RWANDA EXPRESS In viaggio su sentieri sterrati: volontarie per il Rwanda La scelta di Lara educatrice Gea Ruanda. Per molti, la prima cosa che viene in mente è il massacro dei Hutu contro i Tutsi, l’ultimo sterminio della storia contemporanea che ha assunto le proporzioni del genocidio. Per altri, solo il nome di questo paese dell’Africa profonda evoca immagini di povertà estrema e di bambini affamati, con la pancia gonfia, che vivono un’esistenza irrimediabilmente condannata alla miseria, dentro capanne di fango prive di tutto. Ma queste immagini, per fortuna, sono superate da una realtà migliore. Esistono diverse associazioni che ormai da tempo operano nel paese, dove comunque vi sono scuole e centri urbani e quindi servizi minimi garantiti, oltre ad un timido sviluppo economico che sembra stia poco alla volta prendendo piede. E diverse persone prestano la loro opera a favore delle comunità locali. Anche durante il periodo delle ferie dal lavoro. E’ il caso di Ilaria Buscaglia, antropologa, presidente di Turikumwe Onlus, e di Lara Pasquale, educatrice di Gea. Dopo il lavoro a favore degli utenti della coop sociale novarese, Lara ha scelto di dedicare tempo e risorse a favore di altre persone che hanno bisogno del suo aiuto. Come Gea, la Madre Terra della mitologia, che abbraccia i suoi figli e se ne prende amorevolmente cura. E impiegare il proprio tempo - un “tempo pieno di vita” - per aiutare gli altri ci sembra corrisponda in pieno all’impostazione culturale e personale di chi, per professione, si “prende cura” delle persone. Dopo aver fatto esperienze di volontariato in altri paesi martoriati dalla guerra, come la Bosnia, Lara si è interessata per andare nel Continente Nero. “Mi sono informata, ci spiega, ho chiesto a diversi amici se conoscevano associazioni che lavorassero lì, ma nessuno mi ha saputo aiutare. Finché un conoscente mi ha messo in contatto con Ilaria, e allora tutto è cambiato. Sono andata in uno dei paesi più difficili dal punto di vista dell’emergenza umanitaria, e l’esperienza mi ha arricchita. Spiritualmente e culturalmente. Mi piace molto incontrare nuove persone e viaggiare. Soprattutto mi piace portare il mio aiuto là dove serve. In fondo, l’esperienza migliore è quella che ti porta a vivere a stretto contatto con la gente del posto, a contribuire lasciando qualcosa di tuo”. Lara e alcuni piccoli amici. In copertina: Lara e Ilaria al lavoro. Dignità nella sofferenza Il linguaggio universale del football. “Nei paesi poveri dell’Africa, prosegue Lara, puoi davvero entrare nello spirito del luogo portando l’aiuto e il calore umano di cui c’è bisogno, superando le prime diffidenze del contatto con persone nuove, in situazioni di difficoltà più o meno grave. Ciò che mi ha regalato le maggiori soddisfazioni sono stati gli incontri con i bambini e le donne della comunità dove operavamo. Persone magnifiche, grazie alle quali il nostro lavoro ha assunto nuove dimensioni di profondità. Soprattutto, persone con una dignità enorme, che non hanno perso il sorriso pur vivendo in condizioni che farebbero disperare la maggior parte di noi occidentali. Proprio la dignità della sofferenza, del condurre una vita ancora difficilissima pur non avendone alcuna colpa, mi sembra possa essere un insegnamento prezioso anche per noi, oggi. Ma per fortuna, il Ruanda si sta evolvendo. Non è più pericoloso come una volta e anche la situazione economica migliora gradatamente. Chissà che tra qualche tempo non diventi un paese privilegiato per investire, grazie alle risorse delle quali l’Africa è ancora ricca”. Turi kumwe: “siamo insieme” all’Africa Qui a fianco: un sorriso senza confini. Sotto: reperti africani al British Museum di Londra. Ilaria Buscaglia, presidente della Onlus Turikumwe (in ruandese significa “Siamo insieme”), è una ragazza simpatica e spigliata, che sta scrivendo la tesi per il dottorato in Antropologia Culturale. “Esistiamo come associazione dal 2007, ci spiega, e stiamo portando avanti diversi progetti nella periferia della capitale ruandese Kigali. Collaboriamo con una congregazione locale di suore che aiutano bambini sieropositivi ad andare avanti negli studi. Il centro funziona come una struttura residenziale con attività organizzate anche il pomeriggio. Cerchiamo di dare un aiuto concreto alle famiglie dei ragazzi, contribuendo economicamente al pagamento delle tasse scolastiche, delle spese mediche e di ciò che riguarda l’alimentazione, e aiutando a tenere corsi di inglese per i bambini, che quindi un domani saranno avvantaggiati nella loro formazione. Lara ha lavorato proprio in questo progetto, insegnando insieme a me, oltre ad assistere i ragazzi in varie situazioni. Attorno al centro esistono dei campi di terra, che le suore in prima persona e con l’aiuto di lavoranti specializzati si sono messe a coltivare. Collaboriamo poi per altri due progetti. Il primo è a favore di un’associazione femminile composta da 75 donne del luogo che producono cestini, i quali vengono poi commercializzati e quindi producono utili. Diciamo che è il primo seme di un’attività economica per migliorare le condizioni di vita della comunità. Abbiamo cercato di perfezionare la tecnica tradizionale di realizzazione dei cestini, fornendo alle signore anche una formazione di base nel taglio e cucito con personale pagato da noi. Alla fine del corso, le partecipanti erano in grado di fabbricare oggetti tradizionali utilizzando macchinari e stoffe. La produzione è certamente ancora artigianale, ma di buona qualità. Il punto di vista ci sembra chiaro: non cerchiamo di proporre al mercato una bassa qualità che però si deve vendere per scopi umanitari, ma al contrario offriamo prodotti ben fatti, che possano essere acquistati perché piacciono o servono allo scopo per il quale sono nati. Se sei nel mercato devi essere adatto al mercato. Esiste poi un nostro progetto: consiste nel pagamento delle tasse scolastiche a una cinquantina di bambini delle scuole medie e del liceo”. Un “debito” Culturale Lara con alcuni suoi alunni. Ma da dove vengono i soldi per pagare questi progetti? “Non abbiamo finanziamenti pubblici né canali “privilegiati”, prosegue Ilaria. Tutto quello che facciamo è reso possibile da donazioni volontarie. Per me personalmente, esiste anche un “debito” verso il Ruanda. Mi sono laureata in Antropologia Culturale, con una tesi sull’elaborazione del lutto da parte dell’etnia Tutsi dopo la pulizia etnica perpetrata dagli Hutu. Ho studiato la storia e la cultura di questo popolo, ho arricchito la mia conoscenza prendendo qualcosa da loro, ma cos’ho restituito in cambio? Così ho deciso di costituire una onlus che portasse aiuto vero. Adesso sto finendo il dottorato di ricerca, con una tesi sul rapporto tra donne e politica nelle campagne ruandesi. Tra poco tornerò in Africa per un servizio civile e per aiutare il personale che lavora tutto l’anno nel nostro centro”. E finito questo ennesimo progetto, che succederà? “Se potremo, ne faremo un altro. Poi un altro e un altro ancora, finché avremo la capacità operativa e le risorse per aiutare. Ci piacerebbe andare avanti per molto, molto tempo. Perché l’Africa ci ha conquistato, con le sue contraddizioni e le sue straordinarie potenzialità, ancora per lo più inesplorate. Il nostro viaggio sui sentieri sterrati di un continente martoriato ma dall’anima ricca di fascino, conclude Ilaria con un sorriso, non potrà mai aver fine”. IL RWANDA IN PILLOLE Il Ruanda si trova nella parte centro-orientale dell’Africa. Confina a nord con l’Uganda, a est con la Tanzania, a sud col Burundi, a ovest con lo Zaire. L’economia è ancora a forte prevalenza agricola, e per lo più di sussistenza: vengono coltivate la manioca, la batata, la patata, legumi, mais e riso. Sono scarse le colture di piantagione di caffè e tè, discreta la produzione di legname. Modesti infine i giacimenti di stagno, tungsteno e gas naturale. Le lingue ufficiali sono il francese ed il ruandese. Le religioni principali il cristianesimo, l’animismo e l’islam. LE GUERRE ETNICHE E IL LUNGO CAMMINO VERSO LA DEMOCRAZIA Nel XVI secolo gli allevatori tutsi controllavano il paese. Sottomisero i bantu (hutu), agricoltori e nel 1884 il Ruanda venne incluso nel protettorato tedesco del Ruanda-Urundi, poi mandato belga dal 1919. Nel 1959 scoppiò la rivolta bantu contro i tutsi, che diede inizio a una lunga guerra civile. Nel 1961 il paese conquistò l’indipendenza, ma i massacri continuarono. Il territorio venne così diviso in due stati, Ruanda e Burundi, sempre in conflitto tra loro. Nel 1973 la situazione si normalizzò con un colpo di stato della maggioranza bantu, che portò nel 1978 alla promulgazione di una nuova costituzione. La minoranza tutsi continuò tuttavia a lottare per prendere il potere. Infine, dopo l’assassinio del presidente Habyarimana nel 1994, che aveva avviato un processo di democratizzazione del paese, è scoppiata una tremenda guerra civile tra il Fronte patriottico ruandese – FPR, a base tutsi – e le truppe governative hutu. Il massacro ha assunto le dimensioni di un vero e proprio genocidio. Il Fronte patriottico ha infine prevalso e nel luglio 1994 si è insediato un nuovo governo, formalmente di unità nazionale, che ha cercato di favorire il rientro pacifico dei profughi hutu dallo Zaire. Il Ruanda sta ora cercando, pur in un processo lento e faticoso, una via verso la rinascita e lo sviluppo. HOTEL RWANDA E’ un film del 2004, diretto da Terry George e ambientato nel Ruanda del genocidio che coinvolse Hutu e Tutsi. La pellicola è basata sulla vera storia di Paul Rusesabagina ed è stata realizzata 10 anni dopo gli avvenimenti narrati. “… Poi Demba, un fanciullo di dieci anni, spiegò ai ragazzi che il sacco d’oro serviva a denunciare la pericolosa cupidigia alimentata dalle ricchezze, le liane intrecciate evocavano le ingiuste servitù ancora presenti nel mondo, infine il sacco di sabbia ricordava l’obbligo di rispettare il pianeta su cui viviamo. Prima di tornare a giocare con i suoi coetanei, Demba disse ai tre fratelli: Voi pensavate di trovare un uomo saggio, invece avete trovato me. Ricordate che la conoscenza è fatta così: anche un bambino la può trovare”. (Tratto dal racconto “Viaggio nel paese del fiume sacro”, in “Le fiabe dell’Africa nera”, Giovane Africa Edizioni, Gruppo Solidarietà, settembre 2011) Testo: Michele Mornese – Foto: collezione Lara Pasquale e Michele Mornese