Sulle orme di Caligola, alla scoperta delle sue navi e del Lago di Nemi Il Lago di Nemi, dal primo secolo dopo Cristo, è stato al centro di una leggenda che narrava di due navi di enormi dimensioni, cariche di oggetti preziosi, molto sfarzose che sarebbero state sepolte sul fondo del lago. Come racconta Giovanni Lattanzi su National Geographic: La leggenda iniziò a circolare forse già dal I secolo d.C., e proseguì per tutto il Medioevo, avvalorata dal ritrovamento occasionale di reperti da parte dei pescatori del lago. Come si scoprì in seguito, queste voci avevano un fondo di verità: le due navi, lunghe 70 metri e larghe più di 25, erano state fatte costruire dall'imperatore Caligola, che le utilizzava come palazzi galleggianti in cui abitare o con cui simulare battaglie navali. Ma in seguito alla sua morte, nel 41 d.C., il Senato romano, per cancellare anche il ricordo (damnatio memorie) di colui che era stato un acerrimo nemico, ordinò la distruzione di tutto ciò che lo riguardava, tra cui probabilmente anche le navi di Nemi, che vennero affondate nel lago. La storia delle navi non finisce qui. C'era un mistero da risolvere e furono in tanti a tentare di scoprire nel tempo se ci fossero davvero quei capolavori di ingegneria navale sul fondo di questo specchio lacustre conosciuto anche come Specchio di Diana. I tentativi di scoprire le navi di Caligola È il 1446 quando a provare la risoluzione del mistero è un personaggio oggi molto conosciuto: Leon Battista Alberti, che impiegò dei nuotatori genovesi in grado di immergersi in apnea. Nel 1535 il capitano Francesco De Marchi tentò di esplorare i fondali del lago usando una sorta di "campana" subacquea, inventata da Guglielmo di Lorena, costruita con assi di legno serrate assieme con cerchi di ferro e dotata di oblò in vetro sul davanti. De Marchi fu più fortunato dei sommozzatori genovesi e riuscì a visitare una delle navi. Secondo le sue nuove misurazioni, queste imbarcazioni dovevano misurare all'incirca 64 metri di lunghezza per 20 di larghezza. Si dovettero attendere quasi 300 anni per una nuova impresa. Il 10 settembre del 1827 Annesio Fusconi decise di ricorrere alla "campana di Halley", a cui era stata aggiunta una moderna pompa per garantire l'afflusso d'aria. L'impresa riuscì e Fusconi recuperò diversi manufatti. Tutto l'Ottocento fu proficuo dal punto di vista archeologico. Dopo 70 anni dall'impresa di Fusconi, alcuni palombari professionisti, il 3 ottobre 1895, tornarono nel lago di Nemi. Iniziarono a tornare in superficie materiali sorprendenti per fattura e varietà, come teste e pilastrini in bronzo, parti di mosaici, terrecotte. Il 18 novembre si scoprì una seconda nave e da essa vennero recuperati vari oggetti tra cui una testa di Medusa e una mano in bronzo. Il recupero delle navi di Caligola Siccome era molto complesso arrivare sul fondo del lago, fu il governo fascista a decidere di prosciugare il lago stesso. Il recupero fu un'opera di dimensioni mastodontiche: in circa cinque anni - dall'ottobre del 1928 all'ottobre del 1932 - utilizzando delle macchine idrovore, venne abbassato il livello del lago per consentire il recupero delle imbarcazioni. Il Museo della Scienza racconta tutta l'operazione fascista: L’intervento vero e proprio avviene con la riattivazione dell’emissario romano e il 20 ottobre 1928 viene messo in funzione l’impianto idraulico. Il 28 marzo dell’anno seguente affiorano i resti della prima nave. Emergono anche armi, monete, decorazioni, attrezzi, ami da pesca, chiavi; si annota la posizione di ogni reperto, si analizza ogni particolare, come si può vedere nel disegno del timone. Il 7 settembre, abbassato il livello delle acque di ben ventidue metri, la prima nave risulta completamente emersa e alla fine del gennaio 1930 affiora anche la seconda; il primo scafo misura 71 metri in lunghezza e 20 in larghezza; il secondo 75 metri in lunghezza e 29 in larghezza. In un primo tempo le navi vengono ricoverate sulla riva del lago, protette da teloni bagnati che evitano un’eccessiva essicazione del legno e da un hangar per dirigibili. Successivamente viene costruito il Museo delle Navi romane, progettato dall’architetto Vittorio Morpurgo. Nel 1935 le strutture principali sono pressoché ultimate, ad esclusione della parete anteriore dell’edificio, fu terminata solo dopo il traino dei giganteschi relitti all’interno dell’edificio. Il 18 novembre 1935 la prima nave si trova collocata sulla platea della navata destra ed il giorno 20 gennaio 1936 anche la seconda viene sistemata nel suo definitivo ricovero. Il museo viene inaugurato il 21 aprile 1940. A cosa servivano le navi? È sempre il Museo della Scienza ad offrire una risposta plausibile a questa domanda che al di là del recupero delle imbarcazioni non aveva trovato ancora una risposta soddisfacente Nonostante le ripetute spoliazioni, le navi mantengono intatta la loro imponenza: essendosi conservata la cosiddetta opera viva (la parte immersa dello scafo) è possibile apprezzarne i dettagli costruttivi e gli elementi strutturali ed il ritrovamento rivoluziona le conoscenze della tecnica navale romana. Grazie ad alcune epigrafi è possibile datare gli scafi all’epoca dell’imperatore Caligola (37-41 d C): la grandiosità delle imbarcazioni, la ricercatezza delle decorazioni e degli arredi, le stesse vicende personali dell’imperatore hanno fatto ritenere a lungo che le navi fossero luoghi di festa e di piacere. Oggi l’ipotesi più accreditata è che si trattasse di navi cerimoniali, destinate alla celebrazione di feste religiose, in linea con il carattere sacro del luogo. Sul ponte delle due navi si ergeva un ricco complesso di edifici e di strutture, di cui sono stati recuperati innumerevoli reperti. A colpire gli esperti sono soprattutto le soluzioni tecniche: piattaforme circolari girevoli su sfere di bronzo: un sistema che anticipa i cuscinetti a sfere, un complesso impianto idraulico per il prosciugamento della sentina, con pompe, tubazioni e un grande rubinetto in bronzo lavorato con tale precisione da far ipotizzare l’uso di un tornio meccanico. Le caratteristiche tecniche di questo rubinetto daranno luogo all’appassionata lettera di difesa scritta dall’ingegner E. Macchi a Guglielmo Marconi, allorché si deciderà di non includere il reperto fra gli oggetti da inviare all’esposizione di Chicago del 1933 . Scrive il Macchi: il rubinetto nemorense “rappresenta a mio modesto avviso una dimostrazione della multiformità del genio latino da offrire al pubblico che affluirà all’esposizione di Chicago, a maggior lustro e decoro della Patria nostra!”. L’archeologia marinara trovò un tesoro inestimabile nelle due grandi ancore: la prima in legno con ceppo in piombo della lunghezza di 5 mt rappresenta l’unico esemplare completo conosciuto all’epoca di questo tipo. La seconda, in ferro a ceppo riscuote un incredibile interesse dal momento che si credeva ideata dal capitano inglese Rodger e che era stata presentata all’Esposizione del 1851 come una grande novità. E dove sono adesso le navi? Purtroppo, le due imbarcazioni, uniche per importanza e stato di conservazione, bruciano completamente la notte del 31 maggio 1944, nel corso della ritirata dell’esercito tedesco dai territori circostanti Roma. Gli scafi, le ancore, un timone alcune imbarcazioni più piccole andarono completamente distrutti. Si salvarono i reperti artistici e tutto il materiale trasportabile, che era stato precedentemente portato al sicuro a Roma. La Commissione arrivò ad escludere che l’incendio fosse stato provocato da bombe di aviazione e da proiettili d’artiglieria, concluse che l’incendio degli scafi e dell’edificio fosse di origine dolosa, considerati anche i danneggiamenti volontari inflitti dai soldati tedeschi al patrimonio archeologico del Museo e il mancato utilizzo dei sistemi di spegnimento in dotazione. Bibliografia utile Sul sito del Museo della Scienza è possibile leggereil testo della conferenza di Ucelli nel corso della quale spiegò l'impresa del governo fascista. Nel corso della conferenza tenuta in occasione dell’XI Congresso nazionale della Federazione dei Cavalieri del Lavoro, tenutosi a Firenze il 5 maggio 1932 furono mostrati anche disegni del lago di Nemi e del sistema di abbassamento del livello delle acque. http://www.museoscienza.org/voci-della-scienza/documento.asp?doc=119#document_open Altri libri sull'argomento sono i seguenti Guido Ucelli, Le navi di Nemi. Roma, 1940 | E.75 Corrado Ricci, Gloriose imprese archeologiche : il Foro d'Augusto a Roma, le navi di Nemi, Pompei ed Ercolano. - Bergamo, 1927 | D.1985 Guido Ucelli, Il contributo dato dalla impresa di Nemi alla conoscenza della scienza e della tecnica di Roma. Milano, 1943 | MISC D.799 Guido Po, Il contributo della Marina al ricupero delle navi di Nemi. Roma, 1940 | MISC D.795 G.C. Speziale, Delle navi di Nemi e dell'archeologia navale. Roma, 1930 | MISC D.790 G. Moretti, Il museo delle navi romane di Nemi. Roma, 1957 | MISC C.871 Emilio Giuria, Le navi romane del lago di Nemi : Memorie storiche con tavola di disegni. Firenze 1901 | MISC D.789