Un monumento restituito alla città La Chiesa del SS. Salvatore Presentazione Giuseppe Zampino Soprintendente L’attività di tutela e recupero dei monumenti della città di Salerno ha individuato nella chiesa del SS. Salvatore, collocata nel cuore del Centro Storico, una delle tessere fondamentali nel lavoro di ricostruzione del mosaico delle vicende storiche della città, ricostruibili anche grazie all'ausilio della ricerca archeologica. La stessa struttura urbanistica di Salerno, cresciuta nei secoli su sé stessa, ha finora occultato le testimonianze architettoniche del suo passato che riaffiora man mano che si indaga nel sottosuolo. È accaduto così per il complesso di San Pietro a Corte, che ha restituito, durante l'impegnativa campagna di scavi tenutasi negli scorsi anni Ottanta, una stratigrafia che va dall'epoca romana ai giorni nostri, per la Chiesa di Sant'Andrea de Lavinia il cui restauro sta restituendo le preziose tracce della sua fondazione ed è accaduto così anche per il SS. Salvatore. Lo scavo architettonico che ha interessato la piccola chiesa ha, infatti, restituito consistenti testimonianze di attività collegate con il vicino complesso di San Pietro a Corte, fornendo ulteriori elementi che contribuiscono ad arricchire la conoscenza della storia della città. La chiesa del SS. Salvatore fa parte di un gruppo di monumenti appartenenti al territorio di competenza della Soprintendenza su cui era stato possibile intervenire con i fondi stanziati all'indomani del sisma del 1980, ma che sono stati recuperati solo per la parte di indagini archeologiche; per il restauro monumentale e storico artistico si è dovuto attendere un ulteriore stanziamento di un programma recuperato grazie ad una delibera CIPE con un fondo per il recupero del rifinanziamento della L.32/92 affidato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e da questo affidato alla Soprintendenza per il recupero di una limitata parte di interventi non portati a termine con i precedenti programmi. L'importo stanziato dal Ministero per le Infrastrutture, però, non è bastato per il completo recupero della chiesa che ha rivelato durante il restauro complesse problematiche, risolte grazie a somme reperite nell'ambito delle disponibilità della Soprintendenza. Con la riapertura della Chiesa del SS. Salvatore il difficoltoso cammino del recupero del Centro Storico salernitano ha fatto un importante passo in avanti e continua a procedere con l'imminente avvio del restauro di un altro piccolo gioiello, la Chiesa del Monte dei Morti. Il suo recupero rientra nell'ambito del progetto finanziato dalla Regione Campania Denominato "Polo Museale nel Centro Storico" nell'ambito del P.O.R. Campania 20002006 che ha come oggetto anche il complesso della Cattedrale,.il completamento e il riallestimento del Museo Diocesano, la creazione di nuovi spazi espositivi nel Tempio di Pomona e all'interno di Palazzo Ruggì, destinato ad essere la nuova sede della Soprintendenza. Il restauro storico-artistico - di Emilia Alfinito La piccola chiesa dedicata al S. Salvatore fu sede della Congrega dei Sartori fino dal 1500. Al suo interno, nella sacrestia è murata una lapide in cui è riportata la data 1423, epoca in cui, “suis suntibus”, Pacilio Surdo volle costruirla. La Congrega, come le tante altre presenti in città, era un’istituzione privata che sovente si sostituiva, grazie ad operazioni di mutuo soccorso, alle istituzioni pubbliche molto spesso lontane ed indifferenti alle necessità delle fasce più povere della città. Fondate sempre in seno alla chiesa erano spesso anche Confraternite di mestiere (a Salerno vi erano quelle dei ciabattini, dei cuoiai, dei sartori, dei “bastari, dei fruttivendoli), provvedevano ai bisogni primari non solo dei confratelli, ma anche dei più poveri della città, dalla nascita e durante tutto il corso della cita, assicurando un mestiere, curando ed assistendo durante le malattie i confratelli, fornendo doti e corredi per le spose, accogliendo e proteggendo le fanciulle non sposate e quindi “pericolanti” ed assicurando il conforto per una buona morte. Nella Congrega del Salvatore venne anche eretto un Monte di Pietà grazie ad un contributo di 100 ducati lasciato a tale scopo dal don Alberto Bolognetti. Il 6 agosto, giorno dedicato al SS. Salvatore la Congrega maritava a sue spese quattro fanciulle, tre di Salerno centro ed una di fuori città. I confratelli, infine, provvedevano al ricovero di viandanti di passaggio ed a liberare i detenuti più poveri in attesa del processo pagando il riscatto per la loro liberazione. Collocata in Via Mercanti, nel cuore del centro storico, la chiesa subì due radicali interventi di ristrutturazione, il primo tra il 1582 e il 1584, quando il monumento dovette essere ripreso fin dalle fondamenta e il secondo, tra il 1719 e il 1774, durante il quale, grazie alla radicale campagna decorativa favorita dall’incremento delle rendite della Confraternita, assunse l’attuale aspetto. Nel 1719 venne commissionato al napoletano Antonio Martinetti l’apparato decorativo in stucco, mentre nel 1774 la chiesa venne arricchita con la costruzione dei tre altari, opera del marmoraro Giuseppe Di Bernardo di Napoli. Questi fu incaricato anche della realizzazione delle due acquasantiere poste ai lati dell’ingresso e del gruppo di cherubini sul portale esterno. Nel 1831 la chiesa venne impreziosita con la cantoria e con l’organo; nel 1840 fu realizzata la pavimentazione in maiolica della sacrestia. Sugli altari c’erano tre dipinti su tela collocabili alla fine del XVIII secolo, attribuiti al pittore Filippo Pennino e raffiguranti Sant’Omobono, L’Immacolata con S. Giuseppe e S. Nicola e L’Apparizione della Vergine Maria a S. Matteo. Purtroppo tali opere, collocate a deposito dalla Congrega prima che iniziassero i lavori di scavo che interessarono la chiesa alla fine degli anni ’80, non sono state più ritrovate. La scomparsa delle tele è stata denunziata ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Napoli. La piccola chiesa, a pianta centrale, è sormontata da un’ampia cupola ad otto spicchi conclusa da una lanterna. La parte inferiore della cupola è connotata da una decorazione a grandi ovoli collegati tra loro da ghirlande, mentre la parte superiore è suddivisa in otto spicchi con ottagoni riquadrati da cornici ed un motivo floreale in stucco degradanti verso la lanterna. Lo spazio interno è scandito da finte colonne con capitello corinzio che sottolineano gli spigoli dell’ottagono, raccordate da un’archeggiatura a tutto sesto sormontata da coppie di cherubini. Al di sotto della teoria di archi, sono collocati i tre altari, la cantoria con l’organo e le due acquasantiere. L’altare maggiore in marmi commessi è decorato con la tecnica della tarsia e del rilievo; al centro del paliotto vi è un’arca, realizzata a rilievo, retta da zampe di leone; sul coperchio campeggia la testa di un angelo. Il tabernacolo è adornato da angeli e da una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Alle estremità dell’altare, due sculture di notevole pregio raffigurano due angeli che reggono una fiaccola. Gli altari laterali, di piccole dimensioni, presentano marmi e decorazioni che richiamano l’altare maggiore, ma con minore ricchezza di ornamenti; entrambi erano conclusi ai lati da angeli reggimensola. Purtroppo negli anni Settanta quelli dell’altare di sinistra vennero trafugati. La facciata presenta un portale in marmo concluso in alto da un timpano spezzato e da una finestra contornata da tralci di fiori e da una conchiglia in stucco. I tre cherubini, opera di Giuseppe Di Bernardo, arricchiscono la sommità del portale, riquadrato da due lesene sormontate da capitelli ionici con ghirlande. La facciata è conclusa da una ulteriore finestra ovoidale racchiusa da una cornice mistilinea. In alto si scorgono la cupola con la lanterna, il campanile a vela, due coppe concluse da una fiamma e, al centro, un composito fastigio. La piccola chiesa, per la sua collocazione nelle immediate vicinanze del complesso di San Pietro a Corte, è stata oggetto di una campagna di scavi avviata alla fine degli scorsi anni’80 ed ultimata nel 1992, durante la quale sono state rinvenute testimonianze di frequentazione del sito a partire dal I-II secolo d.C. Lo scavo ha anche restituito un interessante gruzzolo di monete in rame, oro e argento (follari, tarì e denari) risalente all’XI secolo. La chiesa è rimasta chiusa da allora, priva del pavimento e degli altari, smontati per consentire la realizzazione delle operazioni di scavo e trasportati nei depositi della Soprintendenza nella Certosa di San Lorenzo in Padula. Durante gli anni di abbandono, l’edificio è caduto in uno stato di estremo degrado: le infiltrazioni di acqua piovana, penetrata dagli infissi semidistrutti, e di acque nere non opportunamente convogliate, l’azione degli agenti atmosferici e dello smog avevano provocato seri danni all’apparato decorativo della facciata e dell’interno. Inoltre, le numerose ridipinture stratificatesi nel tempo avevano completamente appiattito la delicata policromia e la plasticità degli stucchi che presentavano seri fenomeni di decoesione in quasi tutte le parti aggettanti: i puttini, le ghirlande, le cornici e i riquadri delle specchiature. Inoltre, seri danni erano stati provocati dalla presenza di animali entrati dalle finestre senza vetri. Nel 2005, grazie ad un finanziamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato possibile avviare l’intervento di recupero della chiesa sia dal punto di vista architettonico che storico artistico. Per i lavori di restauro delle superfici decorate interne, del portale esterno e per la ricostruzione degli altari, affidati alla Ditta S.D.M. s.r.l. di Napoli, era stata prevista una spesa iniziale di circa 30.000 Euro, quasi subito rivelatasi insufficiente. Il 14 aprile 2005 vennero consegnati i lavori storico-aritstici, che iniziarono con il recupero degli stucchi interni e con il restauro del timpano in marmo del portale, crollato durante una notte di tempesta, la cui materia lapidea era estremamente degradata e resa friabile dall’azione dello smog e degli agenti atmosferici. Si è proceduto per quest’ultimo al riassemblaggio delle parti recuperate, alla loro ricollocazione in situ per passare poi al restauro dell’intero portale con l’estrazione dei sali solubili, la rimozione di spessi strati di polvere e di croste nere stratificatisi negli anni. Durante i lavori della ricollocazione in situ dei frammenti del portale, sono stati effettuati saggi negli intonaci della facciata che hanno rivelato che, al di sotto delle ridipinture erano presenti consistenti tracce di una decorazione a finto marmo verde. Sulla base di tali elementi che consentivano di riproporre l’intero progetto decorativo del monumento, si è proceduto a redigere una variante del progetto, in cui si rimandava la ricostruzione degli altari, per procedere alla riqualificazione della facciata Gli stucchi esterni, come quelli interni, presentavano seri problemi statici, tanto che si è dovuto effettuare il consolidamento delle operazioni di rimozione dei numerosi strati di ridipinture che occultavano totalmente le delicate cromie originali. Questa operazione ha consentito il recupero di un progetto decorativo che rivelava un gusto artistico completamente cancellato dalle numerose “ripulite” dell’edificio succedutesi nel tempo. All’interno sono stati rinvenuti gli stessi delicati colori degli stucchi e lo stesso tipo di decorazione a finto marmo verde della facciata. La rimozione meccanica degli scialbi ha consentito di recuperare la plasticità e la policromia delle decorazioni, costituita dal verde del finto marmo delle specchiature, dal rosa e dal verde delle ghirlande, dall'ocra dei capitelli, delle colonne e dei cherubini. La pulitura meccanica ha inoltre evidenziato la presenza di dorature sulle cornici, che sono state opportunamente reintegrate. Un tipo di decorazione simile, anche se di fattura più modesta, è stata recuperata nella vicina chiesa di Sant’Andrea, ristrutturata nel 1787 dal Rettore Geronimo de Vicariis. Grazie ai fondi stanziati dal Ministero per i beni e le Attività culturali, destinati al restauro di beni conservati nella Certosa di Padula, è stato possibile realizzare anche la ricostruzione degli altari, conservati, nei depositi della Soprintendenza Anche questa operazione si è rivelata più complessa di quanto previsto. I tre altari, infatti erano stati smontati e collocati in casse senza quasi nessun ordine. E’ stato quindi necessario procedere al riordino dei numerosi frammenti grazie all’ausilio della relativa documentazione fotografica in possesso della Soprintendenza, per risalire all’esatta collocazione di ognuno di essi. Dopo aver catalogato e destinato ogni frammento al suo ruolo nel contesto di ogni altare, si è passati al rimontaggio. La struttura portante è costituita da mattoni forati atti a consentire la corretta circolazione dell’aria. La pulitura delle lastre in marmo è stata effettuata con leggere spazzolature e nelle zone più compromesse dallo sporco si è proceduto con impacchi. La sigillatura dei bordi fra le lastre di marmo e le integrazioni sono state effettuate con malta intonata cromaticamente, eseguita in sottolivello. Le due acquasantiere sono state ricollocate nella loro posizione originaria e pulite anch’esse con impacchi e spazzolature. Tutte le superfici lapidee sono state sottoposte ad operazioni di protezione finale . Un ultimo piccolo finanziamento, reperito tra le somme a disposizione dell’amministrazione è stato utile per rimontare i due piccoli altari nella sacrestia, per pulire la lapide cinquecentesca di Pacilio Surdo e per un primo intervento conservativo sulla cantoria e sull’organo. La cantoria lignea, non utilizzata da decenni, si presentava in condizioni di estremo degrado dovuto anche alla presenza di guano e di carcasse di animali accumulatisi negli anni. Tutte le operazione sono state precedute dalla opportuna disinfestazione dell’essenza lignea, per poi passare alla rimozione delle vecchie stuccature, dei depositi di polveri e quindi alla pulitura eseguita mediante nebulizzazione di acqua deionizzata. La pulitura delle dorature ha immediatamente restituito la qualità del manufatto. Purtroppo non è stato possibile procedere al recupero della meccanica dell’organo che avrebbe restituito alla città il terzo organo “positivo” dopo quelli delle chiese di San Giorgio e di Santa Lucia. Si spera al più presto, confidando nella collaborazione del Rotary Club di Salerno, cui la Chiesa del SS. Salvatore è stata affidata, di poter perfezionare le operazioni di restauro che avrebbero consentito il completo recupero del monumento. (tratto da: 'Un monumento restituito alla città - La Chiesa del SS.Salvatore' , IX Settimana della Cultura 12-20 maggio 2007 - C'è l'arte per te, Salerno, 2007) Presentazione del restauro - di Gennaro Miccio L’ultima volta che la cappella di S. Salvatore de Fundaco (o in Drapperia) richiamò l’attenzione della città fu in occasione del ritrovamento del ”tesoretto” (così allora fu definito) rinvenuto a giugno del 1990 a circa un metro e mezzo al di sotto del pavimento della chiesa. Si trattava di un “gruzzolo” di 64 monete (51 follari in rame, 6 denari in argento e 7 tarì d’oro) tenute insieme in una borsa di pelle e nascosti lì circa mille anni addietro dal suo antico proprietario, fiducioso di ritrovarli un giorno. La scoperta, che da un punto di vista numismatico e storico rivestì anche un certo interesse, si verificò nell’ambito della estensione delle ricerche archeologiche che da oltre vent’anni venivano condotte nell’ambito del complesso della reggia di Arechi II. L’ ispezione archeologica condotta al di sotto della chiesa di S. Salvatore fu avviata agli inizi del 1990, interessò l’intera aula della chiesa e consentì di individuare una ulteriore parte del complesso termale già messo in luce nell’adiacente zona ipogeale sottostante S. Pietro a Corte. A differenza, però, degli ambienti termali messi in evidenza nella parte interrata di quest’ultimo complesso architettonico, con lo scavo che interessò il Salvatore non si poterono recuperare strutture così chiaramente leggibili come per il caso precedente. Infatti, le successive modificazioni operate in questa seconda parte dell’area termale avevano notevolmente modificato gli originari ambienti, identificati solo in una limitata parte verso nord, sottostante l’altare maggiore ed in una seconda zona prospiciente l’ingresso. Una consistente murazione, parallela all’asse est-ovest, aveva diviso in due l’ambiente termale, probabilmente a seguito della edificazione della reggia arechiana, realizzata a quota notevolmente più alta. Successive divisioni e strutture fondali realizzate per consentire gli altri e diversi utilizzi che si sono sovrapposti all’ originario impianto termale hanno reso ancora più problematica la lettura della struttura tardo-romana. Per tale motivo si è deciso, in questo caso, di privilegiare il recupero della volumetria dell’edificio barocco ripristinando la quota della chiesa con un solaio piano in soletta di conglomerato cementizio armato realizzato a settori tali da non gravare sulle murature medioevali, ma poggiato su opportuni supporti collocati in zone non storicamente interessanti e separati dal piano fondale da strati si tessuto non tessuto. Si è, comunque, lasciata la possibilità di ispezionare gli ambienti sottostanti accedendo da quattro botole apribili sul pavimento e sul solaio (una quinta botola immette all’interno di un pozzo ritrovato sulla destra dell’altare maggiore). Questi accessi circolari sono collocati, il primo, subito dopo l’ingresso, un secondo alle spalle dell’altare maggiore, altri due al disotto delle due pedane corrispondenti agli altari laterali. La conformazione di queste botole è stata studiata anche per assicurare una costante aerazione e ventilazione degli ambienti sottostanti tale da impedire la formazione di umidità di condensa nella chiesa; la ventilazione sarà garantita dall’oculo in facciata, collocato al di sopra del finestrone sull’ingresso, lasciato volutamente senza infisso. Come è possibile notare, anche i gradini delle due pedane degli altari laterali sono realizzate con una struttura in acciaio che, lasciando libere le alzate laterali del gradino, consente la circolazione dell’aria proveniente dalle botole sottostanti. Sulle pedane sono state posizionate le lastre di marmo originarie recuperate. Come noto, la Chiesa di S. Salvatore è uno dei tre edifici religiosi a pianta centrale presente in città; gli altri due sono la Chiesa del Monte dei Morti, anch’essa a pianta ottagonale e la Chiesa di S. Anna al Porto (in antico era la chiesa appartenente al convento di S. Maria di Portosalvo). In verità, ce ne sarebbe una quarta, se si volesse tenere conto anche della Cappella (o “rotonda”) di Fratte facente parte degli insediamenti industriali degli svizzeri nella Valle dell’Irno a pianta circolare. Sulla questione della pianta ottagonale della chiesa del Salvatore vale la pena ricordare e riassumere quanto è emerso a conclusione degli scavi effettuati. Come detto, questi hanno messo in evidenza un ambiente sottostante che inequivocabilmente fa parte del complesso termale tardo-romano già individuato al di sotto di San Pietro a Corte, collocato sul lato meridionale di quest’ultimo. Le mura e le quote riscontrate coincidono con quelle ritrovate dalla precedente indagine archeologica interessante la più vasta parte recuperata e resa visitabile già da tempo. Il fatto singolare emerso dallo scavo della Chiesa di S. Salvatore consiste nella corrispondenza che sembra esserci tra la pianta ottagonale della cappella tardo-rinascimentale e l’ambiente termale tardo-romano sottostante. Almeno quattro degli otto lati della cappella continuano lungo la stessa verticale fino alla quota di frequentazione dell’ambiente termale. Per i rimanenti altri quattro lati lo scavo non è stato approfondito fino a questa quota per non rimuovere delle strutture medioevali ritrovate al di sotto dell’altare a sinistra; comunque, anche per queste pareti l’andamento delle mura, per almeno un paio di metri in profondità, segue la stessa conformazione di quelle in elevazione e, quindi, si confermerebbe la continuità tra le strutture murarie in elevazione con quelle in profondità. Diversamente, risulterebbe alquanto improbabile che per realizzare la pianta ottagonale della cappella del Salvatore si sia ravvisata la necessità, per la realizzazione delle sue fondazioni, di raggiungere una profondità di oltre cinque metri al di sotto del piano di calpestio della chiesa. Una ulteriore analogia tra gli ambienti ipogeali presenti al di sotto del complesso di San Pietro a Corte e quelli ritrovati al di sotto del Salvatore è da individuarsi nella presenza di strutture longobarde. Infatti, come precedentemente accennato, l’ambiente termale sembra aver subito le stesse vicissitudini di quelli già individuati al di sotto di S. Pietro e che furono interessati dalla edificazione, al di sopra di essi, della reggia arechiana. La stessa tipologia di struttura in laterizio realizzata nei locali adibiti prima a terme e poi ad aule cultuali protocristiane è stata ritrovata anche al di sotto della cappella del Salvatore: un muro in laterizi della stessa foggia taglia, lungo la diagonale principale della pianta ottagonale, l’ambiente termale già disegnato nella stessa forma ottagonale prima dell’intervento longobardo; altre due mura disposte in senso ortogonale al muro precedente sembrano costruite per definire degli ambienti più regolari per dare luogo a strutture realizzate successivamente a quote superiori. Tutte queste murature risultano poi tagliate, evidentemente quando si è voluto realizzare la chiesa, alla quota corrispondente al pavimento di questa, recuperando per l’aula religiosa la pianta ottagonale già presente al di sotto. Ora, che la datazione della chiesa si voglia attribuire alla fine del XV secolo (abbastanza improbabile, in verità), oppure alla fine del secolo successivo, sia rinascimentale o barocca, la circostanza abbastanza singolare consiste nel fatto che la pianta ottagonale attuale corrisponde perfettamente all’ambiente termale tardo-romano presente al di sotto. La presenza di un pozzo ritrovato lateralmente all’altare maggiore è da ritenersi come un fatto poco rilevante ai fini di queste attribuzioni, ma va comunque segnalato. Questo pozzo è stato realizzato scavando all’interno del materiale di crollo che aveva occupato completamente l’ambiente ipogeale costruendo una parete circolare in muratura, perfettamente intonacata all’interno, approfondendosi fin quasi al livello del mare per attingere alla falda d’acqua, ancora esistente, proveniente dal Monte Bonadies. Il pozzo, che evidentemente non poteva servire per le attività della cappella, doveva invece risultare molto utile per gli altri usi precedenti a quello religioso. Vale la pena ricordare che prima dello stravolgimento della chiesa dovuto agli interventi di ispezione archeologica eseguiti tra la fine degli anni ’80 ed il 1990, la chiesa di S. Salvatore era ancora adibita al culto e normalmente frequentata. Una foto riportata nel III fascicolo delle “Passeggiate Salernitane” pubblicato negli anni ’80 dalla Soprintendenza, riprende un interno della chiesa ancora perfettamente arredato ed al centro è ancora visibile chi si prendeva cura del suo funzionamento, intento a conversare con due fedeli. Purtroppo da quella data ed in conseguenza del trasferimento degli arredi e delle suppellettili presso varie sedi, poco o nulla di essi è stato possibile recuperare. I soli tre altari, fortunatamente smontati dalla Soprintendenza e da questa custoditi, sono stati perfettamente rimontati e ricollocati nella loro sede originaria, così come gli altri due appartenenti alla sacrestia. Si è dovuto, purtroppo, constatare la sparizione delle tre tele che erano collocate al di sopra dei rispettivi altari, nonché la completa dispersione del cospicuo arredo sacro (una pisside, una custodia, un incensiere, un calice ed altro materiale, tutto in argento a sbalzo del ‘700) la cui descrizione è stata desunta da una scheda redatta nel ’69 dal prof. Ugo Pecoraro per conto del Museo Diocesano. Fortunatamente, però, nonostante le spiacevoli perdite, è stato recuperato l’interessante apparato architettonico e decorativo della cappella. Accurate indagini sui colori hanno messo in evidenza una raffinata scelta delle cromie originali e della partitura degli stucchi che esalta la scansione architettonica a pianta centrale ottagonale. Buona parte delle decorazioni rischiavano di perdersi a causa delle continue e notevoli infiltrazioni provenienti dalla copertura e dalla cupola, il cui estradosso è in parte utilizzato a terrazzo ed in parte è il punto di confluenza di numerose pluviali provenienti dagli edifici retrostanti che hanno praticamente inglobato l’intera chiesa. Altre pluviali (e qualche fecale) tutte intasate ed occluse, percorrevano anche la facciata principale, soprattutto sul lato alla destra del portale di ingresso. E’ stato, quindi, necessario provvedere ad un’accurata opera di sistemazione e di regimentazione delle pluviali e delle fecali provenienti dagli edifici a ridosso della cupola della chiesa e lateralmente al portale di ingresso; sono stati eseguiti interventi di impermeabilizzazione dell’estradosso della cupola e di pavimentazione degli esterni. Le parti aggettanti della facciata sono state impermeabilizzate con lastre di piombo. Tutte le pluviali e le fecali in facciata sono state opportunamente sistemate, razionalizzate e portate in fogna. Quest’opera di sistemazione ha consentito di portare alla luce le cromie interne ed esterne della decorazione, evidenziando il particolare molto singolare della corrispondenza di colori e fattura tra il palinsesto degli interni e la facciata esterna. Per quanto riguarda ancora gli esterni, parimenti interessante si è rivelato l’intervento di recupero delle fiamme e dei vasi in sommità della facciata che il tempo ed interventi impropri avevano reso pressoché illeggibili; pure di non chiara lettura erano la lanterna in sommità della cupola , la base della croce centrale la cui decorazione a stucco era stata inglobata in un improprio ricoprimento di malta, il campanile a vela ed il campaniletto laterale. Unica modifica in facciata è stato necessario operare ai soli fini della sicurezza e consiste nella collocazione all’interno dello spazio del portale di ingresso di un cancello in acciaio che dovrebbe ovviare ai numerosi tentativi di distruzione del portone in legno operati in questi ultimi anni (la porticina laterale destra è stata completamente sostituita) a seguito degli atti vandalici e tentativi di effrazione. Per il pavimento, purtroppo, ci si è ritrovati ad affrontare un problema di non semplice soluzione : nessuna notizia è stato possibile reperire circa la pavimentazione originaria (quella rimossa con i lavori di scavo archeologico era costituita da elementi novecenteschi), mentre è stata recuperata e restaurata la pavimentazione ottocentesca della sacrestia. Per l’aula, si è scelto di seguire il disegno centrale dell’edificio anche per la nuova pavimentazione, riproponendo il tema ottagonale che caratterizza l’aula. Gli otto spicchi della zona centrale sono stati disegnati con lastre di marmo verde orientale, tagliato e disposto ad “ali di farfalla”, il cui colore e venatura riprendono il colore delle partizioni dell’apparato decorativo delle pareti. Le notevoli irregolarità della pianta sono state in qualche modo riequilibrate da un’ampia fascia in marmo bianco di Carrara posta lungo l’intero perimetro. L’illuminazione di base è stata assicurata da corpi illuminanti posti lungo il cornicione di imposta della cupola, e quindi non visibili dal basso, essendo spariti anche i candelabri a sospensione che prima costituivano l’illuminazione originaria della chiesa. L’intero intervento di restauro e recupero architettonico della chiesa del SS.Salvatore è stato condotto dall’impresa “Ronga s.a.s” di Salerno che ha anche fornito la necessaria assistenza ai restauratori delle parti di interesso storico-artistico. E’ stato anche grazie alla sapienza ed esperienza delle maestranze e degli artigiani impiegati se si è riusciti ad ottenere un risultato di evidente eccezionalità che restituirà alla città un prezioso gioiello di architettura e di arte. (tratto da: 'Un monumento restituito alla città - La Chiesa del SS.Salvatore' , IX Settimana della Cultura 12-20 maggio 2007 - C'è l'arte per te, Salerno, 2007) Bibliografia Alfinito E.- D'Elia M.- lorio G.,So/erno. I secoli della carità. Una storia che continua, Cava de' Tirreni 2002 Avino L, Scultura e decorazione a Solerne [1688-1745], Salernol991 Avino L., Marmi colorati per l'Altare Maggiore dell'Annunziata di Salerno [1716-1744], Salerno 1993 Peduto P., // gruzzolo del S. Salvatore de Fondaco a Salerno: fallori, tari e denari dell'XI secolo, in "R.S.S.", n.s. 16,1991, pp. 295-297