GIURISPRUDENZA T R I B U TA R I A S A L E R N I TA N A ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI SALERNO 2009 NUMERO NUMER O UNICO Sped. in a. p. art. 2 comma 20/C Legge Legge 662/96 - Filiale di Salerno - Anno XV - Copia omaggio SOMMARIO NOTE, ARTICOLI E COMMENTI Forzosa compilazione del quadro IQ e impugnabilità dell’iscrizione a ruolo contestante l’omissione del versamento Irap, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. IV, 29 settembre 2008, n. 365 - Luca De Rosa pag. 12 Il rimborso dell’IVA assolta su opere realizzate su beni altrui, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIV, 4 marzo 2009, n. 65 - Gaetano Apostolico ” Corrispettivo e valore normale nella compravendita di immobili, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVIII, 23 aprile 2009, n. 258 - Marco Di Lorenzo 22 ” 46 “Consegna” o “notificazione” del processo verbale di constatazione quale causa ostativa al condono tombale, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 2 luglio 2008, n. 275 - Rita Avagliano ” 50 Il principio della translatio iudicii tra giudici di ordine diverso introdotto dalla Corte Costituzionale e disciplinato con la legge 69 del 2009, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVI, 20 gennaio 2009, n. 12 - Luciana Capo ” 64 Il punto sulla notifica delle cartelle di pagamento, nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, nota a Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. XII, 19 gennaio 2009, n. 6 - Raffaele Adriano Tosto ” 71 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 1 IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE Riscossione – Somme liquidate ex art. 36 bis, D.P.R. n. 600/1973 - Forzosa compilazione del Quadro IQ della dichiarazione Irap del lavoratore autonomo – Contestata l’omissione del versamento - Cartella di pagamento – Impugnabilità nel merito oltre che per vizi propri – Sussistenza – Presupposto Irap – Esclusione – Fattispecie – Assenza di autonoma organizzazione (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2) ” 10 IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE Imposta sul reddito delle persone fisiche – Versamento diretto in base alla dichiarazione dei redditi – Errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento – Istanza di rimborso – Procedura (D.P.R. n. 602/73, art. 38; D.P.R. n. 322/98, art. 2) pag. 7 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO Imposta sul valore aggiunto – Istanza di rimborso dell’eccedenza detraibile Imposta afferente le opere realizzate su terreno di proprietà altrui in comodato - Legittimità - Condizioni (D.P.R. n. 633/72, art. 30, comma 3°, lett. c; D.P.R. n. 917/1986, art. 103) ” 19 Imposta sul valore aggiunto – Prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, non dichiarati all’Ufficio competente, e privi di rappresentante fiscale in Italia – Soggettività passiva del prestatore – Presupposti (D.P.R. n. 633/72, art. 17, commi 2° e 3°). Imposta sul valore aggiunto – Ente locale che commissiona il progetto per la costruzione di edifici per attività giudiziaria – Esercizio di impre.sa – Non sussiste ” 25 Imposta di registro – Agevolazioni stabilite dall’art. 14 della legge 15 dicembre 1998, n. 441, al fine di favorire la continuità dell’impresa agricola – Possesso dei requisiti – Certificazione – Obbligo di presentazione all’Ufficio entro i termini di decadenza del potere di accertamento – Non sussiste – Provvedimento di recupero delle imposte ordinarie fondato unicamente sulla mancata presentazione della stessa certificazione – Illegittimità – Consegue ” 27 IMPOSTE E TASSE ACCERTAMENTO 2 Accertamento – Accertamento analitico-induttivo ex articolo 54, comma 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Accertamento di irregolarità formali e sostanziali delle scritture contabili tali da renderle nel complesso inattendibili – Necessità – Differenze tra le giacenze di magazzino come risultanti da calcoli effettuati dalla polizia tributaria sulla base di percentuali medie e quelle effettivamente rinvenibili – Insufficienza – Illegittimità dell’accertamento – Consegue Accertamento imposte sui redditi e imposta sul valore aggiunto – Indagini bancarie – Estensione ai conti correnti intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente – Prova della intestazione fittizia dei conti correnti – Necessità Confronto analitico tra le singole movimentazioni finanziarie e le risultanze della contabilità del contribuente – Necessità – Accertamento solo "globale", con unico riferimento alle operazioni ivate – Illegittimità – Consegue ” ” 29 32 Accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva – Preclusioni – Istanza di condono – Definizione automatica per gli anni pregressi – Accertamento non preceduto da atto di diniego del condono – Illegittimità (L. n. 289/2002, art. 9) pag. 36 Accertamento – Poteri dell’ufficio – Elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza – Accertamento del reddito della società basato su importi riscossi dall’amministratore – Illegittimità (D.P.R. n. 600/73, art. 32) ” 39 Accertamento dell’Iva e dell’Irap – Compravendita di immobili – Contratto registrato nel 2004 – Corrispettivo dichiarato in misura non inferiore al c.d. valore automatico ricavabile in base al reddito risultante in catasto – Rettifica del valore degli immobili – Illegittimità (D.P.R. n. 131/86, art. 52, commi 4° e 5°; D.L. n. 223/06, conv. in legge, con mod., dall’art. 1, L. n. 248/06, art. 35, comma 23 ter) ” 44 Misure cautelari – Istanza di iscrizione di ipoteca avanzata ai sensi dell’art. 22, D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – Proposizione – Spetta all’Amministrazione finanziaria anche per i crediti anteriori all’entrata in vigore della legge ” 52 Processo tributario – Ricorso introduttivo – Cumulo oggettivo e soggettivo – Ammissibilità (C.p.c. art. 103) ” 58 Processo tributario – Onere della prova – Accertamento basato sugli studi di settore ” 58 Processo tributario – Misure cautelari – Istanza di iscrizione di ipoteca avanzata ai sensi dell’art. 22, D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 nel testo precedente alla modifica introdotta dall’art. 27, commi 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 185 del 2008, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2 – Ambito applicativo – Limitazione alle sole sanzioni – Natura interpretativa della disposizione di ammissibilità dell’istanza di misure cautelari anche ai tributi – Esclusione ” 54 CONTENZIOSO Processo tributario – Ricorso proposto alla Commissione tributaria priva di giurisdizione – Inammissibilità – Riassunzione della causa innanzi al giudice ordinario fornito di giurisdizione – Termine (C.p.c. art. 50; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 5) Processo tributario – Controversie relative al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – Esclusione (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2) ” 62 Processo tributario – Ricorso proposto alla Giudice Ordinario privo di giurisdizione – Inammissibilità – Riassunzione della causa innanzi alla Commissione Tributaria fornita di giurisdizione – Ammissibilità (C.p.c. art. 50; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 5) ” 67 3 CONDONO TRIBUTARIO Condono – Ai fini dell’imposta sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta regionale sulle attività produttive – Definizione automatica per gli anni pregressi – Art. 9, comma 14°, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 – Preclusioni – Notificazione di processo verbale di constatazione, o avviso di accertamento – Fattispecie – Consegna del processo verbale di constatazione da parte degli agenti accertatori al contribuente – Non costituisce fatto preclusivo del condono pag. 48 RISCOSSIONE 4 Riscossione mediante ruolo – Notifica della cartella di pagamento al contribuente che ha apposto la firma in calce alla dichiarazione – Disconoscimento della firma da parte del ricorrente – Irreperibilità della dichiarazione – Nullità della notifica (D.P.R. n. 602/73, art. 25) ” 70 Riscossione mediante ruolo – Somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni presentate nel 2002 – Notifica della cartella di pagamento - Termine (D.Lgs. n. 46/99, art. 36, comma 2°, lett. a) ” 77 INDICE CRONOLOGICO Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 6 febbraio 2008, n. 182 pag. 29 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. II, 6 maggio 2008, n. 50 ” 52 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VIII, 5 giugno 2008, n. 134 ” 27 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XV, 27 giugno 2008, n. 311 ” 32 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 2 luglio 2008, n. 275 ” 48 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. IV, 29 settembre 2008, n. 365 ” 10 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIII, 21 novembre 2008, n. 448 ” 58 Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. XII, 19 gennaio 2009, n. 6 ” 70 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVI, 20 gennaio 2009, n. 12 ” 62 Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. V, 26 gennaio 2009, n. 11 ” 7 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIV, 4 marzo 2009, n. 65 ” 19 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. II, 16 marzo 2009, n. 132 ” 25 Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. V, 16 febbraio 2009, n. 44 ” 36 5 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. X, 9 marzo 2009, n. 98 6 pag. 54 Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. II, 8 aprile 2009, n. 113 ” 77 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVIII, 23 aprile 2009, n. 258 ” 44 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIV, 4 maggio 2009, n. 143 ” 39 Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIII, 8 maggio 2009, n. 92 ” 67 Imposta sul reddito delle persone fisiche PROCEDURA DI RIMBORSO PER INESISTENZA TOTALE O PARZIALE DEL DEBITO D’IMPOSTA RISULTANTE DALLA DICHIARAZIONE Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. V, 26 gennaio 2009, n. 11 Pres. Siniscalchi – Rel. Iandolo Imposta sul reddito delle persone fisiche – Versamento diretto in base alla dichiarazione dei redditi – Errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento – Istanza di rimborso – Procedura (D.P.R. n. 602/73, art. 38; D.P.R. n. 322/98, art. 2) Le imposte sul reddito dell’anno 2000, non dovute ma versate in base alla dichiarazione che erroneamente non tiene conto della detrazione spettante per i contributi alla cassa professionale, possono essere recuperate con l’istanza di rimborso prevista dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/73, senza necessità di presentare una dichiarazione che integri e corregga quella errata già presentata. Ciò perché la emendabilità della dichiarazione con la presentazione di una integrativa per la correzione di errori commessi in danno del contribuente è stata prevista solo dal 1° gennaio 2002 con l’introduzione del comma 8 bis all’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998. Svolgimento del processo Giusta autorizzazione D.R. Campania prot. 25360 del 25 settembre 2007, l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, con atto depositato in data 12 ottobre 2007, ha proposto appello avverso la sentenza n. 116 del 17 febbraio/17 luglio 2006 della Commissione Tribu- taria Provinciale di Salerno, Sez. XVIII, che ebbe ad accogliere il ricorso proposto da SS. avverso il silenzio – rifiuto formatosi sull’istanza proposta per ottenere il rimborso della maggiore IRPEF versata per l’anno d’imposta 2000 (Mod. Unico 2001) per non aver tenuto conto, in sede di redazione della detta dichiarazione, delle somme versate alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense deducibili ai fini della esatta determinazione dell’imposta dovuta. Deduce a tal fine che l’art. 2, comma 1, lettera d) D.P.R. n. 435/2001 ha modificato l’art. 2 D.P.R. n. 322/1998 introducendo, con il comma 8 bis, l’istituto della dichiarazione integrativa a favore del contribuente statuendo un limite temporale – da rispettare a pena di decadenza - entro cui rettificare in melius la dichiarazione originaria; che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 6/2002 ha chiarito che le nuove disposizioni sono applicabili alle dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2002 o per quelle che, a tale data, non era decorso il termine dei novanta giorni previste per le "tardive". Conclude per la riforma della sentenza impugnata. Con atto depositato in data 10 dicembre 2007 si costituisce parte appellata e deposita controdeduzioni. Osserva che l’art. 2, comma 8 bis D.P.R. n. 322/1998 permette di evidenziare il credito d’imposta per il suo immediato utilizzo in sede di compensazione in alternativa al rimborso; che il diverso riferimento temporale dei diciotto o quarantotto mesi deve essere apprezzato in relazione alle diverse opzioni esperibili dal contribuente di recupero della maggiore imposta a credito; che il predetto art. 2, comma b bis e l’art. 38 D.P.R. n. 602/1973 offrono soluzioni alternative e non preclusive secondo ratio 7 totalmente diverse. Conclude per la conferma della sentenza impugnata. All’odierna udienza di discussione celebrata in forma pubblica giusta istanza di parte appellante, la Commissione decide la controversia. Motivi della decisione 8 L’appello non é fondato e va, pertanto, rigettato. Vale rilevare in via preliminare che la questione sottoposta all’attenzione di questo collegio attiene esclusivamente alla possibilità e modalità di recupero delle maggiori imposte che il contribuente ha versato in misura maggiore del dovuto per non aver considerato, in detrazione, nel caso in esame, le somme versata a titolo di contribuzione alla cassa professionale di appartenenza. In merito alla quantificazione delle somme chieste a rimborso, nessuna contestazione viene mossa dall’Agenzia per cui l’entità del rimborso è da considerarsi definitivamente accertato. La questione sottoposta all’attenzione di questo collegio attiene alla modalità che il contribuente deve rispettare per poter ottenere il rimborso delle somme che ha versato in eccesso rispetto alle imposte dovute per aver omesso di considerare, in sede di dichiarazione annuale, importi a suo favore e, quindi, se il contribuente sia obbligato a presentare, nei termini, prima una dichiarazione che integri e corregga quella errata già presentata e debba poi chiedere il rimborso delle somme emergenti come versate in eccesso rispetto al nuovo e corretto importo dovuto oppure possa avvalersi direttamente della procedura di rimborso. Sul punto, la Suprema Corte ha più volte ribadito il condivisibile e condiviso principio secondo cui "la dichiarazione affetta da errore di fatto o di diritto commesso dal dichiarante nel redigerla è in linea di principio emendabile e ritrattabile ai sensi dell’art. 9, commi 7 e 8 qualora possa derivarne l’assoggettamento del contribuente ad imposta diversa e più gravosa rispetto a quella che per legge deve restare a suo carico" e che alla facoltà di emendare la dichiarazione corrisponde il diritto di chiedere il rimborso delle imposte pagate a fronte di obblighi dimostratisi in tutto o in parte inesistenti. Il rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’ordinamento impone che sia consentito di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede dal contribuente all’atto della compilazione della dichiarazione avvalendosi della procedura disciplinata dall’art. 38 D.P.R. n. 602/1973 in quanto tale disposizione opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito (Cass. civ. n. 16748 del 10 aprile/19 giugno 2008; n. 13484 del 4 maggio/8 giugno 2007). Va considerato, inoltre, che la emendabilità della dichiarazione con la presentazione di una integrativa per la correzione di errori commessi in danno del contribuente è stata prevista solo dall’art. 2, comma 1, lettera d D.P.R. n. 435/2001 che ha modificato, con effetto dal 1° gennaio 2002, ai sensi dell’art. 19 comma 1) l’art. 2 D.P.R. n. 322/1998 introducendo il comma 8 bis con la conseguenza che per i periodi antecedenti al 1° gennaio 2002, in mancanza di norme espresse è necessario rifarsi al principio innanzi richiamato circa la natura della dichiarazione quale atto non negoziale, confessorio o di disposizione dei propri diritti, né fonte o titolo dell’obbligazione tributaria ma "mera esternalizzazione di scienza e di giudizio" senza dimenticare che il prelievo fiscale deve comunque essere effettuato nel rispetto del principio costituzionale della capacità contributiva (art 53, comma 1, della Costituzione) e della correttezza dell’azione della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). Da tali premesse non può che derivare il rinvio all’art. 38 D.P.R. n. 602/1973 quale strumento procedurale per evitare che errori materiali, duplicazioni d’imposta, inesistenza parziale o totale dell’obbligo del versamento lascino non rispettati i detti principi. Sul punto la Suprema Corte (Cass. civ. n. 4238 del 26 settembre 2003/2 marzo 2004) ha chiarito che "la richiesta di rimborso è idonea a rettificare in senso favorevole al contribuente la dichiarazione dei redditi .... Dato che non vi sono, prima del 2001, termini di decadenza (diversi da quelli previsti per il rimborso) per tale rettifica favorevole". Da ultimo, va rilevato che la stessa Agenzia delle Entrate ha aderito a questa linea di pensiero tanto da emettere la recentissima risoluzione n. 459 E del 2 dicembre 2008 che ha affrontato proprio la questione della emendabilità delle dichiarazioni pro – contribuente precisando che la restituzione delle imposte indebite debba avvenire per il tramite dell’istanza di rimborso ex art. 38 D.P.R. n. 602/1973. La natura della controversia integra giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Rigetta l’appello dell’Ufficio e compensa le spese. 9 Irap FORZOSA COMPILAZIONE DEL QUADRO IQ DELLA DICHIARAZIONE IRAP Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. IV, 29 settembre 2008, n. 365 Pres. Santaniello – Rel. Pagano Riscossione – Somme liquidate ex art. 36 bis, D.P.R. n. 600/1973 Forzosa compilazione del Quadro IQ della dichiarazione Irap del lavoratore autonomo – Contestata l’omissione del versamento - Cartella di pagamento – Impugnabilità nel merito oltre che per vizi propri – Sussistenza – Presupposto Irap – Esclusione – Fattispecie – Assenza di autonoma organizzazione (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2) 10 La cartella di pagamento emanata a norma dell’ art. 36 bis, D.P.R. n. 600 del 1973, essendo il primo atto del procedimento amministrativo con il quale l’Ufficio porta a conoscenza del contribuente la pretesa fiscale, assume la duplice natura di atto di accertamento e riscossione. Pertanto, la cartella portante la contestazione dell’omesso versamento dell’Irap evidenziata nel quadro IQ della dichiarazione dei redditi può essere impugnata anche nel merito oltre che per vizi propri (nella specie, è stata riconosciuta al contribuente, che era stato obbligato a compilare il Quadro IQ per non “bloccare” l’invio della dichiarazione telematica, la possibilità di dimostrare in giudizio che la sua attività professionale era svolta senza dipendenti e con attrezzature limitate e, pertanto, in assenza di autonoma organizzazione, non assoggettabile ad Irap). Svolgimento del processo Il Rag. L.F., procuratore di se stesso, proponeva tempestivo ricorso avverso e per l’annullamento della cartella esattoriale con la quale l’Agenzia delle Entrate Ufficio di X, a seguito di liquidazione della dichiarazione ai sensi dell’art. 36 bis D.P.R. n. 600/73, chiedeva il pagamento di € 868,37 comprensivo di sanzione ed interessi per omesso versamento IRAP per l’anno di imposta 2004. Il ricorrente eccepiva la nullità della cartella per insussistenza dell’obbligo del versamento IRAP di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 446/97 perché, essendo lavoratore autonomo, la propria attività era priva di autonoma organizzazione e citava sentenza della Suprema Corte e di C.T.P. Precisava, nel merito, di svolgere l’attività di Ragioniere Commercialista senza avvalersi di collaboratori e senza significativi costi di gestione in quanto aveva come struttura una stanza posta all’interno di altro studio professionale. Il valore dei beni strumentali, poi, ammontava ad € 9.961,00 ed allegava copia del quadro "E" dell’Unico 2005 e copia del libro dei cespiti ammortizzabili. Ancora, evidenziava che i compensi percepiti erano riferibili per il 31% ad una collaborazione con altro professionista e per il 59% ad incarichi sindacali. Nel gravame veniva richiesta in via cautelare la sospensione dell’esecuzione dell’ atto impugnato. Si costituiva l’Ufficio e preliminarmente chiedeva, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/92 l’integrazione del contraddittorio della Regione Campania. Riteneva, poi, il ricorso inammissibile perché il ricorrente adduceva questioni che at- tenevano al merito e non ai vizi propri della cartella e che con la compilazione dell’apposito quadro lo stesso aveva manifestato la volontà di assoggettare il reddito di lavoro autonomo all’imposta. Infine, in ordine alla sussistenza dell’imposta, evidenziava che il contribuente non aveva fornito chiari elementi che dimostrassero l’inesistenza di una autonoma organizzazione. Chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso e vittoria delle spese di giudizio. Alla pubblica udienza del 13/5/2008 la Commissione accoglieva l’istanza di sospensione dell’atto impugnato. All’odierna pubblica udienza la Commissione decideva come da dispositivo. Motivi della decisione Il ricorso è fondato e va, perciò, accolto. Circa la richiesta di integrazione del contraddittorio la Commissione osserva che dal periodo d’imposta in corso all’1/1/2000 la competenza per il controllo, l’accertamento e la riscossione dell’IRAP passa alle singole regioni, qualora queste abbiano provveduto ad emanare apposita legge al riguardo. Nel caso di specie, la notifica del ruolo da parte dell’ Agenzia delle Entrate Ufficio di X, confermerebbe l’assenza di legge regionale. Pertanto il ricorso, così come è avvenuto, andava notificato all’Agenzia delle Entrate di X. Quanto all’inammissibilità del ricorso perché il ricorrente aveva addotto questioni che attenevano al merito e non ai vizi propri della cartella esattoriale la Commissione osserva che la mancata compilazione del quadro IQ, che attesta la non debenza dell’IRAP, costituiva un errore bloccante per l’invio della dichiarazione. Infatti non era possibile inviare il quadro RE senza abbinare la compilazione del quadro IQ. Una conferma a tale circostanza sono le modifiche alle istruzioni e alle specifiche tecniche fatte nell’UNICO 2007 proprio allo scopo di aggiornare modulistica e software alle recenti pronunce giurisprudenziali nelle quali la Cassazione ha chiarito i casi di non debenza del tributo. La stessa Agenzia delle Entrate, poi, con comunicato stampa del 31/5/2007 annunciava l’eliminazione del controllo bloccante che non avrebbe consentito di presentare la dichiarazione in via telematica, nel caso dei professionisti che non compilano il quadro IQ per l’IRAP pur presentando il quadro RE per i redditi di lavoro autonomo. Sussistendo, pertanto, tale obbligo per il periodo di imposta in contestazione e considerato che la relativa cartella, frutto di una semplice attività di liquidazione o controllo formale, è l’unico atto del procedimento amministrativo con il quale l’Ufficio porta a conoscenza del contribuente sia la volontà di imposizione che di riscossione, la stessa assume, a parere di questo Collegio, la duplice natura di atto di accertamento e riscossione. Pertanto la cartella può essere impugnata anche nel merito oltre che per vizi propri. Se ciò non fosse possibile si violerebbe il principio di imparzialità oggettiva, che veicola il modus operandi della P.A. verso il reale interesse dell’Erario nel pieno rispetto dei diritti del contribuente nell’ambito di un rapporto improntato a correttezza, collaborazione, trasparenza. Infatti obbligherebbe il ricorrente, che per i requisiti evidenziati e provati nel ricorso rientra tra i casi di non debenza del tributo previsti dalle recenti pronunce della Cassazione, al "solve et repete" con danni e difficoltà nel recupero della somma versata. Nel merito, nel caso dell’odierno ricorrente, lo stesso ha prodotto documentazione dalla quale risulta che l’attività professionale è svolta senza dipendenti, con attrezzature limitate, per cui non può certo parlarsi di attività che possa svilupparsi in assenza del titolare dello studio. Sussistono giusti motivi per compensare le spese. PQM La Commissione accoglie il ricorso ed annulla l’atto impugnato. Compensa le spese. 11 _________ FORZOSA COMPILAZIONE DEL QUADRO IQ E IMPUGNABILITÀ DELL’ISCRIZIONE A RUOLO CONTESTANTE L’OMISSIONE DEL VERSAMENTO IRAP Sommario: 1. L’oggetto della controversia e i punti salienti della pronuncia assunta dal Collegio giudicante 2. Profili relativi alla ritrattabilità della dichiarazione in sede contenziosa 3. Brevi cenni sulla natura della dichiarazione tributaria e sulla sua ritrattabilità in sede processuale, secondo il diritto giurisprudenziale tributario 4. La differente posizione assunta dall’Ufficio resistente, in sede processuale, nonché da parte della dottrina, laddove viene sostenuto che il ricorso avverso il ruolo emesso ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/73 costituisca rimedio inutile (o limitatamente utile per i soli elementi eventuali) a emendare la dichiarazione 5. Peculiarità della fattispecie, oggetto di giudizio, caratterizzata dalla “forzosa ed obbligata” compilazione della dichiarazione Irap, imposta dal protocollo informatico ufficiale a dichiarante privo di soggettività passiva Irap, con conseguente prospettata illegittimità dell’iscrizione a ruolo ex art. 36-bis notificatagli 6. Conclusioni La pronuncia in rassegna consente di formulare alcune brevi riflessioni sulla ritrattabilità della dichiarazione Irap in sede processuale, in ipotesi di impugnativa giudiziale della liquidazione di cui all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Si perverrà alla conclusione, autorizzata dal diritto giurisprudenziale tributario ed in antitesi con la discordante posizione della dottrina, che il procedimento amministrativo tributario, di cui all’art. 36bis del D.P.R. 600/73, non preclude, in sede contenziosa, la ritrattabilità della dichiarazione in ordine a vizi della dichiarazione attinenti alla debenza del tributo 12 1. L’oggetto della controversia e i punti salienti della pronuncia assunta dal Collegio giudicante La controversia in esame origina dalla impugnazione giudiziale, da parte di un libero professionista, di cartella di pagamento ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73, con la quale si contestava l’omesso versamento dell’Irap emergente dalla dichiarazione presentata. In realtà, il ricorrente, pur ritenendo di non rivestire la qualità di soggetto passivo Irap, era risultato “obbligato” a compilare il Quadro IQ della dichia- razione valida ai fini Irap in quanto, come noto, il protocollo informatico ufficiale, almeno fino al Modello Unico 2006, non consentiva, in assenza di tale compilazione, l’invio telematico della dichiarazione unificata. Solo in seguito a Risposta ad Interrogazione parlamentare (n. 5-0159) del 30/502007, l’Amministrazione finanziaria ha proceduto ad eliminare l’errore bloccante segnalato dal software Entratel nel caso di trasmissione telematica del Modello Unico 2007 Persone fisiche senza il quadro IQ relativo all’Irap Difatti, il sistema di controllo Entratel, elaborato dalla So.ge.i., come unico protocollo informatico utile al detto adempimento, prevedeva al proprio interno un sistema di “blocco” che, laddove registrasse discordanze anche di tipo formale tra i dati inseriti e quelli previsti dal protocollo, “scartava” la dichiarazione attraverso un codice c.d. di “errore bloccante”, impedendone così la trasmissione telematica. Ecco che il ricorrente, pur ritenendo di non rivestire la qualità di soggetto passivo Irap, perché svolgente la sua attività professionale in assenza di autonoma organizzazione, aveva dovuto necessariamente impugnare il ruolo portato nella cartella di pagamento, contenente sia la “forzosa liquidazione” della dichiarazione Irap sia il relativo contestato omesso versamento del tributo, eccependo vizi attinenti all’an debeatur del tributo. L’Agenzia delle Entrate periferica, nel costituirsi in giudizio, sosteneva che il ricorrente non lamentasse l’illegittimità del ruolo per “vizi propri” dello stesso, ma adducesse – esclusivamente – questioni che attenevano al merito che, nella fase della riscossione, non potevano trovare accesso. Ciò perché, con il controllo automatico della dichiarazione ai sensi dell’art. 36 bis del D.P.R. 600/73, l’Amministrazione finanziaria opera un semplice ricalcolo dei dati contabili esposti dal contribuente, abbinandoli agli importi comunicati dagli Enti esterni (versamenti, ritenute, etc.). Nel caso di specie, il ricorrente, avendo compilato il quadro IQ relativo all’IRAP, aveva chiaramente manifestato la volontà di assoggettare il reddito da lavoro autonomo alla predetta imposta. Questi gli elementi essenziali della controversia. Il Collegio giudicante, nella elaborazione della sua decisione, ha statuito il principio secondo cui la cartella di pagamento, ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73, assume la duplice natura di atto di accertamento e riscossione perché unico atto del procedimento amministrativo con il quale l’Ufficio porta a conoscenza del contribuente sia la volontà di imposizione sia quella di riscossione e, tenuto conto che la omessa compilazione da parte del contribuente del quadro IQ, attestante la non debenza dell’IRAP, costituiva – almeno all’epoca – un “errore bloccante” per l’invio della dichiarazione. Ne conseguiva che la relativa cartella, portante la liquidazione contestante l’omissione del versamento dell’IRAP, poteva essere impugnata anche nel merito, oltre che per vizi propri. Il Collegio giudicante sosteneva, altresì, che, diversamente, si sarebbe violato il principio di imparzialità oggettiva che veicola il modus operandi della Pubblica Amministrazione verso il reale interesse dell’Erario, nel pieno rispetto dei diritti del contribuente, nell’ambito di un rapporto improntato a correttezza, collaborazione, trasparenza. Infatti, obbligherebbe il ricorrente, che per i requisiti evidenziati e provati nel ricorso rientra tra i casi di non debenza del tributo previsti dalle recenti pronunce della Cassazione, al "solve et repete" con danni e difficoltà nel recupero della somma versata. 2. Profili relativi alla ritrattabilità della dichiarazione in sede contenziosa Le argomentazioni adottate dal Collegio necessitano di alcune osservazioni aggiuntive. Il libero professionista che si avvale, nella produzione del proprio reddito professionale unicamente dell’intuitu personae, in assenza di autonoma organizzazione, concretizza l’ipotesi di inesistenza dell’obbligo di assoggettamento al tributo IRAP per insussistenza del presupposto impositivo di cui all’art. 2 del D. Lgs. 446/97 (1). Ora, in aderenza con l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, la suddetta eccezione è sollevabile anche e comunque in sede di opposizione all’iscrizione a ruolo poiché, perfino quando la stessa iscrizione si fondi sulla semplice contestata insufficienza o omissione del versamento rispetto al presunto debito risultante dalla dichiarazione, è possibile far valere, tramite l’impugnazione del ruolo, l’insussistenza del debito dimostrando l’erroneità della dichiarazione tributaria (2). Invero, la liquidazione di cui all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 non preclude al contribuente, attraverso l’impugnazione della relativa cartella, di rimettere in discussione la debenza del tributo (3). Ciò perché, la ritrattabilità della dichiarazione in sede contenziosa, si armonizza col noto e consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, secondo cui il processo tributario assume natura di procedimento di “impugnazione-merito”, con cognizione piena del Giudice Tributario non solo sull’atto impugnato, ma anche sul rapporto tributario, se vi è la mediazione/filtro di un atto impositivo tempestivamente opposto non per motivi formali, ma di carattere sostanziale, attinenti al merito del rapporto. Si impone, tuttavia, una opportuna distinzione: a) quando l’impugnazione verte su vizi formali dell’atto e il giudice riconosce fondato il ricorso, si ha l’annullamento dell’atto; il giudizio, in questo caso assume i caratteri del giudizio di annullamento e, in tale annullamento, si esaurisce; b) quando il giudizio verte sull’an o sul quantum dell’imposta (come nella fattispecie oggetto della controversia in rassegna) la sentenza che accoglie il ricorso assume un contenuto complesso, poiché il giudice non si limita ad eliminare l’atto impugnato, ma emette una sentenza sostitutiva dell’atto impugnato. Per questo motivo la giurisprudenza definisce il processo tributario come processo di impugnazione-merito, intendendo dire che la sentenza, oltre ad eliminare l’atto impugnato, lo sostituisce (4). 3. Brevi cenni sulla natura della dichiarazione tributaria e sulla sua ritrattabilità in sede processuale, secondo il diritto giurisprudenziale tributario La ritrattabilità della dichiarazione in sede contenziosa diviene, altresì, possibile in ragione dell’attribuita natura non negoziale della dichiarazione tributaria (e della sua riconosciuta ritrattabilità), operata dalla giurisprudenza di legittimità. Difatti, come noto, va rimarcato che la dichiarazione tributaria (pur mancando una definizione normativa espressa e costituendo figura così ampia da ricomprendere diverse fattispecie normative), almeno nei suoi contenuti narrativi (segnatamente, l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili), costituisce atto di scienza e giammai atto negoziale (5). Più specificamente, la dichiarazione tributaria non è dichiarazione di volontà, bensì mero atto, cioè atto le cui conseguenze giuridiche sono predeterminate dalla legge (6). In questa linea la dichiarazione tributaria è la comunicazione obbligata che il dichiarante rende all’erario di fatti ed elementi che si sono verificati nella propria sfera giuridica (7). La comunicazione è voluta dal legislatore come collaborazione necessaria con l’Erario ai fini della determinazione della base imponibile e dell’imposta del contribuente tenuto alla presentazione della dichiarazione stessa (8). Il legislatore ne fissa i contenuti, i tempi, le modalità di presentazione, e ciò a tutela dell’interesse collettivo all’attuazione del prelievo. Ma, si deve sottolineare, non di qualsivoglia prelievo, e neppure di un prelievo conforme a parametri eccezionali, come accade per la dichiarazione di condono, bensì del prelievo conforme alla capacità contributiva, che si è effettivamente realizzata (artt. 23 e 53 Cost.) (9). Difatti, in seguito alla presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (10), ancorché, si ribadisce, non esista un modello ricostrutti- 13 14 vo univoco, la dichiarazione, quale adempimento del rapporto tributario, non si configura né come atto negoziale né come confessione stragiudiziale, bensì come esternazione di scienza e di giudizio. Cioè, è prevalso l’orientamento di legittimità secondo cui la dichiarazione non costituisce il titolo dell’obbligazione tributaria perché essa è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile quando risulti frutto di un errore del dichiarante, sia errore testuale o extratestuale, di fatto o di diritto, quando da essa possa derivare l’assoggettamento del dichiarante medesimo ad oneri contributivi diversi, e più gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico. Corollario del citato principio di legittimità è che gli eventuali errori della dichiarazione possono essere fatti valere anche mediante ricorso contro il ruolo. Ciò perchè la previsione degli effetti collegabili alla fattispecie tributaria è contenuta integralmente nella legge che non lascia spazio libero ad autonome determinazioni della volontà del contribuente . Per tale motivo la dichiarazione è atto diretto ad esternare non la volontà, ma la sussistenza di determinati fatti e, pertanto, si concretizza in una dichiarazione di scienza. Detto altrimenti: l’obbligazione tributaria nasce dal verificarsi del presupposto di imposta previsto dalla norma astratta e non dalla esposizione dei redditi percepiti nell’anno di imposta in dichiarazione; pertanto, l’atto della dichiarazione, proprio perchè avente natura di dichiarazione di scienza e non di volontà, può essere sempre rettificato al fine di consentire l’evidenziazione della reale situazione reddituale imponibile (11) atteso che, in ogni caso, il prelievo deve rispondere al superiore principio costituzionale della effettiva capacità contributiva di cui all’art. 53 della Carta costituzionale. Ne deriva, altresì, che il procedimento tributario tende a far valere l’obbligazione dovuta per legge, non già l’obbligazione emergente dalla dichiarazione se questa si pone in contrasto con quanto dovuto ex lege . E quanto appena affermato risulta già in una risalente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, laddove si ebbe modo di affermare il carattere ex lege dell’obbligazione tributaria e la mera strumentalità degli atti applicativi (dichiarazione e accertamento) (12). Detto altrimenti la dichiarazione è tanto poco fonte dell’obbligazione, che l’obbligazione esiste anche se la dichiarazione sia omessa (13). 4. La differente posizione assunta dall’Ufficio resistente, in sede processuale, nonché da parte della dottrina, laddove viene sostenuto che il ricorso avverso il ruolo emesso ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/73 costituisca rimedio inutile (o limitatamente utile per i soli elementi eventuali) a emendare la dichiarazione La tesi sostenuta dall’Ufficio resistente, nella controversia in rassegna - e secondo cui il ricorrente non lamentava l’illegittimità del ruolo per “vizi propri” dello stesso, ma sollevava questioni che attenevano al merito che, nella fase della riscossione, non potevano trovare accesso - trova una coincidente posizione in autorevole dottrina (14), laddove viene escluso che avverso il ruolo di cui all’art. 36-bis si possa eccepire un vizio della dichiarazione oltre a quelli della liquidazione stessa. Cioè, posto che in sede di impugnazione giudiziale di ruolo ex art. 36-bis si è, esclusivamente, in una fase di riscossione e non di accertamento del presupposto/tributo, non troverebbero spazio eccezioni rivolte a contestare l’an ed il quantum debeatur del tributo, salva la tutela, esperibile in merito, promuovendo una debita azione di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. 602/73. Ciò perché, l’iscrizione a ruolo dell’art. 36-bis, si riconnetterebbe esclusivamente alla liquidazione dell’obbligazione legale nascente dalla qualificazione fattuale della dichiarazione dei redditi operata dal dichiarante. In altri termini, la fattispecie di cui all’art. 36-bis si realizzerebbe indipendentemente dalla conformità al presupposto (del tributo) degli elementi attivi e passivi di reddito dichiarati. Ne discende che il ruolo conseguente risulta censurabile solo in relazione ad eventuali errori della liquidazione, non venendo in alcun rilievo il diverso profilo della conformità del dichiarato con il reale, se non nei ristretti limiti della legittimità formale di taluni elementi eventuali (oneri deducibili o detraibili, crediti di imposta e il riepilogo dei versamenti effettuati) con esclusione degli elementi reddituali che risultano estranei ad ogni forma di controllo in sede di liquidazione, potendosi correggere solo gli errori materiali e di calcolo. Il ruolo ex art. 36-bis, quindi, può essere impugnato solo per vizi riconducibili ad errori nell’attività di liquidazione ovvero nella rappresentazione delle singole situazioni soggettive manifestate in dichiarazione ed oggetto del controllo automatizzato, risultando preclusa, in questa sede, la possibilità di sollevare censure in ordine alla debenza del tributo. La riportata dottrina ha avuto modo di affermare, altresì, che la citata conclusione risulta, peraltro, del tutto coerente anche con l’attuale assetto degli atti impugnabili laddove la ricorribilità solo per vizi propri ben si armonizza con la ritrovata autonomia dell’azione di rimborso, non più preclusa dalla notifica di precedenti atti impugnabili come nel regime previgente (15). 5. Peculiarità della fattispecie, oggetto di giudizio, caratterizzata dalla “forzosa ed obbligata” compilazione della dichiarazione Irap, imposta dal protocollo informatico ufficiale a dichiarante privo di soggettività passiva Irap, con conseguente prospettata illegittimità dell’iscrizione a ruolo ex art. 36-bis notificatagli Preso atto delle divergenti posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sulla impugnabilità giudiziale del ruolo 36-bis per profili attinenti alla debenza del tributo, non può non farsi rilevare che, la fattispecie all’esame del collegio giudicante, nella controversia in rassegna, assume una particolarità tutta sua. Difatti, come sopra rimarcato, il ricorrente, pur non ritenendo di rivestire la qualità di soggetto passivo Irap, era risultato “obbligato” a compilare la relativa dichiarazione (con annessa liquidazione del tributo), perché il protocollo informatico ufficiale non consentiva, in assenza di detta compilazione, l’invio telematico della dichiarazione unificata (modello Unico), comprensivo delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reddito e dell’imposta sul valore aggiunto, segnalando un “errore bloccante” nella procedura informatica. E’ il caso di rammentare che l’obbligo dichiarativo Irap, di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 446/97, sussiste esclusivamente per i soggetti passivi come individuati dagli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 446/97. Segnatamente, soggetto passivo Irap è colui che esercita una o più delle attività autonomamente organizzate, dirette alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, ossia colui che realizza il presupposto del tributo. Il fatto costitutivo dell’obbligo dichiarativo, quindi, ancorché non ne consegua un debito di imposta, sembra essere proprio il presupposto del tributo, misurato tramite il valore della produzione (16). Ne consegue che il libero professionista, come il ricorrente nella fattispecie oggetto di giudizio, svolgente attività economica produttiva in assenza di autonoma organizzazione, risulta privo di soggettività passiva Irap per carenza del presupposto oggettivo del tributo. Ne deriva, nei suoi confronti, l’assenza di obbligo dichiarativo (17). Ora, pur in assenza di obbligo dichiarativo Irap, al libero professionista, come sopra individuato, risultava precluso l’invio telematico della sua dichiarazione unificata se priva, quest’ultima, della “forzosa dichiarazione Irap” con annessa autoliquidazione dell’imposta, per il medesimo motivo: l’obbligata dichiarazione Irap imponeva, altresì, la conseguente liquidazione del tributo con obbligo di versamento. Ciò premesso, l’utilizzo del software predisposto dall’amministrazione finanziaria (18) ha determinato il sorgere di una nuova figura, normativamente non contemplata, cioè quella di un contribuente già, di fatto, “dichiarante senza obbligo dichiarativo”, cui, artificiosamente, gli si è imposto un concorrente obbligo di versamento, facendolo divenire davvero un “obbligato senza obbligazioni”. In un contesto così delineato, diviene difficilmente sostenibile la posizione della dottrina e dell’Ufficio resistente, sopra illustrata, secondo cui, in estrema sintesi, l’iscrizione a ruolo dell’art. 36-bis sarebbe impugnabile solo per vizi propri. Ciò perché, la qualificazione fattuale della dichiarazione Irap, ad opera del “dichiarante senza obbligo dichiarativo e di versamento”, risulta “indotta e provocata” da un adempimento - quello della presentazione della dichiarazione Irap, con annessa liquidazione del tributo - che risulta artificiosamente imposto dal protocollo informatico ufficiale. A ben vedere, il ruolo di cui all’art. 36-bis, cui l’amministrazione procede a iscrivere in fattispecie simili a quella in esame, risulta davvero viziato ab origine proprio perché geneticamente fondato su una imposizione di natura informatica e non su una prescrizione normativa o, almeno, su un comportamento liberamente assunto dal dichiarante. La questione, impostata in questi termini, non lascia molti dubbi sul campo. Un siffatto ruolo ex art. 36-bis è senz’altro portatore di vizi propri perché senza titolo, carente del suo presupposto di legalità e fotografante un valore della produzione del tutto virtuale e artificiosamente generato. La giurisprudenza di merito pronunciandosi sulla questione, per lo più favorevolmente al contribuente, ha censurato l’operato dei differenti uffici periferici dell’amministrazione per svariati motivi. Un primo indirizzo (19) ha ammesso che il contribuente, in sede di ricorso contro la cartella di pagamento, possa sindacare la sussistenza del presupposto oggettivo dell’imposta poiché sebbene sia corretto affermare che la cartella di pagamento possa essere censurata solo per vizi propri, con conseguente inammissibilità di eccezioni sulla debenza del tributo, è “altrettanto vero che la procedura di redazione della dichiarazione fiscale impediva al contribuente, titolare di partita IVA, l’invio telematico della dichiarazione stessa in assenza della compilazione del quadro Irap” … ”; “ … pertanto pur essendovi un’imposta dichiarata, non viene meno il diritto del contribuente di chiedere la verifica della sussistenza del presupposto d’imposta e ciò può essere legittimamente effettuato in sede contenziosa nel momento in cui viene notificata la cartella esattoriale quale primo atto impositivo” … “poiché la mera indicazione in di- 15 chiarazione dell’Irap o il suo parziale pagamento non possono costituire automaticamente la fonte dell’imposta ovvero il riconoscimento dell’esistenza e l’accertamento incontestabile del presupposto d’imposta Irap”. Un secondo indirizzo (20) è risultato più radicale: “… la tesi dell’Ufficio, secondo cui il contribuente non è legittimato ad eccepire, in sede di ricorso contro il ruolo, l’insussistenza del presupposto impositivo, va rigettata, attesa l’impossibilità – all’epoca esistente - di presentare la dichiarazione dei redditi senza la compilazione della parte relativa all’Irap … ”. 16 5. Conclusioni Sebbene si registrino autorevoli e discordanti posizioni della dottrina, tenuto conto di una ricognizione delle posizioni giurisprudenziali, in ordine alla natura del rito tributario ed alla riconosciuta ritrattabilità della dichiarazione anche in sede contenziosa, è possibile affermare che, secondo il diritto giurisprudenziale tributario, il procedimento amministrativo tributario di cui all’art. 36 bis del D.P.R. 600/73 non preclude, in sede di opposizione giudiziale, la dimostrazione dell’inesistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del tributo preteso e, a fortiori, quando si è in presenza di un dichiarante privo di soggettività passiva Irap e, quindi, senza obbligo dichiarativo e di versamento, cui viene imposta, artificiosamente, la compilazione e la liquidazione della dichiarazione Irap. Opinando diversamente e, quindi, aderendo alla tesi sostenuta dall’Ufficio resistente nella fattispecie oggetto di giudizio, cioè costringendo il dichiarante, privo di soggettività passiva Irap, ad assolvere preventivamente l’Irap e differendo la sua tutela in sede di azione di rimborso, ex art. 38 del Dpr 602/1973, si evocherebbe una revivescente variante del risalente rapporto contribuente-amministrazione finanziaria, che trova la sue radici nella stagione in cui sussisteva il principio del solve et repete che, postulando la persistente “presunzione di legittimità dell’atto amministrativo”, subordinava la tutela giurisdizionale al preventivo assolvimento dell’obbligazione (21). Condivisibile sul punto, appare, quindi, il capo della pronuncia in rassegna dove viene evocata e paventata questa infausta eventualità. Ma, allo stato, venuta meno da alcuni decenni siffatta impostazione del rapporto fisco-contribuente (22), l’eccezione sollevata dall’Ufficio resistente, nella sentenza in rassegna, risulta estranea all’intervenuta evoluzione sia del diritto tributario positivo che del diritto giurisprudenziale tributario. Luca de Rosa (1) Sul tema si rimanda, da ultimo, a R. Schiavolin, L’autonomia organizzativa nell’Irap: il faticoso sviluppo del “diritto vivente” nella giurisprudenza di merito, in Gius. Trib., 2008, pag. 779 e segg. (2) In termini, le decisioni della Commissione Tributaria Centrale n. 5331 dell’1 settembre 1989, n. 5331 e del 21 aprile 1998, n. 2059, in Banca dati Big Unico, Ipsoa. Non può, inoltre, non farsi rilevare, in merito, la discordante posizione della dottrina che, discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale dominante, esclude che avverso il ruolo di cui all’art. 36 bis si possa eccepire un vizio della dichiarazione oltre a quelli della liquidazione. Cfr. M. Nussi, La dichiarazione tributaria, Torino 2009, pag. 294. Inoltre, l’asserzione tiene conto che la normativa sull’imposta regionale delle attività produttive fa espresso richiamo alla disciplina relativa alla dichiarazione delle imposte sui redditi (cfr. art. 19, comma 2 e 5, e art. 25, comma 1, del D.Lgs. 15.12.1997 n. 446), atteso che il legislatore per esigenze di semplicità ha privilegiato una scelta volta ad utilizzare ampiamente la disciplina procedimentale del più consolidato comparto legislativo sui redditi. (3) Cass., 29 giugno 2006, n. 12787, in Banca dati Big Unico, Ipsoa. (4) Cfr. Cass., 23 marzo 1985, n. 2085; ID., 19 dicembre 1986, n. 7735; ID., 24 febbraio 1987, n. 1987; ID., 26 ottobre 1988, n. 5786; ID. n. 3309/2004; Cass., 3 marzo 1986, n. 1322, in Banca dati Big Unico, Ipsoa. Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. I, 9° ed., Torino, 2006, pag. 368. Anche la Consulta ha più volte avallato i riferiti approdi della giurisprudenza di legittimità sul punto (cfr. Corte costituzionale n. 365 del 1994 in “Giur. it.”, 1995, I, pag. 77, con nota di Papalia; e “Il Fisco” n. 39/1994, pag. 9475, con nota di Spaziani Testa). In linea con tali sviluppi, autorevole dottrina (Consolo, Processo e accertamento tra responsabilità contributiva e debito tributario, in “Riv. dir. Proc.”, 2000, pag. 1041) ha avuto modo di evidenziare che come lo stesso Allorio, “capostipite delle teorie costitutive”, aveva già ammesso che l’azione costitutiva del contribuente potesse dar luogo non solo all’annullamento, ma eventualmente anche alla riforma, con più idonea determinazione dell’atto impositivo, ammettendosi dunque anche una sentenza sostitutiva del contenuto dell’avviso di accertamento impugnato (cfr. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, pag. 384). Conseguentemente, sfuggendo in definitiva il processo tributario ad un esatto inquadramento in uno dei due tradizionali modelli generali, si è ritenuto che al processo tributario possa attribuirsi un carattere “cumulativo” e dell’azione di annullamento e del riesame sostituivo, ove rispettivamente si chieda al giudice “un sindacato invalidante oppure sostitutivo sulla fattispecie di accertamento (Consolo, Processo e accertamento tra responsabilità contributiva e debito tributario, in “Riv. dir. Proc.”, 2000, pag. 1060 e seg.). (5) Sulla natura della dichiarazione tributaria cfr., altresì, Comm. trib. I grado Trento, 7 dicembre 2006, n. 70, in Giust. trib., 2007, pag. 221, con nota di P. Coppola, La dichiarazione tributaria con errori a danno del contribuente: la complessa esegesi dei commi 8 e 8.bis, art. 2, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. (6) Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, cit., pag. 181. (7) Cfr. A. Bodrito, Ingiusta preclusione alla contestazione sull’Irap nelle liti sui ruoli, in GT. Riv. Giur. trib., 2007 pag. 348. (8) A. Bodrito, op. cit., pag. 348 (9) A. Bodrito, op.cit., pag. 348 (10) Cass., sez. un., 25 ottobre 2002, n. 15063, in Banca dati Big Unico, Ipsoa. (11) E’ il caso di evidenziare che tale posizione aderisce, nella sostanza, alla concezione dichiarativistica, che appare più consona nella specie alle esigenze di tutela del contribuente. (12) Cass., sez. un., 28 maggio 1987, n. 4779, in Banca dati Big Unico, Ipsoa, “….. i presupposti soggettivi e oggettivi e il contenuto del debito d’ imposta sono direttamente regolati dalla legge e, dall’altro, che l’attività amministrativa volta ad individuare e a determinare la materia imponibile è rigidamente vincolata, sicché non solo è indefettibilmente dovuta (stante l’ indisponibilità del credito tributario), ma da essa esula qualsiasi potere autoritativo discrezionale (ed è perciò sicuramente errato assimilare l’accertamento ad un atto negoziale, avente per sua natura efficacia costitutiva)…..”; “…Non si può fondatamente contestare, quindi, che l’obbligazione tributaria - secondo lo schema proprio della categoria delle obbligazioni che trovano la loro fonte nella legge (cioè di gran parte delle obbligazioni pubbliche) - nasce ex lege con il verificarsi del presupposto, dal quale scaturiscono le due situazioni correlate di debito e di credito che caratterizzano il rapporto obbligatorio, mentre la (successiva) attività dell’Amministrazione, certativa e qualificatoria del fatto imponibile, attiene all’ esercizio del diritto di credito così sorto, sicché gli eventuali atti di accertamento sono sempre strumentali e non genetici rispetto all’ obbligazione)…”. (13) Si veda F. Moschetti, Emendabilità della dichiarazione tributaria, tra esigenze di “stabilità” del rapporto e primato dell’obbligazione dovuta per legge, in Rass. trib., 2001, pag. 1149 e seg.. Non può, in questa sede, non tenersi conto che il riportato orientamento giurisprudenziale non trova d’accordo parte della dottrina e, segnatamente, i sostenitori della teoria costituiva secondo cui “nelle imposte con accertamento” l’obbligazione non deriva direttamente dalle norme tributarie materiali (presupposto del tributo, soggetti passivi, quantum); perché sorga l’obbligazione è necessaria la presentazione della dichiarazione o l’emanazione di un avviso di accertamento. Le norme strumentali che, da un lato, pongono a carico dei contribuenti l’obbligo di dichiarare il tributo e, dall’altro, attribuiscono all’amministrazione finanziaria dei poteri autoritativi (ossia funzioni amministrative vincolate), sono rivolte a costituire l’obbligazione, applicando le norme tributarie materiali (cfr., per tutti, Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 1992, pag. 222). (14) M. Nussi, La dichiarazione tributaria, cit., pag. 294. (15) M. Nussi, op. cit., pag. 295; C. Consolo, Processo e accertamento, pag. 1061 ss.; R. Schiavolin, sub art. 19, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi sul processo tributario, Padova, 2005, p. 198; F. Tesauro, Istituzioni, cit., pag. 304, nt. 16. (16) M. Nussi, op. cit., pag. 91. (17) Resta impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio periferico di contestare al contribuente, entro i termini decadenziali, la sussistenza della soggettività passiva Irap e del concorrente presupposto del tributo, con debito avviso di accertamento motivato. (18) Ciò fa sì che l’amministrazione finanziaria liquidi i dati manifestati dal contribuente senza alcuna possibilità da parte di quest’ultimo di poter interferire: il sistema non sembra conforme a legge, atteso che la normativa specifica non prevede affatto una liquidazione addirittura preventiva alla presentazione della dichiarazione; operazione che 17 si risolve in una sorta di inammissibile (almeno in quanto privo di tutele) controllo ex ante sui dati da dichiarare, dati che nella pratica spesso vengono “rifiutati” dal software, in pieno contrasto con la legge. Cfr. M. Nussi, op. cit., pag. 61. (19) Cfr. Comm. trib. reg. Abruzzo, 31 dicembre 2007, n. 172 (in Ipsodaily, Quotidiano di informazione su fisco, lavoro e impresa; Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 14 marzo 2008, n. 29; nonché Comm. trib. prov. Treviso, Sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 116 e Sez. V, 20 ottobre 2008, n. 75, Finanza & Fisco n.41/2008 pag. 3674 e segg.. (20) Comm. trib. prov. Piacenza, 31 marzo 2008, n. 24, in Pratica fiscale e professionale, n. 47 dell’8/12/2008, pag. 35. 18 (21) Il principio del solve et repete incideva in modo effettivo sulla proponibilità dell’azione giudiziaria ed importava un vero e proprio difetto temporaneo di giurisdizione dell’a.g.o.. Esso era espresso con norme che precludevano la tutela giurisdizionale al contribuente che non avesse previamente soddisfatto il debito d’imposta e consisteva con l’esecutorietà dell’atto amministrativo di imposizione tributaria (v., ad es., gli artt. 149 e 145 della legge organica di registro di cui al R.D. 30-12-1923, n. 3269). In termini Cass., SS.UU., 8/3/1977, n. 942, in Banca dati Big Unico, Ipsoa. (22) Con la pronuncia n. 21 del 31 marzo 1961 (in Giur. it., 1961, I, 1, 529) la Corte Costituzionale ha statuito l’illegittimità costituzionale del solve et repete. Imposta sul valore aggiunto E’ LEGITTIMO IL RIMBORSO DELL’IVA AFFERENTE LE OPERE REALIZZATE SU UN TERRENO ALTRUI Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIV, 4 marzo 2009, n. 65 Pres. Del Grosso – Rel. Pisapia Imposta sul valore aggiunto – Istanza di rimborso dell’eccedenza detraibile - Imposta afferente le opere realizzate su terreno di proprietà altrui in comodato - Legittimità - Condizioni (D.P.R. n. 633/72, art. 30, comma 3°, lett. c; D.P.R. n. 917/1986, art. 103) A norma dell’art. 30, comma 3°, lett. c), del D.P.R. n. 633/72, l’eccedenza di Iva detraibile afferente la realizzazione di struttura turistica su terreno di proprietà altrui ricevuto in comodato può essere richiesta a rimborso se concerne l’acquisto o l’importazione di beni ammortizzabili. Questo si verifica anche nel caso in cui le opere realizzate non siano separabili dal terreno alla scadenza del comodato, ma costituiscano per il comodatario spese incrementative su beni di terzi, capitalizzabili ed iscrivibili nella voce di bilancio denominata “altre immobilizzazioni immateriali”. Infatti, a norma dell’art. 103 del D.P.R. n. 917/1986, sono ammortizzabili anche i beni immateriali, con la sola esclusione delle spese non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali. Svolgimento del processo La società B. B. srl, rappresentata e difesa dal Dott. D. R., ha impugnato l’atto di diniego di rimborso Iva, emesso dall’Agenzia delle Entrate - Ufficio di Salerno - per com- plessive € 82.902,00 che scaturisce dalla dichiarazione Modello unico 2007, eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, c. 3, del D.P.R. n. 633/72, in quanto interpretato in senso restrittivo. Invero, a seguito di domanda di rimborso dell’Iva, ai sensi dell’art. 30 D.P.R. n. 633, l’Ufficio motivava così il diniego: "... in quanto l’Iva chiesta a rimborso, scaturisce dalla realizzazione di un’attività turistico-ricettiva su terreno di proprietà altrui, ricevuto in comodato"; ed ancora: "il credito potrà essere portato in detrazione", richiamando la Risoluzione n. 179 del 27/12/2005. Il ricorrente, per dimostrare la fondatezza della propria tesi, sul presupposto che i costi riferiti all’investimento, analiticamente descritto nel ricorso, siano da ritenersi "sottoposti ad ammortamento", sulla base di criteri civilistici, di cui all’art. 2426, n. 5, c.c., richiama l’attenzione di questa Commissione sull’investimento posto in essere; sulla legittimità del diritto di detrazione dell’Iva, connesso al rapporto di inerenza o strumentalità, tra il bene e l’attività di impresa; sul concetto della locuzione "beni ammortizzabili"; sul collegamento del diritto alla detrazione al rimborso. Ed è proprio sul concetto di ammortamento che il ricorrente elabora la sua tesi difensiva, ritenendo tale concetto correlato al diritto al rimborso. L’Ufficio, nel costituirsi in giudizio, ritiene che il diritto al rimborso dell’Iva non è assimilabile alla detrazione del credito, in quanto tale diritto può esercitarsi solo nei casi previsti dal 3° comma, dell’art. 30, del D.P.R. n. 633/72. Fa riferimento alla risoluzione della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate del 27/12/2005 n. 179. Nel caso di specie, il be- 19 20 ne per il quale v’è controversia non è iscrivibile in bilancio alla voce "altre immobilizzazioni immateriali", per cui lo stesso rientrerebbe nelle previsioni di cui all’art. 108 del TUIR e, quindi, deducibile dal costo sostenuto come spesa relativa a più esercizi. Inoltre l’Ufficio eccepisce che la società non ha ancora realizzato ricavi e non può dedurre costi, né portare in detrazione l’IVA. Il ricorrente, con ulteriori memorie depositate il 30/10/2008, evidenzia che l’Ufficio, nel considerare l’investimento rientrante nell’art. 108 del TUIR, stravolge il principio contabile n. 24; ribadisce la propria tesi sul presupposto che "il bene è da ritenersi ammortizzabile". Precisa ancora - questo nel ricorso principale - che tra i beni oggetto di investimento, ve ne sono alcuni che sono dotati di autonoma funzionalità, come risulta da fatture allegate, per i quali sorge il diritto al rimborso. Il ricorrente ha allegato le fatture relative all’intero investimento laddove è stato possibile verificare che alcuni beni non si riferiscono ad opere murarie. Con ulteriori memorie depositate in data 29/1/2009, la ricorrente riferisce di aver conseguito, come già dedotto sia nel ricorso che nella precedente memoria, ricavi nel corso dell’anno 2007. Precisa che tra i beni inclusi nel programma di investimento, ve ne sono diversi dotati di autonoma funzionalità; ed ancora, che l’Ufficio non ha riferito in merito alle spese di progettazione, per le quali spetta il diritto al rimborso. Osserva che l’Ufficio, nella propria costituzione in giudizio, non ha assunto alcuna seria difesa in merito ai motivi contestati dalla ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio, determinando, tale comportamento, l’applicazione del cosiddetto "principio di non contestazione", principio questo statuito dalla Suprema Corte di Cassazione. Chiede che il Collegio adito voglia aderire al suddetto principio, e quindi ritenere provati i motivi dedotti in giudizio, in assenza di contestazione da parte dell’Ufficio. Allega alla memoria giurisprudenza di merito a sostegno delle tesi esposte nel ricorso introduttivo, unitamente ad un rilievo fotografico. Motivi della decisione Osserva in primo luogo il Collegio che non vi sono dubbi, come riconosciuto dalla stessa Amministrazione, sul diritto della società B. B. srl al riconoscimento della detrazione dell’imposta, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/72 a riguardo delle opere eseguite sui beni di terzi, concessi in comodato, essendo queste destinate ad essere utilizzate per lo svolgimento dell’attività dell’impresa. Quanto, poi, al rimborso dell’IVA assolta su tali operazioni - ed è questo il punto oggetto di controversia - l’art. 30, c. 3, lett. c, del D.P.R. n. 26/10/1972 n. 633, (risoluzione n. 445585 del 2/12/91) fa riferimento, per l’ammissibilità, a "beni ammortizzabili", cioè a quei beni per i quali la procedura di ammortamento è potenzialmente attuabile al momento della realizzazione (circ. n. 111/E del 9/4/2002). Nel caso di specie, le opere realizzate riguardano interventi, e quindi opere realizzate su beni di terzi, le quali non possono essere rimosse (nella quasi totalità) al termine del periodo; per cui le stesse rientrano tra le spese incrementative, capitalizzabili ed iscrivibili nella voce "altre immobilizzazioni immateriali" (circ. 27/E del 31/5/2005). Questo perché, alla scadenza del periodo di utilizzo, le opere realizzate non possono essere separate dai beni del comodante, e quindi non possono avere un’autonoma funzionalità/utilizzabilità. Diverso è il caso dei costi inerenti investimenti che riflettono beni dotati di autonoma funzionalità, perché separabili/asportabili, quali le spese per l’acquisizione del gazebo, dell’impianto caldaia gas, nonché per studi e ricerche, di cui alle fatture allegate. Per detti costi è indiscutibile il diritto al rimborso. Ritornando alle problematiche riguardanti la questione oggetto della controversia, secondo i principi contabili nazionali (O.I.C n. 16), le spese di manutenzione straordinaria, e tra queste quelle di "miglioramento, ampliamento, modifiche, ecc." su beni di terzi, non possono essere capitalizzate sul valore del bene proprio, perché il "cespite" non è di proprietà dell’impresa che ha sostenuto l’onere, per cui vanno iscritte tra le "immobilizzazioni immateriali", alla voce B17, "altre immobilizzazioni", dello Stato Patrimoniale, e ammortizzabili sulla base del lasso di tempo intercorrente tra il momento del sostenimento della spesa, e la data di conclusione del godimento. Benché le spese in esame siano iscrivibili in bilancio tra le immobilizzazioni immateriali, come richiamato nella circolare n. 27/E del 31/5/2005, dal punto di vista fiscale, le stesse non sono considerate tali, e quindi non sarebbe applicabile la disciplina degli ammortamenti e della deduzione extracontabile, di cui agli artt. 103 e 109 del TUIR. Questo secondo il parere dell’Amministrazione Finanziaria. Invero, le stesse costituiscono per l’Amministrazione Finanziaria, "oneri pluriennali" e, più precisamente, spese relative a più esercizi, di cui al c. 3 dell’art. 108; quindi non ammortizzabili e pertanto non rientranti nella previsione di cui alla lett. c, terzo comma, del citato articolo. Da tale valutazione discende il riconoscimento o meno del "diritto di rimborso dell’IVA", oggetto di controversia. Le argomentazioni svolte dall’Amministrazione possono così sintetizzarsi: trattandosi di IVA assolta in relazione a beni destinati ad essere utilizzati per operazioni rientranti nell’oggetto dell’attività propria dell’impresa, la stessa è detraibile (ris. n. 197/E del 27/12/2005 — Agenzia delle Entrate). Per l’ammissibilità al rimborso (art. 30, c. 3, lett. e D.P.R. n. 633/72), trattandosi di spese di ampliamento, trasformazione, ecc., su immobili di proprietà altrui, concessi in comodato, le stesse non rientrerebbero nella fattispecie citata dalla norma, perché non essendo separabili (assenza di autonomia) rientrerebbero, sì nella fattispecie di "altre immobilizzazioni immateriali", e quindi ammortizzabili; ma dal punto di vista fiscale, costituirebbero "oneri pluriennali", ai sensi dell’art. 108, e. 3. Per cui l’IVA assolta sarebbe detraibile, ma non rimborsabile (art. 30). Il Collegio ritiene che la distinzione tra beni immateriali e costi pluriennali, deve essere attentamente valutata e coordinata sotto gli aspetti civilistici e fiscali, in uno a quelli della dottrina aziendale. Invero a differenza dei beni immateriali, che sono ammortizzati sistematicamente ai sensi dell’art. 2426 c.c., c. 1, n. 2 del c.c., i costi pluriennali sono disciplinati dal n. 5 dello stesso comma. Dal punto di vista fiscale, i "costi pluriennali" verrebbero considerati spese relative a più esercizi, e quindi attratti nell’art. 108 TUIR, c. 3, laddove "... le medesime spese non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali, sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi". In dottrina, i costi delle immobilizzazioni materiali ed immateriali sono "costi pluriennali" o "plutocosmici" e, quindi, ammortizzabili. Sono costi questi, che si sostengono in un momento determinato, ma che fluiranno nella gestione per un tempo più o meno lungo, attesa la loro utilità a vantaggio di più esercizi. Il generico processo attraverso il quale le "quote" vengono identificate, prende il nome di "processo di ammortamento". Nel caso di beni immateriali, l’ammortamento non ha funzione di provvedere ad una degradazione fisica, ad una obsolescenza propria, ad una insufficienza, ad una deflazione, come per i beni materiali; ma semplicemente ad un riparto di valori, di costi anticipati sui periodi in cui si riverbererà la loro utilità. È importante il riconoscimento di ammortamenti anche per tali beni. La norma fiscale ha recepito una conclusione aziendalistica dell’ammortamento, che viene inteso come l’applicazione di tecniche contabili, tali da permettere che i costi per l’acquisizione di beni ad utilizzazione pluriennale, possono essere considerati costi parziali dei vari esercizi. A tal punto è d’uopo domandarsi se tali spese rientrino o meno tra quelle previste nell’art. 108, c. 3, e non tra quelle di cui all’art. 103 del TUIR. 21 22 In tale ultima norma (art. 103) vi è un richiamo a "altri diritti iscritti nel bilancio", per cui il Collegio ritiene che tali diritti si possano identificare anche in atti concessivi e/o di utilizzo, e quindi rientrerebbero, tali costi, tra quelli previsti dall’art. 103 "beni immateriali" e non dell’art. 108 del TUIR. Invero, richiamando i principi contabili, la voce "altre immobilizzazioni immateriali", accoglie altri eventuali costi capitalizzabili che, per la loro differente natura, non trovano collocazione nelle altre voci. Trattasi di costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo, ma che sono produttivi di benefici per l’impresa lungo un arco temporale di più esercizi, per cui il periodo di ammortamento dei costi iscrivibili in questa voce, varierà in relazione al periodo produttivo di utilità. Questo dal punto di vista civilistico. Dal punto di vista fiscale, il periodo di ammortamento è legato, (questo nel caso di comodato, in assenza di termini) al DM 88; in assenza di temimi, il periodo di ammortamento è legato alla durata del contratto. In relazione a tale voce, vi rientrano i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni di terzi non separabili dai beni stessi; per cui l’ammortamento di tali costi si effettua nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute, e quello residuo della locazione (comodato, nel caso in esame), tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo da parte del conduttore (questo per la locazione). Un’attenta valutazione sul contenuto dell’art. 108 del TUIR, c. 3, laddove recita "le altre spese.... non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali..." evidenzia in modo chiaro il recepimento, da parte del legislatore fiscale, di detti principi O.I.C. Seguendo detto richiamo, risulta chiaro che, proprio facendo riferimento ai principi contabili internazionali, le spese relative alle opere eseguite su beni di terzi, non rientrano tra quelle di cui al 3° comma dell’art. 108 del TUIR, in quanto risultano essere capitalizzabili proprio per effetto dei principi contabili internazionali, bensì in quelle di cui all’art. 103 del TUIR , soggette ad ammortamento del costo; l’IVA afferente tali costi è da ritenersi rimborsabile evidenziando che per quanto attiene l’eccezione dell’Amministrazione circa la mancanza di realizzazione di ricavi da parte della società, questa ultima, nelle memorie ex art. 32 del D.Lgs. n. 546/92, ha contestato l’assunto dell’Ufficio, asserendo che il volume di affari per il periodo 2007, riportato nei quadri VE 040001 del modello Unico 2008, risulta dichiarato per € 40.000,00 ed, ancora al rigo RN 001003 del modello Unico 2008, il reddito di € 10.136,00 . Ciò a dimostrazione che la società, nell’anzidetto periodo, ha comunque posto in essere operazioni di gestione. Alla luce delle argomentazioni svolte e della interpretazione sistematica della normativa di riferimento, quella fornita dall’Amministrazione Finanziaria con la citata risoluzione n. 179 del 2005, non appare coerente con il sistema ordinamentale di settore. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. La Commissione accoglie il ricorso e per l’effetto statuisce il diritto al rimborso IVA richiesto dalla società B. B. srl., con annullamento dell’atto impugnato. Compensa le spese del giudizio. _________ Il rimborso dell’IVA assolta su opere realizzate su beni altrui. La sentenza in commento si pronuncia su un diniego di rimborso IVA, richiesto ai sensi dell’art. 30 co 3, lett. c, del D.P.R. n. 633/1972, relativamente all’imposta assolta per la realizzazione di un complesso turistico su un terreno acquisito a titolo di comodato (quindi non di proprietà del soggetto che ha realizzato l’opera che, di conseguenza, alla conclusione del contratto vedrà tali opere acquisite dal proprietario del terreno). Dalla lettura della sentenza si rileva che i giudici di merito hanno provveduto a qualificare la realizzazione di tale complesso come “atti concessori e di utilizzo” e quindi ammortizzabili ai sensi dell’art. 103 del TUIR, con il conseguente accoglimento del ricorso. La fattispecie merita un approfondimento in quanto va ad incidere su una questione di normalità del sistema IVA, che concettualmente dovrebbe essere neutrale (sia da un punto di vista economico che finanziario), per l’imprenditore così come definito dall’art. 4 del D.P.R. n. 633/1972. Si espone di seguito il quadro normativo e la relativa prassi emanata dall’Amministrazione Finanziaria. L’art. 183 della Direttiva Europea 112/2006 disciplina l’ipotesi di eccedenza di IVA al termine del periodo di imposta, dando facoltà agli Stati membri regolare tale ipotesi. Il secondo comma dell’art. 30, del D.P.R. n. 633/1972 regolamenta le ipotesi in cui è data facoltà al soggetto imprenditore di richiedere il rimborso dell’eccedenza d’imposta. Il caso esaminato dai giudici di prime cure riguarda la fattispecie contemplata alla lettera c) in cui si statuisce che è possibile richiedere il rimborso dell’“imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche”. Si evidenzia la circostanza che l’articolato non disciplina la detrazione dell’imposta, ma unicamente il diritto al rimborso, la maturazione del credito, non riguarda l’articolo qui richiamato. Una eventuale rettifica del credito potrebbe essere rilevata all’atto della verifica di un rimborso, ma viene esternata attraverso la formazione di un atto di rettifica della dichiarazione IVA (art. 54 del D.P.R. n. 633/1972). Dalla lettura si rileva di conseguenza che il diritto al rimborso nasce a seguito dell’effettuazione di acquisti di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche. Ma cosa si intende per “acquisti” di “beni ammortizzabili”. La prima questione riguarda che cosa il legislatore ha voluto intendere con il termine “acquisto”. L’Amministrazione finanziaria ha emesso una serie di circolari che da una posizione di riconoscimento del rimborso anche dell’IVA assolta per ottenere la disponibilità del bene (vedi circolare nr. 2 del 12/1/1990, Risoluzione nr. 111/E del 9/4/2002, istruzioni del modello VR sino a quello relativo all’anno 2006), è pervenuta ad una posizione di riconoscimento del diritto al rimborso esclusivamente con riguardo all’IVA assolta per l’acquisizione del diritto di proprietà di un bene (si veda al riguardo la risoluzione n. 445585 del 2/12/1991, la nr. 179/e del 27/12/2005, la nr. 392/e del 28/12/2007, le istruzione al modello IVA Vr 2008 e successivi). Il testo normativo è rimasto invariato, ma gli effetti di tali interpretazioni sono facilmente prevedibili. Mancato rimborso dell’IVA assolta per l’acquisto con contratti di locazione finanziaria a partire dall’1/1/2008 oppure nel caso di IVA relativa al pagamento di un acconto con entrata in possesso del bene ammortizzabile (a prescindere dal momento dell’acquisizione della disponibilità, invece rilevante in altre circostante). La seconda questione riguarda che cosa il legislatore ha voluto intendere con il termine “beni ammortizzabili”. Dalla lettura delle prime interpretazioni giurisprudenziali si rileva che per bene ammortizzabile deve intendersi “beni sottoponibili alla procedura di ammortamento” (Cfr. risoluzione n. 353998 del 16/02/1983). Si evidenzia che la risoluzione parla non di acquisto, ma di “operazioni volte all’acquisizione di beni ammortizzabili”, parla di “criteri di diritto comune”. Da ultimo si richiama la circolare nr. 8 del 2009 che limita il diritto al rimborso per la parte relativa all’area su cui è situato un fabbricato oggetto dell’operazione di acquisizione, in quanto tale quota non è ammortizzabile ai sensi del D.L. n. 223/2006 (decreto Bersani-Visco). Di conseguenza si rileva la necessità di definire con precisione l’accezione “beni ammortizzabili”. Per la determinazione di quali beni rientrano nella casistica dei beni ammortizzabili, rilevata l’assenza di una definizione all’interno della normativa IVA, si fa comunemente richiamo a quanto definito dal D.P.R. n. 917/1986, in particolare gli articoli 102 e 103. Sul significato da attribuire alla accezione è intervenuta la Corte di Cassazione, che con la sentenza nr. 3649 del 8/4/1998 ha deliberato che “può ritenersi ammortizzabile solo quel bene destinato ad essere utilizzato come strumentale all’attività esercitata”. Tale linea è stata confermata / richiamata anche nelle sentenze successive. Sul punto si richiama la risoluzione nr. 445585/1991 che, per consentire il rimborso alle società di leasing, afferma la non necessità della strumentalità per l’acquirente, ma unicamente la possibilità di sottoporre il bene alla procedura di ammortamento. D’altronde la C.T.R. del Lazio con sentenza nr. 70 del 10/7/2006 ribadisce che i beni acquistati in leasing, fino a quanto non sono riscattati al termine del relativo contratto, non possono annoverarsi tra i beni di proprietà di chi li utilizza e di conseguenza non possono dare diritto al rimborso quali beni ammortizzabili. Dallo scenario che si è delineato, si evince che per l’Amministrazione Finanziaria il diritto al rimborso previsto dall’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972 è collegato all’acquisto in proprietà di beni strumentali ammortizzabili. Unica eccezione è ravvisabile nel caso di costruzione del bene tramite contratto di appalto. Tale interpretazione è confermata dalla giurisprudenza richiamata. In tale contesto è stata pronunciata la sentenza in commento la quale coglie forse un aspetto emerso nei primi anni di applicazione della norma, ma poi abbandonato. 23 I giudici di prima istanza nell’analizzare la fattispecie sottoposta al loro vaglio ricostruiscono lo scenario normativo e richiamano opportunamente concetti aziendalistici. In particolar modo appare efficace il richiamo al concetto di utilità pluriennale dei beni a cui è collegato il concetto di ammortamento, il cui periodo, fiscalmente, è determinato dal DM 88. L’attivo immobilizzato esposto in bilancio è costituito da costi pluriennali o “plutocosmici”, la cui ripartizione nel tempo viene definita “ammortamento”. Si parla di immobilizzazioni genericamente, in quanto il concetto è relativo a tutti i beni acquisiti dall’impresa, quindi sia che si tratti di immobilizzazioni materiali che immateriali. Proprio grazie a questa ricostruzione i giudici classificano i costi sostenuti dalla società ricorrente come costi di acquisizione di un diritto di utilizzo/di concessione di un’utilità strumentale alla produzione dei ricavi (immobilizzazione immateriale) che è ammortizzabile (così come previsto dall’art. 103 del TUIR). Sul punto è necessaria un’ulteriore puntualizzazione. L’art. 102 del TUIR prevede la deducibilità dell’ammortamento dei beni strumentali nei limiti previsti dai coefficienti stabiliti dal DM 88. Non vi è un impedimento ad ammortizzare anche i beni che non sono strumentali o con percentuali difformi, vi è unicamente un limite alla deducibilità. L’art. 102 innanzi citato è conseguente alla necessità di limitare il potere discrezionale delle impre- 24 se di determinare quote di ammortamenti (costi) fiscalmente deducibili dal risultato d’esercizio. Tanto è vera tale interpretazione che in tale articolato si fa riferimento alla strumentalità (nel senso di inerenza tra ammortamenti e ricavi) e ai coefficienti prestabiliti. Il voler ricercare una correlazione dell’accezione “beni ammortizzabili” richiamata nella normativa IVA con quella di “ammortamenti di beni strumentali” contenuta nel TUIR appare non opportuno, in quanto le due nozioni tendono a disciplinare due aspetti differenti, anche se riguardanti il medesimo bene (come innanzi evidenziato). Ai fini IVA il richiamo ai “beni ammortizzabili” rileva per la fruizione di una agevolazione, la definizione delle condizioni per la maturazione del diritto. Non interessa la strumentalità, non ha rilievo l’inerenza, questi elementi riguardano la determinazione dell’eccedenza dell’imposta. Per quanto esposto si rileva da un lato l’ammirevole tentativo della Commissione di classificare anche i costi sostenuti per migliorie di beni di terzi quali diritti ammortizzabili, la cui imposta è quindi rimborsabile, ma dall’altra parte si deve evidenziare che tale costruzione logica è effettuata per inquadrare la fattispecie esaminata in uno schema eretto dall’Amministrazione finanziaria che non può condividersi. Gaetano Apostolico Imposta sul valore aggiunto LA SOGGETTIVITA’ PASSIVA IVA DEL NON RESIDENTE IN ITALIA Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. II, 16 marzo 2009, n. 132 Pres. Lepre – Rel. Spatuzzi Imposta sul valore aggiunto – Prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, non dichiarati all’Ufficio competente, e privi di rappresentante fiscale in Italia – Soggettività passiva del prestatore – Presupposti (D.P.R. n. 633/72, art. 17, commi 2° e 3°). Imposta sul valore aggiunto – Ente locale che commissiona il progetto per la costruzione di edifici per attività giudiziaria – Esercizio di impresa – Non sussiste Un soggetto non residente nello Stato, che non si è identificato direttamente all’ufficio finanziario competente, né ha nominato un rappresentante fiscale residente in Italia, e che presta servizi nel territorio italiano, deve adempiere agli obblighi in materia di Iva se l’operazione imponibile è effettuata nei confronti di un committente che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni. In tal caso, infatti, il committente non può adempiere agli obblighi derivanti dalla prestazione di servizi. In materia di imposta sul valore aggiunto, l’Ente locale comunale non agisce nell’esercizio di impresa, di arte o di professione se commissiona l’elaborazione di un progetto per la costruzione di edifici per lo svolgimento di attività giudiziaria, e cioè di un’attività che rientra nelle sue funzioni istituzionali. Svolgimento del processo La Commissione, esaminati i ricorsi in premessa, riuniti, osserva: il ricorrente, in merito agli accertamenti IVA per le annualità nei ricorsi indicati, oppone la decadenza dell’accertamento, da effettuarsi entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello previsto per la dichiarazione; precisa, in proposito, che non può operare la proroga di due anni prevista per coloro che non si sono avvalsi delle sanatorie istituite con la legge finanziaria per il 2003. Osserva ancora il ricorrente che, in base all’art. 7 comma 4 lett. a) D.P.R. n. 633/72, territorialmente rilevante ai fini dell’imposizione IVA è il luogo in cui le prestazioni sono effettuate, nel nostro caso l’Italia; peraltro, va considerato l’articolo 193 della Direttiva 2006/112/CE, in base al quale, alla regola secondo cui l’IVA è dovuta dal soggetto che effettua la prestazione, è posta l’eccezione per cui l’imposta sia dovuta da un soggetto diverso, come nel caso che il prestatore estero non sia identificato o non abbia nominato un rappresentante fiscale: adempimento, quest’ultimo, che la sentenza del 15.6.0-249/05 della Corte di Giustizia CE avrebbe escluso nella causa 249/05; conseguirebbe che l’obbligo di fatturazione e di versamento IVA sarebbe addossato al committente residente in Italia e, quindi, nel caso di specie, al Comune di S, nell’esercizio di una funzione non strettamente amministrativa o pubblica, ma commerciale o, se si vuole, privatistica. Si oppone anche, nell’ultima memoria, il difetto di legittimazione passiva del ricorrente dovendo, al più, ritenersi tale la società XXX. L’Ufficio, a sua volta, contesta tutte le suddette argomentazioni rappresentando, in ter- 25 mini di decadenza, che, in base all’art. 57 D.P.R. n. 633/72, in caso di omissione della dichiarazione, l’avviso di accertamento deve essere notificato entro il quinto anno successivo a quello della dichiarazione, a sua volta, successivo a quello di maturazione del reddito o del maturarsi dei presupposti. Si precisa anche che il termine è prorogato di due anni in base all’art. 10 L. 289/02 nel caso in cui il soggetto non si sia avvalso, come nel caso di specie, della domanda di sanatorie fiscali. Si cita anche, a completamento, l’art. 37 co. 24 e 25 della L. 223/06, in base al quale i termini sono raddoppiati nell’ipotesi di configurabilità del reato di evasione fiscale, sul presupposto di evasione superiore ad euro 77.469,55, di cui agli articoli 2-5 del D. Lgs. n. 74/2000. L’Ufficio conferma, per il resto, l’obbligo del soggetto straniero di identificazione diretta o di nomina di rappresentante fiscale; ribadisce, inoltre, che, nel caso in esame, non opera il trasferimento di obblighi in capo al committente, tenuto all’emissione di autofattura, perché la figura del committente si identifica con il Comune, che agisce nell’esercizio di una pubblica funzione: la costruzione dell’edificio, infatti, non è stata effettuata per destinazione commerciale, ma per l’esercizio di attività giudiziaria. Motivi della decisione 26 La Commissione ritiene infondato il ricorso. La preliminare eccezione di decadenza deve ritenersi infondata alla stregua dei pertinenti rilievi dell’Ufficio, sia in ragione della proroga biennale di cui all’art. 10 L. 289/02, in difetto di domanda di sanatoria, sia per il disposto dell’art. 37 comma 24 e 25 della legge 223/06, in ipotesi di configurabilità, come nel caso in esame, del reato di evasione fiscale. Né ha senso opporre il difetto di soggettività passiva di imposta per il maturarsi dei rapporti in capo ad un soggetto distinto, indicato nella società XXX, giacché la documentazione acquisita mostra, all’evidenza, gli impegni contrattuali sottoscritti dal ricorrente in persona ed in nome proprio. Nel merito, determinante è il disposto dei co. 2 e 3 dell’art. 17 D.P.R. n. 633/72, in base ai quali gli obblighi in materia di IVA per operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di soggetti non residenti possono essere adempiuti nei modi ordinari dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’art. 35 ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato e nominato nelle forme previste dall’art. 1 comma 4 D.P.R. n. 441/97. La nomina del rappresentante è obbligatoria qualora il soggetto non residente e non identificato direttamente effettui nello Stato prestazioni soggette ad IVA nei confronti di committenti che non agiscano nell’esercizio di imprese, arti o professioni. Si precisa che, in difetto di identificazione diretta o di nomina di rappresentante fiscale, l’obbligo tributario è adempiuto dal committente residente nel territorio dello Stato, che utilizzi il servizio nell’esercizio di imprese, arti o professioni. Dette disposizioni non sono superate da altra normativa, né è configurabile che siano derogate da direttive comunitarie citate da parte ricorrente. E’ superfluo richiamare l’elementare principio che nega alla direttiva l’efficacia normativa diretta negli Stati membri della Comunità. D’altro canto, non trova riscontro alcuno l’assunto che il committente Comune abbia impegnato il ricorrente nell’ "esercizio di impresa, di arte o di professione": si consideri, in proposito, che la progettazione demandata al ricorrente ha riguardato la costruzione di edifici per attività giudiziaria, rientrante nell’attività istituzionale dell’Ente; ed è ancora superfluo aggiungere che, allo stato, il Comune non risulta titolare di partita IVA. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M La Commissione rigetta i ricorsi riuniti e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio liquidate in euro cinquemila. Imposta di registro NON SONO APPLICABILI IN VIA ANALOGICA LE NORME CHE PREVEDONO LA DECADENZA DA UN BENEFICIO FISCALE Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VIII, 5 giugno 2008, n. 134 Pres. Ebner – Rel. Aprea Imposta di registro – Agevolazioni stabilite dall’art. 14 della legge 15 dicembre 1998, n. 441, al fine di favorire la continuità dell’impresa agricola – Possesso dei requisiti – Certificazione – Obbligo di presentazione all’Ufficio entro i termini di decadenza del potere di accertamento – Non sussiste – Provvedimento di recupero delle imposte ordinarie fondato unicamente sulla mancata presentazione della stessa certificazione – Illegittimità – Consegue Le norme che prevedono la decadenza da un beneficio fiscale per la mera inosservanza di un obbligo formale (mancata presentazione di un documento) non possono essere applicate in via analogica. La sanzione della decadenza, per le gravi conseguenze che comporta, deve essere espressamente comminata dal legislatore. Pertanto, in assenza di specifica disposizione normativa che disponga l’obbligo di produrre entro un tempo determinato certificazione attestante il possesso dei requisiti previsti dalla legge, è illegittimo il provvedimento che commina la decadenza dall’agevolazione per mancata presentazione della documentazione. Svolgimento del processo Il contribuente A.L., con due distinti ricorsi, impugna gli avvisi di liquidazione con i quali l’Agenzia delle entrate, Ufficio di X, procedeva al recupero di imposta di registro ed accessori (rispettivamente di € 11.270,00 e di € 16.892,00) per decadenza dai benefici fiscali (art. 14, commi 1 e 5, della legge 441/98) richiesti nell’atto a rogito notaio C. del 19 gennaio 2004, registrato il 27.1.04 al n. 184; la decadenza era conseguenza dalla omessa presentazione, nel termine prescritto, della certificazione attestante il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Nei due ricorsi, sostanzialmente simili, il contribuente asserisce che nell’atto notarile aveva dichiarato di possedere i requisiti richiesti per la concessione dell’agevolazione, che all’epoca già sussistevano, e che comunque nessuna disposizione della predetta legge impone di produrre la relativa certificazione entro un termine di decadenza. Conclude il contribuente chiedendo l’annullamento degli atti impugnati con condanna alle spese. L’Ufficio, costituitosi in giudizio, asserisce che il certificato attestante il possesso dei prescritti requisiti deve essere esibito al momento della registrazione. Può anche essere esibito in un momento successivo, purché entro i tre anni dalla registrazione del contratto, come si desume dall’art. 2 della legge 26 febbraio 1996, n. 78, che ha elevato il suddetto termine a tre anni. Chiede quindi il rigetto del ricorso con condanna alle spese. Con ordinanza 20 marzo 2008 la Commissione, in camera di consiglio, accoglie le istanze di sospensione degli atti impugnati. I ricorsi vengono riuniti per connessione oggettiva e soggettiva. Motivi della decisione L’art. 14 della legge 15 dicembre 1998, n. 441, al fine di favorire la continuità dell’impresa agricola, prevede che i beni strumentali all’attività aziendale oggetto di successione o di donazione sono esenti dall’imposta qualora i soggetti: 27 28 - siano coltivatori diretti o imprenditori agricoli che non abbiano compiuto i 40 anni e che siano iscritti o che si iscrivano entro tre anni dal trasferimento alla relativa gestione previdenziale; - siano giovani che non hanno ancora 40 anni a condizione che acquisiscano la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale entro 24 mesi dal trasferimento iscrivendosi alla gestione previdenziale nei successivi due anni. Le agevolazioni sono concesse a decorrere dal 1° gennaio 1999 a condizione che i soggetti si obblighino a coltivare i beni per almeno sei anni. La legge non contiene alcuna disposizione sul modo in cui deve essere documentato il possesso dei requisiti. Ritiene l’Agenzia delle Entrate che alle agevolazioni previste dall’art. 14 della legge 441 del 1998 si applichino le disposizioni dettate in materia di decadenza dalla legge sulla formazione della piccola proprietà contadina, art. 4 della legge 6 agosto 1954, n. 604, e successive modificazioni (da ultimo, D.L. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 649, che ha fissato in tre anni il termine per la presentazione del certificato definitivo previsto dall’art. 4, secondo comma, della legge 604/54). È indiscutibile che i benefici fiscali sono, per loro natura, subordinati al raggiungimento degli obiettivi per cui vengono concessi, con la conseguenza che il mancato raggiungimento dello scopo determina il venir meno del beneficio Cass. 20 settembre 2006, n. 20376; 17 ottobre 2005, n. 20066). L’Amministrazione finanziaria ha quindi il potere di accertare il possesso dei requisiti prescritti, svolgendo le opportune indagini. La legge 441 del 1998 non impone in alcun modo al contribuente l’obbligo di presentare i documenti utili a provare il possesso dei requisiti. L’Amministrazione, quindi, in mancanza di una disposizione che espressamente imponga la presentazione di un documento amministrativo a pena di decadenza, può, ai sensi dell’art 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241, applicabile anche ai procedimenti tributari (cfr. Ord. Corte Cost. 117 del 2000), acquisire d’ufficio la documentazione del caso ov- vero chiedere agli interessati di fornire gli elementi utili ad acquisire la documentazione necessaria. L’art. 18 della legge 241/90, infatti, prevede espressamente (commi 2 e 3) che «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L’amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.». Nel caso di specie l’Ufficio di X dell’Agenzia delle entrate ha comminato la decadenza dai benefici fiscali per il solo fatto della "omessa presentazione nei termini del certificato attestante i requisiti previsti" dalla legge 441/98, cioè per il solo inadempimento formale, a prescindere dall’accertamento del possesso o meno dei prescritti requisiti. L’Agenzia, infatti, ha ritenuto applicabile la disposizione che commina – in caso di omessa presentazione della documentazione – la decadenza dalle agevolazioni fiscali negli acquisti per la formazione della piccola proprietà contadina anche alla fattispecie di cui trattasi. Sennonché le norme che prevedono la decadenza da un beneficio fiscale per la mera inosservanza di un obbligo formale (mancata presentazione di un documento) non possono essere applicate in via analogica. La sanzione della decadenza, per le gravi conseguenze che comporta, deve essere espressamente comminata dal legislatore. Sono quindi condivisibili i motivi del gravame. Attesa la complessità della fattispecie controversa si ritiene equo disporre la compensazione delle spese tra le parti. P.Q.M. La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e compensa le spese. Accertamento ACCERTAMENTO ANALITICO INDUTTIVO. CONDIZIONI DI LEGITTIMITA’ Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 6 febbraio 2008, n. 182 Pres. Grimaldi – Rel. Nola Accertamento – Accertamento analitico-induttivo ex articolo 54, comma 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Accertamento di irregolarità formali e sostanziali delle scritture contabili tali da renderle nel complesso inattendibili – Necessità – Differenze tra le giacenze di magazzino come risultanti da calcoli effettuati dalla polizia tributaria sulla base di percentuali medie e quelle effettivamente rinvenibili – Insufficienza – Illegittimità dell’accertamento – Consegue L’applicazione del metodo di rettifica del reddito analitico-induttivo è legittimo se sono state accertate irregolarità formali e sostanziali delle scritture contabili tali da renderle nel complesso inattendibili e se tali irregolarità si concretano in omissioni, o in false o inesatte indicazioni contenute nella dichiarazione. Di conseguenza, non costituiscono elementi univoci e concordanti, per giustificare, ai sensi dell’art. 54 comma 2 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, la presunzione di evasione fiscale per omessa indicazione di operazioni imponibili, il raffronto tra giacenze di magazzino dichiarate e quelle risultanti dai calcoli effettuati dalla polizia tributaria sulla base di percentuali medie, in assenza di altri elementi da contrapporre ai risultati regolarmente registrati nella documentazione contabile-amministrativa della ditta. Svolgimento del processo Con avviso di accertamento in epigrafe notificato in data 19.12.06, l’Agenzie delle Entrate di X accertava, a carico della Società ricorrente, un’omessa contabilizzazione di ricavi sulla scorta di una contestata cessione di merci senza fattura e, conseguenzialmente, la violazione di norme tributarie in materia IRAP/IVA per gli anni 2002, 2003 e 2004 e relative sanzioni ed accessori. Avverso il richiamato avviso, il contribuente proponeva rituale opposizione evidenziando che esso era scaturito da un p.v. di constatazione redatto in data 22.12.04 dalla Guardia di Finanza di X, in sede di verifica fiscale generale, a mezzo del quale si contestavano, previa verifica delle scritture analitiche di magazzino, talune differenze di pezzi fra giacenze fisicamente rilevate e giacenze risultanti dall’inventario contabile e l’assenza di taluni prodotti, descritti nell’inventario contabile, ma non rivenuti nel corso della verifica. Ne rilevava, pertanto, la nullità, fermo restando la regolare tenuta delle scritture contabili, per aver omesso di valutare la conformazione dei locali (mq. 3.500 divisi in sezioni e sottosezioni), l’esistenza di altro punto vendita oltre al magazzino principale nonché di depositi e magazzini periferici, facenti capo all’azienda verificata; per mancanza di motivazione assunta per relationem, sulla scorta del richiamato p.v.; per aver considerato una percentuale di ricarico riferita ad oltre mille articoli diversissimi tra loro e per aver operato una duplicazione del ricarico, con l’accertamento, già considerato nelle differenze riscontrate dai militi verbalizzanti secondo il prezzo medio di vendita. Resisteva l’Ufficio il quale, con propria me- 29 moria, confermava la validità e la legittimità dell’operato scaturito dal p.v. della GdF di X richiamato la quale aveva dettagliatamente indicato le operazioni poste in essere, non occorrendo, altresì, alcuna ulteriore attività istruttoria poiché l’accertamento era fondato sulla presunzione di cessione in evasione di imposta dei beni non rinvenuti in sede di rilevazione fisica. Previa concessione della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato ex art. 47 D. Lgs. n. 546/96, all’udienza di discussione del 06.02.08, la Commissione si riservava e, a scioglimento della stessa, rendeva la presente decisione. Motivi della decisione 30 Il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni, risultanti in carico all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione (ivi inclusi quelli che debbano presumersi acquistati perché esistenti nei luoghi in cui egli esercita la sua attività) pone, ai sensi dell’art. 53 D.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2728 c.c., una presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione e che legittima il ricorso, da parte dell’ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art. 55 comma 2 n. 2 del citato D.P.R. n. 633 del 1972. Detta presunzione, tuttavia, non è assoluta, ma può essere vinta dal contribuente, tramite la dimostrazione o di un fatto materiale che escluda la loro fisica esistenza ovvero di una consegna a terzi per titolo non traslativo. Peraltro, mentre l’evento materiale può essere provato con ogni mezzo, la consegna a terzi può risultare solo mediante le scritture ed i documenti elencati nell’ultima parte del comma 2 del citato art. 53 (cosiddetta presunzione mista, che consente la dimostrazione contraria, ma entro tassativi limiti di oggetto e di mezzi di prova). Nella specie, attraverso l’acquisita produzione documentale, il contribuente ha supe- rato la predetta presunzione, allegando la consegna dei beni stessi a terzi in forza di un titolo non traslativo. Nondimeno, in sede di rettifica induttiva non costituiscono elementi univoci e concordanti, per giustificare ai sensi dell’art. 54 comma 2 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, la presunzione di evasione fiscale per omessa indicazione di operazioni imponibili, le differenze tra giacenze come risultanti da calcoli effettuati dalla polizia tributaria sulla base di percentuali medie quando i dati stessi non sono confortati da alcun elemento di accertamento tecnico da contrapporre ai risultati regolarmente registrati nella documentazione contabile-amministrativa della ditta. Invero il ricorso a tale metodo, in tanto è legittimo in quanto sono state accertate irregolarità formali e sostanziali delle scritture contabili da renderle nel complesso inattendibili e da tali irregolarità possano in conseguenza essere derivate omissioni, false o inesatte indicazioni nella dichiarazione. Pertanto se, come nella fattispecie, non sono state riscontrate irregolarità contabili di rilievo, l’accertamento induttivo deve ritenersi illegittimo non essendo giustificato dalla differenza riscontrata tra il valore delle giacenze di magazzino risultanti dalle scritture contabili e quello indicato in dichiarazione, poiché l’eventuale violazione attiene alla dichiarazione e non alle scritture contabili. Generica e carente, altresì, appare la motivazione dell’avviso di accertamento che abbia recepito le conclusioni formulate dai verbali degli Organi investigativi, senza vagliare autonomamente gli elementi istruttori evidenziati, considerato che le contestate assunte violazioni hanno carattere astrattamente indiziario. In altri termini, l’esistenza di fatti ignoti (l’omessa fatturazione) ai quali l’Ufficio ritiene di poter e dover risalire dal fatto noto (giacenze) non ha il carattere della certezza e concretezza e non rappresenta l’univoca conseguenza logica della premessa in base alle regole di comune esperienza apparendosi, piuttosto, il risultato di una deduzione che, pur se probabile in linea astratta, lascia intravedere la possibilità di conclusioni diverse ed opposte lasciando spazio ad un notevole margine di dubbio. Va ritenuto, pertanto, che l’accertamento che ci occupa è illegittimo ed infondato e, pertanto, va annullato. Il carattere assorbente delle esaminate questioni preclude ogni ulteriore esame e la na- tura della questione trattata integra giusti motivi per compensare le spese tra le parti. P.Q.M. A scioglimento della riserva resa all’udienza del 6.2.08, la Commissione accoglie il ricorso, annullando l’impugnato avviso di accertamento. Compensa le spese tra le parti. 31 Accertamento INDAGINI BANCARIE: CONDIZIONI DI LEGITTIMITA’ Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XV, 27 giugno 2008, n. 311 Pres. Lupi – Rel. Tascone Accertamento imposte sui redditi e imposta sul valore aggiunto – Indagini bancarie – Estensione ai conti correnti intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente – Prova della intestazione fittizia dei conti correnti – Necessità. Confronto analitico tra le singole movimentazioni finanziarie e le risultanze della contabilità del contribuente – Necessità – Accertamento solo "globale", con unico riferimento alle operazioni ivate – Illegittimità – Consegue 32 Nell’ambito dei poteri di accertamento riconosciuti dalla normativa fiscale, è legittimo il controllo delle movimentazioni bancarie del contribuente esteso ai soggetti cui esso è in relazione per rapporti economici e/o familiari, soltanto se risulta provato che i conti correnti intestati a terzi siano in realtà funzionali alla gestione dell’impresa del contribuente. Inoltre, il raffronto tra le movimentazioni finanziarie e quelle economiche documentate e registrate deve essere effettuato non in modo globale ma confrontando le singole operazioni. Svolgimento del processo Il legale rappresentante della C. C. s.r.l. ricorre contro l’Agenzia Entrate di X per annullamento e dichiarazione di nullità dell’avviso di accertamento anno 2004. Osserva che la società ha avuto una verifica della G.F. di X per gli anni 2003 e 2004 e nel P.V.C. ha rilevato: 1- costi non inerenti all’attività per il 2004 di €.15.977,59 perché relativi ad immobili non di proprietà né in uso e conseguente recupero anche di Iva detratta per €.1.696; 2- deduzione integrale dei costi di un’autovettura che sono invece deducibili solo per il 50%; 3- l’applicata non imponibilità ai fini Iva di prestazioni di servizio rese in Italia a soggetto extra-UE ma relative a beni mobili materiali ceduti in Italia con recupero a tassazione per l’Iva per €.43.262; 4- in base ai controlli bancari, ricavi non contabilizzati per €.316.614,39, Iva non dichiarata per €.63.322,88 acquisti senza fattura per un imponibile di € 234.906,11. I rilievi della G.F. sono stati fatti propri dall’Ufficio che ha anche comminato una sanzione di € 46.981. Contesta:A - l’illegittimità ed erroneità delle riprese conseguenti alla verifiche bancarie perché i prelevamenti e i versamenti debbono essere analiticamente confrontati con le scritture contabili. La G.F., invece, non li ha esaminati a confronto le scritture contabili ma ha solo preso i saldi attivi e passivi dei conti sociali e dei terzi (soci e relativi genitori, amministratore delegato, amministratore unico) e li ha rapportati con il totale delle operazioni attive e passive dichiarate ai fini Iva e per i conti del DARE, li ha rapportati al volume d’affari della società, per quelli dell’AVERE all’ammontare delle operazioni passive come da fatture Iva. La differenza è stata considerata evasione fiscale. Di conseguenza la G.F. non ha eseguito un accerta- mento bancario ma uno induttivo violando così gli art. 39 e 41 D.P.R. n. 600 con conseguente legittimità dell’avviso impugnato perché lo stesso riporta senza controllo i dati del P.V.C. Lo stesso rilievo dei militi, che hanno contestato, ma a posteriori, la regolarità della contabilità della società solo dopo aver rapportato, come detto, i saldi dei c/c bancari della società e dei terzi evidenziati con il totale delle operazioni rilevanti per l’Iva, è di conseguenza inaccettabile ed illegittimo; B - che vi è grave difetto di motivazione dell’impugnato avviso nella parte in cui esso richiama la ricostruzione dei ricavi in base alle indagini bancarie in spregio allo Statuto del Contribuente art. 7 e del D.P.R. n. 600/73. Ciò è tanto più grave in quanto nella gestione societaria vi sono numerose operazioni non rilevanti ai fini Iva. Sono stati, ad esempio, inserite, raffrontandole con il solo volume d’affari, anche le operazioni di versamento da parte dei soci in conto futuro aumento di capitale eseguiti con bonifici bancari. Parimenti, si è operato per i pagamenti degli stipendi ai dipendenti, costo non rilevante per l’Iva, effettuati con addebiti bancari. Allo stesso modo si è operato per gli addebiti bancari dovuti su commissioni, spese ed interessi passivi di c/c. Né, su questo grave fatto, vi è stato alcun contraddittorio tra il contribuente e l’Ufficio ma vi è stato solo il predetto contestato accertamento che si basa solo e senza controllo alcuno sui rilievi della G.F; C - che non si è tenuto conto che la ricorrente è una S.r.l. e quindi il capitale sociale è nettamente distinto dal patrimonio dei soci e, quindi, la presunzione di evasione non può operare nei confronti dei conti bancari del terzo; D - l’illegittimità ed erroneità del recupero Iva per la prestazioni extra UE per le quali riceve una provvigione avendo un rapporto di intermediazione con operatori cinesi che vendono beni mobili ivi prodotti. Per le stesse, la ricorrente ha la qualifica di esportatore abituale con un regolare plafond e compilazione dei legali registri; quindi queste opera- zioni non sono soggette all’Iva e l’Ufficio Iva di Salerno ha, con accertamento effettuato in epoca precedente anche su queste operazioni con gli operatori cinesi, riconosciuto che le stesse erano escluse dall’applicazione dell’Iva. Né la G.F, e di conseguenza l’Ufficio, hanno tenuto conto che – art. 7 D.P.R. n. 633/72 - le prestazioni di servizi sono considerate effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti nello stesso domiciliati o residenti e i servizi relativi ai beni mobili materiali debbono considerarsi effettuati nel territorio dello Stato quando ivi eseguiti. E’ evidente che la prestazione di intermediazione in esame si concretizza fuori della CE in quanto il committente è cinese ed i beni oggetto dell’attività ora evidenziata prodotti in Cina; E - l’erroneità della ripresa tassazione per la deduzione dei costi sostenuti per siti in Milano e Roma. La G.F. non tiene conto che nell’oggetto sociale vi è l’attività di gestione di patrimoni immobiliari di sua proprietà o di terzi e stipula contratti di fitto di appartamenti e negozi impegnandosi anche ad eseguire le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria: infatti ha arredato gli immobili e li ha fittati. Queste opere e costi sono inerenti all’esercizio della attività d’impresa mentre essi vengono recuperati a tassazione dalla G.F. e dall’Ufficio; F - l’erroneità del recupero a tassazione dei costi relativi all’autocarro perché in contrasto con la normativa CE e la Corte di Giustizia, sent. n. 228/05 del 14/9/06, ha decretato l’illegittimità della normativa italiana in materia e questa sentenza ha anche un effetto retroattivo. La G.F. non ha neppure tenuto conto della L. 388/00 che stabilisce la detraibilità dell’Iva per ciclomotori, autovetture ed autoveicoli nell’acquisto al 90%. Anche per le IIDD il costo del bene, acquistato con locazione finanziaria, è costo deducibile. Presenta, oltre alle memore di difesa ed alle documentazioni conseguenti, anche perizia contabile favorevole di una professionista dottore commercialista ed esperta del Tribunale di Salerno. Invero nella stessa è eviden- 33 34 ziato che il c/c n. …… della XXXX di Milano, intestato alla società in oggetto, non è indicato nelle scritture contabili obbligatorie ma la professionista certifica, non smentita, che le operazioni relative ai versamenti contestati sono state regolarmente fatturate e registrate nel libro Iva delle fatture emesse, quindi sono state considerate nella determinazione del reddito d’impresa. Chiede l’accoglimento del ricorso, la pubblica trattazione e la vittoria di spese. Controdeduce l’Ufficio, facendo seguito all’ordinanza n. 3/15/2008 della C.P.T. di Salerno che gli richiedeva le stesse, e rilevando che: A - il c/c n……. della XXXX di Milano intestato alla società non è indicato nelle scritture contabili obbligatorie e nella perizia di parte questo rilievo viene riconosciuto; B - il controllo di tutti i c/c e delle movimentazioni bancarie ha portato a differenze tra i ricavi dichiarati ed il totale delle movimentazioni finanziarie attive di € 81.708,28 e tra quelle dei costi dichiarati e delle movimentazioni finanziarie passive di € 234.906,11 e sono stati ipotizzati e contestati per le prime ricavi non fatturati e per le seconde costi non fatturati; C - la perizia di parte è contestabile perché non tiene conto del c/c n. … intestato a C. L., socio con quota del 9% del capitale ed amministratore nel periodo in oggetto, del c/c n. … intestato a M.G. padre di alcuni soci, del c/c n. …… intestato a M.A. moglie e madre di soci; D - presenta rilievi relativi all’anno ‘04 tra i redditi di alcuni soci ed evidenzia che gli stessi non permettono le movimentazioni evidenziate nei c/c; quindi, questi c/c non possono che essere movimentati da operazioni extracontabili relative alla società; E - l’Ufficio, in presenza di gravi, precise e concordanti presunzioni può procedere ad accertamento che prescinda dalla contabilità e dal bilancio; Ribadisce la richiesta di rigetto del ricorso con vittoria di spese di giudizio. Motivi della decisione Il giorno 27/6/08 si ha la trattazione della vertenza e la Commissione, esaminate le opposte argomentazioni e documentazioni, ritiene che le doglianze della ricorrente abbiano pregio. E’ evidente che nell’accertamento il controllo bancario sia legittimo e, se si ritiene fondatamente e provatamente che c/c di terzi siano realmente funzionali alla gestione societaria, anche questi ultimi siano oggetto della verifica. Ma la G.F., prima, e l’Ufficio, dopo, non provano analiticamente che i c/c dei terzi (soci, loro parenti e componenti l’amministrazione societaria) siano di mera copertura, ma connessi e funzionali all’attività aziendale. Né è meritevole di attenzione il rilievo che, nell’anno in oggetto, i redditi dichiarati dagli stessi sono troppo esigui per l’ammontare delle movimentazioni bancarie negli stessi evidenziate. Infatti nessuna analisi viene presentata né dei redditi realizzati dagli stessi per gli anni pregressi, né del loro effettivo patrimonio (tra essi vi sono soggetti che sono soci in altre numerose società o che hanno patrimonio cospicuo), né della loro composizione familiare e quali redditi nel presente e nel passato componenti la stessa abbiano prodotto e quali patrimoni siano in loro possesso. Parimenti non può essere accettato, così ha operato la G.F. e pedissequamente ha avallato l’Ufficio con l’accertamento, il mero confronto tra il totale delle movimentazioni bancarie attive ed il volume d’affari e di quelle passive e le fatture registrate ai fini Iva. Un corretto controllo tra le movimentazioni finanziarie e quelle economiche documentate e registrate deve essere effettuato confrontando tra loro le singole operazioni ed evidenziando le possibili discrasie che si verificassero. Invece, come ora accennato, il confronto è stato "globale" e tenendo solo conto delle operazioni ivate. Ciò è censurabile sia perché i rilievi debbono essere analitici per aver essi dignità di prova, sia perché, e questo è assolutamente inaccettabile, le sole operazioni ivate sono solo una parte dei costi e dei ricavi fiscalmente inerenti all’attività e competenti a quell’esercizio gestionale. Come giustamente contesta la ricorrente, nella gestione operano anche i dipendenti ed il loro cospicuo costo (per paghe contributi e Tfr) non è annotato tra quelli ivati. Ne consegue che, secondo la G.F. e, poi, l’Ufficio, i legali e documentati costi per i dipendenti non trovando essi contropartita nei conti ivati divengono operazioni "a nero". Lo stesso discorso vale per tutti gli altri costi non ivati (oneri bancari, contributo alla CCIAA, conteggio di ammortamenti ecc). Quindi l’accertamento reso illegalmente induttivo è anche per questi motivi illegittimo. Non accettabile, poi, è il rilievo relativo al recupero Iva su chiarissime operazioni extra-UE per le provvigioni ricevute, fatturate e dichiarate per aver trovato clienti in Italia, ed in minima parte in Svizzera, agli operatori cinesi per la vendita dei loro beni mobili in quella nazione prodotti. Lo stesso Ufficio, per il settore Iva, che a suo tempo operava autonomamente ma sempre in coordinazione con gli altri Uffici del Ministero delle Finanze, in un suo analitico precedente controllo aveva riconosciuto la non imponibilità Iva per queste operazioni. Né è accettabile la contestazione di costi non inerenti all’attività per quelli sostenuti, documentati e dichiarati per gli immobili posseduti in gestione a Milano e Roma. L’aver, poi, considerato indetraibili fiscalmente gli interi costi per l’autocarro e rilievo formulato in spregio sia della normativa CEE, che prevale su quella nazionale, sia di quella italiana che, pure, una percentuale di costi per gli stessi consente comunque. Di scarso pregio, infine, è il rilievo di non aver annotato finanziariamente le movimentazioni relative al c/c n. …… della XXXX; a tal proposito la perizia giurata di parte, non contestata su questo punto, afferma e documenta che le operazioni relative ai versamenti contestati sono state regolarmente fatturate e registrate nel libro Iva delle fatture emesse e, quindi sono state considerate nella determinazione del reddito d’impresa. E’ evidente, quindi, che l’accertamento debba essere rigettato ed il ricorso accolto. Infine, è evidente che la ricorrente ha dovuto difendersi con memorie e documentazioni corpose ed ha subito l’indubbio onere anche di una perizia giurata a difesa mentre l’Ufficio avrebbe potuto esercitare la doverosa autotutela sui rilievi per i quali era stata dimostrata l’inconsistenza sostanziale e la mancanza di presupposti di legge per la loro formulazione; avrebbe potuto anche "rifare" un mirato ed analitico accertamento provando analiticamente i rilievi. Non vi è stato nulla di tutto questo. Ne consegue che la Commissione ritiene che sia dovuto alla ricorrente la refusione delle spese di giudizio che, quindi, vengono quantificate in complessivi €. 2.500,00. P.Q.M. Accoglie il ricorso e condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio che quantifica in €. 2.500,00. 35 Accertamento E’ ILLEGITTIMO L’ACCERTAMENTO NON PRECEDUTO DALL’ATTO DI DINIEGO DEL CONDONO Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. V, 16 febbraio 2009, n. 44 Pres. Napoli – Rel. De Angelis Accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva – Preclusioni – Istanza di condono – Definizione automatica per gli anni pregressi – Accertamento non preceduto da atto di diniego del condono – Illegittimità (L. n. 289/2002, art. 9) Non può essere sottoposto ad accertamento dell’imposte sui redditi e dell’Iva il contribuente che per tali imposte ha presentato istanza di definizione automatica a norma dell’art. 9 della l. n. 289/02, se tale richiesta non è stata esplicitamente rigettata dall’Amministrazione finanziaria con apposito atto di diniego. Svolgimento del processo 36 Con ricorso depositato in data 12/01/06 la … srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e per difesa dall’Avv. …, impugna l’avviso di accertamento n. relativo alle imposte IRPEG-IVA ed IRAP per l’anno 1999, emesso dall’Agenzia delle Entrate di X. La società ricorrente eccepisce: a) infondatezza ed illegittimità dell’avviso ai sensi dell’art. 17 comma 3 D.P.R. n. 633/72 per aver assolto l’imposta sugli acquisti di beni estratti da depositi IVA di cui all’art. 50 bis del D.L. 331/93, emettendo anche delle note di credito su vendite emesse fuori campo IVA; B) fa presente di aver prodotto defini- zione automatica ai sensi dell’art. 9 della legge n. 789/02. Conclude per l’annullamento dell’avviso previa sospensione. L’Ufficio regolarmente costituito in giudizio, contesta i motivi del ricorso e fa rilevare che l’accertamento ha recepito i risultati contabili di un controllo effettuato nell’anno 2000 dalla GdF, dalla quale era emersa l’irregolare tenuta del libro di contabilità generale. In merito alla produzione dell’istanza di condono deduce che la stessa non poteva essere prodotta in quanto alla data del 1/1/03 vi era stata la notifica di un processo verbale di constatazione con esito positivo. Chiede il rigetto del ricorso con vittoria delle spese processuali. La Commissione Tributaria Provinciale di Avellino con sentenza n 173/04/06 del 5/6/06 in accoglimento del ricorso annulla ‘‘avviso impugnato e compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio. Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate di X propone appello in quanto le argomentazioni del collegio di accoglimento delle eccezioni della ricorrente appaiono destituite di fondamento. Ribadisce che il provvedimento fiscale trova riscontro nelle accertate violazioni da parte della GdF in merito alla tenuta delle scritture contabili, previste dall’art. 2214 del cc. Appare evidente la violazione dell’art. 22 D.P.R. n. 600/73 in combinato disposto con l’art. 14 con conseguente accertamento in via induttiva a nulla rilevando la presenza di un registro IVA la cui inattendibilità traspare dalla discordanza tra i dati rilevati dai militari e quelli esibiti all’Ufficio finanziario. Per quanto riguarda l’istanza di condono fa rilevare che lo stesso art. 9 della legge n. 289/02 al comma 14 prevede la esclusione per coloro che avevano avuto notificato processo verbale con esito positivo ovvero... La contribuente aveva avuto notificato il p.v. in data 31/3/2000 e in data 11/05/2000, per cui avrebbe potuto sanare l’atto fiscale attraverso gli istituti previsti dagli artt. 15 e 16 della stessa legge. Non vi è alcuna norma che dispone la possibilità per l’ufficio di procedere all’accertamento solo previa notifica del diniego del condono ex art. 9, stante una precisa indicazione del comma 14 dello stesso articolo. L’affermazione dei primi giudici: "l’accertamento dell’ufficio è fondato su un errore" non trova alcuna corrispondenza nel caso di irregolarità della tenuta del libro di contabilità generale di cui all’art. 14 D.P.R. n. 600/73 e che alla data del 31/3/2000 la società non aveva ancora provveduto alla stampa dei fatti di gestione posti in essere nel periodo 1/1/1999 31/12/1999. L’Ufficio, pur in presenza di una denuncia annuale che faccia valere le suddette poste a credito senza che le stesse trovino corrispondenza in quelle fatture e in quel registro (tenuto irregolarmente) è legittimato all’accertamento in rettifica a depennare tali poste. Nel P.V. (pag. 4) viene rilevato che il libro giornale previsto dall’art. 14 per l’esercizio anno 1999 risulta essere tenuto in bianco anche se le operazioni erano state memorizzate nel computer ed anche se le scritture contabili ai fini IVA erano state regolarmente scritturate. In pratica le cessioni "fuori campo" rientrano per intero nei componenti positivi di reddito non riconoscendo alle note di accredito, quali operazioni a storno di poste contabili positive, la compatibilità con il maggiore reddito riscontrato dalle scritture contabili. Conclude per la riforma della sentenza con conferma del provvedimento fiscale e vittoria delle spese processuali. La … srl, in persona del curatore fallimentare, rappresentata e difesa dal dott …, presenta proprie memorie difensive e fa rilevare che per l’istanza di condono l’ufficio avrebbe dovuto emanare un atto formale di diniego. Infatti circa la presenza di un p.v.c. con esito positivo, che avrebbe dovuto im- pedire il condono, fa osservare che la rettifica non era fondata sul p.v.c., bensì sull’acquisizione di documentazione chiesta nell’anno 2005. I rilievi dei p.v.c. riguardante la tenuta della contabilità non ha tenuto in considerazione il disposto dell’art. 7 comma 4-ter del D.Lgs. n. 357/94 convertito in legge n. 489/94 che prevede la stampa dei registri può essere adempiuta entro il termine per la presentazione della dichiarazione, qualora la contabilità fosse tenuta con sistemi meccanografici, come nel caso di specie. Pertanto, alla data del condono non vi era un p.v.c. con esito positivo che impediva la definizione agevolata. La verifica della GdF avvenuta in data 11/5/2000 non ha dato luogo ad alcun atto impositivo. Solo nell’anno 2005 a seguito della richiesta di documentazione l’Ufficio sulla base di questa rettifica la dichiarazione. In merito alla discordanza tra i registri IVA e la dichiarazione IVA fa rilevare che essa è solo formale e non sostanziale in quanto l’ufficio non ha tenuto conto che ai sensi della legge IVA l’estrazione dei beni dal deposito fiscale avviene con l’emissione dell’autofattura. Tecnicamente l’autofattura viene registrata sia nel registro delle vendite sia nel registro degli acquisti, ma tale circostanza non determina la trasformazione di acquisti autofatturati in vendite. L’ufficio, invece, ha rettificato i ricavi dichiarati, nonché il volume di affari, parificando gli acquisti a delle vere e proprie vendite. L’Ufficio trascura che tali acquisti autofatturati non possono essere indicati nel quadro VE, bensì vanno indicati, relativamente all’IVA, nel quadro VL rigo 2 dove la parte ha correttamente indicato l’importo di L. 257.615.000 – come dalle istruzioni dei modelli IVA 1999. Chiede il rigetto dell’appello con vittoria delle spese. Motivi della decisione Questo collegio osserva che con l’atto di appello l’ufficio contesta la decisione di primi giudici, i quali hanno ritenuto valido il condono effettuato ai sensi dell’art. 9 della leg- 37 ge n. 289/02, non essendoci stato alcun diniego, e che l’accertamento dell’Ufficio è fondato su un errore in quanto ha considerato operazioni attive le autofatture relative alla estrazione di merce dai depositi IVA. La società fa rilevare che il p.v.c. non ha dato luogo ad alcuno atto impositivo in quanto soltanto nell’anno 2005 l’Ufficio chiede ulteriori documenti e sulla base dei documenti esibiti rettifica la dichiarazione. Inoltre l’ufficio trascura che l’art. 7 comma 4-ter del D. Lgs. n. 357/94, convertito in legge n. 489/94, consentiva la stampa dei registri entro il termine di presentazione della dichiarazione, qualora la contabilità fosse stata tenuta con sistemi meccanografici. La sentenza di primo grado è ampiamente motivata ed ha affermato che la istanza di condono andava rigettata con motivazione, per cui non essendoci stato alcun diniego costituisce una carenza insanabile, rendendo improcedibile la fase successiva di conduzione ad effetto dell’accertamento prodotto. Inoltre viene evidenziato che l’Ufficio è incorso in errore considerando operazioni attive le autofatture relative all’estrazione di merce dai depositi IVA laddove dalla esibizione dei documenti si evince la regolarità delle operazioni effettuate. Infatti l’Ufficio ha basato l’accertamento sui documenti esibiti e non sul processo verbale. Questo collegio rileva che anche nel p.v.c. viene dato atto: "Come riferito in precedenza i predetti documenti seppur risultano essere regolarmente annotati nel registro IVA degli acquisti non figurano nel libro di con- 38 tabilità generale, e, pertanto, non é stato possibile rilevare le modalità di pagamento. Tuttavia la parte ha effettuato la stampa degli estratti dei partitari inerenti i rapporti di che trattasi. Dalla stampa dei partitari si evidenzia che i pagamenti sono avvenuti per cassa e/o mediante emissione di assegni bancari, il tutto dopo l’esibizione del documento". In effetti la società aveva utilizzato una procedura contabile ammessa dalla legge e per problemi tecnici non veniva prodotta la stampa del libro giornale. Occorre aggiungere che la società provvedeva ad esibire la documentazione richiesta dall’Ufficio in data 25/6/2005 e – tra gli altri documenti – esibiva anche copia autenticata del libro giornale anno 1999 e copia del bilancio anno 1999. L’ufficio nell’avviso dì accertamento dà atto che dalla documentazione esibita e dal modello Unico anno 2000 ha riscontrato delle anomalie che hanno determinato il nuovo reddito di impresa ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/73. Se la documentazione non fosse stata corretta avrebbe dovuto contestarla e determinare il reddito in modo analitico e con riferimenti precisi e concreti. Pertanto, l’appello va rigettato, con compensazione delle spese, stante la complessità della vertenza. P.Q.M. In rigetto dell’appello conferma la sentenza impugnata. Spese compensate. Accertamento E’ INFONDATO L’ACCERTAMENTO DEL REDDITO DI UNA SOCIETA’ BASATO SUI MOVIMENTI BANCARI DELL’AMMINISTRATORE Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIV, 4 maggio 2009, n. 143 Pres. Del Grosso – Rel. Pisapia Accertamento – Poteri dell’ufficio – Elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza – Accertamento del reddito della società basato su importi riscossi dall’amministratore – Illegittimità (D.P.R. n. 600/73, art. 32) A norma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/73, ai fini dell’accertamento dei redditi di una società, si presumono ricavi le movimentazioni bancarie che non risultano dalle scritture contabili, salva la possibilità per la società di provare o fornire adeguata e specifica prova contraria. Questa ipotesi non ricorre nel caso in cui le movimentazioni bancarie non contabilizzate siano costituite da assegni tratti dal conto personale di un amministratore di società e corrisposti a un amministratore di un’altra società, trattandosi di transazioni finanziarie intervenute tra le persone fisiche, non collegabili alle società. In ogni caso, la prova fornita dalla società contribuente circa la congruità dei ricavi contabilizzati a fronte dei rapporti contrattuali esistenti con l’altra società e il decreto di archiviazione del reato fiscale connesso all’accertamento dei redditi confermano la non rilevanza delle operazioni contestate. Svolgimento del processo Il Sig. D.N.A., in proprio e quale legale rappresentante della società D.N.A. & C. s.n.c., unitamente al socio A.A.M, rappresentati e difesi dal Dott. A.P., con separati ricorsi hanno impugnato gli avvisi di accertamento nr. ………, riferiti rispettivamente alla società, al socio D.N.A. e al socio A.A.M., emessi dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX – a seguito di controlli eseguiti dalla G.d.F. Comando Brigata di S; autorizzata, questa ultima, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di A, diretti a verificare anche eventuali violazioni sulla normativa tributaria, da parte della società, relativamente all’anno di imposta 2005. Il tutto a seguito di un esposto-denunzia presentato dall’Amministratore della Società R.N. S.r.l., sig. A.R., il quale avrebbe asserito che le somme corrisposte alla società D.N.A. & C. s.n.c., società commissionaria per la realizzazione di un opificio industriale di proprietà della R.N. S.r.l., fossero superiori agli importi fatturati. La GG. di FF. in relazione agli accertamenti eseguiti, ha ritenuto che le somme portate da n. 7 assegni bancari per complessive € 70.000,00, tratti dal denunciante sig. R A, sul c/c personale a lui intestato ed intrattenuto presso la Banca F, girati a terzi con "girata in bianco" e negoziati da D.N.A., fossero riconducibili ai rapporti economico – finanziari in corso tra le due società e, quindi, fuori dalla sfera personale tra i due soggetti. In relazione ai citati avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX – ha proceduto, con accertamento parziale d’Ufficio, ex art. 41 bis del DPR. n. 600/73, alla rettifica dei ricavi di impresa per complessive € 70.000,00, modificando il valore della produzione, al netto delle deduzioni, in € 176.899,00 per l’anno di imposta 2005, rideterminando il reddito di impresa in € 108.034,00, procedendo al conseguente recupero, ai sensi dell’art. 5 del TUIR, delle maggiori imposte IRPEF più addizionale re- 39 40 gionale e comunale nei confronti dei singoli soci, determinate in ragione delle singole quote di partecipazione, nonché maggiore IVA ed IRAP nei confronti della società, irrogando le relative sanzioni. Nel proporre il ricorso sia la società che i soci eccepiscono la nullità degli avvisi di accertamento per le seguenti motivazioni: 1) assenza di prove sulla contestata evasione dei ricavi – Il PM, in relazione agli elementi raccolti dalla GG di FF di cui al p.v., ha ritenuto gli stessi non sufficienti a provare le accuse del denunciante, per cui ha chiesto al GIP l’archiviazione dell’avviato procedimento. Così ancora, il sig. R.A. – denunciante dei fatti esposti nella "denuncia–querela", con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 18/7/2007, ha "espressamente riconosciuto che gli assegni da lui emessi in favore di sè stesso, erano estranei al rapporto intercorso tra la società R.N. S.r.l. e la società D.N.A& C. s.n.c.. Sono elementi questi, riferisce la parte ricorrente, che sono stati oggetto di valutazione nel processo penale, per cui non possono non essere valutati nel medesimo modo nel processo tributario; 2) nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione – Precisa la parte ricorrente che, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX – si è limitata, nella formazione degli avvisi di accertamento, ad una "pedissequa omologazione" degli elementi segnalati dalla GG di FF nel p.v.c. del 28/4/2006, in totale assenza di valutazione degli stessi; per cui tale comportamento è ritenersi illegittimo in quanto l’atto opposto non è fondato su dati certi; 3) contraddittorietà dell’avviso di accertamento – L’atto impugnato è fondato esclusivamente su presunzioni della GG. di FF traslate nel processo verbale, laddove i militari attribuiscono le operazioni finanziarie poste in essere tra soggetti - persone fisiche -, a rapporti economici finanziari tra le società, unicamente sul presupposto che i soggetti, denunziante e ricorrente, sono amministratori delle menzionate società. Precisa la parte ricorrente: che l’Ufficio ha effettuato l’accertamento a carico della so- cietà senza esaminare le scritture contabili; che la società ricorrente è in contabilità ordinaria; che nessuna violazione è stata accertata in merito alla tenuta della contabilità; ed ancora, che le modalità di pagamento utilizzate dalla società committente per le forniture ricevute, sono state sempre quelle del "bonifico bancario", e non già quella degli "assegni girati a terzi". Parte ricorrente conclude con la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di ordine al rimborso delle somme eventualmente versate nelle more del giudizio. Analoghe motivazioni risultano addotte nei ricorsi presentati dai soci partecipi alla società D.N.A. & C. s.n.c. e, propriamente, dallo stesso D.N.A. e A.A.M., tutti difesi, nel presente giudizio, unitamente alla società, dal Dott. A P. L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX – nel costituirsi in giudizio, sostiene che la pretesa erariale trova il suo fondamento nel p.v.c. redatto dal Comando Brigata di S. che ha svolto una serie di controlli nell’ambito del procedimento penale a carico della società D.N.A. & C. s.n.c.. Nel corso delle operazioni, riferisce l’Agenzia, i militari hanno accertato l’avvenuto versamento in c/c degli assegni ricevuti dal sig. D.N.A., ma nessun prelevamento degli importi corrispondenti è stato rinvenuto nei giorni successivi; per cui viene dedotto che la società facente capo al sig. R. ha pagato con assegni bancari le prestazioni rese dalla società del D.N.; assegni questi che sono stati depositati sul conto personale del legale rappresentante della società D.N.A. & C. s.n.c. e, quindi, non contabilizzati. Precisa altresì l’Ufficio che, la motivazione per relationem è legittima in quanto vi è stata partecipazione alle operazioni da parte del ricorrente in sede di contraddittorio e che l’atto cui si fa rinvio è conosciuto dal contribuente, tanto é che il ricorrente ha potuto espletare energicamente la propria difesa. In ultimo, l’Ufficio fa presente che i rilievi sono fondati sull’esame dei c/c, così come disposto dall’art. 32 D.P.R. n. 600/73, per cui è l’imprenditore a dover dimostrare che quanto accertato corrisponde ad operazioni già contabilizzate o estranee alla società; ciò che il contribuente non ha dimostrato. Sottolinea ancora l’Ufficio che, la sez. 18^ di questa Commissione Tributaria, con riferimento all’anno di imposta 2004, per analogo accertamento, ha emesso la sentenza n. 313/18/08, di rigetto integrale del ricorso di parte. Relativamente alla richiesta di sospensione cautelare, l’Ufficio deduceva la non sussistenza dei requisiti richiesti dalla relativa normativa. Conclude per il rigetto del ricorso. Il Collegio, alla Camera di Consiglio del 12/01/2009, non risultando la prova della comunicazione di trattazione della richiesta cautelare, rinviava al 9.2.2009. In tale data, la Commissione disponeva la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 29 del D.Lgs. n. 546/92, per connessione soggettiva ed oggettiva e rigettava la richiesta di sospensione, rinviando all’odierna udienza la trattazione nel merito. In data 6/3/2009, il difensore dei ricorrenti, depositava copia del decreto di archiviazione del procedimento penale, emesso dal GIP con la motivazione "rilevato che il reato è stato estinto per intervenuta remissione della querela, dispone l’archiviazione del procedimento". Nell’udienza odierna, il difensore deposita dichiarazione del direttore dei lavori, Ing. C. G., del seguente tenore: "che i suddetti lavori, come da computo esibito, ammontano ad € 800.000,00 salvo eventuali verifiche e controlli", dichiarazione questa datata il 2/4/2009. Motivi della decisione Il Collegio, preliminarmente conferma la riunione dei ricorsi R.G.R. n. ……ai sensi dell’art. 29 del D. Lgs. n. 546/92, per connessione soggettiva ed oggettiva e rileva che per la menzionata sentenza n. 313/18/08 non si è formata cosa giudicata, essendo stata appellata. Relativamente agli avvisi di accertamento emessi dall’Amministrazione Finanziaria per i quali viene fatto rinvio per le motivazioni al verbale di constatazione della GG. di FF., l’onere di produrre in giudizio il verbale di constatazione è stato assolto dall’Ufficio con il deposito di tale verbale. Va nello stesso tempo richiamato l’art. 3 della L. 241/90 che stabilisce, al c. 1, che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, e che le motivazioni devono indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’A.F. in relazione alle risultanze dell’istruttoria. La controversia è fondata essenzialmente sulla valutazione della natura di alcune operazioni poste in essere dal Sig. D.N.A., quale amministratore della società D.N.A. & C. s.n.c., il quale avrebbe messo all’incasso, nel periodo di imposta 2005, n. 7 assegni per complessive € 70.000,00 che, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX -, sulla base del pvc della GG. di FF., autorizzata questa ultima dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di A, ritiene collegabile a prestazioni rese dalla società "in nero" a favore della società R.N. s.r.l. e, viceversa non finalizzate, dette operazioni, al cambio di moneta contante. L’indagine scaturiva da una denuncia–querela, da parte della società R.N. s.r.l., che aveva intrattenuto rapporti economici con la società D.N.A. & C. s.n.c.. Va premesso che le transazioni sono avvenute tra i soggetti D.N.A. e R.A., i quali erano amministratori delle rispettive società; il primo della ricorrente D.N.A. & C. s.n.c., il secondo della R.N. s.r.l., legate dette due società nel periodo in cui avvennero le transazioni, da rapporti economici aventi ad oggetto un contratto di appalto la cui committente era la R.N. s.r.l. e commissionaria la D.N.A. & C. s.n.c.. È su tale presunzione che la GG. di FF. prima, e l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di XXX. – poi, affermano la omessa contabilizzazione di operazioni imponibili a carico della società, posto che in sede di indagine, alcuni degli assegni risultavano essere stati 41 42 versati sul conto intestato alla società. Con memoria difensiva, la società D.N.A. & C. s.n.c., nel richiamare i rapporti intercorsi negli anni 2003/2004/2005 tra la società committente e quella concessionaria, riferiva che gli assegni bancari, oggetto di contestazione, scaturivano da rapporti personali tra il Sig. R.A. e il Sig. D.N.A.; pertanto non correlati ad alcuna operazione tra le società, ma posti in essere esclusivamente tra le parti a titolo di favore. Situazione questa rappresentata nel corso delle operazioni di verifica da parte della GG. di FF. (foglio 10 verbale del 5/04/2006), richiamata nel ricorso e con riscontro nella circostanza che il P.M., nel procedimento incardinato presso il Tribunale di A. a seguito della denuncia–querela da parte della società R.N. s.r.l., aveva chiesto al GIP, tenuto conto degli elementi raccolti dalla GG. di FF., l’archiviazione del procedimento, in quanto tali elementi non erano da ritenersi sufficienti per provare le accuse del denunciante. Invero il GIP, con decreto del 23/3/2009, ha disposto l’archiviazione del procedimento "per intervenuta remissione della querela". Ed ancora il Sig. R.A., in proprio e nella qualità di amministratore della società R.N. s.r.l., con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ha affermato che le somme erano state versate a titolo personale ed erano da ritenersi fuori dal contratto di appalto stipulato tra le società. Va da sé che la richiesta di archiviazione rivolta al GIP ed il successivo decreto di archiviazione in relazione all’assenza di prova, non ha efficacia vincolante nel processo tributario; in quanto, le presunzioni inidonee a supportare una denuncia penale di condanna, possono espletare effetti diversi nel processo tributario. Allo stesso tempo, anche se l’attuale legislazione prevede un processo tributario svincolato dal processo penale, questo Collegio, per il caso che ci occupa, non può non valutare gli elementi (sent. Cass. n. 22173 del 3/9/2008) emersi nel giudizio penale. Procederà, conclusivamente, ad una autonoma valutazione, secon- do le regole proprie del processo tributario, di tutti gli elementi acquisiti agli atti. Osserva il Collegio che, in tema di accertamento dell’imposte sui redditi ex art. 32 D.P.R. n. 600/73, i dati raccolti nel corso della verifica consentono, in virtù della presunzione legale contenuta nella suddetta normativa, di imputare le movimentazioni bancarie a ricavi, salva la possibilità per il contribuente di provare o fornire adeguata e specifica prova contraria (Cass. 5/6/2008 n. 14847). Per cui al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 D.P.R. n. 600/73, non è sufficiente una dimostrazione generica, ma è necessaria una prova analitica sulle movimentazioni contestate. Da una valutazione complessiva del verbale della GG. di FF., unitamente a quanto dedotto d’ll’Ufficio nelle proprie memorie, emerge che: - gli assegni corrisposti da R.A. sono stati tratti sul conto personale presso la Banca F. e non sul conto della società. Trattandosi di uno scambio di assegni, l’operazione di negoziazione dei citati assegni, non poteva avere effetti immediati sui conti correnti delle parti interessate all’operazione. Con lo scambio di assegni, la tempestività temporale delle due operazioni, prelievo / versamento, non può esistere, in quanto il fabbisogno finanziario viene soddisfatto proprio con lo scompenso temporale delle operazioni fra le parti. - l’accertamento poggia su una presunzione che non tiene conto di elementi importanti come quelli inerenti alla valutazione di congruità del prezzo di appalto in relazione all’opera commissionata. Tali valutazioni inducono il Collegio a ritenere che gli elementi desunti dagli accertamenti eseguiti, siano riconducibili a "transazioni finanziarie" e non a rapporti economici collegabili alle due società, in quanto mancherebbero, nel caso di specie, i presupposti concreti di collegamento, idonei a dimostrare che le "transazioni finanziarie" avvenute tra soggetti legati alle società solo nelle funzioni espletate, siano riconducibili a rapporti economici tra le due società. Tale convinzione è supportata dal decreto di archiviazione emesso dal GIP, nonché dalla dichiarazione resa dal Direttore dei lavori, Ing. C.G., sulla congruità delle operazioni economiche poste in essere dalla società; operazioni queste, analiticamente riferite e richiamate nel processo verbale. Invero la dichiarazione resa dal direttore dei lavori, sulla congruità dell’operazione di appalto, esclude la eventuale inerenza dell’operazione finanziaria oggetto di contestazione, all’attività di impresa, per cui verrebbe meno la sostanziale riferibilità di un diretto collegamento all’operazione economica di appalto. Rileva il Collegio che nel corso del presente giudizio sono sopravvenuti nuovi rilevanti elementi (decreto di archiviazione, dichiara- zione del Direttore dei lavori sulla congruità del rapporto economico, contratti di appalto) i quali confortano il convincimento che le operazioni contestate siano riconducibili ad operazioni finanziarie e, quindi, non collegate ad operazioni economiche tra le due società. Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, questo Collegio ritiene che i gravami vadano accolti e che sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e dispone la compensazione delle spese del giudizio. 43 Accertamento LA DICHIARAZIONE DI UN CORRISPETTIVO PARI O SUPERIORE AL VALORE CATASTALE DELL’IMMOBILE PRECLUDE LA RETTIFICA Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVIII, 23 aprile 2009, n. 258 Pres. Casale – Rel. Orilia Accertamento dell’Iva e dell’Irap – Compravendita di immobili – Contratto registrato nel 2004 – Corrispettivo dichiarato in misura non inferiore al c.d. valore automatico ricavabile in base al reddito risultante in catasto – Rettifica del valore degli immobili – Illegittimità (D.P.R. n. 131/86, art. 52, commi 4° e 5°; D.L. n. 223/06, conv. in legge, con mod., dall’art. 1, L. n. 248/06, art. 35, comma 23 ter) 44 In materia di imposta di registro, l’art. 35, comma 23 ter, D.L. n. 223/06, conv. con mod. dall’art. 1 della L. n. 248/06, ha abrogato le norme dettate dall’art. 52, commi 4° e 5°, del D.P.R. n. 131/86 che precludevano l’accertamento di valore dei beni immobili compravenduti nei confronti dei contribuenti che avessero dichiarato nell’atto corrispettivi non inferiori al cd. valore automatico ricavabile in base al reddito catastale. Tuttavia, tali norme continuano ad applicarsi agli accertamenti di valore degli immobili compravenduti con atti registrati prima del 12 agosto 2006, data di entrata in vigore della citata legge di conversione n. 248/06. Svolgimento del processo La società E. F. s.n.c. di Z.E. e R.G, nonché i soci in proprio, così come difesi e rappresentati in atti, propongono distinti ricorsi avverso i rispettivi avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate di X, elevando il valore di un immobile ceduto dalla società, per l’anno d’imposta 2004, ha accertato a carico della medesima un maggior reddito di €. 167.164,00 da attribuire in quota ai due soci, una maggiore IVA per €. 22.902,00 ed una maggiore IRAP per €. 5.185,00. I ricorrenti eccepiscono: - la illegittimità dell’operato dell’Ufficio per carenza dei presupposti per l’adozione del metodo accertativo utilizzato del c.d. "prezzo-valore" in quanto l’accertamento, basato sulle quotazioni emergenti dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi), era inibito all’Ufficio in presenza di un importo dichiarato superiore alla valutazione automatica determinata su base catastale; - il difetto assoluto di motivazione in quanto l’Ufficio si è limitato a richiamare lo scostamento tra valore normale emergente dalle quotazioni Omi e quello dichiarato, senza alcuna motivazione ulteriore; - il manifesto errore di carattere materiale compiuto nella determinazione dei maggiori ricavi in quanto il prodotto tra la superficie dell’immobile ed il prezzo al mq dà risultati inferiori a quelli accertati; - il difetto di riscontro probatorio in quanto l’Ufficio ha ritenuto di poter applicare retroattivamente le presunzioni recate dal D.Lgs. n. 223/2006 senza tener conto né della loro diversa portata probatoria rispetto alle varie imposte e né del fatto che tali nuove regole potevano essere fatte valere solo a far data dal 4.7.2006; - la inidoneità dei valori Omi ad essere utilizzati a fondamento di un avviso di accertamento in quanto, trattandosi di dati medi, essi non possono essere applicati in via au- tomatica ma, piuttosto, devono essere adeguati al caso concreto in ossequio al principio della capacità contributiva; - la inapplicabilità delle sanzioni, in quanto col metodo utilizzato dall’Ufficio, i maggiori ricavi accertati non sono effettivi ma, piuttosto presunti sulla base di semplici indizi; - la congruità del prezzo dichiarato sostanzialmente confermato da apposita perizia giurata allegata agli atti. Concludono, previa istanza di sospensione ex art. 47, D.Lgs. n. 546/96, per l’annullamento degli avvisi di accertamento impugnati. Si costituisce l’Ufficio ribadendo la piena legittimità del proprio operato in quanto basato sulla indubbia volontà del legislatore chiarita con la circolare n. 11/E del 16.2.2007, prima, e, successivamente, con la legge finanziaria per l’anno 2008 con le quali è stato confermato che le disposizioni di cui all’art. 35 D.Lgs. n. 223/2006 hanno efficacia anche per le rettifiche relative a periodi d’imposta ancora accertabili. Pertanto ritiene che quanto rilevato dai ricorrenti in ordine alla pretesa applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art.15 D.Lgs. n. 41/95, sia meritevole di censura stante l’orientamento ministeriale che, con la citata circolare n. 11/E, ha chiarito che anche nella vigenza del predetto art. 15, il valore catastale dichiarato individuava esclusivamente il valore indiziario su cui orientare una eventuale attività di accertamento in presenza di scostamento tra valore dichiarato e quello c.d. "normale". In ordine, poi, all’eccepito difetto di motivazione degli atti impugnati, evidenziando che gli elementi in essi riportati sono sufficienti per provare lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto ai valori c.d. "normali", sottolinea che è da ritenersi del tutto inverosimile che gli immobili compravenduti abbiano potuto subire una variazione di valore davvero irrisorio nonostante il decorso di ben 12 anni tra il loro acquisto e la successiva rivendita. Conclude per il rigetto del ricorso con con- danna alle spese di giudizio. In data 23.2.2009 i ricorrenti depositano memorie illustrative in cui ribadiscono la istanza di accoglimento dei ricorsi presentati. Motivi della decisione Preliminarmente i procedimenti vengono riuniti, sussistendone i presupposti di connessione oggettiva e soggettiva di cui all’art. 29 D.Lgs. n. 546/92. Tanto precisato, ritiene la Commissione che i ricorsi riuniti siano fondati e, pertanto, li accoglie. La controversia che qui ci occupa attiene sostanzialmente al potere attribuito agli Uffici dall’art. 35, comma 23 ter, D.Lgs. n. 223/06, convertito nella L. 248/06 che ha abrogato la norma che prevedeva la c.d. "valutazione automatica" dei fabbricati e dei terreni agricoli compravenduti. Sulla base della novellata previsione normativa, pertanto, essendo stato eliminato il limite preclusivo di accertamento nei confronti dei contribuenti che avessero dichiarato valori non inferiori al c.d. "valore automatico", tutte le rettifiche operate dagli Uffici sulla base del valore venale degli immobili è da ritenere del tutto legittimo. Ciò nondimeno occorre evidenziare che, nel caso di specie, essa non può trovare applicazione atteso che può valere esclusivamente per gli atti di compravendita registrati successivamente al 12.08.2006, data di entrata in vigore della legge di conversione n. 248/06. E tale convincimento fonda sull’orientamento della medesima Agenzia delle Entrate che, con la circolare n. 6 del 6.2.2007 e la risoluzione n. 285 del 7.7.2008, ha precisato che i limiti di accertamento di valore di cui all’art. 52, commi 4 e 5, D.P.R. n. 131/86 continuano a valere per gli atti pubblici formati, le scritture private autenticate e le scritture private registrate prima del 12.8.2006, giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della citata legge di conversione 248/06. Ciò posto, avendo i ricorrenti, registrato 45 l’atto in data 10.3.2004 ed avendo dichiarato un valore di €. 85.000,00, superiore al suo valore automatico; è di tutta evidenza che al caso di specie rimane ancora applicabile la previgente normativa di cui all’art. 52 D.P.R. n. 131/86 con conseguente preclusione per l’Ufficio della possibilità di rettifica dei valori originariamente dichiarati. Assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. P.Q.M. La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno - sezione diciottesima - definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta dalla società "E. F" s.n.c. di Z.E. e R.G e dai soci in proprio accoglie i ricorsi riuniti e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di giudizio. _________ Corrispettivo e valore normale nella compravendita di immobili 46 L’argomento oggetto della sentenza in parola, ha subito nel corso degli ultimi anni frequenti modificazioni normative a cui sono seguite notevoli difficoltà applicative. Stiamo parlando degli accertamenti fiscali nel settore immobiliare. Negli ultimi anni al settore della fiscalità immobiliare, per l’evidente gettito che il comparto produce per l’erario, è stata attribuita crescente attenzione da parte del Legislatore. Sono state emanate diverse disposizioni regolatrici della materia tese a rinnovare gli strumenti accertativi a favore dell’Amministrazione Finanziaria in materia di operazioni immobiliari realizzate nell’esercizio dell’impresa. Ha assunto, nel tempo, sempre maggiore rilevanza il concetto di “valore normale” dell’immobile genericamente inteso come il valore di mercato del bene. Eventuali scostamenti tra valore dichiarato in atto e valore di mercato rappresentano, evidentemente, un potenziale allarme di evasione. Nel 2006 con il D.L. 223, poi convertito nella legge 248/2006 il concetto di “valore normale” è diventato lo strumento principale per la lotta all’evasione del gettito legato al mercato immobiliare. Le norme contenute nella novella legislativa sono state oggetto di critiche che, poi, hanno condotto a delle modificazioni delle stesse, come si dirà in prosieguo. L’art. 35 del D.L. n. 223/06 ha portato innovative modifiche rispetto alle possibilità accertatrici ai fini delle II.DD ed IVA. La novella ha stabilito, al comma 3, ai fini delle II.DD., che gli accertamenti di tipo analiticoinduttivo, di cui all’art.39 del D.P.R. n. 600/73, potevano essere effettuati sulle base del valore normale, qualora fosse superiore al valore dichiarato dalle parti nell’atto di cessione. L’art. 35 del D.L. n. 223/06 stabiliva che costituisse presunzione di maggiori ricavi grave, precisa e concordante, l’esistenza di un valore normale dell’immobile ceduto superiore al prezzo dichiarato. La circostanza integrava la prova dell’esistenza di attività non dichiarate. Per l’IVA, al comma 2, si disponeva analoga facoltà di accertamento, riguardante, però, a differenza di quello per le imposte dirette, l’accertamento analitico di cui all’art.54, comma 3. La disposizione dell’art.54, nella formulazione ante D.L. n. 223/06, prevedeva che l’ufficio poteva rettificare i valori di cessione di un bene immobile qualora l’esistenza di maggiori valori imponibili risultasse “in modo certo e diretto” e non in via presuntiva. L’art. 35, comma 2, del D.L. n. 223/06 ha integrato la disposizione originaria aggiungendo che la prova dello scostamento può aversi in confronto al parametro del valore normale dei beni. La sola esistenza di un valore normale superiore al valore dichiarato diventava, così, la prova certa e diretta dell’infedele dichiarazione. Valore normale determinato sulla base delle quotazioni dell’OMI – Osservatorio del mercato Immobiliare - , i cui dati hanno rappresentato il parametro di riferimento degli Uffici della Agenzia per operare le rettifiche delle dichiarazioni. Era stato creato, così, un automatismo per il quale si eliminava l’onere probatorio in capo agli Uffici accertatori, consentendo alla circostanza dell’esistenza del valore normale di assumere la forza di una presunzione legale relativa, trasferendo l’onere probatorio a carico del contribuente per vincere la presunzione a sé sfavorevole. L’Associazione Italiana Dottori Commercialisti presentando un esposto alla Commissione europea ha denunciato la oggettiva incompatibilità della norma espressa con il D.L. n. 223/06, poi convertito nella legge n. 248/06, che stabilisce una tassazione al valore normale, laddove invece la normativa comunitaria prevede il principio generale della tassazione del corrispettivo erogato o da erogare. Principio, peraltro, che può essere derogato, ai sensi dell’art.80 della Direttiva 2006/112/CE, solo alla duplice condizione che fra i cedenti e i desti- natari vi fossero legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, associativi, finanziari o giuridici, e che uno dei due soggetti si trovi in una situazione di pro rata o di altra situazione limitativa della detrazione IVA. La denuncia della ADC ha sortito l’avvio della procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia; la Commissione Europea ha dichiarato che, sebbene sia perfettamente legittimo correggere l’imponibile laddove si ravvisino prove o indicazioni di un pagamento reale differente da quello dichiarato, il solo fatto che il dichiarato sia inferiore al “valore di mercato”, non può essere addotto come mezzo di prova. E chiedeva alla Repubblica Italiana di modificare la legislazione che assoggettava a tassazione, ai fini Iva, il valore normale degli immobili qualora esso risultasse superiore al dichiarato (Comunicato Stampa – Commissione Europea 19/3/2009 IP/09/430). Inoltre riteneva sproporzionata la disposizione censurata in quanto trasferiva l’onere della prova sui soggetti passivi in assenza di qualsiasi prova di frode fiscale. Da qui l’incompatibilità con gli artt. 73 e 80 della Direttiva CEE. Con la Legge 7.7.2009, n.88 (Legge Comunitaria 2008), si è provveduto ad abrogare le disposizioni introdotte con il D.L. 223/06, art.35, commi 2 e 3. Si è provveduto anche per le imposte dirette, per le quali non erano state segnalate particolari censure; ma evidentemente si è voluto evitare che una stessa operazione potesse essere oggetto di eccezione ai fini delle imposte dirette , ma non ai fini Iva. Si è voluta mantenere, così, un’uniformità normativa per i due comparti di imposte. Quindi per effetto di tale intervento l’ufficio non potrà più rettificare le dichiarazioni IVA in presenza di differenza tra valore normale dell’immobile determinato attraverso l’OMI e il valore dichiarato. Verrà meno l’automatismo che eliminava l’onere probatorio a carico degli uffici; di conseguenza il valore dichiarato più basso di quello normale non integrerà più una presunzione legale relativa, al più costituendo una presunzione semplice, che dovrà essere accompagnata da altri elementi indiziari per disporre dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da supportare l’accertamento. Alla luce delle nuove disposizioni gli Uffici dovranno applicare la nuova disciplina anche ai trasferimenti immobiliari attuati dalle imprese prima della decorrenza delle modifiche apportate dalla Legge Comunitaria (15.7.2009), sempre che non siano spirati i termini per l’accertamento. Nei casi per i quali sia stato effettuato accertamento solo sulla base delle presunzioni legali, ora soppresse, bisogna distinguere tra coloro che hanno già aderito all’accertamento che non potranno beneficiare delle nuove disposizioni, dai casi in cui l’accertamento è ancora pendente. In questa seconda ipotesi se l’accertamento si è fondato su altri elementi indiziari, oltre alla inferiorità al valore normale (si pensi al corrispettivo dichiarato inferiore all’importo del mutuo contratto), il contribuente dovrà fornire elementi atti a confutare tali altre presunzioni. Marco Di Lorenzo 47 Condono LA SEMPLICE CONSEGNA DEL PROCESSO VERBALE NON PRECLUDE IL CONDONO TOMBALE Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 2 luglio 2008, n. 275 Pres. Grimaldi – Rel. Vernola Condono – Ai fini dell’imposta sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta regionale sulle attività produttive – Definizione automatica per gli anni pregressi – Art. 9, comma 14°, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 – Preclusioni – Notificazione di processo verbale di constatazione, o avviso di accertamento – Fattispecie – Consegna del processo verbale di constatazione da parte degli agenti accertatori al contribuente – Non costituisce fatto preclusivo del condono 48 In tema di condono dell’imposta sui redditi, sul valore aggiunto e sulle attività produttive, l’art. 9, comma 14°, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, stabilisce, tra l’altro, che la definizione automatica per gli anni pregressi non si realizza se, alla data d’entrata in vigore della legge citata, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo. Tale norma presuppone l’esistenza di una rituale notificazione che, nel rispetto delle norme applicabili e dettate in primo luogo dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, deve essere eseguita da un soggetto terzo rispetto al mittente e al ricevente dell’atto. Pertanto, non preclude il condono la consegna al contribuente della copia del processo verbale di constatazione effettuata direttamente dagli agenti accertatori, senza l’intervento del soggetto terzo e addetto alla notifica. Svolgimento del processo La Curatela del fallimento G.A., in persona del curatore fallimentare dott. A.O., rappresentata e difesa dal dott. A.B. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in ... proponeva, in data 13.04.2007, ricorso avverso l’avviso di accertamento n. ..., notificato in data 22.01.2007, con cui l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, recuperava a tassazione maggiori imposte Irpef, Irap ed Iva, per l’anno 2000. Deduceva che l’avviso impugnato si basava sul PVC del 02.11.2000, redatto dalla GG. di FF. di XX, con cui gli agenti presumevano una cessione con omissione di fatturazione, conseguenza di una differenza tra i registri contabili di scarico e carico e le giacenze fisiche rilevate al momento dell’accesso, relative a benzina e gasolio agricolo e nazionale. Sosteneva l’illegittimità dell’avviso impugnato per i seguenti motivi: violazione dell’art. 7, L. n. 212/2000, infatti, l’avviso veniva motivato per relazione, facendo riferimento al PVC del 02.11.2000. Tuttavia, tale potestà della P.A. è ammessa esclusivamente allorquando al contribuente è stato notificato l’atto a cui si rimanda. Pertanto, attesa la mancata notifica del PVC al curatore del fallimento, l’avviso era affetto da nullità. errore e falsa applicazione dell’art. 9, L. n. 289/2002, nella parte in cui prescrive l’esclusione della definizione agevolata nel caso in cui sia stato notificato PVC con esito positivo, in quanto mancava la prova dell’avvenuta notifica del PVC al contribuente; violazione dell’art. 1, co. 2 terdecies, del D.L. n. 143/03, infatti, alla ricorrente andava riconosciuto il diritto ad aderire a1 condono. Ciò perché, per aversi esclusione era necessario che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, il PVC avesse dato luogo ad avviso di accertamento o rettifica; erroneità dei calcoli effettuati dall’Ufficio in quanto lo stesso accertava presunti maggiori ricavi ma non provvedeva a decurtare i presunti maggiori costi non contabilizzati. Per detti motivi, chiedeva l’accoglimento del ricorso e, ai sensi dell’art. 33, comma 1 del D. Lgs. n. 546/92, chiedeva la discussione dei ricorso in pubblica udienza. L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, con deduzioni del 25.05.2007, deduceva l’infondatezza delle eccezioni sollevate dalla ricorrente. In riferimento alla mancata motivazione, deduceva che dall’avviso stesso era dato rilevare compiutamente le ragioni poste a base dell’accertamento e, pertanto, era stata assolto il dovere di motivazione. Inoltre, il PVC era stato regolarmente notificato al contribuente. Per quanto concerneva, invece, l’esclusione dal condono, questa era conforme a legge. Infatti, l’articolo richiamato dalla ricorrente si riferisce al caso in cui l’Agenzia delle Entrate, in presenza di un PVC, con atto formale, decida di non dar luogo ad accertamento, ritenendo infondati i rilievi contenuti nel PVC. Solo in tal caso, al contribuente è riconosciuto il diritto di aderire al condono. In riferimento ai costi non dedotti dai ricavi presunti, precisava che i maggiori ricavi derivavano da difformità delle rimanenze rispetto a quelle riscontrate all’atto di accesso. Pertanto, i costi erano già presenti in contabilità e correttamente non andavano decurtati da quanto accertato. Per tali ragioni chiedeva il rigetto dei ricorso con vittoria delle spese di giudizio. In data 20.06.2008, la Curatela del fallimento G.A., difesa dal dott. A.B., depositava ulteriori memorie illustrative allo scopo di meglio e più diffusamente specificare quanto assunto del ricorso depositato. Alla pubblica udienza del 02.07.2003 presenti le parti, la Commissione si riservava la decisione. Motivi della decisione Preliminarmente va analizzata l’eccezione sollevata dalla ricorrente ed avente ad oggetto l’errata applicazione dell’art. 9, della L. n. 289/2002, nella parte in cui prescrive l’esclusione della definizione agevolata nel caso in cui sia stato notificato PVC, in quanto manca la prova dell’avvenuta notifica del PVC al contribuente. Dai canto suo, l’Ufficio sosteneva di aver regolarmente assolto all’obbligo di notifica del PVC, pertanto, legittimamente aveva provveduto all’esclusione della ricorrente dai benefici della definizione agevolata. L’art. 9, comma 14, della L. n. 239 del 2002, esclude la definizione automatica per gli anni pregressi, se alla data di entrata in vigore della legge stessa "sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo ovvero avviso d’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive". La questione è di particolare problematicità alla luce della circostanza che il legislatore usa in modo promiscuo il termine notifica, intendendola talvolta in senso tecnico talaltra in senso atecnico. Per notificazione in senso tecnico, s’intende la comunicazione che avviene a mezzo di soggetti terzi, (rispetto al mittente ed al ricevente), espressamente individuati dalla legge, che nello svolgimento dell’incarico seguono precise regole formali predeterminate da norme. Per notifica in senso atecnico (o lato), s’intende ogni trasmissione di una notizia o di un atto, senza necessità di seguire le regole imposte dal codice di procedura civile. Orbene, dagli atti depositati, è dato rilevare che una copia del PVC veniva consegnata 49 50 da parte degli agenti accertatori al contribuente. E’ chiaro che tale forma di comunicazione non rientra nel novero della notificazione in senso tecnico. Quindi, fondamentale, per decidere sull’eccezione sollevata dalla ricorrente, sarà interpretare il senso che il legislatore ha voluto dare al termine notificazione, nell’art. 9 predetto. Infatti, se il legislatore ha inteso dare al termine notifica senso tecnico, la mera comunicazione effettuata dagli agenti non è sufficiente per escludere la ricorrente dal diritto di godere dei benefici del c.d. condono tombale. La Commissione ritiene che con tale previsione il legislatore ha voluto escludere dalla possibilità di usufruire delle agevolazioni previste dalla legge n. 289 del 2002 quei contribuenti che avevano una controversia con l’Amministrazione finanziaria. Al riguardo ha voluto fare riferimento a fatti ed atti ben precisi ed inconfutabili che riconducono alla notificazione di un processo verbale o di un avviso di accertamento nella forma solenne che si può ottenere solo con la notificazione di cui agli artt. 137 c.p.c. ss., utilizzando cioè un soggetto terzo e nel rispetto di precise modalità puntualmente disciplinate, la cui mancata osservanza determina l’inesistenza o la nullità dell’atto stesso. Pertanto, alla contribuente deve essere riconosciuto il beneficio della definizione automatica per gli anni pregressi. L’accoglimento della censura in esame ha carattere assorbente rispetto agli altri motivi dedotti dalla ricorrente. La particolare complessità della materia obbliga a dichiarare integralmente compensate le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Commissione: a) accoglie il ricorso; b) compensa le spese. _________ “Consegna” o “notificazione” del processo verbale di constatazione quale causa ostativa al condono tombale. Ai sensi del comma 14, lettera a), prima parte, dell’articolo 9, della legge n. 289/2002, disciplinante il cosiddetto “condono tombale”, “Le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora: a) alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 , relativamente definizione ai sensi degli articoli 15 e 16 della presente legge … Dunque, al fine di statuire circa la esistenza di una causa ostativa alla definizione mediante il cosiddetto “condono tombale”, è innanzitutto necessario definire esattamente che cosa il legislatore abbia voluto utilizzando il termine “notificazione”, e quali modalità la notificazione stessa debba assumere. Ebbene, nell’ipotesi del processo verbale di constatazione non esiste una disposizione di carattere generale relativamente alla notificazione al diretto interessato, ma esclusivamente il diritto, da parte del destinatario, a riceverne copia. Si tratta di una differenziazione di non poco conto: infatti, la consegna del p.v.c. si esaurisce in una dazione brevi manu, senza l’intermediazione di uno dei soggetti preposti (agente notificatore) senza il rispetto delle formalità previste dagli articoli 137 e seguenti c.p.c.. Si tratta, perciò, di una mera comunicazione dell’atto stesso, inidonea alla formazione della “giuridica conoscenza” dello stesso e dei suoi contenuti. La mancanza di specifiche disposizioni in ordine alla (eventuale) notifica del p.v.c. è certamente spiegata e giustificata dalla particolare natura del processo verbale stesso: atto istruttorio e non impositivo, non produttivo di effetti immediati e diretti nella sfera giuridica del destinatario, ma solo di effetti prodromici, mediati dal vaglio critico dell’Ufficio e, in definitiva, privi di quel potere che la legge attribuisce solo all’Ufficio stesso e agli atti impositivi di quest’ultimo. Qualora, però, allo stesso processo verbale di constatazione si connettano effetti e scopi diversi da quelli di mera conoscenza dei risultati di una verifica, la giustificazione appena riportata cessa di avere rilevanza, e vengono in evidenza altre e ben diverse conclusioni. Infatti, nel caso di specie il legislatore riferisce effetti particolarmente rilevanti (quali quelli inibi- tori della adesione ad un provvedimento di definizione agevolata) al processo verbale di constatazione, e al momento in cui si realizza in capo al destinatario la giuridica conoscenza dello stesso. Di conseguenza, il legislatore non può prescindere dalle particolari cautele e attenzioni connesse al complesso procedimento che caratterizza la notifica in senso proprio. Infatti, solo queste sono in grado di offrire certezza in ordine alla individuazione del momento in cui si forma la giuridica conoscenza dell’atto stesso. Portano a tale conclusione innanzitutto considerazioni di tipo letterale. La disposizione richiamata dall’Ufficio – art. 9, comma 14, legge n. 289/2002 – al fine di identificare le fattispecie ostative alla definizione, fa preciso riferimento alla notifica del processo verbale di constatazione e alla notifica dell’avviso di accertamento, accomunando i due atti in un’unica fattispecie e attribuendo allo stesso momento (la notificazione) lo stesso effetto inibitorio della definizione agevolata. In ciò, riproducendo quasi fedelmente le disposizioni in materia di definizione delle liti fiscali pendenti e di concordato di massa, di cui agli artt. 2 e 3 del d.l. n. 546/94. Non v’è dubbio che, parlando di notificazione dell’avviso di accertamento, la norma abbia inteso fare riferimento alla notificazione in senso stretto, operata secondo le forme e nei modi dettagliatamente codificati. E non v’è ragione di ritenere che, nell’assoluto parallelismo creato tra i due diversi atti, e nonostante l’identità di effetti connessa ad entrambi, si sia voluta creare una differenziazione tra la notificazione dell’avviso di accertamento e la notificazione del processo verbale di constatazione. Ma non è solo il dato letterale a costituire prova di quanto affermato, giacché è evidente che il contesto legislativo, nel quale il termine “notificazione” è impiegato, è eccezionale e derogatorio rispetto alle disposizioni di imposizione per così dire “ordinarie”: dunque, costringe ad attribuire al termine il significato che ad esso è proprio, senza alcuna possibilità di interpretazione analogica. E poiché in tanto di notificazione può parlarsi in senso tecnico in quanto la trasmissione della notizia avvenga per il tramite di una terza persona (messo) e nel rispetto delle regole codificate dal codice di procedura civile (con le specificazioni di cui all’art. 60, d.p.r. n. 600/73), per potere essere considerato “causa ostativa” alla definizione agevolata di cui all’art. 9 della legge n. 289/2002 il processo verbale di constatazione deve essere stato notificato secondo quelle stesse regole. Di tal che, qualora il p.v. di constatazione sul quale fondano i rilievi portati dall’avviso di accertamento impugnato sia stato solo comunicato al destinatario e non notificato, del tutto illegittimo sarebbe l’operato dell’Ufficio che ha formato e notificato l’avviso di accertamento di cui è causa nonostante l’adesione, da parte del fallito, alla definizione di cui all’art. 9 della legge n. 289/2002, così come, correttamente, è stato statuito dal Giudice salernitano. Rita Avagliano 51 Processo tributario MISURE CAUTELARI A GARANZIA DEL CREDITO TRIBUTARIO Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. II, 6 maggio 2008, n. 50 Pres. Lepre – Rel. Paesano Misure cautelari – Istanza di iscrizione di ipoteca avanzata ai sensi dell’art. 22, D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 – Proposizione – Spetta all’Amministrazione finanziaria anche per i crediti anteriori all’entrata in vigore della legge 52 In materia di tributi, in caso di atto di contestazione, o di provvedimento di irrogazione della sanzione, o di processo verbale di constatazione, l’Amministrazione finanziaria, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido. Tale misura cautelare può essere richiesta anche in rapporto alle obbligazioni tributarie sorte in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 22. Si tratta infatti di un istituto già previsto dall’abrogato art. 26 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, e non ha natura sanzionatoria ma cautelare poiché garantisce l’adempimento dei crediti tributari. Svolgimento del processo Con nota prot. … del 7.12.2007, l’Agenzia delle Entrate - Ufficio di X, ha presentato, alla Commissione Tributaria provinciale di Salerno, istanza di iscrizione ipotecaria nei confronti di I.P., con riferimento a debiti tri- butari derivanti da iscrizione a ruolo di imposte per gli anni 1999, 2000, 2001, 2002, 2003. Il provvedimento è stato comunicato all’interessato con nota pari protocollo e data. L’avviso è stato restituito all’Ufficio, per compiuta giacenza. Il Collegio, in camera di consiglio, verificati gli atti, decide come da dispositivo. Motivi della decisione La notifica effettuata ai sensi dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 890 del 1982, si perfeziona nell’ipotesi di mancato ritiro del plico presso l’ufficio postale, con il compimento di tutte le formalità di cui al terzo comma della stessa norma (restituzione al mittente del piego e dell’avviso di ricevimento, con l’annotazione del mancato ritiro) dopo il decorso del termine di dieci giorni dal deposito del plico presso detto ufficio, atteso che tale decorrenza è necessaria per l’espletamento delle formalità in questione, le quali, ove la notificazione debba intervenire entro termini perentori, devono, ai fini, della tempestività della medesima, essere ultimate entro la scadenza di questi, senza che possa operarsi alcuna "scissione temporale" fra perfezionamento (per il notificante) ed efficacia (per il destinatario) e rimanendo a carico del notificante stesso il rischio dei tempi delle operazioni necessarie al completamento della procedura notificatoria. In tal senso, va ritenuta perfezionata la comunicazione all’interessato del richiesto provvedimento cautelativo, fatta all’indirizzo del domicilio fiscale, essendo stata restituita all’Ufficio la relativa missiva con le indicazioni della compiuta giacenza e, quindi, del mancato ritiro. Va, poi, rilevato che "In tema di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, spetta al giudice tributario, anche in riferimento ad obbligazioni tributarie sorte in epoca anteriore all’entrata in vigore del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, la giurisdizione in ordine all’istanza di autorizzazione all’iscrizione di ipoteca legale sui beni del trasgressore, proposta dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 22 del medesimo decreto: si tratta infatti di un istituto già previsto dall’abrogato art. 26 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, e non avente natura sanzionatoria, ma cautelare, in quanto inteso a garantire l’adempimento dell’obbligazione derivante da omesso pagamento dell’imposta o dall’irrogazione di una sanzione, onde, tenuto conto anche della disposizione transitoria di cui all’art. 25, primo comma, del D. Lgs. n. 472 cit., rispetto ad esso non trova applicazione il principio di irretroattività sancito dall’art. 3 del medesimo D. Lgs., ma il principio generale "tempus regit actum" (Cass. SS.UU., 20.12.2006, n. 27173)". Vanno quindi confermate sia la competenza dell’Ufficio Finanziario a richiedere e a procedere al sequestro conservativo di beni qualora si abbiano fondati timori di perdere la garanzia del proprio credito, che la competenza di questa Commissione, anche in persona del Presidente, ad autorizzare tale procedura, ai sensi dell’art. 22 del D. Lgs. 18.12.1997, n. 472. Nel merito, sulla base degli atti depositati ed ad un primo complessivo esame, la richiesta dell’Ufficio appare fondata e, come tale, meritevole del provvedimento cautelativo richiesto. Infatti, risultano notificati vari atti ed accertamenti, per i quali la relativa iscrizione a ruolo si appalesa come conclusione di una procedura in atto, con conseguente necessità di un recupero del credito tributario. P.Q.M. Il Collegio accoglie la richiesta dell’Ufficio e, per l’effetto, autorizza le iscrizioni ipotecarie sui beni immobili così come da nota depositata il 5.2.2008. 53 Procedimento tributario MISURE CAUTELARI A GARANZIA DEL CREDITO TRIBUTARIO Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. X, 9 marzo 2009, n. 98 Pres. Oricchio – Rel. Maglione Misure cautelari – Istanza di iscrizione di ipoteca avanzata ai sensi dell’art. 22, D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 nel testo precedente alla modifica introdotta dall’art. 27, commi 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 185 del 2008, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2 – Ambito applicativo – Limitazione alle sole sanzioni – Natura interpretativa della disposizione di ammissibilità dell’istanza di misure cautelari anche ai tributi – Esclusione. 54 Il procedimento di cui all’art. 22 del Decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 471, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore delle modificazioni portate dall’art. 27, commi 5, 6 e 7 del decreto legislativo n. 185 del 2008, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2, era volto a garantire il soddisfacimento dei crediti che hanno titolo nella sanzione amministrativa tributaria e non anche nei tributi e nei relativi interessi. Infatti l’art. 22 citato è organicamente collocato in un testo legislativo (D.Lgs. n. 472/1997) disciplinante le sanzioni tributarie non penali, emanato in ottemperanza alla legge delega 23.12.1996 n. 662 che aveva conferito al Governo il potere di procedere ad una revisione organica delle sanzioni tributarie non penali e di predisporre ... un sistema di misure cautelari volte ad assicurare il soddisfacimento dei crediti che hanno titolo nella sanzione amministrativa tributaria. Di conseguenza, la modifica introdotta dall’art. 27, commi 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 185 del 2008, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2, che ha previsto anche per i crediti rappresentati da tributi e relativi interessi la possibilità di chiedere l’applicazione di misure cautelari, non ha natura interpretativa ma innovativa della disposizione citata, risultando perciò applicabile ai soli procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore. Svolgimento del processo Con formale istanza, notificata all’interessato in data 23.10.2008 e depositata presso questa Commissione in data 18.11.2008, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di E. richiedeva a questa Commissione Tributaria di poter adottare misure cautelari nei confronti di V.D. ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472 del 1997. Precisava l’Ufficio istante che detta richiesta trovava fondamento nell’emissione di tre avvisi di accertamento per i periodi di imposta 2004, 2005 e 2006 formulati sulla base dei rilievi esposti nel p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di E. e notificato all’interessato in data 30 maggio 2008. Gli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio avevano recepito in toto i rilievi formulati dalla Guardia di Finanza e che si sostanziavano nel fatto che il V., nei periodi presi in esame, aveva esercitato con continuità attività d’impresa senza aver mai presentato le prescritte dichiarazioni dei redditi e dell’IVA con conseguente omesso pagamento di ingenti somme a titolo sia di IRPEF che di IVA.. Conseguentemente l’ufficio impositore, per il triennio 2004/2006, perveniva a quantificare un’evasione tributaria di imposte per un totale di €. 1.472.973,00 (comprensivo di interessi) con conseguente richiesta di pagamento della predetta somma, oltreché delle sanzioni, determinate in complessivi € 1.291.383,00. In virtù dell’entità di detti importi e del fatto che il V. – nel periodo di riferimento - aveva completamente omesso di istituire e redigere le scritture contabili obbligatorie per legge ed aveva omesso di presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, l’Agenzia dell’Entrate di E. riteneva di dover procedere alla richiesta di misure cautelari nei confronti di alcuni beni di proprietà del predetto siti in A. e specificamente descritti nell’istanza introduttiva del presente giudizio, ravvisandone la sussistenza dei presupposti nell’entità dei tributi dovuti e nella condotta reiteratamente omissiva serbata dal V., tanto anche in applicazione della circolare ministeriale n. 66/E del 6 luglio 2001. Istauratosi il contraddittorio ed assegnato il procedimento a questa Sezione, veniva fissata la presente Camera di Consiglio per la trattazione del procedimento . Benché avesse ricevuto rituale notifica della richiesta dell’Agenzia, il V. non si costituiva in giudizio sicché interveniva oralmente il solo rappresentante dell’Agenzia istante che chiariva come la richiesta di misura cautelare dovesse intendersi riferita all’iscrizione ipotecaria. La controversia veniva quindi trattenuta per la presente decisione. Motivi della decisione Ritiene il collegio che 1’istanza di misura cautelare reale proposta dall’Agenzia dell’Entrate ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 nei confronti del sig. V. D. sia assistita da giuridico pregio e vada conseguentemente accolta . Preliminarmente si osserva come il caso portato all’attenzione del collegio rientra fra quelle ipotesi per le quali la richiamata disposizione consente la concessione di misure cautelari a richiesta dell’Amministrazione finanziaria e ciò in quanto vi è la contestazione di un rilevante ammontare di sanzioni pecuniarie amministrative nei confronti di un "evasore totale". Infatti questo giudice ritiene che una interpretazione logico-sistematica della disposizione recata dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/97 conduca ad una limitazione dell’applicazione dell’istituto in essa previsto, alle sole somme richieste a titolo di sanzioni amministrative tributarie. Se ne interessa il D.Lgs. n. 472/97 il quale reca le "Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni delle norme tributarie" ove il destinatario di tali misure viene individuato nel trasgressore di norme tributarie: il presupposto per l’applicazione dell’istituto è, alternativamente, indicato dalla legge nella notificazione del processo verbale di constatazione, dell’atto di contestazione o dall’avviso di irrogazione delle sanzioni: atti, questi, tutti attinenti la contestazione di violazioni di norme tributarie . Del resto l’art. 22 del D.Lgs. n. 472/97 è stato emanato in ottemperanza alla legge delega 23.12.1996 n. 662 la quale aveva conferito al Governo il potere di procedere ad una revisione organica delle sanzioni tributarie non penali e di predisporre ...un sistema di misure cautelari volte ad assicurare il soddisfacimento dei crediti che hanno titolo nella sanzione amministrativa tributaria: trattasi, dunque, di norma emanata a seguito di delega al Governo per predisporre un sistema di misure cautelari volte ad assicurare il soddisfacimento dei crediti che hanno titolo nella sanzione amministrativa pecuniaria (art. 3, comma 3 della legge 662/96 e non anche nei tributi e nei relativi interessi). In tal senso si è espressa la stragrande maggioranza della giurisprudenza tributaria (cfr. ex multiis: C.T.R. Marche – IV sez., sent. 26/2004; C.T.P. Milano - I sez., sent. 41/2004; C.T.P. Gorizia - I sez., 179/2008). Del resto l’Amministrazione finanziaria, 55 56 con la circolare ministeriale n. 180/1998 aveva inizialmente ritenuto che l’utilizzo del meccanismo previsto dalla richiamata norma dovesse essere limitato alle sole sanzioni; solo successivamente – con la circolare 66/2001 - ha modificato il proprio orientamento ritenendo che, nel valutare l’opportunità della richiesta di misure cautelari, dovesse farsi riferimento alla pretesa erariale nel suo complesso e che anche l’imposta dovesse concorrere alla quantificazione del credito che si intendeva garantire. Ma che non fosse questo la voluntas legislatoris può agevolmente desumersi a contrario dal fatto che il Parlamento è dovuto recentemente intervenire per includere espressamente i tributi e gli interessi vantati dagli uffici in base ai processi verbali di constatazione fra i titoli legittimanti la richiesta dell’Amministrazione di misure cautelari di cui all’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997: tanto è avvenuto con l’art. 27, commi 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 185 del 2008, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2 non applicabile al caso di specie essendo entrato in vigore dopo l’instaurazione del presente giudizio e non avendo natura interpretativa. Dunque, nel caso di specie certamente l’Agenzia delle Entrate di E. poteva chiedere la concessione di misure cautelari nei confronti del V., in quanto al predetto è stata contestata anche l’applicazione di sanzioni per un ammontare di €. 1.291.383,00. Una volta stabiliti i predetti principi, questo Giudice deve verificare se, nel caso in esame, ricorrano i presupposti per la concessione dell’invocata misura cautelare, vale a dire il "fumus boni iuris" ed il "periculum in mora". Quanto al primo, esso può certamente ritenersi sussistente nel caso di specie in quanto ci si trova incontestabilmente in presenza di un evasore totale, avendo la Guardia di Finanza prima e l’Agenzia delle Entrate di E. poi accertato che il V.D. aveva esercitato nel periodo 2004/2006 un’attività imprenditoriale consistente nella vendita al dettaglio di prodotti alimentari in A. senza avere con- tabilizzato alcun movimento finanziario, senza avere assolto ad alcun obbligo fiscale e previdenziale nei confronti dei propri dipendenti con conseguente accertamento di imposte IRPEF, IRAP ed IVA evase per circa €.1.500.000,00 compresivi di interessi e produttivi di sanzioni per circa €. 1.300.000,00. Quanto al periculum in mora, esso può ritenersi sussistente nel caso di specie con sufficiente ragionevolezza in quanto il V. ha serbato un comportamento non collaborativo con l’Amministrazione finanziaria e, nel mentre non ha mai contestato i pesanti rilievi mossigli, non ha fatto nulla per cercare di risolvere la propria situazione debitoria nei confronti del fisco, restando assente anche nel presente giudizio. In coerenza con gli indirizzi affermati dalla giurisprudenza più recente (C.T.P. Roma, sez. II, n. 349/2006 e C.T.P. Roma, sez. VI n. 470/2006; C.T.P. Cosenza, sez. I, n. 431/2007), può affermarsi, dunque, che nel caso di specie ricorre oltre all’elemento statico della sproporzione tra la pretesa fiscale ed il patrimonio del contribuente, anche l’ulteriore elemento dinamico del comportamento dello stesso contribuente, sia anteriore che successivo alla pretesa fiscale. L’ambiguo atteggiamento serbato dal V., infatti, ben può integrare il periculum in mora in quanto può essere accompagnato da manovre elusive del patrimonio da parte di un soggetto che è esposto nei confronti del fisco per circa €. 3.000.000,00, comprensivi di imposte, interessi e sanzioni per il solo triennio 2004/2006. Certo, in coerenza logica del discorso innanzi svolto, l’iscrizione d’ipoteca può avvenire fino alla concorrenza della sola parte di debito derivante dall’applicazione di sanzioni amministrativo-pecuniarie cioè per un ammontare massimo di €.1.291.383,00. Entro detto limite è dunque iscrivibile da parte dell’Agenzia delle Entrate di E. ipoteca sui beni immobili del V., quali meglio specificati nell’istanza presentata a questo Giudice datata 7/10/2008 e il cui valore complessivo non sembra comunque superare l’entità del- le sole sanzioni comminategli per le omissioni di adempimenti fiscali che hanno caratterizzato la sua attività d’impresa nel triennio 2004/2006. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritiene il Collegio che la proposta istanza di concessione di misure cautelari debba essere accolta nei limiti innanzi indicati. Per quanto infine attiene al regolamento delle spese di lite ritiene questo Collegio che le queste vadano interamente compensate tra le parti, non essendo stata prodotta alcuna notula in tal sensi da parte dell’Agenzia procedente . P.Q.M. La Commissione tributaria provinciale di Salerno – Sez. X, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate di E. nei confronti del sig. V.D., contrariis reieciis, così decide: Accoglie l’istanza di concessione di misura cautelare, autorizzando l’Agenzia istante ad iscrivere ipoteca sui beni immobili di proprietà del V., quali descritti nella coerente istanza, e fino alla concorrenza di €. 1.291.383,00; compensa le spese di lite. 57 Processo tributario PROCESSO TRIBUTARIO: CUMULO OGGETTIVO E SOGGETTIVO Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIII, 21 novembre 2008, n. 448 Pres. Amato – Rel. Longobardi I) Processo tributario – Ricorso introduttivo – Cumulo oggettivo e soggettivo – Ammissibilità (C.p.c. art. 103) II) Processo tributario – Onere della prova – Accertamento basato sugli studi di settore Nel processo tributario si può avere sia il ricorso cumulativo, ossia l’atto con cui un contribuente impugna singolarmente e contestualmente più atti impositivi emessi nei suoi confronti, sia quello collettivo, ossia l’atto con il quale più soggetti impugnano con un unico ricorso uno stesso provvedimento di accertamento fiscale che li riguarda tutti. E’ ammesso anche il ricorso con cui una società semplice, o in nome collettivo, o in accomandita semplice e i suoi soci impugnano i diversi atti scaturenti dallo stesso accertamento fiscale e concernenti imposte diverse (nella fattispecie, Irap ed Iva per la società, e Irpef per i singoli soci). 58 Nel caso di accertamento basato sugli studi di settore, l’onere della prova dell’esistenza dei maggiori ricavi grava sull’Amministrazione finanziaria. D’altro canto, grava sul contribuente l’onere di giustificare in tutto o in parte lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli calcolati sulla base degli studi di settore. Pertanto, nel caso che l’Amministrazione finanziaria dimostri la fondatezza dell’accertamento con valide argomentazioni concernenti la non corretta indicazione in dichiarazione dell’importo relativo alle rimanenze e la sproporzione del costo del personale rispetto all’ammontare dei ricavi dichiarati, la confutazione del ricorrente deve essere specifica, non essendo sufficiente dedurre una generica crisi di liquidità in un generico contesto nazionale e internazionale di negativa evoluzione. Svolgimento del processo L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, con avviso d’accertamento notificato alla società … il 22/11/2007, relativamente all’anno 2004 contestava l’omessa contabilizzazione di ricavi per € 173.793,00. Col medesimo avviso rideterminava il reddito d’impresa da imputare pro-quota ai soci (nell’anno 2004 era una società in accomandita semplice trasformata in SRL il 4/1/2006), il valore della produzione netta ai fini IRAP ed il volume d’affari ai fini IVA con conseguente determinazione delle maggiori imposte dovute e delle corrispondenti sanzioni. L’accertamento scaturiva da un processo verbale di constatazione redatto dall’Agenzia delle Entrate di X in data 6/7/2007 dal quale emergeva che nel prospetto per l’elaborazione dello studio di settore era stato indicato un importo delle rimanenze finali per opere, forniture e servizi diverso da quello indicato in bilancio. La medesima Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, con ulteriori, distinti, avvisi notificati al sig. … il 16/11/2007, alla sig.ra … il 16/11/2007, alla sig.ra … il 19/11/2007, alla sig.ra …, al sig. … il 16/11/2007 ed alla sig.ra … il 10/12/2007 accertava il maggior reddito di partecipazione a ciascuno imputabile in conseguenza della quota di partecipazione da ciascuno posseduta nella società … destinataria dell’avviso d’accertamento prima indicato. Avverso gli avvisi d’ accertamento proponevano un unico ricorso, la società … ed i sigg. … chiedendo fosse accertata e dichiarata che l’impresa non doveva essere assoggettata allo studio di settore e, per l’effetto, dichiarare nulli gli avvisi d’accertamento. In subordine chiedeva fosse ricostruito il reddito d’impresa in considerazione della particolare dinamica economica-produttiva dell’azienda. L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di X, con nota depositata il 29/5/2008, in sede di controdeduzioni scritte, chiedeva fosse dichiarata, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso perché cumulativo e l’inammissibilità del ricorso rispetto ad alcuni avvisi tardivamente impugnati; nel merito asseriva che non ricorrevano le circostanze per l’inapplicabilità degli studi di settore. I ricorrenti, come sopra rappresentati e difesi, in data 14/10/2008 depositavano memorie aggiuntive con le quali affermavano l’ammissibilità, in tema di contenzioso tributario, di un unico ricorso cumulativo avverso più atti d’accertamento. Ribadivano l’illegittimità dell’accertamento basato sullo studio di settore per l’insussistenza dei presupposti gravi, precisi e concordanti. Motivi della decisione In via preliminare si deve osservare che l’Agenzia delle Entrate di X, con eccezione appositamente formulata, chiede sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso per avere, una pluralità di soggetti, presentato un unico ricorso avverso diversi atti impositivi. Premesso che l’art. 10 del D. Lgs. n. 546/92 individua i soggetti aventi la capacità di essere parte nel processo tributario, si osserva che nella generalità dei casi la figura del ricorrente coincide con quella del contribuente, ovverosia con quel soggetto debitore del tributo. Per motivi di praticità e per non dover ripetere atti pressoché identici e per ovviare al rischio dì formazione di giudicati difformi, a fronte di una pluralità di atti accertativi in alcune circostanze è più semplice, spedito ed opportuno, redigere e presentare un unico ricorso purché siano presenti alcuni requisiti soggettivi ed oggettivi essenziali. Si può avere, pertanto, un ricorso cumulativo che è quello con il quale il contribuente accertato impugna singolarmente e contestualmente più atti impositivi emessi nei suoi confronti; si può avere un ricorso collettivo che è quello con il quale più soggetti impugnano con un unico ricorso uno stesso provvedimento accertativo che li riguarda tutti. In assenza di espressa previsione circa la possibilità di consentire a più soggetti di assumere la veste processuale di attori o di convenuti in un unico processo è opportuno mutuare, nell’attuale processo tributario, l’istituto proprio del diritto processuale civile , quale il litisconsorzio facoltativo, disciplinato dall’art. 103 del c.p.c.. Si tratta, in sostanza, di una norma che consente a più parti di agire o essere convenute nello stesso processo quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto e per il titolo dal quale dipendono. Ne deriva che le cause possono essere collegate perché si controverte sullo stesso bene (connessione oggettiva) oppure perché il titolo della domanda è lo stesso. Ne discende che nulla sembra ostare all’ammissibilità di ricorsi cumulativi o di ricorsi collettivi purché l’atto impugnato ed il rapporto giuridico controverso sottostante siano gli stessi per tutti i contribuenti ricorrenti Nella fattispecie si è in presenza di titoli diversi (sette diversi avvisi d’accertamento) per il pagamento di imposte diverse (IRAP ed IVA per la società, IRPEF per i singoli soci) notificati a diversi soggetti. Pur tuttavia non può tacersi la circostanza che l’accertamento operato in capo ai soci discende dall’accertamento operato alla società, il che configura una vera e propria connessione oggettiva che rende inscindibil- 59 60 mente parte dello stesso processo e la società accertata e i singoli soci. In proposito la Corte di Cassazione, SS.UU., con sentenza n. 14815 del 19 febbraio 2008, depositata il 4 giugno 2008, ha riaffermato il principio che "la unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art. 5 TUIR e dei soci delle stesse (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione dei redditi della società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci della società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali devono essere parte dello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1) perché non ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato …" Da quanto sopra ne discende il non accoglimento dell’eccezione d’inammissibilità formulata dall’Agenzia per aver presentato un unico ricorso stante l’unitarietà dell’accertamento alla base della rettifica dei redditi della società e dei singoli soci, per la conseguente, automatica, imputazione dei redditi della società a ciascun socio. Occorre, quindi, verificare la tempestività del ricorso ai fini della sua ammissibilità. In proposito si osserva che gli atti impugnati, come rilevabile dalle relazioni di notificazioni e dalle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate non contestate dai ricorrenti, sono stato notificati: al … il 22/11/2007; al sig. … il 16/11/2007; alla sig.ra … il 16/11/2007; alla sig.ra … il 19/11/2007; alla sig.ra … l’11/10/2007; al sig. … il 16/11/2007; alla sig.ra … il 10/12/2007; che il ricorso risulta spedito all’Agenzia delle Entrate di X in data 17 aprile 2008 e che i ricorrenti (ad accezione della sig.ra … e, per essa, i suoi eredi) hanno prodotto istanza di accertamento con adesione in data 29 novembre 2007. L’art. 21 del D.Lgs. n. 31/12/92 n. 546 sancisce che il ricorso deve essere presentato a pena dì inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato, fatta comunque salva la sospensione feriale dei termini (dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno) di cui alla legge 7 agosto 1969, n. 742, applicabile anche al processo tributario. Il carattere di perentorietà del termine di impugnativa, espressamente previsto a pena d’inammissibilità, non consente incertezze interpretative. Al riguardo è da rilevare, però, che le parti (ad eccezione della sig.ra …), formulando anteriormente all’impugnativa degli atti di accertamento istanza di accertamento con adesione, hanno reso sostanzialmente applicabile il disposto dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, in virtù del quale il termine per l’impugnazione degli atti medesimi rimane sospeso per un periodo di novanta giorni. Da quanto sopra deriva che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, per decorrenza dei termini di cui all’art. 21 del D.Lgs n. 546/92 presentata dall’Agenzia delle Entrate, è da accogliere limitatamente ai ricorrenti XX, XY, XZ, YY, ed YZ. Tanto premesso si osserva che l’avviso di cui si discute trova origine in un processo verbale di constatazione di funzionari dell’Agenzia delle entrate dal quale emerge l’esistenza di incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla Legge 29 ottobre 1993, n. 427. Precisato che l’avviso d’accertamento deve essere motivato sia con riferimento al meto- do prescelto sia in ordine alla rettifica in concreto apportata, si osserva che l’Ufficio finanziario ha utilizzato le risultanze degli studi di settore per dimostrare l’incongruità dei ricavi dichiarati. In proposito si rileva che l’azione dell’Ufficio è stata improntata alla corretta e puntuale applicazione della normativa richiamata. Tanto premesso questo Collegio attribuisce agli elementi prodotti dall’Ufficio piena attendibilità ai fini del fondamento della pretesa fiscale. Ed infatti, nel rispetto dei principi processuali che chi avanza una pretesa, in un processo, deve provarla, l’Amministrazione Finanziaria, facendo valere la pretesa fiscale ed assumendo la veste di parte attrice in senso sostanziale, prova l’esistenza di maggiori ricavi. La parte ricorrente, al fine di giustificare in tutto o in parte la legittimità dello scostamento dei ricavi dichiarati da quelli calcolati sulla base degli studi di settore, avrebbe dovuto validamente addurre elementi di valutazione che potessero ammettere la non applicazione delle risultanze degli studi di settore medesimi. Si limita, invece, a rappresentare una generica crisi di liquidità in un generico contesto nazionale ed internazionale di negativa evoluzione. Questo Collegio ritiene che le circostanze rappresentate non possano inficiare l’accertamento operato dall’Ufficio che ha giustificato il maggior ricavo imputato con valide argomentazioni: l’attività esercitata, la non corretta indicazione dell’importo relativo alle rimanenza, il costo del personale rispetto all’ammontare dei ricavi dichiarati, l’anomala gestione finanziaria che pur vedendo la società (come dichiarato nelle memorie suppletive) in "crisi di liquidità" espone, poi, un credito della società medesima nei confronti dei soci. Sembra oltremodo chiaro che la parte ricorrente, di fronte all’accertamento operato, avrebbe dovuto, nel suo interesse, darsi carico di specificare e provare, almeno in sede giurisdizionale, con appropriate argomentazioni, che lo scostamento dei ricavi rispetto a quelli stimati era giustificato non potendo, evidentemente, pretendere che di ciò si desse carico questo Collegio disponendo, di propria iniziativa, provvedimenti istruttori del caso. Non può dimenticarsi, infatti, che il giudice di merito deve procedere ad un accertamento sulla fondatezza della pretesa tributaria in base agli elementi agli atti di causa. In sostanza, come appare evidente, l’accertamento impugnato si fonda su elementi di prova ben consistenti avverso i quali la parte ricorrente non fornisce alcuna prova, se non generiche affermazioni, atta a dimostrare l’infondatezza di quanto reclamato. La presunzione dell’Ufficio, non vinta da prova "a contrariis", ben può reggere la pretesa fiscale. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. La Commissione dichiara inammissibile il ricorso per decorrenza dei termini di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 546/92 per i ricorrenti XX, XY, XZ, YY, ed YZ Rigetta il ricorso dei restanti ricorrenti ammessi, all’uopo confermando gli avvisi d’accertamento impugnati. Spese di giudizio compensate. 61 Processo tributario DIFETTO DI GIURISDIZIONE DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA E RIASSUNZIONE DELLA CAUSA Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVI, 20 gennaio 2009, n. 12 Pres. Ferrara – Rel. Minichini Processo tributario – Ricorso proposto alla Commissione tributaria priva di giurisdizione – Inammissibilità – Riassunzione della causa innanzi al giudice ordinario fornito di giurisdizione – Termine (C.p.c. art. 50; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 5). Processo tributario – Controversie relative al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche – Esclusione (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2) 62 Il ricorso proposto alla Commissione tributaria, invece che al giudice ordinario, è inammissibile per difetto di giurisdizione. Tuttavia, gli effetti sostanziali e processuali della domanda in esso contenuta sono fatti salvi se il ricorrente riassume la causa innanzi al giudice ordinario nel termine di sei mesi a decorrere dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza che rileva il difetto di giurisdizione. E’ inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso concernente il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, proposto alla Commissione tributaria prima della sentenza d’illegittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 2, comma 2°, del D. Lgs. n. 546/1992 che aveva attribuito tale materia alla giurisdizione tributaria. Svolgimento del processo Con ricorso notificato in data 11 gennaio 2008, depositato il 28 successivo, la s.r.l. "I." ha impugnato il provvedimento n. xx recante la sanzione amministrativa di € 747,00 per occupazione sine titulo dal 2/10/2007 al 22 seguente del suolo demaniale marittimo di mq. 1.314,00 in località A., emesso nei suoi confronti dal Comune di P. L’atto impugnato segue la comunicazione dell’avvio del procedimento di sgombero dell’area e di recupero del quantum dovuto per occupazione abusiva; e l’indicato periodo d’occupazione corrisponde al tratto temporale in cui l’area - che è oggetto di sequestro preventivo, dissequestro e nuovo sequestro in collegata vicenda penale - non risulta sequestrata, e ciò in ragione dell’inutilizzabilità del bene nella sussistenza delle dette misure cautelari (reali) penali. Motivi della decisione Come è stato esposto in narrativa, oggetto dell’impugnativa è la sanzione amministrativa per occupazione abusiva di un’area demaniale marittima di mq. 1.314,00. Dagli atti depositati in giudizio risulta che alla società ricorrente, col provvedimento comunale n. 3 del 9 settembre 2007 (che non risulta ritirato), è stato dato in concessione uno spazio dell’area in questione per anni 6 (dal 9 agosto 2007 al 9 agosto 2012 -sic-) per l’esercizio della servitù di passaggio per l’accesso al mare, e ciò a fronte del canone complessivo di € 1.889,58 pari all’importo di € 314,93 annuo. Deduce, pertanto, la società ricorrente la contraddittorietà del provvedimento impugnato con la suddetta concessione; e richiama la transazione del 16/3/2004 stipulata con l’Agenzia del Demanio relativa all’abbandono del giudizio civile volto all’accertamento della natura pubblica o privata dell’area, nonché la pendenza dei procedimenti relativi al condono edilizio per le opere edificate sull’area medesima. Ciò posto in fatto, questa Commissione, per quanto attiene alla controversia portata alla sua cognizione, deve, preliminarmente, verificare se essa rientri nella giurisdizione tributaria. In proposito si osserva, in primo luogo, che la sanzione amministrativa impugnata, riguardando anche uno spazio di area assistito da concessione demaniale marittima (mai ritirata) di durata sessennale con determinazione del relativo "canone" nella complessiva somma di € 1.889,58, accede in parte qua alla materia relativa al COSAP (canone d’occupazione di spazi ed aree pubbliche) previsto dall’art. 63 del D.Lgs. n. 446/1997. E, dunque, in parte qua la disciplina del detto COSAP è il parametro normativo di riferimento per la verifica della sussistenza o meno della giurisdizione tributaria; per il residuo si dirà in prosieguo. Rileva allora l’art. 3 bis comma 1 del D.Lgs. n. 203/2005 (convertito - nella legge n. 248/2005) che, integrando l’art. 2 della Legge n. 546/1992 (di disciplina del processo tributario), ha attribuito le controversie in materia di COSAP alla giurisdizione tributaria. Sennonché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 64 del 14/3/2008, pubblicata sulla G.U. del 19/3/2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle appena richiamate disposizioni legislative nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione tributaria "le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art. 63 del D. Lgs. n. 446/1997 e successive modificazioni". Ha considerato la Corte il pacifico e consolidato orientamento giurisprudenziale della Cassazione (da reputarsi diritto vivente) che afferma la natura non tributaria (ma di corrispettivo) del COSAP ed ha rilevato che le norme attributive della materia de qua alla giurisdizione tributaria contrastano con il divieto d’istituire giudici speciali dettato dall’art. 102 Cost. La richiamata decisione del Giudice delle leggi rileva nella controversia in esame pur se essa è stata pronunciata in tempo successivo alla proposizione del ricorso. Si osserva infatti che, come condivisibilmente affermato con la decisione n. 6487/2002 dalle S.S.U.U. della Cassazione e come si evince dall’ordinanza n. 269/2008 della Corte Cost. pronunciata proprio in materia di COSAP, il principio dettato dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la legge vigente al momento della domanda giudiziale quella determinativa della giurisdizione non rilevando i mutamenti successivi della stessa, non opera – a differenza della legge abrogata – nelle ipotesi di declaratoria d’illegittimità costituzionale della legge, e ciò in ragione dell’efficacia ex tunc delle decisioni del Giudice delle leggi, efficacia questa che esclude la riconducibilità della fattispecie al concetto di mutamento sopravvenuto. Ne deriva che nel caso in esame in cui si controverte di COSAP non sussiste la giurisdizione tributaria, ma quella del G.O. tenendosi conto che la materia riguarda la pretesa creditoria non tributaria relativa al canone derivante da concessione di uso speciale del bene pubblico (trattasi, in altri termini, di corrispettivo d’affitto). Alla stessa conclusione si giunge per il residuo spazio d’area non assistito da concessione (ed anche se, come fa il Comune, si prescinde in tesi del tutto dalla più volte menzionata concessione considerando l’occupazione sine titulo per l’intera area), posto che anche in tale ipotesi di occupazione abusiva si verte in tema di rapporti di dareavere non tributario (Cfr. in termini Cass. SSUU n. 14543/2001; id. n. 604/2005; id. n. 12638/2008). Il ricorso, in definitiva, è inammissibile per difetto di giurisdizione della Commissione adita. Residua aggiungere che la Commissione, in linea con il recente arresto giurisprudenziale 63 dei massimi organi della giustizia di legittimità (Cass.- S.S.U.U. n. 4109/2007, Cons. di Stato – Sez. VI – n. 3801/2007 e n. 1059/2008) e del Giudice delle leggi (decisione n. 77/2007), reputa che alla sentenza declinatoria della giurisdizione segua il rinvio della controversia al Giudice ritenuto munito di giurisdizione con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta dall’istante. Il menzionato arresto giurisprudenziale ha, invero, affermato il condivisibile principio secondo cui la traslatio iudicii opera anche nei rapporti tra diversi ordini giudiziari perché altrimenti si verificherebbe la poco accettabile conseguenza di un processo che si conclude con la decisione sulla sola giurisdizione senza la definizione della fondatezza o meno della pretesa azionata in giudizio. Per l’individuazione del termine di riassunzione del processo può essere applicato, in via analogica, quello previsto dall’art. 50 c.p.c. in tema di declaratoria d’incompetenza nell’ambito della giurisdizione ordinaria (o quello consimile dell’art. 5 del D.Lgs. n. 546/1992 recante la disciplina del processo tributario), termine che nella fattispecie in esame viene fissato in mesi 6. In conclusione, il ricorso, alla stregua delle considerazioni svolte, è inammissibile per difetto di giurisdizione di questa Commissione; ed a ciò consegue l’onere di parte ricorrente di riassunzione della causa innanzi al G.O. nel termine di mesi 6 a decorrere dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Le spese di giudizio, in ragione della complessità delle questioni, vanno compensate tra le parti. 64 P.Q.M. La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno - Sezione n. 16 - definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, proposto dalla s.r.l. "I.", lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione. Dispone la riassunzione della causa innanzi al Giudice Ordinario entro il termine indica- to in motivazione. Dispone la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. _________ IL PRINCIPIO DELLA TRANSLATIO IUDICII TRA GIUDICI DI ORDINE DIVERSO INTRODOTTO DALLA CORTE COSTITUZIONALE E DISCIPLINATO CON LA LEGGE 69 DEL 2009 Sommario: 1. Introduzione 2. Il principio della translatio iudicii 3. La disciplina contenuta nella legge n. 69 del 2009 1. Introduzione Con la sentenza n. 12 del 20 gennaio 2009, che qui si commenta, la Commissione tributaria provinciale di Salerno, Sezione 16, rilevando il proprio difetto di giurisdizione in una controversia concernente il canone d’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), ha disposto la riassunzione della causa innanzi al Giudice ordinario in applicazione del principio della translatio iudicii tra giudici d’ordine diverso introdotto di recente dalla Corte Costituzionale e oggi disciplinato con l’art. 59 della legge n. 69 del 2009. 2. Il principio della translatio iudicii E’ stato già detto in queste pagine che dopo la svolta della Corte costituzionale, con la riassunzione della causa, l’erronea individuazione del giudice non si risolve più «in un pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale», e il processo può continuare di fronte al diverso giudice munito di giurisdizione. Fino a ieri, invece, si negava che la causa introdotta davanti ad un giudice privo di giurisdizione potesse continuare di fronte al diverso giudice munito di giurisdizione: se la Commissione tributaria, o altro giudice speciale, aveva rilevato il proprio difetto di giurisdizione, la causa non poteva trasmigrare innanzi al Giudice ordinario effettivamente competente, e così accadeva anche nel caso opposto di declinatoria di giurisdizione resa dal Giudice ordinario in favore della Commissione tributaria o d’altro giudice speciale. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, pertanto, il difetto di giurisdizione costringeva la parte ad iniziare daccapo il processo. Ma, in effetti, anche questo rimedio era spesso precluso dal decorso del termine perentorio per impugnare l’atto dell’Amministrazione statale o locale. Era un’evidente compressione del diritto di difesa in danno della parte che aveva erroneamente individuato il giudice innanzi al quale introdurre il processo. Occorreva, pertanto, l’intervento della Corte costituzionale che con la citata sentenza del 12 marzo 2007, n. 77 dichiarava l’illegittimità dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sui tribunali amministrativi regionali, nella parte in cui non prevedeva che dopo la declinatoria di giurisdizione il processo potesse continuare davanti al giudice munito di giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta. Questa sentenza, pur accolta con favore dalla dottrina, sollevava, però, dubbi sulla sua efficacia in rapporto a processi diversi da quello amministrativo esaminato dalla Consulta. Il 4 luglio 2007, infatti, la Commissione tributaria provinciale di Roma sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del D.Lgs. n. 546/92 sul processo tributario, nella parte in cui – a suo parere - non consentiva al giudice che declina la propria giurisdizione di disporre la continuazione del processo innanzi al giudice fornito di giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda. Di recente, con l’ordinanza del 7 novembre 2008, n. 363, la Corte Costituzionale aveva dichiarato tale questione manifestamente inammissibile perchè a seguito della citata sentenza n. 77/2007 la normativa in materia doveva interpretarsi nel senso che va «espunto’dall’ordinamento» il «principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio». In applicazione di questo principio anche la causa erroneamente introdotta innanzi alla Commissione tributaria, dunque, poteva continuare davanti al Giudice ordinario o amministrativo munito di giurisdizione, e viceversa, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta. La Corte Costituzionale aveva precisato che i giudici possono utilizzare <<gli strumenti ermeneutici>> per dare immediata <<attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto>>. Ma quale norma poteva applicarsi analogicamente o estensivamente all’ipotesi di declinatoria della giurisdizione resa dal Giudice di merito? La citata sentenza n. 12 della Commissione tributaria provinciale di Salerno, Sezione 16, risolve questo problema applicando, in via analogica, al difetto di giurisdizione la norma dettata per l’incompetenza territoriale del giudice tributario dall’art. 5, comma 5°, del D.Lgs. n. 546/1992. Essa pertanto ha disposto la riassunzione del processo innanzi al Giudice ordinario nel termine di sei mesi dalla comunicazione della stessa sentenza. 3. La disciplina contenuta nella legge n. 69 del 2009 Oggi la riassunzione della causa deve avvenire nel termine stabilito dal Legislatore e fissato in tre mesi dal passaggio in giudicato della decisione che ha dichiarato il difetto di giurisdizione e che ha indicato il giudice fornito di giurisdizione. Questa materia, infatti, è stata di recente disciplinata con l’art. 59 della legge n. 69 del 18 giugno 2009, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. L’art. 59 stabilisce: al comma 1° che «Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione...»; al comma 2°, che «Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile...»; al comma 4°, che «L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.» La mancata o tardiva riassunzione determina, dunque, l’estinzione del processo. Invece, il rispetto del termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della decisione che ha dichiarato il difetto di giurisdizione, e che ha indicato il giudice fornito di giurisdizione, fa salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Questa salvezza degli effetti della domanda si produce soltanto se la riassunzione sia fatta davanti al 65 giudice indicato nella sentenza che ha rilevato il difetto di giurisdizione. La riassunzione o riproposizione della causa deve essere fatta, poi, con ricorso, citazione o opposizione, in osservanza a quanto previsto per l’atto introduttivo del processo davanti al giudice fornito di giurisdizione, riproducendo tutte le domande della parte in modo specifico, non limitandosi a richiamare - senza integrale e testuale riproduzione - l’atto introduttivo del giudizio. Occorrerà indicare, tra l’altro, l’atto introduttivo e gli scritti difensivi del precedente giudizio, oltre al provvedimento del giudice che declina la giurisdizione, e depositarli in copia autentica. L’atto di riassunzione (o, meglio, la nuova proposizione della domanda) deve essere notificato alle altre parti personalmente, come disposto per l’atto introduttivo del processo. La riassunzione o la prosecuzione del processo fatta a norma dell’art. 59 cit., anche solo da una delle parti, vincola (tutte) le parti del processo che non potranno, perciò, più sollevare la questione di giurisdizione. Invece, la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante anche per il giudice, non solo per le parti (art. 59, cit., comma 1°). Tuttavia, «Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare 66 d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione» (art. 59, cit., comma 3°). Infine, la legge stabilisce che nel successivo processo «... le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.» (art. 59, cit., comma 5°). Queste nuove norme si applicano immediatamente e, perciò, sono destinate a produrre effetti anche sui giudizi instaurati prima della loro entrata in vigore. Tuttavia, come è implicito nel testo, esse si applicano (più che ai giudizi) alle sentenze in materia di giurisdizione pubblicate dopo la loro entrata in vigore. Per quanto non espressamente stabilito dalle nuove norme, occorre tenere presente che gli atti di parte sono sempre validi ed efficaci anche se compiuti davanti al giudice privo di giurisdizione, e secondo un rito diverso da quello previsto per il processo davanti al giudice fornito di giurisdizione. La Corte Costituzionale, infatti, ha stabilito in modo definitivo che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservano nel nuovo giudizio. Luciana Capo Processo tributario DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO E RIASSUNZIONE DELLA CAUSA Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XIII, 8 maggio 2009, n. 92 Pres. Apicella – Rel. Longobardi Processo tributario – Ricorso proposto alla Giudice Ordinario privo di giurisdizione – Inammissibilità – Riassunzione della causa innanzi alla Commissione Tributaria fornita di giurisdizione – Ammissibilità (C.p.c. art. 50; D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 5). Secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dettata dalla Corte Costituzionale, con Ordinanza n. 363 del 3 novembre 2008, depositata il 7 novembre 2008, è ammissibile l’istituto del riassunzione della causa anche in ipotesi di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte del Giudice Ordinario e conseguente riassunzione del processo dinanzi alla Commissione Tributaria, con conseguente applicabilità dell’art. 50 c.p.c.. Svolgimento del processo L’E.TR. SPA, con comunicazione del 17 ottobre 2006, avvertiva il sig. R.G.F. di aver iscritto presso l’Ufficio del Territorio di Salerno, Servizi di Pubblicità Immobiliare, con nota in data 31/08/2006 n. 47211 del Registro Generale e n. 13123 del Registro Particolare, specifica iscrizione ipotecaria sui beni immobili di sua proprietà per la complessiva somma di Euro 193.755,30 pari al doppio del carico tributario scaduto e non pagato. Avverso tale provvedimento il sig. R.G.F., rappresentato e difeso dall’avv. A.M., depositava ricorso ex artt. 669 e segg. c.p.c. e 700 c.p.c. presso il tribunale di Salerno chiedendo si ordinasse al Conservatore dei RR.II. di Salerno la cancellazione dell’ipoteca legale di cui a nota 31/08/2006. Il G.I. del Tribunale di Salerno, con provvedimento depositato il 02/04/2008 dichiarava il "difetto di giurisdizione del giudice ordinario a pronunciarsi sull’istanza cautelare proposta da R.G.F., rientrando la stessa nella giurisdizione in materia del giudice tributario”. Il sig. R.G.F., come sopra rappresentato e difeso, con comparsa depositata il 7 agosto 2008 riassumeva il giudizio presso questa Commissione Tributaria Provinciale ex art. 50 c.p.c. e 125 Disp. Att. all’uopo rappresentando che le cartelle di pagamento, il cui mancato pagamento aveva generato l’iscrizione ipotecaria, erano state pagate a tale S. qualificatosi esattore dell’agenzia E.TR.. Scoperto il raggiro lo S. era stato querelato e rinviato a giudizio. Concludeva per l’accoglimento dell’istanza di ordinare al Conservatore dei RR.II. di Salerno di cancellare l’ipoteca legale numero generale xx, numero particolare yy, per Euro 193.755,30 iscritta sui beni immobili di sua proprietà. Motivi della decisione Il ricorso, su cui questo Collegio è chiamato a pronunciarsi, scaturisce dalla riassunzione del giudizio davanti al Giudice Tributario ai sensi dell’art. 50 del c.p.c. avendo, il giudice ordinario, dichiarato il suo difetto di giurisdizione. Al riguardo si osserva che la riassunzione del processo davanti alla Commissione Tributaria è disciplinata dall’art. 5 del D.Lgs. 67 68 n. 546/92 per i soli casi di incompetenza rilevati o dichiarati; il difetto di giurisdizione, disciplinato dall’art. 3 del medesimo decreto legislativo, non consentirebbe, quindi, l’applicazione dell’istituto della riassunzione con la conseguente translatio iudicii ma comporterebbe la costituzione di un nuovo rapporto processuale con conseguente problematica connessa a eventuale tardività. Questo Collegio, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata (Corte Costituzionale, Ordinanza n. 363 del 03/11/2008, depositata il 07/11/2008), confortato, altresì, dalla giurisprudenza di legittimità che, in via interpretativa, ha ammesso la translatio iudicii tra giudici speciali e giudice ordinario (Cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 5431 de 2008 e n. 4109 del 22/02/2007), ritiene ammissibile l’istituto del riassunzione anche in ipotesi di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte del giudice ordinario e conseguente riassunzione del processo dinanzi alla Commissione Tributaria. Ne scaturisce, nel caso di specie l’applicabilità dell’art. 50 del c.p.c. invocato da parte ricorrente. Ciò premesso si osserva che l’iscrizione ipotecaria opposta origina nel mancato pagamento di numerose cartelle di pagamento notificate nel periodo luglio 2001/febbraio 2006 delle quali solo alcune emesse dall’Agenzia delle Entrate riguardano tributi; tutte le restanti cartelle riguardano infrazioni al codice della strada, riscossione di contributi previdenziali, abbonamento radio ecc.. Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con Sentenza n. 14831 del 20 maggio 2008, depositata il 5 giugno 2008, ha in sostanza affermato che la giurisdizione sulle controversie relative al fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, appartiene al giudice tributario ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2, comma 1. e 19, comma 1, lettera e-ter) del D.Lgs. n. 31/12/92, n. 546, solo quando il provvedimento impugnato concerna la riscossione di tributi. Ha poi aggiunto che il giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un provvedimento di fermo di beni mobili registrati, deve accertare quale sia la natura - tributaria o non tributaria - dei crediti posti a fondamento del provvedimento in questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di sé, interamente o parzialmente per la decisione del merito e rimettendo, nel secondo caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. La sentenza, oltre all’importante affermazione della circoscritta competenza delle Commissioni tributarie in tema di fermo amministrativo, afferma che la giurisdizione del giudice tributario risulta delineata dalla lettura coordinata degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Ne scaturisce, per implicito, che anche l’iscrizione di ipoteca sui beni immobili di cui all’art. 77 del medesimo decreto presidenziale n. 602 del 1973 rimane sottoposta alla medesima interpretazione che si presenta “aderente ad una volontà legislativa di pervenire ad una generalizzazione della giurisdizione tributaria, non più legata all’impugnazione di singoli specifici atti...”, ma che “rimanga, tuttavia, coerente con il concetto di giurisdizione delimitata da una determinata materia, complessivamente considerata, che mantenga il giudice nella funzione, costituzionalmente ammissibile, di giudice sui tributi e non di giudice dell’amministrazione finanziaria”. (Corte di Cassazione, Sentenza n. 14831 del 20/05/2008). Aderendo, e condividendo, la decisione della Suprema Corte, questo Collegio non può che dichiarare la propria competenza per l’avvenuta iscrizione ipotecaria riguardante il mancato pagamento delle cartelle relative ai tributi (IVA, ritenute alla fonte ecc.) e riconoscere la competenza del giudice ordinario per l’iscrizione ipotecaria riguardante il mancato pagamento delle restanti cartelle (per infrazioni al codice della strada, contributi ecc.). Nel merito della vicenda questo Collegio non può condividere la principale argomentazione difensiva secondo la quale le cartelle, il cui mancato pagamento ha generato l’iscrizione ipotecaria, sono state pagate ad un tale che si è qualificato abilitato alla riscossione per conto dell’E.TR. SpA. . Dato per provato che le cartelle siano state pagate, non è stato esibito alcun documento, alcuna ricevuta dell’Ente addetto alla riscossione; eventuale frode perpetrata da estranei è circostanza che non consente di ritenere adempiuto all’obbligo di versamento delle cartelle di cui è causa. L’iscrizione ipotecaria conseguente al mancato pagamento delle cartelle va, pertanto, confermata per la parte sottoposta alla giurisdizione di questa Commissione. P.Q.M. La Commissione dichiara la propria giurisdizione per la parte di ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria scaturente dal mancato pagamento delle cartelle per la riscossione di crediti tributari e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, rimettendo la causa innanzi al Tribunale territorialmente competente, per la parte di ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria scaturente dal mancato pagamento delle cartelle per la riscossione di crediti non tributari. Relativamente alla controversia sottoposta alla sua giurisdizione rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio. 69 Riscossione CARTELLA DI PAGAMENTO: E’ INSANABILE LA NULLITA’ DELLA NOTIFICA AL CONTRIBUENTE CHE HA DISCONOSCIUTO LA FIRMA DELLA DICHIARAZIONE Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. XII, 19 gennaio 2009, n. 6 Pres. Marena – Rel. Mauriello Riscossione mediante ruolo – Notifica della cartella di pagamento al contribuente che ha apposto la firma in calce alla dichiarazione – Disconoscimento della firma da parte del ricorrente – Irreperibilità della dichiarazione – Nullità della notifica (D.P.R. n. 602/73, art. 25) La notifica della cartella di pagamento per somme dovute a seguito dell’attività di liquidazione della dichiarazione, eseguita nei confronti del contribuente che avrebbe apposto la firma in calce alla stessa dichiarazione, è affetta da nullità insanabile se tale firma sia stata disconosciuta dal ricorrente anche con azione promossa in sede penale, e non risulti reperibile presso l’Amministrazione finanziaria l’originale della dichiarazione inviata all’ufficio. Svolgimento del processo 70 L’Agenzia delle Entrate di …, giusta autorizzazione della D.R.E. della Campania n. ……, ex art. 52, comma 2, del D.Lgs. n.546/92, allegata agli atti di causa, appellava la sentenza n. 210 del 3.04.06 e depositata il 12.07.06, emessa dalla sezione X della C.T.P. di Salerno con la quale era stato accolto il ricorso prodotto dalla Sig.ra I. V. che aveva impugnato la cartella esattoriale relativamente a somme dovute per l’anno 1998. L’Agenzia nel riportarsi a tutte le ec- cezioni e deduzioni argomentate in primo grado, ritiene illegittima ed "erroneamente motivata" la sentenza in quanto la cartella era stata intestata alla Sig.ra I. nella qualità di coerede per cui se poi vi era stato errore il tutto doveva imputarsi al comportamento osservato dal Concessionario. L’appellante nel precisare di aver operato, quindi, correttamente sia in ordine alle procedure adottate che sulla correttezza della notifica, concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese ed onorari di causa. Si costituiva la Sig.ra I., rapp.ta e difesa dal dr. R.T. e presso lo stesso domiciliata, sostenendo l’infondatezza delle questioni addotte dall’ufficio soprattutto in ordine alla indimostrata questione della presentazione della dichiarazione dei redditi fatta dall’appellata in nome e per conto del de cuius. Precisato che per la qualcosa aveva prodotto formale querela per cui pende apposito procedimento presso la Procura della Repubblica di Salerno, la Sig.ra I. concludeva chiedendo la conferma di quanto deciso dal primo Collegio e la condanna anche per l’appellante per le spese ed onorari di lite. All’odierna udienza la causa veniva riservata a decisione. Motivi della decisione Osserva il Collegio che l’appello appare infondato e pertanto esso va rigettato. I primi giudici, dopo un accurato esame delle istanze contrapposte e della documentazione in atti, avevano ritenuto fondate le argomentazioni attoree dichiarando decaduto l’ufficio, per effetto della procedura posta in essere, dall’azione accertatrice per effetto anche della tardiva iscrizione a ruolo effettuata oltre i termini di cui all’art. 7, lett. a) del D.P.R. n. 602/73. Peraltro, come già accertato in sede di prime cure, le parti resistenti non avrebbero fornito idonea documentazione a riguardo avendo peraltro l’ufficio ribaltato ogni eventuale omissione sul comportamento posto in essere dal Concessionario. La realtà è che la cartella è stata notificata, impropriamente alla Sig.ra I. non nella qualità di erede facendo risultare la pretesa iscritta come una conseguenza della dichiarazione prodotta dalla stessa I. Anche tale configurazione è stata fugata stante la querela prodotta dalla stessa che ha formalmente disconosciuta la sua firma apposta in calce ad una dichiarazione che poi, all’atto dell’intervento dei Carabinieri, non è stata più trovata. Quindi si ribadisce, anche in questa sede, che, nel caso di specie, non è stata rispettata la procedura di notificazione secondo i criteri disposti dall’art. 65 del D.P.R. n. 600/73, con la conseguenza che il ruolo e la cartella risultano affetti da nullità insanabile. Ogni altra questione resta assorbita dai fatti descritti. Il Collegio ha quindi ritenuto preventiva ed assorbente, tale accertata circostanza per cui tale omissione travolge tutti gli atti successivi e le relative eccezioni. Ogni altra questione qui riproposta, va rigettata. Lo stesso Collegio, per la particolarità della questione trattata ha ritenuto poter compensare, interamente tra le parti, le spese e gli onorari di causa, ricorrendo le condizioni volute dalla legge. P.Q.M. Rigetta l’appello. Spese compensate. _________ Il punto sulla notifica delle cartelle di pagamento Succintamente, al fine di comprendere il senso della citata Sentenza, occorre menzionare sia l’antefatto che ha preceduto il contenzioso che lo svolgimento dello stesso attraverso i vari gradi di giudizio. La ricorrente proponeva ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale di Salerno avverso cartella esattoriale e relativa iscrizione a ruolo per imposte I.R.P.E.F. ed addizionale regionale oltre oneri accessori, ai sensi del comma 3 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/92, citando in giudizio l’Agenzia delle Entrate, per vizi inerenti l’iscrizione a ruolo, ed il concessionario per la riscossione dei tributi, per vizi inerenti la cartella di pagamento. Pensando evidentemente che si trattasse di una cosiddetta “cartella pazza” si sollevavano le doglianze seguenti: a) Pregiudiziale di nullità per errata attribuzione del reddito imponibile dichiarato e relativa errata liquidazione dell’imposta presuntivamente omessa giacché la resistente nell’anno 1998 aveva percepito e dichiarato solo redditi di natura fondiaria di modesto valore imponibile tali da non giustificare importi a debito per oltre trenta mila euro; b) Violazione del procedimento di liquidazione ex articolo 36/Bis D.P.R. n. 600/73; c) Violazione dei termini per la notifica dell’iscrizione a ruolo e decadenza ai sensi dell’articolo 17 lettera a) del D.P.R. n. 602/73. La ricorrente, ritirando presso la segreteria del Giudice adito copia delle controdeduzioni e costituzione in giudizio presentate dalla controparte, veniva a conoscenza che per l’Ufficio la cartella era stata emessa nei confronti del defunto J. P. e notificata alla ricorrente quale erede…, mentre in verità la cartella invece era stata emessa e notificata esclusivamente alla Signora J.V. in proprio e non ad Ella quale erede. Inoltre, l’iscrizione a ruolo era stata formata a nome della ricorrente in proprio e non a nome del de cuius o a nome della resistente “quale erede di …”, e la medesima cartella esattoriale emessa dalla Etr non fu neanche notificata alla ricorrente nella qualità di erede presso l’ultima dimora del deceduto ai sensi di legge, ma sempre alla medesima. In realtà l’intimata, si legge, non avrebbe mai presentato alcuna denuncia dei redditi in nome e per conto del de cuius. Alla luce dei fatti, - come detto non noti all’epoca della predisposizione del ricorso introduttivo -, l’erede ricorrente sporgeva formale querela contro ignoti, per i reati ravvisabili, presso la competente Procura della Repubblica con conseguente disconoscimento della relativa firma apposta sulla denuncia dei redditi. Si rese necessario allora presentare ai sensi dell’articolo 24 comma 2 del D.Lgs. n. 546/92 ad integrazione del ricorso introduttivo ulteriori motivi di illegittimità accolti dal Giudice di prime cure e confermati successivamente dal Giudice di Appello, che in sintesi così ricordiamo: a) Violazione dell’articolo 65 del D.P.R. n. 600/72 e degli articoli 470 e seguenti e 490 del Codice Civile – doglianze relative alle conseguenze patrimoniali discendenti dall’accettazione dell’eredità col beneficio dell’inventario. b) Pregiudiziale di nullità del ruolo per errata iscri- 71 zione a ruolo; c) Violazione del procedimento di liquidazione di cui all’articolo 36 Bis del DPR 600/73; d) Errata formazione dell’iscrizione a ruolo; e) Errata notificazione della cartella esattoriale; A dir del Giudice di prime cure le doglianze di parte erano da ritenere fondate così statuendo a) “la decadenza dell’azione accertatrice dell’Ufficio, b) il mancato rispetto del procedimento notificatorio, c) la mancanza di legittimazione passiva nel rapporto tributario da parte della Ricorrente”. 72 Con atto di appello, l’Ufficio eccependo l’invalidità della decisione di primo grado in quanto fondata su presupposti errati, essendo regolarmente formato il ruolo nei confronti del de cuius e della erede ravvisò che l’errore che avrebbe provocato il vizio di legittimità sarebbe stato da imputare solo ed esclusivamente al concessionario essendo non fondate le altre violazioni sollevate. Il concessionario, viceversa come al solito, quale mero esecutore di riscossione per conto di terzi, si dichiarava estraneo alla controversia. Quindi come già si evince dalla narrazione dei fatti, diversi sono gli argomenti in controversia trattati con la sentenza di cui ci accingiamo ad esporre articolato commento, ed in particolare iniziamo con quello relativo al procedimento notificatorio come disciplinato dall’articolo 65 del D.P.R.n.600 del 29 Settembre 1973: questione fondamentale ma non unica della trattazione che in via preliminare merita attenzione. E’ essa l’eccezione principale del contenzioso de qua accolta da entrambi i Giudici a proposito dell’iscrizione a ruolo e del relativo procedimento di iscrizione e notificazione : la violazione dell’articolo 65 del D.P.R. n. 600 del 29 Settembre 1973, in relazione alla responsabilità solidale degli eredi che così statuisce: gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. Gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità ed il proprio domicilio fiscale……e quindi che la notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso in maniera efficace solo se almeno trenta giorni prima gli eredi non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma. Invero è stato ritenuto corretto e si ritiene corretto per legge come nel caso in specie che la cartella esattoriale, l’iscrizione a ruolo e qualsiasi altro atto tributario di natura accertativa vengano emessi nei confronti dell’ erede in nome e per conto del dante causa e a quest’ultimo notificati nella qualità di erede ed ove previsto con la dizione “con eredità beneficiata”. Nella circostanza si è posta infatti l’attenzione sulla fattispecie che l’iscrizione a ruolo, ancorché relativa ad obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa, sia successiva alla data del decesso del debitore principale ignorando il principio basilare del nostro ordinamento tributario che è quello della legittimazione passiva del rapporto tributario, per cui nessun soggetto può essere sottoposto ad obblighi di natura fiscale se non risulta la diretta correlazione tra soggetti e tributi da corrispondere. Ed infatti L’articolo 65 citato, dopo aver posto il principio che gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del dante causa, ed aver posto l’onere a carico degli eredi di comunicare all’Ufficio sia il domicilio fiscale del dante causa, che le proprie generalità ed il proprio domicilio, con il quarto comma aggiunge che la notifica degli atti relativi al de cuius può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso con efficacia nei loro confronti se almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato alcuna comunicazione. Invece la cartella in violazione del procedimento notificatorio previsto è stata notificata nel domicilio fiscale dell’erede ed è stata intestata al medesimo quale debitore principale con iscrizione a ruolo formata in nome del medesimo. Correttamente i Giudici tributari accertano che il procedimento notificatorio di cui alla citata norma non sia stato rispettato e quindi palesemente violato: avendo l’Agenzia delle Entrate, avuto comunicazione del decesso del debitore principale, dei nominativi degli eredi, dei loro domicili e dell’ultimo domicilio del defunto anche per avvenuta presentazione della denuncia di successione. La cartella esattoriale emessa ai sensi dell’articolo 36bis D.P.R. n. 600/73, atto di riscossione ed impositivo in quanto non preceduto da avviso di accertamento, intestata genericamente all’Erede in virtù di ruolo ad Egli intestato personalmente è stata notificata al medesimo presso il suo domicilio e non già nei suoi confronti quale “Erede del de cuius” ed a questi notificata così come prescritto: e per questo affetta da vizi procedimentali e notificatori insanabili. L’iscrizione a ruolo come l’emissione della cartella e la successiva notifica, sono atti che debbono essere intestati agli aventi causa e notificati presso i loro domicili a seconda dei casi ex articolo 65 vuoi personalmente quali eredi, vuoi collettivamente ed impersonalmente presso l’ultimo domicilio del de cuius e cioè debbono essere indirizzati a costoro, divenuti soggetti passivi dell’obbligazione, nella qualità di eredi con eventuale menzione di accettazione eredità beneficiata nel caso in cui è prevista. D’altra parte è pure noto che gli atti di accertamento e di riscossione, che l’amministrazione dirige ai contribuenti, sono atti tipicamente ricettivi: cioè essi assumono giuridica esistenza non già nel momento in cui vengono formati e completati in tutti i suoi elementi ad opera dell’Ufficio, bensì nel momento in cui essi vengono notificati al contribuente. La notifica, quindi, ha carattere di necessarietà, dato che la formazione del documento non esaurisce la dichiarazione dell’Ufficio ma costituisce solo la prima parte del suo modo di essere (C.T.C. 28/5/1989 n.1585). L’atto non formato prima del decesso del debitore e poi notificato al presunto erede, l’iscrizione a ruolo avvenuta in momento successivo all’evento estintivo dei rapporti giuridici in capo alla persona fisica, in quanto deceduta non può produrre effetti sulla sfera patrimoniale dell’erede se non rispetta i procedimenti previsti dalla Legge. Non può negarsi dunque, per quanto rilevato, che gli atti dell’Amministrazione finanziaria come nel caso l’avviso di riscossione unitamente al ruolo emessi ex articolo 36bis D.P.R. n. 600/73 in quanto intestati e notificati personalmente all’Erede e non ad Egli medesimo nella qualità di erede sono atti da considerarsi affetti da nullità assoluta ed insanabile. Altra questione non di poco conto ed accessoria al contenzioso da commentare è quella relativa al combinato disposto di cui alle norme codicistiche del diritto successorio con la normativa fiscale con riferimento ai debiti fiscali del de cuius ed i conseguenti rapporti obbligatori ricadenti sulla sfera patrimoniale dell’erede nel caso particolare in cui questi accetti l’eredità col beneficio dell’inventario. Ove si versi in tale fattispecie giuridica, per effetto degli articoli 470 e seguenti e 490 del Codice civile, l’iscrizione a ruolo va effettuata nei confronti dell’erede nei limiti del valore dei beni ceduti e nei limiti del valore beni accettati con il beneficio dell’inventario. Quindi l’erede che gode di tale beneficio risponde dei debiti per imposte del dante causa limitatamente al valore dei beni ceduti a qualsiasi titolo dal soggetto passivo per l’anno in cui si è avuta la cessione e per gli anni precedenti : il titolo giuridico del trasferimento dei beni in tal caso è l’essere stato chiamato quale erede; è quindi l’istituto della successione mortis causa così come regolata dagli articoli 579, 581, 582, 584 e 585 del codice civile a dettare anche le norme sulla riscossione. In tali casi, è necessario emettere cartella esattoriale nei confronti dell’ erede nella qualità di debitore del de cuius con eredità beneficiata. La cartella è essa stessa prova documentale in quanto emessa da altro Ente, l’Esattore, su indicazioni (il ruolo che equivale in un certo qual modo al precetto nella procedura civile) comunicate dall’Ente creditore, nei modi e nei limiti previsti dalla legge, ed in possesso di tutte le parti. La cartella esattoriale deve riprodurre per legge l’iscrizione a ruolo, il nome del debitore, la residenza di lui, il codice fiscale e l’imposta liquidata. Osserva la soppressa Commissione tributaria centrale che, come in specie, non può ignorarsi il principio basilare del nostro ordinamento tributario che è quello della legittimazione passiva del rapporto tributario, per cui nessun soggetto può essere sottoposto ad obblighi di natura fiscale se non risulta la diretta correlazione tra soggetti e tributi da corrispondere (C.T.C. 18/1/86 n. 284) . Nel caso in cui non esista correlazione tra soggetti e tributi da corrispondere ma esiste un debito tributario del de cuius, esso potrebbe essere soddisfatto dall’erede nei limiti di cui alle norme codicistiche che disciplinano il diritto successorio. Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie del soggetto estinto, sempre, però, nei limiti scaturenti dall’accettazione dell’eredità con il beneficio dell’inventario. Non è del tutto futile ricordare che la finalità di detto istituto è quella di tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede, il quale non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti (Art. 490 c.c.). Tale finalità non può essere frustrata dall’azione di recupero di un credito fiscale contro gli eredi che così sarebbero chiamati a rispondere del nuovo onere con il loro patrimonio; eventualità questa che si è voluta scongiurare prevedendo il Codice Civile a tal fine il ricorso all’istituto dell’eredità beneficiata (C.T.C. 18/1/86 n. 284). La omessa iscrizione a ruolo nei confronti dell’Erede direttamente “quale Erede di”, e la notificazione della cartella direttamente a quest’ultimo lo espone a tutte le conseguenze derivanti dalle azioni esecutive dell’esattore, Avente Causa che in tal modo non verrebbe tutelato nell’integrità del proprio patrimonio come voluto per gli effetti dell’accettazione dell’eredità col beneficio dell’inventario. Secondo l’ormai costante giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. per tutte sentenze n. 2490/ 26/7/1971, n. 3308/20/5/1980) l’erede beneficiato è tenuto a pagare l’imposta soltanto con le attività a lui pervenute e non oltre il valore dei beni e dei crediti a lui spettanti in forza dello stato di graduazione. Ed ultimo ma non ultimo, vista la molteplicità degli argomenti, vale la pena ancora soffermarsi sugli ulteriori obblighi posti a carico del- 73 74 l’Amministrazione finanziaria in tema di rapporti con il contribuente e tutela del contribuente per effetto della L.212/2000, Statuto dei diritti del contribuente, e del novellato e tormentato articolo 36/bis. Ai sensi dell’art. 36/bis, come modificato dal D. Lgs. n. 241 del 09/07/1997 - in vigore per le denuncie presentate a partire del 1 Gennaio 1999 -, avvalendosi di procedure automatizzate, l’amministrazione finanziaria procede, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti………Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, l’esito della liquidazione è comunicato al contribuente per evitare la reiterazione degli errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della comunicazione il contribuente rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all’amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione ( V. inoltre Statuto diritti del contribuente) . La predisposizione e la notifica della comunicazione della liquidazione non è una facoltà concessa all’Ufficio, essa è un obbligo previsto dal combinato disposto di cui all’art.6 della L. 212/2000 e del novellato art. 36/bis del D.P.R. n. 600/72. L’omissione dell’invio della citata comunicazione, per la ragione di legge per la quale è stata prevista, è altro elemento che gravemente viola il procedimento istruttorio di cui al novellato art. 36/bis del D.P.R. n. 600/73. Oggi la giurisprudenza di merito sembra seguire inequivocabilmente tale orientamento per effetto degli obblighi scaturenti dall’articolo 6 dello Statuto del contribuente. E da ultimo, altra questione, ancorché già dibattuta in dottrina e risolta già dalla giurisprudenza e da successivo intervento legislativo, è quella relativa ai termini di decadenza della finanza per l’iscrizione a ruolo. Accoglie il Giudice tributario l’eccezione di decadenza dell’azione accertatrice dell’Ufficio per effetto della tardiva notifica dell’iscrizione a ruolo oltre i termini di cui all’art. 17 lett. a) del D.P.R. n. 602/73, avvenuta in data 30 Aprile 2003 non potendosi chiaramente applicare alla data della proposizione dell’atto di appello le norme di cui alla successiva legge156/2005. Come noto, a norma del citato articolo le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza: entro il 31 Dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36 bis del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n.600…… Quindi la cartella de qua in quanto notificata in data 30/04/2003 oltre il termine di decadenza del 31/12/2001, è stata ritenuta nulla. L’iscrizione a ruolo è atto dell’amministrazione finanziaria. Sulla scorta della consegna di tale atto reso esecutivo dallo stesso Ufficio il concessionario per la riscossione dei tributi emette e notifica la cartella di pagamento al contribuente intimato. Per cui la formazione, il visto esecutivo apposto sul ruolo e la successiva consegna al concessionario competente per la riscossione sono atti interni alla Pubblica amministrazione ed al concessionario esercente la Pubblica funzione di riscossione delle entrate erariali. Il contribuente in tale procedimento istruttorio resta escluso e non ha alcun potere di controllo preventivo sul corretto operato dell’Ufficio, con notevole conseguente compressione del diritto alla difesa. Diritto che può essere esercitato entro i brevi termini a decorrere dalla notifica della cartella di pagamento con i pericoli patrimoniali e finanziari in cui egli incorre decorsi i sessanta giorni dalla notifica essendo esposto a tutte le azioni cautelative, conservative ed esecutive che la legge concede all’esattore. Gli atti dell’amministrazione finanziaria assumono rilevanza giuridica ed esistenza solo nel momento in cui vengono portati a conoscenza del destinatario attraverso idonei mezzi previsti dal Cpc e dalle leggi sull’accertamento e la riscossione delle imposte: le notifiche. Caposaldo del diritto procedurale tributario è il principio recettizio degli atti impositivi per effetto del quale anche il ruolo è un atto che produce effetti giuridici solo in quanto comunicato tempestivamente ai contribuenti e a partire dal momento della comunicazione stessa. Il contribuente nella fattispecie è informato dell’iscrizione a ruolo solo con la notifica della relativa cartella esattoriale contenente il ruolo medesimo. Motivo per il quale l’esistenza giuridica dell’atto impositivo e di riscossione, il ruolo formato ex art. 36/bis D.P.R. n. 600/73, avviene nel momento in cui l’intimato riceve la notifica della cartella di pagamento a nulla rilevando il visto esecutivo reso dall’Ufficio entro i termini di cui all’art.17 del D.P.R. n. 602/73. Se la notifica della cartella al contribuente non avviene entro i termini di cui al citato art. 17 è da ritenere decaduta l’azione esecutiva della finanza a nulla rilevando la tempestiva esecutorietà del ruolo. In senso conforme si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Torino Sez. 24 con la Sentenza n.09/04/03 del 15/05/2003, con riferimento al soppresso art. 25, comma 1 del D.P.R. n. 602/73 statuendo così nella motivazione: La cartella di pagamento forma un unicum con il ruolo stesso e deve essere notificata entro i termini di cui all’art. 25 comma 1 del D.P.R. n. 602/73, a prescindere se gli stessi termini siano stati o meno indicati come perentori, in quanto lo sono in relazione alla funzione che sono chiamati a svolgere e garantire. La cartella di pagamento non è altro che il mezzo con cui il contribuente viene a conoscenza del ruolo emesso nei suoi confronti; cosicché la stessa deve essere in ogni caso notificata entro i termini previsti. L’art.17 detta i termini entro cui l’Ufficio deve a pena di decadenza dichiarare esecutivi i ruoli da consegnare al concessionario. La soppressione dei termini per la notifica delle cartelle previsti nell’art. 25 comporta che i termini della notifica della cartella devono necessariamente coincidere con quelli previsti dall’articolo 17 in virtù del concetto di unicum tra cartella e ruolo. Se così non fosse si paventerebbe una indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del fisco attraverso l’esattore. L’indicazione derivante dalla citata Sentenza del giudice di merito è già contenuta nell’ordinanza n. 107 del 01/04/2003 della Corte Costituzionale, con riferimento alla legittimità dei previgenti articoli 17 e 25 del D.P.R. n. 602/73: Anche la cartella di pagamento deve essere notificata, laddove siano previsti, entro termini precisi a pena di decadenza e ciò a prescindere se gli stessi siano stati o meno espressamente indicati come perentori. In definitiva il contribuente non può essere sottoposto sine die all’azione esecutiva dell’esattore. La Corte di Cassazione con la discussa Sentenza n.7662/99 Sez.1 Civ., ribadiva la legittimità dei ruoli se consegnati all’intendente di finanza e resi esecutivi entro i termini di cui al combinato disposto dagli articoli 36/bis D.P.R. n. 600/73 e 17 D.P.R. n. 602/73 poiché il contribuente non sarebbe stato sottoposto alla indefinita soggezione dell’esattore essendo anche quest’ultimo sottoposto ai ristretti termini della notificazione della cartella di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602/73. Il carattere perentorio di un termine non deve necessariamente risultare dalla norma potendosi desumere dalla funzione, ricavabile con chiarezza dal testo della legge, che il termine è chiamato a svolgere (Cassazione n.1111/1994 Sez.3). Per la Suprema Corte di cassazione il termine per la consegna del ruolo al concessionario è perentorio così come la sua notifica. Con la Sentenza n.19865 depositata il 5/10/2004 la Corte Suprema ha fatto il punto della situazione dopo l’Ordinanza n.107/2003 della Corte Costituzionale, e segnala come quest’ultima abbia avver- tito l’esigenza di scandire le operazioni di recupero e riscossione dei tributi a mezzo ruoli attraverso termini perentori per l’adempimento di vari passaggi: … Se l’Intendente di Finanza potesse trattenere all’infinito i ruoli senza consegnarli all’esattore tutto il sistema subirebbe una vistosa falla colmabile solo con il richiamo del termine decennale di prescrizione… La corte Costituzionale nella citata Ordinanza ha superato questa difficoltà con l’asserzione secondo cui l’articolo 24 del Dpr 602/73, prevede un termine per la consegna del ruolo all’esattore (almeno 90 giorni prima della scadenza, prorogabile nell’ambito di quello decadenziale di cui all’art. 17 del medesimo Dpr): cioè affermando che la consegna dei ruoli deve avvenire nell’ambito di un termine massimo che - a giudizio della Corte Costituzionale – deve essere decadenziale; in caso contrario la norma si porrebbe in contrasto con le norme costituzionali…..( Cfr. Sentenza 19865 Cassazione ). La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 208/2005 ha stabilito la illegittimità della normativa vigente nella parte in cui non prevede un termine decadenziale per la notifica al contribuente della cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’articolo 36 bis Dpr 600/73. Con essa la Corte ha stabilito che il legislatore, nel fissare questo termine, deve tener conto che vanno dati tempi più brevi di quelli per l’avviso di accertamento, per i quali l’articolo 43 prevede la decadenza in quattro anni……. Purtroppo probabilmente “per esigenze di cassa” e non giuridiche il termine era stato abrogato dal Legislatore fiscale nel 2001 creando un vuoto costituzionale che lasciava ed ha lasciato i contribuenti esposti alla possibilità di vedersi notificare cartelle per periodi remotissimi. In realtà sulla tormentata questione del termine di notifica si sono scontrate le esigenze di certezza nei rapporti tra contribuente e fisco e l’esigenza di non far perdere gettito all’erario per i ritardi e l’inefficienza del servizio di riscossione. Comunque come ben noto il Legislatore della Finanziaria 2005, dopo i provvidenziali interventi della Suprema Corte e della Corte Costituzionale, ha messo fine alla querelle, per buona pace dei contribuenti e della certezza del diritto, prevedendo che le cartelle vanno notificate a pena di decadenza entro l’ultimo giorno del quinto mese successivo a quello di consegna del ruolo, ovvero entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo alla consegna se la cartella è relativa a un ruolo straordinario. Raffaele Adriano Tosto 75 Giurisprudenza collegata all’articolo 65 e 36 Bis Dpr 600/73 e all’articolo 17 Dpr 602/73 vedi: 1) Commissione tributaria provinciale di Torino Sez.24 Sentenza n.09/04/03 del 15/05/2003; 2) Corte Costituzionale Sentenza n. 208/2005; 3) Cassazione civile Sentenza 19865 depositata il 5/10/2004 ; 4) Ordinanza n.107/2003 della Corte Costituzionale; 5) Cassazione civile sez.3 Sentenza n.1111/1994 6) Cassazione civile sez.1 Sentenza n.7662/1999; 7) Cassazione civile Sentenza n. 2490 del 26/7/1971; 8) Cassazione civile Sentenza n. 3308 del 20/5/1980; 9) Commissione tributaria centrale Decisione n. 284 del 18/1/1986; 10) Commissione Tributaria Centrale n.1585 del 28/5/1989; 11) Commissione Tributaria Centrale n.6227 del 11/7/1986; 76 Sull’obbligatorietà dell’emissione dell’avviso bonario vedi: 12) CTP Milano Sez.XIX n.137/3-5-2001; 13) CASS.Sez.V n.12462/12-10-2001; 14) CTR Toscana Sez.I N.44/26-2-2007; 15) CTR Lazio Sez.VI n.37/8-5-2007; 16) CTP Arezzo Sez.V n.133/30-10-2007; 17) CTR Umbria Sez.VI n.31/31-5-2007; 18) CTR Campania Sez.I n.195/14-5-2007; 19) CASS. Sez. Tributaria n.110/2007 20) CTR Lazio Sez.XXII n.41/28-3-2008; 21) CTR Campania Sez.V n. 52/10/3/2008; 22) Circolare Min.Fin.n.77 del 3/8/2001; 23) Ctr Campania Sezione Staccata Di Salerno, Sez.4. Sentenza n. 375/04/08 Riscossione SOMME LIQUIDATE IN BASE ALLA DICHIARAZIONE: TERMINE PER LA NOTIFICA DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO Commissione tributaria regionale Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. II, 8 aprile 2009, n. 113 Pres. Accarino – Rel. Lucadamo Riscossione mediante ruolo – Somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni presentate nel 2002 – Notifica della cartella di pagamento - Termine (D.lgs. n. 46/99, art. 36, comma 2°, lett. a) A norma dell’art. 36, comma 2°, lett. a), D.lgs. n. 46/99, così sostituito dal comma 5 ter dell’art. 1, d.l. n. 106/05 (nel testo integrato dalla relativa legge di conversione), in deroga all’articolo 25, comma 1°, lettera a), del d.p.r. n. 602/73, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni la cartella di pagamento è notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003. Svolgimento del processo La società M C. S.r.l. poneva gravame avverso la sentenza n. 299 emessa in data 28 Settembre 2006 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno con la quale era stato rigettato il proprio ricorso proposto per l’annullamento della cartella di pagamento portante ritenute alla fonte non versate, oltre accessori per un totale di euro 4.040,44 Adduceva a motivi del gravame: 1) Illegittimità ed infondatezza della motivazione della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2 del D.Lgs. n. 546/92 e art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.; 2) Illegittimità ed infondatezza della motivazione della sentenza per violazione degli artt. 17 D.P.R. n. 600/73 e 6 comma 1, legge 212/2000; 3) Illegittimità ed infondatezza della motivazione della sentenza per violazione dell’art. 3 legge 241/90; 4) Illegittimità ed infondatezza della motivazione della sentenza per violazione dell’art. 6 D.M. 321/99; 5) Illegittimità ed infondatezza della motivazione della sentenza per violazione dell’art. 20 D.P.R. n. 602/73 Concludeva per l’annullamento della sentenza. Si costituiva l’appellata Agenzia delle Entrate di X, contestava l’avverso dedotto, chiedeva, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/92 ed in subordine il rigetto nel merito perché infondato. Vinte le spese di giudizio. Si costituiva anche E.TR. Spa e contestava puntualmente l’avverso dedotto. Concludeva per il rigetto dell’appello, per la dichiarazione del proprio difetto di legittimazione passiva, in relazione alle attività riservate all’Ente Impositore. Spese vinte per entrambi i gradi del giudizio. La controversia è stata trattata in camera di consiglio all’esito della quale la Commissione ha deciso come da dispositivo. Motivi della decisione In via preliminare va esaminata la posta eccezione d’inammissibilità dell’appello per mancanza di motivi specifici. La doglianza non è fondata. Con le varie censure l’appellante lamenta innanzitutto la carenza di motivazione della sentenza impugnata e, 77 78 pur se con gli stessi argomenti addotti in primo grado, sottopone al riesame di questa Commissione i motivi di illegittimità dell’atto impugnato oltre che gli errori che, a suo giudizio, avrebbe commesso il giudice nell’argomentare sui fatti vagliati. Con il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo l’appellante lamenta la genericità e la carenza di motivazione della sentenza. La censura è infondata in quanto, al contrario, la sentenza motiva tutti i punti dedotti dal ricorrente, in modo chiaro ed esaustivo. Con il secondo motivo l’appellante sostiene la intervenuta decadenza per effetto delle disposizioni di cui agli artt. 17 e 25 del D.P.R. n. 602/73 – La censura è infondata. Dopo contrastanti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, la stessa corte, a sezioni unite, con le sentenze n. 21498 e n. 23826 del 2004 ha precisato che ai sensi dell’art. 28 della legge 27/12/1997, n. 449 il termine di rettifica delle dichiarazioni fissato dall’art. 36bis del D.P.R. n. 600/73 non ha natura perentoria , il che comporta che il suo inutile decorso non è causa di decadenza. Tuttavia, non essendo concepibile che il cittadino resti soggetto sine die al potere dell’Amministrazione, il termine di decadenza entro cui va circoscritta l’azione accertatrice dell’Amministrazione Finanziaria va ricollegato a quello per l’iscrizione a ruolo, fissato nell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 602/73 nel testo vigente ratione temporis combinato con il disposto dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/73. Si tratta, per quanto concerne la situazione antecedente alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 46/1999, di un termine quinquennale (a partire dalla dichiarazione) entro il quale, a pena di decadenza, l’Amministrazione dovrà provvedere all’iscrizione a ruolo. Ciò non significa, tuttavia, che debba ritenersi del tutto irrilevante la notificazione della cartella esattoriale; tale notificazione è prevista dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 il quale prevedeva, sempre con riferimento alla situazione antecedente alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 46/1999 che l’esattore dovesse notificare la cartella al contribuente" non oltre il giorno 5 del mese successivo a quello nel corso del quale il ruolo gli fosse stato consegnato. Il D.Lgs. n. 46/1999 – all’art. 11, con decorrenza 1° Luglio 1999 – modificava il citato art. 25 ampliando il termine concesso all’esattore per la notifica della cartella "entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo. Con il D.Lgs. n. 193/2001 con effetti dal 29/6/2001 veniva soppresso il termine concesso all’esattore per la notifica della cartella. La Corte Costituzionale, già intervenuta con due ordinanze, dichiarava illegittima la modifica dell’art. 25 disposta con il D.Lgs. n. 193/2001 e demandava al legislatore il compito di determinare con certezza il termine entro il quale la pretesa erariale ex art. 36 bis D.P.R. n. 600/73 dovesse essere resa nota al contribuente (sentenza n. 280/2005). Il legislatore ha realizzato l’atteso intervento con il D.Lgs. n. 106/2005, convertito con modificazioni con la legge n. 156/2005, con il cui art. 1, comma 5bis, aggiunto dalla legge di conversione, è stato stabilito: "Al fine di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l’interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di pagamento è effettuata, a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 2004; b) entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003; c) entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001. Il successivo comma 5ter ha abrogato l’art. 17 del D.P.R. n. 602/73; ha modificato il comma 1 dell’art. 25 del medesimo decreto, imponendo al concessionario di notificare al contribuente la cartella di pagamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre; ed ha modificato il comma 2 dell’art. 36 del D.Lgs. n. 46/1999, il quale nella nuova formulazione recita; "In deroga all’art. 25, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 602/73, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo delle dichiarazioni, la cartella di pagamento è notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre: a) ……….. b) del QUARTO anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, relativamente alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003. Nel caso in esame trattasi di tributi relativi all’anno d’imposta 2001 – dichiarazione presentata nell’anno 2002 e la notifica della cartella è avvenuta il 9/11/2005, vale a dire entro il quarto anno dalla presentazione della dichiarazione, da cui discende che la noti- fica è da ritenersi tempestiva. In fine è da precisare che non attiene alla competenza di questa Commissione l’eventuale azione di responsabilità che potrebbe insorgere tra l’Ente impositore ed il Concessionario della riscossione, essendo devoluto a questo decidente il solo rapporto tra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente. La complessità della materia risolta mediante intervento legislativo seguito ad interventi della Corte Costituzionale ed al formarsi di dottrina e giurisprudenza della Corte di Cassazione giustifica la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. La Commissione rigetta l’appello della società contribuente. Spese compensate. 79