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editoriale
CATECHESI, ATTO
DI “AMICIZIA”
Da vari mesi ormai, è diffusa nelle nostre Chiese la Lettera ai cercatori di Dio, indirizzata
dai nostri vescovi ai credenti sempre desiderosi di approfondire la loro fede e a «quanti –
pur non credendo – avvertono la profondità degli interrogativi su Dio e sulle cose ultime».
Non è certo questa pagina il luogo adatto per trattare della Lettera come si dovrebbe;
altre occasioni, più adeguate, si presenteranno. Vorremmo qui evidenziare soltanto un
concetto che è ripreso almeno tre volte nei brevissimi paragrafi della Presentazione e della
Premessa ed è espresso dalla parola “amicizia”: il documento è offerto «con amicizia e
simpatia verso tutti»; vuole essere un «dialogo tra amici» e chiede di essere interpretato
«come un gesto di amicizia».
Ci piace sottolineare questa idea perché delinea bene l’atteggiamento di fondo che
dovrebbe animare non solo il primo annuncio di cui tratta la Lettera, ma anche ogni comunicazione della Parola, ivi compresa quella catechistica. Che cos’è infatti catechesi se
non un dialogo tra amici? La catechesi nasce dall’esperienza gioiosa di salvezza vissuta
dal catechista. Questi sente che la relazione di fede con il Signore Gesù ha riempito di
senso e di gioia la propria esistenza. Si sente allora spinto interiormente a far partecipi
altri di quanto sperimenta e vive. Si pone di conseguenza accanto al catechizzando, si
fa suo compagno nel cammino della vita, spartendo amichevolmente con lui le ricchezze
della propria fede. Il catechista è «compagno di strada» ci dicono i documenti ecclesiali:
non un maestro distaccato che comunica in termini asettici un certo numero di verità
ma, precisamente, un amico “accanto”, che racconta di sé, della sua esperienza di fede,
spartendola con “amicizia” con quanti sono interessati alla sua testimonianza. Si parla
naturalmente di amicizia vera, sinonimo di compassione (patire con), di condivisione totale della vita del catechizzando. Dunque il catechista non si interessa di lui soltanto nei
pur sempre brevi momenti dell’incontro catechistico, ma si fa carico di chi gli è affidato
partecipando delle sue problematiche esistenziali in tutta l’ampiezza del termine. Per
riprendere un’espressione cara a d. Milani, il catechista dovrebbe essere l’amico che dice
con i fatti «i care»: mi sta a cuore, mi prendo carico di te…
Non si pensi che questa indicazione sia una novità assoluta e magari estemporanea.
Già nel Cinquecento, le Confraternite o Scuole della Dottrina Cristiana prevedevano
nel loro organigramma gli infermieri, incaricati delle opere di misericordia corporale nei
confronti dei catechizzandi e delle loro famiglie. Nella stessa ottica erano previsti dei
pacificatori, chiamati a dirimere eventuali tensioni e liti dentro e fuori l’istituzione confraternale. Per venire a tempi decisamente più vicini a noi, in questo numero di Catechesi
il lettore troverà varie pagine dedicate alla Conferenza dell’episcopato latinoamericano
di Medellín del 1968. In quell’occasione i vescovi del Sudamerica invitavano con forza
inusitata e lacerante a condividere in toto la condizione di povertà e sfruttamento delle
popolazioni cui si voleva portare il messaggio di Cristo.
Nel nostro ben diverso contesto socio-culturale resta valida l’indicazione, ripetuta oggi
dalla Lettera ai cercatori di Dio: Dio, amico dell’uomo, raggiunge l’uomo stesso attraverso
l’“amicizia” del catechista.
CATECHESI
79 (2009-2010) 2,1
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