Chirurgia plastica

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CHIRURGIA PLASTICA
Patologie d’interesse nella chirurgia plastica sono:
-
tumori cutanei e dei tessuti molli;
-
traumi di viso e arti;
-
malformazioni;
-
radiodermiti, ulcere da decubito, ulcere degli arti;
-
ricostruzioni;
-
risoluzione delle visibilità delle cicatrici.
CICATRIZZAZIONE
Quali sono i metodi per cercare di ridurre al minimo gli eventi visibili di una cicatrizzazione? E come si fa a ridurre una cicatrice già formata?
Innanzitutto bisogna lavare la ferita; questo serve ad evitare l’accumulo dei detriti, che, nel
futuro, corrisponderanno a pigmentazioni “fastidiose” in sede della cicatrice. E poi, occorre suturare
iniziando dal sopracciglio. Questo vale ovviamente se la ferita è frontale e passa dal sopracciglio; in
questi casi il primo “punto” da suturare è proprio quello in corrispondenza dell’arcata sopraccigliare, sì da tenere orientati i tessuti in modo normale. Questi due accorgimenti spesso non vengono seguiti nei pronto soccorso.
Le ferite possono essere superficiali o profonde. Le ferite superficiali interessano
l’epidermide e – tutt’al più – gli strati superficiali del derma. Le ferite profonde, invece, interessano
anche il derma e, quindi, per la loro guarigione risulta più complessa.
Al trauma segue una subitanea vasocostrizione. Dopo un certo tempo, per effetto
dell’istamina1, si realizza una vasodilatazione, e la zona interessata, per conseguenza, si rigonfia, in
quanto si realizza trasudazione. Dal vaso fuoriescono però anche elementi corpuscolati, che migrano nella sede della lesione; questi sono i granulociti e i monociti (questi ultimi hanno il ruolo di
“spazzini”), che servono a mediare la risposta biologica alla “noxa” in questione. Il trauma è una ferita, quindi ha realizzato un taglio. Le cellule epiteliali migrano nel punto più basso di tale taglio e
ricostruiscono lo strato perso con l’abrasione; questo strato è inizialmente molto sottile, fragile, poiché è formato da un’unica fila di cellule. Le cellule epiteliali migrate, dal canto loro, lasciano un
“vuoto” nel punto d’origine: tale vuoto è colmato da cellule neoformate, per mitosi delle cellule rimaste in situ.
Oltre a tutto questo, nelle ferite profonde si realizza anche una fibroplasia, cioè una ricostituzione dei tessuti connettivali. La fibroplasia avviene contemporaneamente alla riepitelizzazione, e
punto di partenza è la formazione del coagulo ematico che segue la ferita. Lungo il reticolo di fibrina da cui è costituito il coagulo migrano i fibroblasti, che riescono a ricostruire2 la citoarchitettonica
del tessuto.
Al termine di questi processi si realizzano la contrazione dei margini e la maturazione della
cicatrice. Il riavvicinamento (contrazione) dei margini avviene non immediatamente, ma solo dopo
un certo periodo in cui, invece, i margini della ferita tendono ad allontanarsi; il tempo necessario al1
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Ma della “gestione” del rilascio di questa istamina si sa poco o niente
Anche per questo evento non si hanno dati dettagliati
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la completa contrazione dei margini può durare fino a 20-24 giorni. Per quanto invece riguarda la
maturazione della cicatrice, questa è diversa a seconda della sede. Ad esempio, i punti sul viso vanno tolti al 5°-6° giorno, mentre quelli sugli arti inferiori vanno tolti introno al 15°-20° giorno. Sul
viso infatti si realizza una trazione differente rispetto agli arti. La maturazione della cicatrice è
completa quando viene ripristinata la forza tensile, cioè dopo mesi! Il processo va a buon fine quando le fibre collagene risultano orientate come da norma e divengono insolubili. L’intervento chirurgico sulla cicatrice è possibile solo quando la cicatrice ha i caratteri di una cicatrice maturata.
E’ chiaro che le diverse fasi in cui è suddivisibile la cicatrizzazione può essere variamente
influenzata da diversi fattori. Un’alterazione del fenomeno della cicatrizzazione è rappresentato dalla retrazione cicatriziale. La retrazione è diversa dalla contrazione. La contrazione è un fatto fisiologico, la retrazione no. La retrazione si realizza poiché nel tessuto di granulazione che si forma in
occasione della riparazione cicatriziale si pongono dei fibroblasti particolari, contenenti microfibrille. Queste cellule hanno un aspetto simil-miofibroblastico; stimoli di tipo infettivo possono esagerare l’attività di tali cellule, dando luogo ad una retrazione.
Tempi per la guarigione delle ferite
Fase infiammatoria
5 giorni
Fase di proliferazione
Dal 2° al 3° giorno
Fase riparativa
Dal 7° al 21° giorno
Fase di maturazione
Da 8 a 12 mesi
Influiscono negativamente sulla cicatrizzazione malattie del ricambio (ad es., diabete), disordini metabolici (es., avitaminosi), alterazioni ormonali (es., ipotiroidismo), malattie cardiovascolari, disordini coagulativi. Inoltre fattori “locali” che hanno importanza nel processo di cicatrizzazione sono da ricercare nelle caratteristiche della ferita (tipo, sede e dimensioni), nell’apporto
sanguigno, nelle eventuali sovrainfezioni, nella mobilizzazione dell’area traumatizzata; e poi, ancora, l’influsso di raggi UV, della temperatura e della “pelle sebacea” è certamente nemico della buona cicatrizzazione.
Le cicatrici vanno sempre idratate.
Le cicatrici patologiche possono essere:
-
cicatrici “esagerate” Æ ipertrofiche, cheloidee
-
cicatrici “rimaneggiate” Æ atrofiche, retraenti
Le cicatrici ipertrofiche, così come i cheloidi, sono più frequenti nei soggetti magri, possono
essere favorite dalla presenza di corpi estranei o batteri in sede di formazione, riconoscono un certo
substrato genetico (HLA); la loro causa non è ben nota, forse c’è un aumento di Ig G o dell’attività
degli ormoni tiroidei T3 e T4; forse l’ipossia condiziona la contrazione dei miofibroblasti.
Nonostante quanto sopra faccia somigliare le cicatrici ipertrofiche ai cheloidi, in realtà le
due manifestazioni sono differenti. Infatti le cicatrici ipertrofiche si presentano come un aumento
del volume cicatriziale contenuto – a differenza che nei cheloidi – entro i margini della ferita. Inoltre hanno regressione spontanea, e hanno una organizzazione istologica ordinata, contrariamente a
quanto invece avviene con i cheloidi. I cheloidi, anzi, recidivano dopo escissione! Le cicatrici ipertrofiche, ancora, hanno aspetto cordoniforme e durano più a lungo delle cicatrici normali.
Le cicatrici ipertrofiche possono essere trattate localmente con infiltrazioni di cortisonici, o
con crioterapia (N2 liquido), o con radioterapia, o con elastocompressione. Il metodo più utilizzato a
3
Bari è l’applicazione di fogli di elastòmeri di silicone; l’applicazione di tali prodotti “va bene”, ma
non si sa il meccanismo d’azione.
I cheloidi potrebbero derivare da una perdita del controllo sull’attività dei miofibroblasti, o
da difetto genetico dei meccanismi di membrana che bloccano normalmente la crescita quando c’è
contatto tra due cellule3. Il trattamento dei cheloidi potrebbe essere anche farmacologico. C’è infatti
una sostanza che può controllare il turnover del collagene, ma si hanno effetti collaterali abbastanza
gravi. Dunque il cheloide non può che essere trattato chirurgicamente.
Le cicatrici atrofiche sono biancastre, depresse, fragili. Anche in queste cicatrici, potrebbero
essere utilizzate alcune sostanza farmacologiche, solo che il loro risultato è incostante.
FERITE
Nel caso di una ferita occorre innanzitutto detergere accuratamente la ferita. Quindi, bisogna
eseguire una minuziosa toilette chirurgica dei margini e del fondo della lesione; poi, praticare
l’emostasi. I tessuti vanno maneggiati con estrema delicatezza, affrontando con precisione i margini
della ferita curando di evitare ogni tensione. Si usino materiali di sutura inerti; i margini della ferita
devono essere lievemente estroflessi, quando vengono suturati. Per praticare l’emostasi, bisogna
pinzettare il vaso profondo della ferita e applicare il diatermocoagulatore sulla pinza. Ma esistono
anche altre maniere per farlo.
Ovvio che, alla fine, risulta una cicatrice. Bisogna fare in modo che le cicatrici cadano lungo
le pieghe di espressione o le linee interregionali; e ciò per diminuire la tensione esercitata sulla cicatrice. Ricordare che le linee di espressione sono perpendicolari ai fasci muscolari (utile particolare
per la riparazione di ferite sul volto). Quando si mette un punto semplice, questo deve essere simmetrico dai due lati. L’ago deve entrare perpendicolarmente al piano cutaneo, dai due lati.
Lo scollamento della ferita è diverso nelle diverse parti del corpo. A es., sul volto la vascolarizzazione è elevata, per cui lo scollamento può avvenire a livello di derma. Invece altrove, ad es.,
nelle gambe, la vascolarizzazione è inferiore, per cui lo scollamento deve essere più profondo, per
non rischiare problemi di mancata rivascolarizzazione. Nelle gambe, infatti, non vi sono vasi molto
superficiali, quindi lo scollamento non può essere limitato al derma.
I materiali di sutura possono essere riassorbibili o non riassorbibili. I primi andranno utilizzati per le suture nei piani profondi, gli altri, invece, nelle suture sui piani superficiali. Le suture sui
piani superficiali devono essere meno tenaci di quelle sui piani profondi, che invece rappresentano
le “vere” suture. I materiali riassorbibili possono essere naturali o sintetici; quelli naturali hanno
tempi di riassorbimento e di tensione bassi, mentre quelli sintetici hanno tempi di riassorbimento e
di tensione elevati. Il tempo di tensione, che è in realtà il parametro più importante, è il tempo che
passa finché il punto “tiene”; il tempo di riassorbimento, invece, è il tempo in cui il punto scompare
dalla sua sede.
TECNICHE DI RIPARAZIONE
Le riparazioni possono avvalersi di innesti cutanei, oppure di lembi cutanei. La differenza tra
innesti e lembi è che i primi risultano formati da epidermide e derma, mentre i secondi risultano
composti anche da sottocutaneo; il lembo cutaneo, pertanto, è provvisto di circolazione autonoma.
3
Cioè della inibizione da contatto
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Quando bisogna inserire un innesto, questo viene staccato da una sede di prelievo ed inserito
in un’altra sede. Nell’area di prelievo permangono elementi germinativi che garantiscono una riepitelizzazione.
Gli innesti vengono prelevati con un dermotomo, più frequentemente da braccio/avambraccio o coscia. Esistono vari tipi di dermotomo: esempi, quello di Blair (solo lama),
quello di Humby (lama + rullo).
Gli innesti possono avere vario spessore, e in base ad esso si distinguono:
1) innesti sottili Æ epidermide + piccola parte del derma;
2) innesti medi Æ epidermide + gran parte del derma;
3) innesti totali Æ epidermide + tutto il derma;
4) innesti parziali spessi Æ come i totali, ma c’è una differenza.
A seconda della provenienza, si parla di auto- ed omo- innesti. Gli autoinnesti sono prelevati
dalla stessa persona, gli omoinnesti sono invece prelevati da altri soggetti. Per questi ultimi c’è il
problema della compatibilità, per cui essi vengono utilizzati come copertura temporanea in mancanza d’altro (ad es., nelle ustioni estese). In alcune condizioni, però4, gli omoinnesti possono rappresentare la soluzione ideale; si tratta però di una rara evenienza: 1 caso su 8 milioni di persone!). Una
più fine divisione degli omoinnesti li dividerà pertanto in isoinnesti (innesti “compatibili”, mosche
bianche) e alloinnesti (innesti “diversi”, normali).
Un terzo gruppo di innesti prende il nome di xeroinnesti. Si tratta di innesti provenienti da
esemplari di specie diverse (molto usato il maiale); è ovvio che anche in questo caso si tratta di un
qualcosa di temporaneo. Comunque, vanno bene per diminuire le infezioni e le perdite di liquidi.
Queste ultime sono da non sottovalutare nei soggetti ustionati, poiché possono portare a shock.
L’innesto, una volta posizionato, riceve la sua vascolarizzazione entro pochi giorni. In pochi
giorni, cioè, si assiste ad una neoangiogenesi in sede di innesto. Prima di essa, ad ogni modo, la nutrizione dell’innesto è assicurata per diffusione plasmatica dai piani sottostanti. Da evitare
l’interposizione di un ematoma troppo spesso e la mobilizzazione, che è nemica dei vasi neoformati,
ancora fragilissimi.
USTIONI
L’ustione è una lesione cutanea (ed eventualmente anche delle strutture sottostanti) dovuta
ad agenti fisici (es., alte temperature), elettrici, chimici (acidi, alcali), radianti. Si possono classificare in superficiali, intermedie e profonde. Le intermedie, a loro volta, possono essere superficiali (interessano cioè il derma superficiale) o profonde (interessano cioè il derma a quasi tutto spessore).
Nelle ustioni superficiali, il danno è limitato allo strato epidermico; c’è eritema e ipertermia.
Nelle ustioni intermedie si realizza una flittène, cioè un leggero rigonfiamento dovuto a raccolta di
siero. Nelle ustioni profonde la necrosi si estende alle strutture subdermiche, realizzandosi così
un’escara. Questa potrà essere secca o umida.
Gli agenti fisici hanno un rapporto causale con le ustioni. Una temperatura che va da 50 °C a
70 °C può dar luogo ad alterazioni funzionali, mentre la necrosi si realizza di solito per temperature
superiori a 70 °C. Tuttavia è anche importante il tempo di applicazione, e non è quindi detto che sia
sempre in quel modo. Anche la qualità dell’agente termico ha il suo ruolo: se questo è solido, lascerà una lesione “a stampo”, se è liquido realizzerà delle “colate”, se è gassoso, infine, darà luogo a
lesioni da inalazione.
4
Cioè quando venga ad essere innestato un pezzo immunologicamente compatibile
5
Gli agenti chimici acidi danno luogo a coagulazione proteica, mentre le sostanze alcaline
danno luogo a colliquazione proteica.
Per quanto attiene le ustioni elettriche5, per scariche da 100 a 220 V si realizza una elettrocuzione, per scariche superiori a 300 V si realizza una folgorazione. Il calore prodotto dipende dalla
d.d.p. applicata, e dalle resistenze tissutali: i tessuti normalmente disidratati diverranno più caldi
perché non potranno dissipare il calore.
Per indicare grossolanamente la superficie corporea ustionata si utilizza la “regola del 9”. In
pratica la superficie corporea è divisa in scomparti, ognuno dei quali rappresenta un 9 (o multiplo di
9) percentuale. Il disegno chiarisce tutto. Per ustioni estese ad oltre il 20% della superficie corporea
il paziente è da considerare grave, e va ospedalizzato. Per i bambini basta una superficie corporea
ancora minore; idem per gli anziani.
9%
9%
9%
18%
Oltre alla superficie corporea compromessa, altri parametri prognostici sono
la % di profonda, la sede dell’ustione, le malattie associate (ad es., infezioni sovrapposte) e il tempo trascorso dal trauma fino al ricovero.
Operazioni di pronto soccorso consistono nell’allontanamento degli elementi
bruciati, con il raffreddamento delle aree lese; quest’ultima operazione ha un senso
18%
solo entro 20 minuti dalla ustione. Rianimazione cardio-respiratoria, se necessaria,
così come il cateterismo vascolare e la terapia anti-shock. La profilassi antitetanica
18%
non si nega a nessuno, così come la medicazione e il monitoraggio ematochimico.
Le medicazioni sono diverse; per le ustioni superficiali ed intermedie si utilizzeranno medicazioni sterili semplici, mentre per le ustioni intermedio-profonde e profonde si utilizzeranno presidi farmacologici quali sulfadiazina argentica e collagenasi.
1%
Il trattamento topico delle ustioni può essere condotto con:
a) detersione Æ allontana detriti necrotici; può agire meccanicamente (acqua, sapone) o
chimicamente (collagenasi), e quindi con mezzi tensioattivi o con enzimi litici;
b) antisepsi Æ riduce la contaminazione batterica; si usano sulfadiazina argentica, clorexidina, polivinilpirrolidone. Questi agenti hanno una elevata capacità di penetrazione nel
tessuto necrotico, un ridotto assorbimento sistemico, un elevato potere battericida e fungicida;
c) medicazione Æ garze sterili, etc.
La fase acuta di una ustione può portare allo shock. Essa dura da 36 a 48 ore. Alla fase acuta
segue la fase subacuta, che può portare a complicanze tossinfettive. Infine vi è la fase cronica, che è
ovviamente distrofica.
Lo shock collegato alle ustioni è di tipo ipovolemico. La perdita di plasma si traduce in una
diminuzione della p.a., della p.v.c. e della diuresi, con un aumento (relativo) dell’ematocrito. Le fasi
dello shock, come sappiamo, sono vasocostrizione, espansione dello spazio vascolare, CID (da stasi), fibrinolisi. In maggior dettaglio, succede che nel microcircolo si realizzano degli shunt arterovenosi che “saltano” i capillari. Ciò consente di acquisire sangue là dove serve di più, e cioè nei distretti più profondi. Tuttavia l’ischemia6 intestinale che si realizza consente il passaggio di germi
verso la sottomucosa (il fenomeno della traslocazione batterica), importantissima fonte di infezione
nel paziente ustionato. Gli shunt arterovenosi vengono in un secondo momento riaperti, ma il microcircolo risulta bloccato sul versante venoso: si realizza così trasudazione capillare e stasi, con rischio di CID.
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Così nella diapositiva
Riferita agli strati più superficiali
6
La fase subacuta (o tossinfettiva) si realizza dopo la 3° giornata. Si verifica un riassorbimento degli edemi e delle tossine batteriche provenienti dalle infezioni nelle aree lese. I batteri Gramsono quelli più invasivi. Possono dare setticemia Pseudomonas, Proteus, E.coli, Stafilococco aureo.
Fattori che influenzano l’insorgenza e il decorso dell’infezione sono le condizioni del paziente, fattori legati al germe in causa, ambientali (es., ambiente ospedaliero!), la % di superficie di ustione
profonda, deficit immunologici, stato di nutrizione, cateterismo, qualità e quantità di batteri (quantità superiori a 105 per g7 sono ad alto rischio di infezioni gravi.
L’intervento terapeutico è basato sulla chirurgia precoce e su trattamenti topici efficaci; la
terapia antibiotica deve essere mirata, con accurata gestione dei cateteri vascolari. Eventualmente si
procederà a nutrizione artificiale e alla somministrazione di composti immunostimolanti.
Importantissima la “fluidoterapia”. Come si reidrata il paziente in fase acuta? Beccati ‘sta
tabella e imparala:
RINGER LATTATO (se c’è acidosi)
Qualità di fluidi
SOLUZIONE BILANCIATA
SOLUZIONI IPEROSMOLARI
Quantità di fluidi (prime 24 ore)
Il 50% nelle prime 8 ore
L’altro 50% nelle successiva
16 ore, a velocità dimezzata
(peso corporeo) x (superficie % ustionata) x 4
(formula di PARKLAND, valore in ml)
Monitorare le attività fisiologiche del paziente in ogni caso
La funzione diuretica fisiologica è pari a 1 ml/kg/ora
Ovviamente nelle ustioni possono essere utilizzati dei sostituti cutanei. Questi andranno usati per una copertura temporanea in caso di ustioni intermedie o nelle aree escarectomizzate. Le proprietà ideali sono aderenza, elasticità, resistenza, porosità, maneggevolezza, basso costo. I vantaggi
sistemici che derivano dall’applicazione di un sostituto cutaneo sono una diminuzione delle perdite
elettrolitiche, proteiche ed ematiche, e una diminuzione della termodispersione. I vantaggi locali
consisteranno in una diminuzione della contaminazione batterica, in un aumento della vascolarizzazione e detersione, nell’induzione della riepitelizzazione e nella modulazione del tessuto di granulazione.
I sostituti cutanei possono essere sintetici, biologici o biosintetici (cioè sintetici + collagene).
La cute allogenica offre una copertura ottimale, e difatti rappresenta il substrato dermico di quella
cute rappresenta poi il tessuto definitivo della ricostruzione mediante utilizzo di cheratinociti autologhi8. Il derma allogenico, essendo scarso in antigeni, offre una buona compatibilità per
l’attecchimento in situ di cheratinociti autologhi, che ricostituiranno l’epidermide.
Per le ustioni profonde si fa chirurgia precoce. Queste ustioni, difatti, non possono guarire
spontaneamente. L’intervento viene anche giustificato da altri fatti, e cioè che quelle ustioni sono
grandi fonti di infezione e di tossine, o poiché l’intervento garantisce un precoce recupero funzionale, oltre ad assicurare un miglior risultato estetico. Si opera dopo la fase di shock.
Negli ustionati si utilizzano innesti sottili o, al massimo, intermedi.
7
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Aiuto! Cosa significa “g”?
Frase incomprensibile, perlomeno per le prime 15 letture
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LASER9
E’ l’acronimo si Light Amplificated by Stimulated Emission Radiation, cioè “luminosità
amplificata da radiazioni emesse mediante stimolazione”10. Come funziona il laser? Attraverso la
riflessione di una radiazione ottenuta mediante uno stimolo elettrico. Una stimolazione elettrica effettuata su un materiale particolare (ad es., il rubino) crea una radiazione di energia. E’ possibile
amplificare tale radiazione facendola emettere sotto forma di luce, e conferendogli una direzione ed
una lunghezza d’onda (di energia si tratta) particolare. Siccome la lunghezza d’onda è unica, il colore della radiazione è unico. Per questo le luci laser, quando visibili (quando cioè la lunghezza di
questa onda d’energia cade nello spettro del visibile), sono monocromatiche. Alcuni raggi laser non
sono visibili e, essendo dotati di elevata pericolosità, e non potendo essere utilizzati “alla cieca”,
vengono emessi assieme ad un raggio visibile, poco intenso, innocuo, ma che fa da “pointer”.
INNESTI CUTANEI
Una tipologia di innesti cutanei sono gli innesti a rete. Se il prelievo non basta a ricoprire
una determinata superficie, viene “tagliuzzato” da una macchinetta speciale, onde poter essere meglio disteso e adagiato, ad occupare una superficie maggiore. Così trattato, l’innesto assomiglia ad
una reticella bucherellata; tra le sue maglie avverrà la riepitelizzazione. Quest’ultimo processo, tuttavia, ha dei limiti, per cui, anche se teoricamente sarebbe possibile espandere una superficie “1”
fino ad una estensione superficiale “10”, in pratica l’innesto non viene esteso oltre il triplo della sua
superficie, pena una larghezza delle maglie eccessiva. Insieme agli innesti a rete, vengono talvolta
inseriti anche innesti interi (cioè normali), soprattutto nelle zone importanti, come il viso o le pieghe
flessorie, che avrebbero guarigione più lenta e quindi maggiori possibilità di sviluppare retrazione
cicatriziale.
Un altro tipo di innesti cutanei sono gli innesti alla Davis. Possono essere applicati su piccole aree, essendo molto piccoli (ma spessi, poiché ottenuti con un taglio tangenziale della cute, che
viene a comprendere anche parte del derma). Uno dei loro utilizzi è nella copertura delle ulcere da
decubito. Vengono applicati, in sede, tanti pezzettini, tutti nella stesse sede. L’area di prelievo guarisce in due settimane.
Gli innesti di cute totale vengono prelevati col bisturi (e non con il dermotomo). La guarigione nell’area di prelievo non è spontanea, per cui spesso l’area di prelievo è ellissoidale, sì da
consentire una facile suturazione; oppure, si può coprire l’area di prelievo con un innesto sottile. Esistono delle zone di prelievo preferenziali: ad esempio, per il viso la zona retroauricolare, per la
mano la piega del polso. Si tratta di trovare della cute11 simile a quella della zona da riparare. Una
volta prelevata, la cuta va sgrassata, e per far questo si utilizzano le forbici.
Gli innesti possono essere suddivisi in base alla loro composizione, come è stato visto in
precedenza; la differenza che c’è fra di essi consiste in caratteristiche quali il tempo di attecchimento (che è ovviamente sempre minore per spessori più elevati), il segno che rimane sull’area di prelievo, la capacità di dare luogo a retrazione (sempre minore per innesti più spessi), la fragilità, la
pigmentazione (maggiore sugli innesti più sottili) e, ovviamente, la resistenza (gli innesti più spessi
sono i più resistenti).
9
Attenzione: “lezione” tenuta da Musajo-Somma
Mi fido poco…
11
La cute non è uguale in tutte le zone del corpo
10
8
PLASTICA A “Z”
La plastica a zeta è una metodica riparativa che fa uso non di innesti cutanei ma di lembi. La
“Z” viene costruita in corrispondenza di una cicatrice preesistente. La “Z” è composta da una parte
centrale (o braccio comune) e due braccia, periferiche, più piccole (o rami laterali), e va costruita
tenendo presente che il braccio comune deve cadere sulla cicatrice. L’angolo di apertura della Z,
cioè l’angolo che ciascun ramo laterale deve formare con il braccio comune, deve essere di 60°,
poiché si è visto che con angoli più piccoli il risultato è meno positivo.
Per come viene eseguita, la plastica a Z non serve a riparare perdite di sostanza12, ma “ad allungare e riorientare cicatrici retraenti da ferite chirurgiche, accidentali e da ustioni”. La cicatrice
viene allungata e riorientata, così da poter cadere, ad es., sulle linee di espressione, ed essere meglio
mimetizzata, oltre ad assicurare una tenuta maggiore.
In pratica viene condotto un taglio di due lembi cutanei contrapposti, che, appunto, costituiscono la zeta; la contrapposizione di tali lembi, a forma triangolare, avviene in
corrispondenza del braccio comune della "Z". Nella figura
c’è, appunto, quello che avviene. Ottenuti, pertanto, questi
due lembi, vengono incisi e sollevati, e quindi incrociati fra
di loro. Il risultato, illustrato, è quello di allungare la cicatrice (ovviamente), e di cambiarne
l’orientamento. Questo può essere però fatto solo in una zona dove la cute è molto elastica.
Abbiamo già detto che la crescita in lunghezza è proporzionale all’ampiezza dell’angolo. Per
angoli di 60°, infatti, la crescita in lunghezza è pari al 75% circa. Un altro fattore condizionante è la
lunghezza dei rami laterali: per ogni cm, la cicatrice13 si allunga di 1,75 cm. Ricordatevi che la cicatrice – tutte le cicatrici, non solo quella della plastica a “Z” – può ulcerarsi e dare luogo a un carcinoma, oppure dare luogo a fenomeni di distrofia cicatriziale (le cicatrici distrofiche).
I lembi cutanei ottenuti devono avere delle precise caratteristiche; devono essere spessi, devono avere punte arrotondate (per far fronte a problemi di cicatrizzazione), e a loro carico si devono
evitare tensioni, ematomi e infezioni. La profondità del lembo deve arrivare almeno fino alla fascia
muscolare, ma per il viso il lembo può essere più sottile, dato che la vascolarizzazione è superficiale. Talvolta la “Z” può avere le punte arrotondate (cioè può essere costruita con i rami laterali ad
andamento curvilineo), per permettere una migliore circolazione (che, in effetti, al vertice può non
essere ottimale).
In alcuni casi si possono utilizzare delle plastiche a “Z” multiple. Si tratta di più “Z” messe
insieme per raggiungere allungamenti di una certa dimensione, se non è possibile allungare molto i
bracci di una singola “Z”. E così può essere possibile, ad esempio, realizzare un allungamento di 6
cm sfruttando una lateralità di soli 2 cm. Pertanto, per cicatrici lineari lunghe e molto tese è preferibile una ricostruzione con plastiche a “Z” multiple.
LEMBI
Il lembo, a differenza dell’innesto, è vascolarizzato; quindi la logica del lembo è, se vogliamo, la stessa logica dei trapianti.
I lembi vengono utilizzati infatti in determinate circostanze; quali sono le indicazioni? Una
di queste è il caso in cui l’area ricevente sia priva di una efficace vascolarizzazione. Infatti gli innesti non si possono mettere sui tendini, o sulle ossa, proprio perché non c’è vascolarizzazione; i lem12
13
Difatti viene eseguita in corrispondenza di una cicatrice pre-esistente
Il prof. Dioguardi ha utilizzato il termine “briglia cicatriziale”
9
bi, invece, sì. Inoltre i lembi sono indicati in caso di perdita di sostanza profonda, con strutture cartilaginee ed ossee scoperte, come nel caso di traumi della teca cranica; ancora, altre indicazioni sono nella funzione protettiva dell’area da riparare, o per semplice estetica (l’innesto, col tempo, assume i caratteri di una pezza).
Generalmente i lembi sono composti da una parte libera e da un “peduncolo”, o “base”, che
resta in sede e consente la vascolarizzazione della parte libera. Ma non sempre è così.
CLASSIFICAZIONE DEI LEMBI
Vascolarizzazione
origine
Di rotazione
Random
Assiale
Di tipo microchirurgico
“di vicinanza”
Per trasposizione
Di avanzamento
“a distanza”
I lembi random sono dei lembi – di forma variabile – ricavati in aree la cui vascolarizzazione è ignota. Per questa ragione non è possibile utilizzarli a piacimento: se ad esempio il lembo richiesto deve essere di forma rettangolare, il rapporto base/altezza non deve essere superiore a 1/3,
poiché in caso contrario è possibile che la parte più lontana dalla base del lembo risulti ipossica, e
quindi vada in necrosi.
I lembi di tipo assiale, invece, sfruttano la conoscenza anatomica di grosse arterie che decorrono in loro corrispondenza; in pratica la ampiezza del lembo è ricavata sulla base della conoscenza
della vascolarizzazione. Per questo motivo le dimensioni dei lembi assiali possono essere più “libere” rispetto a quelle dei lembi random, poiché in questo caso si sa precisamente la situazione relativa alla vascolarizzazione.
I lembi microchirurgici sono zone circoscritte che sono recise anche per quanto riguarda la
base; si tratta di veri e propri trapianti, con suture. Questo tipo di lembi, pertanto, può provenire anche da zone non contigue all’area da riparare.
I lembi di rotazione sono costituiti da un arco di semicerchio; tale arco di semicerchio è costruito su uno dei lati del cosiddetto “triangolo difetto”, cioè dell’area lesionata che si vuole ricoprire. Anche se l’area non è triangolare, il chirurgo la rende triangolare. Su uno dei cateti14 di tale
triangolo prende il via la costruzione – che deve rispettare regole geometriche – di un arco di semicerchio che viene successivamente fatto estendere e ruotare, sì da chiudere l’area lesionata. Quindi,
utilizzando parole altrui, il lembo di rotazione è un lembo random che viene scolpito lateralmente
alla perdita di sostanza secondo linee curve; ciò consente la sua rotazione attorno a un punto e il suo
spostamento sul difetto cutaneo da riparare, e tale movimento viene reso più agevole con l’incisione
di un area triangolare lateralmente al bordo esterno del lembo stesso. Non è possibile, per motivi
contingenti, “fare” il lembo di rotazione in ogni sede del corpo.
I lembi di avanzamento sfruttano la elasticità cutanea, ovviamente fino a un certo punto. Il lembo di avanzamento è costruito su un lato del margine dell’area scoperta; questa area viene coperta semplicemente stirandovi il lembo costruito. Come in figura.
Il lembo di avanzamento può essere “fatto” solo dove la cute scorre agevolmente.
14
Notare l’uso del termine “fattizzo”
10
I lembi di trasposizione sono dei lembi, sovente rettangolari, che vengono costruiti su un lato del “triangolo difetto”; il “triangolo” viene coperto dal lembo, che su esso viene trasposto. Questa
trasposizione (=spostamento laterale) lascia scoperta un’area, che viene a sua volta ricoperta con un
innesto. La figura spiega tutto. Domanda:
“visto che comunque c’è un’area scoperta
che viene coperta con l’innesto, non si può
mettere direttamente l’innesto sul ‘triangolo
difetto’, e così ci spicciamo?” No, perché
può darsi che il triangolo difetto possieda, ad es., dei tendini, e sui tendini l’innesto non ci può stare.
La plastica a “Z” è un esempio particolare di lembo di trasposizione15.
Agli esami16 potrebbero chiedere degli esempi di lembi. E allora, si possono citare i lembi
delto-pettorale, inguinale, ipogastrico, temporo-frontale, orbitario. Sono tutti quanti lembi a circolazione assiale.
Nelle regioni flessorie assolutamente non vanno messi lembi.
LABIOPALATOSCHISI
E’ una delle malformazioni più frequenti tra quelle dell’estremo cefalico; si calcola che colpisca circa 1 su 750 nati vivi, senza distinzioni tra maschi e femmine, con una predilezione per i
bianchi rispetto ai negri. La etiologia precisa non è nota, ma certamente diversi fattori concorrono
tutti insieme all’ottenimento di tale quadro. Si tratta di una condizione che prevede l’ereditarietà,
ma anche malattie infettive insorte durante la gravidanza, l’età avanzata della madre, stati dismetabolici, stati tossici, farmaci.
La schisi è una soluzione di continuità. Questa può interessare tutto il tratto che va dal labbro all’ugola, e allora si parla di labiopalatoschisi. Però si può avere anche una schisi che riguarda
solo il labbro (labioschisi), o il processo alveolare (gnatoschisi), o il palato duro (uranoschisi), o il
palato molle (stafiloschisi), o l’ugola (uguloschisi), oppure loro combinazioni (il nome varia di volta in volta, mettendo insieme i vari “pezzi”). La fenomenologia può essere mono- o bi- laterale. La
labioschisi può essere completa o meno, a seconda che siano coinvolte o meno le narici.
Nella labiopalatoschisi si realizza una ampia comunicazione tra cavità orale e cavità nasale,
con gravi problemi per il neonato, sebbene questi possa nutrirsi normalmente o bere il latte dalle
comuni tettarelle. Tuttavia, pur non morendo, questi bambini stanno male, perché hanno frequentemente la tosse e sono costretti ad assumere particolare posture per mangiare. Inoltre la comunicazione si allarga sempre più col tempo, poiché gli elementi muscolari “monchi” tendo a tirare in senso opposto simmetricamente. Per questo motivo l’intervento è tanto migliore quanto più
precocemente venga condotto. Si pensi che nella forma bilaterale completa di labioschisi si realizza
la formazione di un moncone labiale centrale che avanza sempre più, spinto dall’indietro dal setto
nasale; il profilo di questi bambini diventa così terrificante.
Il trattamento è mirato al ripristino della forma e della funzione della zona lesionata. La chirurgia della labiopalatoschisi può essere precoce o tardiva, a seconda della scuola di pensiero. In
Italia ci sono trecentomila scuole di pensiero, per cui ognuno fa come crede; quello su cui però tutti
sono d’accordo è che a questo trattamento venga associata, successivamente, una riabilitazione
“multidisciplinare”, che preveda, cioè, l’apporto dell’ortopedico, del logopedista, del foniatra, e così
via. La chirurgia precoce è giustificata dal fatto che occorre intervenire quanto prima possibile, come già visto. Ma è poi giusto intervenire su strutture ancora in formazione? E’ ragionevole esporsi
15
16
In effetti, pensandoci…
Questo è un paragrafo omaggio
11
al possibile rischio di asportare, ad es., un centro di ossificazione del palato? La chirurgia tardiva,
invece, non pone di questi problemi, ma rende l’intervento più difficile; inoltre rovina i primi anni
di vita del bambino.
Qual è allora il “timing” dell’intervento chirurgico, perlomeno quello che si usa qui a Bari?
-
a 2 mesi si pratica una semplice “lip adhesion”, se la schisi è grave (mono- o bi- laterale); si tratta di un semplice intervento che serve solo per chiudere temporaneamente le
labbra;
-
a 6 mesi si opera una chiusura “seria” del labbro e del palato molle; in più, viene condotta una correzione della piramide nasale;
-
a 2 anni si pratica una gengivo-alveolo-plastica con lembi muco-periostei;
-
a 9 anni vengono inseriti innesti d’osso per la correzione della gnatoschisi.
In realtà, appena nati, questi bambini vengono sottoposti alla applicazione di una “placca palatina”, cioè di un materiale resinoso che impedisca alla lingua di entrare nella cavità nasale. Si tratta di una misura
semplice e transitoria, ma che mette sulla buona strada le
cose; infatti l’allargamento – che se non si compie
l’intervento avviene sempre – è in questo caso rallentato. A
2 anni, inoltre, viene inserita una diversa placca palatina,
detta di espansione, e si inizia la logoterapia. Il trattamento
ortopedico-ortodontico inizia successivamente, quando il
mostro compie 6 anni, e gli vengono applicate apparecchiature differenziate. Il trattamento ortodontico definitivo è
compiuto a 6-12 anni. In figura è mostrato un fotogramma da “Arancia meccanica”, capolavoro di
Kubrick. Tutti questi trattamenti non sono stressanti e atroci come quelli del “piano Lodovico”?17
ANCORA A PROPOSITO DEL LASER18
Il laser garantisce una rapidissima guarigione, in assenza di grosse cicatrici e punti di sutura;
inoltre permette di ottenere un’emostasi ottimale – e questo è importante nel trattamento di pazienti
pericolosi quali gli emofilici – senza toccare il paziente; quest’ultima considerazione è importantissima per quanto riguarda le condizioni di sterilità. Ovviamente il laser può essere usato solo per interventi superficiali, data la non eccessiva capacità di penetrazione dei raggi – se consideriamo il
potenziale energetico ottenibile in ambito terapeutico. Sempre a proposito di sterilità, si tenga conto
che il laser fa raggiungere temperature elevate, che di per sé sono germicide!
Indicazioni prioritarie all’utilizzo del laser in terapia sono angiomi (quelli capillari, non
quelli cavernosi), teleangectasie, papillomatosi, verruche cutanee, neurofibromatosi, asportazione di
tatuaggi, tumori cutanei superficiali. Altri utilizzi sono nei granulomi cutanei piogeni, nelle sinechie
del frenulo linguale, per effettuare delle incisioni sterili, nei nevi congeniti giganti. Quest’ultimo caso è importante, perché si è visto che nel 10% dei casi i nevi congeniti giganti “fanno” il melanoma.
Il laser viene utilizzato personalizzandone le caratteristiche a seconda del paziente; aree
pigmentate, ad esempio, richiederanno per la loro penetrazione una lunghezza d’onda e una frequenza particolare, diversa da quella di aree, ad es., angiomatose. Per cui prima di ogni trattamento
17
Quest’ultima considerazione è dell’autore, e non è stata fatta a lezione! Il chirurgo pensa, invece, che si tratti di
un’ottima cosa!
18
Seconda lezione tenuta da Musajo-Somma
12
localizzato si fanno delle prove, che residuano piccolissimi “spot”, macchie; il test pre-trattamento
consente di non avere lesioni cicatriziali macroscopiche.
Talvolta il laser può essere utilizzato come un bisturi; in questo caso la luce viene veicolata
da punte di zàffiro. E’ il caso dell’utilizzo del laser in aree cavitarie, dove il chirurgo non vede direttamente dove il laser va a colpire, mentre può toccarle con la punta di zaffiro, dalla quale fuoriesce
il raggio laser.
IPOSPADIA
E’ la malformazione più frequente (1 caso su 300 maschi) tra quelle dell’apparato genitourinario, ovviamente maschile. L’ipospadia consiste nella presenza anomala del meato uretrale in
posizione di superficie ventrale del pene (quindi al di sotto della normale). La malformazione non è
solitaria, ma è di solito associata a stenosi del meato stesso, oppure all’incurvamento verso il basso
della parte distale al meato stesso, a criptorchidismo (questo avviene nelle forme meno semplici, più
gravi), o ad altre ancora. Da un punto di vista etiopatogenetico vi sono fattori concausali, e la familiarità è una di essi, sebbene vi incida poco. Nell’ipospadia l’uretra è più corta, poiché non ha uno
sviluppo completo; per questo motivo il meato uretrale risulta in posizione anomala; si tratta di alterazioni dello sviluppo che si realizzano intorno alla 12° settimana19. Il resto dell’uretra distale consiste in un sottile cordoncino fibroso che da luogo a retrazione, determinando quindi l’incurvamento
della parte distale del pene. Siccome nell’ipospadia l’uretra è più corta, la posizione del meato potrà
essere più o meno distale a seconda del momento in cui il fenomeno patologico si è verificato. Per
questo motivo sarà possibile repertare un’ipospadia a diverso livello; i casi più gravi presentano,
ovviamente, un meato uretrale in sede perineale. A seconda della posizione del meato, quindi,
l’ipospadia può essere balanoprepuziale, peniena (a sua volta alta, media o bassa), penoscrotale,
scrotale, perineale.
L’intervento chirurgico deve essere effettuato preferibilmente in età prescolare, per prevenire eventuali danni psicologici che la comunità scolastica può dare in questi soggetti. Gli interventi
prevedono, entro i primi 3 anni, una meatotomia, una correzione dell’incurvamento penieno con ricorstruzione della parte distale del pene mediante lembi; tra i 4 e i 5 anni, quindi, si provvede alla
ricostruzione prossimale. L’intervento non è scevro da complicanze. Una cicatrizzazione non desiderata può portare a stenosi uretrale; se “salta” qualcuno dei punti di sutura si possono avere – raramente, in realtà – delle fistole uretro-cutanee; poco frequenti, per anomalie della muscolatura del
canale uretrale, sono anche i diverticoli uretrali, che possono essere importanti fonti di infezione.
Se questa è l’ipospadia, l’epispadia è la stessa cosa, solo che il meato uretrale si trova sulla
superficie dorsale del pene, e quindi in posizione superiore rispetto alla norma; si tratta di una malformazione tanto più grave quanto più rara.
MALFORMAZIONI DEGLI ARTI SUPERIORI
Le malformazioni congenite degli arti riconoscono cause genetiche, ambientali (farmaci, dismetabolismi…), e una serie di cause che restano a tutt’oggi sconosciute. Anzi, il 40-50% di questi
fenomeni ha cause sconosciute. Sono patologie più frequenti nei negri che nei bianchi (il rapporto è
di 10 a 1)20. Queste consistono in:
19
20
-
polidattilia, cioè più dita rispetto alla norma;
-
sindattilia, cioè presenza di dita legate, unite, tra loro;
Invece la labiopalatoschisi si realizza per alterazioni dello sviluppo che si verificano tra la 4° e l’8° settimana
Questa statistica ricorda molto il “modus Giardinae” di spiegare
13
-
camptodattilia, cioè dita in anomala posizione di flessione;
-
clinodattilia, cioè dita deviate;
-
brachidattilia, cioè dita più corte della norma;
-
solchi congeniti, cioè restringimenti costrittivi della mano, a vari livelli.
Il “timing” per l’intervento chirurgico è sottoposto alle stesse problematiche viste per
l’intervento di labiopalatoschisi; si potrebbe cioè agire al più presto possibile, in modo da limitare
gli eventuali danno funzionali, ma rischiando di asportare importanti centri accrescitivi e/o regolativi. D’altro canto, è proponibile un intervento dopo l’accrescimento, ma come andiamo con il mantenimento della funzionalità? E’ il solito discorso.
La sindattilia colpisce principalmente il sesso maschile, e nel 50% dei casi è bilaterale.
L’eredità c’entra per un 20-40% dei casi. La patologia è più frequente al 3°spazio (e quindi tra 3° e
4° dito), mentre è poco frequente al 1° spazio (e quindi da 1° e 2° dito).La sindattilia può essere
completa (riguardare cioè la fusione di due dita per l’intera lunghezza), incompleta (in tal caso la
plica interdigitale di unione delle due dita non arriva fin su), o complessa (la fusione, cioè, riguarda
non solo cute e tessuto fibroso, ma anche parti cartilaginee o ossee).
Il trattamento di una sindattilia contempla la ricostruzione della commissura, la copertura
della superficie laterale delle dita (che risulta scoperta!), la correzione della parte laterale
dell’unghia, se questa non c’è. Il taglio della plica interdigitale abnorme deve avvenire a zig zag,
per evitare cicatrici retraenti che pongano il dito in perenne flessione; le parti scoperte vengono coperte con più innesti. Il trattamento chirurgico va integrato, successivamente, con una fisioterapia
precoce, per l’acquisizione della funzionalità.
La polidattilia, che può riguardare la presenza di 1 o più dita sovrannumerarie, può verificarsi sul lato ulnare, radiale, sulla parte centro-mediana della mano. Il trattamento consiste
nell’asportazione del dito sovrannumerario, insieme ad un trattamento complementare fisioterapico.
Il tutto entro il 2° anno di vita.
TUMORI DELLA PELLE
Le statistiche di vari ospedali in tutto il mondo registrano i tumori cutanei di loro osservazioni in percentauli variabili tra il 3 e il 50% dei casi. Si può dire che, mediamente, di tutti i tumori
con i quali un grande ospedale si trova a che fare, quelli cutanei rappresentano un 10% abbondante,
quindi 1 su 10. I tumori cutanei sono quindi parecchio probabili, e questo è dovuto a vari fatti; innanzitutto bisogna considerare che la cute è un organo a superficie molto estesa, che prende facilmente contatto con l’esterno, ed ospita in sé molte strutture. I fattori cancerogeni cutanei possono
essere chimici (gli idrocarburi come i derivati del catrame), fisici (radiazioni Röentgen, radiazioni
attiniche21, stimoli meccanici e termici), alimentari e virali (perlomeno sperimentalmente). La diagnosi può essere clinica (ad un occhio allenato non è difficilissima la diagnosi; essa risulta giusta
nel 98% dei casi), ma soprattutto istologica (è ovviamente la diagnosi di certezza).
I tumori cutanei riconoscono alcune precancerosi. Tra le più importanti vi è lo xeroderma
pigmentosum; si tratta di una condizione, congenita, di intolleranza alla luce solare, per cui il soggetto affetto si ritrova molto facilmente coperto da chiazze scure ad andamento ulcerativo. Questo
fatto non consente quasi mai ai soggetti affetti di arrivare all’età adulta. Altre precancerosi sono le
radiodermiti, causate dalla röentgenterapia non accorta, le cicatrici (da ustioni, da processi ulcerativi
cronici), il lichen (scleroso, atrofico), il lupus volgare; altre condizioni importanti sono le leucoplachie e le sclerosi cutanee da raggi solari (frequenti, ad es., nei contadini).
21
Cioè i raggi ultravioletti solari
14
I tumori della pelle contemplano:
-
carcinoma basocellulare; è il più frequente (più del 95% dei casi), e il meno grave
-
carcinoma spinocellulare;
-
melanoma; il meno frequente, ma più maligno di tutti
A questi si può aggiungere il “carcinoma annessiale”, cioè un carcinoma che origina dagli
elementi epiteliali che si sono approfondati per costituire i vari elementi ghiandolari della cute. Comunque, la cosa importante è che per questi tumori venga utilizzato il termine “carcinoma”, perché
di tumori maligni si tratta.
Il carcinoma basocellulare dà raramente22 metastasi. Esiste in una varietà nodulare, una ulcerata, e ancora pigmentata, pagetoide (assomiglia, cioè, al Paget cutaneo), sclerodermica, infiltrante.
Il carcinoma spinocellulare tende ad uno sviluppo più rapido rispetto al basocellulare, e dà
metastasi che di solito sono limitate ai linfonodi locoregionali. Il carcinoma spinocellulare può esistere in forma ulcerata o in forma vegetante; è abbastanza frequente la sede del padiglione auricolare, ma non è l’unica.
Possibilità terapeutiche possono essere non chirurgiche o chirurgiche. La terapia non chirurgica si propone diversi presidi (chemioterapia topica, elettrocoagulazione, crioterapia, röentgenterapia) che però sono “alternativi” alla chirurgia quando non sia possibile operare. Inoltre, non consentono l’esame istologico. Il trattamento chirurgico è effettuabile con una exeresi adeguata, seguita da
riparazione. La exeresi deve essere condotta per una superficie che per i CR basocellulari deve andare da 5 a 10 mm, mentre per i CR spinocellulari deve andare da 1 a 2 cm; in profondità la exeresi
deve arrivare fino (ed eventualmente superare) la fascia superficiale: eventualmente si procederà ad
un esame istologico che fornirà le opportune direttive.
La exeresi deve essere condotta lungo le linee di espressione (questi tumori si manifestano
principalmente al volto) e, comunque, preferibilmente, senza sconfinare in diverse aree di elezione.
Quest’ultimo concetto, tradotto in italiano, significa che, se ad es. il nodulo neoplastico è in sede
guanciale, la exeresi non deve sconfinare dalla regione guanciale; questo se si vuole un risultato estetico accettabile. Comunque, l’estetica non deve mai prendere il sopravvento sulla radicalità chirurgica, e quindi il contenimento dell’intervento nell’ambito dell’area “di elezione” non deve essere
inteso come l’11° comandamento della religione cristiana. A proposito, lo sapete che i comandamenti sono stati cambiati nel corso del Concilio di Trento? Sapete che fu eliminato il 1° e fu sdoppiato l'ultimo? Il 1° comandamento vietava all’uomo di raffigurare la Divinità in alcun modo, al fine di evitare l’idolatria. E sapete che il testo risultante fu (e continua tuttora ad essere)
contrabbandato come “ispirato da Dio” e “verità rivelata”?
Per quanto riguarda il melanoma, questo è il tumore maligno delle cellule melanotiche. Le
cellule di questo genere che danno origine ai melanomi sono principalmente quelle che si trovano
alla giunzione dermo-epidermica; è difficile che un melanoma possa originare dai melanociti del
derma, comunque è possibile. Per dirla tutta, un melanoma può anche insorgere in sedi non cutanee,
dato che i melanociti si trovano anche nella mucosa del cavo orale, del tubo digerente, del bulbo
oculare, delle meningi. Considereremo, comunque, per “melanoma” quello in sede cutanea.
Il melanoma è ultimamente in ascesa, per quanto riguarda la frequenza; colpisce soprattutto
soggetti in età da 40 a 60 anni, ed è raro nei bambini. Di solito negli uomini predilige la metà superiore del corpo, mentre nella donna è prediletta la metà inferiore. L’escissione chirurgica corretta di
un nevo non è un atto pericoloso. Tutti i nevi asportati devono essere sottoposti ad un esame istologico. I nevi più a rischio sono i congeniti (quando superano determinati limiti) e alcuni, più partico22
Questa parola non significa “mai”
15
lari (come i cosiddetti nevi giunzionali23, oppure quei nevi che sono sottoposti a traumatismi continui). E, comunque, i melanomi non sempre derivano da un nevo; anzi, questo è un evento infrequente. Il melanoma può tranquillamente nascere in sedi dove non c’è un nevo: la superficie cutanea è certamente maggiore della superficie di tutti i nevi – ovviamente dello stesso soggetto – messi
insieme.
Vediamo adesso quali possono essere le forme cliniche di melanoma:
a) tipo lentigo maligna; si manifesta come una macchia cutanea bruna, disomogenea; spesso negli anziani. Questo tipo di melanoma ha una incidenza di circa il 10%;
b) tipo melanoma superficiale; la macchia nera è a livelli superficiali della cute. Questo tipo di melanoma ha un incidenza di circa il 55%;
c) tipo nodulare; questo tipo di melanoma ha un’incidenza di circa il 35%;
d) tipo “acral lentiginous melanoma”; si manifesta come delle chiazze brunastre che insorgono in varie sedi (talvolta anche sotto il letto ungueale, assumendo un aspetto simile a
quello degli ematomi);
e) melanoma della mucosa orale, anale, vaginale, viscerale (sic, N.d.R.).
Il melanoma è aggredibile quando è esteso ancora nel solo ambito superficiale, epidermico;
se il melanoma si è approfondato, la sua asportazione si fa complessa o comunque di scarsa utilità
terapeutica. Di fronte ad un melanoma, comunque, è indicata l’asportazione; la possibile radicalità è
accertata. La chirurgia infatti in questo caso è sia diagnostica che terapeutica. La escissione della lesione, infatti, consente di valutare da un punto di vista anatomopatologico il livello di invasione, e
quindi di poter eventualmente stanziare una impostazione terapeutica.
Stadiazione in base al livello di invasione
Secondo Clark
1° livello
Epidermide
2° livello
Derma papillare (parziale)
3° livello
Derma papillare (totale)
4° livello
Derma reticolare
5° livello
sottocutaneo
In mm
La valutazione dell’approfondamento milimetrico del tumore
consente di ottenere un buon fattore prognostico. Una invasione anche di 3 mm, ad esempio, pregiudica una sopravvivenza a
5 anni in un’ambito variabile dal 47% al 22%. Tuttavia oggi la
stadiazione millimetrica viene poco usata.
Il trattamento chirurgico del melanoma, pertanto, è una exeresi dello stesso. Il trattamento
chirurgico di melanomi che si approfondano fino a 2 mm prevede una sutura diretta dopo
l’asportazione della neoplasia. Per tumori che si approfondano per 3-5 cm ed oltre, invadendo anche
la fascia, invece, è previsto l’inserimento di innesti o lembi, a seconda dei casi. I linfonodi locoregionali vengono asportati solo se clinicamente interessati; in caso contrario è inutile la loro asportazione, essendo stato visto che la prognosi non migliora comunque.
MICROCHIRURGIA RICOSTRUTTIVA
La microchirurgia ricostruttiva è una metodica chirurgica che consente il ripristino funzionale di strutture anatomiche andate perse (ad es., amputazione accidentale di un dito) mediante unione
diretta delle parti o trasferimento di tessuti con tecniche microchirurgiche; è fatto uso di un micro23
Personalmente non so quali siano i nevi giunzionali o, perlomeno, che cosa si sia con ciò voluto intendere
16
scopio operatore tanto complicato quanto costoso. La tecnica, quindi permette di far fronte ad amputazioni complete o incomplete. Le amputazioni complete sono quelle in cui una parte
dell’organismo si è completamente distaccata da esso; quelle incomplete sono quelle in cui resta
comunque una connessione (ad es., ad opera di cute, o tendini).
Nel caso di amputazioni complete, si parla di reimpianti, nel caso di amputazioni incomplete, si parla di rivascolarizzazioni. I reimpianti possono essere di tipo “macro” o di tipo “micro”; i
microreimpianti sono quelli che coinvolgono parti di arto che vanno dal polso distalmente. La difficoltà di questi interventi varia in funzione della presenza/assenza di masse muscolari, o del calibro
dei vasi sui quali occorre lavorare. La rivascolarizzazioni possono essere fatte per ripristinare la
funzione, oppure perché a volte è compromessa la sopravvivenza stessa dell’individuo!
Ultimamente si sta realizzando un aumento delle lesioni traumatiche degli arti e della mano,
per un aumento dell’incidenza della traumatologia stradale e lavorativa. Si tratta di interventi compiuti in emergenza, per diminuire la probabilità di insuccessi e/o di complicanze dovute ad es., alla
fenomenologia ipossica prolungata. Il risultato è inoltre migliore, sia funzionalmente che morfologicamente.
CHIRURGIA PLASTICA - Sommario
CICATRIZZAZIONE
1
FERITE
3
TECNICHE DI RIPARAZIONE
3
USTIONI
4
LASER
7
INNESTI CUTANEI
7
PLASTICA A “Z”
8
LEMBI
8
LABIOPALATOSCHISI
10
ANCORA A PROPOSITO DEL LASER
11
IPOSPADIA
12
MALFORMAZIONI DEGLI ARTI SUPERIORI
12
TUMORI DELLA PELLE
13
MICROCHIRURGIA RICOSTRUTTIVA
15
“…ed io con tutte le parole
che in vita ho scritto, ho pianto e so
non li ho convinti a dire ‘no’…”
VECCHIONI, PER UN VECCHIO BAMBINO
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