STAGE DI FISICA - 19-24 Marzo 2012 TAVOLO 5 “LUCE COLORE ED ENERGIA” Roberta Balestrino(1), Giorgetta Comino(2), Gianna Rovero(3), Caterina Torazza(2) (1) Liceo Scientifico Cattaneo di Torino; (2)Liceo Scientifico Monti di Chieri; (3) AIF, Sezione di Settimo Torinese 1. Luce, colore, energia: che cosa, perché e come 2. Il colore: come separare i colori della luce con un prisma 3. Luce e colore: le onde luminose • Diffrazione della luce da un ostacolo o da una fenditura • Reticolo di diffrazione e laser • Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione 4. Luce ed energia: lo spettro luminoso • Lo spettro della luce emessa da una lampadina con filamento a incandescenza • La temperatura del filamento e la legge di Wien • Osservazione di spettri con uno spettrofotometro Richiami e approfondimenti A. Le onde e le caratteristiche dei fenomeni ondulatori - Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio - Il “principio di Huygens” e la diffrazione da parte di una fenditura sottile - La diffrazione da reticolo B. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck C. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle 1 1. Luce, colore ed energia: che cosa, perché e come Che cos’è la luce ? Nella nostra esistenza la luce ha un ruolo fondamentale: noi vediamo e soprattutto viviamo grazie ad essa; può essere descritta per mezzo di grandezze misurabili, oppure considerando gli aspetti estetici o ancora dal punto di vista fisiologico. Nei primi studi sulla luce non si era in grado di distinguere tra luce e visione, i Pitagorici ad esempio pensavano che la luce non potesse esistere indipendentemente dal soggetto che vede grazie a un “fuoco” presente in esso, il quale, uscendo dall’occhio, cade sugli oggetti rendendoli visibili. Questa confusione la ritroviamo nei bambini: quando giocano a “nascondino” a volte si “nascondono” coprendosi gli occhi con le mani, pensando di non essere visti se essi stessi non vedono. Nel corso dei secoli successivi vennero formulate diverse ipotesi sulla natura della luce: - intorno al 1500 Leonardo, osservando analogie tra fenomeni ondulatori e fenomeni luminosi, formulò per primo l’ipotesi che la luce avesse aspetti ondulatori; - nel 1600 Keplero pose fine alla “confusione“ tra luce e visione riuscendo a comprendere che le immagini si formano all’interno dell’occhio; - si giunge quindi a Newton e Huygens, contemporanei fra loro, che avevano posizioni opposte sulla natura della luce. Come emerge dai dialoghi tra Newton e Huygens, il primo pensava alla luce in termini di “particelle”, il secondo in termini di “onde”. Particella e onda sono due grandi concetti della fisica classica nel senso che possiamo associare quasi ogni branca della fisica con una o con l’altra. I due concetti sono diversi, soprattutto per quel che riguarda il trasporto di energia: la parola particella sottintende una piccolissima concentrazione di materia che trasporta energia, la parola onda sottintende una grande distribuzione di energia che riempie lo spazio in cui l’onda si muove. Oggi sappiamo che la luce è allo stesso tempo “particella” e “onda”: la chiave per arrivare a capire questo comportamento duale sta nell’associazione fra il “colore” della luce e “l’energia” trasportata dalla luce. Newton fu il primo a indicare il modo per separare la luce bianca nei suoi colori, ma bisogna ricorrere al modello ondulatorio di Huygens per avere il modo di associare al colore una grandezza fisica, la “lunghezza d’onda”, e infine occorre arrivare a Herschel, all’inizio dell’Ottocento, per capire, attraverso la scoperta della “radiazione invisibile infrarossa”, come associare colore ed energia. Ripercorriamo in tre tappe questo cammino affascinante che ci porterà a rispondere alla nostra domanda iniziale su che cos’è la luce: - ripercorriamo con Newton il percorso per separare la luce nei suoi colori, - impariamo a riconoscere e misurare il “colore” estendendo alla luce i metodi di indagine e i modelli utilizzati per caratterizzare le onde meccaniche, - misuriamo infine lo “spettro” della luce per indagare il legame fra energia e colore. 2 2. Separare i “colori” con il prisma Un prisma trasparente, messo sul cammino di un fascio di luce, lo fa deviare dalla direzione iniziale a causa dell’interazione fra la luce e il materiale trasparente di cui è formato il prisma. L’angolo di deviazione rispetto alla direzione del raggio incidente dipende da un numero caratteristico del materiale detto indice di rifrazione n. A sua volta n dipende dal “colore”, con variazioni che sono piccolissime: ad esempio, fra il verde-giallo e il rosso scuro n diminuisce di circa lo 0,3%. Poiché l’angolo di deviazione cresce al crescere di n, il violetto è più deviato del blu, e questo è deviato più del verde, ecc., per cui i diversi colori si separano. y c angolo di deviazione direzione del raggio incidente infrarosso rosso prisma violetto ultravioletto Esistono dei “colori” che il prisma è in grado di separare ma che non sono visibili per il nostro occhio: l’infrarosso, che è meno deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di sotto del rosso (di qui il suo nome “infra-rosso”) e l’ultravioletto, che è più deviato della radiazione visibile e quindi si estende al di là del violetto (di qui il suo nome “ultra-violetto”). Essi sono rivelabili da strumenti opportuni, come vedremo più avanti. L’importanza del fenomeno della dispersione, già noto ai tempi di Newton come ricordato nell’introduzione, è che dimostra che il colore è una proprietà della luce e non della materia, come l’esperienza quotidiana tenderebbe a suggerire: il prisma infatti è del tutto incolore, mentre il fascio di luce, all’uscita dal prisma, mostra di possedere tutta una successione di colori che prima non apparivano e che non possono essere stati “aggiunti” dal prisma. Attraverso la dispersione da prisma, tuttavia, non è possibile risalire direttamente e in modo universale alla grandezza fisica associata a un determinato colore, che, come vedremo, è la “lunghezza d’onda” λ caratteristica di quel colore, perché l’angolo di deviazione di un certo colore dipende dall’indice di rifrazione n del tipo di vetro di cui è fatto il prisma e occorre risalire a λ attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione n del tipo di vetro. Nella misura che segue ci limiteremo perciò ad associare qualitativamente il colore all’angolo di deviazione, o meglio alla posizione y del colore sullo schermo. 3 Materiale - lampada per proiezioni - prisma su piattaforma girevole - schermo con righello Misure Posizionare il prisma sulla piattaforma girevole e aggiustare l’orientazione fino a quando si osserva chiaramente sullo schermo lo spettro dei colori. Il righello predisposto sullo schermo, che parte dal viola e va verso il rosso (asse y), serve per valutare la separazione e aiutare l’identificazione del colore, ma la posizione y di un certo colore non è legata in modo semplice alla lunghezza d’onda, come spiegato sopra. Misurare la posizione y corrispondente a un certo colore, registrare in particolare la posizione di colori ben identificati, come l’inizio della banda del colore blu, del verde, del rosso e dell’infrarosso. 4 3. Luce e colore: le onde luminose Eseguiamo alcune esperienze per convincerci che la luce presenta comportamenti ondulatori del tutto simili a quelli delle onde meccaniche e che è possibile associare al colore una precisa grandezza fisica, non dipendente dalla percezione visiva soggettiva. Utilizzeremo il fenomeno della diffrazione. Come noto per le onde meccaniche (vedi la scheda di approfondimento), la diffrazione è una caratteristica generale dei fenomeni ondulatori che si manifesta ogni volta che una porzione di un fronte d’onda, sia esso di suono, di onde di materia o di luce, investe un ostacolo, sia opaco che trasparente. Il fenomeno diventa cospicuo e dà effetti osservabili se le dimensioni dell’ostacolo sono confrontabili con la lunghezza d’onda: di qui nasce la difficoltà di osservare il fenomeno per le onde luminose che hanno lunghezze d’onda molto piccole, inferiori al micrometro. Per vedere gli effetti diffrattivi con la luce occorre quindi illuminare “ostacoli” micrometrici, come un piccolo foro oppure più fenditure micrometriche, oppure un piccolo oggetto come un capello, usando un fascio ben collimato in avanti: l’immagine luminosa generata dall’ostacolo (oppure l’ombra se si tratta di un oggetto opaco) non è più quella “geometrica”, che ci si aspetterebbe se il fascio si propagasse rettilineamente in avanti, ma è una figura caratteristica, in cui la luce (o l’ombra) arriva anche ad θ molto maggiori dei valori attesi in base alla larghezza angolare del fascio incidente. L’aspetto interessante è che questo angolo θ dipende dalla lunghezza d’onda λ, oltre che dalle dimensioni dell’ostacolo, come descritto nell’approfondimento: ciò permette, se sono note le dimensioni dell’ostacolo, di ricavare il valore della lunghezza d’onda λ associata a un certo colore. Nelle attività che seguono faremo questa misura usando due tipi di ostacoli. La misura della lunghezza d’onda con la diffrazione da un ostacolo singolo Utilizzeremo come “ostacolo” un capello, perché le tipiche dimensioni di un capello sono confrontabili con quelle della lunghezza d’onda della luce visibile e quindi il fenomeno della diffrazione è osservabile abbastanza facilmente, soprattutto se si usa un fascio di luce molto collimato e “monocromatico” (che ha cioè un colore molto ben definito e quindi un valore molto preciso della lunghezza d’onda λ), come è quello di un LASER. Come descritto nell’approfondimento, quando sul cammino di un fascio monocromatico molto collimato si mette un ostacolo di larghezza a, osservando la luce che arriva su uno schermo distante, si vedono chiaramente dei picchi illuminati ai due lati del picco di luce centrale separati da zone di “buio”, molto meno luminose: l’angolo θ a cui si osserva il primo “minimo di diffrazione” dipende dalla lunghezza d’onda λ e dalla larghezza a dell’ostacolo secondo la relazione derivata nell’approfondimento: a senθ = λ (A1) Se è nota la larghezza a dell’ostacolo, misurando l’angolo θ si può così ricavare il valore della lunghezza d’onda λ; viceversa, se è nota la lunghezza d’onda λ si può ricavare la larghezza a dell’ostacolo. Nell’attività che segue faremo entrambi i tipi di misura. Materiale - LASER rosso e LASER verde - finestra di uscita mobile - schermo Misure Utilizzare prima il LASER rosso (λ=630 nm). - Fissare un capello trasversalmente alla finestra di uscita e spostare lentamente l’allineamento fra la finestra e la direzione del fascio fino a quando sullo schermo compare la figura di diffrazione; 5 - misurare l’angolo θ a cui compare il minimo della figura di diffrazione; - determinare il diametro del capello utilizzando la relazione (A1) derivata negli approfondimenti Determinato il valore di a, ripetere la misura con il LASER verde e determinare la lunghezza d’onda della luce verde. Confrontare questo valore con il valore nominale che trovate scritto sul LASER stesso. Ripetere entrambe le misure con un capello diverso: il diametro dipende dal colore del capello? Attenzione a chi si tinge… La misura della lunghezza d’onda con il reticolo di diffrazione Un “reticolo di diffrazione” è una lastrina di vetro o di altro materiale trasparente sulla cui superficie sono state incise delle fenditure a una distanza regolare d molto piccola, confrontabile con la lunghezza d’onda λ della luce che si vuole studiare. Come spiegato nell’approfondimento, se si fa incidere un fascio di luce, dal reticolo escono, oltre al fascio trasmesso che viaggia ancora nella stessa direzione del fascio incidente, come avviene per qualunque lastrina a facce piane, anche più fasci diffratti che viaggiano ad angoli θ rispetto alla direzione incidente che dipendono dal “colore” della luce, cioè dalla lunghezza d’onda. fascio diffratto fascio incidente d θ θ θ θ fascio trasmesso in avanti Usando luce monocromatica, caratterizzata da una lunghezza d’onda λ ben definita come è quella di un LASER, e raccogliendo l’immagine su uno schermo distante, si osservano dei “massimi di diffrazione” legati alla lunghezza d’onda dalla relazione di Bragg (equazione A2 dell’approfondimento): sin θ = λ / d (A2) Anche per il reticolo, quindi, noto il passo d, si può ricavare il valore della lunghezza d’onda λ misurando l’angolo θ; viceversa, se è nota la lunghezza d’onda λ si può ricavare il passo d del reticolo Materiale - LASER rosso e LASER verde - finestra di uscita - reticolo da 600 linee al mm - schermo Misure Utilizzare prima il LASER rosso - Fissare il reticolo alla finestra di uscita; - osservare la figura di diffrazione che si forma sullo schermo; - individuare i due primi massimi di diffrazione e controllare che siano disposti simmetricamente rispetto allo spot di luce centrale; 6 - se non lo sono, ottimizzare la simmetria aggiustando l’ortogonalità fra la direzione del fascio e lo schermo; - misurare le distanze dei primi massimi dallo spot luminoso centrale, calcolare gli angoli θ e la loro media; - determinare la lunghezza d’onda della luce LASER dalla relazione (A2) e confrontarla con il valore nominale (630 nm) Ripetere la misura con il LASER verde Separare e “misurare” i colori con il reticolo di diffrazione Se il fascio non è monocromatico, come avviene nella luce bianca emessa da una lampada a incandescenza, il reticolo permette di separare i vari colori presenti nella luce bianca perché li diffrange ad angoli diversi, crescenti con il valore della lunghezza d’onda, come atteso in base alla relazione (A2): il rosso è quindi più deviato del blu, contrariamente a quanto avviene nella dispersione da prisma. Un’altra grossa differenza fra dispersione da prisma e quella da reticolo è che il reticolo disperde solo una piccola frazione della luce incidente, perché la maggior parte dell’intensità luminosa rimane comunque nello spot luminoso centrale che non subisce deviazioni rispetto alla direzione incidente, il che rappresenta ovviamente uno svantaggio rispetto alla dispersione da prisma. Il reticolo ha invece un grosso vantaggio rispetto al prisma, perché con il reticolo l’angolo di deviazione è legato direttamente alla lunghezza d’onda attraverso la relazione (A2) che è universale, dato che dipende solo dal passo del reticolo, mentre la relazione che fornisce la dispersione per il prisma è indiretta e particolare, dato che passa attraverso la dipendenza da λ dell’indice di rifrazione che è legata al tipo di vetro. Useremo pertanto il reticolo per associare la lunghezza d’onda al “colore” determinato sulla base dell’impressione visiva nell’attività con il prisma. rosso blu primo ordine diffrattivo θ blu rosso primo ordine diffrattivo θ reticolo fenditura lente lampada Materiale - lampada per proiezioni, fenditura e schermo - lente convergente di distanza focale 15 (o 7,5) cm - reticolo da 600 linee al mm 7 Misure Nell’apparato mostrato nella figura la fenditura e la lente convergente sono necessarie per collimare il fascio e definire con precisione la direzione del fascio che incide sul reticolo. Si formano due figure di diffrazione, una a destra e l’altra a sinistra della direzione del fascio incidente. Dopo aver ottimizzato la simmetria fra le due figure come fatto per la misura precedente con il LASER, misurare l’angolo θ a cui si forma un determinato colore, cercando di utilizzare per identificare il “colore” lo stesso criterio qualitativo usato nell’attività con il prisma, e calcolare la lunghezza d’onda corrispondente attraverso la relazione di Bragg (A2), λ = d sin θ. Eseguire la misura per almeno quattro colori ben identificabili dello spettro, in particolare per blu, verde, giallo e rosso, cercando di identificare il centro della banda corrispondente. Riportare in una tabella i valori della lunghezza d’onda ottenuti accanto al “colore” relativo. La luce visibile ha lunghezze d’onda che vanno da circa 380 nm (1 nm=10-9m) per il violetto a circa 780 nm per il rosso scuro; il verde che sfuma verso il giallo (è il colore al quale si ha il massimo dell’intensità della radiazione solare) ha lunghezza d’onda di circa 550 nm: violetto λ (nm) → blu verde giallo arancio rosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 8 4. Luce ed energia: lo spettro luminoso Lo spettro della luce emessa da una lampadina Materiale a disposizione: 2 alimentatori 4 tester 1 lampada (tensione massima 13V) Cavi elettrici 1 prisma 1 schermo graduato con fotodiodo1 Che cosa fare Con il prisma disposto davanti alla lampadina nella stessa posizione dell’esperimento precedente, osservare lo spettro e formulare delle congetture sull’intensità dei vari colori. Organizzare un esperimento che consenta di verificare la validità delle proprie congetture facendo scorrere il fotodiodo lungo la scala graduata. Il gruppo di lavoro si organizzi, discuta le modalità di esecuzione dell’esperimento valutando accuratamente le possibili cause di errore e dividendosi i compiti. Misurare anche il “fondo”, cioè il segnale dovuto alla radiazione presente nella stanza che arriva sullo schermo in assenza della radiazione della lampada dispersa dal prisma (lo si ottiene mascherando la faccia del prisma da cui escono i raggi dispersi); è importante conoscere il “fondo”, perché, quando si accende la lampada, questa energia va a sommarsi a quella della radiazione che giunge dalla lampada alterando la misura, dato che le due radiazioni non hanno la stessa distribuzione in funzione della posizione sullo schermo. Registrare il valore dell’intensità relativa della radiazione luminosa (monocromatica) in funzione della sua posizione “y” sulla scala graduata, e alla lunghezza d’onda in base alla corrispondenza tra posizione sullo schermo e lunghezza d’onda fatta in precedenza, anche aiutandosi con la tabella seguente; violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 → λ (nm) Riportare i dati su un grafico; discutere i risultati ottenuti confrontandoli con le proprie congetture e commentandoli con l’insegnante . 1 Il fotodiodo è un dispositivo che, colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una differenza di potenziale proporzionale all’intensità della radiazione incidente. Poiché la differenza di potenziale è molto piccola, il fotodiodo è accoppiato a un amplificatore che ne amplifica linearmente il segnale che viene letto mediante un multimetro. Il fotodiodo è montato su di uno schermo con una scala graduata lungo la quale può scorrere mediante la rotazione di una manovella. 9 Temperatura del filamento della lampadina e legge di Wien Partendo dallo spettro ottenuto nell’esperimento precedente e utilizzando la correlazione qualitativa fra colore, posizione “y” sullo schermo e lunghezza d’onda, aiutandosi con lo schema che segue, individuare la lunghezza d’onda λmax a cui si verifica il massimo dell’intensità della radiazione violetto blu verde giallo arancio rosso infrarosso ↓ ↓ ↓ 380 550 780 → λ (nm) Calcolare il valore approssimato della temperatura del filamento della lampadina secondo la legge di Wien (vedere gli “approfondimenti”). λmaxT = A (A ≈ 0,003 m⋅K) Osservazioni con lo spettrofotometro Lo spettrofotometro è uno strumento che viene usato per numerosissime applicazioni industriali, commerciali o di ricerca fondamentale, come, ad esempio, la misura degli spettri delle stelle o la composizione in colore di una vernice o l’assorbimento dei diversi colori da parte di un vetro colorato, cioè in tutte quelle misure in cui è necessario conoscere l’intensità della radiazione in funzione della lunghezza d’onda. Lo spettrofotometro che abbiamo a disposizione è un “AvaSpec-2048 Fiber Optic Spectrometer”. Consiste in una sonda che raccoglie la luce proveniente dalla sorgente, la focalizza e la convoglia in una fibra ottica che la trasporta fino a una “scatola” sigillata in cui lo spettro viene esaminato. cavo contenente la fibra ottica sonda apertura di ingresso ingresso fibra ottica Nella “scatola” il fascio viene prima disperso con un reticolo di diffrazione, simile a quello che è stato usato nella seconda attività per misurare la lunghezza d’onda; i diversi “colori” che escono ai diversi angoli vanno a colpire una “fotocamera a CCD” con 2048 “pixels”. Ogni pixel funziona come il fotodiodo usato nell’esperimento precedente, cioè produce un segnale in tensione elettrica che è circa proporzionale all’intensità della luce incidente. Poiché ogni pixel è posizionato per raccogliere una ben determinata lunghezza d’onda, si può così ottenere, in principio, l’intensità luminosa in corrispondenza di 2048 valori di lunghezza d’onda (in realtà i valori utili che si ottengono sono circa 1300). 10 I valori delle lunghezze d’onda e delle relative intensità luminose sono poi immagazzinati in una memoria interna che è leggibile da un personal computer collegabile attraverso una “porta USB”. I dati possono anche essere copiati su un foglio EXCEL per ulteriori analisi. Rispetto al semplice fotodiodo utilizzato nell’esperimento precedente, il rivelatore ha ovviamente il vantaggio di fornire subito e contemporaneamente l’intensità per tutte le lunghezze d’onda, però ha lo svantaggio di non avere una risposta uniforme in funzione della lunghezza d’onda: è quindi necessario correggere i dati con una “curva di calibrazione” per avere la risposta corretta. La curva di calibrazione, determinata con una lampada a incandescenza, è riportata in figura. La costante di calibrazione è stata posta arbitrariamente uguale a 1 in corrispondenza di 700 nm. Come si vede, la CCD ha un’efficienza di rivelazione maggiore di uno fra 450 nm e 700 nm, mentre è meno efficiente alle lunghezze d’onda inferiori (blu e violetto) e superiori (infrarosso). calibrazione con dati lampada a 220 V 2 1,8 1,6 costante di calibrazione 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 lunghezza d'onda (nm) Materiali Spettrofotometro: sonda, cavo con fibra ottica, “scatola” di analisi dello spettro Personal computer e cavo con connettore USB per collegamento allo spettrofotometro Reticolo di diffrazione e prisma per disperdere lo spettro LED di diverso colore, lampada a incandescenza, luce solare Che cosa fare Con lo spettrofotometro collegato al PC, puntare la sonda a diverse sorgenti; osservare e interpretare lo spettro. Osservazioni suggerite: - spettro di un LED: osservare la lunghezza d’onda a cui si verifica il picco e la sua larghezza; - spettro della lampada a incandescenza disperso con il reticolo di diffrazione: posizionare la sonda in corrispondenza di diversi colori e verificare la corrispondenza fra il valore della lunghezza d’onda registrato dalla sonda e quello calcolato in base alle misure dirette e alla legge del reticolo; - spettro della lampada a incandescenza senza dispersione: confrontare lo spettro ottenuto con lo spettrofotometro con quello misurato nell’esperimento precedente; - spettro della luce solare possibilmente in diverse ore della giornata e/o diverse condizioni di copertura del cielo, per stimare la temperatura della superficie del Sole e valutare l’effetto dell’assorbimento nell’aria (vedi scheda di approfondimento sullo spettro solare). 11 Richiami e approfondimenti A. Le onde “Accade sovente che l’onda si allontani dal suo punto di creazione, mentre l’acqua non si muove, come le onde create dal vento in un campo di grano, dove vediamo le onde correre attraverso il campo mentre il grano rimane al suo posto” Leonardo da Vinci Come si rileva dalla frase di Leonardo, nella nostra vita incontriamo onde di ogni tipo: onde nell’acqua, “onde” nel campo di grano, onde sismiche che si propagano nella terra….. Nel linguaggio quotidiano chiamiamo “onda” una perturbazione che si ripete a distanza regolare e che sembra “viaggiare” con una velocità costante. In fisica invece, oltre a queste due caratteristiche, si richiede che la perturbazione sia propagata dagli stessi elementi che formano, grazie alla loro interazione reciproca, come avviene ad esempio per le onde sulla superficie dell’acqua: quando un sasso cade, il volumetto di acqua sottostante viene spostato verso il basso, e ciò fa sì che i volumetti di acqua vicini si spostino verso l’alto, il che produce, a sua volta, una oscillazione che si propaga a quelli vicini ancora. Il tutto poi si ripete periodicamente anche nel tempo. In fisica quindi l’onda nel campo di grano è una bella metafora, ma non rientra in questa categoria, perché la perturbazione viene propagata dal vento e non dall’interazione fra spighe di grano vicine! Per descrivere il comportamento di un’onda non ha interesse, in generale, descrivere il comportamento delle singole “particelle” o dei singoli volumetti che la formano, ma interessa descrivere il comportamento collettivo: facendo un’analogia, potremmo dire che vogliamo studiare la foresta e non gli alberi che la costituiscono. Infatti, mentre per le onde che si propagano sulla superficie dell’acqua questa descrizione sarebbe ancora fattibile, essa diventerebbe molto difficile per altri tipi di onde, come le onde sonore o quelle luminose. Le grandezze principali che descrivono l’onda e che utilizzeremo nelle attività che seguono sono: - la lunghezza d’onda λ, che descrive la periodicità con cui la perturbazione si propaga nello spazio: se in un punto si verifica, a un certo istante, un massimo dell’oscillazione, spostandosi nella direzione a cui l’onda si propaga, l’oscillazione è minore fino a un valore minimo e poi risale fino a raggiungere nuovamente il massimo a una distanza pari a λ, - il periodo T, che descrive la periodicità con cui la perturbazione si ripete nel tempo e che è pari all’inverso della frequenza f (T = 1/f), - la velocità v con cui l’onda si propaga, v = λ/T = λ f; per la luce la velocità di propagazione nel vuoto è una “costante naturale”, c=300000 km/s, che non dipende dalla lunghezza d’onda; - l’ampiezza, che è l’ampiezza dell’oscillazione intorno alla posizione di equilibrio; essa è una grandezza importante perché l’energia trasportata dall’onda è proporzionale al quadrato dell’ampiezza di oscillazione. Una delle caratteristiche importanti dell’onda è infatti che essa, pur non trasportando materia, trasporta energia attraverso la perturbazione che viene propagata da un punto all’altro dello spazio. Per le onde meccaniche, come quelle che si propagano sulla superficie dell’acqua, le grandezze sopra descritte, in particolare λ e T, si possono misurare, o anche solo valutare, semplicemente osservandole, perché le dimensioni spaziali e temporali sono macroscopiche: nel caso della luce, invece, queste dimensioni sono microscopiche per cui vengono misurate ricorrendo a fenomeni caratteristici dei fenomeni ondulatori come la “diffrazione”. Onde in due dimensioni: esperimenti con un ondoscopio Studieremo perciò le caratteristiche della diffrazione utilizzando alcune esperienze condotte sulle onde sulla superficie dell’acqua con un “ondoscopio”: le onde in due dimensioni sono infatti le più facili da indagare perché, essendo superficiali, sono direttamente visualizzabili. 12 L’ondoscopio è una vasca in cui si possono generare delle onde superficiali e osservarle con un sistema stroboscopio come quello mostrato in figura. membrana oscillante fig. A1 vasca con acqua Le onde vengono generate trasmettendo alla superficie dell’acqua le variazioni di pressione dell’aria ottenute tramite le vibrazioni di una membrana eccitata da un’apposita unità di alimentazione: si ottengono così onde trasversali sulla superficie dell’acqua, che hanno un fronte d’onda piano, una ben determinata lunghezza d’onda λ e un determinato periodo T che è l’inverso della frequenza f a cui la membrana viene fatta oscillare. Per ottenere un’immagine stazionaria delle onde si utilizza una lampada stroboscopica sincronizzata con la frequenza del generatore che eccita la membrana: la vasca viene illuminata dalla lampada e con un proiettore l’immagine delle onde viene proiettata su uno schermo. In tal modo le creste delle onde si comportano come lenti convergenti in grado di creare delle linee luminose che si possono osservare sullo schermo, mentre i ventri si comportano come lenti divergenti dando luogo alla formazione di linee più scure. Dove non c’è oscillazione si ha una luminosità intermedia. Con l’ondoscopio è facile produrre e osservare il fenomeno della diffrazione che si verifica quando l’onda incontra un ostacolo e che è un tipico fenomeno ondulatorio osservabile anche con onde luminose, come abbiamo visto nella seconda attività. Nella figura A2, ottenuta con l’ondoscopio, l’ostacolo è rappresentato da una piccola barriera appoggiata sulla λ superficie che dovrebbe bloccare il passaggio di quella 2 parte dell’onda che le arriva dietro . Ci attenderemmo quindi che dietro l’ostacolo ci fosse una netta “zona λ d’ombra”, si osserva invece la presenza di onde anche λ nelle zone d’ombra, il che mostra che il fronte d’onda piano, incontrando l’ostacolo, si incurva al bordo. Ne concludiamo che la barriera non blocca interamente la fig. A2 parte dell’onda che incide su di essa, ma la lascia passare attenuandola e cambiandone la direzione. Invece, nella parte centrale, lontano dalla barriera, l’onda si propaga ancora con un fronte d’onda circa piano, con la stessa lunghezza d’onda λ dell’onda incidente. Se dalla parte opposta della barriera si mette un altro ostacolo creando una fenditura di larghezza a, le modifiche dell’onda che si propaga al di là della fenditura sono ancora più visibili e chiaramente correlate alla larghezza della fenditura, come illustrato nelle figure che seguono. Anche in questo caso, dato che il fronte dell’onda incidente è piano, ci attenderemmo che dietro l’ostacolo/fenditura ci fosse una zona d’ombra netta, si osserva invece la presenza di onde anche nelle zone d’ombra con da notare come sia chiaramente osservabile la distanza regolare λ fra i massimi oppure fra i minimi di luminosità, cioè appunto la lunghezza d’onda 13 2 delle configurazioni che si discostano da quelle attese in modo tanto più evidente quanto più piccola è la larghezza della fenditura. a a a θ λ fig. A3 fig. A4 fig. A5 In particolare per una fenditura come quella di figura A5 che ha una larghezza dell’ordine della lunghezza d’onda λ, si vede chiaramente che l’onda si propaga non solo in avanti, ma anche ad angoli diversi da zero rispetto alla direzione in avanti. Non si tratta però di un’onda “circolare”, perché un’onda circolare ha la stessa intensità in tutte le direzioni, mentre in questo caso l’onda ha un massimo in avanti, che si attenua fino ad avere un minimo a un angolo θ indicato in figura, per poi aumentare nuovamente in intensità, fino a un massimo, seguito da un nuovo minimo, e così via.L’angolo θ a cui si verifica il primo “minimo di diffrazione” è tale che senθ ≈ λ/a. Ciò spiega perché l’effetto si vede bene se la larghezza della fenditura è dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda λ: se infatti fosse molto maggiore, l’angolo θ sarebbe piccolissimo, come appunto avviene nell’ombra “geometrica”. Il principio di Huygens La figura di diffrazione può essere spiegata in modo intuitivo ricorrendo al principio di Huygens, chiamato così perché fu ipotizzato per la prima volta da Huygens, contemporaneo di Newton e fermo sostenitore della natura ondulatoria della luce. Secondo Huygens, tutti i punti che stanno su un fronte d’onda fungono da sorgenti puntiformi di un’onda circolare che ha la stessa lunghezza d’onda dell’onda incidente e si propaga in tutto lo spazio. Tutte queste onde sono emesse in fase3 dai diversi punti sulla fenditura e, negli istanti successivi, arrivano ancora con la stessa fase dell’oscillazione (avranno, ad esempio, tutte il massimo dell’oscillazione, oppure tutte il minimo) in punti che si trovano alla stessa distanza dai punti di partenza. Il fatto di avere più onde, anziché una sola, che si propagano “in fase” al di là della fenditura dà luogo a comportamenti particolari propri dei fenomeni ondulatori. Le onde godono infatti di una proprietà molto intuitiva4: quando due onde arrivano nello stesso punto allo stesso istante le loro 3 In un’onda l’ampiezza dell’oscillazione passa attraverso “fasi” diverse con l’evolvere del tempo. Ad esempio se, a un certo istante, la sua ampiezza è massima, dopo un tempo pari a ¼ del periodo T l’ampiezza è nulla, dopo T/2 è minima, cioè arriva al punto più basso, dopo tre quarti di periodo è nuovamente nulla per poi tornare al valore massimo dopo un periodo. La “fase” è appunto un modo di indicare brevemente il valore dell’ampiezza dell’oscillazione a un certo istante: c’è la fase di ampiezza massima, quella di ampiezza nulla o minima e di tutti i valori intermedi. Onde “in fase” fra di loro sono onde le cui ampiezze di oscillazione, a un certo istante, hanno la stessa fase, ad esempio sono entrambe massime, come appunto avviene per le onde che partono dai diversi punti sulla fenditura. 4 . È una proprietà che fa parte di un principio generale che regola i fenomeni ondulatori, chiamato principio di sovrapposizione lineare. Questo principio non vale per oggetti materiali, come due palline, che, lanciate da punti diversi, si trovano a dover passare per lo stesso punto allo stesso istante: le due palline, infatti, si scontrano e cambiano direzione, ma non si “sovrappongono”! Due onde invece possono benissimo trovarsi a “passare” nella stessa zona allo stesso tempo perché l’onda è estesa spazialmente e ciò che “viaggia” non è qualcosa di materiale ma è solo una “perturbazione” che può pertanto sovrapporsi ad altre perturbazioni che giungono nello stesso punto. 14 ampiezze si sommano. Nelle zone che si trovano alla stessa distanza dalla fenditura, le onde che provengono dai diversi punti della fenditura si sommano “costruttivamente”, perché nell’istante in cui la fase di un’onda corrisponde al massimo, anche la fase dell’altra onda corrisponde al massimo per cui l’ampiezza complessiva in quel punto è il doppio dell’ampiezza di ciascuna onda. Negli altri punti, in generale, la somma non è invece così “costruttiva”, perché le due onde, avendo percorso distanze diverse hanno impiegato tempi diversi e quindi si sono “sfasate” fra di loro: ad esempio, quando la prima onda raggiunge la fase di massimo in quel punto, la seconda non l’ha ancora raggiunta oppure l’ha già superata per cui la sua ampiezza non ha il valore massimo, ma ha un valore minore e, di conseguenza, la somma delle due ampiezze non è più pari al doppio della singola ampiezza come nel caso di distanze uguali. Nei punti in cui le due onde arrivano con fasi opposte, esse si cancellano a vicenda, dando luogo sempre a una oscillazione nulla: si dice che l’interferenza è distruttiva. Per capire meglio come ciò avviene, esaminiamo l’immagine della figura a P fianco, ripresa dalla figura A4 precedente ottenuta con l’ondoscopio inviando un’onda r piana contro una fenditura di larghezza a. All’istante della foto, l’onda ha un massimo r’ 1 del suo fronte d’onda proprio in 2 3 corrispondenza della fenditura. Sul fronte a 4 d’onda abbiamo preso, per semplicità, solo 5 6 punti (pallini verdi; per una simulazione 6 più realistica avremmo dovuto prenderne molti di più). Secondo Huygens ognuno di essi diventa sorgente di un’onda circolare. eguiamo, per semplicità di disegno, due sole di queste onde, quella che esce dal punto 1 in alto e quella che esce dal punto 4, che è circa al centro della fenditura. Quando arrivano in un qualunque punto P, non hanno più la stessa fase dell’oscillazione, perché il cammino r’ percorso dall’onda 4 è più lungo del cammino r percorso dall’onda 1, quindi la somma delle loro ampiezze non raggiunge mai il massimo. C’è però una situazione in cui le oscillazioni sono ancora in fase e si verifica quando la differenza fra i cammini r e r’ è pari a una lunghezza d’onda, perché in quel caso l’onda 4 ha semplicemente fatto una intera oscillazione in più rispetto all’onda 1 ed è ritornata in fase. Lo vediamo meglio nella figura che segue. P r r’ A a/2 C B θ Po a/2 L schermo 15 Si suppone che lo schermo su cui si raccoglie l’immagine sia posto a una distanza L dalla fenditura molto grande rispetto alla larghezza a (cosa che avviene sicuramente date le dimensioni microscopiche della fenditura): in queste condizioni si può assumere che, prendendo sul segmento CP che congiunge il centro della fenditura con il punto P (CP=r’) un punto B a distanza r da P il triangolo ABC sia circa rettangolo e che l’angolo nel vertice CÂB sia circa uguale a θ. Ne segue che la differenza di cammino fra i due raggi, CB=b=r’-r, è circa uguale alla semilarghezza a/2 della fenditura per il seno dell’angolo θ: a b = senθ 2 Se b è uguale a mezza lunghezza d’onda, le ampiezze delle due onde si cancellano a vicenda, perché quando l’ampiezza di una delle due onde è massima, quella dell’altra onda è minima e viceversa, cioè le due onde interferiscono distruttivamente (pertanto, nel caso della luce si verifica un minimo di luminosità, come osservato nella seconda attività). Se b invece è uguale a una intera lunghezza d’onda, le ampiezze delle due onde si sommano, perché sono in fase: si dice che le due onde interferiscono costruttivamente (pertanto, nel caso della luce si osserva un massimo di luminosità). Nell’attività 2 abbiamo usato sempre la condizione di interferenza distruttiva (minimi di intensità) perché più facile da rilevare, quindi a senθ = λ (A1) Esistono anche massimi e minimi secondari ad altre angolazioni che rispettano le stesse condizioni dei primi massimi o minimi di diffrazione con differenze fra i cammini pari a un numero crescente, intero o semi intero, di lunghezze d’onda, ma con intensità rapidamente decrescente. Il risultato teorico è riportato nel grafico a fianco che mostra l’intensità in funzione della posizione (in ascissa è riportato a sinθ / λ). La diffrazione da un reticolo Un “reticolo” consiste di una serie di fenditure tutte uguali, ciascuna di larghezza a, poste a una distanza regolare d una dall’altra. La distanza d è chiamata “passo del reticolo”. Usiamo un modello ondulatorio basato sul principio di Huygens anche per spiegare la figura di diffrazione da parte di un reticolo formato da una serie di fenditure. Come sopra ricordato, secondo Huygens, se su una fenditura si fa incidere un’onda piana, il reticolo si comporta come un insieme di sorgenti puntiformi coerenti, S2 una per ogni fenditura. Esaminiamo, ad esempio, il caso di S1 un’onda che incide in direzione perpendicolare a un reticolo che ha un passo d (figura a fianco). Le linee S tratteggiate rappresentano i fronti d’onda su cui a un certo istante l’onda ha ampiezza massima: essi sono paralleli al T1 T2 piano delle fenditure. I massimi delle onde che escono da T fenditure vicine, come S, T, U, ecc., dopo un tempo pari a 1 periodo si trovano sulla superficie di sfere di raggio λ, U come nei punti S1, T1, U1, ecc., dopo 2 periodi nei punti U S2, T2, U2, ecc. delle sfere di raggio 2λ, e così via. d Muovendoci quindi nella direzione in avanti, i massimi si U2 ripresentano sempre, dopo un periodo, alla stessa distanza dal piano delle fenditure e quindi il fronte d’onda è ancora parallelo al piano delle fenditure e l’onda si propaga in avanti nella stessa direzione del fascio incidente. 16 Tuttavia c’è un’altra direzione θ lungo la quale le onde che escono dalle diverse fenditure, pur percorrendo distanze diverse, viaggiano sempre in fase perché le distanze percorse differiscono di un numero intero di lunghezze d’onda, come si vede dalla figura a fianco, che riprende la figura precedente evidenziando meglio le onde uscenti dalle fenditure. I massimi si trovano infatti anche su un fronte d’onda che forma un angolo θ con il piano delle fenditure, passa per il punto di mezzo della fenditura T ed è tangente nel punto S1 alla sfera di raggio λ che ha centro nel punto di mezzo della fenditura S. Questo fronte d’onda è seguito, a distanza λ, da un fronte d’onda parallelo che passa per il punto di mezzo della fenditura U, è tangente nel punto T1 alla sfera di raggio λ che ha centro nel punto di mezzo della fenditura T ed è anche tangente nel punto S2 alla sfera di raggio 2λ che ha centro nel punto centrale della fenditura S. Il ragionamento può essere ripetuto per il fronte d’onda parallelo che passa per il punto di mezzo della fenditura V ed è tangente alle sfere di raggio λ, 2λ e 3λ che escono dalle fenditure U, T e S. Tracciando le perpendicolare ai fronti d’onda otteniamo la direzione lungo cui viaggia il raggio diffratto. Ragionando in termini di cammino percorso dall’onda, possiamo pensare che, quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge nel punto S1 ha già percorso una intera lunghezza d’onda, mentre, contemporaneamente, il massimo è appena arrivato alla fenditura T e deve ancora arrivare alla fenditura U. Così pure quando il massimo dell’onda che esce dalla fenditura S giunge in S2 ha già percorso 2 lunghezze d’onda, quello che esce dalla fenditura T è giunto in T1 e ha già percorso 1 lunghezza d’onda mentre il massimo è appena arrivato alla fenditura U. L’angolo θ a cui ciò succede è tale che d sen θ = λ θ d S S1 S2 T S3 T1 T2 U U1 V θ S S1 S2 θ T T1 T2 U d U1 U2 (A2) Potete vederlo, ad esempio, esaminando il triangolo rettangolo TUT1, dove l’ipotenusa TU è il passo d del reticolo e l’angolo al vertice U è appunto θ . In corrispondenza di questa direzione tutte le fenditure interferiscono costruttivamente e si ha perciò un massimo di intensità. Se invece la prima fenditura non interferisce costruttivamente con la seconda, poiché le fenditure sono molto numerose, esisterà certamente una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Sia ad es. la 50° fenditura. Allora la 2° fenditura interferirà distruttivamente con la 51° e così via. Particolarità del reticolo, infatti, è che, discostandosi anche di poco dai valori di θ sopra menzionati, a causa dell’elevato numero di fenditure, si verifica subito una interferenza distruttiva (buio). 17 Se, ad esempio, la differenza di cammino ottico tra due fenditure contigue è dsinθ =(k+0,005)λ c'è una fenditura che interferisce distruttivamente con la prima. Volendo calcolarla, la differenza di cammino ottico tra la prima e l’ennesima fenditura sarà n d sinθ = (nk+0,005n) λ. Per n=100 si avrà n d sinθ = (nk+0,5n) λ =(2nk+1)λ/2. Quindi la prima fenditura interferirà distruttivamente con la 100°, la 2° con la 101° e così via, originando una frangia scura. Se la luce incidente è monocromatica, raccogliendo su uno schermo la luce uscente dal reticolo si otterranno frange chiare e scure, in corrispondenza ai vari valori di θ. Misurando θ è possibile risalire al valore della lunghezza d’onda. Inviando luce non monocromatica, invece, essa viene scomposta nella sue componenti monocromatiche, in quanto il valore di θ corrispondente alle frange chiare è una funzione della lunghezza d'onda. 18 B. Lo spettro luminoso: da Herschel a Wien e Planck Che la radiazione luminosa trasporti energia è esperienza quotidiana: basta mettersi al sole anche in una giornata invernale per sentire il tepore associato alla radiazione solare. Che però l’energia portata dalla radiazione sia diversa alle diverse lunghezze d’onda fu una grossa scoperta, opera di un celebre astronomo, Herschel, che all’inizio dell’Ottocento indagava sullo spettro solare. Herschel cercava di controllare, usando termometri con il bulbo direzione del infrarosso angolo di deviazione annerito, se i diversi colori raggio incidente raggi “scaldassero” tutti nello l rosso stesso modo e si accorse, prisma ponendo un prisma sul cammino di un pennello di violetto raggi solari per farli deviare, che giunge della radiazione che porta energia anche al di là del rosso, scoprendo così l’infra-rosso. I raggi infrarossi sono anzi “più caldi” degli altri, cioè fanno salire più rapidamente la temperatura del termometro, perché vengono assorbiti con maggiore efficienza dalla materia solida o liquida. Durante tutta la prima metà dell’Ottocento gli “spettroscopisti” lavorarono a classificare e riconoscere tutti gli “spettri” di colore emessi e assorbiti dalle diverse sostanze, chiarendo così il ruolo che hanno i diversi modi di interazione fra la radiazione e la materia nel determinare il colore della luce. Le leggi principali sono: - un corpo può emettere radiazione (diventare cioè una sorgente di radiazione) trasformando in energia radiante altre forme di energia (ad es. in una lampadina accesa si trasforma energia elettrica in energia radiante, attraverso diverse trasformazioni intermedie), oppure può assorbire in tutto o in parte la radiazione; se l’assorbimento è parziale, la radiazione non assorbita può essere trasmessa (corpi trasparenti) oppure diffusa, eventualmente in modo speculare (riflessione speculare); - l’intensità della radiazione emessa o assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende principalmente dalla temperatura: aumentando la temperatura aumenta l’emissione alle piccole lunghezze d’onda (lo spettro si sposta verso il violetto); - per una buona emissione nel visibile occorrono temperature di migliaia di gradi (la temperatura della superficie del Sole è stimata essere intorno a 6500 K); a temperature inferiori, l’emissione nel visibile non è apprezzabile, mentre rimane importante quella nell’IR; - a parità di temperatura, l’intensità della radiazione emessa, assorbita o diffusa alle diverse lunghezze d’onda (cioè ai diversi colori) dipende dal corpo: ad esempio un oggetto “rosso” diffonde prevalentemente le lunghezze d’onda del rosso e assorbe gli altri colori, un oggetto “bianco” diffonde in modo circa uguale tutti i colori, un oggetto “nero” li assorbe tutti; - si ha uno “spettro di corpo nero” quando la radiazione non esce dal corpo, ma rimane al suo interno, come appunto avviene in un oggetto nero ideale; un corpo nero si ottiene idealmente con una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, all’interno della quale la radiazione viene emessa e assorbita dalle pareti in condizioni di equilibrio; - è possibile calcolare teoricamente lo spettro di copro nero partendo da principi primi statistici, cioè dall’ipotesi che la radiazione scambi casualmente energia con la materia con cui è in contato mantenendo un “equilibrio termico”. La prima formula per la distribuzione dell’intensità della radiazione in funzione della lunghezza d’onda fu derivata da Wien alla fine dell’Ottocento e 19 condusse alla legge nota come “legge di Wien”, che lega la temperatura assoluta T alla lunghezza d’onda λmax alla quale si verifica il massimo dell’intensità luminosa: λmaxT = A intensità (unità arbitrarie) dove la costante A vale circa 0,003 m⋅K. Pur non essendo rigorosamente corretta, la legge di Wien rendeva conto delle osservazioni sperimentali che indicano un legame fra la temperatura della sorgente e l’energia dell’onda elettromagnetica alle diverse lunghezze d’onda, a differenza di quanto valeva nella legge derivata precedentemente sulla base delle sole equazioni di Maxwell, in cui l’energia portata da un’onda elettromagnetica non dipendeva direttamente dalla temperatura della sorgente; - la formula teorica corretta fu derivata da UV visibile infrarosso 250 Planck nel 1901, postulando l’esistenza di 6000 K 3000 K 1000 K una nuova costante naturale, il quanto di 200 azione h, e proprio da questa formula iniziò la lunga storia della meccanica quantistica. 150 Alcuni esempi di spettri per diverse temperature sono mostrati nella figura: si 100 vede chiaramente che, in accordo con la legge di Wien, la lunghezza d’onda a cui si 50 verifica il massimo si sposta verso valori più bassi al crescere della temperatura. Lo spettro 0 0 400 800 1200 1600 2000 2400 2800 3200 3600 4000 a 6000 K è abbastanza simile allo spettro lunghezza d'onda (nm) della luce solare, il che indica che la temperatura alla superficie del Sole è circa 6000 K. Come Wien e la maggioranza dei suoi contemporanei, Planck riteneva che il processo di emissione della radiazione avvenisse ad opera di elettroni presenti all’interno del corpo che oscillavano con un’elevata frequenza. Egli si rese conto che, per spiegare i risultati sperimentali occorreva formulare alcune ipotesi che stabilivano un legame tra l’energia emessa da un singolo oscillatore e la frequenza f della radiazione, e precisamente che: • • • l’energia E della radiazione emessa da un singolo oscillatore è multiplo intero di una energia fondamentale E0 (E=nE0); l’energia E0 è proporzionale alla frequenza E0=hf dove h=6,626⋅10-34Js Queste tre ipotesi bastano per spiegare qualitativamente il significato della legge di Wien e il valore della costante A. Infatti si sa, dalla teoria cinetica dei gas, che la tipica energia di un “oscillatore” che si trova in un corpo alla temperatura assoluta T è dell’ordine di kB T, dove kB è la costante di Boltzmann, pari a circa 10-23 J/K: nell’emissione della radiazione, anche l’energia E0 del “quanto di radiazione”, dovrà essere dello stesso ordine di grandezza, quindi hf = hc/λ (c è la velocità della luce, pari a 3⋅108 m/s). Eguagliando le due energie si trova appunto che Tλ ≈hc/ kB, cioè è una costante il cui ordine di grandezza è quello della costante A della legge di Wien. L’intuizione di Planck fu poi approfondita nei lavori di Einstein sull’effetto fotoelettrico (1905) che contribuirono ad assegnare alla radiazione luminosa una natura “corpuscolare”, complementare a quella ondulatoria introducendo il concetto di “fotone” come “quanto di radiazione”: una radiazione monocromatica può anche essere vista come un flusso di fotoni, ognuno dei quali trasporta un’energia E=hf (e una quantità di moto p=E/c=hf/c, come verrà successivamente dimostrato da Compton). 20 C. Lo spettro solare e la temperatura delle stelle L’andamento generale dello spettro della luce di una stella, in particolare quello della luce solare, è simile allo spettro di un corpo nero alla temperatura corrispondente alla “superficie” della stella. Questo avviene non perché la superficie del Sole sia una “scatola chiusa”, mantenuta a una certa temperatura, come descritto sopra, ma perché si è stabilita in superficie una temperatura di equilibrio fra i meccanismi interni al Sole di trasformazione dell’energia nucleare e di quella gravitazionale in energia radiante e l’emissione dell’energia radiante che viene irradiata dalla superficie del Sole verso lo spazio esterno. Nella figura è mostrato lo spettro solare misurato in una giornata invernale serena con lo spettrofotometro Avaspec, senza apportare alcuna correzione per la sensibilità del rivelatore alle diverse lunghezze d’onda. sole1-ore15 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 300 400 500 600 700 800 lunghezza d'onda (nm) 900 1000 Nella figura che segue è invece mostrato lo spettro corretto in base alla curva di calibrazione con sovrapposta la curva di corpo nero calcolata alla temperatura che meglio si adatta (circa 5600 K). He4 Sole sole1-ore15 He3 Sole 4000 Hα Sole Hβ Sole He2 Sole 3500 He1 Sole Hγ Sole 3000 O atm 2500 2000 1500 1000 500 O, N atm 0 300 400 500 600 700 800 900 1000 lunghezza d'onda (nm) 21 Come si vede, l’andamento generale è descritto in modo ragionevole dalla curva di corpo nero, anche se la temperatura che meglio si adatta (5600 K circa) è notevolmente minore di quella stimata per la “superficie” del Sole (circa 6500 K). Ciò è dovuto all’assorbimento nell’atmosfera terrestre attraversata dai raggi, che ha uno spessore notevole in una giornata invernale, sia pure serena. Ciò appare evidente nella forte riga di assorbimento a 760 nm, dovuta all’ossigeno, e nella estesa banda di assorbimento sopra i 900 nm dovuta probabilmente sia all’ossigeno che all’azoto. Le deviazioni che si osservano alle piccole lunghezze d’onda, dove lo spettro misurato cade più rapidamente dello spettro teorico al diminuire di λ, sono invece dovute alla “diffusione Rayleigh”, secondo cui la luce viene diffusa dai gas dell’atmosfera in modo inversamente proporzionale a λ4: ad esempio, nel violetto-blu (λ≈ 400 nm) la luce è diffusa circa 6 volte di più che nel rosso (λ≈ 650 nm). L’intensità, che manca alle piccole lunghezze d’onda nei raggi che giungono in direzione del Sole, si ritrova guardando nelle altre direzioni, ed è per questo motivo che il cielo ci appare blu, perché vediamo i raggi diffusi che sono arricchiti alle piccole lunghezze d’onda rispetto ai raggi diretti. L’effetto è tanto più forte quanto più spesso è lo strato di atmosfera terrestre attraversato, come avviene ad esempio al mattino o alla sera, oppure se lo strato di aria è ricco di vapore d’acqua: in queste condizioni sono diffuse anche lunghezze d’onda maggiori, fino all’arancio o al rosso, per cui il cielo si tinge di arancio vicino alla direzione da cui provengono i raggi solari. Nello spettro sono visibili anche le righe di assorbimento che la radiazione subisce da parte dei gas presenti nell’atmosfera solare; in particolare si possono distinguere - tre righe di assorbimento dell’idrogeno nel visibile (la così detta “serie di Balmer”), Hα a 656 nm, Hβ a 487 nm e Hγ a 431 nm, - quattro righe di assorbimento dell’elio: l’elio deve il suo nome proprio al fatto che fu scoperto sul sole –helios è il nome del sole in greco– attraverso queste righe di assorbimento, che si vedevano nell’atmosfera solare mentre non erano mai state osservate in gas noti sulla Terra, perché l’elio, essendo molto leggero, sfugge dall’atmosfera terrestre. 22