Nomi / Names Betsy Rymes I nomi propri sono spesso considerati delle semplici etichette arbitrarie usate per far riferimento a singoli individui o luoghi. Da un punto di vista antropologico, tuttavia, i nomi propri ed i loro significati sono inseparabili dal contesto sociale e storico; per questa ragione gli antropologi del linguaggio, interessati alla natura intrinsecamente legata al contesto della lingua in generale, quando affrontano il problema dei nomi vanno in cerca della funzione da essi svolta in società diverse. In un’ottica antropologica dunque, i nomi non sono soltanto etichette arbitrarie: infatti il modo in cui ci vengono assegnati, chi li pronuncia, come sono usati e in quale contesto costituiscono altrettanti aspetti indistinguibili dall’identità sociale di un essere umano. Una delle ragioni che fanno dei nomi propri degli efficaci contrassegni di identità sociale è il fatto che la loro legittimità dipende da una storia sociale. Il modo più comune con cui i nomi sono connessi ad una particolare storia sociale è tramite l’evento in cui vengono dati. I filosofi del linguaggio hanno analizzato questi “eventi di battesimo” come dei legami che collegano arbitrariamente un’etichetta ad un individuo. Da un certo punto di vista, si tratta di un semplice fenomeno pragmatico di fissazione del riferimento; ma ad un diverso livello, comunque, bisogna tener conto delle condizioni istituzionali e sociali che legittimano un evento simile dato che il battesimo, ovvero l’atto di nominazione, è valido solo entro determinati contesti. Proprio come le promesse di matrimonio possono essere onorate solo da quanti agiscono nel pieno rispetto della cerimonia, così alcuni nomi possono esser considerati legittimi solo NOMI / NAMES 229 per chi rispetti la loro particolare procedura di assegnazione o evento “battesimale”. I battesimi del resto assumono le forme più varie e non si limitano a quella, di carattere religioso ed alla quale siamo più avvezzi, dell’aspersione o immersione in acqua: ad esempio a Los Angeles i nuovi membri di una “gang” ottengono il loro soprannome attraverso una particolare cerimonia detta jumping in durante la quale sono duramente percossi dai membri della loro nuova “famiglia”. Il nome non è ritenuto legittimo finché l’individuo non ha preso parte alla cerimonia ed ogni tentativo di utilizzarlo prima che questa cerimonia abbia avuto luogo sarebbe inefficace o addirittura degno di punizione, almeno nel contesto della banda: il passaggio del rito di ingresso giunge a conferma della tenacia e della capacità di resistere al dolore fisico da parte del nuovo membro della banda – sancendo il suo esser degno del nuovo nome assegnatogli. Pertanto l’evento battesimale non si limita a fissare il referente di un nome, ma costituisce anche il riflesso di alcune credenze e valori. I nomi tuttavia hanno una storia sociale ancor prima di esser parte di un qualunque evento battesimale. Quest’associazione originaria può contribuire a chiarire, fra l’altro, i rapporti dell’individuo con i membri della famiglia o, nel caso dei nomi musulmani, con Dio o le sue qualità: proprio come in una cerimonia di battesimo, infatti, la storia del nome porta alla luce i valori della comunità. Tradizionalmente, i nomi musulmani africani come Abdallah (Servo di Dio) sono costruiti in modo tale da menzionare sempre un particolare aspetto di Dio o alludere alla devozione nei suoi confronti; la prevalente presenza di Dio nei nomi musulmani è il riflesso delle loro credenze relative all’importanza che Dio riveste nell’interazione quotidiana. Ma negli Stati Uniti quegli stessi nomi musulmani d’origine africana assumono un altro ruolo: essi creano una vera e propria identità sociale, dato che le persone li assumono per rimarcare le proprie radici africane. Malcom Little divenne così Malcom X, poi Malcom X Shabazz e infine, dopo un pellegrinaggio in Africa, El-Hajj Malik El-Shabazz. Tutti questi cambiamenti di nome non sarebbero affatto necessari se i nomi fossero solo etichette importanti a livello pragmatico; 230 BETSY RYMES ma per chi li vive, i cambiamenti sono tramite di importanti messaggi relativi all’identità culturale e religiosa. Lungi dall’essere etichette arbitrarie, questi nomi celano un significato il cui fondamento risiede nella comunità che compie l’atto di nominazione (oltre che nelle sue conoscenze e credenze condivise). Nonostante ogni evento battesimale svolga la funzione di fissazione del riferimento, dunque, un nome non assegna un’identità indelebile ad un individuo. Come nel caso di Malcom X, durante la propria vita la gente riceve molti nomi e può addirittura far uso di nomi diversi in situazioni diverse. Il proliferare di nomi propri assegnati ad un’unica persona è allora riflesso della molteplicità dei sé presenti all’interno di un “individuo”, e ciascuno di questi aspetti può venire alla luce in determinati contesti. Perciò i cambiamenti di nome facilitano la creazione di identità diverse nel tempo e nel passaggio dall’uno all’altro contesto, a volte addirittura producendole essi stessi, come nel caso descritto da Clifford Geertz dei nisba, nomi usati nella società marocchina che variano in base al contesto. Si tratta di nomi che identificano fra l’altro il paese, la città o la famiglia dell’individuo che li porta, ma cambiano a seconda di quale tratto risulta più utile o pertinente in una situazione data: se ad esempio un individuo si trova nella propria città natale, costui potrebbe non utilizzare il nome che la identifica ma sostituirlo con un altro nome, più specifico. Anche il nisba che identifica l’etnia di qualcuno cambia a seconda del contesto, e pertinentizza di volta in volta un determinato aspetto generico di un’identità marocchina; a loro volta, gli individui possono esercitare un controllo sull’aspetto della propria identità personale da portare alla luce, scegliendo di usare un determinato nome per fare riferimento a se stessi. Scegliere uno specifico nisba infine può anche servire a creare un contesto, restringendo o ampliando il quadro di riferimento pertinente. Dal momento che i nomi possono creare tanto un’identità quanto un contesto, usare il nome proprio di qualcuno significa compiere un atto potente, almeno in linea di principio. Così gli americani identificano lo stereotipo del venditore intraprendente, che aggiunge il nome di battesimo NOMI / NAMES 231 del cliente dopo ogni frase con cui presenta la merce in vendita; ma in questo caso il venditore non tenta di usare il potere del nominare per creare un rapporto di vera e propria vicinanza e cordialità ma per realizzare i propri fini egoistici (realizzare una vendita). Allo stesso modo, la rappresentazione de “l’uomo bianco” elaborata dagli apache è caratterizzata fra l’altro dal frequente uso di nomi propri che ricorda un po’ quello del venditore intraprendente: per gli apache tuttavia questa rappresentazione deve comunicare la mancanza di riverenza dell’uomo bianco nei riguardi del potere delle persone, nascosto dietro i loro nomi ed i molteplici nessi cui l’uso dei nomi fa appello. Anche i malgasci del Madagascar riconoscono il potere dei nomi degli individui, e li utilizzano con estrema prudenza tanto che preferiscono evitare del tutto l’uso dei nomi di battesimo. Perciò assegnano un nuovo nome ai neonati subito dopo aver imposto loro i nomi di battesimo, perché credono che altrimenti spiriti ancestrali maligni potrebbero facilmente udire per caso il nome di una persona e usarlo per sottrarre la vita al bambino che lo porta. Le loro credenze riguardo all’uso dei nomi da parte di forze ancestrali inducono i malgasci a cambiare il proprio nome così tante volte da sovvertirne il fine referenziale pragmatico; è stato perciò necessario approvare una legge nazionale, che limita a sette il numero di possibili cambi di nome, per porre un freno alla confusione insorta. Ovviamente le credenze relative al potere dei nomi variano da una comunità all’altra; anche il loro potere di definire individui e contesti cambia nel tempo, ed è negoziato in occasione di ciascun atto di imposizione del nome. Del resto il potere che un nome ha di ferire o fare del male a qualcuno può nascere anche da strutture di potere preesistenti. Tornando all’esempio dei soprannomi caratteristici delle gang è facile constatare come un simile soprannome, usato da uno studente al posto del proprio nome di battesimo e scritto a penna su di un pezzo di carta, può avere effetti diversi su quell’individuo a seconda di dove egli ne fa uso, e con chi. Un professore potrà vedervi un atto di sfida, e usarlo per espellere uno studente da scuola; ma quello stesso nome scritto su pezzo di carta potrà esser considerato da un poli- 232 BETSY RYMES ziotto come una prova sufficiente a un arresto. Fra membri della gang, infine, l’uso di un certo nome può scoraggiare dal compiere atti violenti o suscitarne. Qual è il significato che si può legittimamente attribuire al nome? Chi fa un uso legittimo del nome? Quali sono gli effetti dell’atto di imposizione del nome? Le risposte a tutte queste domande sono in parte determinate da rapporti di potere; il potente ed efficace significato che gli altri attribuiscono al nome di un individuo può così decidere, ad esempio, se un giovane membro di una gang di Los Angeles sarà considerato un compagno leale, espulso da scuola o spedito in prigione. Perciò i nomi, anche se associati a un singolo individuo, sono carichi di storia e potere eminentemente sociali, e nelle mani di altri sono facilmente manipolabili. In qualunque società la gente esercita un attento controllo sul modo in cui i nomi vengono usati, su chi li usa e in quale contesto; un nome proprio allora non è solo un utile etichetta ma un ricettacolo di significati, pratiche e credenze accumulatesi nel tempo, un potente mezzo linguistico per affermare la propria identità (o definire quella di qualcun altro) e la capacità di vivere in un universo sociale. (Cfr. anche identità, individuo, narrativa, potere, preghiera, relatività, spazio). Bibliografia Basso, Keith H., 1979, Portraits of “the Whiteman”: Linguistic Play and Cultural Symbols among the Western Apache, Cambridge-New York, Cambridge University Press. Geertz, Clifford, 1983, Local Knowledge: Further Essays in Interpretive Anthropology, New York, Basic Books; trad. it. 1988, Antropologia interpretativa, Bologna, Il Mulino. Keenan, Elinor Ochs, 1976, The Universality of Conversational Postulates, «Language in Society», 5, pp. 67-80. 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