Prefazione
Questo libro si basa in larga misura sulle lezioni di Meccanica Razionale tenute dall’autore
per il corso di Laurea in Fisica presso Università di Bologna dal 1972, integrato con argomenti svolti in altri corsi quali Teoria dei Sistemi, Modelli Matematici e di Sistemi Dinamici
per il Dottorato in Fisica.
I capitoli riguardanti la meccanica newtoniana e lagrangiana e la parte iniziale della meccanica hamiltoniana (1-15) hanno costituito la base del corso, redatti sotto forma di dispense, i cui capitoli finali riguardavano una introduzione alla meccanica dei continui a
partire dalla corda elastica (26-30). In tempi più recenti questa parte è stata sostituita
da un approfondimento della meccanica hamiltoniana volto ad illustrare la natura dei
sistemi integrabili e a fornire i primi elementi di teoria perturbativa (16-19), come strumento di indagine dei sistemi quasi integrabili. Negli ultimi tre anni infine, sono stati
progressivamente introdotti alcuni elementi di meccanica statistica, che comprendono una
introduzione al moto browniano e la descrizione degli insiemi microcanonico e canonico
(24-25). Le equazioni stocastiche ed i processi diffusivi sono tratteggiati nei loro aspetti
essenziali, anche per illustrare il comportamento dei sistemi hamiltoniani fuori dal regime
integrabile. L’analisi di stabilità, delle risonanze non lineari e delle intersezioni omocline
consente di cogliere gli aspetti essenziali della transizione al caos (20-23) su alcuni modelli
fisicamente significativi (pendolo doppio, problema dei tre corpi, acceleratore di particelle),
ma va riservata ad un corso del secondo biennio insieme con alcuni argomenti svolti nei
capitoli di dinamica hamiltoniana. Il filo conduttore del corso è la presentazione del tessuto
tradizionale della meccanica razionale nel contesto della teoria dei sistemi dinamici. Il fine
è quello di fornire gli strumenti matematici per la costruzione di modelli e per la loro analisi
sia qualitativa sia quantitativa, dal punto di vista analitico e numerico. Le nozioni di spazio
delle fasi, flusso, mappa, campo vettoriale, integrali primi ed il loro significato geometrico
vengono introdotti nelle prime lezioni, dedicate ai richiami di meccanica newtoniana. Si
dedica ampio spazio ai problemi unidimensionali, perché ad essi si riconducono i sistemi
integrabili, nelle coordinate in cui sono separabili. La dinamica dei sistemi vincolati viene
formulata in modo geometrico, mostrando l’equivalenza con principio di D’Alambert, ma
senza l’apparato formale della geometria differenziale, tranne l’analisi di curve e superfici.
ii
Prefazione
c 88-08- 9820
°
Gli strumenti matematici richiesti per la lettura del testo sono quelli tradizionalmente
svolti nei corsi di Analisi 1 e 2. Alcuni complementi matematici, quali le serie di Fourier
o il teorema del limite centrale, sono trattati in appendice per rendere il testo autoconsistente. I capitoli sulle equazioni differenziali lineari, sull’ analisi qualitativa e la stabilità
(10, 11-13) sono stati inseriti per rendere autonoma la presentazione e per illustrarne le
applicazioni più significative, non contemplate nei corsi di analisi. Il testo non contiene
una raccolta separata di esercizi, ma in ogni capitolo ne vengono proposti e svolti alcuni.
La raccolta degli problemi proposti come prove d’esame sarà pubblicata separatamente.
Questo testo non si sarebbe di certo realizzato senza la presenza degli studenti che in
questi anni hanno seguito il corso consentendo di affinarne la costruzione e la presentazione.
Un sentimento di gratitudine va alla memoria del Prof. Dario Graffi, che oltre ad avere
introdotto l’autore a questa disciplina insieme con il Prof. L. Caprioli, gli ha consentito di
tenerne l’insegnamento presso la Università di Bologna. Un ringraziamento particolare al
Dr. A. Bazzani, per le puntuali osservazioni fatte su numerosi capitoli, oltre che per aver
collaborato insieme al Prof. G. Servizi allo svolgimento del corso. Desidero ringraziare
il Prof. F. Mainardi, il Prof. S. Rambaldi, il Dr. E. Todesco, la Dr. F. Brini e la Dr.
S. Abenda per aver letto criticamente alcune parti e la Dr. A. M. Disebastiano per il
contributo apportato con la sua tesi di dottorato.
La redazione del testo e la preparazione di tutta la parte grafica è stata curata dall’autore
con la valida collaborazione del Dr. D. Frattini per la parte tridimensionale. I risultati
numerici, presentati in forma grafica, e che si distinguono per essere riquadrati, sono stati
ottenuti con una libreria ed un programma GIOTTO, sviluppati dal Prof. G. Servizi, che
si ringrazia per la consulenza informatica.
Indice generale
Capitolo 1
Principi generali
2
5
11
15
20
23
29
34
38
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
1.6.
1.7.
1.8.
1.9.
Introduzione
Spazi vettoriali
Trasformazioni lineari
Trasformazioni di Galileo
Cinematica del punto
Equazioni di evoluzione
Leggi di Newton
Variabili dinamiche, integrali primi
Lavoro, energia potenziale
Capitolo 2
Problemi unidimensionali
45
51
53
57
63
67
72
76
82
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
2.7.
2.8.
2.9.
Piano delle fasi
Equazioni separabili
Esempi di campi vettoriali
Legge oraria per forze posizionali
Punti critici e potenziali quadratici
Topologia delle orbite
Coordinate azione e angolo
Pendolo e oscillatori anarmonici
Sistemi dinamici piani
iv
Indice generale
Capitolo 3
Campo centrale
87
90
95
98
101
104
3.1. Coordinate polari
3.2. Equazione dell’orbita
3.3. Coniche in coordinate polari
3.4. Il problema di Keplero
3.5. Precessione, orbite quasi circolari
3.A. Appendice al problema di Keplero
Capitolo 4
Sistemi di punti
107
109
110
111
116
4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
4.5.
Equazioni fondamentali
Sistema del centro di massa
Il problema dei due corpi
Processi d’urto
Sezione d’urto
Capitolo 5
Punto vincolato
123
125
128
132
133
137
140
145
5.1. Vincoli e reazioni vincolari
5.2. Realizzazione di vincoli olonomi
5.3. Coordinate lagrangiane
5.4. Lavori virtuali
5.5. Equazioni del moto
5.6. Pendolo ed altri esempi
5.A. Geometria delle superfici
5.B. Varietà rilevanti
Capitolo 6
Sistemi di punti vincolati
150
152
153
155
159
162
164
168
6.1. Considerazioni generali
6.2. Geometria dei vincoli
6.3. Equazioni di Lagrange
6.4. Potenziali generalizzati
6.5. Vincoli anolonomi
6.6. Equazioni di Maggi
6.7. Equazioni di Hamilton
6.A. Trasformata di Legendre
c 88-08- 9820
°
c 88-08- 9820
°
Indice generale
Capitolo 7
Simmetrie
170
174
175
177
7.1.
7.2.
7.3.
7.4.
Gruppi continui di simmetria
Invarianza delle equazioni del moto
Trasformazioni di scala e di Galileo
Trasformazioni discrete
Capitolo 8
Rotazioni e moto relativo
179
182
186
189
190
8.1.
8.2.
8.3.
8.4.
8.5.
Matrici di rotazione
Rotazioni infinitesime e angoli di Eulero
Cinematica relativa
Dinamica relativa
Moto in un sistema rotante
Capitolo 9
Corpo rigido
194
198
202
207
212
216
9.1.
9.2.
9.3.
9.4.
9.5.
9.6.
Cinematica
Sistemi di forze
Tensore di inerzia
Moto per inerzia
Moti giroscopici
Formulazione hamiltoniana
Capitolo 10
Sistemi lineari
221
225
230
232
236
241
245
249
10.1. Oscillazioni lineari
10.2. Oscillazioni forzate
10.3. Sollecitazioni impulsive
10.4. Equazioni differenziali lineari
10.5. Sistemi autonomi
10.6. Sistemi periodici
10.A. Forme di Jordan
10.B. Serie di Fourier
v
vi
Indice generale
Capitolo 11
Stabilità
254
256
260
264
266
268
271
11.1. Stabilità dell’equilibrio
11.2. Stabilità lineare e non lineare
11.3. Sistemi lineari piani
11.4. Funzione di Lyapounov
11.5. Stabilità del moto
11.6. Risonanza parametrica
11.A. Norme di matrici
Capitolo 12
Teoria qualitativa
273
274
276
277
12.1. Unicità della soluzione
12.2. Esistenza della soluzione
12.3. Dipendenza continua dal campo
12.A. Condizione di Lipschitz
Capitolo 13
Piccole oscillazioni
278
280
282
283
13.1.
13.2.
13.3.
13.4.
Approssimazione delle piccole oscillazioni
Coordinate normali
Principio di Rayleigh
Oscillatori armonici e pendoli
Capitolo 14
Principi variazionali
287
290
292
294
14.1.
14.2.
14.3.
14.4.
Calcolo delle variazioni
Equazioni di Eulero-Lagrange
Principi di Hamilton
Problemi variazionali
Capitolo 15
Trasformazioni canoniche
299
302
303
306
310
311
316
15.1.
15.2.
15.3.
15.4.
15.5.
15.6.
15.7.
Trasformazioni di coordinate
Coordinate non canoniche
Conservazione dei volumi
Funzioni generatrici
Trasformazioni infinitesime
Parentesi di Poisson
L’invariante di Poincaré-Cartan
c 88-08- 9820
°
c 88-08- 9820
°
Indice generale
Capitolo 16
Serie di Lie
318
321
324
326
328
16.1. Derivate di Lie
16.2. Flussi hamiltoniani
16.3. Commutatori e simmetrie
16.4. Forme normali
16.A. Algoritmi per le serie di Lie
Capitolo 17
Proprietà dell’azione
331
335
336
339
343
345
349
17.1.
17.2.
17.3.
17.4.
17.5.
17.6.
17.7.
Derivate dell’azione
Azione ridotta
Geodetiche
Equazione di Hamilton-Jacobi
Separabilità
Famiglie di hamiltoniane separabili
Variabili angolari
Capitolo 18
Sistemi integrabili
354
355
359
364
367
371
18.1.
18.2.
18.3.
18.4.
18.5.
18.6.
Evoluzione dei sistemi integrabili
Geometria dello spazio delle fasi
Risonanze
Ergodicità
Geometria della mappa di Poincaré
Analisi delle frequenze
Capitolo 19
Teoria perturbativa
373
375
377
382
386
387
391
393
395
396
397
19.1. Equazioni del moto e termini secolari
19.2. Sviluppi di Lindstedt
19.3. Teoria canonica non risonante
19.4. Teoria canonica risonante
19.5. Teoria canonica dipendente dal tempo
19.6. Invarianti adiabatici
19.7. Sviluppi con serie di Lie
19.8. Sviluppi per forme normali
19.A. Sviluppi a frequenza fissa
19.B. Sistemi anisocroni
19.C. Stime
vii
viii
Indice generale
Capitolo 20
Sistemi quasi integrabili
401
404
407
20.1. Tempi di stabilità
20.2. Un modello solubile
20.3. Stime perturbative
Capitolo 21
Sistemi caotici
411
413
417
418
21.1.
21.2.
21.3.
21.4.
Genesi delle isole
Mappe hamiltoniane
Esponenti di Lyapounov
Sistemi mescolanti
Capitolo 22
Integrazione numerica
421
423
424
22.1. Metodo di Eulero
22.2. Metodo di Runge-Kutta
22.3. Integratori simplettici
Capitolo 23
Modelli hamiltoniani
427
430
433
439
441
446
23.1.
23.2.
23.3.
23.4.
23.5.
23.6.
Oscillatori e pendolo
Problema di Keplero
Oscillatori bidimensionali
Il pendolo doppio
Il problema dei tre corpi
Ottica hamiltoniana
Capitolo 24
Equazioni stocastiche
454
457
461
463
467
469
472
24.1. Distribuzioni gaussiane
24.2. Passeggiata aleatoria
24.3. Processi di Wiener
24.4. Equazione di Fokker-Planck
24.A. Misure di probabilità
24.B. Elementi di statistica
24.C. Derivazione della equazione di Fokker-Planck
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°
c 88-08- 9820
°
Indice generale
Capitolo 25
Meccanica statistica
476
480
484
487
494
496
498
498
501
25.1. Equilibrio statistico
25.2. Descrizione termodinamica
25.3. L’insieme microcanonico
25.4. L’insieme canonico
25.5. Teoria cinetica
25.6. Descrizione stocastica
25.A. Il teorema del ritorno
25.B. Volumi nello spazio delle fasi
25.C. Descrizione macroscopica
Capitolo 26
Corda elastica
506
509
511
26.1. Spettro della corda discreta
26.2. Limite del continuo
26.3. Corda non omogenea
Capitolo 27
Equazione delle onde
515
517
519
522
524
526
528
27.1.
27.2.
27.3.
27.4.
27.5.
27.6.
27.7.
Proprietà generali
Soluzione unidimensionale
Onde stazionarie
Approssimazione iconale
Meccanica ondulatoria
Onde dispersive
Onde non lineari
Capitolo 28
Meccanica dei continui
532
533
535
537
540
28.1.
28.2.
28.3.
28.4.
28.5.
Cinematica
Derivate temporali
Geometria della deformazione
Dinamica dei continui
Equazioni di bilancio
ix
x
Indice generale
Capitolo 29
Mezzi elastici
543
545
547
29.1. Relazione sforzo-deformazione
29.2. Equazioni linearizzate
29.3. Onde elastiche
Capitolo 30
Fluidi
550
552
554
30.1. Equazioni costitutive e del moto
30.2. Leggi di conservazione
30.3. Moti piani
Indici
557
Indice analitico
564
Bibliografia generale
566
Bibliografia specifica
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°
1. Principi generali
Obiettivo della meccanica classica è l’analisi del moto di sistemi macroscopici siano questi
stelle e pianeti, un pendolo o un giroscopio, una sbarra elastica od un fluido. Sui fondamenti posti da Galileo è stato sviluppato, prima da Newton e poi da Eulero, un apparato
matematico che ha raggiunto la sua completa formalizzazione alla fine del secolo scorso
nella cosiddetta meccanica analitica. Da questo apparato è emersa la nozione più generale
ed astratta di sistema dinamico che estende la infrastruttura ed i metodi della meccanica
ad un qualsiasi sistema deterministico, di cui cioè è possibile prevedere l’evoluzione nel
tempo, note che siano le condizioni iniziali e le leggi che che lo governano. Per questo motivo non è più solo la fisica a beneficiare degli sviluppi della meccanica ma anche discipline
da essa assai lontane.
Dalla meccanica sono nati nuovi settori della matematica quali la geometria differenziale e
la teoria ergodica e nel suo ambito si sono sviluppate nuove teorie fisiche. Basterà pensare
alla teoria semiclassica di Bohr e Sommerfeld che ha precorso e preparato la formulazione
della meccanica quantistica ed alla teoria cinetica dei gas con cui Boltzmann ha posto le
basi della meccanica statistica. Nei capitoli che seguiranno si farà una presentazione della
meccanica newtoniana, lagrangiana ed hamiltoniana seguendo sostanzialmente l’ordine del
suo sviluppo storico, dedicando particolare attenzione ai suoi strumenti matematici ed
evidenziando gli aspetti geometrici. Questi infatti permettono di stabilire un ponte tra i
sistemi esplicitamente integrabili e quelli per cui siamo in grado di fare solo una analisi
qualitativa e di cogliere la differenza profonda che esiste tra proprietà locali e globali di un
sistema.
2
1. Principi generali
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°
1.1. INTRODUZIONE
Problematiche attuali. La meccanica classica svolge un ruolo non secondario nello
sviluppo delle tecnologie di punta richieste dalla ricerca nello spazio, dalla fisica subnucleare, dalla fisica dei plasmi confinati e costituisce un punto di riferimento per altre scienze
(economiche, biologiche o sociali) per il crescente interesse suscitato dai sistemi non lineari
in cui coesistono ordine e caos. I controlli di assetto e l’inserimento di veicoli spaziali
in orbite che raggiungono con precisione estrema anche i pianeti esterni sono basati su
calcoli molto accurati di meccanica celeste. La realizzazione dei grandi acceleratori con
magneti superconduttori richiede la definizione di orbite stabili su un numero elevatissimo
di rivoluzioni e presenta forti analogie con il problema della stabilità del sistema solare.
Infine il controllo delle instabilità in un plasma, confinato magneticamente per raggiungere le condizioni di fusione termonucleare, richiede l’analisi del moto di cariche in campi
magnetici fluttuanti. In questi casi, contrariamente a quanto avviene nelle applicazioni
della meccanica alle tecnologie ordinarie, le forze in gioco e le risultanti equazioni sono
di natura non lineare. Una delle principali difficoltà nella realizzazione di un acceleratore
di grande energia e luminosità o di un Tokamak in cui la scarica si mantiene a lungo è
certamente dovuta alla parziale comprensione del comportamento quanto mai diversificato
e complesso dei sistemi non lineari, il cui studio costituisce oggi il fronte avanzato della
meccanica. Dopo un periodo di quiescenza, seguito alle grandi intuizioni di Poincaré verso
la fine del secolo scorso, da circa due decenni, si è risvegliato un grande interesse per i
sistemi dinamici non lineari, nei quali si è osservato il frequente insorgere di moti caotici e
di strutture geometriche anomale. Il caos, assente nei modelli tradizionali della meccanica,
sta assumendo il ruolo di un nuovo paradigma.
Limiti di validità. La meccanica classica galileiana si applica ai sistemi macroscopici
in moto lento. Ciò significa che le velocità in gioco v debbono essere piccole rispetto alla
velocità della luce c = 3 × 1010 cm/s
v
≪1
(1.1.1)
c
In queste condizioni, che sarebbero sempre verificate nel limite matematico c → ∞, detto
anche limite non relativistico, le leggi del moto per sistemi isolati, sono invarianti rispetto
alle trasformazioni di Galileo tra sistemi di riferimento. Lo studio dei fenomeni elettromagnetici, che ha messo in evidenza come non sia lecito assumere la propagazione istantanea
di un segnale e come la velocità della luce sia costante rispetto ad ogni riferimento, ha
condotto a sostituire le trasformazioni di Galileo con le trasformazioni di Lorentz. Come
conseguenza le leggi della dinamica, applicabili al moto di particelle veloci in campi elettromagnetici, vengono cambiate in modo da risultare invarianti rispetto alle nuove trasformazioni. Con questa estensione la meccanica descrive il moto di ogni particella prevedendone la traiettoria e cessa di essere applicabile soltanto quando la traiettoria non è più
definita per il manifestarsi di fenomeni di tipo ondulatorio. Questi fenomeni sono stati
osservati a livello microscopico: la diffrazione di elettroni in un cristallo, gli spettri atomici di emissione od assorbimento di radiazione e l’effetto fotoelettrico hanno mostrato un
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°
1.1. Introduzione
3
dualismo di comportamento ondulatorio e corpuscolare non conciliabile con la descrizione
classica. Nella meccanica quantistica, che risolve questo dilemma, l’identità di un punto
viene sostituita da una misura di probabilità, associata ad una funzione d’onda che ne
descrive l’evoluzione. La meccanica classica torna ad essere applicabile quando alla funzione d’onda che si propaga, si possono sostituire le traiettorie normali alle superfici di fase
costante, come avviene in ottica per i raggi luminosi. Ciò accade quando sono trascurabili
i fenomeni di interferenza e diffrazione ossia quando la lunghezza d’onda è molto piccola
rispetto alla scala su cui le proprietà del mezzo variano sensibilmente.
Ad una particella di energia E e quantità di moto p = mv risulta associata un’onda di
lunghezza λ e periodo T dati da
λ=
h
,
p
T =
h
E
(1.1.2)
dove h, detta costante di Planck, ha le dimensione di un’azione e vale h = 6.6 10−27 erg · s.
Per un sistema macroscopico la lunghezza d’onda è cosı́ piccola che non si possono manifestare fenomeni ondulatori e la descrizione classica è sempre corretta. Da punto di vista
matematico la meccanica classica diventa una teoria esatta nel limite h → 0, detto appunto
limite classico.
Modelli. Tornando definitivamente al mondo macroscopico ricordiamo che il successo
iniziale della meccanica è consistito nel fornire uno schema interpretativo delle leggi di
Keplero e del moto del pendolo. Le leggi stabilite da Newton si applicano ad un modello
ideale, il punto materiale, costituito dal punto matematico con un attributo meccanico, la
massa. La formulazione matematica della meccanica nasce per sistemi semplici, costituiti
da precise entità geometriche, cui possiamo assimilare i sistemi reali mediante un processo
di eliminazione degli attributi non essenziali e viene poi concettualmente estesa a sistemi
complessi.
Ogni modello è specificato dalla dimensione d dello spazio in cui se ne descrive l’evoluzione
e dalla distribuzione di massa tra i suoi componenti. La dimensione d corrisponde al
numero di gradi di libertà, cui si associano le coordinate indipendenti del sistema. Tra i
tipici modelli della meccanica possiamo citare i seguenti di cui ci occuperemo nel seguito
punto materiale libero
d=3
sistemi di N punti materiali liberi
d = 3N
punto materiale vincolato
d<3
corpo rigido
d=6
corda elastica, sistemi continui
d=∞
Combinando i modelli sopra elencati è possibile descrivere con il grado di accuratezza
desiderato un qualsiasi sistema classico. Uno stesso sistema fisico può essere rappresentato
da una serie di modelli di complessità crescente, che ne consentono una descrizione sempre più accurata. Ad esempio la terra sarà descritta come punto materiale, come corpo
4
1. Principi generali
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°
rigido sferoidale o come continuo elastico a seconda che si voglia studiare il suo moto di
rivoluzione, la precessione degli equinozi o le sue oscillazioni libere.
I sistemi continui, con i quali si descrivono i mezzi elastici, i fluidi o il campo elettromagnetico, si differenziano dai modelli con un numero finito di gradi di libertà, per l’apparato
matematico richiesto: equazioni alle derivate parziali anziché equazioni differenziali ordinarie.
Interazioni. La descrizione di un sistema fisico richiede non solo la definizione di un
modello geometrico con attributi dinamici quali la distribuzione della massa tra i suoi costituenti ma anche la definizione delle interazioni tra le sue parti o con il mondo esterno,
se il sistema non è isolato. La prima distinzione da fare è tra interazioni fondamentali,
gravitazionale ed elettromagnetica, che si esercitano tra due masse o due cariche elettriche puntiformi, e di tipo fenomenologico, che schematizzano l’effetto macroscopico di
interazioni fondamentali tra i componenti elementari di un sistema. Tra queste basterà
citare le forze elastiche e dissipative, proporzionali rispettivamente allo spostamento ed
alla velocità, che descrivono le interazioni che richiamano un sistema verso una posizione
di equilibrio o meccanismi (attrito, viscosità) che ostacolano il moto provocando perdite
di energia meccanica.
Determinismo e predicibilità. Le leggi della meccanica classica hanno carattere deterministico. Infatti un sistema isolato di cui conosciamo le interazioni è descritto da un
sistema di equazioni differenziali ordinarie. Note le posizioni e le velocità iniziali dei punti
del sistema, la soluzione di queste equazioni, che esiste ed è unica sotto opportune condizioni di regolarità delle interazioni e dei vincoli, ne determina il moto futuro e passato.
Questa affermazione che trovava il suo massimo fondamento nel completo accordo tra le
predizioni della meccanica celeste e le osservazioni astronomiche, venne esaminata criticamente da Poincaré nel tentativo di capire le ragioni per cui il problema dei tre corpi non
poteva essere risolto analiticamente come molti altri problemi della meccanica. Poincaré
scoprı̀ che accanto ai moti ordinati, su cui è fondata la comune percezione di predicibilità,
esistono altri moti, la cui caratteristica principale è una estrema irregolarità, che giustifica
l’appellativo caotici. I moti ordinati, tipici dei sistemi cosiddetti integrabili hanno una
semplice struttura geometrica e sono prevedibili in senso stretto, perché un errore o indeterminazione nelle condizioni iniziali si propaga linearmente nel tempo. I moti caotici
invece sono caratterizzati da una forte instabilità, poiché orbite inizialmente vicine divergono esponenzialmente nel tempo, e da strutture geometriche complesse in cui le traiettorie
formano un groviglio inestricabile. Pertanto se vogliamo fare una distinzione tra sistemi
semplici e sistemi complessi quello che conta non è tanto il numero di gradi di libertà quanto
il fatto che il sistema presenti solo moti ordinati, oppure no. I moti nei sistemi conservativi
integrabili sono riconducibili a rotazioni uniformi su cerchi; punti, inizialmente vicini, si
muovono su di essi con uno sfasamento, che cresce linearmente nel tempo. Nei sistemi non
integrabili si manifesta una impredicibilità fisica poiché la previsione della posizione di un
punto ad un istante t implica una conoscenza del dato iniziale con un numero di decimali
che cresce linearmente con t. I sistemi completamente caotici finiscono tuttavia per essere prevedibili sotto altro forma se alla conoscenza impossibile dell’evoluto di un punto si
sostituisce il calcolo di valori medi, applicando a questi i metodi tipici della statistica.
Questi nuovi aspetti della meccanica sono oggetto di notevole interesse non solo dal punto
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°
1.2. Spazi vettoriali
5
di vista matematico ma anche dal punto di vista fisico, per l’accresciuta possibilità di
sperimentare con interazioni fortemente non lineari.
1.2. SPAZI VETTORIALI
Il moto di un sistema meccanico viene descritto specificando a ciascun istante la posizione
dei suoi punti rispetto ad un sistema di riferimento. A ciascun punto si associa un vettore posizione che appartiene allo spazio euclideo tridimensionale. Un punto ad un istante
assegnato definisce un evento, cui si associa un vettore dello spazio euclideo quadridimensionale.
Spazio, tempo
Assumiamo come primitive le nozioni di spazio e tempo e diamo di esse una definizione
operativa. Le misure di spazio sono riconducibili a misure di distanza, per effettuare le
quali è necessario disporre di un regolo campione opportunamente suddiviso. Il moderno
regolo campione è costituito dalla lunghezza d’onda di una particolare riga spettrale. Dati
due punti si misura la reciproca distanza e la collocazione di un punto nello spazio viene
individuata misurando le distanze da tre piani mutuamente ortogonali.
Le misure di tempo sono legate all’esistenza di fenomeni periodici che rendono possibili la
costruzione di orologi, strumenti che riconducono le misure di intervalli di tempo a misure
di posizione. Dopo aver misurato il tempo attraverso la periodicità del moto della terra,
sono stati costruiti gli orologi meccanici e successivamente gli orologi atomici, il cui periodo
è quello della radiazione emessa da un atomo su una particolare riga spettrale.
Notiamo che la precisione, con cui lunghezze e tempi possono essere misurate, raggiunge
ed oltrepassa il limite di applicabilità della meccanica classica. Anche se c’è un limite
inferiore per le distanze e gli intervalli di tempo che possono essere misurati assumeremo
comunque comunque che distanze e tempi appartengano al corpo dei numeri reali R.
Spazi vettoriali
Indichiamo con A3 l’insieme dei punti dello spazio ordinario, che costituisce uno spazio
affine. Avendo definito evento un punto ad un dato istante di tempo, l’insieme di tutti gli
eventi è uno spazio affine A4 . Consideriamo le coppie ordinate di punti (Q, P ) dello spazio
affine A3 stabilendo che due coppie (O, P ) e (O′ , P ′ ) sono equivalenti
(O, P ) ∼ (O′ , P ′ )
(1.2.1)
se i corrispondenti segmenti orientati sono paralleli, equiversi e di ugual lunghezza, riconducibili cioè l’uno all’altro mediante trasporto parallelo . Data una coppia ordinata (O, P )
la classe di equivalenza di tutte le coppie definisce un vettore, che indichiamo con r
r = (O, P ) ∼ (O′ , P ′ ) ∼ (O′′ , P ′′ ) . . .
(1.2.2)
6
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
P
P
P
P
1
2
2
1
P
P
3
3
O
Figura 1.2.1. Spazio affine A3 (lato sinistro), spazio vettoriale R3 (lato destro).
La distanza tra i punti di una coppia ordinata (O, P ), che indichiamo con d(O, P ), è la
stessa per tutte le coppie equivalenti e vien detta modulo o norma euclidea del vettore
||r|| = d(O, P ) = d(O′ , P ′ ) = d(O′′ , P ′′ ) = . . .
(1.2.3)
Se in ciascuna classe di equivalenza di coppie ordinate scegliamo quella il cui punto iniziale
è un punto fissato O, che chiamiamo origine, ad ogni punto P dello spazio risulta associato
il vettore r = (O, P ), vedi figura 1.2.1. Scelta una origine Ω nello spazio-tempo A4 ad ogni
evento E associamo il vettore w ∈ R4 corrispondente alla coppia (Ω, E).
Per indicare un vettore useremo anche la notazione seguente
r = (O, P ) = P − O
(1.2.4)
che consente di estendere ai punti le proprietà algebriche della somma se definiamo la
somma tra due vettori r1 = (O, P1 ) e r2 = (O, P2 ) ∼ (P1 , P ) come il vettore r = (O, P )
r1 + r2 = (O, P1 ) + (O, P2 ) = (O, P1 ) + (P1 , P ) = (O, P )
(1.2.5)
Tale definizione, che corrisponde alla classica regola del parallelogramma come mostra la
figura 1.2.2, usando la notazione (1.2.4), diventa
r1 + r2 = P1 − O + P2 − O = P1 − O + P − P1 = P − O = r
(1.2.6)
Il vettore nullo è 0 = (O, O), l’opposto di un vettore r = (O, P ) è −r = (P, O) e si ha
r + (−r) = 0.
La moltiplicazione di un vettore r = (O, P ) per un numero reale λ è un vettore r′ = (O, P ′ )
parallelo al primo, di ugual (opposto) verso se λ > 0 (λ < 0) e norma
kλrk = |λ| krk
(1.2.7)
Avendo definito una legge di composizione interna, la somma, ed una legge di composizione
esterna, la moltiplicazione per un parametro reale, l’insieme dei vettori diventa uno spazio
vettoriale; questo spazio, munito della norma euclidea, viene indicato con R3 .
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°
1.2. Spazi vettoriali
7
Prodotto scalare e vettoriale
Definiamo prodotto scalare l’ applicazione bilineare R3 × R3 → R, che a due vettori associa
il numero reale dato dal prodotto delle loro norme per il coseno dell’angolo α tra essi
compreso, vedi figura 1.2.2.
r1 · r2 = kr1 k kr2 k cos α
(1.2.8)
Due vettori si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare è nullo.
P
P
1
P
2
α
O
P
2
O
P
1
Figura 1.2.2. Somma di vettori (lato sinistro); prodotto scalare (lato destro).
La definizione di prodotto scalare implica
krk = (r · r)1/2
(1.2.9)
la proprietà commutativa e quella distributiva rispetto alla somma, vedi figura 1.2.3.
r · (λ1 r1 + λ2 r2 ) = λ1 r · r1 + λ2 r · r2
(1.2.10)
Inoltre da −1 ≤ cos α ≤ 1 seguono la disuguaglianza di Schwarz e quella triangolare
|r1 · r2 | ≤ kr1 k kr2 k,
| kr2 k − kr1 k | ≤ kr2 − r1 k ≤ kr2 k + kr1 k
(1.2.11)
Si definisce prodotto vettoriale una applicazione bilineare R3 × R3 → R3 che ai vettori r1
e r2 associa il vettore r ad essi ortogonale. Il verso di r è tale che la rotazione antioraria
che sovrappone r1 a r2 risulti di un angolo α ≤ π; la norma di r è data dal prodotto delle
norme di r1 e r2 per il seno α.
r = r1 × r2 ,
krk = kr1 k kr2 k sin α
(1.2.12)
Dalla definizione segue che il prodotto vettoriale non è commutativo r1 × r2 = −r2 × r1 ma
gode della proprietà distributiva rispetto alla somma. La norma del prodotto vettoriale è
l’area del parallelogramma che ha i due vettori come lati.
r1 x r 2
r2
r1
r
BBBBBBBBBBBBBBB
BBBBBBBBBBBBBBB
BBBBBBBBBBBBBBB
α
BBBBBBBBBBBBBBB
BBBBBBBBBBBBBBB
BBBBBBBBBBBBBBB
r1
r2
BBBBBBBBBBBBBBB
Figura 1.2.3. Proprietà distributiva del prodotto scalare (lato sinistro), prodotto vettoriale (lato destro).
8
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°
1. Principi generali
Basi e rappresentazioni
Tre vettori e1 , e2 , e3 di R3 si dicono linearmente indipendenti se la loro combinazione
lineare si annulla solo se i coefficienti sono nulli
x1 e1 + x2 e2 + x3 e3 = 0
=⇒
x1 = x2 = x3 = 0
(1.2.13)
In R3 tre vettori sono linearmente indipendenti se non sono coplanari, vedi figura 1.2.4;
essi formano una base nello spazio perché ogni altro vettore sarà linearmente dipendente
da essi, esprimibile cioè come una loro combinazione lineare. Per un vettore generico x
scriveremo
x = x1 e1 + x2 e2 + x3 e3
(1.2.14)
Una base si dice ortonormale, se i vettori ei sono ortogonali e di modulo unitario
ei · ek = δi,k ,
δi,k =
½
1
0
per i = k
per i =
6 k
(1.2.15)
dove δik è detto simbolo di Kronecker. Le componenti xi di un vettore x in una base
ortonormale sono uguali al prodotto scalare tra x ed i vettori ei della base
xi = ei · x
(1.2.16)
In una base scelta ad ogni vettore risulta associata una terna di numeri reali formata dalle
sue componenti; queste saranno usualmente indicate con lo stesso simbolo del vettore ed
un indice che va da 1 a 3.
La terna scritta come matrice colonna viene indicata come rappresentazione del vettore
nella base scelta. Mentre il vettore è una entità intrinseca, la sua rappresentazione cambia
con la base. Se e′1 , e′2 , e′3 è una seconda base in cui vettore x si decompone nella forma
x = x′1 e′1 + x′2 e′2 + x′3 e′3
(1.2.17)
allora la rappresentazione (x)e , (x)e′ del vettore x nelle due basi, sarà data dalle matrici
colonna x, x′ di componenti xi e x′i rispettivamente.

x1
(x)e = x ≡  x2  ,
x3

(x)e′

x′i
= x′ ≡  x′2 
x′3

(1.2.18)
Qualora non vi sia ambiguità si ometterà di scrivere l’indice che si riferisce alla base ed
useremo lo stesso simbolo x per indicare sia il vettore sia la sua rappresentazione (il simbolo
x è usato solo per la rappresentazione).
In una base non ortogonale la matrice G di componenti gij = ei ·ej è definita positiva ma non è l’identità.
Le componenti di un vettore x sulla base si dicono controvarianti e si indicano con l’indice in alto
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°
1.2. Spazi vettoriali
9
z
e
3
k
j
e
y
2
i
e
1
x
Figura 1.2.4. Base in R3 (lato sinistro); riferimento cartesiano ortogonale (lato destro).
x=x1 e1 +x2 e2 +x3 e3 . I prodotti scalari (1.2.16) definiscono le componenti covarianti xi del vettore. La
P
relazione tra le due componenti è xi =
Spazio duale
j
gij xj ; nel caso di una base ortogonale gij =δij si ha xi =xi .
Le applicazioni lineari in R3 a valori in R formano uno spazio detto vettoriale di dimensione 3, detto duale, che indichiamo con R̃3 . Una applicazione lineare Ly nello spazio R3 ,
che indichiamo con ỹ, è sempre rappresentabile come prodotto scalare con un opportuno
vettore y di R3 vale a dire
ỹ x = y · x
∀x ∈ R3
(1.2.19)
In una base ortonormale ei la (1.2.19) segue dalla linearità della applicazione ỹ ponendo
yi = ỹ ei . Se ẽi è la base corrispondente nello spazio duale definita dalle applicazioni, che
3
ad ogni
le sue¡P
componenti
¢ xi = ẽi x, allora la decomposizione
P vettore x ∈ R associano
P
3
ỹ = i yi ẽi segue da ỹx = i yi xi =
i=1 yi ẽi x. Ad ogni vettore x corrisponde un
vettore duale x̃ e si ha ỹx = x̃y poiché il prodotto scalare è commutativo. In una base
ortonormale il vettore x é rappresentato dalla matrice colonna, il suo duale dalla matrice
riga; il simbolo x̃ verrà quindi usato sia per indicare il duale di un vettore sia il trasposto
della matrice che lo rappresenta.
P
In una base ei non ortogonale la (1.2.19) si scrive ỹx= i yi xi , dove yi =ỹ ei =y·ei sono le componenti
P i
covarianti del vettore. Se ẽi è la base nello spazio duale si ha ỹ= i y ẽi dove ẽi ej =gij . Pertanto in una
base non ortogonale il vettore x è rappresentato da una matrice colonna con le componenti controvarianti,
il suo duale da una matrice riga con le componenti covarianti, cioè x̃ è il trasposto della matrice Gx.
Notazioni
In una data base ortonormale la somma di due vettori x, y si esprime come somma di
matrici


x1 + y1
(1.2.20)
(x + y)e =  x2 + y2 
x3 + y3
10
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
il prodotto scalare x · y come prodotto tra una matrice riga e una matrice colonna
 
x1

y · x = ỹ x ≡ (y1 y2 y3 ) x2 
(1.2.21)
x3
ed il prodotto vettoriale come matrice colonna data da


x2 y3 − x3 y2
(x × y)e =  x3 y1 − x1 y3 
x1 y2 − x2 y1
(1.2.22)
Le componenti del prodotto vettoriale si esprimono in notazione compatta
(x × y)i =
3
X
ǫijk xj yk
(1.2.23)
jk=1
dove ǫijk , noto come tensore di Ricci, è completamente antisimmetrico e vale 0 se due
indici sono uguali, vale 1 se i, j, k sono una permutazione pari di 1, 2, 3, vale −1 se sono
una permutazione dispari. Con questa notazione il prodotto tra i vettori di base, che segue
da (1.2.12), si esprime nella forma
ei × ej =
3
X
ǫkij ek
(1.2.24)
k=1
Il prodotto vettoriale tra due vettori si esprime attraverso
rappresentato da un determinante
¯
¯ e1 e2
X
¯
y×z=
ǫkij yi zj ek = ¯¯ y1 y2
¯ z1 z2
ijk
(1.2.24) ed è simbolicamente
¯
e3 ¯¯
y3 ¯¯
z3 ¯
(1.2.25)
Il prodotto misto di tre vettori è dato dal determinante che ha per righe (o colonne) le loro
componenti
¯
¯
¯
¯
x
x
x
1
2
3
X
¯
¯
x·y×z=
ǫijk xi yj zk = ¯¯ y1 y2 y3 ¯¯
(1.2.26)
¯ z1 z2 z3 ¯
ijk
ed è il volume del parallelepipedo, che ha questi vettori come spigoli. Usando la seguente
proprietà del tensore di Ricci
X
k
ǫkij ǫkℓm = δiℓ δjm − δim δjℓ
(1.2.27)
si ha per il prodotto vettoriale triplo l’espressione seguente
(x × y) × z = (x · z)y − (y · z)x
(1.2.28)
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°
1.3. Trasformazioni lineari
11
I vettori di una base ortonormale, sono i versori di una terna cartesiana e vengono spesso
indicati con i, j, k anziché e1 , e2 , e3 . Il vettore posizione P −O e le sue componenti vengono
spesso indicate con r e x, y, z anziché con x e x1 , x2 , x3 .
r = P − O = xi + yj + zk
(1.2.29)
Le due notazioni saranno usate entrambe nel seguito a seconda della maggior convenienza
e chiarezza nel contesto.
1.3. TRASFORMAZIONI LINEARI
Consideriamo in un un spazio vettoriale una trasformazione lineare che ad un vettore
x ∈ R3 associa un altro vettore x′ ∈ R3 , trasformando il vettore nullo in sé. Questa
trasformazione è espressa da un operatore lineare L
x′ = L x,
L(λ1 x1 + λ2 x2 ) = λ1 L x1 + λ2 L x2
(1.3.1)
Un operatore lineare è completamente definito dalla trasformazione che induce sui vettori
di una base scelta nello spazio R3 . Siano e1 , e2 , e3 i vettori di una base e′1 , e′2 , e′3 i loro
trasformati
3
X
e′i = L ei =
Lji ej
(1.3.2)
j=1
La matrice L di componenti Lji rappresenta l’operatore L nella base scelta e nel caso di
una base ortogonale si ha Lji = ej ·Lei . Condizione perché i vettori Lei formino ancora una
base è che det L 6= 0 ossia che L e quindi L siano invertibili. Se M è un operatore lineare
rappresentato dalla matrice M nella base scelta allora l’operatore ML è rappresentato dalla
matrice M L Infatti
MLei = M
3
X
Lji ej =
j=1
3
3 X
X
Mkj Lji ek =
j=1 k=1
3
X
(M L)ki ek
(1.3.3)
k=1
L’operatore M è l’inverso di L se ML = I e si scrive M = L−1 ; la matrice che lo rappresenta
è L−1 . Il trasformato di un vettore
x=
3
X
xi ei
(1.3.4)
i=1
è dato da
′
x = Lx =
3
X
x′j ej
(1.3.5)
j=1
Da (1.3.2) e dalla linearità di L segue che le componenti x′i del vettore trasformato sono
date da
3
X
′
xj =
Lji xi
(1.3.6)
i=1
12
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°
1. Principi generali
Nella base iniziale ei l’operatore è rappresentato da una matrice 3 × 3, i vettori x ed il
suo trasformato x′ da due matrici colonna x e x′ e vale la relazione x′ = Lx. Possiamo
riscrivere la (1.3.5) nella forma
′
x = Lx =
3
X
(Lx)i ei
(1.3.7)
i=1
Nella base trasformata il vettore x ha la seguente espressione
x=
3
X
(L−1 x)j e′j
(1.3.8)
j=1
Interpretiamo la (1.3.7) come la trasformazione operata sul vettore lasciando inalterata la
base; la (1.3.8) va interpretata come la trasformata operata sulla base ossia sul sistema di
riferimento lasciando invariato il vettore. Le rappresentazioni ottenute nei due casi Lx e
L−1 x sono ovviamente l’una inversa dell’altra.
Se infine esprimiamo il vettore trasformato nella base trasformata le sue componenti rimangono invariate
3
X
′
x = Lx =
xj e′j ,
(1.3.9)
j=1
Le due trasformazioni sono una inversa dell’altra e componendole si ottiene l’identità.
Questo è evidente perché trasformare sia il vettore sia la base equivale a non operare
alcuna trasformazione. Nella tabella riassumiamo le rappresentazioni di un vettore e del
suo trasformato nella base iniziale e nella base trasformata. La figura 1.3.1 illustra l’effetto
della trasformazione T su un vettore (lato sinistro) e sulla base (lato destro) nel caso in
cui T sia una rotazione; la figura 1.3.2 illustra l’equivalenza tra la trasformazione inversa
T−1 sulla base e la trasformazione diretta T sul vettore.
vettore
base iniziale ei
base trasformata e′i = Lei
x′ = Lx
x
Lx
x
x
L−1 x
Le matrici colonna e′1 , e′2 , e′3 che rappresentano i vettori della base trasformata e′j nella
base iniziale sono le colonne della matrice L.
L = (e′1 , e′2 , e′3 ),
(e′i )j = Lji
(1.3.10)
Rotazioni
Dato un operatore lineare L definiamo il suo aggiunto L̃ attraverso la relazione
y · Lx = (L̃y) · x
(1.3.11)
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°
1.3. Trasformazioni lineari
13
r
r’
α
r
θ+α
θ−α
α
Figura 1.3.1. Rotazione del vettore (lato sinistro), rotazione della base (lato destro).
Se L è la matrice che rappresenta L in una data base, la matrice L̃ che rappresenta L̃ è la
trasposta di L. La norma del vettore Lx è data da
kLxk2 = (Lx) · (Lx) = x · L̃Lx
(1.3.12)
Si definiscono ortogonali quelle trasformazioni che lasciano inalterata la norma dei vettori.
Un operatore lineare R che genera una trasformazione ortogonale soddisfa la condizione
R̃ R = I; esso trasforma una base ortonormale in un’altra base ortonormale; infatti se
e′ = Rei
e′i · e′j = ei · R̃ Rej = ei · ej = δij
(1.3.13)
La matrice R che rappresenta l’ operatore R si dice ortogonale. Le matrici ortogonali R
con determinante 1 si dicono di rotazione
R̃R = I,
det (R) = 1
(1.3.14)
Una trasformazione ortogonale quindi è una rotazione oppure il prodotto di una rotazione
per una inversione, degli assi. Una inversione, rappresentata dalla matrice −I, cambia
un vettore x nel suo opposto −x mentre lascia inalterato il prodotto vettoriale tra due
vettori x × y, che vien quindi chiamato pseudovettore. Se e′i sono le matrici colonna che
rappresentano i vettori trasformati e′i nella base iniziale si ha che (e′i )j = Rji . La matrice
R è formata dalle tre matrici colonna e′i cioè
R = (e′1 , e′2 , e′3 )
(1.3.15)
e la ortogonalità di R esprime la ortonormalità della nuova base
A titolo di esempio consideriamo la rotazione di un angolo α rispetto al terzo asse nel verso
orario, vedi figura 1.3.1 lato destro; in questo caso i vettori trasformati sono espressi da
 ′
 e1 = cos α e1 − sin α e2
e′ = sin α e1 + cos α e2
(1.3.16)
 2′
e3 =
e3
14
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
r
θ−α
α
Figura 1.3.2. Rotazione inversa della base.
e le matrici colonna e′i che li rappresentano sono date da
 
0
′

e3 = 0  ,
1

sin α
e′2 =  cos α  ,
0


cos α
e′1 =  − sin α  ,
0

(1.3.17)
e la matrice di rotazione è quindi

cos α

R(α) = − sin α
0
sin α
cos α
0

0
0
1
(1.3.18)
c 88-08- 9820
°
1.4. Trasformazioni di Galileo
15
Traslazioni
Le traslazioni sono trasformazioni definite sullo spazio affine A3 che cambiano ogni punto
P in P ′ in modo che il vettore P ′ − P sia sempre lo stesso
P ′ − P = Q′ − Q = . . . = r0
(1.3.19)
Chiamiamo r0 vettore di traslazione ed indichiamo con T l’operatore che associa il vettore
r′ = P ′ − O del punto traslato al vettore r = P − O.
r′ = T(r) = P ′ − P + P − O = r + r0
(1.3.20)
La traslazione non è una operazione lineare nello spazio dei vettori. Infatti si ha T(r1 +r2 )=r1 +r2 +r0 e
T(λr)=λr+r0 mentre T(r1 )+T(r2 )=r1 +r2 +2r0 e λT(r)=λr+λr0
I vettori che danno la separazione tra due punti P1 ,P2 rimangono invariati. Detti P1′ ,P2 i loro trasformati,
da (1.3.19) segue che P1′ −P1 =P2′ −P2 e quindi P2′ −P1′ =P2 −P1 . Se r1 ,r2 e r′1 ,r′2 sono i corrispondenti vettori,
r′2 −r′1 =T(r2 )−T(r1 )=r2 −r1 . Le proprietà dell’operatore T diventano evidenti rappresentandolo come una
matrice che agisce in uno spazio a 4 dimensioni
 ′ 
x
1
′
 y = 0
 ′ 
0
 
x
0
x0
y0  y 
1
0
z
0
0
1
1
0
0
0
z0
1
 
z
1
1.4. TRASFORMAZIONI DI GALILEO
Le trasformazioni di Galileo costituiscono un gruppo di trasformazioni nello spazio tempo.
Una generica trasformazione del gruppo si ottiene componendo una traslazione nello spazio
tempo con una trasformazione di moto uniforme e con una rotazione nello spazio ordinario
R3 . Indicando con T, L1 , L2 gli operatori corrispondenti a queste trasformazioni, con
r + tτ e con r′ + t′ τ un dato evento ed il suo trasformato, scriviamo
G(r + tτ ) = r′ + t′ τ ,
G = L 2 L1 T
(1.4.1)
dove le singole trasformazioni sono definite da
traslazione
T(r + tτ ) = r + r0 + (t + t0 )τ
(1.4.2)
L1 (r + tτ ) = r + ut + tτ
(1.4.3)
L2 (r + tτ ) = Rr + tτ
(1.4.4)
moto uniforme
rotazione
16
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°
1. Principi generali
La trasformazione (1.4.1) ottenuta per composizione di (1.4.2), (1.4.3) e (1.4.4) si scrive
 ′

 r = R[r + r0 + u(t + t0 )]


(1.4.5)
′
t = t + t0
dove R è l’operatore di rotazione in R3 . Anziché considerare le trasformazioni sugli eventi
dello spazio tempo possiamo considerare le trasformazioni operate sul riferimento che consistono in una traslazione sull’asse dei tempi ed in una trasformazione del sistema di riferimento ottenuta componendo una traslazione spaziale, una trasformazione di moto uniforme
ed una rotazione come mostra la figura 1.4.1.
O ’’
O’
O
Traslazione
O’
O
Moto uniforme
O
Rotazione
Figura 1.4.1. Trasformazioni di Galileo sul riferimento in R3 .
Formulazione assiomatica
Scelta una origine Ω nello spazio tempo A4 , ad ogni evento E corrisponde il vettore E−Ω=w=r+tτ rappresentato da una matrice colonna w in una base ortonormale. Dati due eventi E1 ed E2 , la quarta componente
di E2 −E1 è l’ intervallo temporale che li separa; se questa è nulla gli eventi si dicono simultanei. Lo spazio
degli eventi simultanei è R3 .
Definizione. Si chiamano trasformazioni di Galileo i cambiamenti di riferimento che:
i) lasciano invariato l’intervallo di tempo tra due eventi
ii) lasciano invariata la distanza tra eventi simultanei.
Siano E1 , E2 due eventi, E1′ ,E2′ i loro trasformati ed indichiamo con w1 =E1 −Ω e w2 =E2 −Ω i corrispondenti
vettori; w2 −w1 e w2′ −w1′ , danno la separazione tra gli eventi e sono rappresentati da matrici colonna le
cui componenti sono (x2 −x1 ,y2 −y1 ,z2 −z1 ,t2 −t1 ) e (x′2 −x′1 ,y2′ −y1′ ,z2′ −z1′ ,t′2 −t′1 )
Struttura delle trasformazioni
Determiniamo la struttura delle trasformazioni di Galileo osservando che le traslazioni T lasciano invariata
la separazione tra gli eventi. La trasformazione L2 L1 deve preservare la quarta componente di w2 −w1 e la
c 88-08- 9820
°
1.4. Trasformazioni di Galileo
17
sua norma quando la quarta componente è nulla in forza della definizione data



t′2 −t′1 =t2 −t1
kr′2 −r′1 k=kr2 −r1 k
t′2 −t′1 =t2 −t1 =0
se
La matrice L2 L1 che rappresenta l’operatore lineare dovrà avere nulli gli elementi dell’ultima riga tranne
l’ultimo L44 =1 affinché la quarta componente di w2 −w1 sia conservata. Il primo blocco 3×3 dovrà essere
poi una matrice di rotazione se vogliamo che la norma di w2 −w1 si conservi quando l’ultima componente
è nulla. Pertanto



L=

R
|
u′x
|
u′y
|
u′z
−
−
−
−
−
0
0
0
|
1
 
 
=
 
 
R
|
0
|
0



0 ·

1
1
|
ux
|
uy
1
|
−
−
−
−
−
−
−
−
−
0
0
0
|
1
0
0
0
|
|



uz 

−
1
dove R è una matrice 3×3 e u′ =Ru. Le matrici L2 , L1 che compaiono nel membro destro della equazione
(1.4.1) danno la rappresentazione degli operatori lineari che generano una rotazione ed un moto uniforme.
Gruppo di Galileo
Le trasformazioni di Galileo costituiscono un gruppo non commutativo a 10 parametri. Le
rotazioni L2 formano un gruppo non commutativo a 3 parametri, le trasformazioni di moto
uniforme L1 un sottogruppo commutativo a tre parametri, le traslazioni T un sottogruppo
commutativo a 4 parametri.
Escludendo le traslazioni si ha un sottogruppo a 6 parametri che conserva l’origine in R4
ma non conserva la distanza euclidea nello spazio tempo; tali trasformazioni non sono
infatti ortogonali. La non ortogonalità è indotta dalle trasformazioni di moto uniforme
L1 , che analizziamo nel caso di uno spazio tempo bidimensionale. Se lo spazio ha una
sola dimensione, le trasformazioni generate da L1 sono i moti uniformi su una retta che
identifichiamo con l’asse x
(
x′ = x + ut
(1.4.6)
t′ = t
I vettori di base trasformati
i′ = i,
τ ′ = ui + τ
(1.4.7)
√
non sono più né ortogonali né di norma unitaria: i′ · τ ′ = u, kτ ′ k = 1 + u2 . Nella figura
1.4.2 si illustra il significato geometrico di questa trasformazione non ortogonale. I punti
E ed E ′ si riferiscono all’evento ed al suo trasformato mentre E∗ è un punto di coordinate
(t, ut) e la semiretta che vi passa ha coefficiente angolare u. Il vettore τ ′ è orientato come
questa semiretta che rappresenta l’asse dei tempi trasformato. L’evento E ′ ha coordinate
(x+ut, t) ed il corrispondente vettore è E ′ −Ω = E ′ −E∗ +E∗ −Ω dove E ′ −E∗ = P −Ω = xi
e E∗ − Ω = tτ + uti = tτ ′ . La retta degli eventi simultanei t = t∗ si trasforma in se stessa,
mentre la retta degli eventi con stessa collocazione spaziale x = x∗ si trasforma nella retta
con pendenza u.
18
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
x
E’
E
P
*
E
τ’
Ω
τ
t
Figura 1.4.2. Trasformazione nello spazio-tempo per il moto uniforme.
Gruppo di Poincaré
La trasformazioni di Galileo preservano la simultaneità degli eventi; questo implica l’esistenza di un segnale che si propaghi con velocità infinita. Infatti un procedimento operativo
per costruire le trasformazioni consiste nel considerare due riferimenti cartesiani animati da
moto uniforme e con un osservatori muniti di un orologio in ogni punto. La sincronizzazione
istantanea di tutti gli orologi nei due sistemi, che permette di preservare la simultaneità
degli eventi, è possibile solo mediante un segnale che si propaghi con velocità infinita. Se
ammettiamo invece che vi sia una velocità limite per la propagazione del segnale, che abbia
lo stesso valore c in qualsiasi riferimento, si ottengono le trasformazioni di Lorentz. Queste
sono trasformazioni lineari che lasciano invariante la distanza pseudo-euclidea definita da
kr′2 − r′1 k2 − c2 (t′2 − t′1 )2 = kr2 − r1 k2 − c2 (t2 − t1 )2
(1.4.8)
Se i due eventi sono la partenza del segnale da r1 all’istante t1 ed il suo arrivo in r2
all’istante t2 la (1.4.8) è manifestamente soddisfatta e la distanza pseudo-euclidea in questo
caso vale 0. Nel caso di una sola dimensione spaziale, scelta l’origine come primo evento,
2
2
la (1.4.8) diventa x′ − c2 t′ = x2 − c2 t2 e la trasformazione che la soddisfa è una rotazione
iperbolica
µ ′¶ µ
¶µ ¶
u
x
x
chα shα
(1.4.9)
,
tanhα =
=
′
ct
ct
shα chα
c
Usando le proprietà delle funzioni iperboliche si può porre la (1.4.9) nella forma consueta

x + ut

x′ = r


2



1 − u2


c
(1.4.10)
xu
t+ 2


′
c

t =r



2


1 − u2
c
c 88-08- 9820
°
1.4. Trasformazioni di Galileo
19
Nel limite c → ∞, le trasformazioni di Lorentz si riducono a quelle di Galileo. Le superfici
invarianti per la trasformazione sono iperboloidi per Lorentz e piani t costante per Galilieo.
Nel limite non relativistico gli iperboloidi si appiattiscono fino a diventare dei piani. In
figura 1.4.3 ciò è illustrato nel caso di uno spazio tempo bidimensionale: gli asintoti x = ±ct
(che definiscono il cono luce) e le iperboli che intersecano l’asse t diventano rette verticali
nel limite c → ∞.
Il gruppo di Lorentz completo è composto dalle trasformazioni di moto uniforme e dalle
rotazioni. Se si aggiungono le traslazioni nello spazio tempo si ottiene il gruppo di Poincaré
il cui limite non relativistico è il gruppo di Galileo.
x=−ct
x
t
x
x=ct
t
Figura 1.4.3. Linee invarianti per trasformazioni di Lorentz (lato destro) e di Galileo (lato sinistro).
20
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
1.5. CINEMATICA DEL PUNTO
Definiamo il moto come una successione continua di eventi rappresentabile mediante una
applicazione differenziabile di R in R3
r = r(t),
t∈R
(1.5.1)
La applicazione (1.5.1) sarà nel seguito indicata come legge del moto. Il grafico dell’applicazione è una curva nello spazio degli eventi detta anche linea d’universo. L’immagine
della applicazione è una curva in R3 che chiamiamo orbita oppure traiettoria.
Velocità e accelerazione
Si definisce velocità la derivata prima dell’applicazione
v(t) =
dr
r(t + ∆t) − r(t)
= lim
∆t→0
dt
∆t
(1.5.2)
ed accelerazione la sua derivata seconda
d2 r
dv
= 2
a(t) =
dt
dt
(1.5.3)
Come esempio consideriamo il moto rettilineo uniforme, rappresentato da
r(t) = r0 + v0 t
(1.5.4)
dove r0 e v0 sono vettori costanti. La linea d’universo e la traiettoria sono rette.
Il moto circolare uniforme nel piano xy è definito da
r(t) = R cos(ωt) i + R sin(ωt) j
(1.5.5)
dove R, ω sono costanti. Il grafico in R3 è una spirale, la traiettoria in R2 un cerchio, vedi
figura 1.5.1.
Il moto uniformemente accelerato, la cui traiettoria è una parabola, è definito da
1
r(t) = r0 + v0 t + g t2
2
(1.5.6)
c 88-08- 9820
°
1.5. Cinematica del punto
21
Geometria di una curva
Data una traiettoria rappresentata parametricamente della equazione (1.5.1) definiamo
la ascissa curvilinea di un punto P come la lunghezza dell’arco di curva compresa tra un
punto Q di questa scelto come origine ed il punto P . La lunghezza ds di un elemento d’arco
infinitesimo compreso tra P e P ′ aventi per coordinate (x, y, z) e (x + dx, y + dy, z + dz)
si identifica con la lunghezza del vettore P ′ − P ed è data da
ds2 = dx2 + dy 2 + dz 2
(1.5.7)
Se r(t) = P − O e r(t + dt) = P ′ − O si scrive
ds = kv(t)kdt
(1.5.8)
t
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCC
y
x
Figura 1.5.1. Traiettoria (curva sottile) e linea d’universo (curva spessa) nel moto circolare uniforme.
Se r(0) = Q − O la lunghezza s dell’arco compreso tra Q e P è espressa da
Z t
Z tp
′
′
s=
kv(t )kdt =
ẋ2 (t′ ) + ẏ 2 (t′ ) + ż 2 (t′ ) dt′
0
(1.5.9)
0
dove con il punto indichiamo la derivata prima
ẋ =
dx
,
dt
ẏ =
dy
,
dt
ż =
dz
dt
(1.5.10)
È utile separare la componente geometrica del moto da quella cinematica riscrivendo la
legge del moto nella forma
r = r(s),
s = s(t)
(1.5.11)
dove la prima equazione descrive la traiettoria, la seconda la legge oraria. La equazione
della traiettoria definisce in ogni punto una terna di versori ortogonali τ , n, b
dr(s)
= τ (s),
ds
dτ (s)
n(s)
=
,
ds
ρ(s)
b(s) = τ (s) × n(s)
(1.5.12)
22
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
∆s
P’
C
P
∆r
n
s
τ
Q
Figura 1.5.2. Ascissa curvilinea, cerchio osculatore e vettori τ ,n per una curva piana.
dove τ è un vettore unitario tangente alla curva. La derivata di un vettore unitario è
ortogonale al vettore stesso: infatti derivando τ (s) · τ (s) = 1 si ha τ · dτ /ds = 0. Il piano
formato da τ (s) e n(s) si dice piano osculatore alla curva, mentre ρ(s) è detto raggio di
curvatura ed è il raggio del cerchio che meglio approssima la curva nel punto di ascissa s,
vedi figura 1.5.2.
Nel caso del moto uniforme (1.5.4) si ha s = kv0 kt e τ = v0 /kv0 k; quindi ρ = ∞ ed i
vettori n ed b, che risultano indeterminati, possono essere scelti arbitrariamente nel piano
ortogonale a τ . Nel moto circolare uniforme (1.5.5) si ha s = Rωt, ρ = R e
τ (s) = − sin
s
s
i + cos j
R
R
n = − cos
s
s
i − sin j
R
R
(1.5.13)
La velocità e la accelerazione di un punto possono essere proiettate sulla terna di vettori
τ , n, b, detta triedro principale, e dipendono soltanto dalle derivate prime e seconde ṡ, s̈
della legge oraria. La velocità ha solo la componente tangenziale ṡ, l’accelerazione una
componente tangenziale uguale s̈ ed una normale, detta anche centripeta uguale a ṡ2 /ρ.
Da (1.5.11) e (1.5.12) segue che le derivate prima e seconda di r(t) sono date da
v(t) =
dr
= ṡ τ ,
dt
a(t) =
d2 r
ṡ2
=
s̈
τ
+
n
dt2
ρ
(1.5.14)
Per il moto circolare uniforme (1.5.5) ṡ = ωR, la accelerazione tangenziale è nulla, quella
centripeta vale ω 2 R. Per calcolare il raggio di curvatura a partire da (1.5.14) si usa la
relazione seguente ρ = |ṡ|3 kv × ak−1 . Data l’ equazione
della traiettoria nella forma
p
′
y = y(x), l’ascissa curvilinea si ottiene da ds/dx = 1 + y 2 dove y ′ ≡ dy/dx; i versori
della terna ed il raggio di curvatura sono
i + y′ j
,
τ =p
1 + y′ 2
−y ′ i + j
n= p
segno (y ′′ ),
2
1 + y′
2
(1 + y ′ )3/2
ρ=
|y ′′ |
(1.5.15)
c 88-08- 9820
°
1.6. Equazioni di evoluzione
23
1.6. EQUAZIONI DI EVOLUZIONE
Dato un sistema di N punti materiali P1 , . . . , PN , la sua configurazione, rispetto ad un
riferimento scelto con l’origine in O, risulta definita dai vettori posizione di ciascuno dei
suoi punti
r1 = P1 − O, . . . , rN = PN − O
(1.6.1)
Il moto del sistema complessivo è definito dalle leggi del moto dei singoli punti
r1 = r1 (t),
...,
rN = rN (t)
...,
vN =
(1.6.2)
le cui velocità sono espresse da
v1 =
dr1 (t)
,
dt
drN (t)
dt
(1.6.3)
In una base ortogonale indichiamo le coordinate e le componenti della velocità per la
particella k con xk , yk , zk e vx k , vy k , vz k .
Spazio delle configurazioni
Nello spazio ordinario R3 l’evoluzione del sistema è descritta dalle N leggi del moto (1.6.2).
Dal punto di vista matematico è utile introdurre uno spazio R3N = R3 × R3 × · · · × R3 ,
prodotto diretto degli spazi euclidei R3 su cui è definito il vettore posizione di ciascuna
particella. La dimensione d = 3N di questo spazio prende il nome di numero di gradi di
libertà del sistema. Il vettore r ∈ R3N , rappresentativo della configurazione del sistema, è
la collezione dei vettori posizione dei singoli punti r1 , . . . , rN


r1
.
r =  .. 
(1.6.4)
rN
Nella base ortonormale di R3N indotta dalla base ortonormale di R3 il vettore r è rappresentato dalla matrice colonna a 3N componenti (x1 , y1 , z1 , . . . , xN , yN , zN ). In questo
spazio delle configurazioni la evoluzione del sistema è descritta da una singola applicazione
r(t) : R → R3N la cui derivata v(t) è la velocità del sistema.


v1 (t)
dr  . 
=  .. 
v(t) =
dt
vN (t)
(1.6.5)
Lo spazio delle configurazioni di un sistema di N punti sulla retta, sul piano o nello spazio
ha dimensioni N, 2N, 3N rispettivamente. La figura 1.6.1 mostra lo spazio reale e lo
spazio delle configurazioni per due oscillatori x1 = A1 sin(ωt), x2 = A2 sin(2ωt)
24
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°
1. Principi generali
x
O
x 1 x2
2
!!!!
!!!!
!!!!
r
x
1
Figura 1.6.1. Spazio fisico R (lato sinistro), spazio delle configurazioni R2 (lato destro) per due oscillatori.
Spazio delle fasi
Lo stato dinamico di un sistema è definito da un punto in uno spazio, che ha dimensione
doppia dello spazio delle configurazioni. Questo spazio delle fasi è il prodotto diretto degli
spazi euclidei R6 = R3 × R3 cui appartengono i vettori posizione e velocità delle singole
particelle. È equivalente definire lo spazio delle fasi come prodotto diretto dello spazio
delle configurazioni R3N per lo spazio delle velocità R3N corrispondente. Un vettore x
dello spazio delle fasi è dato da
µ ¶
r
(1.6.6)
x =
v
e in una base ortogonale è rappresentato da una 6N -pla di numeri reali, che scriviamo
come matrice colonna


 
x1
x1
 x2   y1 
 .   . 
 

x=
(1.6.7)
 ..  ≡  .. 
v

 
vyN
3N−1
v3N
vzN
Per illustrare la nozione di spazio delle configurazioni e delle fasi consideriamo un sistema
di N = 2 punti che si muovono su una retta, l’asse x. Ciascun punto del sistema è
rappresentato da un un punto sulla retta; lo spazio delle configurazione è il piano R2 ed
il vettore r ∈ R2 individua il punto di coordinate (x1 , x2 ) come mostra la figura 1.6.1. Lo
spazio delle fasi è R4 ed il vettore x individua il punto di coordinate (x1 , x2 , v1 , v2 ).
L’ordinamento dei versori nello spazio delle fasi è arbitrario; una convenzione usata al
posto della (1.6.7) è quella in cui accanto ad ogni coordinata si scrive la corrispondente
velocità.


x1
 v1 
 . 

x=
(1.6.8)
 .. 
x 
3N
v3N
In questo caso lo spazio delle fasi appare come prodotto di tanti piani di fase e l’analisi della
proiezione dell’orbita su ciascun piano di fase fornisce indicazioni utili sul comportamento
c 88-08- 9820
°
1.6. Equazioni di evoluzione
25
dell’intero sistema. Si utilizzano anche spazi delle fasi in cui le velocità delle singole
particelle sono moltiplicate per le rispettive masse. La nozione di spazio delle fasi si estende
a sistemi di origine non meccanica; esempi di questi sistemi, la cui dimensione può essere
dispari, saranno dati nel prossimo capitolo. Per un sistema unidimensionale (punto mobile
sulla retta) lo spazio delle fasi si riduce al piano, la cui geometria ci è familiare. La figura
1.6.2 mostra la traiettoria nello spazio delle fasi di un oscillatore armonico unidimensionale
x = A cos(ωt), v = −Aω sin(ωt).
x
v
x
O
x
Figura 1.6.2. Spazio fisico R (lato sinistro) e spazio delle fasi R2 (lato destro) per l’oscillatore armonico.
Equazioni deterministiche
I moti di un sistema meccanico con d gradi di libertà sono descritti da traiettorie nello
spazio delle fasi R2d soluzione di equazioni differenziali del primo ordine
dx
= Φ(x, t)
dt
(1.6.9)
ove Φ contiene le informazioni dinamiche, sulla natura delle interazioni tra le componenti
del sistema e con l’esterno. Da un punto di vista matematico Φ è un campo vettoriale, cioè
una applicazione che ad un vettore dello spazio delle fasi associa un altro vettore dello stesso
spazio. Il campo dipende dal tempo t se il sistema non è isolato; per un sistema isolato,
detto anche autonomo, il campo risulta stazionario. Il moto è determinato univocamente
dalla condizione iniziale x(t0 ) all’istante t = t0 se il campo è sufficientemente regolare e
quindi il sistema vien detto deterministico.
Un sistema non autonomo è equivalente ad un sistema autonomo nello spazio delle fasi
esteso R2d+1 , definito come lo spazio delle fasi cui si è aggiunto il tempo come ultima
coordinata, vedi paragrafo 8. Introduciamo la nozione di flusso considerando l’evoluzione
di un insieme di punti anziché di un punto singolo nello spazio delle fasi. Come la legge
del moto associa ad un punto iniziale e ad un intervallo di tempo una traiettoria, il flusso
associa ad un dominio iniziale D e ad un intervallo di tempo l’insieme delle traiettorie
originate dai punti di D, vedi figura 1.6.3. Ad ogni istante t fissato il flusso genera una
26
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
immagine del dominio D e la sua evoluzione al variare di t è quella di un elemento di
fluido. Infatti se consideriamo le componenti del campo Φ come le componenti del campo
di velocità di un fluido, il flusso é esattamente quello del fluido.
Figura 1.6.3. Flusso.
Matematicamente il flusso, che indichiamo con St,t0 (x), è una applicazione definita nello
spazio delle fasi (il simbolo S è usato perché il flusso è l’insieme delle Soluzioni della
equazione). Indicando, come è d’uso, con x0 i punti iniziali, da cui scaturiscono le traiettorie che formano il flusso, scriviamo
x(t) = St,t0 (x0 ) :
R2d × R × R → R2d
(1.6.10)
La nozione di flusso fa riferimento all’insieme di traiettorie anziché alla traiettoria singola,
e pertanto impone di rendere esplicita la dipendenza dal punto iniziale. Se il sistema è
autonomo, allora l’equazione del moto è invariante per una traslazione temporale t → t+τ ;
il flusso non cambia se si trasla anche l’istante iniziale t0 → t0 + τ
St+τ,t0 +τ (x0 ) = St,t0 (x0 )
=⇒
x(t) = St−t0 (x0 )
(1.6.11)
Proprietà di gruppo
Su una data traiettoria il passaggio dal punto x0 all’istante t = t0 a x1 all’istante t = t1 e di
qui a x2 all’istante t = t2 è equivalente al passaggio da x0 a x2 direttamente nell’intervallo
di tempo [t0 , t2 ], vedi figura 1.6.4.
x
2
t
2
x1
x0
t
0
t1
Figura 1.6.4. Proprietà di gruppo.
Questa proprietà del flusso, valida per una scelta arbitraria del punto x0 e degli istanti di
tempo t0 , t1 , t2 , definisce una struttura di semigruppo. Per qualunque punto iniziale x0 si
ha
¡
¢
(1.6.12)
St2 ,t1 St1 ,t0 (x0 ) = St2 ,t0 (x0 )
c 88-08- 9820
°
1.6. Equazioni di evoluzione
27
Infatti il passaggio al punto x2 si può effettuare con una tappa intermedia in x1
x1 = St1 ,t0 (x0 ),
x2 = St2 ,t1 (x1 ),
x2 = St2 ,t0 (x0 ),
(1.6.13)
Usando il simbolo ◦ per la composizione di due applicazioni f ◦ g(x) = f (g(x)) riscriviamo
(1.6.15) in forma compatta
St2 ,t0 = St2 ,t1 ◦ St1 ,t0 ,
St,t = I,
−1
St,t
= St0 ,t
0
(1.6.14)
La composizione si riferisce alle coordinate nello spazio delle fasi, il tempo gioca il ruolo
di un parametro e I indica la applicazione identità I(x) = x. Per un sistema autonomo
il flusso dipende solo dall’intervallo di tempo e costituisce un gruppo (che è quello delle
traslazioni sulla retta, da identificarsi con l’asse del tempo).
St ◦ St′ = St+t′ ,
S0 = I,
St−1 = S−t
(1.6.15)
Equazioni del tipo (1.6.10) permettono la descrizione di sistemi deterministici non meccanici, quali ad esempio l’evoluzione delle specie di un ecosistema o una reazione chimica. Sono possibili dimensioni dispari tra cui 1; consideriamo come esempio la seguente
equazione non lineare in R ed il suo flusso St (x0 )
dx
= x2 ,
dt
St (x0 ) =
x0
1 − x0 t
(1..6.16)
per verificare la proprietà di gruppo St2 = St2 −t1 ◦ St1 .
x1 = St1 (x0 ) ≡
x0
1 − x0 t1
x1
1 − x1 (t2 − t1 )
x0
◦ St1 (x0 ) ≡
1 − x0 t1 1 −
x2 = St2 −t1 (x1 ) ≡
x2 = St2 −t1
(1.6.17)
x0
1
x0 (t − t ) = 1 − x t ≡ St2 (x0 )
0 2
1
1 − x0 t1 2
28
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
Mappe
Accanto ai sistemi dinamici continui definiti dalla equazione differenziale (1.6.10), si considerano anche sistemi dinamici discreti in cui lo spazio delle fasi è ancora R2d , ma al gruppo
continuo di evoluzione se ne sostituisce uno discreto detto più comunemente mappa. Sia M
una applicazione di R2d in R2d differenziabile e invertibile detta anche diffeomorfismo che
induce quindi una corrispondenza biunivoca tra i punti dello spazio delle fasi, esattamente
come fa l’applicazione S.
xk+1 = M (xk , k)
(1.6.18)
La traiettoria è in questo caso una successione di punti x0 , . . . , xk . . ., nello spazio delle
fasi univocamente determinato dal dato iniziale x0 .
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
x3
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
x2
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
x1
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
Figura 1.6.5. Sezione di Poincaré.
Se la mappa è autonoma, non dipende cioè da k, il punto xk si ottiene applicando k volte
la stessa mappa M
xk = M ◦ M ◦ . . . ◦ M (x0 )
(1.6.19)
Ad una equazione differenziale è possibile associare una mappa non autonoma mediante
una sezione (detta di Poincaré) del flusso con un piano (o altra superficie), vedi figura
1.6.5. Ad ogni orbita corrisponde una successione di punti nel piano generati dalla mappa.
Per un sistema non autonomo con dipendenza periodica da t di periodo T , la successione
di punti dell’orbita intervallati da un periodo, è generata da una mappa autonoma detta
stroboscopica.
Un’altra classe di mappe è quella che fornisce l’evoluzione approssimata di un sistema
autonomo. Osservando che l’evoluzione esatta dall’ istante iniziale t = 0 sino all’istante
t = k∆t si ottiene iterando k volte la mappa S∆t
Sk∆t = S∆t ◦ S∆t ◦ · · · ◦ S∆t
{z
}
|
k volte
(1.6.20)
l’evoluzione approssimata è ottenuta sostituendo a S∆t una mappa M approssimata che
differisca da essa per una qualche potenza di ∆t
¢
¡
(1.6.21)
S∆t = M + O (∆t)m
La mappa più semplice è data dallo schema di Eulero M = I + ∆t Φ, mentre mappe
più elaborate ed accurate son date dai vari schemi di integrazione numerica, descritti nel
capitolo 22.
c 88-08- 9820
°
1.7. Leggi di Newton
29
1.7. LEGGI DI NEWTON
Le equazioni che governano il moto di un sistema meccanico classico derivano dalle leggi di
Newton. Premessa necessaria per formulare tali leggi è la definizione dei sistemi di riferimento nei quali le equazioni del moto possono essere scritte; definito questo riferimento che
chiameremo inerziale, tutti gli altri possibili riferimenti si ottengono tramite trasformazioni
di Galileo.
Definiamo punto materiale isolato un punto materiale che si trovi a distanza infinitamente
grande da ogni altro sistema materiale, in modo da non subire da parte di questi nessun
tipo di influenza o interazione.
Prima legge. Dicesi sistema inerziale un riferimento cartesiano ortogonale rispetto
al quale un punto materiale isolato si muove di moto rettilineo uniforme.
Come corollario della prima legge si ha che ogni sistema di riferimento, ottenuto da un
sistema inerziale attraverso le trasformazioni del gruppo di Galileo, è ancora inerziale.
Infatti derivando rispetto al tempo la prima delle equazioni (1.4.5)) si vede che se un
punto ha velocità v costante rispetto ad un riferimento inerziale, la sua velocità rispetto
ad un sistema trasformato è ancora costante
v′ =
dr′
= R(v + u)
dt′
(1.7.1)
Seconda legge. Se un punto materiale non è isolato, si muove rispetto ad un sistema inerziale con accelerazione non nulla dovuta all’interazione con gli altri sistemi
materiali. Tale interazione o forza è un vettore proporzionale all’accelerazione e la
costante di proporzionalità viene detta massa.
F = ma
55555
O
55555
55555
55555
55555
55555
(1.7.2)
P
F
Figura 1.7.1. Forza elastica: dinamometro.
Questa legge definisce la forza e ne riconduce la misura a quella dell’accelerazione. La
forza è un vettore che va associato al vettore posizione, ossia al punto cui viene applicata
e può dipendere oltre che dalla posizione anche dalla velocità e dal tempo. Se più forze
sono applicate allo stesso punto si sommano vettorialmente. Ciò permette misure statiche
di forza, se queste dipendono solo dalla posizione. Basta infatti applicare ad un punto una
forza nota che equilibri una forza incognita, avendo per somma il vettore nullo. Il punto
ha accelerazione nulla e se la velocità iniziale è nulla rimane in quiete. Se prendiamo come
30
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
forza di riferimento nota una forza elastica data da F el = −kr, vedi figura 1.7.1, per
misurare una forza incognita F realizziamo l’equilibrio con la prima
F − kr = 0,
(1.7.3)
In questo caso una misura di forza è ricondotta ad una misura di posizione F = kr.
Terza legge. Due punti materiali isolati interagiscono con forze che sono uguali ed
opposte e con la stessa linea di azione.
F1 + F2 = 0,
r1 × F1 + r2 × F2 = 0
(1.7.4)
Le masse sono inversamente proporzionali alle accelerazioni; la misura di massa è quindi
riconducibile ad una misura cinematica.
F1 = m1 a1 ,
F2 = m1 a2 ,
=⇒
m1
ka2 k
=
m2
ka1 k
(1.7.5)
La proporzionalità constatata sperimentalmente tra la massa, detta anche inerziale e la
carica (o massa) gravitazionale permette di ricondurre le misure di massa a misure di forza
che possono essere effettuate staticamente. La legge di gravitazione universale stabilisce
infatti che la interazione tra due punti materiali è data da
F1 = −G
r1 − r2
µ1 µ2
2
kr1 − r2 k kr1 − r2 k
(1.7.6)
dove µ1 , µ2 sono le due cariche gravitazionali. Avendosi µ1 = αm1 , µ2 = αm2 si può
scegliere α = 1 semplicemente cambiando il valore di G. Sulla terra un punto è soggetto
al campo di forza gravitazionale che, in una regione limitata, è praticamente uniforme.
Chiamiamo forza peso questa forza e la indichiamo con con F = mg dove g è l’accelerazione
di gravità. Il rapporto tra le masse è dato dal rapporto tra le forze peso e può essere
misurato staticamente per confronto attraverso una bilancia, vedi figura 1.7.2.
AAAAA
AAAAA
AAAAA
AAAAA
AAAAA
AAAAA
F1 = m g
1
>>>>>
>>>>>
>>>>>
>>>>>
>>>>>
>>>>>
BBBB
BBBB
BBBB
BBBB
BBBB
F2 = m2 g
Figura 1.7.2. Forza peso: bilancia.
Sistemi isolati
Nel caso di un sistema di N punti materiali la terza legge si applica alle forze che si
esercitano tra ogni coppia di punti. Si fa l’ulteriore ipotesi che questa forza non dipenda
c 88-08- 9820
°
1.7. Leggi di Newton
31
dalla presenza degli altri punti. Pertanto se fk,j è la forza che il punto j esercita sul punto
ke
N
X
Fk =
fk,j
(1.7.7)
j=1
allora si ha
fj,k + fk,j = 0,
rj × fj,k + rk × fk,j = 0
(1.7.8)
cioè le interazioni fk,j ed fj,k tra i punti j e k sono ancora uguali ed opposte e dirette lungo
la retta che li congiunge. Dalle equazioni (1.7.7) e (1.7.8) segue che
N
X
N
X
Fk = 0,
k=1
k=1
rk × Fk = 0
(1.7.9)
Limitiamoci a provare la prima delle due equazioni (1.7.9). Poiché fk,k = 0 si può scrivere
N
X
k=1
Fk =
X
(fj,k + fk,j ) = 0
(1.7.10)
j<k
e ciò equivale a decomporre le forze nelle interazioni di coppia che hanno somma nulla,
vedi figura 1.7.3.
P3
F2
P
P
1
F1
F
2
P
1
2
F1
F3
P2
Figura 1.7.3. Decomposizione delle forze tra 3 punti e terza legge.
Equazioni del moto
Note le forze agenti su un sistema come funzioni della posizione, velocità e tempo la seconda
legge diventa una equazione deterministica.
Se F(r, v, t) è la forza applicata ad un punto, la equazione del moto si scrive
µ
¶
d2 r
dr
m 2 = F r, , t
dt
dt
(1.7.11)
32
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
Nel caso in cui la forza non dipenda dalla velocità, la applicazione r → F(r, t) costituisce
per ogni t fissato un campo vettoriale di R3 . Geometricamente un campo vettoriale è
ottenuto associando ad ogni punto P dello spazio individuato dal vettore r = P − O, un
vettore F = F −P che vien disegnato prendendo P come punto iniziale. Nel caso generale in
cui la forza dipenda anche dalla velocità, per avere un campo vettoriale dobbiamo passare
dallo spazio delle configurazioni allo spazio delle fasi. Introducendo il campo vettoriale
 


r
v




(1.7.12)
,
x=
Φ(x, t) =
−1
v
m F(r, v, t)
la equazione del moto nello spazio delle fasi è data da (1.6.9). Scelta una base la equazione
(1.7.2) diventa un sistema di 6 equazioni differenziali del primo ordine nelle componenti
(x, y, z, vx , vy , vz ) del vettore x


ẋ = vx
mv̇x = Fx (x, y, z, vx , vy , vz , t)












ẏ = vx
mv̇y = Fy (x, y, z, vx , vy , vz , t)
(1.7.13)










 ẋ = vx
 mv̇z = Fz (x, y, z, vx , vy , vz , t)
Per un sistema di N punti le equazioni del moto sono
µ
¶
d2 rk
dr1
drN
mk 2 = Fk r1 , . . . , rN ,
,...,
,t
dt
dt
dt
(1.7.14)
e si possono riscrivere nella forma (1.6.9) dopo aver introdotto un campo vettoriale Φ le
cui componenti sono le velocità vk e le accelerazioni m−1
k Fk degli N punti.
Invarianza rispetto al gruppo di Galileo
Le equazioni del moto per un sistema meccanico isolato devono essere invarianti per trasformazioni di Galileo; ciò impone precise restrizioni sulla struttura dei campi di forze ammissibili. Le equazioni del moto sono invarianti rispetto ad un gruppo di trasformazioni
se mantengono la stessa forma. La proprietà di invarianza rispetto a trasformazioni di
Galileo corrisponde alla equivalenza tra i sistemi inerziali. Una trasformazione di Galileo
cambia il vettore posizione rk in
r′k = R(rk + u(t + t0 ) + r0 )
t′ = t + t0
(1.7.15)
dv′
= Ra
dt′
(1.7.16)
la velocità vk e la accelerazione ak in
vk′ =
dr
= R(vk + u),
dt′
a′ =
con k = 1, . . . , N . Supponendo, per semplicità, che le forze non dipendano dalle velocità,
le equazioni del moto per il sistema trasformato diventano
mk
dvk′
= Fk (r′1 , . . . , r′N , t′ )
dt′
(1.7.17)
c 88-08- 9820
°
1.8. Variabili dinamiche, integrali primi
33
con k = 1, . . . , N . La condizione di invarianza delle equazione del moto è che la dipendenza
funzionale dalle forze Fk dai loro argomenti sia la stessa e ciò impone precise restrizioni
sulla sua natura. Infatti da(1.7.15), (1.7.16) e (1.7.17) segue che l’applicazione Fk deve
soddisfare la seguente condizione
−1
R
µ
¶
Fk R(r1 + ρ), . . . , R(rN + ρ), t + t0 = Fk (r1 , . . . , rN , t)
(1.7.18)
dove t0 , u, ρ = r0 + u(t + t0 ) ed R sono arbitrari. L’invarianza per il sottogruppo delle
traslazioni ottenuto ponendo R = I implica che Fk può dipendere solo dalle posizioni
relative ri − rj delle particelle e non può avere una dipendenza esplicita dal tempo.
Non analizziamo in generale i vincoli imposti dalla invarianza per rotazione ma ci limitiamo
a considerare interazioni a due corpi di natura posizionale come richiesto dal terzo principio
della dinamica. Da (1.7.7), (1.7.8) e dalla invarianza per traslazione segue che
N
X
rk − rj
fkj (rk − rj )
Fk =
krk − rj k
j=1
(1.7.19)
La invarianza per rotazione implica quindi che fkj sia funzione solo di krk − rj k. Infatti la
condizione f (Rr) = f (r) può essere soddisfatta solo se f = f (krk). Le forze posizionali a
due corpi che soddisfano il terzo principio sono quindi vincolate dalla invarianza di Galileo
ad avere la forma seguente
Fk =
X
j=1,N
rk − rj
fkj (krj − rk k)
krk − rj k
(1.7.20)
dove fkj = fjk . Il caso più significativo è quello della interazione gravitazionale ed elettrostatica; indicando con qk la carica elettrica della k-sima particella

mk mj

 fkj = −G kr − r k2
k

 fkj =
ǫ0
gravitazionale
j
qk qj
krk − rj k2
elettrostatica
(1.7.21)
Nota Per una funzione di due variabili f (x1 ,x2 ) l’invarianza per traslazione f (x1 +α,x2 +α)=f (x1 ,x2 ) implica che che questa dipenda solo da x1 −x2 . Infatti se supponiamo che f (x1 ,x2 ) sia derivabile rispetto
∂f
∂f
∂f
ai suoi argomenti abbiamo ∂α
= ∂x
+ ∂x
=0 la cui soluzione è data da f (x1 ,x2 )=g(x1 −x2 ). La verifica è
1
2
immediata se si fa il cambiamento di coordinate y1 =x1 −x2 , y2 =x2 +x2 .
Riguardo all’invarianza per rotazione consideriamo come esempio un campo vettoriale che sia lineare in r
cioè f =f0 +Ar. La invarianza per rotazione impone Rf0 =f0 , R−1 AR=A. Il solo vettore invariante per rotazione
è quello diretto lungo l’asse, ma essendo R arbitrario si ha f0 =0. Gli unici operatori lineari invarianti per
rotazione AR=RA sono quelli multipli dell’identità vale a dire A=α I, da cui segue f =αr. Per un campo f
qualsiasi α risulta essere una funzione di krk.
34
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
1.8. VARIABILI DINAMICHE, INTEGRALI PRIMI
Data la equazione del moto (1.6.9) ci proponiamo di determinare la soluzione che corrisponde ad un punto iniziale assegnato. La soluzione di questo problema ai valori iniziali
o di Cauchy esiste ed è unica se Φ è abbastanza regolare, vedi capitolo 12, ed ammette
una semplice interpretazione geometrica nel caso autonomo. La soluzione x(t) definisce
parametricamente una curva nello spazio delle fasi che passa per il punto iniziale e che in
ogni punto risulta tangente al campo vettoriale Φ. Infatti dx/dt è un vettore tangente alla
traiettoria come nel caso di un punto che si muove nello spazio ordinario, vedi (1.5.14).
Se in problema non è autonomo lo si può rendere autonomo allargando lo spazio delle fasi,
introducendo cioè una coordinata in più x2d+1 ;
y=
µ
x
x2d+1
¶
,
Ψ=
µ
Φ(x, x2d+1 )
1
¶
(1.8.1)
la equazione (1.8.1) si riscrive nella forma
dy
= Ψ (y)
dt
(1.8.2)
Infatti risolvendo la prima equazione (1.6.12) data da dx2d+1 /dt = 1 si ricava x2d+1 = t.
A questo nuovo spazio detto spazio delle fasi esteso si applicano le precedenti considerazioni
geometriche
Figura 1.8.1. Campo vettoriale e traiettorie come linee di forza.
c 88-08- 9820
°
1.8. Variabili dinamiche, integrali primi
35
Traiettorie
Se x = x(t) è la soluzione del problema ai valori iniziali, identifichiamo il vettore Φ(x(t))
con la velocità con cui il punto si muove sulla traiettoria. Ciò consente di scrivere equazioni
analoghe a (1.5.7), (1.5.8) e (1.5.9) semplicemente sostituendo alle 3 coordinate di un
punto P nello spazio ordinario le 2d coordinate del punto nello spazio delle fasi. La ascissa
curvilinea s intesa come la lunghezza dell’arco di traiettoria compresa tra P0 e P è data
da
Z
t
s(t) =
t0
kΦ(x(t′ ))kdt′
(1.8.3)
e la soluzione si riscrive nella forma
x = x(s),
s = s(t)
(1.8.4)
separando la componente geometrica del moto da quella cinematica. Per ogni punto dello
spazio delle fasi passa una traiettoria x = x(s) che risulta in ogni punto tangente al campo
vettoriale Φ, vedi figura 1.8.1. Le equazioni cui soddisfano la traiettoria e la legge oraria
sono
Φ
ds
dx
=
,
= kΦk
(1.8.5)
ds
kΦk
dt
Le traiettorie di un sistema autonomo sono le linee di forza del campo vettoriale e la velocità
con cui vengono percorse è uguale alla norma del campo. Quindi la direzione e l’intensità
del campo determinano rispettivamente la geometria e la cinematica della evoluzione nello
spazio delle fasi.
Integrali primi
Si dicono variabili dinamiche le funzioni scalari A(x) delle coordinate e delle velocità, ossia
le applicazioni definite nello spazio delle fasi a valori in R. Una variabile che sia costante
lungo ogni orbita e risulti globalmente definita è un integrale primo del moto. Si escludono
le variabili dinamiche banali espresse da funzioni costanti.
grad A
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
Φ
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
x(t)
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
Figura 1.8.2. Integrale primo A(x).
36
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
Il gradiente di una funzione A(x), che si indica con grad A oppure con ∂A/∂x, è un
vettore il cui prodotto scalare con dx è uguale al differenziale della funzione A cioè dA =
∂A/∂x · dx. Le componenti cartesiane del gradiente sono ∂A/∂xi . Dalla definizione segue
che il gradiente è un vettore normale in ogni suo punto alla superficie definita A(x) = c;
infatti se x e x + dx appartengono alla superficie si ha A(x + dx) − A(x) = ∂A/∂x · dx = 0.
Se A(x) è un integrale primo allora il gradiente di A è ortogonale al campo vettoriale.
Infatti dalla regola di derivazione di funzioni composte si ha
¡
¢
dA x(t)
∂A dx
∂A
=
·
=
· Φ(x)
(1.8.6)
dt
∂x dt
∂x
e quindi A è un integrale primo se e solo se il suo gradiente è ortogonale al campo. Geometricamente ciò significa che la traiettoria giace sulla superficie A(x) = c ≡ A(x0 ), vedi
figura 1.8.2. Un integrale primo definisce una famiglia di superfici ad un parametro che
danno una foliazione dello spazio delle fasi, vedi figura 1.8.3. L’esistenza di integrali primi
è associata alle simmetrie del sistema, vedi capitolo 7, e consente una riduzione della
dimensionalità del problema.
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCA(x) = c
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC A(x) = c
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC A(x) = c
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC A(x) = c
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
1
2
3
4
Figura 1.8.3. Foliazione dello spazio delle fasi.
Variabili dinamiche
Le variabili dinamiche più comuni, nel caso di un singolo punto materiale, sono le componenti del vettore quantità di moto
p = mv
(1.8.7)
del momento della quantità di moto
L=r×p
l’energia cinetica
1
mkvk2
2
(1.8.9)
dW
=F·v
dt
(1.8.10)
T =
la potenza di una forza
(1.8.8)
c 88-08- 9820
°
1.8. Variabili dinamiche, integrali primi
37
Se la forza dipende solo dal vettore posizione e dal tempo ed è il gradiente di un campo
scalare V , che prende il nome di potenziale (vedi paragrafo successivo), cioè F = −grad V
o esplicitamente
Fx = −
∂V
,
∂x
Fy = −
∂V
,
∂y
Fz = −
∂V
,
∂z
(1.8.11)
si definisce la energia meccanica
H =T +V
(1.8.12)
Se V non dipende da t il campo di forza si dice conservativo.
Evoluzione delle variabili dinamiche
La variazione della quantità di moto è data da
dp
=F
dt
(1.8.13)
Questa equazione sostituisce la seconda legge della dinamica nel caso di massa variabile
dipendente cioè dalla velocità o dal tempo m = m(v, t). Nel caso di una particella relativistica la quantità di moto è data da
p= r
mv
kvk2
1− 2
c
(1.8.14)
mentre la massa dipendente dal tempo si ha nel problema del razzo.
Se F ha componente nulla lungo una data direzione n, cioè appartiene al piano normale
a n, allora la proiezione della quantità di moto su n si conserva: da F · n = 0 segue che
p · n è un integrale primo. Se il campo di forze è parallelo ad una data direzione allora si
conserva la proiezione di p nel piano ortogonale.
Definendo Ω = r×F il momento della forza rispetto all’origine O la variazione del momento
della quantità è data da
dL
=Ω
(1.8.15)
dt
Se il campo di forze è parallelo ad una data direzione n allora la proiezione di L lungo
quella direzione si conserva. Sia F × n = 0, allora Ω · n = r × F · n = r · F × n = 0. Il
momento della quantità si conserva se il campo di forza è radiale, F ∝ r ed in particolare
se è centrale F = f (r)r/r dove r = krk.
La variazione della energia cinetica è uguale alla potenza della forza,
m d
dv
dW
dT
=
v · v = mv ·
=v·F=
dt
2 dt
dt
dt
(1.8.16)
Questo risultato, noto come teorema delle forze vive, si applica a qualsiasi tipo di forza.
Se la forza ammette potenziale V , la variazione dell’energia meccanica H = T + V è data
da
µ
¶
dH
dT
dV
∂V
∂V
∂V
=
+
=v· F+
=
(1.8.17)
+
dt
dt
dt
∂r
∂t
∂t
38
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
Se il campo è conservativo ∂V /∂t = 0, l’energia H è un integrale primo e si indica con E il
valore costante che assume. Se la forza ha anche un contributo dissipativo −β(v) v, dove
β è una funzione positiva di v, l’energia H è una funzione decrescente di t se ∂V /∂t = 0.
dT
dV
∂V
dH
=
+
= −βkvk2 +
dt
dt
dt
∂t
(1.8.18)
1.9. LAVORO, ENERGIA POTENZIALE
Si esaminano le nozioni di lavoro di un campo di forze F e di integrale di linea di un campo
di forze posizionali. e si stabiliscono le condizioni perché il campo sia il gradiente di un
potenziale.
Lavoro
Il lavoro di una forza F su un arco di traiettoria r = r(t) compreso tra A = O + rA e
B = O + rB , percorso durante il moto impresso da una forza F nell’intervallo di tempo
[tA , tB ], è definito dalla potenza integrata su [tA , tB ]
WAB =
Z
tB
tA
µ
¶
F r(t), v(t), t · v(t) dt
(1.9.1)
ed è un integrale semplice in t.
Integrale di linea
Dato un campo di forze posizionale F(r, t) definiamo l’integrale di linea LAB (γ) tra A e B
lungo una traiettoria γ qualsiasi (non si fa alcun riferimento al moto) che li congiunge
LA,B (γ) =
Z
B
A
F(r, t) · dr = lim
n→∞
n−1
X
i=0
F(ri , t) · ∆ri
(1.9.2)
dove l’arco è stato suddiviso in n archetti dai punti r0 = rA , r1 , . . . , rn−1 , rn = rB con
∆ri = ri+1 − ri , e k∆ri k → 0 per n → ∞. Parametrizzando la curva γ con r = r(τ ) per
τ ∈ [τA , τB ] l’integrale di linea diventa un integrale semplice in τ
LA,B (γ) =
Z
τB
τA
F(r(τ ), t) ·
dr
dτ
dτ
(1.9.3)
Se scegliamo γ coincidente con la traiettoria percorsa durante il moto, l’integrale di linea
è uguale al lavoro LAB (γ) = WAB solo se F non dipende esplicitamente dal tempo.
c 88-08- 9820
°
1.9. Lavoro, energia potenziale
39
Definiamo irrotazionale un campo F il cui rotore sia nullo
rot F =
µ
∂Fz
∂Fy
−
∂y
∂z
¶
i+
µ
∂Fx
∂Fz
−
∂z
∂x
¶
j+
µ
∂Fy
∂Fx
−
∂x
∂y
¶
k=0
(1.9.4)
Definiamo regolare su un dominio D un campo di forze F le cui componenti abbiano
derivate prime continue in D.
Se F è irrotazionale e regolare in un dominio D semplicemente connesso, si dice esatta la
forma differenziale
F · dr = Fx dx + Fy dy + Fz dx
(1.9.5)
Se F è un campo di forze nel piano ed è soddisfatta la condizione (1.9.4) che si riduce a
∂Fy
∂Fx
=
∂y
∂x
(1.9.6)
si dice che la forma è chiusa; se inoltre F risulta regolare in un dominio semplicemente
connesso del piano ove vale (1.9.6) la forma è esatta.
Una proprietà delle forme differenziali esatte è che l’integrale di linea tra due punti non
dipende dall’arco che li congiunge e possono essere quindi espressi come gradiente di una
funzione detta potenziale.
n
rot F
Figura 1.9.1. Teorema di Stokes.
Proposizione. Se F regolare in un dominio D semplicemente connesso la forma differenziale F · dr è esatta se e solo se l’integrale lungo una qualsiasi curva chiusa γ contenuta in
D è nullo.
La dimostrazione è basata sul teorema di Stokes secondo cui l’integrale di linea su una
curva chiusa γ ⊂ D è uguale al flusso del vettore rot F attraverso una qualsiasi superficie
Σ ⊂ D, che abbia γ come bordo
I
γ
F(r, t) · dr =
Z
Σ
rot F · n dσ
(1.9.7)
40
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
dove n è la normale a Σ orientata in modo che il verso di percorrenza su γ sia antiorario e
dσ un elemento d’area su Σ, vedi figura 1.9.1. La condizione necessaria è ovvia mentre per
la parte sufficiente si sfrutta l’arbitrarietà nella scelta di γ e la continuità delle componenti
di rot F.
L’integrale di linea di una forma differenziale esatta tra due punti A, B assegnati è indipendente dalla curva che li congiunge: dette γ1 e γ2 due curve con estremi A, B, vedi figura
1.9.2, il cammino γ ottenuto percorrendo γ1 da A a B e γ2 da B a A è chiuso e quindi da
(1.9.7) segue che
LA,B (γ1 ) + LB,A (γ2 ) = L(γ) = 0,
=⇒
LA,B (γ1 ) = LA,B (γ2 )
(1.9.8)
Un campo di forze piano irrotazionale che abbia punti singolari, diventa regolare in dominio
non semplicemente connesso che li escluda. L’integrale di linea Fx dx + Fy dy è nullo lungo
quei cammini che non contornano una singolarità.
B
γ
1
γ
2
A
Figura 1.9.2. Indipendenza dal cammino di integrazione.
Forme esatte, energia potenziale
Se F è irrotazionale e regolare in un dominio D semplicemente connesso, allora per ogni
punto P ∈ D risulta definita una funzione potenziale V (P ) = LP,P0 , indipendente dalla
curva γ ⊂ D che ha ha P e P0 come estremi; il punto P0 è un punto scelto arbitrariamente
come come primo estremo delle curve. L’integrale di linea tra due punti è dato da LA,B =
LA,P0 + LP0 ,B = LA,P0 − LB,P0 = V (A) − V (B). Per valutare il potenziale in un punto P si
sceglie come cammino la spezzata costituita da tre segmenti paralleli agli assi coordinati,
vedi figura 1.9.3
Z P
V (P ) ≡ V (x, y, z) = LP,P0 = −LP0 ,P = −
F(r, t) · dr =
P0
(1.9.9)
=−
Z
x
x0
Fx (x′ , y0 , z0 , t)dx′ −
Z
y
y0
Fy (x, y ′ , z0 , t)dy ′ −
Z
z
Fz (x, y, z ′ , t)dz ′
z0
dove (x, y, z) e (x0 , y0 , z0 ) sono le coordinate di P ed P0 .
La forma differenziale F · dr è il differenziale della funzione −V (x, y, z)
F · dr = Fx dx + Fy dy + Fz dz = −dV (x, y, z)
(1.9.10)
c 88-08- 9820
°
1.9. Lavoro, energia potenziale
z
41
P
O
y
P0
x
Figura 1.9.3. Cammino γ per il calcolo del potenziale.
Se il campo F dipende dal tempo, questo viene trattato come un parametro, che rimane
costante nel calcolo degli integrali di linea, ed il differenziale di V (x, y, x, t) va inteso solo
rispetto alle coordinate spaziali
Fx = −
∂V
,
∂x
Fy = −
∂V
,
∂y
Fz =
∂V
∂z
(1.9.11)
Come esempio consideriamo il campo F = −αyi−xj−zk il cui rotore vale rot F = (α−1)k.
Se α = 1 il campo è irrotazionale ed essendo regolare F · dr è un differenziale esatto con
potenziale V = xy + z 2 /2.
Campi piani e circolazioni
Se F è un campo vettoriale piano, le cui componenti Fx , Fy soddisfano la condizione
(1.9.6) ma hanno punti singolari, si considera il dominio D, non semplicemente connesso,
che esclude questi punti. L’integrale di linea della forma differenziale chiusa Fx dx + Fy dy
è nullo solo lungo quei cammini chiusi γ, contenuti in D, che sono contraibili ad un punto
restando in D, poiché non contornano una singolarità. La funzione potenziale non è più
ad un solo valore.
Per provare quanto enunciato si utilizza il teorema di Stokes nel piano, noto anche come
formula di Greeen
¶
I
Z µ
∂Fy
∂Fx
dσ = (Fx dx + Fy dy)
(1.9.12)
−
∂x
∂y
γ
Σ
dove la curva chiusa γ è la frontiera del dominio Σ contenuto interamente in D.
Se F ha una sola singolarità in un punto C, il dominio D esclude un disco di centro C
e raggio arbitrario, vedi figura (1.9.4). In ogni dominio Σ ⊂ D le funzioni Fx , Fy sono
regolari e quindi il lato sinistro di (1.9.12) si annulla. L’integrale di linea espresso dal lato
destro di (1.9.12), è quindi nullo sulla frontiera γ, che è una curva chiusa contraibile ad un
punto.
42
c 88-08- 9820
°
1. Principi generali
A
BBBB
B
BBBB
!!!
BBBBη ’
!!!
BBBB
η
γ
Figura 1.9.4. Cammini in un dominio non connesso.
Per tutti i cammini chiusi η che contornano la singolarità, e e che sono deformabili gli uni
negli altri all’interno di D, l’integrale ha lo stesso valore ω 6= 0. Infatti dati due di questi
cammini, η, η ′ congiungiamoli con due tagli vicini percorsi in verso opposto, vedi figura
1.9.4. In tal modo costruiamo un cammino Γ riducibile ad un punto, per il quale L(Γ) = 0.
Da L(Γ) = L(η) − L(η ′ ) + LAB + LBA segue che L(η) = L(η ′ ) = ω poiché LAB = −LBA .
L’integrale di linea da P0 a P non risulta indipendente dalla traiettoria ma è dato dal
valore V (P ) = LP,P0 (γ) assunto su di una traiettoria di riferimento γ più un multiplo
intero di ω
LP0 ,P (γ ′ ) = LP0 ,P (γ) + nω = −V (x, y) + nω
(1.9.13)
dove n è il numero di cicli attorno alla singolarità che si ottengono percorrendo γ e γ ′ in
versi opposti. Nella figura 1.9.5 sono indicati due cammini γ e γ ′ ; se γ è un cammino che
dà la determinazione principale −V nel punto P sull’altro cammino γ ′ si ha LP0 ,P (γ ′ ) =
−V (x, y) + 2ω perché γ ′ e γ percorso in verso opposto costituiscono un cammino chiuso
che gira due volte attorno al punto singolare C.
γ’
!!!
!!! CCCC P
!!!
!!! CCCC
!!!
!!! CCCC
P0
γ
Figura 1.9.5. Cammini diversi attorno ad un punto singolare.
Se il campo F ha m punti singolari, il dominio D ha m buchi e l’integrale di linea LP0 ,P (γ ′ )
si può esprimere come una determinazione principale −V (P ) = LP0 ,P (γ) cui si somma una
c 88-08- 9820
°
1.9. Lavoro, energia potenziale
43
combinazione a coefficienti interi degli integrali ω1 , . . . , ωm attorno ai punti singolari, che
vengono detti circolazioni.
Come esempio consideriamo il campo seguente
F=−
x2
x
y
i+ 2
j
2
+y
x + y2
(9.1.14)
che ha rotore nullo poiché ∂Fy /∂x = ∂Fx /∂y = (y 2 − x2 )/(x2 + y 2 )2 . Tuttavia il campo
è singolare nell’origine. Possiamo allora calcolare la sua circolazione usando coordinate
polari, lungo un cerchio di raggio r ponendo x = r cos φ, y = r sin φ. Da ydx − xdy = r2 dθ
segue che
I
Z
2π
ω=
(Fx dx + Fy dy) =
dθ = 2π
0
(9.1.15)