Le gerle 14 Noemi Ghetti Gramsci nel cieco carcere degli eretici In quarta di copertina: A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di A.A. Santucci, 2 voll., Sellerio, Palermo 1996, n. 315, 27 giugno 1932, pp. 594-595. © 2014 L’Asino d’oro edizioni s.r.l. Via Saturnia 14, 00183 Roma www.lasinodoroedizioni.it e-mail: [email protected] ISBN 978-88-6443-264-9 ISBN ePub 978-88-6443-265-6 ISBN pdf 978-88-6443-266-3 Posta l’affermazione che ciò che noi conosciamo nelle cose è niente altro che noi stessi, i nostri bisogni e i nostri interessi, cioè che le nostre conoscenze sono soprastrutture (o filosofie definitive) è difficile evitare che si pensi a qualcosa di reale al di là di queste conoscenze, non nel senso metafisico di un «noumeno», o di un «dio ignoto» o di «un inconoscibile», ma nel senso concreto di una «relativa ignoranza» della realtà, di qualcosa di ancora «sconosciuto» che però potrà essere un giorno conosciuto quando gli strumenti «fisici» e intellettuali degli uomini saranno più perfetti, cioè quando saranno mutate, in senso progressivo le condizioni sociali e tecniche dell’umanità. Si fa quindi una previsione storica che consiste semplicemente nell’atto del pensiero che proietta nell’avvenire un processo di sviluppo come quello che si è verificato dal passato ad oggi. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere Indice Introduzione Prologo 1. «Ora che posso scrivere in cella» 2. I Quaderni e il Concordato: una concomitanza storica 1. Cavalcanti, Dante e il Canto degli eretici 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 «Ho fatto una piccola scoperta» Il cieco Tiresia Il professor Cosmo, «specialista in danteria» Il «famigerato schema» e la «famigerata lettera» Sraffa a Togliatti: «Il sistema funziona» 2. «Quistioni» e mistificazioni 2.1 «Quistioni» di terminologia: ortodossia, eresia e ateismo 2.2 «Quistione cattolica», «quistione vaticana» e questione romana 2.3 Un falso gramsciano: «Il comunismo realizzerà il sogno universale di Dante» 3. Pensare e scrivere, la praxis del carcere 3.1 3.2 3.3 3.4 La «nota dantesca» dei Quaderni Guido Cavalcanti, Dante e la «poesia dell’inespresso» La «quistione della lingua» e la storia degli intellettuali italiani Egemonia come «lotta per una nuova cultura» 4. Il comunismo e l’irrazionale 4.1 Amore e rivoluzione IX 3 3 14 21 21 25 30 36 43 55 55 60 65 71 71 77 82 87 95 95 4.2 4.3 4.4 4.5 La sessualità e la «teoria del bicchiere d’acqua» Il comunismo e gli artisti Le traduzioni del carcere: tra gusto artistico e ricerca teorica La Lettera al padre del giovane Marx: una traduzione interrotta 5. «Buttar via il rospo dal cuore» 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 La rosa di Turi Psicoanalisi a Mosca Il filologo e la violinista La «disciplina soviettista», i bambini e «un intrepido pioniere» «Appena si viene alla luce... appena si aprono gli occhi» Epilogo 1. Un Kaspar Hauser di Sardegna 2. La perla delle perle Indice dei nomi 104 109 113 116 123 123 128 132 139 144 151 151 161 167 Introduzione Nel maggio del 2012, alla vigilia della presentazione del saggio L’ombra di Cavalcanti e Dante su invito della Dante Alighieri di Parigi, il giornale italo-francese “Altritaliani.net” pubblicava il mio articolo Gramsci nel «cieco carcere» degli eretici 1. Era la prima proposizione di una ricerca di cui questo libro, recante lo stesso titolo, è lo sviluppo. Sono trascorsi altri due anni, e l’espressione «cieco carcere», da me scelta allora come pregnante e polivalente metafora della condizione di Antonio Gramsci dopo la condanna del 1928, continua a essere la migliore sintesi per un lavoro che ha il suo cardine nella «nota dantesca» dei Quaderni del carcere 2. Unico esercizio di esegesi dantesca da parte di chi negli anni universitari era stato una promessa della filologia e della linguistica, il lungo saggio sul Canto X dell’Inferno, annunciato l’8 febbraio 1929 nella prima pagina dei Quaderni e redatto negli anni 1930-1932, riveste un’importanza centrale nell’intera opera per molti motivi3. 1 L’articolo è disponibile in http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=1062 2 La locuzione dantesca (Inf., X, 58-59) è stata ripresa in tempi successivi da F. Lo Piparo, Il professor Gramsci e Wittgenstein, Donzelli, Roma 2014, pp. 165-175. 3 I numerosi riferimenti al tema, presenti nella contemporanea corrispondenza triangolare del prigioniero con la cognata Tatiana Schucht, e attraverso di lei con l’economista Piero Sraffa, attestano che da Mosca l’«amico piemontese» (Togliatti) controllava e commentava quanto «Nino» andava elaborando nella cella di Turi. Fatto sorprendente, se ricordiamo che con la «svolta» staliniana del 1930 il leader sardo subì il voltafaccia del collettivo comunista del carcere, e che a opera dello stesso Togliatti nel congresso del Partito comunista d’Italia (PCd’I) di Colonia del 1931 la sua figura fu «canonizzata», per poi essere fatta sparire dalla scena pubblica per un biennio, fino al drammatico aggravarsi delle conIX GRAMSCI NEL CIECO CARCERE DEGLI ERETICI Tragedia politica e drammi privati si intrecciano fittamente, come nel Canto di Cavalcante e Farinata, anche nello straordinario commento gramsciano, che lascia chiaramente trasparire, sotto il sanguinoso dissidio tra Guido Cavalcanti e Dante che costituisce l’enigmatica trama dei celebri versi, l’analogia con lo storico scontro con Togliatti. Un dissenso radicale, a lungo occultato dal falso mito della continuità edificato dopo la morte di Gramsci da colui che Tatiana definiva «compagno ex amico», che affonda le radici più remote in una visione della realtà umana distante se non opposta, riscontrabile dagli anni universitari e della comune militanza socialista. Nel Canto X sono puniti coloro «che l’anima col corpo morta fanno», ovvero gli eretici irriducibili, che in virtù del loro ateismo ebbero la folle presunzione di antivedere e quindi di voler modificare il futuro, sottraendolo agli imperscrutabili disegni della provvidenza divina. Ma sottraendolo anche, al tempo di Gramsci, al meccanicismo del materialismo economico positivista, ereditato nella diade struttura-sovrastruttura del marxismo, che si andava sempre più costituendo in quella che Bobbio definisce una «nuova forma di escatologia». Il contrappasso infernale che punisce gli eretici è la cecità, l’impossibilità di vedere, nel carcere senza luce, il presente. Al momento dell’incontro con il Sommo poeta, Cavalcante non sa se il figlio Guido, maestro e «primo amico» di Dante, è ancora in vita. L’angoscia esplode in una domanda che lacera l’aria infernale, ma Dante esita a rispondere. In questa colpevole reticenza è celato il segreto del dramma, ignorato dai critici, e per la prima volta portato alla luce da Gramsci. Ma privazione della visione fisica e solitudine significano anche, come gli antichi sapevano, come l’Infinito leopardiano cantava, l’acuirsi della capacità di vedere psichica, ovvero della possibilità di conoscere l’invisi- dizioni di salute. Fatto ancora più interessante, in quanto la stesura della nota su Cavalcante cominciava proprio quando le comunicazioni con la compagna Giulia Schucht, che viveva a Mosca con i due figli piccoli, si erano fatte più difficili, suscitando il comprensibile allarme del prigioniero. Come Gramsci apprendeva da Sraffa, in visita a Mosca nell’estate del 1930, sottoposta a rigida sorveglianza dal partito, Giulia era ricoverata in una clinica per malattie mentali, affetta da disturbi che le impedivano anche di scrivere. Dimessa, si sottopose a un’esperienza psicoanalitica riabilitativa, seguita da Gramsci con sollecita perplessità, come mostra l’importante ripresa degli scambi epistolari. X Introduzione bile. Significano poter ricreare una sensibilità e una profondità originaria della mente, e della mano che scrive. E anche quella libertà di ricerca «disinteressata», spesso coartata quando si è travolti dalle necessità della vita, che Gramsci si propone come programma di lavoro del carcere. Una libertà alla quale, a suo rischio, non fu mai disposto a rinunciare. Alla «nota dantesca» Gramsci affida il grande compito di annunciare la «piccola scoperta» che mette in discussione la scissione crociana tra struttura e poesia. È solo l’inizio di una serrata critica all’intera filosofia di Benedetto Croce, sviluppata nel Quaderno 10, e alla sua funzione di «papa laico», «strumento efficacissimo di egemonia» e «leader del revisionismo» presso l’opinione pubblica italiana ed europea, come lo definisce in contemporanee lettere a Tatiana. Seguendo una linea opposta ai totalitarismi che con Mussolini e Stalin, e di lì a poco con Hitler, si affermavano in Europa, nell’isolamento sempre più radicale del carcere, a cui si sente condannato doppiamente per l’abbandono dei compagni di lotta, Antonio Gramsci risale alle origini della secolare egemonia cattolica, studiando la capillare organizzazione e gli strumenti attraverso i quali il potente «intellettuale collettivo» domina da secoli la scena. Studioso di linguistica, delinea uno schema per la storia degli intellettuali italiani, in cui la «quistione della lingua» dalle origini duecentesche si intreccia con la «quistione cattolica», e dal 1870 con la «quistione vaticana». Il disegno, del tutto originale, è il presupposto per l’elaborazione dell’idea di egemonia, in continuità con l’esperienza torinese dei Consigli di fabbrica del ‘biennio rosso’ e con l’analisi della «quistione meridionale», poi sviluppata nel Quaderno 13 sulla politica di Machiavelli. Un’egemonia nuova, fondata sul consenso attivo di chi è governato e sulla partecipazione dal basso di coloro che da sempre sono esclusi dalla scena culturale, che sia democratico elemento di confronto e raccordo tra società civile e società politica. Una lotta che sostituisca alle armi la rivoluzione del pensiero e della parola. Nei due anni 1930-1932 la ricerca gramsciana si svolge anche sul fronte della teoria marxiana, che occorre rivedere, liberandola da incrostazioni successive e ricostruendo l’origine della scissione tra struttura e sovrastruttura del materialismo storico. A questa fondamentale istanza filologica e teorica risponde l’attento lavoro di traduzione degli scritti giovanili del XI GRAMSCI NEL CIECO CARCERE DEGLI ERETICI pensatore di Treviri, i meno noti4. Gramsci procede a ritroso nel tempo, dalle Tesi su Feuerbach, considerate l’atto di nascita della «filosofia della praxis», per risalire alla Lettera al padre del 10 novembre 1837, nella quale il giovane diciannovenne annuncia di essere caduto nelle braccia di Hegel e di rinunciare alla «ricerca della natura spirituale altrettanto concreta, necessaria e solidamente fondata quanto la natura fisica» degli esseri umani. È l’ultimo approdo delle traduzioni del carcere, che si interrompono qui. Il documento è cruciale, perché segna il fallimento di Marx nel trovare, a monte dell’alienazione del lavoro, quella che lui stesso definisce «la perla delle perle», la nuova antropologia che sola poteva risolvere l’alienazione religiosa. Il compito che Feuerbach aveva affidato alle nuove generazioni restava insoluto. La critica della religione, in cui nel 1844 Marx indicava il presupposto di ogni critica, non era affatto compiuta5. Quel «qualcosa di reale al di là delle conoscenze», che secondo Gramsci non si poteva «evitare di pensare», era rimasto anche per Marx un «noumeno» kantiano, «un inconoscibile». Nel paragrafo 40 del Quaderno 10 sulla filosofia di Benedetto Croce, convinto delle possibilità di evoluzione della realtà umana, Gramsci ha il coraggio laico di sostenere l’incertezza, affermando apertamente che non di «un inconoscibile» si tratta, ma di qualcosa ancora «sconosciuto», che un giorno sarà conosciuto. Nemico delle «filosofie definitive», prevede che «quando gli strumenti ‘fisici’ e intellettuali degli uomini saranno più perfetti», qualcuno raccoglierà il testimone, «la perla delle perle» sfuggita alle mani del giovane Marx. Pochi decenni dopo, nel 1972 Massimo Fagioli con la teoria della nascita scopre il fondamento scientifico dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, aspirazione irrinunciabile di ogni sinistra. Non nella religione, non nella ragione, ma nella dinamica della nascita, nella mente senza coscienza che si crea dalla biologia del corpo c’è la chia4 Escluse dall’edizione di Gerratana del 1975 come mere «esercitazioni distensive», le traduzioni sono ora pubblicate in A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. critica diretta da G. Francioni, vol. I, I Quaderni di traduzioni (1929-1932), 2 tomi, a cura di G. Cospito, G. Francioni, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2007. 5 K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in Id., Annali francotedeschi (1844), Edizioni del Gallo, Milano 1965, p. 125: «Per la Germania la critica della religione nelle sue linee fondamentali è tracciata, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica». XII Introduzione ve del nuovo umanesimo auspicato da Gramsci, la caratteristica specifica della realtà umana, che ci rende tutti uguali6. Parlare di egemonia culturale oggi significa confrontarsi con l’idea di realtà umana. La questione si pone come la necessità storica del superamento dell’ideologia, condivisa dal logos greco e dal cristianesimo, della scissione e della cattiveria originaria degli esseri umani. Nella solitudine del carcere a cui era condannato da fascismo e comunismo, Gramsci continua la sua strenua lotta di libero pensatore contro la scissione in tutte le forme in cui si presenta, da quelle politiche a quelle che si manifestano in ambiguità squisitamente linguistiche. Da quelle teoriche tra struttura e sovrastruttura, dunque tra bisogni ed esigenze, a quella antropologica, che vuole la realtà umana composta di corpo materiale e ragione spirituale, e stabilisce l’inferiorità di quanti risultano storicamente meno provvisti di razionalità. L’identità femminile e lo sviluppo dei bambini sono questioni a cui il pensatore sardo si mostrò sempre, nell’azione politica e in privato, sensibile e attento. La certezza dell’irrazionale, sempre negato dal comunismo, veniva a Gramsci dall’amore mai perduto per gli oppressi. Gli veniva dalla sensibilità nei confronti dell’arte, che aveva connotato i suoi esordi di giornalista come critico teatrale. La stessa che fa di lui un grande scrittore. Certo, la lettura di questa sorta di Zibaldone del Novecento, con lo straordinario contrappunto dell’epistolario, è impegnativa per la coerenza, la densità e l’originalità del pensiero, a dispetto dell’andamento provvisorio in forma di appunti, in attesa di essere sistemati una volta che la libertà fosse riconquistata. Un capolavoro di resistenza per le proibitive condizioni di emergenza in cui fu scritto. Il fascino e la forza della scrittura gramsciana fanno dei Quaderni e delle Lettere dal carcere una lettura coinvolgente e attualissima, purtroppo più frequentata all’estero che in Italia, dove non ha avuto la diffusione che meritava. Nell’agosto del 1936 l’Appello ai fratelli in camicia nera proclamava: «I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori». Chia6 M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza (1972), L’Asino d’oro edizioni, Roma 2010. Lo stesso Fagioli nel 1980 individua nella Lettera al padre di Marx il fallimento della ricerca della nuova antropologia (cfr. M. Fagioli, Bambino donna e trasformazione dell’uomo [1980], L’Asino d’oro edizioni, Roma 2013, pp. 118-119). XIII GRAMSCI NEL CIECO CARCERE DEGLI ERETICI mando a testimone e garante Gramsci pochi mesi prima della sua morte, Togliatti apriva la strada alla «conciliazione» che ha connotato tutta la storia italiana successiva. Dalla svolta di Salerno del 1944 e dall’amnistia del 1946, la strada era quella del «compromesso con il cattolicismo», che già nel 1918 Gramsci aveva denunciato come «assolutamente» impossibile se non a prezzo della subordinazione dello Stato laico alla Chiesa7. La fondamentale divergenza è attestata dalla complessa vicenda editoriale degli scritti del carcere, pubblicati nel dopoguerra secondo una strategia attenta ad accreditare la leggenda della continuità di pensiero tra Gramsci e la «via italiana al socialismo». In una sinistra italiana che restava, anche dopo il 1968, largamente allineata sotto il cattocomunismo, e nonostante l’edizione critica dell’Istituto Gramsci dei Quaderni a cura di Valentino Gerratana fosse disponibile dal 1975, in pieno compromesso storico il nome di Gramsci continuava a circolare oscurato dall’ombra di Togliatti. Lo studio dei suoi scritti restava esercizio di una ristretta cerchia di cultori specialisti, che spesso ne strumentalizzavano l’eredità teorica e terminologica, piegandola a usi impropri: perché tra l’assistenzialismo cattolico nei confronti dei poveri di spirito e l’emancipazione degli oppressi perseguita da Gramsci l’abisso è incolmabile. Le preziose pagine gramsciane della «nota dantesca», paradossalmente sottoposte a una carcerazione postuma, rimasero di fatto pressoché sconosciute ai più. Solo Gianfranco Contini mostra, in uno studio del 1968 su Cavalcanti e Dante, di essersi largamente ispirato all’eretica interpretazione gramsciana, peraltro non citata, ma echeggiata quasi alla lettera in alcune espressioni8. E mostra di conoscere le pagine dei Quaderni che indicano in Cavalcanti il «massimo esponente» della rivolta al pensiero teocratico medievale e del consapevole uso del volgare contro la romanitas e Virgilio, e nella Commedia il «canto del cigno medioevale», che con la la7 A. Gramsci, I cattolici italiani, in “Avanti!”, ed. piemontese, 22 dicembre 1918, ora in Id., Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti 1914-1935, a cura di G. Vacca, Einaudi, Torino 2007, pp. 37-38. L’analisi è lucidissima: dal 1913 «lo stato italiano divenne l’esecutore del programma clericale e nel patto Gentiloni culmina un’azione subdola e tenace per ridurre lo Stato a una vera e propria teocrazia, per sottoporre l’amministrazione pubblica al controllo della gerarchia ecclesiastica». 8 Cfr. G. Contini, Cavalcanti in Dante, in Id., Un’idea di Dante. Saggi danteschi, Einaudi, Torino 1970, pp. 143-144. Le espressioni in questione sono quelle riportate in esergo all’interno del mio saggio L’ombra di Cavalcanti e Dante, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2011. XIV Introduzione tinizzazione del volgare segna la crisi della rinascita laica del Duecento e il passaggio all’umanesimo cristiano. Esegeta raffinato, Gramsci non aspira certo a essere considerato uno «specialista in danterie». Leggere la Commedia «con amore» è per lui un atteggiamento da «professori rimminchioniti che si fanno delle religioni di un qualche poeta o scrittore e ne celebrano degli strani riti filologici». Apprezzarne i valori estetici, scrive a Giulia in una lettera del 1931 mettendola in guardia da una trasmissione acritica del poema ai figli, non vuol dire condividerne il contenuto ideologico. Insomma, uno scrittore scomodo, del tutto trascurato nei nostri programmi scolastici, che prescrivono lo studio del romanzo di Manzoni e del poema di Dante come modelli ideologici e linguistici indispensabili all’istruzione della classe dirigente. Forse proprio per questo il mio lavoro nasce con intento anche divulgativo. Per una forma di risarcimento ai miei studenti, ai quali non ho trasmesso questa opportunità formativa, ho voluto dare largo spazio alle citazioni dirette, perché il suono delle parole di Gramsci possa far rivivere al meglio il senso di una realtà umana geniale e moderna, sempre calda, coerente, appassionata. Ringrazio di cuore quanti hanno inizialmente stimolato, o in vario modo accompagnato con incoraggiamenti e contributi alla ricerca, la stesura del libro. In particolare Michele Canonica, Jean-Charles Vegliante, Juan Varela-Portas De Orduña, Roberto Antonelli, e gli amici Michèle Gesbert, Andrea Damascelli, Paolo Turroni, Giuseppe Benedetti, Luigi Scialanca, Nicola Michelassi, Salomé Vuelta García, Daniele De Perto, Silvia Luminati, Ada Montellanico, Amy Pollicino, Antonio Marinelli, Francesca Iannaco, Carlo Patrignani, Livia Profeti, Fulvio Iannaco, Sonia Marzetti e il Gruppo Storia dell’Associazione culturale Amore e Psiche. Un grazie speciale a Matteo Fago, l’editore che si è battuto perché “l’Unità”, il quotidiano fondato nel 1924 da Antonio Gramsci, potesse essere come Gramsci lo volle: «Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. [...] Dovrà essere un giornale di sinistra. [...] Io propongo come titolo ‘L’Unità’ puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale». Roma, luglio 2014 XV