Rassegna di giurisprudenza sul procedimento amministrativo

Rassegna di giurisprudenza sul procedimento amministrativo
L’allegata rassegna contiene alcune tra le più significative e recenti pronunce del
giudice amministrativo in ordine agli istituti disciplinati dalla legge n. 241/90, nel
testo novellato ed integrato dalla l. n. 15/05 e dalla l. n. 80/05..
Le decisioni sono raggruppate, organicamente, per materie o temi.
Delle stesse si riportano sono le massime (salvo alcuni casi in cui è citata anche la
fattispecie di riferimento).
In via esemplificativa, l’ordine di trattazione degli argomenti è il seguente.
1.
Sull’interpretazione degli atti amministrativi e sull’irrilevanza del nomen
iuris attribuito dall’Amministrazione procedente
2.
Sull’obbligo di provvedere (e sull’irrilevanza della nota interlocutoria)
3.
Sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti (sufficienza del punteggio
numerico, motivazione specifica, integrazione della motivazione)
4.
Sulla comunicazione di avvio del procedimento (funzione ed ambito di
applicazione)
5.
Sulla portata della sanatoria ex art. 21 octies
6.
Sui provvedimenti di secondo grado (distinzione tra annullamento e
revoca; presupposti per l’adozione degli atti di autotutela; sugli atti
confermativi)
7.
Sull’art. 10 bis della legge n. 241/90 (portata dell’istituto, applicazione ai
procedimenti in corso)
8.
Sulla d.i.a. (natura giuridica e natura del termine per provvedere)
9.
Sull’accesso ai documenti amministrativi (rapporti tra legge n. 241/90 e
TUEL; sui presupposti per l’accesso; sul concetto di documento
amministrativo; sul rapporto con la riservatezza; sul rapporto con il diritto
d’autore; sull’accesso dei consiglieri comunali)
1
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 11 marzo 2005, n. 1023 - Pres. Iannotta,
Est. Carlotti
1. Atto amministrativo - Interpretazione - Fonti richiamate nel preambolo del
provvedimento - Non hanno rilievo essenziale, potendo essere il richiamo
erroneo - Interpretazione sostanziale del provvedimento - Necessità.
1. Per stabilire la disciplina applicabile ai provvedimenti amministrativi, gli
interpreti – e, tra questi, soprattutto il giudice, tenuto per presunzione di legge a
conoscere ed a rinvenire autonomamente tutti i formanti normativi interferenti
con le controversie sottoposte al suo sindacato - non devono limitarsi a
considerare soltanto le fonti espressamente menzionate nei provvedimenti
stessi, dal momento che tali richiami possono talora rivelarsi erronei od
incompleti e, finanche, mancare del tutto, senza che siffatta omissione integri
necessariamente un vizio d’illegittimità (almeno nei casi in cui l’irregolarità in
parola non impedisca comunque l’univoca individuazione della disposizione in
concreto applicata dalla p.a.). Quel che rileva, ai fini dell’adozione di un valido
provvedimento, è piuttosto la legalità sostanziale di esso e non già la mera
elencazione
della
base
legislativa
recata
dal
preambolo:
invero
l’amministrazione ha sempre il dovere di verificare che l’atto, di volta in volta
emanato, si conformi puntualmente alle vigenti prescrizioni dell’ordinamento
giuridico.
TAR VENETO SEZ. I - sentenza 21 febbraio 2005, n. 723 - Pres. Amoroso, Est.
Franco (sull’insufficienza di una nota con la quale si preannuncia l’adozione di
provvedimenti per far venir meno l’obbligo della P.A. di pronunciarsi sull’istanza
e sulla possibilità di accertare l’obbligo stesso in concreto nel caso attività
vincolata).
1. Silenzio della P.A. - Silenzio-rifiuto - Obbligo della P.A. di pronunciarsi
sull’istanza - Nel caso in cui l’attività richiesta sia di tipo vincolato - Può
pronunciarsi
anche
in
concreto
Fattispecie.
2. Silenzio della P.A. - Silenzio-rifiuto - Obbligo di provvedere - Nota della P.A.
con la quale si preannuncia l’adozione di provvedimenti - Senza l’indicazione di
alcun atto di impulso o di adozione di atti concreti - Non fa venire meno l’obbligo
della P.A. di pronunciarsi sull’istanza e non preclude l’annullamento del silenziorifiuto - Fattispecie.
2. Nel caso di presentazione di una istanza con la quale, a seguito della
decadenza dei vincoli, i proprietari hanno chiesto di dare al terreno una
destinazione urbanistica, non può precludere l’annullamento del silenzio rifiuto
successivamente formatosi su tale istanza, una nota con cui il Comune ha
preannunciato l’adozione di una variante allo strumento urbanistico preordinata,
tra l’altro, a dare una nuova disciplina urbanistica all’area, nel caso in cui la nota
non rechi alcuna indicazione dell’emissione di atti concreti, nemmeno di
iniziativa o di impulso, volti all’adozione della variante; in tale ipotesi, infatti, la
nota in questione è da considerare come un mero flatus vocis, ovvero come una
mera manifestazione di intenti, piuttosto che come provvedimento che non
definisce la pratica. Come tale, la stessa può anche interpretarsi,
oggettivamente, come atto elusivo dell’obbligo di pronuncia esplicita sull’istanza
in questione.
2
Alla stregua del principio, nella specie, il T.A.R. Veneto, nell’annullare un silenzio rifiuto
formatosi su di una istanza con la quale i proprietari di un terreno - a seguito della decadenza
dei vincoli - avevano chiesto al Comune di attribuire una destinazione urbanistica al terreno
stesso, ha annullato il silenzio stesso affermando l’obbligo di dare al terreno in discussione una
disciplina urbanistica appropriata, rimanendo, ovviamente, nella discrezionalità del Comune
margini di apprezzamento circa la concreta disciplina da adottare in una corretta logica di
pianificazione, purché essa non si presenti come reiterativa del vincolo espropriativo
preesistente.
3
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV - sentenza 5 agosto 2005, n. 4165 - Pres. Riccio,
Est. Cacace (sulla sufficienza della valutazione in forma numerica delle prove di
concorso e sulla necessità di motivazione solo nel caso di discrezionalità
amministrativa e non già nel caso di discrezionalità tecnica).
6. Concorso - Prove scritte - Valutazione - In forma numerica - Successivamente
all’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 - Sufficienza - Ragioni.
7. Concorso - Prove scritte - Valutazioni compiute dalla Commissione di esame –
Natura giuridica - Individuazione - Conseguenze.
8. Atto amministrativo - Motivazione - Necessità - Sussiste solo nel caso di
discrezionalità amministrativa - Non sussiste nel caso di discrezionalità tecnica Ragioni.
6. Anche successivamente all’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241,
il voto numerico attribuito dalle commissioni alle prove scritte o orali di un
concorso pubblico o di un esame di abilitazione è da ritenere sufficiente,
esprimendo e sintetizzando il giudizio tecnico-discrezionale della commissione
stessa, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori
spiegazioni e chiarimenti (7); la motivazione espressa numericamente, oltre a
rispondere ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa di
valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni di
merito compiute dalla commissione e del potere amministrativo da quest’ultima
espletato.
7. Le valutazioni delle prove di esame da parte delle commissioni esaminatrici di
concorsi a pubblici impieghi sono espressione dell’ampia discrezionalità tecnica
di cui esse dispongono nello stabilire l’idoneità tecnica e culturale dei candidati,
il cui esercizio è da ritenere sindacabile soltanto sotto il profilo dell’eccesso di
potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e palese disparità di
trattamento.
8. La motivazione, quale estrinsecazione delle ragioni che hanno condotto
l’Amministrazione ad operare una determinata scelta, è vicenda che trova
applicazione in ogni caso in cui l’Amministrazione deve decidere in base a
discrezionalità amministrativa, per dare conto di come ha deciso di ottimizzare
l’interesse pubblico sottostante a tale scelta, mentre non vi è alcun bisogno di
motivazione allorquando l’Amministrazione esprime un giudizio di valore e si
versa, pertanto, nell’ambito della cosiddetta "discrezionalità tecnica", non
essendovi in tal caso da spiegare il perché di una scelta rispetto ad un’altra, ma
soltanto da attribuire un giudizio, frutto di valutazioni discendenti da scienze o
tecniche.
Ha aggiunto la Sez. IV che le valutazioni compiute dalla Commissione di esame sono
espressioni di giudizio e non atti provvedimentali, ed in quanto tale non sono ricompresi nelle
previsioni dell'art. 3 della legge n. 241/90, ed i punteggi numerici sono espressamente previsti
dalla legge regolatrice dell'esame di avvocato (art. 17 bis R.D.L. 22 gennaio 1984, n. 37).
Ha precisato la Sez. IV che il difforme orientamento, assunto di recente dalla VI sezione del
Consiglio di Stato, secondo cui il voto numerico sarebbe insufficiente quale motivazione delle
prove di esame, non era applicabile nella specie, trattandosi di decisioni (v., in particolare, 30
aprile 2003, n. 2331; ma vedasi anche la n. 4409 del 2004 e la n. 558 del 2004) determinate
dalla "peculiarità della procedura selettiva". Ciò esclude, ad avviso della Sez. IV, che si sia in
presenza di un orientamento effettivamente a carattere generale ed innovativo sul tema.
In ogni caso, sempre secondo la Sez. IV, tale orientamento non poteva trovare applicazione nel
caso di specie, che riguardava un esame di abilitazione e non già una procedura selettiva ed in
cui manca quindi una valutazione comparativa dei candidati (nella specie peraltro non
risultavano puntualmente contestati neppure i criteri di massima, fissati dalla Commissione).
4
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 8 marzo 2005, n. 944 - Pres. ff. Farina,
Est. Cerreto (sulla sussistenza di un obbligo di motivazione per i provvedimenti di
revoca di un assessore da parte del Sindaco o del Presidente della Provincia e
sui casi in cui tale obbligo deve ritenersi assolto).
1. Comune e Provincia – Assessori - Revoca da parte del Sindaco o del
Presidente della Provincia - Ex art. 46, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 - Obbligo di
motivazione - Sussiste.
2. Comune e Provincia - Assessori - Revoca da parte del Sindaco o del Presidente
della Provincia - Ex art. 46, comma 4, d.lgs. n. 267/2000 - Motivazione Riferimento alla posizione non collaborativa assunta dall’Assessore nei confronti
della Giunta - Sufficienza - Ragioni.
1. Il provvedimento di revoca di assessori comunali e provinciali, adottato ai
sensi dell'art. 46, comma 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, pur rientrando
nell'ampia discrezionalità del sindaco o del presidente della Provincia, deve
essere adeguatamente motivato, sussistendo il dovere di giustificare l’esercizio
del relativo potere, che non può certamente essere arbitrario, dovendo essere
rivolto a curare gli interessi della comunità locale secondo il programma politicoamministrativo sulla cui base è intervenuto il voto popolare (2).
2. L’obbligo di motivazione del provvedimento di revoca dell’incarico di un
singolo assessore può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politicoamministrative, rimesse in via esclusiva al sindaco o al presidente della
provincia, tenendo conto sia di esigenze di carattere generale, quali ad es.
rapporti con l’opposizione o rapporti interni alla maggioranza consiliare, sia di
particolari esigenze di maggiore operosità ed efficienza di specifici settori
dell’amministrazione locale o per l’affievolirsi del rapporto fiduciario tra il capo
dell’amministrazione e singolo assessore. In particolare, tale obbligo di
motivazione deve ritenersi assolto nel caso in cui nel provvedimento di revoca
venga sottolineata la posizione non collaborativa assunta dall’assessore nei
confronti della giunta, senza l’apporto di alcun contributo propositivo sul
programma della maggioranza.
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CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV - sentenza 5 agosto 2005, n. 4166 - Pres. Riccio,
Est. Anastasi (abbandonando il tralaticio orientamento secondo cui - tranne i casi
di affidamento qualificato - l’adozione di una variante non necessita di specifica
motivazione, afferma che occorre in ogni caso una indicazione congrua delle
diverse esigenze che la variante ha inteso affrontare).
4. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Variante generale Adozione - Scelte effettuate dall’amministrazione comunale - Obbligo di
puntuale motivazione - Casi in cui occorre - Individuazione.
5. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Variante generale Adozione - Obbligo di motivazione delle singole scelte - In genere non occorre Indicazione de indicazione congrua delle diverse esigenze che la variante ha
inteso affrontare - Occorre.
6. Edilizia ed urbanistica - Piano regolatore generale - Variante generale Adozione - Nel caso di motivazione generica e priva di elementi concreti
afferenti la nuova visione del territorio - - Illegittimità per difetto di motivazione
- Sussiste.
4. In linea generale, la variante di un piano regolatore che conferisce nuova
destinazione ad aree che risultano già urbanisticamente classificate necessita di
apposita motivazione solo quando le classificazioni preesistenti siano assistite
da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di
contenuto concreto, nel senso che deve trattarsi di scelte che incidano su
specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione
approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia
o dalla reiterazione di un vincolo scaduto.
5. L'adozione di una variante che conferisce nuova destinazione ad aree che
risultano già urbanisticamente classificate, anche se non comporta l’obbligo per
il Comune di fornire una motivazione specifica ed analitica per le singole zone
innovate in sede di adozione di una variante al piano regolatore generale,
comporta tuttavia la necessità di una congrua indicazione in ordine alle esigenze
che si sono dovute conciliare ed alla coerenza delle soluzioni predisposte con i
criteri tecnico urbanistici stabiliti per la formazione del piano regolatore. In altri
termini, alla facoltà del Comune di modificare discrezionalmente le precedenti
previsioni urbanistiche senza specifica motivazione, corrisponde la necessità di
una indicazione congrua delle diverse esigenze che la variante ha inteso
affrontare, in un contesto di tendenziale coerenza tra le soluzioni innovative
predisposte ed i criteri di ordine tecnico-urbanistico stabiliti per la formazione
dello strumento.
6. E’ illegittima, per difetto di motivazione, una variante generale al piano
regolatore generale, nel caso in cui, con la definitiva approvazione di tale
variante, si sia pervenuti al sostanziale sovvertimento della disciplina
urbanistica esistente per alcune zone del territorio, sulla base di motivazioni così
generiche e polivalenti, da risultare sostanzialmente apodittiche e senza
individuare – nemmeno in termini di mera allegazione – gli elementi concreti che
supportano la nuova visione del territorio cui si è ispirata l’Amministrazione
comunale.
6
TAR CAMPANIA - SALERNO SEZ. I - sentenza 4 maggio 2005, n. 760 - Pres.
Fedullo, Est. Sabbato (ritiene che, a seguito dell’art. 21 octies, 2° comma, della L.
n. 241/90, introdotto dalla L. n. 15/2005, sia definitivamente venuto meno il
divieto per la P.A. di integrare la motivazione nel corso del giudizio)
1. Atto amministrativo – Motivazione - Integrazione della motivazione nel corso
del giudizio - A seguito dell’art. 21 octies, 2° comma, della L. 7 agosto 1990, n.
241, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 – Possibilità - Sussiste.
1. Ai sensi dell’art. 21 octies, 2° comma, della L. 7 agosto 1990, n. 241,
introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 è ormai da escludersi ogni patologica
ricaduta dei vizi attinenti alla forma degli atti amministrativi o a violazioni
procedimentali. Tale innovativa norma, unitamente al principio (già da tempo
affermato) secondo cui anche dall’esercizio dell’attività provvedimentale della
p.a. possono scaturire illeciti risarcibili ex art. 2043 c.c., deve far ritenere ormai
ribaltato il tradizionale principio del cd. divieto di motivazione postuma e
consente all’Amministrazione intimata di precisare, nel corso del giudizio, le
ragioni che hanno indotto alla sfavorevole determinazione di cui all’atto
impugnato, salva la possibilità per l’interessato di proporre, avverso il
provvedimento integrativo, ricorso per motivi aggiunti.
7
TAR BASILICATA - POTENZA - sentenza 15 marzo 2005, n. 139 - Pres. ff. Pennetti,
Est. Buscicchio (sull’illegittimità di un provvedimento adottato a distanza di
pochissimi giorni dalla data di comunicazione dell’avvio del procedimento).
2. Atto amministrativo - Procedimento - Conclusione - A distanza di pochissimo
tempo (nella specie, 3 giorni) dalla data di invio della comunicazione di avvio Illegittimità - Ragioni.
2. La comunicazione dell’avvio del procedimento è preordinata, secondo la
lettera e la ratio della legge, a consentire al destinatario non solo di prendere
visione degli atti del procedimento, ma anche, e soprattutto, di "…presentare
memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove
siano pertinenti all’oggetto del procedimento" (art. 10, lett. b, L. 241/90); è
pertanto illegittimo un provvedimento adottato a soli tre giorni dalla
comunicazione di avvio del procedimento, senza attendere l’arrivo di eventuali
memorie da parte dei destinatari del provvedimento finale, potendo il
provvedimento essere legittimamente adottato solo dopo il decorso un lasso di
tempo necessario a consentire non soltanto la presa visione degli atti, ma anche
la presentazione di eventuali memorie che sarebbe stato necessario valutare.
8
TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. II - sentenza 29 aprile 2005, n. 5226 - Pres.
Onorato, Est. Pappalardo (sulla necessità della comunicazione di avvio del
procedimento anche nel caso di procedimenti semplici tendenti all’adozione di
atti vincolati ed in particolare di ordinanza di demolizione di opere abusive e sui
presupposti per l’applicazione della sanatoria ex art. 21 octies della L. n.
241/90, introdotto dalla L. n. 15/05)
1. Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990 - Necessità - Sussiste anche nel caso di procedimenti semplici,
che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale.
2. Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990 - Obbligo - Ha carattere generale - Cause di esclusione - Sono
tassative - Esenzione nel caso di dimostrazione in giudizio che il provvedimento
adottato non avrebbe potuto essere diverso.
3. Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990 - Necessità - Sussiste anche nella ipotesi di provvedimenti a
contenuto totalmente vincolato che presuppongono accertamenti complessi.
4. Edilizia ed urbanistica - Abusi edilizi - Ordinanza di demolizione - Preventiva
comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Sussiste - Mancanza Illegittimità.
5. Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990 - Omissione - Sanatoria prevista dall’art. art. 21 octies, 2°
comma, della L. n. 241 del 1990, introdotto dalla legge 15/2005 - Applicabilità
sia nella ipotesi di ipotesi di atto vincolato che di atto discrezionale - Onere della
prova - Incombe sulla P.A. - Mancata prova - Inapplicabilità della sanatoria.
1. La necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari
dell’atto finale è stata prevista in generale dall’art. 7 della L. n. 241/1990 non
soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria,
costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici
che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque
comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
2. L’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento ha portata
generale, com’è confermato dal fatto che il legislatore (v. l'art 7, 1° comma e
l'art. 13 della L. 241/90) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe
(speciali esigenze di celerità , atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e
di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima
garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua
superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere
diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità.
3. Sussiste l'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento anche nella ipotesi di
provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, atteso che la pretesa
partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei
presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione
amministrativa. Invero, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o
giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di
rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla
norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle
proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede
giudiziaria. In definitiva, quello che rileva è la complessità dell’accertamento da
effettuare.
9
4. E’ illegittima l’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva che sia stata
adottata senza dare all’interessato apposito avviso di inizio del procedimento ai
sensi dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990.
5. La sanatoria prevista dall’art. 21 octies, 2° comma, della L. n. 241 del 1990,
introdotto dalla legge 15/2005, per ciò che concerne la violazione
procedimentale dell’articolo 7 della stessa legge, è applicabile tanto alla ipotesi
di atto vincolato che a quella di atto discrezionale; tale sanatoria, nel prevedere
che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato, così superando la censura di carattere formale, addossa il relativo
onere probatorio all’Amministrazione; onde la sanatoria stessa non è applicabile
nel caso in cui l’Amministrazione, costituitasi in giudizio, non abbia evidenziato
alcun elemento probatorio in tal senso.
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CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE - sentenza 30 marzo 2005, n. 6643 Pres. Carbone, Rel. Vitrone (sulla necessità o meno di un nuovo avviso del
procedimento nel caso in cui, durante il procedimento di espropriazione per p.u.,
una parte dell’area interessata sia stata alienata a terzi).
Espropriazione per p.u. - Procedimento ablatorio - Comunicazione di avvio del
procedimento - Notifica agli intestatari del fondo - Sufficienza - Nuova
comunicazione - Nel caso di alienazione del fondo nelle more della conclusione
del procedimento - Non occorre.
La comunicazione dell'avvio del procedimento di espropriazione per pubblica
utilità (nella specie finalizzato alla realizzazione di un'opera idraulica) effettuata
nei confronti dei soggetti che risultino intestatari dei fondi destinati alla
realizzazione dell'opera pubblica spiega i suoi effetti anche nei confronti del
soggetto che, nelle more dalla procedura espropriativa, abbia acquistato parte
del fondo espropriando dall'originario intestatario dell'area; deve infatti ritenersi
che il procedimento di espropriazione per pubblica utilità sia legittimamente
intrapreso nei confronti dei soggetti che risultino intestatari dei fondi destinati
alla realizzazione dell'opera pubblica, sicchè il trasferimento dell'area
esproprianda o di parte di essa non comporta l'inizio di un nuovo autonomo
procedimento di espropriazione nei confronti del successore a titolo particolare
del titolare originario, essendo richiesta la prova del diritto di proprietà solo agli
effetti del pagamento dell'indennità di espropriazione (art. 12, comma 4, della
legge 22 ottobre 1971, n. 865).
11
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV - sentenza 9 agosto 2005, n. 4239 - Pres. Venturini,
Est. Scola (sull’illegittimità di un provvedimento interdittivo dell’esercizio di una
attività commerciale non preceduto da apposta comunicazione di avvio del
procedimento).
Atto amministrativo - Procedimento - Comunicazione di avvio - Ex artt. 7 e segg.
L. n. 241 del 1990 – Nel caso di divieto, da parte della P.A., di svolgimento di
attività commerciale - Necessità - Sussiste - Omissione - Illegittimità.
E’ illegittimo il provvedimento con cui la P.A. dispone il divieto di svolgimento di
un’attività commerciale in atto (nella specie, attività di esercizio di deposito
libero di olii lubrificanti combustibili e di carburanti), nel caso in cui esso non sia
stato preceduto dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento
amministrativo ex artt. 7 e segg. L. n. 241 del 1990. L’omissione di tale
comunicazione, infatti, non può non viziare il provvedimento amministrativo
finale, atteso che, dato un lato, il destinatario di tale provvedimento non ha
potuto interloquire nel contraddittorio afferente il procedimento amministrativo
correlato (che, nella specie, pur l’avrebbe visto direttamente interessato, in
quanto titolare della discussa attività commerciale), e, dall’altro, le norme sulla
partecipazione al procedimento amministrativo sono norme di principio, senza
dubbio applicabili in tutti i casi in cui non ostino motivi d’urgenza - comunque da
esplicitarsi.
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TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. II - sentenza 3 maggio 2004, n. 7749 - Pres. De
Leo, Est. Maddalena. (sull’illegittimità di un provvedimento di revoca della
concessione di suolo pubblico non preceduto da avviso di inizio del
procedimento).
Atto amministrativo – Procedimento – Comunicazione di avvio – Nel caso di
provvedimento di revoca di un precedente provvedimento (nella specie,
concessione per l’occupazione di suolo pubblico) – Necessità – Sussiste –
Mancanza – Illegittimità - Fattispecie.
La comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo deve essere
inviata ogni qualvolta la p.a. intenda adottare un procedimento di secondo
grado, ossia di annullamento, di revoca o di decadenza di una propria
precedente statuizione e può essere omessa solo quando vi siano esigenze
particolari di celerità che l'impongano, oppure quando all'interessato sia stato
comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a suo favore. E’ in
particolare illegittimo un provvedimento di revoca di una concessione di
occupazione di suolo pubblico, nel caso in cui detto provvedimento sia stato
adottato dalla P.A. in assenza della preventiva comunicazione di avvio del
relativo procedimento amministrativo.
Giurisprudenza ormai costante.
13
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - Sentenza 15 ottobre 2003, n. 6316 - Pres.
Frascione, Est. Corradino (sull’utilizzo in senso atecnico da parte della "pratica
amministrativa" del termine "revoca" e sulla necessità – al di là del nomen juris
attribuito dalla P.A. – di verificare in concreto la volontà espressa con l'atto).
1. Atto amministrativo – Interpretazione – Nomen juris impiegato – Irrilevanza
ex se – Esatta volontà espressa dall’amministrazione – Rilevanza.
2. Atto amministrativo – Atti di ritiro – Annullamento d’ufficio e revoca –
Differenze – Utilizzo da parte della pratica amministrativa del termine "revoca"
per qualificare genericamente un atto di ritiro – Non può essere rilevante ai fini
della qualificazione dell’atto - Fattispecie.
1. L’atto amministrativo va qualificato per il suo effettivo contenuto, per quanto
effettivamente dispone, non già per la sola qualificazione che l’autorità,
nell’emanarlo, eventualmente ed espressamente gli conferisca.
2. La distinzione tra revoca d’ufficio di un atto amministrativo (eliminazione per
ragioni di merito, cioè di convenienza ed opportunità) ed annullamento d’ufficio
(eliminazione dell’atto per motivi di legittimità, e con efficacia ex tunc), sebbene
pacifica in dottrina ed in giurisprudenza, viene spesso trascurata nella pratica
amministrativa, per cui il termine revoca è frequentemente usato come sinonimo
di ritiro, e cioè di eliminazione dell’atto quali ne siano le ragioni, da parte della
stessa autorità emanante; tale qualificazione formale data all’atto non può
essere intesa in senso tecnico, dovendo comunque l’esatta portata del
provvedimento di eliminazione essere accertata caso per caso.
Alla stregua del principio nella specie, è stato ritenuto che quantunque l’atto fosse stato
qualificato come di revoca, era in realtà un annullamento d’ufficio con portata retroattiva.
A tale conclusione si è pervenuti non solo perchè l'atto in questione dava esecuzione ad una
decisione del Consiglio di Stato, ma soprattutto perchè dall’atto stesso emergeva
l’inequivocabile volontà dell’ente di non attribuire alcun effetto, fin dall’origine, alla delibera
oggetto del provvedimento di ritiro.
Ha osservato in proposito la Sez. V che il termine revoca si riferisce talora, nella pratica
dell’Amministrazione, all’annullamento ex nunc per fatti sopravvenuti, talora all’annullamento
ex tunc, salvi gli effetti irretrattabili, compiuto dalla stessa Autorità che aveva emanato il
provvedimento rivelatosi viziato, per ragioni già esistenti al tempo del primo provvedimento.
Occorre quindi verificare, al di là del nomen juris attribuito all’atto, quale sia stata la reale
volontà dell’amministrazione.
14
TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. IV - sentenza 1 aprile 2005, n. 3029 - Pres.
Monteleone, Est. D’Alessio (sul mancato annullamento di una concessione edilizia
illegittima, motivato con riferimento all’avvenuto consolidamento delle posizioni
giuridiche del titolare della concessione stessa).
Edilizia ed urbanistica - Concessione edilizia - Annullamento - Determinazione
dirigenziale con cui si dispone di non procedere all’annullamento - Motivazione
che fa riferimento all’avvenuto consolidamento delle posizioni giuridiche del
titolare della concessione, a causa del lungo tempo trascorso dal rilascio del
titolo edificatorio, e dello stato avanzato dei lavori - Legittimità - Ragioni.
E’ legittima una determinazione adottata dal dirigente l’ufficio tecnico di un ente
locale, con cui, nonostante l’accertata illegittimità di una concessione edilizia
rilasciata dal Comune, si dispone di non procedere all’annullamento in autotutela
della stessa, nel caso in cui detta determinazione sia motivata con riferimento
all’avvenuto consolidamento delle posizioni giuridiche del beneficiario della
concessione, a causa del lungo tempo trascorso dal rilascio del titolo
edificatorio, e dello stato avanzato dei lavori; in tal caso, infatti (cioè quando le
opere edilizie realizzate in virtù della concessione, hanno assunto una certa
consistenza), occorre, da parte della P.A., una adeguata considerazione anche
degli interessi privati che si intende sacrificare, rispetto all’interesse pubblico
correlato al mero ripristino della legalità violata.
Ha osservato, in particolare, il T.A.R. Campania che, per giurisprudenza pacifica, l'esercizio del
potere di autotutela da parte della Pubblica amministrazione richiede non solo l’esistenza di un
vizio dell’atto da rimuovere ma anche l'esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale
alla rimozione dell'atto, che non si identifica nel mero ripristino della legalità violata, e la sua
comparazione con gli interessi privati sacrificati quando, per effetto del provvedimento ritenuto
illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo.
E’ stato altresì rilevato che l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14
della legge 11 febbraio 2005, n. 15, ormai prevede che: "Il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni
di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge".
15
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 12 aprile 2005, n. 1645 - Pres. Santoro,
Est. Allegretta (sulla nozione di atto confermativo e sull’impossibilità di
considerare come meramente confermativo un atto adottato dopo una nuova
valutazione).
Atto amministrativo - Atto confermativo o no - Nozione - Individuazione - Atto
contenente una nuova valutazione - Non è confermativo - Fattispecie.
Va considerato come un atto meramente confermativo quello che, senza alcuna
nuova valutazione, richiama, ricordandone il contenuto, un precedente
provvedimento,
limitandosi
a
dichiarare
l’esistenza
del
pregresso
provvedimento, senza alcuna nuova istruttoria e senza alcun nuovo esame degli
elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza; non è, viceversa,
meramente confermativo l’atto adottato dall'amministrazione dopo una nuova
valutazione.
In applicazione del principio nella specie non è stato ritenuto meramente confermativo un
secondo atto di affidamento che risultava adottato a seguito di rinnovata valutazione degli
elementi di giudizio emersi dal confronto tra i concorrenti, della quale si dà conto con più
diffusa e puntuale motivazione, che tiene presenti anche i motivi di doglianza formulati con
l’atto introduttivo del giudizio.
16
TAR LAZIO - ROMA SEZ. III TER - sentenza 8 settembre 2005, n. 6618 - Pres.
Corsaro, Est. Dell’Utri (sull’applicabilità dell’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 15 del 2005 e sul
carattere assorbente della relativa censura).
1. Atto amministrativo - Procedimento - Procedimenti ad istanza di parte Preavviso di rigetto - Ex art. 10 bis L. 241 del 1990 - Applicabilità ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 15 del 2005.
2. Atto amministrativo - Procedimento - Procedimenti ad istanza di parte Preavviso di rigetto - Ex art. 10 bis L. 241 del 1990 - Violazione - Carattere
assorbente della censura - Annullamento dell’atto finale - Necessità.
1. L’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, il quale prevede per la P.A. l’obbligo di
inoltrare all’interessato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza, trova applicazione ai procedimenti non ancora conclusi al momento
dell’entrata in vigore della L. 15 del 2005, che ha introdotto tale norma.
2. La violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990, il quale prevede per la
P.A. l’obbligo di inoltrare all’interessato la comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza, ha carattere assorbente e comporta l’annullamento
del provvedimento conclusivo del procedimento.
17
TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. VII - sentenza 4 luglio 2005, n. 9368 - Pres.
Guerriero, Est. Monaciliuni (sull’illegittimità del diniego di rilascio di una
concessione senza il preavviso di diniego previsto dall’art. 10 bis L. n. 241 del
1990).
1. Atto amministrativo - Diniego di rilascio - Comunicazione delle ragioni
ostative - Ex art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 - Necessità - Mancanza Illegittimità.
2. Atto amministrativo - Vizi formali - Sanatoria ex art. 21 octies della L. n. 241
del 1990 - Nel caso in cui il provvedimento abbia natura non vincolata e la P.A.
non abbia provato in s.g. che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto
avere diverso contenuto - Inapplicabilità.
1. E’ illegittimo un provvedimento di diniego di rilascio di una concessione
demaniale marittima, nel caso in cui tale provvedimento non sia stato preceduto
dall'apposita comunicazione all'istante dei motivi ostativi al rilascio, prevista
dall’art. 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla L. 11 febbraio
2005 n. 15.
2. La sanatoria dei vizi formali del provvedimento amministrativo di cui all’art.
21 octies della L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005 n.
15, non può trovare applicazione ove si tratti di provvedimento di natura non
vincolata e la P.A. non abbia dimostrato in giudizio che il contenuto dispositivo
del provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso.
18
TAR LAZIO - ROMA SEZ. II BIS - sentenza 18 maggio 2005, n. 3921 - Pres. Giulia,
Est. Cogliani (annulla un diniego di permesso a costruire per omesso rispetto
dell'art. 10 bis della L. 241/1990 introdotto dalla L. n. 15/2005)
1. Edilizia ed urbanistica - Permesso di costruire - Diniego - Inosservanza da
parte della P.A. della disposizione normativa di cui al nuovo art. 10 bis della
legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge n. 15 del 2005 - Illegittimità Ragioni.
2. Edilizia ed urbanistica - Strumenti urbanistici attuativi - Sopravvenuta
inefficacia per scadenza del termine decennale - Disciplina urbanistica
applicabile - Individuazione.
1. E’ illegittimo il diniego di rilascio di un permesso di costruire nel caso in cui,
prima di esprimere detto diniego, l’Amministrazione non abbia osservato quanto
previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge n. 15
del 2005, secondo cui "nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del
procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un
provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che
ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal
ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per
iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti…"; in tal
caso, infatti, deve ritenersi che alla parte interessata sia stata sostanzialmente
preclusa la partecipazione al procedimento amministrativo conclusosi con
l’impugnato diniego di assenso edilizio.
2. La decadenza dello strumento attuativo (nella specie si trattava di un piano
particolareggiato) per l’intervenuta scadenza del termine decennale di efficacia
dello strumento stesso non determina di per sé l’inedificabilità dell’area
interessata del vincolo e nemmeno l’applicazione del regime delle zone bianche
ex art. 4 l. 28 gennaio 1977, n. 10, dovendo considerarsi se sussista comunque
una disciplina urbanistica sufficientemente dettagliata, desumibile dallo
strumento pianificatorio generale, tale da escludere la necessità di una
rinnovata pianificazione attuativa per l’utilizzazione dell’area.
19
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV - sentenza 22 luglio 2005, n. 3916 - Pres. Salvatore,
Est. Patroni Griffi (sulla natura della denuncia di inizio attività e sulla possibilità
per i controinteressati di impugnare il silenzio-rifiuto sull’istanza con la quale
invitano la P.A. ad adottare provvedimenti repressivi).
3. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Disciplina - Distinzione tra
i rapporti denunciante-P.A. e controinteressati - Necessità.
4. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Disciplina - Natura
giuridica - Individuazione.
5. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Contestazione da parte dei
terzi - Modalità - Dopo il decorso del termine - Impugnativa del silenzio-rifiuto
sull’istanza volta a sollecitare il potere repressivo della P.A. -Ammissibilità.
3. Per l’istituto della denuncia di inizio attività – con riferimento particolare alla
materia edilizia e alla normativa vigente anteriormente alle modifiche legislative
dell’istituto recentemente intervenute (v. art. 3 del D.L. 14 marzo 2005 n. 35,
convertito dalla L. 14 maggio 2005 n. 80) - è necessario distinguere tra due
distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione e quello che riguarda
i controinteressati all’intervento. Tali rapporti, pur attenendo a una medesima
vicenda sostanziale, possono essere tenuti distinti sul piano delle tutele, anche
in considerazione della diversità dei poteri di cui dispone l’amministrazione.
4. Nei rapporti tra denunciante e P.A., la d.i.a si pone come atto di parte, che,
pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione
dell'attività, consente al privato di intraprendere un'attività in correlazione
all'inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere
dell'Amministrazione di inibire l'attività (a nulla rilevando, sul piano pratico, che
in forza di un'inversione procedimentale la fattispecie dia luogo, con la scadenza
del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa,
degli effetti di un atto di iniziativa di parte), con la precisazione che l'interessato
potrà contestare l'esercizio del potere inibitorio vuoi per motivi formali
(decadenza dal termine), vuoi sul piano sostanziale (sussistenza dei requisiti),
ma a tale potere resta estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli
interessi, colui che si oppone all'intervento.
5. Colui che si oppone all’intervento autorizzato tramite d.i.a., una volta decorso
il termine senza l’esercizio del potere inibitorio, e nella persistenza del generale
potere repressivo degli abusi edilizi, è legittimato a chiedere al Comune di porre
in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto, che pertanto non avrà, né potrebbe
avere, come riferimento il potere inibitorio dell’amministrazione – essendo
decorso, a tacer d’altro, il relativo termine, con la conseguenza che il giudice non
potrà costringere l’amministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale potere abbia
carattere vincolato (come ritengono i più) o sia comunque esercitabile alla
stregua dei princìpi dell’autotutela (come mostra ritenere Cons. Stato, Sez. VI, n.
4453 del 2002).
Nell’ampia motivazione della sentenza in rassegna si dà atto che le tesi che sono state
sostenute in tema di natura giuridica della DIA, nella dottrina e nella giurisprudenza soprattutto
dei Tribunali amministrativi, oscillano tra due poli opposti: a) si sostiene, da un lato, che la
denuncia di inizio attività sia un mero atto di iniziativa privata che consente solo un intervento
di
tipo
inibitorio,
in
difetto
dei
presupposti,
della
pubblica
amministrazione;
b) altri, invece affermano che la denuncia di inizio attività, per effetto del decorso del tempo
assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio, dia luogo sostanzialmente a
una fattispecie, da taluni definita anche complessa o a formazione successiva, configurabile
come titolo abilitativo tacito.
20
TAR CAMPANIA - NAPOLI SEZ. II - sentenza 27 giugno 2005, n. 8707 - Pres.
Onorato, Est. Severini (sulla natura perentoria del termine di 30 giorni ex art. 23
del T.U. edilizia entro il quale il Comune può adottare un provvedimento
inibitorio a seguito della denuncia di inizio di attività).
1. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Ex art. 22 e ss. del T.U.
edilizia (D.P.R. 380/2001) - Natura giuridica - Individuazione.
2. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Termine di 30 giorni per
inibire l’intervento presentato con la D.I.A. - Ex art. 23, comma 6, del T.U.
edilizia (D.P.R. 380/2001) - Ha natura perentoria.
3. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Termine di 30 giorni per
inibire l’intervento presentato con la D.I.A. - Ex - Decorso di tale termine Adozione di provvedimenti d’autotutela e sanzionatori - Possibilità.
4. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività - Termine di 30 giorni per
inibire l’intervento presentato con la D.I.A. - Notifica al privato del
provvedimento inibitorio - Va effettuata entro il termine di 30 giorni.
1. La denunzia di inizio di attività ex art. 22 e ss. del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380
costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche
condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di
costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto
non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non
costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un
provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio-assenso), non
sussistendo il potere-dovere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del
privato.
2. Il termine di 30 giorni previsto dall'art. 23 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (che
era prima di 20 giorni, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 60, l. 23
dicembre 1996 n. 662, che aveva sostituito l’art. 4 d.l. 5 ottobre 1993 n. 398,
convertito dalla l. 4 dicembre 1993 n. 493), ai fini dell’adozione del
provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della denuncia di
inizio attività per l’esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio, essendo
finalizzato a dare certezza ai rapporti giuridici tra privati e Pubblica
amministrazione,
a
tutelare
gli
interessi
di
entrambi
nonché,
contemporaneamente, l’interesse pubblico.
3. Il potere inibitorio previsto dall’art. 23, 6° comma, del d.P.R. 6 giugno 2001 n.
380, a seguito di denuncia di inizio di attività, può essere esercitato entro il
termine perentorio di 30 giorni, trascorso il quale l'autorità comunale può solo
emanare provvedimenti d’autotutela e sanzionatori; invero, alla scadenza del
citato termine di 30 giorni matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori
progettati ed indicati nella d.i.a., fermo restando il potere dell’amministrazione
comunale di provvedere anche successivamente alla scadenza del termine
stesso, ma non più con provvedimento inibitorio (ordine o diffida a non eseguire
i lavori), bensì con provvedimento sanzionatorio (se i lavori sono già stati
eseguiti, in tutto o in parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in
base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.
4. Entro il termine di 30 giorni previsto dall’art. 23, 6° comma, del d.P.R. 6
giugno 2001 n. 380, il provvedimento inibitorio a seguito di denuncia di inizio di
attività deve essere non soltanto emanato, ma anche notificato al privato;
depone chiaramente in tal senso, del resto, anche la indubbia natura recettizia
dell’ordine di non eseguire i lavori da parte del Comune.
21
TAR VENETO SEZ. II - sentenza 13 settembre 2005, n. 3418 - Pres. Trivellato, Est.
Rocco (sul carattere non tassativo dei casi di esclusione dall’applicazione dell’art.
10 bis della L. n. 241 del 1990 previsti per il c.d. preavviso di rigetto nel caso di
procedimenti ad istanza di parte e sull’inapplicabilità di tale norma nel caso di
adozione di provvedimento inibitorio a seguito di denuncia di inizio di attività).
1. Atto amministrativo - Procedimento - Iniziato ad istanza di parte - Preavviso
di rigetto - Ex art. 10-bis della L. 7 agosto 1990 n. 241 - Casi di esclusione
dall’applicabilità di tale disposizione - Elencazione contenuta nell’ultimo periodo
dell’articolo - Non è tassativa.
2. Edilizia ed urbanistica - Denuncia di inizio attività (d.i.a.) - Natura giuridica Individuazione - Provvedimento inibitorio della P.A. - Preavviso di rigetto - Ex
art. 10-bis della L. 7 agosto 1990 n. 241 - Non occorre - Ragioni.
1. L’art. 10-bis della L. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall’art. 6 della L. 11
febbraio 2005 n. 15 (in base al quale "nei procedimenti ad istanza di parte il
responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale
adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i
motivi che ostano all'accoglimento della domanda), secondo quanto previsto
dall’ultimo periodo del medesimo articolo, non si applica "alle procedure
concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a
seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali"; a tale elencazione,
tuttavia, non va riconosciuta natura tassativa, dovendosi ritenere ricompreso tra
i casi di esclusione dall’applicabilità della disposizione in parola anche l’istituto
della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli artt. 22 e 23 del T.U.
approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il quale evidenzia profili di
incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di
"comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza".
2. Il procedimento della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli artt. 22 e
23 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, si sostanzia nella
formazione di un titolo ex lege. Ciò, tuttavia, non comporta che agli effetti
dell’adozione del provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale ordina
al privato di non effettuare l’intervento da lui denunciato, il provvedimento
stesso debba essere preceduto dalla comunicazione di cui all’art. 10-bis della L.
7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall’art. 6 della L. 11 febbraio 2005 n. 15.
22
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 20 ottobre 2004, n. 6879 - Pres.
Frascione, Est. Carlotti (sui presupposti per l’esercizio del diritto di accesso agli
atti degli ee.ll. previsto dall’art. 10 del D.L.vo n. 267 del 2000 e
sull’inammissibilità di una istanza di accesso ad una serie indeterminata di atti).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Agli atti degli Enti locali - Ex art. 10,
comma 1, del D.L.vo n. 267 del 2000 - Presupposti - Sono identici a quelli
stabiliti dalla disciplina generale contenuta negli artt. 22 e ss. della L. n. 241 del
1990.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Agli atti degli Enti locali - Ex art. 10,
comma 1, del D.L.vo n. 267 del 2000 - Applicabilità di tale disciplina ai soli
cittadini residenti - Impossibilità - Ragioni.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Agli atti degli Enti locali - Ex art. 10,
comma 1, del D.L.vo n. 267 del 2000 - Istanza generica con la quale si chiede
l’accesso ad una serie indeterminata di documenti - Inammissibilità - Ragioni.
1. L’art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. enti locali), sancendo al primo
comma il principio della generale pubblicità degli atti delle amministrazioni locali
(«tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici», ad
eccezione di quelli riservati per legge o dichiarati tali da un atto del sindaco o del
presidente della provincia allo scopo di tutelare la riservatezza delle persone, dei
gruppi o delle imprese), non implica affatto una configurazione del diritto di
accesso in termini differenti da quelli ricavabili dall’art. 22 L. 7 agosto 1990, n.
241, e nemmeno regola secondo modalità diversificate l’esercizio del "diritto";
tale norma, stabilendo che, in linea di massima, gli atti comunali e provinciali
non sono riservati ed inaccessibili (fatte salve le esclusioni ivi contemplate),
nulla dispone riguardo ai requisiti di accoglimento della domanda che, pertanto,
non si discostano da quelli stabiliti nella disciplina generale contenuta negli artt.
22 e seguenti del Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241. Detto altrimenti,
l’art. 10 T.U. ee. ll. contiene una deroga all’art. 24 L. n. 241/1990 e non anche
all’art. 22 della stessa legge.
2. L’art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. enti locali), non prevede un
diritto di accesso agli atti dei Comuni e delle Province libero per i soli residenti;
una siffatta esegesi, comunque non evincibile dal richiamato dettato normativo,
non sarebbe infatti in linea con la fondamentale direttiva costituzionale
sull’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
3. E’ inammissibile, essendo assolutamente generica, una istanza di accesso ex
art. 10 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 diretta ad ottenere in visione ed in
copia di una serie di documenti non meglio identificati relativi ad un
procedimento, non potendosi ammettere un accesso indiscriminato a tutti gli atti
di un procedimento amministrativo, con riserva di selezionare, soltanto nel corso
della seduta eventualmente fissata dall’amministrazione, quelli risultanti
d’interesse; l’adesione all’opposta tesi comporterebbe, infatti, un completo
travisamento dell’istituto, trasformandone di fatto l’intimo finalismo di
incentivazione alla trasparenza amministrativa in un indebito strumento per
soddisfare mere curiosità degli amministrati o per perseguire interessi emulativi
o, peggio ancora, per operare un controllo generalizzato sulla legalità dell’azione
amministrativa.
23
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV - sentenza 15 novembre 2004, n. 7412 - Pres.ff.
Patroni Griffi, Est. Leoni (sulla situazione di interesse che consente di accedere agli
atti amministrativi ed in particolare sul diniego di accesso ad atti di
assegnazione di servizi attribuiti in modo automatico).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Presupposti - Situazione di interesse
- Nozione - Individuazione.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Potere esplorativo del privato - Al
fine di esercitare un controllo sull’operato della P.A. - Non sussiste.
1. L’art. 2 del D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, nel riconoscere il diritto di accesso a
chiunque abbia "un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti", richiede per la sussistenza del diritto una situazione di
interesse; tale situazione di interesse postula un’indagine apposita da parte del
giudice, non essendo dubbio che l'interesse abbia una dimensione autonoma
rispetto a quello che viene fatto valere in giudizio per ottenere "il bene della
vita", ma, pur se autonomo dall’interesse a ricorrere finale, esso è nondimeno
capace di qualificare la posizione soggettiva che coincide col diritto di accesso.
Ciò comporta che il diritto di accesso è sempre fondato sull’interesse sostanziale
collegato ad una specifica situazione soggettiva giuridicamente rilevante e che il
diritto di accesso è strumentale ad acquisire la conoscenza necessaria a valutare
la portata lesiva di atti o comportamenti.
2. Il diritto di accesso non garantisce al privato un potere esplorativo di
vigilanza da esercitare attraverso il diritto all’acquisizione conoscitiva di atti o
documenti, al fine di stabilire se l’esercizio dell’attività amministrativa possa
ritenersi svolta secondo i canoni di trasparenza. In altre parole, la disciplina
sull’accesso tutela solo l’interesse alla conoscenza e non l’interesse ad
effettuare un controllo sull’amministrazione, allo scopo di verificare eventuali e
non ancora definite forme di lesione della sfera dei privati.
24
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI - sentenza 29 novembre 2004, n. 7805 - Pres.
Varrone, Est. De Nictolis (sui presupposti necessari per accedere agli atti privati
detenuti dalla P.A.)
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Accesso agli atti privati detenuti
dalla P.A. - Possibilità - Condizioni - Individuazione - Circostanza che gli atti
privati siano stati utilizzati ai fini dell’attività amministrativa - Necessità Fattispecie.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Diniego - Per tutelare la riservatezza
- Nel caso in cui il richiedente abbia partecipato ad una procedura concorsuale Impossibilità - Nel caso in cui il richiedente non abbia partecipato alla procedura
- Possibilità - Fattispecie.
1. Gli atti provenienti da soggetti privati sono da equiparare agli atti
amministrativi ai fini dell’esercizio del diritto di accesso e, pertanto, sono
suscettibili di ostensione solo se ed in quanto utilizzati ai fini dell’attività
amministrativa,
ovverosia
allorché,
indipendentemente
dalla
loro
caratterizzazione soggettiva, abbiano avuto un’incidenza sulle determinazioni
amministrative (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto che era
possibile accedere alla sceneggiatura ed al soggetto di un film, atteso che tali
atti, ancorchè privati, erano stati utilizzati ai fini del procedimento di
finanziamento del film).
2. Nel caso di procedimento concorsuale, la esigenza di tutela della riservatezza
non può essere opposta ai concorrenti al medesimo procedimento, le cui istanze
sono in comparazione tra loro. Viceversa, l’esigenza di riservatezza può essere
legittimamente opposta a soggetti estranei alla procedura comparativa, che
esercitano l’accesso a tutela di propri interessi giuridici diversi, rispetto a quelli
che insorgono dalla partecipazione a procedura comparativa.
25
TAR CALABRIA - REGGIO CALABRIA - sentenza 27 febbraio 2004, n. 192 - Pres.
Passanisi, Est. Novarese (legittimamente, per tutelare la privacy, viene consentita
solo la visione ma non anche la estrazione della copia dei curricula prodotti dai
partecipanti ad una procedura concorsuale).
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Nei confronti dei curricula-vitae di
soggetti partecipanti ad una procedura concorsuale - Mera visione Ammissibilità - Estrazione di copia degli atti - Inammissibilità - Ragioni Fattispecie.
E’ legittimo il provvedimento con il quale la P.A. limita l’accesso ai curricula
prodotti dai candidati che hanno partecipato ad una procedura concorsuale,
consentendo solo la mera visione - e non già l’estrazione di copia - degli stessi,
atteso che non può mettersi in dubbio, da un lato, che detti curricula contengono
notizie che attengono alla sfera privata e professionale degli interessati, per le
quali sussistono esigenze di riservatezza, e, dall’altro, che tale modalità di
accesso è comunque sufficiente a consentire all’accedente la tutela delle proprie
ragioni.
Ha osservato, in particolare, il T.A.R. Calabria, che, con riguardo ai "documenti amministrativi"
che possono essere oggetto di accesso, la giurisprudenza ha precisato che in linea di principio
sono, secondo la definizione dell’art. 22, comma 2, della l. 241 del 1990 gli atti "formati" dalla
P.A. essendo tale disciplina diretta a garantire il controllo dell’efficienza e dell’imparzialità
dell’azione amministrativa da parte dei soggetti comunque titolari di un interesse giuridico a
verificare la correttezza dell’azione amministrativa.
A questi vanno equiparati, secondo la giurisprudenza, gli atti provenienti da privati quando
sono "utilizzati ai fini dell’attività amministrativa" ossia allorché abbiano avuto un’incidenza
nelle determinazioni amministrative, giacchè in tal caso il controllo sul soggetto pubblico e la
difesa degli interessi incisi dall’attività amministrativa non possono prescindere dalla
conoscenza anche degli atti dei terzi che ne sono stati a presupposto (Cons. Stato, Sez. VI,
16.12.1998 n. 1683, idem, 22.1.2001 n. 191) "fermi restando in ogni caso i limiti imposti dal
diritto di costoro alla riservatezza in rapporto allo spessore dell’interesse alla visione" (dec. ult.
cit.).
Nelle scelte amministrative che concernono dette procedure si impone, naturalmente, il
massimo di trasparenza. Di fronte però alla richiesta di accesso richiesto dal terzo per curare e
difendere i propri interessi, le esigenze di riservatezza del privato trovano la loro tutela nella
limitazione dell’accesso alla visione dei documenti senza possibilità di estrarne copia (Cons.
Stato, Sez. IV, 30 luglio 2002 n. 4078).
26
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 10 gennaio 2005, n. 34 - Pres. Iannotta,
Est. Allegretta (sul diniego di accesso agli elaborati progettuali afferenti la
realizzazione di una strada comunale, motivato con riferimento alla natura di
opera dell’ingegno degli elaborati medesimi e alla mancanza di autorizzazione
da parte del progettista).
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Nei confronti degli atti progettuali della
P.A. finalizzati alla realizzazione di una strada pubblica - Diniego - Riferimento al
difetto di autorizzazione del progettista ed alla necessità di tutelare il diritto di
autore - Illegittimità - Ragioni.
E’ illegittimo il diniego di rilascio di elaborati progettuali afferenti la
realizzazione di una strada comunale, motivato con riferimento alla ritenuta
preclusione all’accesso derivante dalla natura di opera dell’ingegno degli
elaborati medesimi e dalla mancanza di autorizzazione da parte del progettista,
atteso che l’accesso agli atti della P.A. non confligge con la tutela che, in sede
civile e penale, l’ordinamento appresta al diritto di autore.
27
TAR LAZIO - ROMA SEZ. II BIS - sentenza 16 maggio 2005, n. 3775 - Pres.
Orciuolo, Est. Stanizzi (sulla sussistenza per una impresa partecipante del diritto di
accedere a tutti gli atti di una gara per il conferimento di un appalto, sulla
prevalenza del diritto di accesso rispetto a quello alla riservatezza e sui limiti
applicabili nel caso di accesso ai progetti presentati in gara dalle imprese
concorrenti).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Atti di una gara per l’affidamento di
un pubblico appalto - Sono in genere da ritenere accessibili.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Agli atti di una gara per
l’affidamento di un pubblico appalto - Interesse di una impresa il cui contratto
sia stata dichiarato risolto di accedere agli atti relativi alla impresa seconda
classificatasi alla quale sia stato conferito l’appalto - In relazione al giudizio
civile proposto avverso la risoluzione del contratto - Sussiste.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla
riservatezza - Prevalenza del primo - Necessità - Sussiste.
4. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Agli atti di una gara per
l’affidamento di un pubblico appalto - Progetti presentati dalle imprese
concorrenti - Accesso mediante la solo visione del progetto - Necessità - Ragioni.
1. Tutti gli atti relativi ad una procedura di gara per l’aggiudicazione di un
contratto di appalto con la P.A. - ivi compresi quelli relativi alla capacità tecnicoeconomica, i verbali della Commissione giudicatrice, le offerte e i progetti e le
relazioni tecniche ad esse allegati - costituiscono documenti amministrativi, ai
sensi dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241, in quanto contenenti
rappresentazione
del
contenuto
di
atti
formati
direttamente
dall’Amministrazione appaltante o comunque utilizzati ai fini dell’attività
amministrativa inerente alla scelta del contraente e possono, pertanto, in via
astratta, formare oggetto del diritto di accesso, salvo determinarne le relative
modalità e circoscriverne i limiti.
2. Sussiste l’interesse di una impresa dichiarata in un primo tempo
aggiudicataria di una gara di appalto, il cui contratto di appalto sia stato poi
risolto dalla P.A. per inadempimento e che, per tale motivo, abbia iniziato una
azione civile nei confronti di quest'ultima volto all’accertamento della
insussistenza dei presupposti per la risoluzione per inadempimento del
contratto, di accedere ai documenti inerenti l’aggiudicazione della gara alla
seconda classificata ed a tutti gli atti successivi alla stipulazione del contratto ed
inerenti la sua esecuzione, ivi compreso il progetto per la realizzazione
dell’impianto oggetto della procedura di gara, al fine di tutelare la propria
posizione nell’ambito del giudizio instaurato innanzi al giudice ordinario.
3. Il generico diritto alla riservatezza dei terzi non costituisce un ostacolo
invalicabile all’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, posto
che l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa mediante una
limitazione modale del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia
esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso sia
necessario alla difesa di quell’interesse.
4. L’accesso ai progetti presentati dalle imprese in sede di gara è ammissibile
nella forma della sola visione, tenuto conto che il progetto è prodotto di studi,
scelte, esperienza professionale e capacità d’inventiva, che non possono essere
resi pubblici, pena un sicuro pregiudizio economico dei titolari.
28
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 7 settembre 2004, n. 5873 - Pres.
Iannotta, Est. Corradino (sui presupposti per l'esercizio del diritto di accesso, sui
suoi rapporti con il diritto alla riservatezza e sull’interpretazione dell’art. 16
D.L.vo n. 135/1999; fattispecie relativa ad accesso ai dati sanitari).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Presupposti per l’esercizio del diritto
- Sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante - Necessità - Sussiste Nozione di interesse rilevante a tal fine - Individuazione.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Rapporti con il diritto alla
riservatezza - Individuazione - Disciplina prevista dall’art. 15 del D.L.vo n.
135/1999 - Interpretazione.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Di un medico - Ai ai registri operatori
di altro sanitario - Nel caso in cui vi sia un interesse giuridicamente rilevante Sussiste - Modalità dell’accesso - Devono tener conto delle esigenze di
riservatezza, mediante l’oscuramento dei nominativi dei pazienti sottoposti ad
intervento.
1. Ai fini della sussistenza del presupposto legittimante al diritto di accesso agli
atti amministrativi, deve sussistere un interesse giuridicamente rilevante del
soggetto che richiede l'accesso, che il medesimo soggetto intende perseguire e
tutelare nelle sedi opportune, ed un rapporto di strumentalità tra tale interesse
e la documentazione di cui si chiede l'ostensione; quest'ultimo nesso di
strumentalità deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la
documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della
lesione di tale interesse.
2. L'art. 16 d.lgs. 11 maggio 1999 n. 135, recante disposizioni integrative della l.
31 dicembre 1996 n. 675 sul trattamento di dati sensibili da parte di soggetti
pubblici, deve essere interpretato nel senso che, quando il trattamento dei dati
concerne dati idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale, l’accesso è
consentito se il diritto da far valere o da difendere è di rango almeno pari a
quello dell'interessato. Tale disciplina è volta alla "massimizzazione della
circolazione informativa", con consequenziale prevalenza del principio di
pubblicità rispetto a quello di tutela della riservatezza, sempre che l'istanza
ostensiva sia sorretta dalla necessità di difendere i propri interessi e nel rispetto
del limite modale.
3. Sussiste il diritto di un medico di accedere ai registri operatori di altro
sanitario al fine di curare e difendere i propri interessi in giudizio, atteso che in
tal caso l’istanza ostensiva deve essere ritenuta prevalente ("in concreto")
rispetto alla riservatezza dei cd. dati sensibili per l’esigenza di tutela del diritto
di difesa del medico stesso in sede amministrativa o giudiziaria; per esigenze di
rispetto dei cd. dati sensibili, tuttavia, si impone la prescrizione del limite
modale dell’oscuramento dei nominativi dei pazienti sottoposti ad intervento, sì
come annotati nei registri operatori relativamente agli interventi eseguiti dal
sanitario interessato.
29
CONSIGLIO DI STATO SEZ. V - sentenza 2 settembre 2005, n. 4471 - Pres.
Santoro, Est. Carlotti (sul diritto di accesso dei consiglieri comunali ed in
particolare sulla sussistenza o meno del potere dell’Amm.ne comunale di
sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto della richiesta di informazioni
avanzata dal consigliere e le modalità di esercizio del munus da questi
espletato).
1. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Da parte di un consigliere comunale
- Diniego - Motivazione che fa riferimento all’asserita assenza di collegamento
tra la domanda di accesso e l’espletamento del mandato consiliare - Illegittimità.
2. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Da parte di un consigliere comunale
- Potere degli uffici comunali di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto
della richiesta di informazioni avanzata dal consigliere, e le modalità di esercizio
del munus da questi espletato - Non sussiste - Ragioni.
3. Atto amministrativo - Diritto di accesso - Obbligo della P.A. di permettere
l’accesso - Durata di tale obbligo - Individuazione - Conseguenze.
1. E’ illegittimo il diniego di accesso agli atti opposto ad un consigliere
comunale, motivato con riferimento all’asserita assenza, nell’istanza di
ostensione, dell’indicazione del collegamento esistente tra detta istanza e
l’espletamento del mandato consiliare, atteso che gli artt. 43, comma 2, d. lgs.
18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)
e 24 della L. 27 dicembre 1985, n. 816 riconoscono ai consiglieri comunali un
ampio diritto all’informazione (avente ad oggetto tutte le notizie in possesso
degli uffici dell’ente locale amministrato), ed un altrettanto esteso diritto di
prendere visione e di estrarre copia degli atti dell’amministrazione comunale,
diritti entrambi strumentali al migliore esercizio delle funzioni pubbliche
connesse allo svolgimento del carica ricoperta.
2. In materia di diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri comunali e
provinciali, deve ritenersi l’inesistenza di un potere degli uffici comunali e
provinciali di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di
informazione avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del
munus da questi espletato. E ciò sul rilievo che l’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000
riconosce ai consiglieri comunali (e provinciali), per l’utile espletamento del loro
mandato, un latissimo "diritto all’informazione" a cui si contrappone il puntuale
obbligo degli uffici «rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle
loro aziende ed enti dipendenti» di fornire ai richiedenti «tutte le notizie e le
informazioni in loro possesso».
3. L’obbligo di una Pubblica Amministrazione di permettere l’accesso agli atti ex
artt. 22 e segg. l.n.241/1990 e s.m.i. permane per tutto il tempo durante il quale
essa continua a possedere i documenti richiesti in ostensione. Ne consegue che,
con particolare riferimento al diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali
e provinciali, ex art. 43. d. lgs. n.267/2000, questi ultimi possono
legittimamente esercitarlo verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai
conclusi o risalenti ad epoche remote, non potendo revocarsi in dubbio che
sovente i consiglieri comunali possano avvertire l’esigenza di conoscere
approfonditamente pregresse vicende gestionali dell’ente locale nel quale
ricoprono tale carica.
Ha osservato, in particolare, il Consiglio di Stato che ogni limitazione all’esercizio del diritto
sancito dall’art. 43 interferisce inevitabilmente con la potestà istituzionale del Consiglio
comunale di sindacare la gestione dell’ente, onde assicurarne – in uno con la trasparenza e la
piena democraticità – anche il buon andamento.
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Sul consigliere comunale, pertanto, non grava, né può gravare, alcun onere di motivare le
proprie richieste d’informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle
ancorché l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a
procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote. Diversamente opinando, infatti, la
struttura burocratica comunale, da oggetto del controllo riservato al Consiglio, si ergerebbe
paradossalmente ad "arbitro" - per di più, senza alcuna investitura democratica - delle forme di
esercizio della potestà pubbliche proprie dell’organo deputato all’individuazione ed al miglior
perseguimento dei fini della collettività civica.
L’esistenza e l’«attualità» dell’interesse che sostanzia la speciale actio ad exhibendum devono
quindi ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in ragione della natura politica e dei fini
generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del
Consiglio comunale.
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