TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA”

STAGE DI FISICA - 19-24 Marzo 2012
TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA”
Roberta Balestrino(1), Giorgetta Comino(2), Gianna Rovero(3), Caterina Torazza(2)
(1)
Liceo Scientifico Cattaneo di Torino; (2)Liceo Scientifico Monti di Chieri;
(3)
AIF, Sezione di Settimo Torinese
1. Luce, colore, energia: che cosa, perché e come
2. Il colore: come separare i colori della luce con un prisma
3. Luce e colore: le onde luminose
• Diffrazione della luce da un ostacolo o da una fenditura
• Reticolo di diffrazione e laser
• Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione
4. Luce ed energia: lo spettro luminoso
• Lo spettro della luce emessa da una lampadina con filamento a incandescenza
• La temperatura del filamento e la legge di Wien
• Osservazione di spettri con uno spettrofotometro
Richiami e approfondimenti
A. Le onde e le caratteristiche dei fenomeni ondulatori
- Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio
- Il “principio di Huygens” e la diffrazione da parte di una fenditura sottile
- La diffrazione da reticolo
B. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck
C. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle
1
1. Luce, colore ed energia: che cosa, perché e come
Che cos’è la luce ? Nella nostra esistenza la luce ha un ruolo fondamentale: noi vediamo e
soprattutto viviamo grazie ad essa; può essere descritta per mezzo di grandezze misurabili, oppure
considerando gli aspetti estetici o ancora dal punto di vista fisiologico.
Nei primi studi sulla luce non si era in grado di distinguere tra luce e visione, i Pitagorici ad
esempio pensavano che la luce non potesse esistere indipendentemente dal soggetto che vede grazie
a un “fuoco” presente in esso, il quale, uscendo dall’occhio, cade sugli oggetti rendendoli visibili.
Questa confusione la ritroviamo nei bambini: quando giocano a “nascondino” a volte si
“nascondono” coprendosi gli occhi con le mani, pensando di non essere visti se essi stessi non
vedono. Nel corso dei secoli successivi vennero formulate diverse ipotesi sulla natura della luce:
- intorno al 1500 Leonardo, osservando analogie tra fenomeni ondulatori e fenomeni
luminosi, formulò per primo l’ipotesi che la luce avesse aspetti ondulatori;
- nel 1600 Keplero pose fine alla “confusione“ tra luce e visione riuscendo a comprendere
che le immagini si formano all’interno dell’occhio;
- si giunge quindi a Newton e Huygens, contemporanei fra loro, che avevano posizioni
opposte sulla natura della luce. Come emerge dai dialoghi tra Newton e Huygens, il primo
pensava alla luce in termini di “particelle”, il secondo in termini di “onde”.
Particella e onda sono due grandi concetti della fisica classica nel senso che possiamo associare
quasi ogni branca della fisica con una o con l’altra. I due concetti sono diversi, soprattutto per quel
che riguarda il trasporto di energia: la parola particella sottintende una piccolissima concentrazione
di materia che trasporta energia, la parola onda sottintende una grande distribuzione di energia che
riempie lo spazio in cui l’onda si muove.
Oggi sappiamo che la luce è allo stesso tempo “particella” e “onda”: la chiave per arrivare a
capire questo comportamento duale sta nell’associazione fra il “colore” della luce e “l’energia”
trasportata dalla luce. Newton fu il primo a indicare il modo per separare la luce bianca nei suoi
colori, ma bisogna ricorrere al modello ondulatorio di Huygens per avere il modo di associare al
colore una grandezza fisica, la “lunghezza d’onda”, e infine occorre arrivare a Herschel, all’inizio
dell’Ottocento, per capire, attraverso la scoperta della “radiazione invisibile infrarossa”, come
associare colore ed energia. Ripercorriamo in tre tappe questo cammino affascinante che ci porterà
a rispondere alla nostra domanda iniziale su che cos’è la luce:
- ripercorriamo con Newton il percorso per separare la luce nei suoi colori,
- impariamo a riconoscere e misurare il “colore” estendendo alla luce i metodi di indagine e i
modelli utilizzati per caratterizzare le onde meccaniche,
- misuriamo infine lo “spettro” della luce per indagare il legame fra energia e colore.
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2. Separare i “colori” con il prisma
Un prisma trasparente, messo sul cammino di un fascio di luce, lo fa deviare dalla direzione iniziale
a causa dell’interazione fra la luce e il materiale trasparente di cui è formato il prisma. L’angolo di
deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente dipende da un numero caratteristico del
materiale detto indice di rifrazione n. A sua volta n dipende dal “colore”, con variazioni che sono
piccolissime: ad esempio, fra il verde-giallo e il rosso scuro n diminuisce di circa lo 0,3%.
Poiché l’angolo di deviazione cresce al crescere di n, il violetto è più deviato del blu, e questo è
deviato più del verde, ecc., per cui i diversi colori si separano.
y
c
angolo di deviazione
direzione del
raggio incidente
infrarosso
rosso
prisma
violetto
ultravioletto
Esistono dei “colori” che il prisma è in grado di separare ma che non sono visibili per il nostro
occhio: l’infrarosso, che è meno deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di sotto del
rosso (di qui il suo nome “infra-rosso”) e l’ultravioletto, che è più deviato della radiazione visibile e
quindi si estende al di là del violetto (di qui il suo nome “ultra-violetto”). Essi sono rivelabili da
strumenti opportuni, come vedremo più avanti.
L’importanza del fenomeno della dispersione, già noto ai tempi di Newton come ricordato
nell’introduzione, è che dimostra che il colore è una proprietà della luce e non della materia, come
l’esperienza quotidiana tenderebbe a suggerire: il prisma infatti è del tutto incolore, mentre il fascio
di luce, all’uscita dal prisma, mostra di possedere tutta una successione di colori che prima non
apparivano e che non possono essere stati “aggiunti” dal prisma.
Attraverso la dispersione da prisma, tuttavia, non è possibile risalire direttamente e in modo
universale alla grandezza fisica associata a un determinato colore, che, come vedremo, è la
“lunghezza d’onda” λ caratteristica di quel colore, perché l’angolo di deviazione di un certo colore
dipende dall’indice di rifrazione n del tipo di vetro di cui è fatto il prisma e occorre risalire a λ
attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione n del tipo di vetro.
Nella misura che segue ci limiteremo perciò ad associare qualitativamente il colore all’angolo di
deviazione, o meglio alla posizione y del colore sullo schermo.
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Materiale
- lampada per proiezioni
- prisma su piattaforma girevole
- schermo con righello
Misure
Posizionare il prisma sulla piattaforma girevole e aggiustare l’orientazione fino a quando si osserva
chiaramente sullo schermo lo spettro dei colori.
Il righello predisposto sullo schermo, che parte dal viola e va verso il rosso (asse y), serve per
valutare la separazione e aiutare l’identificazione del colore, ma la posizione y di un certo colore
non è legata in modo semplice alla lunghezza d’onda, come spiegato sopra.
Misurare la posizione y corrispondente a un certo colore, registrare in particolare la posizione di
colori ben identificati, come l’inizio della banda del colore blu, del verde, del rosso e
dell’infrarosso.
4
3. Luce e colore: le onde luminose
Eseguiamo alcune esperienze per convincerci che la luce presenta comportamenti ondulatori del
tutto simili a quelli delle onde meccaniche e che è possibile associare al colore una precisa
grandezza fisica, non dipendente dalla percezione visiva soggettiva.
Utilizzeremo il fenomeno della diffrazione. Come noto per le onde meccaniche (vedi la scheda di
approfondimento), la diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si
manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di
luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente.
Il fenomeno diventa cospicuo e dà effetti osservabili se le dimensioni dell’ostacolo sono
confrontabili con la lunghezza d’onda: di qui nasce la difficoltà di osservare il fenomeno per le onde
luminose che hanno lunghezze d’onda molto piccole, inferiori al micrometro. Per vedere gli effetti
diffrattivi con la luce occorre quindi illuminare “ostacoli” micrometrici, come un piccolo foro
oppure più fenditure micrometriche, oppure un piccolo oggetto come un capello, usando un fascio
ben collimato in avanti: l’immagine luminosa generata dall’ostacolo (oppure l’ombra se si tratta di
un oggetto opaco) non è più quella “geometrica”, che ci si aspetterebbe se il fascio si propagasse
rettilineamente in avanti, ma è una figura caratteristica, in cui la luce (o l’ombra) arriva anche ad θ
molto maggiori dei valori attesi in base alla larghezza angolare del fascio incidente.
L’aspetto interessante è che questo angolo θ dipende dalla lunghezza d’onda λ, oltre che dalle
dimensioni dell’ostacolo, come descritto nell’approfondimento: ciò permette, se sono note le
dimensioni dell’ostacolo, di ricavare il valore della lunghezza d’onda λ associata a un certo colore.
Nelle attività che seguono faremo questa misura usando due tipi di ostacoli.
La misura della lunghezza d’onda con la diffrazione da un ostacolo singolo
Utilizzeremo come “ostacolo” un capello, perché le tipiche dimensioni di un capello sono
confrontabili con quelle della lunghezza d’onda della luce visibile e quindi il fenomeno della
diffrazione è osservabile abbastanza facilmente, soprattutto se si usa un fascio di luce molto
collimato e “monocromatico” (che ha cioè un colore molto ben definito e quindi un valore molto
preciso della lunghezza d’onda λ), come è quello di un LASER.
Come descritto nell’approfondimento, quando sul cammino di un fascio monocromatico molto
collimato si mette un ostacolo di larghezza a, osservando la luce che arriva su uno schermo distante,
si vedono chiaramente dei picchi illuminati ai due lati del picco di luce centrale separati da zone di
“buio”, molto meno luminose: l’angolo θ a cui si osserva il primo “minimo di diffrazione” dipende
dalla lunghezza d’onda λ e dalla larghezza a dell’ostacolo secondo la relazione derivata
nell’approfondimento:
a senθ = λ
(A1)
Se è nota la larghezza a dell’ostacolo, misurando l’angolo θ si può così ricavare il valore della
lunghezza d’onda λ; viceversa, se è nota la lunghezza d’onda λ si può ricavare la larghezza a
dell’ostacolo. Nell’attività che segue faremo entrambi i tipi di misura.
Materiale
- LASER rosso e LASER verde
- finestra di uscita mobile
- schermo
Misure
Utilizzare prima il LASER rosso (λ=630 nm).
- Fissare un capello trasversalmente alla finestra di uscita e spostare lentamente l’allineamento fra
la finestra e la direzione del fascio fino a quando sullo schermo compare la figura di diffrazione;
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- misurare l’angolo θ a cui compare il minimo della figura di diffrazione;
- determinare il diametro del capello utilizzando la relazione (A1) derivata negli approfondimenti
Determinato il valore di a, ripetere la misura con il LASER verde e determinare la lunghezza
d’onda della luce verde. Confrontare questo valore con il valore nominale che trovate scritto sul
LASER stesso.
Ripetere entrambe le misure con un capello diverso: il diametro dipende dal colore del capello?
Attenzione a chi si tinge…
La misura della lunghezza d’onda con il reticolo di diffrazione
Un “reticolo di diffrazione” è una lastrina di vetro o di altro materiale trasparente sulla cui
superficie sono state incise delle fenditure a una distanza regolare d molto piccola, confrontabile
con la lunghezza d’onda λ della luce che si vuole studiare. Come spiegato nell’approfondimento,
se si fa incidere un fascio di luce, dal reticolo escono, oltre al fascio trasmesso che viaggia ancora
nella stessa direzione del fascio incidente, come avviene per qualunque lastrina a facce piane,
anche più fasci diffratti che viaggiano ad angoli θ rispetto alla direzione incidente che dipendono
dal “colore” della luce, cioè dalla lunghezza d’onda.
fascio diffratto
fascio incidente
d
θ
θ
θ
θ
fascio trasmesso in avanti
Usando luce monocromatica, caratterizzata da una lunghezza d’onda λ ben definita come è quella di
un LASER, e raccogliendo l’immagine su uno schermo distante, si osservano dei “massimi di
diffrazione” legati alla lunghezza d’onda dalla relazione di Bragg (equazione A2
dell’approfondimento):
sin θ = λ / d
(A2)
Anche per il reticolo, quindi, noto il passo d, si può ricavare il valore della lunghezza d’onda λ
misurando l’angolo θ; viceversa, se è nota la lunghezza d’onda λ si può ricavare il passo d del
reticolo
Materiale
- LASER rosso e LASER verde
- finestra di uscita
- reticolo da 600 linee al mm
- schermo
Misure
Utilizzare prima il LASER rosso
- Fissare il reticolo alla finestra di uscita;
- osservare la figura di diffrazione che si forma sullo schermo;
- individuare i due primi massimi di diffrazione e controllare che siano disposti simmetricamente
rispetto allo spot di luce centrale;
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- se non lo sono, ottimizzare la simmetria aggiustando l’ortogonalità fra la direzione del fascio e lo
schermo;
- misurare le distanze dei primi massimi dallo spot luminoso centrale, calcolare gli angoli θ e la
loro media;
- determinare la lunghezza d’onda della luce LASER dalla relazione (A2) e confrontarla con il
valore nominale (630 nm)
Ripetere la misura con il LASER verde
Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione
Se il fascio non è monocromatico, come avviene nella luce bianca emessa da una lampada a
incandescenza, il reticolo permette di separare i vari colori presenti nella luce bianca perché li
diffrange ad angoli diversi, crescenti con il valore della lunghezza d’onda, come atteso in base alla
relazione (A2): il rosso è quindi più deviato del blu, contrariamente a quanto avviene nella
dispersione da prisma.
Un’altra grossa differenza fra dispersione da prisma e quella da reticolo è che il reticolo disperde
solo una piccola frazione della luce incidente, perché la maggior parte dell’intensità luminosa
rimane comunque nello spot luminoso centrale che non subisce deviazioni rispetto alla direzione
incidente, il che rappresenta ovviamente uno svantaggio rispetto alla dispersione da prisma.
Il reticolo ha invece un grosso vantaggio rispetto al prisma, perché con il reticolo l’angolo di
deviazione è legato direttamente alla lunghezza d’onda attraverso la relazione (A2) che è universale,
dato che dipende solo dal passo del reticolo, mentre la relazione che fornisce la dispersione per il
prisma è indiretta e particolare, dato che passa attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione
che è legata al tipo di vetro.
Useremo pertanto il reticolo per associare la lunghezza d’onda al “colore” determinato sulla base
dell’impressione visiva nell’attività con il prisma.
rosso
blu
primo ordine
diffrattivo
θ
blu
rosso
primo ordine
diffrattivo
θ
reticolo
fenditura
lente
lampada
Materiale
- lampada per proiezioni, fenditura e schermo
- lente convergente di distanza focale 15 (o 7,5) cm
- reticolo da 600 linee al mm
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Misure
Nell’apparato mostrato nella figura la fenditura e la lente convergente sono necessarie per collimare
il fascio e definire con precisione la direzione del fascio che incide sul reticolo. Si formano due
figure di diffrazione, una a destra e l’altra a sinistra della direzione del fascio incidente.
Dopo aver ottimizzato la simmetria fra le due figure come fatto per la misura precedente con il
LASER, misurare l’angolo θ a cui si forma un determinato colore, cercando di utilizzare per
identificare il “colore” lo stesso criterio qualitativo usato nell’attività con il prisma, e calcolare la
lunghezza d’onda corrispondente attraverso la relazione di Bragg (A2), λ = d sin θ.
Eseguire la misura per almeno quattro colori ben identificabili dello spettro, in particolare per blu,
verde, giallo e rosso, cercando di identificare il centro della banda corrispondente.
Riportare in una tabella i valori della lunghezza d’onda ottenuti accanto al “colore” relativo.
La luce visibile ha lunghezze d’onda che vanno da circa 380 nm (1 nm=10-9m) per il violetto a circa
780 nm per il rosso scuro; il verde che sfuma verso il giallo (è il colore al quale si ha il massimo
dell’intensità della radiazione solare) ha lunghezza d’onda di circa 550 nm:
violetto
λ (nm) →
blu
verde
giallo
arancio
rosso
↓
↓
↓
380
550
780
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4. Luce ed energia: lo spettro luminoso
Lo spettro della luce emessa da una lampadina
Materiale a disposizione:
2 alimentatori
4 tester
1 lampada (tensione massima 13V)
Cavi elettrici
1 prisma
1 schermo graduato con fotodiodo1
Che cosa fare
ƒ Con il prisma disposto davanti alla lampadina nella stessa posizione dell’esperimento
precedente, osservare lo spettro e formulare delle congetture sull’intensità dei vari colori.
ƒ Organizzare un esperimento che consenta di verificare la validità delle proprie congetture
facendo scorrere il fotodiodo lungo la scala graduata. Il gruppo di lavoro si organizzi,
discuta le modalità di esecuzione dell’esperimento valutando accuratamente le possibili
cause di errore e dividendosi i compiti.
ƒ Misurare anche il “fondo”, cioè il segnale dovuto alla radiazione presente nella stanza che
arriva sullo schermo in assenza della radiazione della lampada dispersa dal prisma (lo si
ottiene mascherando la faccia del prisma da cui escono i raggi dispersi); è importante
conoscere il “fondo”, perché, quando si accende la lampada, questa energia va a sommarsi a
quella della radiazione che giunge dalla lampada alterando la misura, dato che le due
radiazioni non hanno la stessa distribuzione in funzione della posizione sullo schermo.
ƒ Registrare il valore dell’intensità relativa della radiazione luminosa (monocromatica) in
funzione della sua posizione “y” sulla scala graduata, e alla lunghezza d’onda in base alla
corrispondenza tra posizione sullo schermo e lunghezza d’onda fatta in precedenza, anche
aiutandosi con la tabella seguente;
violetto
ƒ
blu
verde
giallo
arancio
rosso
infrarosso
↓
↓
↓
380
550
780
→ λ (nm)
Riportare i dati su un grafico; discutere i risultati ottenuti confrontandoli con le proprie
congetture e commentandoli con l’insegnante
.
1
Il fotodiodo è un dispositivo che, colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una differenza di potenziale
proporzionale all’intensità della radiazione incidente. Poiché la differenza di potenziale è molto piccola, il fotodiodo è
accoppiato a un amplificatore che ne amplifica linearmente il segnale che viene letto mediante un multimetro. Il
fotodiodo è montato su di uno schermo con una scala graduata lungo la quale può scorrere mediante la rotazione di una
manovella.
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Temperatura del filamento della lampadina e legge di Wien
Partendo dallo spettro ottenuto nell’esperimento precedente e utilizzando la correlazione qualitativa
fra colore, posizione “y” sullo schermo e lunghezza d’onda, aiutandosi con lo schema che segue,
individuare la lunghezza d’onda λmax a cui si verifica il massimo dell’intensità della radiazione
violetto
blu
verde
giallo
arancio
rosso
infrarosso
↓
↓
↓
380
550
780
→ λ (nm)
Calcolare il valore approssimato della temperatura del filamento della lampadina secondo la legge
di Wien (vedere gli “approfondimenti”).
λmaxT = A
(A ≈ 0,003 m⋅K)
Osservazioni con lo spettrofotometro
Lo spettrofotometro è uno strumento che viene usato per numerosissime applicazioni industriali,
commerciali o di ricerca fondamentale, come, ad esempio, la misura degli spettri delle stelle o la
composizione in colore di una vernice o l’assorbimento dei diversi colori da parte di un vetro
colorato, cioè in tutte quelle misure in cui è necessario conoscere l’intensità della radiazione in
funzione della lunghezza d’onda.
Lo spettrofotometro che abbiamo a disposizione è un “AvaSpec-2048 Fiber Optic Spectrometer”.
Consiste in una sonda che raccoglie la luce proveniente dalla sorgente, la focalizza e la convoglia in
una fibra ottica che la trasporta fino a una “scatola” sigillata in cui lo spettro viene esaminato.
cavo contenente
la fibra ottica
sonda
apertura
di ingresso
ingresso
fibra ottica
Nella “scatola” il fascio viene prima disperso con un reticolo di diffrazione, simile a quello che è
stato usato nella seconda attività per misurare la lunghezza d’onda; i diversi “colori” che escono ai
diversi angoli vanno a colpire una “fotocamera a CCD” con 2048 “pixels”. Ogni pixel funziona
come il fotodiodo usato nell’esperimento precedente, cioè produce un segnale in tensione elettrica
che è circa proporzionale all’intensità della luce incidente.
Poiché ogni pixel è posizionato per raccogliere una ben determinata lunghezza d’onda, si può così
ottenere, in principio, l’intensità luminosa in corrispondenza di 2048 valori di lunghezza d’onda (in
realtà i valori utili che si ottengono sono circa 1300).
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I valori delle lunghezze d’onda e delle relative intensità luminose sono poi immagazzinati in una
memoria interna che è leggibile da un personal computer collegabile attraverso una “porta USB”. I
dati possono anche essere copiati su un foglio EXCEL per ulteriori analisi.
Rispetto al semplice fotodiodo utilizzato nell’esperimento precedente, il rivelatore ha ovviamente il
vantaggio di fornire subito e contemporaneamente l’intensità per tutte le lunghezze d’onda, però ha
lo svantaggio di non avere una risposta uniforme in funzione della lunghezza d’onda: è quindi
necessario correggere i dati con una “curva di calibrazione” per avere la risposta corretta.
La curva di calibrazione, determinata con una lampada a incandescenza, è riportata in figura. La
costante di calibrazione è stata posta arbitrariamente uguale a 1 in corrispondenza di 700 nm. Come
si vede, la CCD ha un’efficienza di rivelazione maggiore di uno fra 450 nm e 700 nm, mentre è
meno efficiente alle lunghezze d’onda inferiori (blu e violetto) e superiori (infrarosso).
calibrazione con dati lampada a 220 V
2
1,8
1,6
costante di calibrazione
1,4
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
300
400
500
600
700
800
900
1000
1100
lunghezza d'onda (nm)
Materiali
Spettrofotometro: sonda, cavo con fibra ottica, “scatola” di analisi dello spettro
Personal computer e cavo con connettore USB per collegamento allo spettrofotometro
Reticolo di diffrazione e prisma per disperdere lo spettro
LED di diverso colore, lampada a incandescenza, luce solare
Che cosa fare
Con lo spettrofotometro collegato al PC, puntare la sonda a diverse sorgenti; osservare e
interpretare lo spettro. Osservazioni suggerite:
- spettro di un LED: osservare la lunghezza d’onda a cui si verifica il picco e la sua larghezza;
- spettro della lampada a incandescenza disperso con il reticolo di diffrazione: posizionare la sonda
in corrispondenza di diversi colori e verificare la corrispondenza fra il valore della lunghezza
d’onda registrato dalla sonda e quello calcolato in base alle misure dirette e alla legge del reticolo;
- spettro della lampada a incandescenza senza dispersione: confrontare lo spettro ottenuto con lo
spettrofotometro con quello misurato nell’esperimento precedente;
- spettro della luce solare possibilmente in diverse ore della giornata e/o diverse condizioni di
copertura del cielo, per stimare la temperatura della superficie del Sole e valutare l’effetto
dell’assorbimento nell’aria (vedi scheda di approfondimento sullo spettro solare).
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Richiami e approfondimenti
A. Le onde
“Accade sovente che l’onda si allontani dal suo punto di creazione, mentre l’acqua non si
muove, come le onde create dal vento in un campo di grano, dove vediamo le onde correre
attraverso il campo mentre il grano rimane al suo posto”
Leonardo da Vinci
Come si rileva dalla frase di Leonardo, nella nostra vita incontriamo onde di ogni tipo: onde
nell’acqua, “onde” nel campo di grano, onde sismiche che si propagano nella terra….. Nel
linguaggio quotidiano chiamiamo “onda” una perturbazione che si ripete a distanza regolare e che
sembra “viaggiare” con una velocità costante. In fisica invece, oltre a queste due caratteristiche, si
richiede che la perturbazione sia propagata dagli stessi elementi che formano, grazie alla loro
interazione reciproca, come avviene ad esempio per le onde sulla superficie dell’acqua: quando un
sasso cade, il volumetto di acqua sottostante viene spostato verso il basso, e ciò fa sì che i volumetti
di acqua vicini si spostino verso l’alto, il che produce, a sua volta, una oscillazione che si propaga a
quelli vicini ancora. Il tutto poi si ripete periodicamente anche nel tempo. In fisica quindi l’onda nel
campo di grano è una bella metafora, ma non rientra in questa categoria, perché la perturbazione
viene propagata dal vento e non dall’interazione fra spighe di grano vicine!
Per descrivere il comportamento di un’onda non ha interesse, in generale, descrivere il
comportamento delle singole “particelle” o dei singoli volumetti che la formano, ma interessa
descrivere il comportamento collettivo: facendo un’analogia, potremmo dire che vogliamo studiare
la foresta e non gli alberi che la costituiscono. Infatti, mentre per le onde che si propagano sulla
superficie dell’acqua questa descrizione sarebbe ancora fattibile, essa diventerebbe molto difficile
per altri tipi di onde, come le onde sonore o quelle luminose.
Le grandezze principali che descrivono l’onda e che utilizzeremo nelle attività che seguono sono:
- la lunghezza d’onda λ, che descrive la periodicità con cui la perturbazione si propaga nello
spazio: se in un punto si verifica, a un certo istante, un massimo dell’oscillazione, spostandosi
nella direzione a cui l’onda si propaga, l’oscillazione è minore fino a un valore minimo e poi
risale fino a raggiungere nuovamente il massimo a una distanza pari a λ,
- il periodo T, che descrive la periodicità con cui la perturbazione si ripete nel tempo e che è pari
all’inverso della frequenza f (T = 1/f),
- la velocità v con cui l’onda si propaga, v = λ/T = λ f; per la luce la velocità di propagazione nel
vuoto è una “costante naturale”, c=300000 km/s, che non dipende dalla lunghezza d’onda;
- l’ampiezza, che è l’ampiezza dell’oscillazione intorno alla posizione di equilibrio; essa è una
grandezza importante perché l’energia trasportata dall’onda è proporzionale al quadrato
dell’ampiezza di oscillazione. Una delle caratteristiche importanti dell’onda è infatti che essa,
pur non trasportando materia, trasporta energia attraverso la perturbazione che viene propagata
da un punto all’altro dello spazio.
Per le onde meccaniche, come quelle che si propagano sulla superficie dell’acqua, le grandezze
sopra descritte, in particolare λ e T, si possono misurare, o anche solo valutare, semplicemente
osservandole, perché le dimensioni spaziali e temporali sono macroscopiche: nel caso della luce,
invece, queste dimensioni sono microscopiche per cui vengono misurate ricorrendo a fenomeni
caratteristici dei fenomeni ondulatori come la “diffrazione”.
Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio
Studieremo perciò le caratteristiche della diffrazione utilizzando alcune esperienze condotte sulle
onde sulla superficie dell’acqua con un “ondoscopio”: le onde in due dimensioni sono infatti le più
facili da indagare perché, essendo superficiali, sono direttamente visualizzabili.
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L’ondoscopio è una vasca in cui si possono generare delle onde superficiali e osservarle con un
sistema stroboscopio come quello mostrato in figura.
membrana
oscillante
fig. A1
vasca con acqua
Le onde vengono generate trasmettendo alla superficie dell’acqua le variazioni di pressione dell’aria
ottenute tramite le vibrazioni di una membrana eccitata da un’apposita unità di alimentazione: si
ottengono così onde trasversali sulla superficie dell’acqua, che hanno un fronte d’onda piano, una
ben determinata lunghezza d’onda λ e un determinato periodo T che è l’inverso della frequenza f a
cui la membrana viene fatta oscillare.
Per ottenere un’immagine stazionaria delle onde si utilizza una lampada stroboscopica sincronizzata
con la frequenza del generatore che eccita la membrana: la vasca viene illuminata dalla lampada e
con un proiettore l’immagine delle onde viene proiettata su uno schermo. In tal modo le creste delle
onde si comportano come lenti convergenti in grado di creare delle linee luminose che si possono
osservare sullo schermo, mentre i ventri si comportano come lenti divergenti dando luogo alla
formazione di linee più scure. Dove non c’è oscillazione si ha una luminosità intermedia.
Con l’ondoscopio è facile produrre e osservare il fenomeno della diffrazione che si verifica quando
l’onda incontra un ostacolo e che è un tipico fenomeno ondulatorio osservabile anche con onde
luminose, come abbiamo visto nella seconda attività.
Nella figura A2, ottenuta con l’ondoscopio, l’ostacolo è
rappresentato da una piccola barriera appoggiata sulla
λ
superficie che dovrebbe bloccare il passaggio di quella
2
parte dell’onda che le arriva dietro . Ci attenderemmo
quindi che dietro l’ostacolo ci fosse una netta “zona
λ
d’ombra”, si osserva invece la presenza di onde anche
λ
nelle zone d’ombra, il che mostra che il fronte d’onda
piano, incontrando l’ostacolo, si incurva al bordo. Ne
concludiamo che la barriera non blocca interamente la
fig. A2
parte dell’onda che incide su di essa, ma la lascia
passare attenuandola e cambiandone la direzione.
Invece, nella parte centrale, lontano dalla barriera,
l’onda si propaga ancora con un fronte d’onda circa
piano, con la stessa lunghezza d’onda λ dell’onda
incidente.
Se dalla parte opposta della barriera si mette un altro ostacolo creando una fenditura di larghezza a,
le modifiche dell’onda che si propaga al di là della fenditura sono ancora più visibili e chiaramente
correlate alla larghezza della fenditura, come illustrato nelle figure che seguono. Anche in questo
caso, dato che il fronte dell’onda incidente è piano, ci attenderemmo che dietro l’ostacolo/fenditura
ci fosse una zona d’ombra netta, si osserva invece la presenza di onde anche nelle zone d’ombra con
da notare come sia chiaramente osservabile la distanza regolare λ fra i massimi oppure fra i minimi di luminosità,
cioè appunto la lunghezza d’onda
13
2
delle configurazioni che si discostano da quelle attese in modo tanto più evidente quanto più piccola
è la larghezza della fenditura.
a
a
a
θ
λ
fig. A3
fig. A4
fig. A5
In particolare per una fenditura come quella di figura A5 che ha una larghezza dell’ordine della
lunghezza d’onda λ, si vede chiaramente che l’onda si propaga non solo in avanti, ma anche ad
angoli diversi da zero rispetto alla direzione in avanti. Non si tratta però di un’onda “circolare”,
perché un’onda circolare ha la stessa intensità in tutte le direzioni, mentre in questo caso l’onda ha
un massimo in avanti, che si attenua fino ad avere un minimo a un angolo θ indicato in figura, per
poi aumentare nuovamente in intensità, fino a un massimo, seguito da un nuovo minimo, e così
via.L’angolo θ a cui si verifica il primo “minimo di diffrazione” è tale che senθ ≈ λ/a. Ciò spiega
perché l’effetto si vede bene se la larghezza della fenditura è dell’ordine di grandezza della
lunghezza d’onda λ: se infatti fosse molto maggiore, l’angolo θ sarebbe piccolissimo, come
appunto avviene nell’ombra “geometrica”.
Il principio di Huygens
La figura di diffrazione può essere spiegata in modo intuitivo ricorrendo al principio di Huygens,
chiamato così perché fu ipotizzato per la prima volta da Huygens, contemporaneo di Newton e
fermo sostenitore della natura ondulatoria della luce.
Secondo Huygens, tutti i punti che stanno su un fronte d’onda fungono da sorgenti puntiformi di
un’onda circolare che ha la stessa lunghezza d’onda dell’onda incidente e si propaga in tutto lo
spazio. Tutte queste onde sono emesse in fase3 dai diversi punti sulla fenditura e, negli istanti
successivi, arrivano ancora con la stessa fase dell’oscillazione (avranno, ad esempio, tutte il
massimo dell’oscillazione, oppure tutte il minimo) in punti che si trovano alla stessa distanza dai
punti di partenza.
Il fatto di avere più onde, anziché una sola, che si propagano “in fase” al di là della fenditura dà
luogo a comportamenti particolari propri dei fenomeni ondulatori. Le onde godono infatti di una
proprietà molto intuitiva4: quando due onde arrivano nello stesso punto allo stesso istante le loro
3
In un’onda l’ampiezza dell’oscillazione passa attraverso “fasi” diverse con l’evolvere del tempo. Ad esempio se, a un
certo istante, la sua ampiezza è massima, dopo un tempo pari a ¼ del periodo T l’ampiezza è nulla, dopo T/2 è minima,
cioè arriva al punto più basso, dopo tre quarti di periodo è nuovamente nulla per poi tornare al valore massimo dopo un
periodo. La “fase” è appunto un modo di indicare brevemente il valore dell’ampiezza dell’oscillazione a un certo
istante: c’è la fase di ampiezza massima, quella di ampiezza nulla o minima e di tutti i valori intermedi. Onde “in fase”
fra di loro sono onde le cui ampiezze di oscillazione, a un certo istante, hanno la stessa fase, ad esempio sono entrambe
massime, come appunto avviene per le onde che partono dai diversi punti sulla fenditura.
4
. È una proprietà che fa parte di un principio generale che regola i fenomeni ondulatori, chiamato principio di
sovrapposizione lineare. Questo principio non vale per oggetti materiali, come due palline, che, lanciate da punti
diversi, si trovano a dover passare per lo stesso punto allo stesso istante: le due palline, infatti, si scontrano e cambiano
direzione, ma non si “sovrappongono”! Due onde invece possono benissimo trovarsi a “passare” nella stessa zona allo
stesso tempo perché l’onda è estesa spazialmente e ciò che “viaggia” non è qualcosa di materiale ma è solo una
“perturbazione” che può pertanto sovrapporsi ad altre perturbazioni che giungono nello stesso punto.
14
ampiezze si sommano. Nelle zone che si trovano alla stessa distanza dalla fenditura, le onde che
provengono dai diversi punti della fenditura si sommano “costruttivamente”, perché nell’istante in
cui la fase di un’onda corrisponde al massimo, anche la fase dell’altra onda corrisponde al massimo
per cui l’ampiezza complessiva in quel punto è il doppio dell’ampiezza di ciascuna onda.
Negli altri punti, in generale, la somma non è invece così “costruttiva”, perché le due onde, avendo
percorso distanze diverse hanno impiegato tempi diversi e quindi si sono “sfasate” fra di loro: ad
esempio, quando la prima onda raggiunge la fase di massimo in quel punto, la seconda non l’ha
ancora raggiunta oppure l’ha già superata per cui la sua ampiezza non ha il valore massimo, ma ha
un valore minore e, di conseguenza, la somma delle due ampiezze non è più pari al doppio della
singola ampiezza come nel caso di distanze uguali. Nei punti in cui le due onde arrivano con fasi
opposte, esse si cancellano a vicenda, dando luogo sempre a una oscillazione nulla: si dice che
l’interferenza è distruttiva.
Per capire meglio come ciò avviene,
esaminiamo l’immagine della figura a
P fianco, ripresa dalla figura A4 precedente
ottenuta con l’ondoscopio inviando un’onda
r
piana contro una fenditura di larghezza a.
All’istante della foto, l’onda ha un massimo
r’
1
del suo fronte d’onda proprio in
2
3
corrispondenza della fenditura. Sul fronte
a 4
d’onda abbiamo preso, per semplicità, solo
5
6 punti (pallini verdi; per una simulazione
6
più realistica avremmo dovuto prenderne
molti di più). Secondo Huygens ognuno di
essi diventa sorgente di un’onda circolare.
eguiamo, per semplicità di disegno, due
sole di queste onde, quella che esce dal
punto 1 in alto e quella che esce dal punto
4, che è circa al centro della fenditura.
Quando arrivano in un qualunque punto P, non hanno più la stessa fase dell’oscillazione, perché il
cammino r’ percorso dall’onda 4 è più lungo del cammino r percorso dall’onda 1, quindi la somma
delle loro ampiezze non raggiunge mai il massimo.
C’è però una situazione in cui le oscillazioni sono ancora in fase e si verifica quando la differenza
fra i cammini r e r’ è pari a una lunghezza d’onda, perché in quel caso l’onda 4 ha semplicemente
fatto una intera oscillazione in più rispetto all’onda 1 ed è ritornata in fase. Lo vediamo meglio nella
figura che segue.
P
r
r’
A
a/2
C
B
θ
Po
a/2
L
schermo
15
Si suppone che lo schermo su cui si raccoglie l’immagine sia posto a una distanza L dalla fenditura
molto grande rispetto alla larghezza a (cosa che avviene sicuramente date le dimensioni
microscopiche della fenditura): in queste condizioni si può assumere che, prendendo sul segmento
CP che congiunge il centro della fenditura con il punto P (CP=r’) un punto B a distanza r da P il
triangolo ABC sia circa rettangolo e che l’angolo nel vertice CÂB sia circa uguale a θ. Ne segue
che la differenza di cammino fra i due raggi, CB=b=r’-r, è circa uguale alla semilarghezza a/2 della
fenditura per il seno dell’angolo θ:
a
b = senθ
2
Se b è uguale a mezza lunghezza d’onda, le ampiezze delle due onde si cancellano a vicenda,
perché quando l’ampiezza di una delle due onde è massima, quella dell’altra onda è minima e
viceversa, cioè le due onde interferiscono distruttivamente (pertanto, nel caso della luce si verifica
un minimo di luminosità, come osservato nella seconda attività). Se b invece è uguale a una intera
lunghezza d’onda, le ampiezze delle due onde si sommano, perché sono in fase: si dice che le due
onde interferiscono costruttivamente (pertanto, nel caso della luce si osserva un massimo di
luminosità). Nell’attività 2 abbiamo usato sempre la condizione di interferenza distruttiva (minimi
di intensità) perché più facile da rilevare, quindi
a senθ = λ
(A1)
Esistono anche massimi e minimi secondari ad altre
angolazioni che rispettano le stesse condizioni dei primi
massimi o minimi di diffrazione con differenze fra i
cammini pari a un numero crescente, intero o semi intero,
di lunghezze d’onda, ma con intensità rapidamente
decrescente. Il risultato teorico è riportato nel grafico a
fianco che mostra l’intensità in funzione della posizione
(in ascissa è riportato a sinθ / λ).
La diffrazione da un reticolo
Un “reticolo” consiste di una serie di fenditure tutte uguali, ciascuna di larghezza a, poste a una
distanza regolare d una dall’altra. La distanza d è chiamata “passo del reticolo”. Usiamo un modello
ondulatorio basato sul principio di Huygens anche per spiegare la figura di diffrazione da parte di
un reticolo formato da una serie di fenditure.
Come sopra ricordato, secondo Huygens, se su una
fenditura si fa incidere un’onda piana, il reticolo si
comporta come un insieme di sorgenti puntiformi coerenti,
S2
una per ogni fenditura. Esaminiamo, ad esempio, il caso di
S1
un’onda che incide in direzione perpendicolare a un
reticolo che ha un passo d (figura a fianco). Le linee
S
tratteggiate rappresentano i fronti d’onda su cui a un certo
istante l’onda ha ampiezza massima: essi sono paralleli al
T1
T2
piano delle fenditure. I massimi delle onde che escono da
T
fenditure vicine, come S, T, U, ecc., dopo un tempo pari a
1 periodo si trovano sulla superficie di sfere di raggio λ,
U
come nei punti S1, T1, U1, ecc., dopo 2 periodi nei punti
U
S2, T2, U2, ecc. delle sfere di raggio 2λ, e così via.
d
Muovendoci quindi nella direzione in avanti, i massimi si
U2
ripresentano sempre, dopo un periodo, alla stessa distanza
dal piano delle fenditure e quindi il fronte d’onda è ancora
parallelo al piano delle fenditure e l’onda si propaga in
avanti nella stessa direzione del fascio incidente.
16
Tuttavia c’è un’altra direzione θ lungo la quale
le onde che escono dalle diverse fenditure, pur
percorrendo distanze diverse, viaggiano sempre
in fase perché le distanze percorse differiscono
di un numero intero di lunghezze d’onda, come
si vede dalla figura a fianco, che riprende la
figura precedente evidenziando meglio le onde
uscenti dalle fenditure. I massimi si trovano
infatti anche su un fronte d’onda che forma un
angolo θ con il piano delle fenditure, passa per il
punto di mezzo della fenditura T ed è tangente
nel punto S1 alla sfera di raggio λ che ha centro
nel punto di mezzo della fenditura S. Questo
fronte d’onda è seguito, a distanza λ, da un
fronte d’onda parallelo che passa per il punto di
mezzo della fenditura U, è tangente nel punto T1
alla sfera di raggio λ che ha centro nel punto di
mezzo della fenditura T ed è anche tangente nel
punto S2 alla sfera di raggio 2λ che ha centro nel
punto centrale della fenditura S. Il ragionamento
può essere ripetuto per il fronte d’onda parallelo
che passa per il punto di mezzo della fenditura
V ed è tangente alle sfere di raggio λ, 2λ e 3λ
che escono dalle fenditure U, T e S.
Tracciando le perpendicolare ai fronti d’onda
otteniamo la direzione lungo cui viaggia il
raggio diffratto. Ragionando in termini di
cammino percorso dall’onda, possiamo pensare
che, quando il massimo dell’onda che esce dalla
fenditura S giunge nel punto S1 ha già percorso
una intera lunghezza d’onda, mentre,
contemporaneamente, il massimo è appena
arrivato alla fenditura T e deve ancora arrivare
alla fenditura U. Così pure quando il massimo
dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S2
ha già percorso 2 lunghezze d’onda, quello che
esce dalla fenditura T è giunto in T1 e ha già
percorso 1 lunghezza d’onda mentre il massimo
è appena arrivato alla fenditura U.
L’angolo θ a cui ciò succede è tale che
d sen θ = λ
θ
d
S
S1
S2
T
S3
T1
T2
U
U1
V
θ
S
S1
S2
θ
T
T1
T2
U
d
U1
U2
(A2)
Potete vederlo, ad esempio, esaminando il triangolo rettangolo TUT1, dove l’ipotenusa TU è il
passo d del reticolo e l’angolo al vertice U è appunto θ .
In corrispondenza di questa direzione tutte le fenditure interferiscono costruttivamente e si ha perciò
un massimo di intensità. Se invece la prima fenditura non interferisce costruttivamente con la
seconda, poiché le fenditure sono molto numerose, esisterà certamente una fenditura che interferisce
distruttivamente con la prima. Sia ad es. la 50° fenditura. Allora la 2° fenditura interferirà
distruttivamente con la 51° e così via.
Particolarità del reticolo, infatti, è che, discostandosi anche di poco dai valori di θ sopra menzionati,
a causa dell’elevato numero di fenditure, si verifica subito una interferenza distruttiva (buio).
17
Se, ad esempio, la differenza di cammino ottico tra due fenditure contigue è dsinθ =(k+0,005)λ c'è
una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Volendo calcolarla, la differenza di
cammino ottico tra la prima e l’ennesima fenditura sarà
n d sinθ = (nk+0,005n) λ.
Per n=100 si avrà n d sinθ = (nk+0,5n) λ =(2nk+1)λ/2. Quindi la prima fenditura interferirà
distruttivamente con la 100°, la 2° con la 101° e così via, originando una frangia scura.
Se la luce incidente è monocromatica, raccogliendo su uno schermo la luce uscente dal reticolo si
otterranno frange chiare e scure, in corrispondenza ai vari valori di θ. Misurando θ è possibile
risalire al valore della lunghezza d’onda.
Inviando luce non monocromatica, invece, essa viene scomposta nella sue componenti
monocromatiche, in quanto il valore di θ corrispondente alle frange chiare è una funzione della
lunghezza d'onda.
18
B. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck
Che la radiazione luminosa trasporti energia è esperienza quotidiana: basta mettersi al sole anche in
una giornata invernale per sentire il tepore associato alla radiazione solare. Che però l’energia
portata dalla radiazione sia diversa alle diverse lunghezze d’onda fu una grossa scoperta, opera di
un celebre astronomo, Herschel, che all’inizio dell’Ottocento indagava sullo spettro solare.
Herschel
cercava
di
controllare,
usando
termometri con il bulbo
direzione del
infrarosso
angolo di deviazione
annerito, se i diversi colori
raggio
incidente
raggi
“scaldassero” tutti nello
l
rosso
stesso modo e si accorse,
prisma
ponendo un prisma sul
cammino di un pennello di
violetto
raggi solari per farli
deviare, che giunge della
radiazione
che
porta
energia anche al di là del
rosso,
scoprendo
così
l’infra-rosso.
I raggi infrarossi sono anzi “più caldi” degli altri, cioè fanno salire più rapidamente la temperatura
del termometro, perché vengono assorbiti con maggiore efficienza dalla materia solida o liquida.
Durante tutta la prima metà dell’Ottocento gli “spettroscopisti” lavorarono a classificare e
riconoscere tutti gli “spettri” di colore emessi e assorbiti dalle diverse sostanze, chiarendo così il
ruolo che hanno i diversi modi di interazione fra la radiazione e la materia nel determinare il colore
della luce. Le leggi principali sono:
- un corpo può emettere radiazione (diventare cioè una sorgente di radiazione) trasformando in
energia radiante altre forme di energia (ad es. in una lampadina accesa si trasforma energia
elettrica in energia radiante, attraverso diverse trasformazioni intermedie), oppure può assorbire
in tutto o in parte la radiazione; se l’assorbimento è parziale, la radiazione non assorbita può
essere trasmessa (corpi trasparenti) oppure diffusa, eventualmente in modo speculare (riflessione
speculare);
- l’intensità della radiazione emessa o assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai
diversi colori) dipende principalmente dalla temperatura: aumentando la temperatura aumenta
l’emissione alle piccole lunghezze d’onda (lo spettro si sposta verso il violetto);
- per una buona emissione nel visibile occorrono temperature di migliaia di gradi (la temperatura
della superficie del Sole è stimata essere intorno a 6500 K); a temperature inferiori, l’emissione
nel visibile non è apprezzabile, mentre rimane importante quella nell’IR;
- a parità di temperatura, l’intensità della radiazione emessa, assorbita o diffusa alle diverse
lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende dal corpo: ad esempio un oggetto “rosso”
diffonde prevalentemente le lunghezze d’onda del rosso e assorbe gli altri colori, un oggetto
“bianco” diffonde in modo circa uguale tutti i colori, un oggetto “nero” li assorbe tutti;
- si ha uno “spettro di corpo nero” quando la radiazione non esce dal corpo, ma rimane al suo
interno, come appunto avviene in un oggetto nero ideale; un corpo nero si ottiene idealmente con
una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, all’interno della quale la radiazione
viene emessa e assorbita dalle pareti in condizioni di equilibrio;
- è possibile calcolare teoricamente lo spettro di copro nero partendo da principi primi statistici,
cioè dall’ipotesi che la radiazione scambi casualmente energia con la materia con cui è in contato
mantenendo un “equilibrio termico”. La prima formula per la distribuzione dell’intensità della
radiazione in funzione della lunghezza d’onda fu derivata da Wien alla fine dell’Ottocento e
19
condusse alla legge nota come “legge di Wien”, che lega la temperatura assoluta T alla
lunghezza d’onda λmax alla quale si verifica il massimo dell’intensità luminosa:
λmaxT = A
intensità (unità arbitrarie)
dove la costante A vale circa 0,003 m⋅K. Pur non essendo rigorosamente corretta, la legge di
Wien rendeva conto delle osservazioni sperimentali che indicano un legame fra la temperatura
della sorgente e l’energia dell’onda elettromagnetica alle diverse lunghezze d’onda, a differenza
di quanto valeva nella legge derivata precedentemente sulla base delle sole equazioni di
Maxwell, in cui l’energia portata da un’onda elettromagnetica non dipendeva direttamente dalla
temperatura della sorgente;
- la formula teorica corretta fu derivata da
UV visibile
infrarosso
250
Planck nel 1901, postulando l’esistenza di
6000 K
3000 K
1000 K
una nuova costante naturale, il quanto di
200
azione h, e proprio da questa formula iniziò
la lunga storia della meccanica quantistica.
150
Alcuni esempi di spettri per diverse
temperature sono mostrati nella figura: si
100
vede chiaramente che, in accordo con la
legge di Wien, la lunghezza d’onda a cui si
50
verifica il massimo si sposta verso valori più
bassi al crescere della temperatura. Lo spettro
0
0
400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000
a 6000 K è abbastanza simile allo spettro
lunghezza d'onda (nm)
della luce solare, il che indica che la
temperatura alla superficie del Sole è circa
6000 K.
Come Wien e la maggioranza dei suoi contemporanei, Planck riteneva che il processo di emissione
della radiazione avvenisse ad opera di elettroni presenti all’interno del corpo che oscillavano con
un’elevata frequenza. Egli si rese conto che, per spiegare i risultati sperimentali occorreva
formulare alcune ipotesi che stabilivano un legame tra l’energia emessa da un singolo oscillatore e
la frequenza f della radiazione, e precisamente che:
•
•
•
l’energia E della radiazione emessa da un singolo oscillatore è multiplo intero di una
energia fondamentale E0 (E=nE0);
l’energia E0 è proporzionale alla frequenza E0=hf
dove h=6,626⋅10-34Js
Queste tre ipotesi bastano per spiegare qualitativamente il significato della legge di Wien e il valore
della costante A. Infatti si sa, dalla teoria cinetica dei gas, che la tipica energia di un “oscillatore”
che si trova in un corpo alla temperatura assoluta T è dell’ordine di kB T, dove kB è la costante di
Boltzmann, pari a circa 10-23 J/K: nell’emissione della radiazione, anche l’energia E0 del “quanto di
radiazione”, dovrà essere dello stesso ordine di grandezza, quindi hf = hc/λ (c è la velocità della
luce, pari a 3⋅108 m/s). Eguagliando le due energie si trova appunto che Tλ ≈hc/ kB, cioè è una
costante il cui ordine di grandezza è quello della costante A della legge di Wien.
L’intuizione di Planck fu poi approfondita nei lavori di Einstein sull’effetto fotoelettrico (1905) che
contribuirono ad assegnare alla radiazione luminosa una natura “corpuscolare”, complementare a
quella ondulatoria introducendo il concetto di “fotone” come “quanto di radiazione”: una radiazione
monocromatica può anche essere vista come un flusso di fotoni, ognuno dei quali trasporta
un’energia E=hf (e una quantità di moto p=E/c=hf/c, come verrà successivamente dimostrato da
Compton).
20
C. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle
L’andamento generale dello spettro della luce di una stella, in particolare quello della luce solare, è
simile allo spettro di un corpo nero alla temperatura corrispondente alla “superficie” della stella.
Questo avviene non perché la superficie del Sole sia una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa
temperatura, come descritto sopra, ma perché si è stabilita in superficie una temperatura di
equilibrio fra i meccanismi interni al Sole di trasformazione dell’energia nucleare e di quella
gravitazionale in energia radiante e l’emissione dell’energia radiante che viene irradiata dalla
superficie del Sole verso lo spazio esterno.
Nella figura è mostrato lo spettro solare misurato in una giornata invernale serena con lo
spettrofotometro Avaspec, senza apportare alcuna correzione per la sensibilità del rivelatore alle
diverse lunghezze d’onda.
sole1-ore15
4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
300
400
500
600
700
800
lunghezza d'onda (nm)
900
1000
Nella figura che segue è invece mostrato lo spettro corretto in base alla curva di calibrazione con
sovrapposta la curva di corpo nero calcolata alla temperatura che meglio si adatta (circa 5600 K).
He4 Sole
sole1-ore15
He3 Sole
4000
Hα Sole
Hβ Sole
He2 Sole
3500
He1 Sole
Hγ Sole
3000
O atm
2500
2000
1500
1000
500
O, N atm
0
300
400
500
600
700
800
900
1000
lunghezza d'onda (nm)
21
Come si vede, l’andamento generale è descritto in modo ragionevole dalla curva di corpo nero,
anche se la temperatura che meglio si adatta (5600 K circa) è notevolmente minore di quella stimata
per la “superficie” del Sole (circa 6500 K). Ciò è dovuto all’assorbimento nell’atmosfera terrestre
attraversata dai raggi, che ha uno spessore notevole in una giornata invernale, sia pure serena. Ciò
appare evidente nella forte riga di assorbimento a 760 nm, dovuta all’ossigeno, e nella estesa banda
di assorbimento sopra i 900 nm dovuta probabilmente sia all’ossigeno che all’azoto.
Le deviazioni che si osservano alle piccole lunghezze d’onda, dove lo spettro misurato cade più
rapidamente dello spettro teorico al diminuire di λ, sono invece dovute alla “diffusione Rayleigh”,
secondo cui la luce viene diffusa dai gas dell’atmosfera in modo inversamente proporzionale a λ4:
ad esempio, nel violetto-blu (λ≈ 400 nm) la luce è diffusa circa 6 volte di più che nel rosso (λ≈ 650
nm). L’intensità, che manca alle piccole lunghezze d’onda nei raggi che giungono in direzione del
Sole, si ritrova guardando nelle altre direzioni, ed è per questo motivo che il cielo ci appare blu,
perché vediamo i raggi diffusi che sono arricchiti alle piccole lunghezze d’onda rispetto ai raggi
diretti. L’effetto è tanto più forte quanto più spesso è lo strato di atmosfera terrestre attraversato,
come avviene ad esempio al mattino o alla sera, oppure se lo strato di aria è ricco di vapore d’acqua:
in queste condizioni sono diffuse anche lunghezze d’onda maggiori, fino all’arancio o al rosso, per
cui il cielo si tinge di arancio vicino alla direzione da cui provengono i raggi solari.
Nello spettro sono visibili anche le righe di assorbimento che la radiazione subisce da parte dei gas
presenti nell’atmosfera solare; in particolare si possono distinguere
- tre righe di assorbimento dell’idrogeno nel visibile (la così detta “serie di Balmer”), Hα a 656
nm, Hβ a 487 nm e Hγ a 431 nm,
- quattro righe di assorbimento dell’elio: l’elio deve il suo nome proprio al fatto che fu scoperto
sul sole –helios è il nome del sole in greco– attraverso queste righe di assorbimento, che si
vedevano nell’atmosfera solare mentre non erano mai state osservate in gas noti sulla Terra,
perché l’elio, essendo molto leggero, sfugge dall’atmosfera terrestre.
22