3.3 Dimensione affettiva - Fratelli di san Francesco

3.3 Dimensione affettiva
«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la
sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non
lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» 17 . L’esperienza dell’amore
autentico è liberante e produce gioia, perché «vi è più gioia nel donare che nel ricevere» (At
20,35): l’opposto dell’amore è l’odio, ma il suo nemico è l’egoismo, soprattutto quando si serve
delle catene d’oro e dei morbidi tentacoli che rappresentano rispettivamente il ricatto e la
dipendenza nella dimensione affettiva. Nelle ultime generazioni si è fatta particolarmente
lacerante la tensione interiore dell’uomo, come descrive efficacemente un autore del XX°
secolo:
Tutto il problema del nostro tempo è il problema dell’amore: come riacquisteremo la capacità di
amare noi stessi e di amarci reciprocamente? La ragione per cui ci odiamo e ci temiamo a
vicenda sta nel fatto che, segretamente o palesemente, odiamo e temiamo noi stessi. E odiamo
noi stessi perché le profondità del nostro essere sono un caos di delusione e di miseria
spirituale. Soli e senza aiuto, non possiamo stare in pace con gli altri perché non siamo in pace
con noi stessi, e non possiamo esserlo con noi perché non lo siamo con Dio 18 .
Venendo a mancare il riferimento alla verità rivelata, per la quale «l’amore è da Dio» (1 Gv 4, 7)
ed è «donare la vita» (Gv 15, 13), la dimensione affettiva si capovolge in un egoistico dominio
che invade e controlla, soffocando la libertà della relazione.
Il discernimento vocazionale deve tenere presenti alcuni squilibri e immaturità che possono
manifestarsi in alcuni candidati, in cui la dimensione affettiva può essere stata segnata da
traumi o da carenze.
DISAGI FAMILIARI L’interferenza e il condizionamento di problemi legati soprattutto ai genitori
può essere molto invasiva, fino a compromettere la stabilità e la perseveranza nella vocazione
alla vita consacrata (in cui il modello familiare si ripresenta con esigenze più radicali e
impegnative).
1. Genitori possessivi: è una situazione sempre più frequente, in relazione all’aumento di
figli “unici” cresciuti nel clima iperprotetto della famiglia “nucleare” (cioè ridotta al minimo di
componenti): il clima di controllo (salute, comfort, umore) sul figlio può intromettersi nella sua
vita di convento (telefonate e visite assillanti) e la situazione peggiore è quella di un giovane
che non sa tenere le distanze ma, al contrario, non sa tagliare il…cordone ombelicale e
continua a dipendere affettivamente dai genitori.
2. Genitori divorziati 19 : è un problema molto complesso e, in Italia, relativamente
recente. A proposito dei figli di coniugi divorziati, si evidenzia che «la loro vita affettiva ne
risente, così come spesso il rendimento scolastico. Nei figli di divorziati si trova spesso un fondo
di tristezza, di incapacità a divertirsi come fanno i loro coetanei; a volte lo nascondono, salvo
improvvise reazioni emotive (scoppi di pianto, attacchi di panico) o varie somatizzazioni (gastriti,
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voracità nel mangiare, insonnia). Spesso sperimentano un forte senso di rabbia, soprattutto se i
genitori si sono “rifatti una vita” con altre relazioni. I figli di divorziati si sentono spinti a crescere
più in fretta degli altri: a diventare loro i responsabili della famiglia, facendosi carico di sostenere
psicologicamente – a volte anche materialmente – il genitore con cui rimangono»
20
. E’ probabile che i candidati provenienti da tali esperienze siano più maturi dei loro coetanei,
ma possono essere segnati da ciò che hanno vissuto (senso di fallimento per non essere riusciti
a riconciliare i genitori; oppure tendenza a esternare, verso i formatori, il rancore contro il
genitore da cui si sono sentiti abbandonati). Il Magistero consiglia un prudente discernimento:
«Particolarmente significativo è l’atteggiamento del giovane di fronte ai traumi nella vita
passata, più o meno gravi. Progettare di consacrarsi a Dio vuol dire in ogni caso
riappropriarsi
della vita che si vuol donare, in tutti i suoi aspetti; tendere a
integrare
queste componenti meno positive,
riconoscendole
con realismo e assumendo un atteggiamento responsabile, e non semplicemente
autocommiserativo, dinanzi ad esse. Giovane “responsabile” è colui che si impegna ad
assumere un
atteggiamento attivo e creativo
nei confronti dell’evento negativo, o cerca di
sfruttare in modo intelligente
l’esperienza personale negativa. Bisogna prestare molta attenzione alle vocazioni che nascono
da sofferenze, delusioni o incidenti vari non ancora ben integrati. In tal caso è necessario un più
attento discernimento, anche facendo ricorso a visite specialistiche, per non caricare pesi
impossibili sulle spalle deboli»
21
.
3. Genitori distanti: è molto frequente il caso di giovani i cui genitori molto impegnati nel
lavoro, erano stati quasi sempre assenti fisicamente e, no di rado, anche distanti affettivamente;
si tratta di giovani che hanno sofferto molto la solitudine e che sentono profondamente la
nostalgia e il desiderio del “clima di famiglia” che a loro è mancato. Può accadere che questi
candidati alla vita consacrata cerchino di compensare inconsciamente le carenze sofferte,
rischiando così di diventare più “consumatori” che “costruttori di comunità”
22
. «anche ilf are della comunità la propria casa può nascondere delle insidie. Chi cerca nella
comunione con i fratelli e le sorelle di fede una reale compensazione in cambio di ciò che ha
lasciato o perduto, non ha ancora compreso la chiamata alla sequela della croce. Gesù si
separò persino dai discepoli più cari, morendo solo e abbandonato, per la salvezza di tutti. La
comunità non è in primo luogo un rifugio per le persone sole, bensì uno spazio dove si raccoglie
chi rinuncia ai propri desideri per amore di Gesù e si mette al servizio degli altri uomini. Essa
non costituisce un cantuccio tranquillo e appartato dal mondo, bensì un punto di partenza per
andare verso il mondo»
23
.
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AMICIZIE IMMATURE O SQUILIBRATE «Una tendenza istintiva porta la persona umana ad
assolutizzare l’amore umano. Tendenza caratterizzata dall’egoismo affettivo che si afferma con
il dominio sulla persona amata, come se da tale dominio potesse nascere la felicità»
24
. Questa tendenza è caratteristica dell’immaturità adolescenziale ma, se non evolve
progressivamente verso il livello trascendente della gratuità, della rinuncia alla gratificazione
affettiva, dello spirito di sacrificio e della “purezza” del dono (senza l’amo nascosto per catturare
il cuore), rischia di diventare una condizione permanente (“adultescenza”, come è stata
argutamente definita) e, in un certo senso, strutturale, fino a compromettere l’idoneità alla vita
religiosa.
1. Amicizia tra persone di sesso diverso: si tratta del caso più critico: «Una prima
indicazione , forse la più importante, ci viene dal modo in cui le persone legate da amicizia
considerano la loro scelta vocazionale
. Essa forse può essere percepita come un peso, un bagaglio ingombrante, qualcosa da cui
sono costretti, legati e di cui vorrebbero disfarsi, oppure può essere colta come ciò che
avvicina, come il luogo in cui tale amicizia fiorisce e cresce. La differenza tra queste due
modalità antitetiche di vivere il proprio impegno di consacrazione si manifesterà, di
conseguenza, nel modo di impostare la relazione: nel primo caso la tendenza sarà quella di
possedere l’altro, di appropriarsene (…). Nel secondo, invece, i valori della consacrazione
avranno il sopravvento rispetto all’importanza della relazione, lasciando le persone pienamente
libere: libere non solo di amare Dio, ma anche di nutrire l’uno verso l’altra un affetto profondo,
intessuto di rispetto e di reciproca generosità. Solo così l’amicizia si rivela di stampo veramente
evangelico, come relazioni in cui le persone coinvolte sono disposte
a perdere la vita l’una per l’altra
, non accaparrandosi l’affetto dell’amico, non trattenendolo per sé, ma permettendogli di essere
pienamente se stesso e, di conseguenza, pienamente fedele alle sue scelte di vita. Di
conseguenza un’amicizia veramente casta implica
la rinuncia ad ogni diritto sull’altro
. In questo senso essa si differenzia pienamente dal rapporto di tipo sponsale in cui i partners,
legandosi reciprocamente, possono anche esercitare, vicendevolmente e in modo legittimo,
alcuni diritti
25
»
2. Amicizia tra consacrati: fino alla prima metà del XX° secolo la parola “amicizia” era
considerata quasi un tabù; esistevano infatti motivi comprensibili di sospetto, considerando
che la quasi totalità delle vocazioni entrava in convento e in seminario in età infantile: ciò
comportava la necessità di vigilare sui comportamenti che si manifestavano nel periodo che
includeva la pubertà e l’adolescenza, in cui il pericolo di deviazioni affettive e sessuali era
tutt’altro che marginale, considerato che l’ambiente era chiuso e monosessuato. Ora le
vocazioni sono quasi esclusivamente adulte anagraficamente, ma non sempre tali anche sul
piano affettivo: spesso sature di “esperienze”, ma prive di maturità e, in qualche caso, anche di
equilibrio. Ecco perché, nei confronti dei candidati, i formatori devono «aiutare ciascuno ad
assumere le proprie esperienze passate, sia positive per renderne grazie, sia negative per
individuare i punti deboli, umiliarsi serenamente davanti a Dio e rimanere vigilante per
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l’avvenire»
26 . il cammino formativo verso la maturità umana
deve quindi educare alla libertà affettiva , per aiutare a vivere serenamente la consacrazione; a
questo scopo è indispensabile, per il candidato alla vita religiosa, il sostegno di una «calda» vita
comunitaria da parte di coloro che con lui condividono la stessa chiamata: «con loro, anzitutto,
egli si sente chiamato a vivere raporti di fraternità e di amicizia»
27
. E’ importante precisare un contenuto fondamentale di questa relazione: «L’amicizia è il vertice della maturazione affettiva e si differenzia dal semplice cameratismo per la sua dimensione
interiore, per una comunicazione che permette e favorisce la vera comunione, per la reciproca
generosità e la stabilità. L’educazione dell’amicizia può diventare un fattore di straordinaria
importanza per la costruzione della personalità nella sua dimensione individuale e sociale»
28
. In termini concreti, «nell’amicizia tra consacrati (…) tutto deve essere vissuto all’insegna del
dono assolutamente gratuito e della trasparenza, che esige che l’altro non si frapponga come
realtà che fa da schermo tra il consacrato e Dio, oggetto privilegiato del suo amore. (…) Tale
amicizia esige che
il punto di incontro sia all’esterno
, al di fuori delle persone che in essa sono coinvolte. Mentre la sponsalità, infatti, rivolge le
persone l’una verso l’altra, l’amicizia esige un elemento esterno, a cui guardare insieme.
Normalmente si tratta di un interesse, talvolta anche banale, che tuttavia fa da tramite, poiché
nella comune passione i due amici trovano lo spazio in cui far crescere e maturare il loro
rapporto. Tra persone consacrate tale spazio non può che essere Dio, l’unico luogo in cui un
rapporto veramente trasparente trova la possibilità di esprimersi in pienezza»
29
. Per comprendere come l’amicizia possa collocarsi armonicamente nella vita fraterna, è utile la
seguente descrizione: «Potremmo (…) distinguere nella vita affettiva del religioso tre livelli o
cerchi concentrici: 1- Un amore di benevolenza e di beneficenza, fraterno, verso tutti gli esseri
umani, addirittura verso la creazione tutta quanta, il quale viene attuato quando si presente
l’occasione. E’ la carità. 2- Un amore di preferenza verso tutti i confratelli, poiché nei loro
confronti lo unisce un qualcosa in più, umano e soprannaturale, di quanto lo unisca con le altre
persone la con-vocazione. 3- Un amore di confidenza reciproca, verso qualcuno o alcuni dei
confratelli, o altre persone di fuori della comunità, l’amicizia propriamente detta. Ora, come
riconoscere l’autenticità di questo rapporto di amicizia? Come aiutare a maturarlo? Come
viverlo, avuto conto delle esigenze della vita comunitaria, affinché sia un aiuto e non un disturbo
alla comunione fraterna con tutti? Per divenire ogni volta più autentico, questo rapporto deve
evitare due scogli principali: 1- L’esclusivismo, che ha luogo quando gli amici ignorano,
prescindono o disprezzano gli altri membri della comunità; quando si nascondono o si chiudono
in loro stessi. 2 – La morbosità, cioè, la tendenza alla possessività dell’altro, da cui può derivare
la “amicizia particolare”. E’ ciò che succede quando questo rapporto, invece di produrre
serenità, più amore e dedizione verso tutti, togliesse libertà interiore, distraesse dai propri
compiti comunitari e apostolici o scivolasse verso sentimenti ed espressioni di carattere più o
meno dichiaratamente sessuali»
30
. E’ evidente come sia indispensabile valutare la consistenza e la maturità delle amicizie di un
candidato, per verificarne l’idoneità alla vita religiosa.
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NARCISISMO Uno degli aspetti inquietanti della cultura occidentale contemporanea è
l’individualismo portato alle estreme conseguenze dalla ideologia radicale; nella dimensione
affettiva, questa spinta ideologica al soggettivismo assoluto si traduce nel ripiegamento
egoistico e nella esasperata insoddisfazione affettiva: «Spesso i giovani provengono da una
cultura che apprezza eccessivamente la soggettività e la ricerca della realizzazione personale
(…). Una identità incerta può spingere, specie nei momenti di difficoltà, verso
un’autorealizzazione malintesa, col bisogno estremo di risultati positivi e dell’approvazione da
parte degli altri con esagerata paura del fallimento e depressione per insuccessi»
31
. «Nello stile narcisista l’elemento cruciale è
l’incapacità di amare
, di provare empatia, di preoccuparsi dei sentimenti dell’altro, e di tollerare l’ambivalenza delle
relazioni. L’assenza di interesse riguarda anche le idee altrui. Gli è difficile rinunciare alle
proprie pretese. La relazione interpersonale è segnata dall
’uso
degli altri per gratificare i propri bisogni. (…) [Si distinguono due tipi di disturbo narcisistico:
quello inconsapevole e quello ipervigile. Il primo non ha la consapevolezza di essere arrogante
e aggressivo, impermeabile alle relazioni e noioso agli altri perché è troppo condizionato dal
proprio bisogno di essere al centro delle attenzioni. Il narcisista ipervigile, invece, è
profondamente attento alle relazioni degli altri, ma per apparire bene ed evitare quelle situazioni
che lo metterebbero in una posizione d’inferiorità. Da un punto di vista psicodinamico, si può
ipotizzare una profonda
separazione
(scissione) tra gli elementi buoni del sé che stanno all’esterno e che il soggetto idealizza, e
quelli cattivi che restano chiusi e incapsulati in un nucleo centrale dal quale il soggetto tenta di
difendersi in ogni modo. In altre parole, l’idealizzazione di sé è la difesa da una ferita profonda
alla bontà e bellezza del sé (la cosiddetta ferita narcisistica), per cui le immagini inaccettabili di
se stesso restano al di fuori della sua coscienza. Gli altri, al contrario, sono svalutati sia perché
il narcisista proietta su di loro gli elementi negativi di sé, sia per neutralizzare eventuali minacce
alla propria vulnerabilità. Il narcisista (…) si mostra benevolo finché riceve ammirazione e
amore e per averli usa anche la manipolazione, ma
l’aggressività
è in agguato, pronta a scagliarsi contro gli altri non appena essi mostrano segni di critica verso
di lui o di ammirazione verso altri. Un ultimo elemento di questa personalità è
l’incapacità di provare il lutto
, la tristezza e depressione. Con una straordinaria attenzione, il narcisista evita tutte le
situazioni che possono svegliare intimamente il senso di morte o portarlo a contatto con i suoi
limiti ed errori»
32
. Se la condizione è strutturale, il candidato non è idoneo alla vita religiosa, soprattutto per
l’incapacità di armonizzarsi nella vita fraterna. Può darsi che, a volte, si presenti il problema
come un’immaturità transitoria; in questo caso, il giovane narcisista «in realtà non è individuo
privo di affetto, ma è: *uno che semmai finisce per rifiutare l’affetto che ha ricevuto, non
l’apprezza, lo ritiene scadente, perché lo vorrebbe perfetto e senza macchia, o vorrebbe prove
e conferme sempre nuove, e dunque non gli basta, ne vuole sempre di più, non ci crede, non si
fida…;* oppure uno che forse non riconosce né apprezza quell’affetto perché è del tutto
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gratuito, lui non ha fatto niente per meritarlo, non è frutto delle sue fatiche e conquiste; e questa
è come un’offesa per uno che pensa di essersi fatto-da-sè», per uno che no ha da ringraziare
nessuno e in realtà teme l’intimità…; *uno al quale di fatto manca la libertà affettiva di amare e
lasciarsi amare, perché gli mancano ancora prima quelle due certezze (di essere già stato
amato e di essere in grado di amare); *uno la cui vocazione, dunque, è spesso ingannevole,
proprio per questi caratteri di apparente autonomia nei confronti dell’altro e di eroismo e
protagonismo
33
nei confronti della scelta vocazionale stessa. La vocazione autentica è fatta, infatti, soprattutto
di gratitudine per l’amore ricevuto come una scelta che non è legata ai propri merito. Proprio per
questo è fondamentale che il giovane possa ripercorrere la propria storia con l’aiuto
dell’educatore, per ritrovare in essa, qualsiasi sia stata l’esperienza della famiglia d’origine e
insieme agli inevitabili momenti e alle componenti negative, i segni di un amore comunque
ricevuto, da persone certo imperfette, ma in ogni caso mediazione misteriosa dell’amore
dell’Eterno. Un amore che è tanto più grande quanto più accetta le mediazioni imperfette e
inadatte per comunicarsi alla creatura. Un amore che, in ultima analisi, è la fonte di quelle due
certezze strategiche che fondano la libertà affettiva»
34
. «Nei confronti del narcisismo l’atteggiamento terapeutico consiste nel trovare nuovi metodi
che inducano un a persona a mettere in discussione la propria sicurezza, che sembra così
intangibile, ma di fatto è estremamente fragile, e a configurare le proprie relazioni in maniera più
“integrale”, tenendo conto cioè della realtà delle altre persone. Questa finalità terapeutica si
avvicina abbastanza alla maniera con cui, in una visione cristiana, devono configurarsi i rapporti
con il prossimo, e analogamente con Dio. Dal punto di vista cristiano si deve aggiungere però
che il fondamento essenziale di una concezione cristiana di Dio e dell’uomo sta nella relazione
con un Dio che si rivela nella storia e invia il proprio figlio per redimere gli uomini. Pertanto un’antropologia interdisciplinare che voglia rimanere in ambito cristiano deve esigere che la vita
si realizzi in ultima analisi non esclusivamente nella ricerca della realizzazione di sé
35
, ma nella dedizione di se stessi agli altri». Lo scopo ultimo del cristiano no si esaurisce
nell’apoteosi del proprio io: «Io vivo in me e per me – e il meglio possibile» (come sostiene
l’allegro C.R. ROGERS – già citato alla Nota 72 di questo lavoro – il quale afferma: «Fare ciò
che “si crede giusto” va ritenuto una guida valida e sicura di un modo di comportarsi che è del
tutto gratificante»: ogni commento è superfluo: ndr). La frase «Cristo vive in me» (Gal 2,20)
costituisce invece la norma di ogni cristiano autentico, per adorare Dio e per servire gli uomini»
36
.
17 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 4 marzo 1979, n. 10
18 THOMAS MERTON, Il pane vivo, Garzanti 1958, p. 14
19 E’ difficile trovare studi specifici sull’argomento; il più ampio proviene dagli Stati Uniti,
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condotto da una figlia di divorziati, Elizabeth Marquardt:
Between two worlds: the inner
lives of children of divorce (Tra due mondi: la vita interiore dei figli del divorzio)
, Crown Publishers. In Italia è uscito: SILVIA VIGETTI FINZI,
Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli
, Saggi Mondadodri, 2006
20 “Noi genitori & Figli”, supplemento ad «Avvenire», 28-5-2006, p. 20
21 Nuove vocazioni per una nuova Europa, 8 dicembre 1997, n. 37 b (sottoparagrafo “un
progetto vocazionale ricco di memoria credente”, sez. c)
22 La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994, n. 24
23 SCHNACKENBURG, Commenti spirituali al Nuovo Testamento, Vangelo secondo
Marco,
Città Nuova, Roma 1973, p. 107
24 Potissmum Institutioni, 2 febbraio 1990, n. 13 a
25 A. BISSI, La castità nel cammino formativo, in: AA.VV., Casti per amare, Messaggero,
Padova 2002, p. 169
26 Potissimum Institutioni, 2 febbraio 1990, n. 13
27 La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994, n. 37; cfr. Vita consecrata, 25 marzo1996,
n. 42
28 Congr. Per l’Educazione cattolica, Orientamenti educativi sull’amore umano, 1-11-1983,
n. 92
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29 A. BISSI, La castità nel cammino formativo, in AA.VV., Casti per amare, Messaggero,
Padova 2002, pp. 169-170
30 Jose’ ROVIRA, L’amicizia, aiuto o disturbo della vita fraterna del consacrato?, in:
AA.VV.
Consacrati per una comunione fraterna
, Rogate, Roma 1995, pp. 185-186. Sull’amicizia c’è una efficace trattazione in S. TERESA
D’AVILA,
Cammino di perfezione
, 4, 5-12:
Scritti
, Roma 1981, pp. 556-559
31 La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994 nn. 24 e 36
32 L. BALUGANI , Quando un leader immaturo è preferito a uno maturo, «Tredimensioni»,
III (2006), n. 2 (maggio-agosto), p. 179
33 Spesso appartiene ai «volontaristi: i tipi tutti f’un pezzo, “primitivi adoratori dello sforzo”, che
con un certo sussiego e malcelata ambizione (di perfezione) s’impongono programmi di vita
decisamente severi e fin troppo impegnati (…). Il problema è che non di rado tale mania
volontaristica si associa con una strana incapacità di cogliere le variazioni della vita, le
sfumature della verità, la peculiarità dei singoli…»: A. CENCINI,
Vita consacrata, San
Paolo, 1994, p. 96
34 A. CENCINI, Quando la carne è debole, Paline, 2004, pp. 43-45
35 «L’uomo non deve realizzarsi, ma realizzare i valori per cui è fatto e che esigno che egli si
trasformi»: R. AMERIO,
Studio delle variazioni nella Chiesa cattolica nel secolo XX°,
Riccardo Ricciardi Editore, Milano – Napoli 1985, p. 172
36 H. ZOLLNER S.I., Fede cristiana e psicologia, “La civiltà cattolica”, 2004, I (quaderno
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3689: 6 marzo 2004), p. 461
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