La funzione politica della musica nella letteratura tedesca

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La funzione politica della musica nella letteratura tedesca
di
Enrico Bernard
Adrian Leverkuehn - il “Faust” di Thomas Mann - che rappresenta la figura rivoluzionaria del
compositore Schoenberg padre della dodecafonia, non si accontenta di comporre musica con le
note. Il suo punto di partenza è bensì, come per Beethoven, la narrazione “a parole”
dell’ispirazione da tradurre in accordi. Questa concezione apre le porte ad una riflessione su
quella che si potrebbe definire la “funzione etica” del linguaggio musicale.
Nel Discorso su Lessing Mann intuisce infatti la caratteristica principale del linguaggio umano
sul quale si basa ogni concezione estetica dell’arte, che è poi soprattutto un fatto sociale, e nel cui
ambito rientra ovviamente anche la musica:
“La distinzione (tra i generi, ndr.) è annullata e cancellata di continui dallo stesso elemento
critico della lingua. Un’arte il cui strumento è la lingua, determinerà sempre una creazione
altamente critica, giacché la lingua stessa è critica della vita” (1)
Siamo alle prese con ciò che Mann chiama “volontà etica del poeta” che finisce per coinvolgere,
nel Doktor Faustus, anche il compositore che crea un linguaggio musicale “altamente critico” nei
confronti della vita (2). Infatti Adrian Leverkuehn, il Faust-musicista in rotta con la società
tedesca dell’epoca, non compone originalmente con le note; ma, come accennato, con l’ausilio
delle parole. E dato che la sua opera musicale aspira ad essere ‘rivoluzionaria’ sia sul piano
artistico-estetico, sia da un punto di vista etico-sociale, ecco che il linguaggio che egli adotta è
ipso facto rivoluzionario, anche se poi sfocia ‘soltanto’ in una creazione musicale e ‘altamente
critica’. Non a caso, dunque, l’amico del compositore Leverkuehn, l’Io narrante del romanzo,
Serenus Zeitblom, scorge in Leverkuehn proprio l’epigono delle tendenze rivoluzionarie della
drammaturgia lirica tedesca.
In un chiarificatore brano del Doktor Faustus Zeitblom spiega il suo punto di vista su
Leverkuehn:
“Egli (Leverkuehn, ndr.) ripudiava la musica a programma; diceva che non era né carne né
pesce, roba da epoche borghesi, un controsenso estetico. La musica e il linguaggio devono
andare uniti, sono in fondo una cosa sola: la lingua è una musica, la musica una lingua, e
separatamente l’una si richiama sempre all’altra, imita l’altra, si serve dei mezzi dell’altra e fa
intendere di essere una sostituzione dell’altra. Come la musica possa essere dapprima parola,
possa essere pensata e progettata in anticipo come parola, egli intendeva dimostrarmi mediante
il fatto che Beethoven era stato osservato mentre componeva a parole… La qual cosa sarebbe
una prova della particolare affinità tra la musica e la lingua. Ed è ovvio che la musica si accenda
alla parola e la parola erompa dalla musica, come avviene verso la fine della Nona Sinfonia. In
fondo è pur vero che tutta l’evoluzione musicale tedesca tende al Wort-Ton-Drama di Wagner e
vi trova la sua meta” (3).
Il riferimento alla Nona Sinfonia in cui coincidono la “volontà etica” del Compositore e
l’impegno ideologico del Poeta (Schiller), che proprio nell’Inno alla gioia fa esplodere le
aspirazioni umanistico-rivoluzionarie del tempo, assume nel Doktor Faustus particolare rilievo.
Perché il rifiuto di Leverkuehn della musica fine a se stessa, “roba da epoche borghesi” egli dice,
sta a significare come per lo stesso Mann la musica non rappresenti solo un fenomeno estetico,
ma una forma di critica dell’esistente fondata, al pari di letteratura e poesia, sulla lingua.
Non è un caso comunque che, almeno nell’ambito della letteratura tedesca, la concezione
manniana della musica si inserisca in un vasto processo storico. Non ci si riferisce soltanto alla
‘lingua universale’ agognata dai Romantici tedeschi, che pure giunsero ad una prima singolare
fusione di musica e letteratura, bensì al particolare aspetto ‘rivoluzionario’ che il linguaggio
musicale assume nelle opere, ad esempio, si Ludwig Tieck e E.T.A. Hoffmann. Ne Il mondo alla
rovescia del 1798 di Tieck – il titolo la dice certo lunga sulle aspirazioni “sovversive” dell’Autore
– Apollo chiama infatti a raccolta le sue schiere rivoluzionarie al suono della lira, riaccendendo
nei cuori, in virtù della ‘musica divina’, la fiamma dei sentimenti umani oppressi dal piccoloborghese Scaramuccia. La musica pervade del resto tutta l’opera, fin dal prologo, che è una specie
di sinfonia scritta a parole con tanto di ‘andante’, ‘adagio’, ‘crescendo’, ‘violino primo solo’,
ecc.:
“Come? Non è forse lecito ed anche possibile pensare in musica e comporre con parole e
pensieri? Oh, come si metterebbe male per noi poveri artisti! Povera lingua e ancor più povera
musica!” (4)
La geniale intuizione di Tieck del rapporto musica/parola travalica il puro piano formale e
coinvolge direttamente la società umana, proprio perché è rivolta contro le strutture economiche
borghesi del tempo. La società moderna, è questa l’accusa di Tieck, immiserisce la creazione
artistica, spegne l’ispirazione stessa e trasforma la vita disumanizzandola per salvaguardare il
profitto. Non a caso Il mondo alla rovescia si conclude con una cruenta rivoluzione che
ristabilisce i valori umani che rischiavano di andar perduti sotto il dominio del borghese
Scaramuccia.
Ma in pochi anni queste speranze rivoluzionarie debbono arrendersi al cospetto dell’evoluzione
economica della Germania in cui lo sviluppo capitalistico non presenta alcun aspetto ‘libeale’. Il
dissidio artista/società diviene insanabile e la musica, in questo contesto, assume un valore di
rivolta personale. I racconti musicali di E.T.A. Hoffmann sono, in questo senso, significativi.
Marcuse, a proposito dei Dolori musicali del direttore d’orchestra Giovanni Kreisler, coglie il
senso della rivolta individuale che si realizza grazie allo strumento della musica:
“Dove egli (Kreisler, ndr.) fa la sua apparizione, recando sulla fronte il marchio della diversità,
del suo essere altro, il riso ammutolisce, la tranquillità banale è turbata. Simile a un animale in
catene, egli deve giocare con ciò che ha di più sacro (la musica) nel bel mezzo di questo
affaccendarsi della società, della vita e della routine quotidiana, in questo tramestio che lo
disgusta… solo la musica gli procura un sentimento di liberazione” (5).
Tuttavia la liberazione estetica prodotta dalla musica è soltanto un miraggio in questo mondo.
Così Kreisler si trasforma in un demone ribelle, scapigliato e vagabondo, con una smorfia paurosa
sul volto, un ghigno che fa macabramente il verso all’ironia con cui i Romantici speravano di
astrarsi dalla realtà. Questo ghigno diventa dunque uno sfrontato atteggiamento di aperta
ribellione. Un atteggiamento che non può comunque sfuggire alla consigliera Benzon che così
apostrofa il maestro Kreisler:
“E lei… con la sua fantasia eccessiva e sfrenata, con questa ironia che lacera il cuore, non farà
mai altro che provocare disordine, che seminare inquietudine, che produrre una completa
dissonanza di tutti i rapporti convenzionali attualmente esistenti” (6).
Questa fantasia che rischia di ‘provocare disordine’ e, addirittura, di ‘far saltare i rapporti
convenzionali attualmente esistenti’, non è altro che la rivolta, resa possibile dalla musica,
dell’artista contro la società.
Claudio Magris scrive a questo proposito:
“Kreisler è costretto, per guadagnarsi di che vivere, ad allietare con la musica le serate alla
moda di filistei arricchiti ed insensibili ad ogni valore poetico. Per sopravvivere, deve prostituire
la sua arte, degradarla a merce. Hoffmann, così ammirato da Baudelaire, è uno dei primi ad
intuire la mercificazione della poesia… Con un’intuizione straordinariamente precoce, Hoffmann
denuncia la funzione dell’arte integrata nel meccanismo del sistema, la quale, com’egli dice,
serve a ristorare e a distrarre l’uomo stanco dal lavoro e dagli impegni sociali onde poterlo
reinserire nuovamente, attivo e disteso, nell’ingranaggio produttivo. A quest’orrida disumanità
della norma l’arte può porre non un’alternativa, ma solo una smaniosa e impotente protesta.
Essa dunque si riduce a smorfia, istrioneria e negazione, ribelle alla falsa morale, scade
nell’amoralità o nella crudeltà” (7)
Tuttavia Hoffmann lascia aperto nella Kreisleriana uno spiraglio di salvezza:
“Per Kreisler – nota Magris – che nel terzo e mai scritto volume del Gatto Murr avrebbe dovuto
finire pazzo come il musicista Berlinger di Wackenroder, qui c’è ancora possibilità di salvezza.
La musica, si dice verso la fine, è abuso della vita, ma anche riscatto” (8)
Il ‘riscatto’ di cui parla Magris non è altro che il radicale mutamento delle condizioni esistenti,
un rovesciamento che restituisca all’uomo, e in particolare l’artista, la personalità umana. La
condanna ideologica della società borghese che trova espressione nel Peter Schlemihl di
Chamisso, in cui il protagonista vende se stesso in cambio del miraggio del benessere
economico(9), viene anticipata nei racconti kreisleriani di Hoffmann nel brano Ombra adorata
(anche qui, come nello Schlemihl, siamo alle prese con l’ombra). Il brano si conclude infatti con
una devastante e decisiva rivoluzione universale:
“In un trasporto mai provato prima, mi elevo allora di un volo potente sopra le vergogne della
terra; tutte le musiche che nel mio petto ferito il dolore ha irrigidito nel sangue, rivivono e si
muovono e si eccitano e rigurgitano lampeggiando come scintillanti salamandre, ed io l’afferro,
le avvinghio, ne formo un manipolo di fuoco, che diviene poi un’immagine fiammeggiante la
quale illumina e vivifica te e il tuo canto” (10).
La rivoluzione celeste agognata dal musicista Kreisler, sia pur fortemente metafisica, è d’altra
parte anche conscia del proprio ruolo nella realtà. Basti pensare alla rivoluzione celeste del dio
Apollo che, ne Il mondo alla rovescia di Tieck, scaccia a suon di cannonate i filistei borghesi dal
tempio dell’arte. La metafora si traduce insomma in contenuti molto concreti in cui si sente odore
di rivolta.
Il direttore d’orchestra Kreisler non è certo un ‘rivoluzionario’ nel senso classico della parola, né
può mettersi a capo di una sommossa come il divino musicista Apollo di Tieck. Hoffmann fa
compiere a Kreisler una più segreta e forse inutile rivolta individuale con l’unico strumento che il
povero maestro ha a sua disposizione: la musica. Così Kreisler propina al suo pubblico
un’interminabile sonata di Bach, al posto delle melodie in voga, a scopo provocatorio. Non solo,
ma prolunga con una serie di variazioni la serata finché non resta solo nel buio della sala vuota.
Questa rivolta trova del resto una conferma nella presa di coscienza da parte di Kreisler della
divisione del mondo in classi:
“… quasi nessun artista è divenuto tale per libera scelta… tutti son sempre venuti fuori dalla
classe più povera Nati da genitori oscuri e privi di mezzi, e magari da artisti, son divenuti quello
che sono per il bisogno, il caso e la nessuna probabilità di riuscita tra le classi veramente utili”
(11).
Poco più avanti Hoffmann mette in bocca a Kreisler un chiaro pronunciamento a favore
dell’impegno politico dell’artista e del musicista. Siamo nei Pensieri sparsi (e spersi):
“Che artista si è occupato prima d’ora degli avvenimenti politici? Si viveva soltanto nell’arte e
solo per essa si attraversava la vita: ma un’epoca tragica e fatale ha afferrato l’uomo col suo
pugno di ferro e il dolore gli strappa accenti che prima gli erano ignoti” (12).
Nel Cavaliere Gluck come ne L’allievo di Tartini e negli altri racconti musicali di Hoffmann (Il
consigliere Krespel, L’automa, ecc.) non facciamo che ritrovare, come nota Giovanni Di Stefano
(13), il topos classico del romanticismo tedesco: l’opposizione arte-società borghese.
La musica, in quanto linguaggio della natura che ripristina la completezza umana, è di
conseguenza l’arte che più delle altre entra in contrasto con la società e, in essa, meno viene
capita. Non a caso il giovane rivoluzionario Wagner ha come punto di riferimento proprio i
racconti musicali di Hoffmann nella stesura degli schizzi e dei saggi di Un musicista tedesco a
Parigi.
È dunque significativo che i compositori che più interessano Hoffmann, siano proprio i ‘geni
rivoluzionari’ Mozart e Beethoven: Mozart è infatti fautore di una rivoluzione umanistica (v. Il
flauto magico); Beethoven invece più apertamente appoggia gli ideali della Rivoluzione Francese
e (v. naturalmente l’Eroica) si dichiara ammiratore di Napoleone finché questi non tradisce gli
originari ideali. Nel racconto musicale Don Giovanni Hoffmann coglie del resto il contenuto di
‘rivolta’ dell’opera mozartiana:
“Ormai il possesso delle donne non fu più per lui il soddisfacimento dei propri sensi, ma l’ironia
sacrilega verso la natura e verso il Creatore. Due cose: il sovrumano disprezzo delle comuni
opinioni cui si sentiva superiore, e l’amara irrisione per gli uomini che potevano aspettare
ancora l’attuarsi delle più alte aspirazioni dall’amore tranquillo e dall’unione borghese…
Queste due cose lo spinsero a ribellarsi e ad alzarsi arditamente, come strumento di distruzione,
contro l’essere ignoto padrone del destino” (14).
Anche nel piccolo capolavoro di Moerike, Mozart in viaggio verso Praga, ritroviamo, sia pur con
toni più pacati rispetto a Hoffmann, il dissidio tra musicista e società borghese che si risolve con
la distruzione o dell’uno o dell’altra. Mancano, è vero, gli accenti ‘rivoluzionari’; ma pure in
questo caso la musica rappresenta la realizzazione di un ‘ideale umano’ che non è di questo
mondo, né di questa società. Nel racconto di Moerike, Mozart rischia infatti la galera per il furto
di un’arancia colta in un momento d’ispirazione. In seguito vediamo il Compositore passare a vie
di fatto per difendere una fanciulla dai soprusi della vita.
Passando alla seconda metà del XIX secolo, dobbiamo soffermarci, sia pur brevemente, sul
rapporto Nietzsche-Wagner. Per mancanza di spazio non è il caso di approfondire la questione
complessa. Rimandando il lettore alla vasta bibliografia sull’argomento, bisogna esaminare un
brano di Ecce Homo:
“… cominciai a respirare liberamente per la prima volta nella vita al mio primo contatto con
Wagner: lo sentii e lo venerai come la terra straniera, come antitesi, come protesta vivente
contro tutte le virtù tedesche. Noi, noi non possiamo essere altro che rivoluzionari, non
ammetteremo mai uno stato delle cose in cui domini il baciapalle… Benissimo! Wagner era un
rivoluzionario!” (15)
Ecco dunque che, ancora una volta, musica e ‘linguaggio’ rivoluzionario procedono di pari passo.
Ed è solo quando Wagner cessa di essere rivoluzionario che si viene a creare il dissidio con
Nietzsche:
“Che cosa non ho mai perdonato a Wagner? Che abbia accondisceso ai tedeschi, che sia
diventato cittadino dell’Impero germanico” (16).
La tesi qui proposta trova del resto conferma nell’opera del più giovane dei grandi scrittori
tedeschi. Ci riferiamo naturalmente a Thomas Bernhard e al suo recente romanzo Il soccombente
(1983). Anche in questo caso abbiamo a che fare con un musicista fallito che si accorge che la
musica rappresenta per lui, non tanto un’espressione della propria personalità artistica, bensì uno
strumento di rivolta contro la società del suo tempo. Ecco la confessione dell’Io narrante del
romanzo di Bernhard:
“Lo Steinway fu il mio baluardo contro i miei familiari, contro il loro mondo, contro l’ottusità
della mia famiglia e del mondo… Io non ero nato per diventare un virtuoso del pianoforte, ma
semplicemente mi costrinsi a diventarlo… lo feci con la massima spietatezza nei confronti dei
miei… Ero talmente disperato che per oppormi a loro decisi di diventare un artista, la soluzione
più ovvia era che diventassi un virtuoso del pianoforte… ed è sfruttando quest’idea come arma
contro di loro che l’ho portata alla più alta ed eccelsa perfezione” (17)
Già nella pieces teatrale La forza dell’abitudine, Bernhard rappresenta nella musica il punto
focale dello scontro tra aspirazioni individuali e convenzioni sociali. Ne Il soccombente la musica
è però trasformata in un vero e proprio strumento di lotta contro la società moderna. Il romanzo,
che si sviluppa come un vero e proprio componimento musicale anche dal punto di vista
linguistico, è un atto d’accusa contro tutte le istituzioni del nostro tempo: scuole, accademie,
conservatori, tribunali, salotti borghesi, agenzie immobiliari, ministeri, ecc. Ed è proprio l’Io
Narrante a spiegare, in conclusione, come la sua sete di musica e di arte non sia altro che un
umanissimo desiderio di rinnovare lo stato di cose che lo immiserisce come uomo e come
musicista.
“Ma il popolo è sciocco, dissi, il popolo è troppo debole per mutare uno stato di cose come
questo e vuole farsi abbindolare proprio da gente rapace e avida di potere come quella che ora
ci governa… E soprattutto gli austriaci si fanno ancora abbindolare dalla parola ‘socialismo’,
anche se non c’è chi non sappia che la parola socialismo ha perso il suo valore. I socialisti non
sono più socialisti, i socialisti di oggi sono i nuovi sfruttatori, gente falsa e bugiarda!” (18)
Naturalmente, l’impossibilità di cambiare il mondo mediante la musica fa sì che l’Io narrante di
Bernhard, pur essendo un valido pianista, abbandoni la propria vocazione artistica, sprechi le
proprie capacità di musicista per diventare ‘filosofo’ e dedicarsi alla scrittura. Una scrittura che
ovviamente rappresenta una forma di critica ‘rivoluzionaria’, per Thomas Mann come per
Thomas Bernhard, del proprio tempo.
Enrico Bernard
NOTE
(1) T. Mann, Discorso su Lessing, p. 272, sta in Tutte le opere, vol. X, pp. 269-308, a cura di L. Mazzucchetti, Verona
1953.
(2) v. a questo proposito E. Bernard, Sulla natura infinita dell’opera d’arte, sta in Criterio, anno III, n. 2, pp. 150-153.
(3) T. Mann, Doktor Faustus, pp. 311-312, op. cit., vol. VIII, traduzione di Lavinia Mazzucchetti.
(4) L. Tieck, Die verkehrte Welt, Genova 1984, p. 56, trad. Enrico Bernard.
(5) Marcuse, Il romanzo dell’artista nella letteratura tedesca, p. 162, Torino, 1985.
(6) E.T.A. Hoffmann, Werke X, p. 54 (trad. It. Biografia frammentaria del direttore d’orchestra Giovanni Kreisler, I, p.
57, Lanciano s.d.)
(7) E.T.A. Hoffmann, Kreisleriana, introduzione di C. Magris, pp. 8-12, Milano 1984.
(8) op. cit.
(9) v. la nota di E. Bernard al Viaggio intorno al mondo di A. von Chamisso, Napoli 1985.
(10) E.T.A. Hoffmann, op. cit., p. 39
(11) E.T.A. Hoffmann, op. cit., p. 42.
(12) ivi, p. 59.
(13) E.T.A. Hoffmann, L’allievo di Tartini, prefazione di G. Di Stefano, p. 20, Firenze 1984.
(14) op. cit. p. 62.
(15) F. Nietzsche, Ecce Homo, p. 46, Milano 1969.
(16) ivi, p. 47.
(17) T. Bernhard, Il soccombente, p. 28, Milano 1985.
(18) op. cit., p. 135.
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