COSA DICONO DEL LIBRO COMUNICAZIONE

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COSA
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DICONO DEL LIBRO
COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE
La medicina di famiglia è specialità intrinsecamente olistica e
rivolta alla persona; la padronanza consapevole di una buona
competenza nella comunicazione medico-paziente ne rappresenta un aspetto cruciale.
Il suo insegnamento/apprendimento è talora ostacolato da due
opposti pregiudizi: il primo, che il medico già nasca buon comunicatore e non necessiti di alcun ulteriore apprendimento; il
secondo, che viceversa sia necessaria all’acquisizione di valide
competenze comunicative una formazione in qualche modo esoterica e complessa, non alla portata di ognuno.
L’approfondimento delle competenze comunicative qui proposto, che fa riferimento a concetti e tecniche mediate dalla PNL,
è caratterizzato da razionalità pragmatica e da un’applicabilità
praticamente immediata.
Costituisce una risorsa di grande valore per chi ha nella comunicazione con le persone un contenuto fondamentale della propria
professione.
Dott. Aldo Lupo
Medico di Medicina Generale
Coordinatore attività didattiche
“Corso di formazione specifica in Medicina Generale”
Regione Piemonte
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L’esperienza mi ha insegnato che comunicare con il malato non è
solo informare, ma è un processo continuo, che si sviluppa negli
anni per arrivare a “credersi” a vicenda, costruire un’alleanza e
condividere la realtà della malattia e del percorso di recupero.
Con le parole e con i gesti. E spesso, contano di più i gesti.
Dott. Cesare Braggion
Presidente della Società Italiana Fibrosi Cistica
La comunicazione medico-paziente nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale è importante perché molte sono le turbative
esterne introdotte da un sistema che “controlla la spesa sanitaria”
e che tramite l’amplificazione dei media ingigantisce il sospetto
sui “medici truffatori”.
Quest’opera apre nuove prospettive di valido aiuto al medico che
vuole difendersi da un sistema sociale distorto, ma che vuole mantenere alta la professionalità ed il rapporto Medico-Paziente pulito
ed efficace, come si confà al 99% dei professionisti italiani.
Dott. Antonio Pugliese
Medico Chirurgo, Specialista in Dermatologia e Venereologia
Responsabile Nazionale del Dipartimento di Dermatologia AIMEF
(Associazione Italiana Medici di Famiglia)
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COMUNICAZIONE
MEDICO-PAZIENTE
La comunicazione come strumento di lavoro del medico
ALESSIO ROBERTI
CLAUDIO BELOTTI
LUIGI CATERINO
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Titolo dell’opera:
Comunicazione Medico-Paziente
Sottotitolo:
La comunicazione come strumento di lavoro del medico
Prima edizione: ottobre 2006
Prima ristampa: novembre 2006
Seconda ristampa: gennaio 2009
Terza ristampa: gennaio 2013
Quarta ristampa: giugno 2013
da Alessio Roberti Editore
Via Lombardia, 298 – Urgnano (BG) – Italy
Copyright © 2006 Alessio Roberti Editore Srl
ISBN:
88-88612-28-9
Coordinamento di Redazione
Giuliana Salerno
Progetto grafico della copertina
Zeronove di Andrea Mattei
Immagine di copertina
pabijan © Fotolia
Impaginazione
Alberto Grazi
Tutti i diritti riservati.
È vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo.
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INDICE
Introduzione
PARTE 1
Perché la comunicazione deve diventare
uno strumento di lavoro del medico
1. L’insoddisfazione del paziente e le azioni legali
2. Il fattore tempo
3. Il miglioramento della compliance
PARTE 2
La costruzione dell’alleanza terapeutica attraverso
la comunicazione verbale, paraverbale e non verbale
tra medico e paziente
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Il paziente: la sua esperienza e il suo linguaggio
Le generalizzazioni
Le cancellazioni
Le distorsioni
Tipologie di ascolto
I sistemi rappresentazionali e il linguaggio corrispondente
La comunicazione non verbale e le emozioni
La costruzione di un ponte di comunicazione
tra il medico e il paziente
PARTE 3
Conclusione
Indice analitico
Bibliografia
Gli autori
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INTRODUZIONE
A cura del
Dott. Antonio Addis
Direttore dell’Ufficio Informazione sui Farmaci
Agenzia Italiana del Farmaco – Ministero della Salute
Uno degli elementi che sicuramente caratterizza la società
moderna è la comunicazione. Non fosse altro che per i
mezzi ed i progressi sviluppati recentemente. Purtroppo
quegli stessi strumenti hanno avuto un’evoluzione che ha
marciato con una velocità molto diversa rispetto alla nostra
capacità di poter riempire quegli stessi mezzi di contenuti
innovativi. A ciò si aggiunge la spesso ingannevole percezione che la comunicazione consista nel semplice trasferimento di informazioni che prescinde da un metodo indispensabile, invece, per poter far in modo che l’informazione
venga assunta e usata correttamente. Quindi è sempre più
semplice comunicare, ma non per questo siamo capaci di
dire nuove cose in modo diverso e più efficace di come lo si
faceva una volta.
Uno degli ambiti in cui questo fenomeno si registra con particolare frequenza e rilevanza è probabilmente la comunicazione tra medico e paziente. Quanti modi nuovi esistono per
un paziente per mettersi in contatto con un operatore sanitario. Le fonti di informazione su cui è possibile perdersi –
basti solo pensare ad internet – non si contano. Eppure, al di
là della moltiplicazione dei mezzi comunicativi, rimane difficile trovare regole e metodo al corretto trasferimento delle
informazioni. Gli strumenti di “counseling” che trasformino
il paternalismo o l’eccessivo tecnicismo medico, giusto per
citare alcuni errori tipici, in una parte concreta di assistenza.
La corretta comunicazione si caratterizza invece per fare
parte integrante della presa in carico di un paziente.
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La medicina vive molto della sua storia nella comunicazione
tra medico e paziente. Anche in questo ambito può però verificarsi la frustrazione di non riuscire a farsi intendere o di
mancare del giusto linguaggio per far capire (e capire) il disagio, il dolore, e comunicare la diagnosi e la cura.
Parlare di questo non è di per sé una novità tranne se non per
un aspetto: aumentano le possibilità di trovare sempre nuove
fonti da cui attingere informazioni, ma proporzionalmente
ciò moltiplica i bisogni di avere consulenze interpretative.
Ben venga quindi un libro che ragioni in modo concreto
sulle metodiche di comunicazione tra medico e paziente. Ciò
che appare particolarmente convincente, poi, è il cercare di
trasferire il metodo attraverso esempi concreti. Questo aiuta
ancora di più a far capire che la corretta comunicazione è
qualcosa di molto “pratico” e non solo teorico lasciato alla
buona volontà dei più volenterosi e meglio predisposti.
Il medico – e l’operatore sanitario – sarà necessariamente
sempre più sollecitato dai propri pazienti a sviluppare capacità di buon comunicatore. È bene attrezzarsi per tempo pensando non solo ai mezzi per fare questo, ma soprattutto ai
contenuti ed al metodo con cui vorrà farlo.
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INTRODUZIONE
A cura del
Dott. Giorgio Del Mare
Presidente Lega Italiana Fibrosi Cistica
Non ci sono modi giusti o sbagliati di comunicare con un
paziente, ci sono solo modi più efficaci e modi meno efficaci.
Nella mia esperienza di Presidente della Lega Italiana
Fibrosi Cistica ho imparato quanto conti la qualità della
comunicazione tra le migliaia di malati che rappresento e i
medici dei centri di cura e assistenza fibrosi cistica.
La comunicazione medico-paziente nella patologia della
fibrosi cistica aiuta a governare al meglio una forte complessità della malattia, ove assumono la massima importanza, a mio avviso, tre fattori specifici.
Primo fra tutti, il “vissuto fiduciario” verso il medico, che
attraverso una comunicazione anche emotiva riesce a creare
una durevole credibilità e una spontanea accettazione, da
parte del paziente, della sua autorevolezza. Il medico diventa una guida sicura di fronte al disorientamento, alla confusione e alle contraddizioni che stanno intorno al malato.
Secondo, è fondamentale, in questo genere di malattia, la
creazione di una forte compliance del malato verso cure
continue, fastidiose e invasive del quotidiano. La giornata
di questi malati è di 22 ore, perché le rimanenti due sono da
dedicare alle cure.
La compliance, nella nostra esperienza, dipende quasi
esclusivamente dalla qualità della comunicazione messa in
atto dal medico. Una comunicazione efficace sostiene la
compliance, influenza positivamente la qualità di vita e
genera maggiore salute.
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Terzo, anche la gestione dell’ansia può essere migliore, se
si instaura un rapporto di comunicazione “vero” e se il
paziente può toccare con mano l’accessibilità e la disponibilità del medico. La riduzione dell’ansia consente di investire energia nella scuola, nello sport, nel sociale e consente di sentirsi più soddisfatti e meno vulnerabili.
I nostri medici migliori ottengono grandi risultati terapeutici non solo con l’arte clinica e l’uso dei farmaci, ma anche
usando la propria sensibilità in ordine alla comunicazione,
che diventa ogni giorno sostegno tangibile di chi soffre e
consente di vivere con maggiore serenità la malattia, le
cure e la propria stessa vita.
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INTRODUZIONE
A cura del
Prof. Maurizio Vanelli
Presidente del Corso di Laurea specialistica in Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Parma
Gran parte dei Corsi di Laurea specialistica in Medicina e
Chirurgia non annovera tra i propri insegnamenti quello
della comunicazione.
Il breve tempo che gli studenti trascorrono nei reparti clinici è rivolto più alla patologia che al malato.
Nei sei anni di studi sono in effetti molto pochi i momenti
dedicati ad insegnare e ad apprendere come instaurare il
giusto rapporto tra medico e paziente.
La scarsità di corsi di comunicazione continua anche nell’aggiornamento post lauream.
Molte scuole di specializzazione ne sono sprovviste, e le
eventuali eccezioni confermano la regola.
È fondamentale, allora, che la comunicazione divenga
disciplina di studio e insegnamento, oggetto d’esame anche
nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia e che venga
insegnata contestualmente alle discipline cliniche.
In questo stato di necessità, il manuale di Alessio Roberti,
Claudio Belotti e Luigi Caterino va accolto con interesse e
favore. Agile, pratico e aggiornato, non mancherà di fare
proseliti fra i medici che si occupano e preoccupano di
migliorare la comunicazione con i propri pazienti. Formulo
l’augurio che i docenti di Scienze umane dei Corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia lo consiglino ai propri allievi e lo adottino come testo a supporto delle proprie
lezioni sull’argomento.
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INTRODUZIONE
A cura del
Prof. Claudio Giorlandino
Specialista in Ostetricia e Ginecologia
Direttore scientifico dell’Istituto Artemisia di Roma
Ogni giorno migliaia di pazienti entrano negli studi di
migliaia di medici. E ogni giorno ciascun medico incontra
decine di pazienti. In poche altre professioni si entra in contatto con una varietà umana pari a quella in cui si imbatte
quasi quotidianamente il medico: varietà di sesso, di età, di
status sociale, di condizioni fisiche e psicologiche. Sempre
più spesso inoltre, negli ultimi anni, il medico è chiamato a
confrontarsi anche con differenze etniche e culturali e a
creare con esse un ponte di comunicazione che gli consenta di formulare diagnosi e definire trattamenti.
Pazienti diversi si comportano con il medico in modo
diverso. In questa apparente ovvietà concettuale risiedono
le basi della sfida che si pone di fronte ai medici della
nostra epoca. Nella capacità di adattare il proprio modo di
parlare, di muoversi e di agire alla peculiare esperienza di
ciascun paziente c’è infatti la chiave della costruzione di
un’intesa che porti a un’efficacia di risultati nei processi di
recupero della salute.
Acquisire strumenti per un dialogo chiaro e diretto con i
propri pazienti è tutt’altro che un’esigenza di secondaria
importanza: la comunicazione anche emotiva del paziente
e la sua collaborazione giocano un ruolo importante sia
nelle fasi di indagine diagnostica, sia nel corso dei trattamenti terapeutici da somministrare. Riuscire a penetrare
nella mente di un paziente che non proferisce parola e quindi collabora poco, perché attende il “responso” del medico
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COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE
sulle sue condizioni di salute, è un’abilità che di rado viene
insegnata all’università, ma che il medico accorto sa di
dover padroneggiare e coltivare. Allo stesso modo, deve
saper estrapolare le informazioni utili dal fiume di parole di
un paziente che non tace neanche un minuto, dall’inizio
alla fine della visita.
Quando un medico ha le capacià di gestire questi due estremi – e quindi, tutte le loro possibili manifestazioni intermedie – il suo operato acquisisce un valore aggiunto in termini di efficacia e di miglioramento della compliance.
Comunicazione Medico-Paziente ci fornisce utili strumenti
per raggiungere questo obiettivo.
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PARTE
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PERCHÉ
LA COMUNICAZIONE
DEVE DIVENTARE UNO
STRUMENTO DI LAVORO
DEL MEDICO
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L’insoddisfazione del paziente
e le azioni legali
In Italia sono aumentate negli ultimi anni le denunce e le
richieste di risarcimento nei confronti dei medici. Secondo
un’indagine dell’ANIA (Associazione Nazionale Imprese
Assicuratrici), gli esposti per responsabilità professionale
sono passati da 3.159 nel 1994 a 7.700 (+148%) nel 2002
e, nello stesso periodo, quelli per responsabilità delle strutture sanitarie da 5.100 a 6.700 (+31%).
Tutto questo poteva essere evitato, dal momento che la
medesima indagine ha individuato come elemento principale della proliferazione delle denunce, piuttosto che
l’errore nella diagnosi, una comunicazione tra medico e
paziente a cui sono mancati la possibilità e/o il tempo di
svolgersi in modo funzionale ad una piena comprensione
reciproca.
Quindi, la stragrande maggioranza delle cause legali ha
spesso le sue radici in una comunicazione inefficace:
quel tipo di comunicazione che il paziente percepisce come
distaccata e distante sotto il profilo della partecipazione
umana del medico al suo disagio fisico o psicologico.
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COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE
In proposito, in un’interessante ricerca condotta negli
USA, Wendy Levinson, docente di medicina all’Università di Chicago, ha rilevato che:
i pazienti decidono di intentare
causa al medico che li ha curati,
piuttosto che per “incompetenza
o negligenza professionale”,
per il modo in cui li ha trattati
a livello interpersonale.
Il suo studio ricco e particolareggiato pubblicato sul JAMA
(The Journal of the American Medical Association) nel
1997, ha documentato una differenza significativa nel
modo di comunicare dei medici che erano stati sottoposti a
procedimenti legali rispetto a quelli che non avevano subito denunce per “malpractice”.
Levinson afferma che:
una comunicazione efficace rende
più soddisfatto il cliente
e porta a risultati migliori in termini
di recupero della salute,
mentre, al contrario,
una comunicazione inefficace determina
effetti indesiderati
quali una imperfetta aderenza
alle indicazioni del medico e,
in mancanza di risultati apprezzabili,
l’insoddisfazione del paziente.
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L’INSODDISFAZIONE
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DEL PAZIENTE E LE AZIONI LEGALI
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La combinazione di risultati scadenti e del senso di insoddisfazione in merito al tipo di relazione instaurato con il
medico, è una “ricetta” che può portare dritti in tribunale.
Diventa quindi necessario:
• rendere il paziente più consapevole in merito a cosa
aspettarsi da una visita o da un trattamento;
• accertarsi che il paziente abbia ben compreso le informazioni e le istruzioni ricevute;
• coinvolgere attivamente il paziente, rendendolo partecipe delle scelte terapeutiche;
• monitorare la risposta del paziente nel periodo successivo alla visita medica.
Sempre dalla ricerca della Levinson emerge che i medici
che non avevano mai subito azioni legali erano quelli che
trascorrevano statisticamente qualche minuto di tempo in
più con ciascun paziente, il quale veniva incoraggiato, oltre
che a descrivere i sintomi, ad esprimere le proprie preoccupazioni e opinioni.
In uno studio analogo a quello della dottoressa Levinson, il
medico G.R. Hickson e i suoi collaboratori hanno riscontrato che i medici che non avevano mai subito denunce per cattivo esercizio della loro professione venivano descritti dai
loro pazienti come persone comunicative, più inclini a partecipare emotivamente all’evoluzione del loro stato di salute e con cui era più facile entrare in contatto, rispetto a
quanto lo fossero i medici coinvolti in procedimenti legali
intentati da pazienti insoddisfatti.
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Uno studio condotto nel 2001 nel reparto di chirurgia cardiaca di
una clinica universitaria austriaca ha esaminato i risultati di una
comunicazione più consapevole avente l’obiettivo di fornire ai
pazienti gli strumenti per essere co-attori efficaci del loro recupero post-operatorio.
In questo studio sono stati presi in considerazione gli effetti di un
programma di formazione finalizzato a sviluppare le abilità di
comunicazione nei professionisti della salute (medici, fisioterapisti,
infermieri) insieme alla riorganizzazione delle schede informative
destinate ai pazienti.
I risultati sono stati osservati su 99 pazienti sottoposti a quattro tipi
di intervento (bypass, stent, installazione di una valvola artificiale e
interventi che integravano queste tre operazioni) e confrontati con
quelli di un gruppo di controllo di 100 pazienti con i quali non erano
state applicate le tecniche apprese nel programma di formazione.
I parametri osservati sono stati di tipo soggettivo e oggettivo:
• Parametri oggettivi: durata della degenza e frequenza di complicanze
post-operatorie.
• Parametri soggettivi: percezione del proprio stato di salute, soddisfazione per le cure ricevute.
Risultati: rispetto al gruppo di controllo, nel gruppo con il quale il
personale medico e paramedico aveva applicato le strategie di
comunicazione apprese nel programma di formazione, la durata
della degenza era stata inferiore di un giorno; i casi di aritmia cardiaca si erano ridotti del 15%; il passaggio a fasi di trattamento
meno intensivo era avvenuto prima ed erano migliorati i commenti positivi in merito alla qualità delle cure fornite dal personale.
Conclusioni: una comunicazione professionale finalizzata a coinvolgere i pazienti nel loro processo di guarigione può avere effetti
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L’INSODDISFAZIONE
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DEL PAZIENTE E LE AZIONI LEGALI
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importanti sulla loro salute. Riorganizzare la formazione delle persone dello staff ed i loro modelli di comunicazione può comportare un aumento dell’efficacia nelle cure somministrate ai pazienti.
(Studio di Trummer et al. pubblicato nel 2005
su Patient Education and Counselling.)
A volte i medici avvertono in modo solo parziale il problema
della scarsa aderenza o non-aderenza alle cure prescritte e
interpretano la mancata risposta alle terapie come limitata
efficacia delle stesse, senza prendere in considerazione la
“non-compliance” come possibile causa e l’ipotesi che
l’insuccesso di una terapia abbia spesso la sua origine in una
comunicazione che ha mancato l’obiettivo.
Come sostengono Peter Maguire e Carolyn Pitceathly in un
articolo pubblicato nel 2002 sul British Medical Journal:
“Quando i medici utilizzano in modo efficace le abilità di comunicazione, sia loro stessi che i pazienti ne traggono beneficio. In
primo luogo, i medici identificano con maggior precisione i problemi dei pazienti. In secondo luogo, i pazienti sono più soddisfatti del
modo in cui vengono seguiti e possono meglio comprendere i loro
problemi, le indagini e le opzioni di trattamento. In terzo luogo, è
più probabile che i pazienti aderiscano al trattamento e seguano le
indicazioni relative a delle modifiche del proprio comportamento.
In quarto luogo, diminuiscono l’angoscia e la predisposizione
all’ansia e alla depressione. Infine, lo stesso medico vive meglio.”
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Il fattore tempo
Il paziente entra nell’ambulatorio, il medico ha i minuti
contati.
Oltre la porta, c’è una fila di altri pazienti... impazienti; di
conseguenza la possibilità per il medico di prestare la dovuta attenzione ad ogni singola persona è limitata.
Questa scarsità del tempo a disposizione crea una condizione di rischio e di stress sia per il paziente che per il
medico.
Secondo i risultati di uno studio condotto da Langewitz e
colleghi e pubblicato dal British Medical Journal nel 2002,
• il medico interromperebbe il resoconto del paziente sui
propri sintomi (o su quelli che quest’ultimo ipotizza
siano sintomi) circa 22 secondi dopo che ha iniziato a
raccontare;
• sempre in base a questo studio, il 90% dei pazienti
conclude spontaneamente il racconto entro 92 secondi
e tutti entro i 2 minuti;
• nello spazio intercorso tra i 22 e 92 secondi viene menzionato il 75% dei sintomi. Cioè, più il paziente parla
dei suoi problemi, più gli vengono in mente informa-
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zioni nuove: se lo si interrompe quasi all’inizio, si
rischia di perdere una gran quantità di indicazioni preziose.
A questi dati si aggiungono quelli emersi dagli studi più
accreditati sulla comunicazione medico-paziente:
• il 36% dei pazienti non ricorda le informazioni fornite
dal medico riguardo alla prognosi e alla terapia (Ley,
1979);
• il 70% dei pazienti assume in modo scorretto i medicamenti prescritti (Ley, 1979);
• i medici sottostimano il desiderio d’informazione dei
pazienti nel 65% dei colloqui (Waitzkin, 1984);
• nel corso di colloqui della durata media di 20 minuti,
poco più di un minuto è dedicato a trasmettere informazioni al paziente (Waitzkin, 1984).
La formula sembra semplice: se il medico avesse a disposizione più tempo e/o strumenti di comunicazione e ascolto
più efficaci, la qualità della sua indagine migliorerebbe, e la
sua comprensione delle informazioni fornitegli dal paziente sarebbe più completa e puntuale; di conseguenza, il
paziente comprenderebbe meglio le spiegazioni e le indicazioni del medico e gli sarebbe più facile e naturale aderire
alle terapie prescritte.
Una maggiore efficacia nella comunicazione consente al
medico:
• di raccogliere informazioni in quantità e qualità sufficienti;
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IL
FATTORE TEMPO
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• di ridurre le possibilità di errore;
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• di lasciare il paziente con la sensazione di essere stato
ascoltato e considerato come persona, oltre che come
soggetto portatore di un disturbo o di una questione da
risolvere;
• di far sentire al paziente di essere stato assistito con
attenzione e professionalità.
• di far sentire al paziente che si può fidare del medico,
e quindi credere in ciò che il medico suggerisce o prescrive.
In definitiva: uno degli obiettivi del sistema sanitario nazionale dovrebbe essere quello di mettere in condizione il
medico di dedicare più tempo a ciascun paziente. Prima di
allora, una chiave per migliorare la qualità dell’assistenza
offerta dal medico, consentendogli di lavorare con più soddisfazione e di ridurre i problemi con i suoi pazienti, è avere
a disposizione una serie di strumenti precisi che gli consentano una comunicazione più efficace.
L’intento di questo libro è fornire quegli strumenti linguistici e comportamentali che permettano una comunicazione
più diretta e produttiva tra medico e paziente.
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Il miglioramento della compliance
Molto spesso, a determinare:
• il successo del trattamento;
• la soddisfazione del paziente;
• la collaborazione da parte del paziente, anche nel caso
di mancanza di risultati favorevoli nei tempi previsti;
• il perdurare della fiducia del paziente,
è proprio l’attenzione che il medico rivolge alla compliance.
Dall’altro lato, alla base della maggioranza dei fallimenti
terapeutici c’è una scarsa adesione ai modi, alle quantità e
ai tempi delle terapie prescritte. In particolare, come fa rilevare Haynes in uno studio dal titolo “Compliance in health
care”, in gran parte delle malattie croniche come
l’ipertensione, il diabete e l’asma, l’adesione dei pazienti ai
regimi terapeutici è alquanto scarsa: si parla del 50% di persone che rimangono aderenti alle terapie nel corso del
tempo.
Il punto è che in alcuni casi, per esempio in quello della
terapia di una malattia come l’AIDS, è necessaria
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un’adesione quasi perfetta perché il trattamento possa funzionare al meglio e per evitare la comparsa di pericolose
resistenze del virus HIV ai farmaci.
Le conseguenze di una mancata compliance sono numerose e varie per tutti i soggetti coinvolti nella relazione tra
medico e paziente:
• per il medico, che assiste all’insuccesso del trattamento che egli stesso ha prescritto, ma potrebbe non avere
gli elementi per accertarsi che il paziente si sia attenuto scrupolosamente alle indicazioni ricevute;
• per il paziente, le cui aspettative di miglioramento
della salute rimangono deluse, con conseguente calo
della fiducia nella competenza del medico e/o nelle
proprie possibilità di guarigione;
• per il sistema sanitario nazionale, che ha dedicato
tempo, strutture e risorse a un intervento terapeutico
che è risultato inefficace o scarsamente efficace; intervento che dovrà essere quindi modificato, prolungato
o ripetuto.
Viceversa, da una piena aderenza al trattamento che abbia
esito nei risultati desiderati, conseguono spesso la conferma
della professionalità del medico, la soddisfazione fisica e
psicologica del paziente, che oltretutto risparmia tempo e
denaro, il consolidamento dell’alleanza terapeutica tra i due
e l’ottimizzazione delle risorse umane e materiali messe a
disposizione dal sistema sanitario nazionale.
Il primo passo in direzione di una buona compliance è lavorare sin dall’inizio insieme al paziente per evitare che le
indicazioni del medico vengano fraintese e per far sì che la
persona recepisca quanto sia importante aderire pienamen-
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IL
MIGLIORAMENTO DELLA COMPLIANCE
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te al trattamento prescritto.
È essenziale che questi aspetti siano messi in evidenza
prima dell’inizio di qualsiasi terapia, e che medico e paziente collaborino alla strutturazione di uno schema terapeutico
che tenga conto delle caratteristiche specifiche della persona, quali ad esempio il suo stile di vita e le sue abitudini.
Lavorare affinché il paziente garantisca una piena compliance significa anche fornirgli spiegazioni accurate sul
piano di trattamento, informarlo dei rischi potenziali di un
mancato rispetto delle indicazioni terapeutiche, coinvolgerlo sul piano decisionale in modo che si senta partecipe e
corresponsabile della riuscita della cura, accertarsi che
abbia compreso nel dettaglio le indicazioni ricevute e destinare tempo ad un monitoraggio del suo comportamento in
termini di adesione alla terapia.
A questo proposito tornano a manifestarsi il problema di
una sala d’attesa affollata e la conseguente mancanza di
tempo sufficiente a informare il paziente in modo adeguato
e ad accertarsi che il messaggio sia arrivato correttamente a
destinazione. L’esperienza clinica ha evidenziato che i
seguenti passi consentono di risparmiare tempo e di migliorare la compliance:
• individualizzare il trattamento, adattandolo il più possibile alle specifiche esigenze del paziente. Ad esempio il
paziente potrebbe temere particolarmente gli effetti collaterali collegati all’assunzione di uno specifico farmaco: il medico dovrebbe sempre valutare e strutturare
insieme a lui il regime terapeutico più adatto;
• chiedere se ci sono difficoltà oggettive nell’assunzione
dei farmaci; discutere nel dettaglio come la terapia
andrà a integrarsi nella routine quotidiana del paziente
(ad esempio pasti, attività giornaliere da collegare
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all’assunzione dei farmaci e così via);
• identificare insieme al paziente le occasioni in cui
verosimilmente salterà una dose e prevedere delle
misure finalizzate a ridurre il rischio di tali eventi;
• chiedere periodicamente quante compresse sono
rimaste nella confezione del farmaco. In particolare,
ricordarsi di rivolgere al paziente domande sull’adesione ai controlli successivi;
• considerare lo stile di vita del paziente e fare una valutazione oggettiva della disponibilità/capacità di adesione al trattamento prescritto;
• evitare di prescrivere cure complesse tutte insieme:
piuttosto, procedere un passo alla volta. In questa stessa ottica, utilizzare il piano di trattamento più semplice possibile, diminuendo i dosaggi e la frequenza delle
assunzioni;
• fornire istruzioni scritte in maniera chiara e leggibile e
verificare che il paziente riesca a leggere e comprendere autonomamente le istruzioni, evitando di “suggerire” alla prima incertezza;
• incoraggiare il paziente a telefonare o a venire di persona, nel caso in cui dovesse avere dubbi, preoccupazioni o difficoltà durante la terapia;
• decidere insieme al paziente se sia opportuno e utile
coinvolgere la sua famiglia e i suoi conoscenti per
favorire l’adesione al trattamento;
• informare le persone che entreranno in contatto con il
paziente di quanto sia importante la piena compliance
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IL
MIGLIORAMENTO DELLA COMPLIANCE
alla terapia;
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• evitare di sovrastimare l’adesione dei pazienti al trattamento prescritto. Uno studio presentato nel 1989 da
Miller alla CROI (Conference on Retroviruses and
Opportunistic Infections) ha fatto rilevare che i medici
ritenevano che il 25% dei loro pazienti aderisse alle
terapie con un’accuratezza pari al 90%, mentre in
realtà la loro compliance era inferiore all’80%.
La capacità di stabilire un’interazione comunicativa chiara
e diretta con il paziente e di guadagnare così la sua fiducia
è un sistema veramente efficace per ottenere da lui
l’attenzione e la disponibilità necessarie a garantire la riuscita di un trattamento. Quando il medico fa sentire al
paziente il proprio sostegno a livello sia professionale che
emozionale, aumentano le probabilità di compliance, come
riscontrato anche nello studio condotto nel 1983 da Ross e
Guggenheim.
Solo attraverso una comunicazione adeguata il medico può
affrontare insieme al paziente argomenti delicati, quali la
comparsa eventuale di effetti collaterali e le aspettative realistiche di miglioramento: tutti fattori determinanti per la
maggiore o minore probabilità di adesione alla terapia.
Nell’elaborazione del piano di cura, infatti, è compito del
medico tener conto di tutti questi elementi ed essere capace
di informare il paziente degli ostacoli che potrebbero manifestarsi, in modo da dargli una maggiore consapevolezza
del percorso terapeutico che si accinge ad affrontare.
La compliance è uno degli elementi essenziali di quello che
potremmo definire “iter della comunicazione medicopaziente”: una comunicazione efficace aumenta la fiducia e
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COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE
il livello di comprensione del paziente; la fiducia e la comprensione del paziente aumentano le possibilità di una corretta compliance; una corretta compliance aumenta le possibilità di riuscita del trattamento e di soddisfazione del
paziente, il quale probabilmente tornerà – fiducioso e collaborativo – in caso di necessità.
➡ ➡ ➡ ➡
Comunicazione efficace
Comprensione e fiducia da parte del paziente
Adesione al trattamento (compliance)
Efficacia del trattamento
Soddisfazione del paziente
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