricercare l'intera
famiglia di estensioni autoaggiunte del'operatore (B.1) è utile ricavare informazioni
sul suo aggiunto. Dalla denizione di
Ĥ
deriva che:
( ψ, −∆φ ) = ( −∆ψ, φ ) ∀ψ ∈ H 2 (Rd ), ∀φ ∈ D(Ĥ)
essendo
D(Ĥ) ⊂ H 2 (Rd ).
(B.2)
Dalla disuguaglianza di Schwartz inoltre
| (−∆ψ, φ ) | ≤ k ψ k H 2 k φ k L2
dove
Z
k ψ k H2 =
1 Con
H 2 (Rd )
1 + |k|2
2
| ψ̃(k) | 2 dk 1 .
f ∈ L2 (Rd ) con
d
derivata generalizzata in L (R ). In generale, dato un sottoinsieme Ω di R ,
s
2
indicati con H (Ω), s ∈ N, i seguenti sottoinsiemi di L (Ω):
n
o
H s (Ω) = f ∈ L2 (Ω) | ∀ | α | ≤ s, ∂xα f ∈ L2 (Ω)
è indicato lo spazio di Sobolev delle funzioni
2
d
(B.3)
(B.4)
prima e seconda
per
d ≥ 1,
sono
α = (α1 , . . . , αd ), | α | = α1 +. . .+αd e le derivate ∂xα f = ∂xα11 f . . . ∂xαdd f sono intese in sens
so debole. Gli spazi H sono spazi di Hilbert rispetto al prodotto scalare seguente, denito in terP
2
α
α
mini del prodotto scalare di L (Ω), (f , g)H s (Ω) =
α≤n (∂x f, ∂x g)L2 (Ω) e possono essere ugualR
2
(1 + | k | 2 )s | fˆ(k) | 2 dk
mente deniti come gli spazi delle funzioni f con norma k f k H s (Ω) =
Ω
dove
nita.
86
Appendice B. Interazioni puntuali
87
F (φ) = (ψ, −∆φ) denito ∀φ ∈ D(Ĥ) è limitato
H (R ) ⊆ D(Ĥ † ). Si consideri ora la funzione o più in
La (B.3) implica che il funzionale
2
d
2
∀ψ ∈ H (R ),
d
ovvero che
z
generale distribuzione Gi tale che:
(−∆ − z)Giz = δyi ,
(B.5)
−1
in modo da essere certi che il risolvente (−∆ − z)
z
esista limitato. In tutte le dimensioni Gi è la trasformata di Fourier inversa di
avendo considerato
z ∈ C\R+
G̃z (~k) =
Supposto
Giz ∈ L2
ei k·yi
.
(k 2 − z)
(B.6)
vale:
(Giz , Ĥφ) = (−∆Giz , φ) = (δyi , φ) + (zGiz , φ) = (zGiz , φ)
(B.7)
C0∞ Rd \{y1 , . . . , yn }. Giz è quindi
†
z
autofunzione di Ĥ con autovalore z. D'altra parte le Gi e le loro derivate sono
le uniche distribuzioni che soddisfano la (B.7). Infatti le δyi con le loro derivate
z
sono le uniche distribuzioni con supporto sull'insieme discreto {y1 , . . . , yn } e le Gi
poiché le
δy i
danno zero su tutte le funzioni
le uniche soluzioni soddisfacenti la (B.5).
Indichiamo con
Nz ⊂ L2 (Rd )
Ĥ † relativo all'autovalore z ∈ C.
Giz e le loro derivate, a patto che
l'autospazio di
Tale autospazio conterrà tutte le distribuzioni
2
queste appartengano a L . A seconda del numero di dimensioni si vericano tre
casi:
-
-
d = 1 : Giz e le sue
con n il numero di
d = 2, 3 :
punti in cui si verica
d ≥ 4
:
Giz appartengono
dim(Nz ) = n;
le distribuzioni
derivate. In questo caso
-
L2 (R), pertanto, indicato
interazione dim(Nz ) = 2n;
derivate prime appartengono a
dim(Nz ) = 0
a
L2 (R),
poiché nessuna funzione di
ma non così le loro
L2 (R)
soddisfa la (B.7).
z
Infatti, dall'espressione (B.6) della trasformata di Fourier di Gi si vede che
G̃z (~k) appartiene ad L2 (Rd ) solo se d ≤ 3, cioè solo in questo caso G̃z (~k) può
rappresentare lo stato di un sistema sico.
La dimensione dei sottospazi
Nz
è quindi costante al variare di
z
nel piano com-
plesso (al di fuori dell'asse reale positivo) e dipende solo dalla dimensione e dal
numero di punti di interazione.
2
d
Abbiamo visto come i sottospazi Nz siano contenuti, insieme a H (R ), nel
†
dominio di Ĥ . Utilizzando una formula generale di decomposizione, nota come
2
d
formula di Von Neumann, è possibile mostrare che H (R ) e i sottospazi Nz cos†
tituiscono l'intero dominio di Ĥ . La formula di Von Neumann aerma che se
A
è un operatore simmetrico densamente denito su uno spazio di Hilbert sepa-
rabile
H,
allora il dominio del suo aggiunto è completamente caratterizzato dal
Appendice B. Interazioni puntuali
fatto che
∀z
tale che Imz
> 0,
ogni vettore
88
f
nel dominio di
A†
ammette un'unica
decomposizione
f = f0 + f z + f z̄ ,
(B.8)
z
z̄
appartiene alla chiusura del dominio di A mentre f ed f appartengono
†
2
†
agli autospazi di A relativi agli autovalori z e z̄ . L'azione di A su f è ovviamente
dove
f0
data da
A† f = A f0 + z f z + z̄ f z̄ .
Nel caso dell'operatore
Ĥ
(B.9)
la (B.9) diventa:
Ĥ † f = H0 f0 + z f z + z̄ f z̄
(B.10)
f0 ∈ H 2 (Rd \{y1 , . . . , yn }). La (B.9) fornisce la strategia per costruire estensioni autoaggiunte di Ĥ . E' suciente infatti individuare quei sottospazi dello
†
spazio lineare delle funzioni in Nz e Nz̄ sui quali Ĥ agisce come un operatore
autoaggiunto (se gli Nz hanno dimensione nita è suciente vericarne la simmetria). A ciascuna scelta di un sottospazio corrisponderà un'estensione di Ĥ (o
†
equivalentemente una restrizione di Ĥ ) autoaggiunta. Un'immediata applicazione
dove
di questo metodo costituisce la prova del fatto che a dimensioni maggiori di tre
non esiste alcuna estensione autoaggiunta di
in quanto gli autospazi
Nz
Ĥ
diversa dal laplaciano libero
sono tutti vuoti.
2 Per la dimostrazione della formula di Von Neumann si veda ad es. [2].
H0 ,
Appendice B. Interazioni puntuali
89
B.2 Interazione puntuale in tre dimensioni
con un unico centro di interazione
Vediamo i dettagli della costruzione delle estensioni autoaggiunte di
Ĥ
di una sola interazione puntuale, in tre dimensioni, posizionata nel punto
z
L'espressione della funzione di Green G (x) per d = 3 è la seguente:
nel caso
y ∈ R3 .
√
ei z | x |
G z (x) =
4π | x |
(B.11)
Per la (B.8) si ha
n
o
2
3
z
z̄
D(Ĥ ) = f ∈ L (R ) : f = f0 + β G (· − y) + γ G (· − y) ,
†
con
f0 ∈ H 2 (Rd \ {y}).
L'azione di
Ĥ †
su
f
(B.12)
è data da:
Ĥ † f = −∆ f0 + β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y) .
Il passo successivo consiste nel cercare i sottospazi di
Nz
ed
Nz̄
su cui
(B.13)
Ĥ †
agisce
come operatore simmetrico. A questo scopo è suciente ricercare le condizioni su
z
z̄
una generica combinazione lineare di elementi di G e G per le quali il prodotto
scalare
β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y) , Ĥ † β z G z (· − y) + γ z̄ G z̄ (· − y)
| β | 2 z + | γ | 2 z̄ k G z k 2 + 2< γ̄ β (G z , G z̄ )
=
(B.14)
è un numero reale. Ciò accade se e solo se | β | = | γ | o, equivalentemente, se
β = eiφ γ . Esiste quindi una famiglia ad un parametro di estensioni autoaggiunte
†
di Ĥ (o restrizioni autoaggiunte di Ĥ ) denite come segue:
D(Hφ,y ) =
n
o
f ∈ L2 (R3 ) | f = f0 + β G z (· − y) + β eiφ G z̄ (· − y)
Hφ,y f = −∆f + β z G z + β eiφ z̄ G z̄ (· − y) .
(B.15)
E' utile dare una descrizione alternativa di questa famiglia. Osserviamo che attorno
ad
x=y
√
i z
1
+
+ g00 ,
G (x − y) =
4π | x − y |
4π
z
g00 una funzione
λ > 0 si ha:
con
regolare che si annulla in
x = y.
Denito
(B.16)
Gλ = G z=−λ
G z (x − y) + eiφ G z̄ (x − y) − (1 + eiφ ) Gλ (x − y)
√
√
√
i z
λ
iφ i z̄
=
+ e
+
(1 + eiφ ) + g0
4π
4π
4π
√
λ
iφ
= (1 + e )( α +
) + g0 ,
4π
con
(B.17)
Appendice B. Interazioni puntuali
dove
g0
90
x = y mentre
√
√
< z
φ
= z
α =
tan −
.
4π
2
4π
è una funzione regolare che si annulla in
(B.18)
Utilizzando la (B.17) si ottiene:
f (x) = f0 (x) + β G z (x − y) + eiφ G z̄ (x − y)
√
λ
= f0 (x) + β (1 + eiφ )( α +
) + g0 (x) + β (1 + eiφ )Gλ (x − y) ,
4π
dove
Gλ (x − y)
rappresenta la parte di
f
singolare nel punto
x = y
(B.19)
in cui è
concentrata l'interazione, mentre la restante parte, che indichiamo con Φλ (x), è
iφ
regolare nello stesso punto. Si noti che il coeciente q = β (1 + e ) che si trova
davanti alla parte singolare può essere scritto in termini di
q=
Φλ (y)
√
λ
4π
α+
Φλ :
.
(B.20)
Possiamo pertanto caratterizzare le funzioni appartenenti ai domini delle diverse
estensioni autoaggiunte attraverso una relazione che connette il loro comportamento nella singolarità con il valore assunto nello stesso punto dalla parte regolare. Per
ogni
α∈R
esiste una estensione autoaggiunta di
Ĥ
denita nel modo seguente:
D(Hα,y ) = f ∈ L2 (R3 ) | f = Φλ + q Gλ (· − y), Φλ ∈ H 2 (R3 ), q =
Φλ (y)
√
α + λ/4π
.
(B.21)
L'azione di
Hα,y
sul suo dominio è data da:
Hα,y f = Hα,y Φλ + q Gλ (· − y) = −∆ Φλ − q λ Gλ (· − y)
da cui, aggiungendo ad entrambi i membri
(B.22)
+λ f
Hα,y + λ f = −∆ + λ Φλ .
(B.23)
−1
2
3
La (B.21) implica che l'azione del risolvente (Hα,y + λ)
su funzioni di H (R \ {y})
−1
è identica a quella di (−∆ + λ
essendo in questo caso q = 0. Poiché D(Hα,y ) è
−1
il codominio del risolvente (Hα,y + λ)
si ha
(Hα,y + λ)−1 g(x) = Φλ (x) + q Gλ (x − y)
da cui, applicando
(Hα,y + λ)
(B.24)
ad ambo i membri, si ottiene
g(x) = (−∆ + λ) Φλ .
(B.25)
Quest'ultima relazione implica che
Φλ (x) = Gλ g (x) .
(B.26)
Appendice B. Interazioni puntuali
91
Utilizzando la (B.26) nella (B.24) si ha inne:
(Hα,y + λ)−1 g(x) = Gλ g (x) +
L'espressione del risolvente di
Hα,y
1
√
Gλ g (y) Gλ (x − y)
α + λ/4π
(B.27)
dierisce da quella del risolvente del laplaciano
solo per la presenza del secondo termine della (B.27), proporzionale al proiettore
sullo stato
Gλ (x − y); tale termine va a
α come una costante di
può considerare
zero per
α → ∞,
mostrando che non si
accoppiamento. Il signicato sico di
α
diventa chiaro se si studia la teoria della diusione per Hamiltoniani con interazione
puntuale; si trova infatti che
all'Hamiltoniano
α
è l'inverso della lunghezza di diusione associata
Hα,y .
Dall'espressione esplicita del risolvente si deducono immediatamente le proprietà spettrali di
Hα,y .
secondo termine per
Lo spettro coincide con quello di
α<0
H0
tranne per il fatto che il
aggiunge un punto allo spettro discreto:
-
σ(Hα,y ) = [ 0, ∞ ]
-
σ(Hα,y ) = {−16π 2 α2 } ∪ [ 0, ∞ ]
per
α≥0
per
α < 0.
La parte continua dello spettro è assolutamente continua. Si noti che per α > 0,
2
2 2
non essendo Gλ una funzione di L , λ = −16π α non rappresenta un autovalore.
Per
α < 0
l'unico autovalore è non degenere e vi corrisponde la seguente
autofunzione normalizzata:
ψα (x) =
Per ogni valore di
α ∈ R,
√
e4πα | x−y |
.
|x − y|
−2α
(B.28)
le autofunzioni improprie corrispondenti alle energie
E
dello spettro continuo sono
ψα (k, x) =
con
1 ik·x
eiky
ei | k | | x−y | e
−
(2π)3/2
α − i | k | /(4π) | x − y |
(B.29)
| k | 2 = E.
La forma esplicita della decomposizione spettrale di
rispondente autofunzione (nel caso
α < 0)
Hα,y
in termini della cor-
e delle autofunzioni generalizzate ci
consente di scrivere la soluzione dell'equazione di Schrödinger
i
per qualunque stato iniziale
∂ψt
= Hα,y ψt
∂t
(B.30)
ψ0 ∈ L2 (R3 ) come un integrale sulla misura spettrale.
In particolare la trasformata di Laplace inversa del risolvente dà l'espressione per
l'operatore di evoluzione corrispondente alla dinamica descritta dalla (B.30). Si
trova:
ψt (x) = U0 (t)ψ0 (x) + i
Z
t
ds U0 ( t − s; | x − y | ) q(s)
0
(B.31)
Appendice B. Interazioni puntuali
dove con
U0
92
si è indicato il propagatore libero
| x−x0 | 2
e 4t
U0 (t; x − x0 ) =
(4π i t)3/2
mentre
q(t)
(B.32)
è soluzione dell'equazione
Z t
√
√ Z t U0 (s)ψ0 (y)
q(s)
√
q(t) + 4 iπ α
ds √
= 4 iπ ds
.
t−s
t−s
0
0
(B.33)
La (B.31) mostra che l'evoluzione di uno stato dovuta ad una hamiltoniana con
interazione puntuale in
x = y
è data dalla sovrapposizione della sua evoluzione
libera con un termine che rappresenta onde sferiche generate nel centro di interazione. Il coeciente
q
della parte singolare delle funzioni appartenenti a
rappresenta la carica che genera l'onda.
D(Hα,y )
Appendice B. Interazioni puntuali
93
B.3 Generalizzazione a n centri
Si vuole denire l'Hamiltoniano di interazione puntuale in tre dimensioni nel caso
Il procedimento di estensione dell'operatore Ĥ è analogo
+
al precedente tuttavia, essendo dimNz = n ∀z ∈ C \ R , la ricerca dei sottospazi
†
su cui Ĥ è simmetrico è più complicata. Si trova che Ĥ è autoaggiunto se esteso
V
ai sottospazi Nz formati dalle combinazioni lineari del tipo fz + V fz , con fz ∈ Nz
e V operatore unitario da Nz a Nz̄ . Si noti che per n = 1 l'operatore V è unico
iφ
2
e pari a e . In generale invece esiste una famiglia n -dimensionale di matrici
2
complesse unitarie che connettono Nz con Nz̄ (perché n è il numero di parametri
di
n centri di interazione.
reali necessari per individuare
autoaggiunta di
V );
ad ogni scelta di
V
corrisponde un'estensione
Ĥ .
n-dimensionale di estensioni autoaggiunte è quelV
la che corrisponde ad una scelta degli Nz con V operatore unitario diagonale. Ne
3
riportiamo di seguito le proprietà. Siano y = {y1 , . . . , yn } con yi ∈ R e i = 1, . . . , n
i centri di interazione. Per ciascuna ennupla di numeri reali α = {α1 . . . , αn } ci
Una particolare sottofamiglia
sarà un Hamiltoniano di interazione puntuale denito come segue:
n
n
X
2
3
D(Hα,y ) = u ∈ L (R ) | u = φλ +
qk Gλ (· − yk ), φλ ∈ H 2 (R3 ),
k=1
φλ (yj ) =
n
X
Γα,y (λ)
q , j = 1, . . . , n
jk k
o
(B.34)
k=1
dove
Γα,y (λ)
jk
√ λ
= αj +
δjk − Gλ (yj − yk )(1 − δjk ) .
4π
(B.35)
L'operatore (B.34) agisce nel modo seguente:
(Hα,y + λ) u = (−∆ + λ) φλ .
Per ogni funzione regolare
q=0
u ∈ D(Hα,y )
che si annulla nei punti
(B.36)
y1 , . . . , y n
si ha
e dalla (B.36)
Hα,y u = −∆ u ,
(B.37)
come atteso trattandosi di una Hamiltoniano di interazione puntuale.
L'ultima
uguaglianza nella (B.34) è la condizione al bordo che gli elementi del dominio
yj . Denendo rj = | x − yj | (rj è
interazione j -esimo) tale condizione può essere
devono soddisfare in ogni punto
quindi la
distanza dal centro di
scritta in
maniera equivalente come:
∂(rj u)
lim
− 4π αj (rj u)
rj →0
∂rj
La particolare forma della matrice
V
= 0,
j = 1, . . . , n .
(B.38)
ci permette quindi di scrivere la condizione al
contorno separatamente in ciascun punto
yi .
In altre parole la famiglia di estensioni
Appendice B. Interazioni puntuali
94
autoaggiunte (B.34) può essere caratterizzata, così come nel caso unidimensionale,
dal comportamento delle funzioni attorno a ciascun centro di interazione. E' questo
il motivo per cui tale famiglia è detta locale.
Per trovare le proprietà spettrali di (B.34) è suciente conoscere la forma
esplicita del risolvente.
Con un procedimento analogo al caso di un solo centro
2
3
diusore, usando la (B.36), si trova che ∀f ∈ L (R ) la soluzione u dell'equazione
(Hα,y + λ) u = f
(B.39)
u = Gλ f + q Gλ (· − y)
(B.40)
può essere scritta nella forma
dove le cariche
q
sono determinate imponendo le condizioni al contorno (B.34) o
(B.38). Si ha:
−1
(Hα,y + λ)
= Gλ +
n
X
Γα,y (λ)
−1
jk
Gλ (· − yj ) Gλ (· − yk )
(B.41)
j,k=1
con
λ
reale positivo abbastanza grande, in modo che la matrice
Γ
3
sia invertibile .
Dall'analisi della (B.41) si trova che tutti i punti dell'asse reale positivo apparten-
n autovalori
E ≥ 0 dell'equazione det Γα,y (−E) = 0. Le
gono allo spettro continuo, mentre lo spettro discreto consiste al più di
negativi dati dalle eventuali soluzioni
autofunzioni proprie ed improprie possono essere esplicitamente calcolate.
Rispetto al caso di un unico centro di interazione, il risolvente contiene una
{yj }. In particolare la parte fuori
Gλ (yj −yk ). Se le distanze (yj −yk ) tra i
vari punti in cui avviene l'interazione sono grandi rispetto alle αj , Γ è praticamente
diagonale e gli autostati di Hα,y sono dati dalle funzioni di Green Gλ posizionate
matrice
Γ
che lega i diversi centri diusori
diagonale di tale matrice è proporzionale a
intorno ai vari centri di interazione. Se al contrario questi ultimi sono vicini tra
loro rispetto all'intensità dell'interazione l'autostato non è concentrato intorno a
qualche singolo centro diusore, ma è distribuito nell'intera regione in cui si verica
l'interazione.
3 Qualsiasi operatore autoaggiunto
H
che rappresenti l'energia di un sistema sico deve essere
limitato dal basso, ovvero il suo spettro deve ammettere un estremo inferiore nito. Esiste quindi
nito
(H + λ)−1
con
λ
reale positivo abbastanza grande.
Appendice B. Interazioni puntuali
95
B.4 Interazioni puntuali in una dimensione
Nel caso unidimensionale, poiché
giunte di
Ĥ
dim Nz = 2n,
la famiglia di estensioni autoag-
è ancora più ricca della precedente. Se si ha un solo centro di inte-
razione la dimensione di
Nz
è due e la famiglia di operatori autoaggiunti è una
famiglia a quattro parametri reali. Le diverse estensioni autoaggiunte che si ottengono in questo caso possono essere caratterizzate tramite la condizione al bordo
soddisfatta dalle funzioni appartenenti al loro dominio che in generale è:
φ(y + ) = η a φ(y − ) + η b
dφ −
(y )
dx
dφ
dφ +
(y ) = η c φ(y − ) + η d (y − )
dx
dx
con
(B.42)
η ∈ C, | η | = 1; a, b, c, d ∈ R, ad − bc = 1.
Di seguito sono riportate, senza entrare nei dettagli della loro costruzione, le
proprietà di due particolari sottofamiglie di estensioni autoaggiunte in una di0
mensione, note come interazioni δ e δ . Per una trattazione completa si rimanda
al [3].
L'Hamiltoniano di interazione delta con un unico centro (posizionato in
Hα,y
y ∈ R)
è denito come
D(Hα,y ) =
n
φ ∈ H 1 (R) ∩ H 2 (R \{y}) |
o
dφ +
dφ
(y ) − (y − ) = α φ(y), α ∈ R
dx
dx
(B.43)
cioè si ottiene per
η = a = 1, b = 0, c = α, d = 1.
Hα,y φ = −
d2 φ
dx2
per
Per ogni
φ ∈ D(Hα,y )
x 6= y .
(B.44)
Il nucleo integrale del risolvente è:
(Hα,y + λ)−1 (x, x0 ) =
e
√
− λ | x−x0 |
√
2 λ
√
√
√
− λ | x−y | − λ | x0 −y |
2α λ e
e
√
√
√
−
.
α+2 λ
2 λ
2 λ
Analizzando le singolarità del risolvente si trova lo spettro di
σ(Hα,y ) = [0, +∞), α ≥ 0
α2
σ(Hα,y ) = −
∪ [0, +∞),
4
α < 0.
(B.45)
Hα,y :
(B.46)
In entrambi i casi lo spettro continuo coincide con la semiretta reale positiva; l'unico autovalore, che si ha per
normalizzata è:
α < 0, è non degenere e la corrispondente autofunzione
r
α α
(B.47)
Ψα (x) = − e 2 | x−y | .
2
Appendice B. Interazioni puntuali
96
A partire dall'espressione del risolvente si ottiene l'equazione implicita per la
soluzione dell'equazione di Schrödinger (corrispondente alla (B.31) in
ψt (x) = U0 (t)ψ0 (x) + i
Z
d = 3):
t
ds U0 ( t − s; | x − y | ) ψs (y)
(B.48)
0
dove
U0
è il propagatore libero in una dimensione e
ψ0
lo stato iniziale del sistema.
La (B.48) mostra che l'evoluzione data dall'Hamiltoniano con interazione delta è
completamente determinata dall'evoluzione libera di
ψ0
e da
ψt (y), che a sua volta
soddisfa l'equazione integrale:
ψt (y) = U0 (t)ψ0 (y) + i
t
Z
ds U0 ( t − s; 0) ψs (y) .
(B.49)
0
E' interessante introdurre la forma quadratica associata all'operatore
D(Fα,y ) = H 1 (R)
Z
dx | ∇ u | 2 + α | u(y) | 2 .
Fα,y (u) =
Hα,y :
(B.50)
(B.51)
R
Si noti che il dominio di forma di
Hα,y
4
è uguale al dominio di forma del laplaciano .
n interazioni
{α1 , . . . , αn } ≡ α:
In termini di forme è immediata la generalizzazione al caso di
delta centrate nei punti
{y1 , . . . , yn } ≡ y
e di intensità
D(Fα,y ) = H 1 (R)
(B.52)
Z
dx | ∇ u |
Fα,y (u) =
2
n
X
+
R
αj | u(yj ) | 2
(B.53)
j=1
La (B.53) mostra che, a dierenza di quanto accade a dimensioni più alte, per
d = 1 le interazioni delta sono additive e i parametri dinamici αi giocano il ruolo di
costanti di accoppiamento, nel senso che per αi → 0, ∀ i = 1 . . . , n l'Hamiltoniano
con interazione delta si riduce all'Hamiltoniano libero.
Proprio un insieme di interazioni delta in una dimensione fu usato da Kronig
e Penney nel 1931 per costruire un modello di dinamica di un elettrone in un
cristallo.
4 Con un'integrazione per parti è immediato vedere che la forma quadratica associata al
laplaciano è
( φ , −∆ψ ) =
dφ
dx
,
dψ .
dx
Il dominio di tale forma è lo spazio delle funzioni per cui ha senso il prodotto scalare suddetto
ovvero
H 1.
Appendice B. Interazioni puntuali
97
L'altra sottofamiglia di estensioni autoaggiunte di
0
come interazione δ si ottiene ssando η = a = 1, b
0
, nota
Ĥ per d = 1, Hβ,y
= β, c = 0, d = 1, cui
corrisponde la condizione al bordo
φ(y + ) − φ(y − ) = β
L'interazione
una funzione
β∈R
(B.54)
δ 0 può essere denita anche attraverso l'azione del suo risolvente su
f ∈ L2 (R). Indicando con y ∈ R il punto di interazione, per ogni
vale:
0
+ λ)−1 f = (−∆ + λ)−1 f +
(Hβ,y
dove si è indicata con
G0λ
G0λ =
λ 6= (2/β)2
se
β < 0.
2βλ
√ G0λ (· − y) G0λ f (y) ,
2+β λ
la derivata della funzione di Green per
(
e
dφ −
(y ) .
dx
(B.55)
z = −λ, λ > 0
√
− 12 e−√ λ | x−y | ,
1 − λ | x−y |
,
e
2
Lo spettro di
0
Hβ,y
x>y
x<y
(B.56)
è
σ(Hβ,y ) = [0, +∞), β ≥ 0
4
σ(Hβ,y ) = − 2 ∪ [0, +∞),
β
β < 0.
(B.57)
Per una trattazione dettagliata delle perturbazioni puntuali del laplaciano in
1, 2
e
3
dimensioni, con
1, N
e
∞
centri diusori si veda [3].
Appendice B. Interazioni puntuali
98
B.5 Interazioni puntuali come limiti di potenziali
Generalmente, sia in meccanica classica (nell'ambito della teoria hamiltoniana)
che in meccanica quantistica, per descrivere la dinamica di un sistema sico si
procede individuando un potenziale di interazione
del sistema come
H = H0 + V ,
dove
H0
V
e scrivendo l'Hamiltoniano
è l'Hamiltoniano di particella libera. Tale
decomposizione non è una richiesta fondamentale in meccanica quantistica; l'unica
richiesta è che
H
sia autoaggiunto.
Le interazioni puntuali sono un esempio in cui gli Hamiltoniani sono non convenzionali, nel senso che la richiesta di interazione a range nullo porta all'impossibilità di rappresentare con un potenziale
V
l'interazione stessa.
Infatti, se
di considera l'Hamiltoniano (B.1) e si sfruttano le tecniche standard della teoria
perturbativa per
H = H0 + λV
si ottiene la seguente serie di Von Neumann
(H − z)−1 = (H0 − z)−1 − λ (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1
+ λ2 (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1 V (H0 − z)−1 + . . .
(B.58)
k λ V k < ∆0 (z), avendo indicato con ∆0 (z)
z dallo spettro di H0 . In termini dei nuclei integrali
che converge assolutamente per
quadrato della distanza di
il
Gz (x, y) :
(H − z) Gz (x, y) = δ(x − y)
(B.59)
Gz0 (x, y) :
(H − z) Gz0 (x, y) = δ(x − y)
(B.60)
la (B.58) diventa:
Gz (x, y) =
Gz0 (x, y)
+ λ
2
Z
− λ
ZZ
Gz0 (x, w) V (w) Gz0 (w, y) d d w
Gz0 (x, w) V (w) Gz0 (w, v) V (v) Gz0 (v, y) d d w d d v + . . . .
(B.61)
In dimensioni maggiori di uno
per
Gz0 (x, y)
è singolare per
ei
√
x = y,
ad esempio
z | x−y |
d=1
Gz0 (x, y)
= −
d=3
Gz0 (x, y)
ei z | x−y |
=
,
4π | x − y |
√
2i z
(B.62)
√
per
mentre sul resto della retta reale né
Gz0
(B.63)
né la sua derivata prima hanno singolarità.
Andando a sostituire nello sviluppo (B.61) la delta di Dirac al potenziale
V
si ha
che i termini di ordine superiore al primo esplodono nel caso d > 1. Nel caso
d = 1, invece, le interazioni δ e δ 0 possono essere denite all'interno dello schema
perturbativo classico.
Appendice B. Interazioni puntuali
99
Anche se l'Hamiltoniano di interazione puntuale non può essere scritto come
somma di un Hamiltoniano libero e di un potenziale, data l'importanza che tale
decomposizione assume in meccanica quantistica, viene naturale chiedersi se le
interazioni puntuali possano essere viste come limiti di potenziali a corto range
5
opportunamente riscalati .
Per
d = 1
V.
δ(x)
ciò avviene sotto condizioni molto generali per il potenziale
Consideriamo il caso di una sola interazione puntuale in
x = 0.
La funzione
può essere approssimata in termini di distribuzioni considerando un potenziale
R
V (x) ∈ C0∞ (Rd ) (o che decade esponenzialmente all'innito) tale che R V (x)dx =
1. Allora:
x
1
V
εd
ε
−−−→
δ(x) ,
+
(B.64)
ε→0
dove la convergenza nella (B.64) è intesa nel senso delle distribuzioni ovvero
1
εd
∀ φ(x)
Z
V
x
ε
Z
φ(x) dx −−−→
φ(0) =
+
φ(x) δ(x) dx
(B.65)
ε→0
continua. Si denisca quindi l'Hamiltoniano
Hε = −∆ +
Se per
ε → 0+ Hε
1
V ε−1 x .
ε
(B.66)
converge (in un senso che preciseremo subito dopo) ad un
Hamiltoniano diverso dal laplaciano libero e con un'interazione nell'origine, avremo
dimostrato che l'Hamiltoniano di interazione puntuale può essere ottenuto come
limite di potenziali. Si consideri la forma quadratica associata a (B.66):
( φ , Hε ψ ) =
dφ dψ 1
,
+ φ , V ε−1 x ψ
dx dx
ε
denita nel dominio di forma del laplaciano
φ,
H 1.
1
V ε−1 x ψ
−−−→
ε→0+
ε
Nel limite
(B.67)
ε → 0+
φ̄(0) ψ(0) .
(B.68)
In una dimensione φ̄(0) ψ(0) ha senso per ogni funzione che appartiene al dominio
1
di forma H in quanto per d = 1 ogni funzione che ammette derivata generalizzata
è regolare, per cui esistono
forma
( φ , Hε ψ )
φ(0)
e
ψ(0).
Poiché
φ̄(0) ψ(0)
esiste nel dominio, la
converge alla forma di un operatore non banale
Hint
dato da
dφ dψ ( φ , Hint ψ ) =
,
+ φ̄(0) ψ(0) .
dx dx
In generale, nel caso di n centri di interazione si dimostra che per ogni
V ∈ L1 (R) l'Hamiltoniano
n
1 X
Hε = −∆ +
Vj ε−1 (x − yj )
ε j=1
5 Dove riscalare un potenziale
ε
−a
V (ε−1 x)
con
a ∈ R+
e
ε → 0+
V
.
(B.69)
ε>0
e
(B.70)
vuol dire eettuare un limite ad un paramentro del tipo
Appendice B. Interazioni puntuali
è tale che, per
λ
100
sucientemente grande si ha
lim k (Hε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0
(B.71)
ε→0
con
αj =
Per
R
R
dx Vj (x).
d = 2, 3
invece esistono funzioni di
H1
6
che non sono continue , per cui il
procedimento visto non denisce in alcun modo una forma e quindi un operatore.
Hε nel limite ε → 0+ si riduce
all'Hamiltoniano libero, a meno che il potenziale V non appartenga ad una classe
molto ristretta di potenziali, quelli tali che H = −∆ + V abbia una risonanza ad
In particolare in tre dimensioni l'operatore
energia zero, ovvero
∃ ψ ∈ L2loc (R3 ) , ∇ψ ∈ L2 (R3 ) :
In questo caso
(−∆ + V ) ψ = 0 .
ψ è chiamata funzione risonante ad energia zero.
(B.72)
Nel caso di un solo
centro di interazione, la richiesta (B.72) è vericata se considerato un potenziale
V ∈ L2 (R3 ) :
esiste un'unica funzione
ξ ∈ L2 (R3 )
(1 + | · | ) V ∈ L1 (R3 )
tale che
(u G0 v) ξ = − ξ,
( v , ξ ) 6= 0
(B.73)
dove
u(x) = | V (x) | 1/2 sign V (x) ,
v(x) = | V (x) | 1/2 .
(B.74)
Se la (B.73) è vericata la funzione
ψ(x) = (G0 v ξ)(x)
(B.75)
è una funzione risonante ad energia zero. Sotto queste restrizioni sul potenziale,
la sequenza di operatori hamiltoniani
Hε = −∆ +
per
λ
1 + εµ
V ε−1 (x − y) ,
2
ε
µ ∈ R,
(B.76)
sucientemente grande, verica la relazione
lim k (Hε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0
(B.77)
ε→0
con
α = − µ | ( v, ξ) | −2 .
D'altra parte dal modo in cui il potenziale
V
è stato
riscalato nella (B.76) è chiaro che in tre dimensioni l'interazione puntuale non può
essere considerata come una vera e propria funzione
6 Ad esempio, la funzione
ad
1
3
H (R ).
f = 1/ | x | α
δ.
non è denita nell'origine, ma per
α < 1/2
appartiene
Appendice B. Interazioni puntuali
101
L'approssimazione di interazione puntuale in tre dimensioni può essere resa più
chiara considerando il seguente problema con condizioni al bordo. Sia
2
3
di raggio ε e centro in y , f una funzione di L (R ). Il problema
(−∆ + λ) uε = f
λ>0
e
γε ∈ R
una sfera
in
R3 \ Sε
(B.78)
su
Sε
(B.79)
∂uε
∂uε
−
= γε uε
∂n+
∂n−
con
Sε
ammette come soluzione
(Hγε ,Sε ) + λ)−1 f
(B.80)
Hγε ,Sε laplaciano in R3 con un'interazione δ di intensità γε con supporto sulla
sfera Sε . Nel limite ε → 0 la sfera si riduce al punto y e si dimostra che per λ
con
sucientemente grande
lim k (Hγε ,Sε + λ)−1 − (Hα,y + λ)−1 k = 0
ε→0
dove
α
è legato a
γε
(B.81)
dalla relazione
γε = −
1
+ 4πα .
ε
(B.82)
Per concludere è interessante sottolineare che ogni operatore di Schrödinger con
un potenziale smooth e integrabile può essere approssimato mediante opportuni
Hamiltoniani con interazione puntuale. Ciò è facile da provare in una dimensione
per la famiglia di Hamiltoniani noti come interazioni
δ , poiché esse sono additive.
In questo caso ogni approssimazione di una funzione potenziale con combinazioni
δ da' un'eciente approssimazione per i corrispondenti operatori.
d = 3 il discorso è molto diverso perché, come sottolineato in questo
lineari di funzioni
Per
d=2
e
paragrafo, in questo caso un Hamiltoniano con interazione puntuale non può essere
visto come somma di un operatore imperturbato e un potenziale, né è connesso in
alcun modo alle funzioni
δ.
Tuttavia anche in questo caso è possibile sviluppare
una procedura di approssimazione (si veda a proposito [14, pag. 184]).
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