P en s ier o e P er son A “Ogni persona che ragioni è il suo proprio centro” La riflessione antropologica di John Henry Newman Michele Marchetto – Istituto Universitario Salesiano, Venezia L’individualità concreta della persona si misura con l’esperienza pratica attraverso l’esercizio del senso illativo, della facoltà della phronesis di matrice aristotelica e della coscienza. Secondo la concezione di Newman, nella living mind personale, contingente e mutevole, si declina la verità unica e universale. il fondamento della riflessione antropologica del Cardinale inglese John Henry newman (1801-1890; proclamato Beato da papa Benedetto Xvi il 19 settembre 2010) è il principio dell’egotismo: “ogni persona che ragioni è il suo proprio centro”1. e il ragionare della persona non è sempre un argomentare formale, ma anche un inferire non formale che passa dal concreto al concreto, nello scorrere della vita ordinaria. per newman il tratto peculiare dell’uomo rispetto agli altri esseri animali non è perciò solo la razionalità, ma tutto ciò che ogni uomo è rispetto ad ogni altro. Ciascuno è ciò che è, o non è niente: “L’uomo non è un animale ragionevole; è un animale che vede, che sente, che contempla, che agisce”2. La concretezza della vita personale le affermazioni di newman, che richiamano certe considerazioni del romantico samuel t. Coleridge (1772-1834) sul primato della realtà vivente dell’individuo, e che rappresentano la presa di distanza sia dalla teologia liberale dei cosiddetti noetici 14 di oxford sia dall’empirismo di John Locke (1632-1704), associano la connotazione “personale” della sua antropologia all’ampliamento dell’idea di ragione. secondo newman, infatti, la persona è, in primo luogo, una living mind, come dimostra l’esperienza della vita in materie pratiche, nelle quali gli uomini manifestano un senso istintivo della direzione verso la quale dirigersi. essi procedono in base a fondamenti impliciti, indipendenti dalla ragione dell’indagine filosofica e dei sistemi intellettuali, ossia in base ad antecedenti che prendono per veri senza essere in grado di esercitarvi la ragione riflessiva e dimostrativa, e che non sanno quindi rendere espliciti. newman intende dire che l’esplicito non è la parte più importante della vita conoscitiva della persona, esigendo con ciò un supplemento di attenzione verso ciò che è nascosto. egli guarda ai processi della mente nella prospettiva della persona tutta intera. Lo conferma il valore che egli attribuisce a quello che potremmo chiamare “pensare concreto”, il cui carattere personale si coglie nell’immaginazione, che ne costituisce la sostanza, e nelle immagini, che, in quanto sono l’impressione che N. 80/12 la cosa reale lascia sulla facoltà immaginativa della persona, sostituiscono le nozioni: “essere razionali, avere l’uso della parola, passare attraverso successivi cambiamenti nella mente e nel corpo dall’infanzia alla morte, appartiene alla natura dell’uomo; avere una storia particolare, essere sposati o vivere da soli, avere figli o essere senza prole, vivere un certo numero di anni, avere una certa costituzione, un temperamento morale, delle capacità intellettuali, una formazione spirituale, questi e simili, presi tutti insieme, sono gli accidenti che danno forma alla nostra nozione di persona e sono il fondamento o la condizione delle sue particolari esperienze”3. Il che non significa che newman adotti un approccio empiristico al dato umano, come si potrebbe desumere dalla tradizione filosofica e culturale alla quale appartiene. piuttosto, egli descrive i movimenti della mente in una prospettiva fenomenologica, analizzandoli come si danno in natura e prescindendo da fattori a priori ed elementi valutativi: lascia parlare esclusivamente le realtà che costituiscono la mente, e scopre le regole del pensiero sottomettendosi alla realtà prospettiva •persona• P e ns ie r o e P e r so n A complessa dell’intelletto, come ci si presenta, e cogliendo i segni della verità nella natura stessa del nostro spirito. Ciò che interessa a newman è il funzionamento della ragione nella concretezza dell’io vivente, non la ragione astratta, indeterminata e sovrapersonale della tradizione illuministica. in quanto fenomenologica, la sua analisi, lontana sia dalla deriva naturalistica sia da quella psicologistica, considera la persona nella sua interezza, comprendendovi gli effetti che i suoi principi intellettuali e morali e le relative argomentazioni e conclusioni provocano sulla mente: “il nostro criterio di verità non è tanto la manipolazione delle proposizioni quanto il carattere intellettuale e morale della persona che le sostiene”4. Questo carattere non può che essere personale, proprio di una individualità concreta, poiché per newman le “unità individuali” hanno la priorità sugli “universali”, ai quali quelle non vanno sacrificate, per quanto si possa trovare fra loro “una specie di misura comune”. Di un certo John e di un certo richard, osserva newman, si può dire che “ognuno è se stesso e nient’altro, e benchè, considerati astrattamente, dei due si possa giustamente dire che hanno qualcosa in comune […], tuttavia, strettamente parlando, essi non hanno niente in comune, poiché ognuno di loro possiede un legittimo interesse in tutto ciò che egli stesso è; e, inoltre, ciò che sembra essere comune nei due, diventa così non comune, così sui simile, nelle loro rispettive individualità […] che, invece di dire, come dicono i logici, che due uomini differiscono solo nel numero, piuttosto, ripeto, dovremmo dire che differiscono l’uno dall’altro per tutto ciò che sono, per identità, incomunicabilità, personalità”5. È la persona individua e concreta a interrogarsi sulla verità, a pensare, credere, scegliere, non la pura prospettiva •persona• ragione sovrapersonale che, data la concretezza della individualità storica, non esiste affatto. il senso illativo il segno più emblematico della individualità concreta della persona che ragiona, è quello che newman chiama “senso illativo”, la facoltà che determina il giudizio nelle cose concrete, ossia la capacità di applicare leggi e regole generali al caso particolare. esso fa dell’individuo nel quale è posto, la legge, il maestro e il giudice in quei casi particolari moralmente rilevanti che per lui sono, appunto, personali. originato nella natura stessa, formato e maturato dalla pratica e dall’esperienza, si manifesta come la capacità di decidere che cosa si deve fare in una determinata circostanza, da parte di una data persona, in un determinato contesto. il carattere personale del senso illativo esprime nel modo più efficace l’idea newmaniana di ampliamento della nozione di ragione: non c’è alcuna scienza della vita, e tuttavia non si può negare che la vita sia guidata dalla ragione. evidentemente la ragione si declina nelle forme di un ragionare non scientifico, che a volte si presenta come una facoltà naturale, a volte come un dono, a volte come un’abitudine o una seconda natura. Ma ciò che della definizione newmaniana colpisce di più, è che questa forma ampliata di ragione è “una fonte più alta della norma logica. – ‘nascitur, non fit’”6. il che significa che è la condizione naturale (l’essere) alla quale l’uomo è dato dal momento che esiste: secondo un approccio che oseremmo definire “ermeneutico”, newman scrive che “il nostro essere, con le sue facoltà, la mente e il corpo, è un fatto che non ammette discussione, dato che tutte le cose necessariamenN. 80/12 te si riferiscono ad esso, non esso alle altre cose”7. La supposizione che esisto, con la mia particolare costituzione mentale, è il fondamento di ogni speculazione: non posso pensare che a partire dall’ente che io stesso sono. in altri termini, la comprensione che ho di me stesso e del mondo dipende dal “dato”, ontologico prima che esistenziale, psicologico, sociologico,…, che io stesso sono: “tale quale sono, è il mio tutto; questo è il mio essenziale punto di vista. […] se non faccio uso di me stesso, non ho un altro io da usare. La mia unica preoccupazione è di accertare ciò che sono, per fare in modo di usarne […] Ciò che devo accertare sono le leggi in base alle quali vivo”8. taluni, definendo il senso illativo “senso inferenziale”, lo hanno acutamente chiamato “l’a priori psicologico e vivente della conoscenza [...] la perfezione della ragione; capacità discriminante e sintetica, è l’anima del dinamismo spirituale dell’uomo. È la capacità che ha l’uomo di progettare se stesso, per usare un termine contemporaneo, al di là del se stesso naturale, del proprio-essere-di-fatto”9. L’esito dell’esercizio del senso illativo, soprattutto nell’ambito religioso, è l’assenso che la persona che crede dà alla verità in base a presupposizioni antecedenti e a primi principi del tutto suoi. si crea così una singolare sintesi fra la dimensione della storia personale e quella della verità universale che in essa si rivela. ad esprimerla è la correlazione fra certezza soggettiva (certitude) e certezza oggettiva (certainty): “La certezza oggettiva di una proposizione consiste propriamente nella certezza soggettiva della mente che la contempla”10. La dialettica fra le due forme di certezza si spiega solo nella prospettiva della persona, nella cui concreta esistenza soggettiva si dà la stessa certezza oggettiva, ossia la verità delle proposizioni, nella 15 P e ns ie r o e P e r so n A forma dell’assenso reale con cui ad essa la persona aderisce, sostenuta da quel particolare giudizio sulla realtà che è il senso illativo. si può perciò dire che, per quanto diversa possa essere la valutazione individuale delle argomentazioni con cui ognuno ha a che fare, tuttavia ciò non pregiudica la verità o la falsità oggettiva delle proposizioni in cui crede. La phronesis aristotelica Quell’organon vivente, fine, versatile ed elastico che è il senso illativo, garantisce quella che newman chiama evidentia Credibilitatis, ossia il “sentire” che una proposizione è vera, nel senso che, benchè la sua verità non sia evidente, lo sono tuttavia le ragioni per ritenerla vera. il procedimento mentale che precede il giudizio di credibilità, in parte dote naturale di tutti gli uomini, in parte risultato dell’esperienza o perizia pratica, valida in un certo ambito della conoscenza ma non in un altro, quindi diversamente declinata in ogni singolo individuo, corrisponde alla phronesis aristotelica11. ad essa, ulteriore carattere della “persona” newmaniana, va attribuito sia il compito di raccogliere in unità tutti gli argomenti a sostegno di un giudizio sia quello di determinare il valore di ciascuno, separatamente o nella loro relazione. in questo senso essa si coniuga al “pensare concreto”, poiché, in modo analogo, declina la facoltà dell’astrarre con la contingenza dei fatti, mantenendo i tratti distintivi di entrambi. Qualunque decisione prenda una persona, è in virtù di un senso proprio soltanto a se stessa, ad una specie di istinto, ad una facoltà ragionativa che giunge a conclusioni non in virtù di un determinato livello di istruzione, ma facendo appello al talento che essa dimostra per natura in un certo ambito della vita piuttosto che in un altro, cosicchè 16 un matematico non è tagliato per ciò che fa lo storico, né lo scienziato per le materie giuridiche. La phronesis, in quanto personale, se guida la decisione in una certa sfera della conoscenza, non lo può fare con altrettanta efficacia in un’altra. ora, c’è da chiedersi quanto e come incidono i principi morali, che sono per loro natura generali, rispetto ai casi particolari sui quali ciascuno è chiamato a decidere. aristotele direbbe che gli universali derivano dai particolari, e che i principi morali vanno stabilendosi a seguito dell’esperienza (ossia la “preparazione globale” di chi è “buon giudice in generale”), tant’è che il giovane “non è uditore adatto di una trattazione politica” proprio perché “non ha esperienza delle cose concretamente vissute”. Quando si tratta di decidere in casi particolari, si dovrà tener conto “delle opinioni degli uomini d’esperienza e dei più anziani, ovvero dei saggi, non meno che delle loro dimostrazioni, giacché essi, per il fatto di avere un occhio formato dall’esperienza, vedono correttamente”12. La coscienza riprendendo aristotele quasi alla lettera, newman attribuisce al caso particolare la caratteristica di essere “al di là di ogni regola”, per cui “va risolto secondo la propria natura”, una volta tenuto conto della maggior esperienza riconosciuta a teologi, vescovi, clero, al proprio confessore, agli amici stimati. Ma “se alla fine non potessi accettare il loro punto di vista sulla questione, allora devo regolarmi secondo il mio proprio giudizio e la mia coscienza”13. La persona non deduce da un principio morale che cosa fare o non fare in determinate circostanze, ma esercita, in ultima istanza, la coscienza come opera di interpretazione del principio. il N. 80/12 che non è il principio del relativismo. infatti, per quanto esistano grandi e numerose differenze fra le persone, ciò non significa che non esista alcuna verità oggettiva. piuttosto, ci suggerisce che “nelle nostre differenze esiste qualcosa di più profondo del caso fortuito di circostanze esterne; e che abbiamo bisogno dell’intervento di un potere più grande dell’insegnamento umano e dell’argomento umano, per rendere vere le nostre credenze e concordi le nostre menti”14. Quel “qualcosa di più profondo” e quel “potere più grande” di cui parla newman, sono un’eccellenza che la natura umana non possiede, “un tribunale” sul quale essa non ha alcun potere. in virtù del rapporto che la coscienza è (più che ha) con questa realtà “superiore”, essa è “l’originario vicario di Cristo”; è “una voce”, anzi “l’eco di una voce, imperativa e cogente, come nessun altro imperativo in tutta la nostra esperienza”. La voce di cui la coscienza è l’eco, è quella di Dio, la Legge Divina che, “in quanto è percepita dalla mente dei singoli uomini”, si chiama appunto “coscienza”15. in altri termini, è la verità che si formula nella persona che ciascuno è. È per questo che newman può dire che “la coscienza non si fonda su se stessa, ma tende vagamente a qualcosa che la trascende, e individua in modo confuso una sanzione che alle sue decisioni proviene da una fonte superiore ad essa”16. il senso del dovere e di responsabilità che informa quelle decisioni, lo dimostra. La dimensione della verità universale e quella della persona particolare si coniugano l’una con l’altra, senza che l’una prevalga sull’altra. si tratta della sintesi fra l’unica verità, che è quella di Dio, e la sua formulazione in forma umana: la verità eterna e immutabile, trascendente e inoggettivabile, e la persona individuale e irripetibile, capace di scelte libere e responsabili nei prospettiva •persona• P e ns ie r o e P e rso n A casi particolari della vita, si colgono in unità nella coscienza, nel rispetto del fondamentale principio newmaniano che “la verità non può mai davvero contraddire la verità”17. Del resto l’influsso della coscienza è indicato da newman come “troppo sottile per la scienza, troppo profondo per la letteratura”18. Da un lato, infatti, la coscienza agisce per vie che la scienza non riesce né a calcolare né a dedurre. e la sua incapacità si risolve nel bollare come “irrazionale” ciò che invece è “sottile”. Dall’altro lato, la coscienza viene svuotata della sua peculiare profondità e trasformata in immediata superficialità, perché chi si appella pretestuosamente ai suoi diritti, in realtà se ne sbarazza: egli, affermando come criterio di ogni scelta e decisione il proprio giudizio e il proprio umore, rinuncia a riconoscervi quella misteriosa presenza che la fa essere. annullare la profondità della coscienza significa dunque ignorare il Giudice di cui essa è “messaggero”. La sottigliezza e la profondità della coscienza dipendono, l’una dalla natura dell’uomo di cui è componente originale, scritta “in noi prima che avessimo ricevuto una qualsiasi educazione”; l’altra, dalla trascendenza di cui la coscienza è cifra, essendo essa la voce di Dio19. per newman, dunque, “la verità esiste, ed è raggiungibile, ma […] i suoi raggi fluiscono su di noi attraverso il nostro essere morale e intellettuale; e […] di conseguenza quella percezione dei suoi primi principi che per noi è naturale, è attenuata, ostacolata, deviata dal fascino dei sensi e dalla supremazia dell’io, e, d’altra parte, è stimolata dalle aspirazioni al soprannaturale”20. losofici, a cura di M. Marchetto, Bompiani, Milano 2005, p. 1427; cfr. anche M. Marchetto, un presentimento della verità. Il relativismo e John henry newman, rubbettino, soveria Mannelli 2010. 2 Ivi, p. 1009. 3 J.H. Newman, Saggio a sostegno di una Grammatica dell’assenso, cit., p. 995. Cfr. anche Quindici Sermoni predicati all’università di oxford fra il 1826 e il 1843, Xiii, 7, e Xi, 15-16, in Scritti filosofici, cit., rispettivamente pp. 471-473 e 395-397. 4 Ivi, p. 1355. 5 Ivi, pp. 1317 e 1321-1323. 6 Ivi, p. 1405. 7 Ivi, p. 1429. 8 Ivi, p. 1431. 9 L. Obertello, Conoscenza e persona nel pensiero di John henry newman, Università degli studi di trieste – Facoltà di Magistero, trieste 1964, pp. 131132. 10 J.H. Newman, Saggio a sostegno di una Grammatica dell’assenso, cit., p. 1339. Come suggerisce il termine certitude, si tratta propriamente di una certezza che possiamo definire “soggettiva”, diversa dalla certezza cosiddetta “oggettiva”(certainty), benchè ad entrambi i casi corrisponda il medesimo aggettivo “certo”(certain). Mentre all’una newman attribuisce il senso di una convinzione, all’altra associa “la propo- sizione o verità”; l’una viene indicata come “niente più che una relazione della mente con proposizioni date”, mentre l’altra riguarda prove e dimostrazioni, ossia una qualità delle proposizioni (cfr. ivi, pp. 1173, 1229, 1393-1395 e 1455). 11 Cfr. soprattutto Aristotele, etica nicomachea, 1094b 23 – 1095a 1, 1140a 25-1140b 6, tr. it. a cura di C. Mazzarelli, rusconi, Milano 1979, rispettivamente pp. 53 e 235-237. 12 Cfr. ivi, 1143b 5-6, p. 283; 1095a 4, p. 86; 1143b 11-16, p. 284. 13 J.H. Newman, Lettera al duca di norfolk. Coscienza e libertà, tr. it. a cura di v. Gambi, paoline, Milano 1999, p. 213. 14 J.H. Newman, Saggio a sostegno di una Grammatica dell’assenso, cit., p. 1479, corsivo mio. 15 Ivi, p. 1029, e Newman, Lettera al duca di norfolk, cit., pp. 217-219; Quindici Sermoni, cit., ii, 7, p. 67. 16 Ivi, p. 1029. 17 J.H. Newman, L’Idea di università, ii, 8, in Scritti sull’università, a cura di M. Marchetto, Bompiani, Milano 2008, p. 401. 18 J.H. Newman, Lettera al duca di norfolk, p. 220. 19 Ivi, pp. 218-219. 20 J.H. Newman, Saggio a sostegno di una Grammatica dell’assenso, cit., pp. 1371-1373. Note 1 J.H. Newman, Saggio a sostegno di una Grammatica dell’assenso, in Scritti fi- prospettiva •persona• CASTELLI: Francesco Grue?, Piatto stemmato con tauromachia, circa 1670, maiolica policroma lumeggiata d’oro, diametro cm. 22,7 N. 80/12 17