Gli internati militari italiani in Germania nella relazione di un ufficiale

G li in te r n a ti m ilit a r i it a lia n i in G e r m a n ia
n e lla r e la z io n e d i u n u ffic ia le d e lla
R e p u b b lic a d i S a lò
(*)
L ’estensore di questa relazione, un ufficiale di Marina internato
in Germania dopo Varmistizio, fu rimpatriato il 17 aprile 1944, avendo
sottoscritto l’atto di adesione alla Repubblica sociale italiana. La sua
permanenza nei campi comuni durò, però, solo fino al 20 gennaio, data
del suo trasferimento nel campo di Deblin (Arilager), a sud di Var­
savia, nel quale furono riuniti gli ufficiali aderenti dei campi polacchi.
La sua relazione, perciò, descrive la situazione degli internati italiani
nel periodo iniziale della loro prigionia, che se materialmente non fu
il più duro (così, almeno, lo ricorderanno i superstiti nell’inverno
1944-45), moralmente fu il più doloroso e difficile per le pressioni delle
autorità tedesche e fasciste in cerca di volontari.
Le vicende descritte nella relazione corrispondono con una certa
uniformità a quelle degli altri campi della Polonia. L’atteggiamento
dei Tedeschi e la reazione degli internati furono sostanzialmente iden­
tici ovunque. L’episodio, apparentemente aberrante, di Czestokoiva
(l’estensore usa la forma tedeschizzata Tschenstokau) fu determinato
da una iniziativa di alcuni fascisti del campo e da particolari condi­
zioni ambientali sfavorevoli. Gli stessi Tedeschi, d’altra parte, non ten­
nero in nessun conto queste adesioni; il sopr aggiunger e di nuovi con­
tingenti di ufficiali dissipò, infine, l’atmosfera di tensione, che era
stata artificiosamente creata nel campo.
La resistenza alle richieste tedesche e fasciste fu guidata da nu­
clei semiclandestini, sorti dovunque, che svolsero una intensa attività
di contro-propaganda. La relazione dà, giustamente, rilievo a l contri(*) Conservata nell’Archivio dell’Istituto per la storia del movimento di libe­
razione in Italia. L’originale dattiloscritto e firmato porta l’annotazione : « Dal
comandante Vito Mussolini. Il Duce l’aveva già visto ». Questo documento, che
prospetta lo stato d’animo dei militari nei campi di concentramento in Germania
dal punto di vista dei fascisti, è da porsi in relazione quale interessante integra­
zione di jjrospettive con il diario di un Resistente negli stessi campi, il De Toni,
pubblicato sul n. 10 di questa rassegna, col titolo «Voci della Resistenza nei campi
di concentramento militari in Germania». La relazione qui riportata riferisce le
impressioni di un ufficiale di Marina rientrato in Patria dopo una permanenza di
sette mesi nei campi di concentramento in Germania.
Gli internati militari in Germania
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bufo portato in questa opera dagli ufficiali effettivi (specie da ciucili
superiori) di fede monarchica e dai cappellani militari. Ad essi si af­
fiancarono gli intellettuali antifascisti (professori universitari, uomini
di studio, professionisti e giornalisti). L’esistenza di radio clandestine,
miracolosamente occultate in quasi tutti i campi, permise di contro­
battere con efficacia le notizie tendenziose della propaganda tedesca e
fascista. Va anche notato che in questo primo periodo i nuclei reggi­
mentali erano ancora intatti: Vesempio e la guida dei più anziani e
dei superiori incoraggiò i più giovani.
I motivi ispiratori della resistenza si possono così riassumere: fe­
deltà al giuramento ( motivo condiviso quasi sempre per ragioni con­
correnti, anche dagli ufficiali di sentimenti repubblicani) ; consapevo­
lezza che il rifiuto aveva il valore di un plebiscito contro la dittatura
fascista, al quale si annetteva una grande importanza morale e politica;
reazioni ai maltrattamenti ed alle umiliazioni subite. La relazione dà
anche giustamente rilievo alla dichiarazione di guerra dell’Italia alla
Germania, che fu accolta nei campi con soddisfazione e che contribuì
indubbiamente a tonificare la resistenza: gli internati rivendicarono
sempre di fronte ai Tedeschi la loro condizione giuridica di soldati di
una nazione in guerra contro la Germania.
« Ci si chiedeva — dice l’estensore con molta sincerità — di essere
dei mercenari, perchè non della Patria ci si parlava, ma del soldo e
del vitto ». Anche Vargomento della fame e del freddo inverno polacco,
ripetuto con monotonia maldestra in tutti i campi, contribuì non
poco a chiudere gli ufficiali in una ostinata resistenza. Né migliore
esito ebbero le voci diffuse dalla propaganda dei fascisti di gravi
misure repressive dei Tedeschi contro i resistenti. Circolarono allora
per la prima volta le jiotizie sui campi di annientamento e sulle
camere a gas.
Anche l’atteggiamento del personale di custodia dei campi, in
molti casi di aperto disprezzo per gli culerenti, trattati in tutto come
gli altri prigionieri, fuorché nelle razioni viveri (di qui il nomi­
gnolo di ’’Essen Essen Divisionen” ad essi affibbiato dai Tedeschi),
contribuì ad incoraggiare la resistenza.
La relazione mette più volte in rilievo l’insufficienza della pro­
paganda fascista. Il giornale La voce della patria (nel gergo dei
campi: La voce del padrone) aveva un tono puerile e contropro­
ducente : dalle sue colonne trapelarono le prime notizie della gene)
rade opposizione degli Italiani contro la repubblica fascista.
L’estensore precisa che nel suo campo su circa 2000 ufficiali fir­
marono l’adesione solo 160. Questa percentuale è costante in tutti i
campi. Non si ha notizia di campi nei quali « Vadesione sia stata)
totalitaria o quasi », come si insinua nella relazione. Eccettuati i fa­
scisti irreducibili, gli aderenti, come precisa l’estensore, furono re­
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Gli internati militari in Germania
dittati tra gli individui più deboli, « malati gravi, invalidi, vecchi »,
o ossessionati dalla fame. Non corrisponde alla realtà Fopinione
espressa nella relazione che un più elevato numero di adesioni si
sarebbe ottenuto assicurando Fimpiego dei volontari sul territorio
italiano. Le notizie subito diffusesi dell’avvenuto rimpatrio dei primi
aderenti non modificarono l’atteggiamento negativo di fronte a nuo­
ve pressioni; l’intransigenza si spinse, anzi, fino a rifiutare l’offerta
di rimpatrio come civili su richiesta di enti statali e di industrie,
perchè subordinata ad un’adesione di massima.
La relazione accenna alle penose condizioni di vita degli inter­
nati. I lager riservati agli Italiani furono quasi sempre i peggiori.
In quelli della Polonia, come anche in quello di Wietzendorf, erano
passati tra il 1941 e il 1943 milioni di prigionieri russi, tra i quali,
la faìne, le violenze tedesche, le malattie, le pessime condizioni igie­
niche ambientali avevano aperto vuoti spaventosi. I cimiteri militari
delle adiacenze, visibili spesso anche dall’interno dei campi, custo
divano in fosse comuni diecine di migliaia di vittime. La fame, il\
freddo (il famoso inverno polacco non fu, per fortuna, nel 1943-44Ì
tra i più rigidi), le epidemie non erano, in queste condizioni, una(
minaccia vana. Alla mancata assistenza da parte delle autorità re­
pubblichine, che la relazione lamenta anche per gli aderenti, si ag­
giunse il divieto opposto dalle stesse alla Croce Rossa internazionale,
che si era offerta di soccorrere gli internati italiani. Questo divieto
fu comunicato agli internati poco prima dell’inizio della campagna
di arruolamenti, insieme con la precisazione che dagli Italiani non
poteva essere invocata nessuna garanzia o protezione internazionale.
Le condizioni degli ufficiali internati, sulle quali la relazione
testimonia eloquentemente, si aggravarono sempre più col passare
dei mesi. Rimase aperta per essi la possibilità di sottrarsi alla pri­
gionia, accettando di collaborare con i Tedeschi. Terminata, infatti,
la campagna per gli arruolamenti nelle forze armate, i comandi ger­
manici ne iniziarono un’altra, protrattasi fino al termine della guer­
ra, con ogni genere di pressioni morali e materiali, per Fadesione
al fronte del lavoro, adesione che la maggioranza degli internati ri­
fiutò. L’alta percentuale dei caduti e degli invalidi sta a dimostrare
quanto sia stata aspra la lotta condotta dagli ufficiali internati in
Germania, lotta deliberatamente e volontariamente combattuta, che
costituisce un episodio di alto valore morale, in gran parte ancora
ignorato, della Resistenza italiana.
N icola B envenuti
Ho vissuto la vita nei Lager quale internato semplice prima
e quale aderente dopo dal 9-11-1943 al 17-4-1944. Ho cercato fin
dai primi giorni di guardare bene in me e attorno a me, facilitato
in questa mia osservazione dalle discussioni accanite che frequente­
mente più volte al giorno si accendevano fra di noi sulla catastrofe
del 9 (sic) settembre, sulle cause che l’hanno determinata, sul no­
stro futuro. Il disorientamento dei primi giorni è indicibile. Il do­
lore per la catastrofe era vivissimo in tutti. Il trattamento da parte
dei tedeschi fu duro, le umiliazioni subite indicibili. Quando si
seppe della liberazione del Duce molti rimasero increduli, pensando
che la notizia fosse opera di propaganda: gli altri furono tutti con­
tenti. La vicinanza con i campi di prigionieri di ogni razza, facilitò
fin da allora la propalazione delle notizie le più fantastiche cui
molti però prestavano fede. Mi riferisco ai giorni che vanno all’incirca dal 13 al 20 settembre: Roma occupata dagli Anglo-Ameri­
cani; sbarchi a Genova e a Venezia; Odessa occupata dai Rtissi e
altre simili notizie. Intanto in una decina, con a capo il Ten. Col.
Sibona (Squadrista e Marcia su Roma) colle tessere del Partito ci
eravamo presentati all’Ufficio Politico Tedesco del campo. Il 19-9-1943
vennero a parlarci, vestendo la camicia nera, certi Bisotti e Oderighi
che ad Amburgo avevano costituito un Fascio di Combattimento.
Eravamo 260 ufficiali e circa 10.000 uomini di truppa. Ci proposero
di essere dei volontari nelle SS tedesche o di rimanere prigionieri
del tradimento. Aderirono due ufficiali e cinquanta soldati: ripu­
gnava a tutti di vestire una divisa che non fosse quella nazionale,
fjo.sse essa pure quella del valoroso alleato.
Il 24-9-1943 arrivammo al campo di Tschenstokau (1). Appena
giunti, dopo averci letto i nomi dei membri del nuovo governo (sa­
pemmo così essere Ministro per la Difesa Nazionale il Maresciallo
d’Italia Graziani) ci proposero una formula che suonava così : « Desi­
dero essere impiegato in Italia, nel mio grado e nella mia specialità,
agli ordini del nuovo Governo, per la liberazione della P atria».
Già moltissimi degli ufficiali precedentemente presenti nel cam­
po avevano aderito. Alla sera tutti i 1132 ufficiali avevano presentato
la loro adesione; il 40 per cento però parlava di riserve mentali, di
adesione forzata, di rappresaglia sulle famiglie ecc. Ci dissero che
saremmo partiti presto per una località del Wuttemberg (sic) e di
lì per l’Italia. Dopo pochi giorni partirono solo gli ex-appartenenti1
(1) Czestochows.
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alla Milizia (dato questo che era segnato nel retro della domanda).
Arrivò intanto un altro contingente di circa 1000 ufficiali che si ri­
fiutarono in massa di aderire e ci rimproverarono quello che chia­
mavano un tradimento. Intanto i bollettini tedeschi, tradotti con
intenzione, favorivano il diffondersi di voci che prevedevano a gior­
ni la fine della Germania. Da un giorno all’altro i creduli, e non
erano pochi (almeno il 70 per cento), si aspettavano di non vedere
più le sentinelle tedesche sulle torrette intorno al campo. La dichia­
razione di guerra da parte del Governo Badoglio alla Germania, at­
terrì coloro che avevano con poca fede firmato l’adesione, i quali
parlavano di fucilazione quali traditori. Quando verso i primi di no­
vembre ci dissero che si doveva partire, tutti erano convinti di andare
verso Ovest perchè i Russi, « dicevano », erano vicini!
Le cosidette voci di campo riferivano che esisteva una radio clan­
destina, per mezzo della quale veniva ascoltata radio-Londra : tutte
le notizie tendenti ad intimorire e a scoraggiare coloro che pensavano
ancora ad aderire al nuovo Governo venivano propalate citando quale
fonte le trasmissioni di Londra e di Bari.
Arrivammo a Cholm (2) verso i primi di novembre. Il giorno 11
di novembre venne il Generale Coturri a parlarci e a proporci una
adesione che suonava così: «Aderisco all’Idea Repubblicana dell’Ita­
lia Repubblicana Fascista, e mi dichiaro volontariamente pronto a
combattere per le armi nel costituendo nuovo Esercito Italiano del
Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo Tedesco, con­
tro il comune nemico, dell’Italia Repubblicana Fascista del Duce e
d'el Grande Reich Germanico ».
Dopo averci letta una lettera dell’Ambasciatore in Germania, Anfuso, a noi diretta, in cui si parlava della rinascita e della rivendica­
zione dell’onore dell’Italia quali obbiettivi del nostro Governo, il
Generale ci disse alcune parole: aderendo si aveva il trattamento eco­
nomico del soldato e ufficiale tedesco che mangia bene ed è ben pa­
gato. Anche le nostre famiglie sarebbero state trattate meglio. Coloro
che non avessero voluto aderire sarebbero stati oramai abbandonati
al loro destino e avrebbero pensato la fame e l’inverno polacco a
servirli. Questo discorso, fatto a gente che affamata, scarsamente co­
perta, stava da più di un’ora all’aperto a parecchi gradi sotto zero,
ebbe un effetto deleterio. Ci prese una tristezza ed uno scoraggia­
mento infinito; ci si chiedeva di essere dei mercenari, perchè non
della Patria ci si parlava, ma del soldo e del vitto. Non della fratel­
lanza che sola in tanta sciagura avrebbe dovuto risollevare dal fango
l’Italia, ma un Italiano minacciava altri Italiani di essere abbando­
nati al loro destino. La fame e l’inverno polacco avrebbero pensato
ad eliminare dei fratelli.
(2) Chelm.
Gli internati militari in Germania
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Anche chi come il sottoscritto era pronto ad aderire e non desi­
derava altro che ritornare uomo e soldato, sentì un moto di ribel­
lione in se stesso.. Aderirono, su circa 2000 ufficiali 160 circa, di cui
la imaggior parte malati gravi, invalidi e vecchi. I giovani dicevano
apertamente agli amici che aveva vinto la fame.
Eravamo senza notizie da casa tutti da moltissimo tempo; molti
non vedevano l’Italia da più di un anno. La propaganda contraria
fatta specialmente dagli ufficiali effettivi (di ufficiali superiori e di
quelli di Stato Maggiore in particolare, che a Tschenstokau erano i
più accaniti oppositori, non ve n’era nel campo di Cliolm) ebbe buon
gioco, e non stupiva che chi era capace di minacciare dei fratelli così
«crudelmente, permettesse che le nostre famiglie subissero angherie,
violazioni e grassazioni. Il Duce non esisteva : era morto e solo del
nome ci si serviva per arruolare « carne da cannone ». Il trattamento
duro dei Tedeschi che ci disprezzavano e ci umiliavano trattandoci
spessissimo da « maiali » e da traditori, accese in molti animi un ri­
sentimento acre. Verso i primi di dicembre, cominciarono ad arrivare
le prime notizie1dall’Italia : moltissimi dei familiari consigliavano i
congiunti ad aderire al nuovo Governo, comunque tutti tranquillizza­
vano circa la situazione in Italia. Io ebbi personalmente lettere di
mia moglie e di mio babbo che mi aprirono gli occhi a giudicare
come una personale e sbagliata propaganda quella del Generale
Coturri.
Attesi con ansia, e molti altri con me, che ci fosse data nuova­
mente la possibilità di aderire. La propaganda contraria faceva os­
servare che, siccome al campo sarebbero arrivate solo lettere che par­
lassero bene del nuovo Governo e dei Tedeschi, i familiari mentivano
per dare proprie notizie : spiegavano così anche il fatto che in nes­
suno scritto si parlasse di soprusi e violenze.
Il 4 dicembre, organizzato dal Comandante del Campo, Capitano
Zini Lamberti, fu fatto un giuramento al re per gli ufficiali di
nuova nomina che ancora non lo avevano prestato. Alcuni si rifiu­
tarono. Salvo qualcuno che si limitava a svolgere soltanto la sua
alta missione di sacerdote, i Cappellani militari furono tra i più
influenti e caparbi monarchici: nella nostra baracca il giorno 11
novembre il cappellano dopo il Santo Rosario celebrò il genetliaco
del re. Noi che manifestavamo idee contrarie eravamo malvisti e
insultati dai più acerrimi oppositori,mentre la maggioranza rispet­
tava le nostre idee pur conservando le proprie.
Verso Natale si seppe che doveva fra giorni giungere una nuova
commissione. Si accesero
discussioni vivissime. Almeno il 90 per
cento avrebbero aderito se si assicurava che l’impiego sarebbe stato
in Italia: ad altri sarebbe bastato che nella dichiarazione di impe­
gno non fosse fatta menzione del grande Reich Germanico: appog­
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Gli internali militari in Germania
giavano la loro tesi dicendo «io voglio aderire al Governo Fascista
ma non voglio essere personalmente legato a un altro Stato: il
mio governo deve pensare a impegnarsi con esso ». Un’adesione al
Governo, che non impegnasse come volontari, avrebbe trovato solo
pochissimi contrari.
La propaganda monarchica prevedendo forte il numero delle
adesioni, riuscì a far circolare la voce che dopo questo tentativo
di prelevare altra « carne da cannone » tutti coloro che non aves­
sero aderito sarebbero stati rinviati in Italia. Il 31 di dicembre ven­
ne la commissione «V accari» che non parlò a tutti riuniti, ma solo
a gruppetti che andavano a chiedere informazioni.
Parlai personalmente insieme ad altri ufficiali col Maggiore
Vaccari, il quale ci ricordò le ferite dell’Italia, gli sforzi del no­
stro Governo per risollevarla dal fango e dalla miseria, della ne­
cessità che in Italia combattessero anche e sopratutto degli Italia­
ni. Portarono quattro « tre stelle » a testa aderenti o no che furono
bene accolte da tutti, quale primo segno che il nostro Governo
sapeva e pensava a noi. Aderimmo in circa 300. Molti giovani
furono trattenuti da minaccie di ogni genere. Capeggiati dal Te­
nente di Vascello Longhi e dal tenente di Vascello Franchi, i con­
trari ci coprirono di contumelie. Il Tenente di Vascello Longhi rac­
colse segretamente i nomi e gli indirizzi delle famiglie di noi ade­
renti per farci fucilare, « dicevano », al ritorno.
Noi esponemmo sulle porte delle baracche degli elenchi nomi­
nativi completi in modo che chiunque potesse raccogliere i dati
che desiderava! Il Tenente Colonnello dei Carabinieri Faggioni —
che aveva preso il comando di noi aderenti — fu preso a schiaffi
da un Tenente di Vascello di cui non ricordo il nome.
I primi giorni fummo un po’ nervosi, poi ritrovammo intatta e
rafforzata la nostra fede e l’entusiasmo fu magnifico in tutti. L ’at­
tesa si fece penosa. A Deblin dove fummo trasferiti verso il 20 gen­
naio si ebbe la sensazione che fosse giunta l’ora del nostro ritorno
alle armi. Dopo una settimana fummo mandati a Przemysl dove
rimanemmo più di un mese: solo pochissimi fortunati partirono
di qui per i campi d’addestramento. Adesso i miei colleghi at­
tendono ancora in un campo vicino a Norimberga. Vengono guar­
dati con invidia coloro che partono per i campi di addestramento e
l’attesa sopisce molti entusiasmi. Non si è visto, in più di tre mesi
di permanenza nei Lager quali volontari, un ufficiale dell’Esercito
Repubblicano, non una Autorità, che fosse venuta a portarci il sa­
luto dei fratelli già in armi. I campi sono male attrezzati e si fa
sentire la mancanza di cose le più elementari e le più utili: un
po’ di filo, qualche ago, sapone da bucato, lamette per barba. Man­
cano notizie delle cose d’Italia perché non si vedono giornali Ita­
Gli internati militari in Germania
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liani. La « Voce della Patria » è insufficente e spesso puerile essen­
do stampata più per militari di truppa che per ufficiali. La fede
è veramente forte in coloro che hanno aderito in campi in cui le
adesioni sono state in percentuali inferiori al 50 per cento. C’è da
avere dei dubbi abbastanza fondati sulla fede di alcuni di coloro
che hanno aderito in campi in cui l’adesione è stata totalitaria o
quasi. Io personalmente però penso che per la maggior parte anche
coloro che inizialmente hanno aderito per convenienza siano ora
pronti a servire comunque e dovunque la Patria. Questo lo penso
a causa dell’entusiasmo che regnava nell’ultimo campo in cui ho
vissuto.
Per i militari di truppa c’è da dire che pochissimi hanno ade­
rito : le ragioni sono moltissime.
I primi giorni, quando furono separati dai loro ufficiali, questi
ultimi consigliarono a tutti di non aderire mai (quelli stessi magari
che poi coll’evolversi degli eventi hanno cambiato opinione). A pro­
porre l’adesione ai soldati sono andati dei sottufficiali che poco sa­
pevano o niente : il tempo dato loro per riflettere fu brevissimo.
La proposta fu fatta una sola volta e in molti casi non fu mai fatta.
Su di loro poi hanno moltissimo presa le parole dei Russi e dei
Francesi con cui sono continuamente a contatto durante e dopo il
lavoro. Non hanno mai visto un ufficiale o comunque un apparte­
nente alle Forze Armate della Repubblica. Mancano completamen­
te delle notizie più elementari sul governo e sulla vita d’Italia. Le
stesse voci propagandistiche trovano terreno propizio su di loro più
che sugli ufficiali sui quali già l’effetto è veramente notevole.
II trattamento subito ha causato in alcuni di essi un’avversione
per i tedeschi. Molti hanno fratelli nell’Italia Meridionale e temo­
no una guerra fratricida. Ai militari che hanno più di 30 anni non
viene accettata l’adesione e vengono tenuti a lavorare. Il soldato
non vede quale può essere la sua colpa, lui che ha fatto magari
10 anni di servizio militare perchè debba subire il peso di un tra­
dimento che lui non ha commesso. Molti si chiedono poi perchè
quelli che erano in Italia e sono scappati sono adesso presso le loro
famiglie, mentre coloro che per la maggior parte erano nelle zone
di guerra e sono rimasti al loro posto sono internati.
La parola internati poi li fa sorridere perchè fanno osservare
che il loro trattamento è tale e quale se non peggiore a quello dei
prigionieri di guerra.
Queste cose le ho apprese perchè ogni qualvolta ho visto dei
nostri soldati, ho cercato sempre di avvicinarli malgrado il divieto
delle sentinelle tedesche, di parlare con loro, di aprire i loro occhi,
di rincuorarli comunque.
Concludendo penso che sia necessario che gli internati aderenti
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Gli internati militari in Germania
siano nel più breve tempo possibile destinati e che abbiano un’assi­
stenza materiale e specialmente morale più attiva e fattiva.
Per gli ufficiali internati è necessario provvedere ad eliminare
gli elementi contrari che svolgono propaganda; a far conoscere
meglio le cose d’Italia, a separare i giovani che sono quelli che
più subiscono l’influenza delle minacce e dei falsi buoni consigli,
loro che ancora conservano l’entusiasmo della loro giovane età.
E ’ necessario dare a questi fratelli che ancora non sono con­
vinti della nostra causa la sensazione dell’interessamento attivo da
parte del Governo, per mezzo di visite e magari con l’invio di qual­
cosa (nei lager tutto è utile).
Per i militari di truppa è necessario sopratutto separarli dai
Russi e dai Francesi: corriamo il pericolo di avere uno stuolo di
comunisti che ci verranno in Patria proprio quando, a vittoria con­
seguita, dovremo darci all’opera fattiva della nostra ricostruzione.
E ’ necessario illuminarli circa le cose d’Italia : farli visitare da
nostri ufficiali (mi è stato detto che in un campo in cui erano solo
130 comuni di marina una visita del Comandante Grossi ha ottenuto
126 adesioni).
E ’ necessario infine che non vi siano limiti d’età anche per
«ssi perchè vecchi fascisti e vecchi squadristi possono riprendere 'a
servire la Patria non meno bene dei giovani (credo che la limita­
zione dell’età sia stata imposta arbitrariamente da qualche comando
di campo tedesco).
Io che ho avuto la fortuna di tornare, e che mi accingo ad im­
pugnare nuovamente le armi per l’onore d’Italia, mi auguro che
queste mie note possano giovare alla causa comune e a quei colle­
glli di cui per tanto tempo ho vissuto le ansie e le speranze.
Tenente Armi Navali
P. V.