LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE ED IL DESIGN (1760

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Corso di Laurea in Design, Dipartimento di Architettura
Universita' degli Studi “ G. d’ Annunzio” di Chieti e Pescara
Lezione 03
LA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE ED IL
DESIGN (1760-1830)
Brani citati
CORSO DI STORIA DEL DESIGN
Prof. Raffaele Giannantonio
Gillo Dorfes:
Gillo
Dorfes
«(…) non è possibile
discutere di disegno
industriale riferendosi ad
epoche precedenti la
rivoluzione industriale,
anche se sin dall’antichità si
sono dati alcuni oggetti
eseguiti in serie e con il
parziale intervento di
macchinari primitivi come il
tornio, il trapano, la ruota dei
vasai e le presse a mano delle
fornaci dei laterizi»
(G. Dorfes, Introduzione al
disegno industriale, Einaudi,
Torino 1972, p. 15).
LE CONDIZIONI STORICO-SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
IL LIBERISMO (LIBERALISMO ECONOMICO)
Nato con le ideologie della Rivoluzione francese, il
Liberismo sosteneva che ogni attività di scambio
dovesse svolgersi secondo le leggi dell’utile individuale ed
il gioco spontaneo della domanda e dell’offerta; inoltre
esso riteneva che ogni situazione di cambiamento e di crisi
economica si riequilibrasse automaticamente.
Adam Smith, flosofo ed economista scozzese (1723 –1790), a seguito degli studi nel campo della flosofa
morale, divenne il teorizzatore del “liberismo” o liberalismo economico
IL POSITIVISMO
Per il Positivismo solo la conoscenza sperimentale dei fatti
è feconda. Fu anche grazie al Positivismo ed al progresso
delle scienze naturali, che si ebbe un notevole sviluppo
tecnologico con l’invenzione di nuove macchine capaci di
sostituire il lavoro artigianale e rivoluzionare
radicalmente i tradizionali processi lavorativi.
Claude Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760 –1825), coniò il termine “Positivismo” nell'opera
Catechismo degli industriali (1823-1824)
LE CONDIZIONI STORICO-SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
IL CAPITALISMO
Il costo dei nuovi macchinari ed impianti, che richiedeva l’anticipo
di un ingente capitale iniziale, e la nuova organizzazione produttiva
necessaria allo smercio rapido e quantitativo dei manufatti,
portarono al Capitalismo. Da tutto ciò nasce la produzione di
massa, l’economia di consumo e di proftto, il regime concorrenziale
sorretto dal principio per cui tutto è lecito purché si venda.
La classe che fece propria l’ideologia del Capitalismo industriale fu quella della BORGHESIA che, a
differenza della Nobiltà, a suo tempo interessata alla gestione dell’attività agricola se non alla pura
rendita parassitaria, s’impegnò totalmente nell’industria e nel commercio. Acquisiti i moderni
strumenti di produzione, divenne così la classe egemone della società ottocentesca.
IL COLONIALISMO
Quando dalla competizione
a livello nazionale si passa alla
conquista dei mercati esteri, il
Capitalismo impone il confitto
con altri Paesi produttori
dando luogo al Colonialismo,
nuova versione del vecchio
imperialismo.
Mappa dei territori coloniali al 1920
LE CONDIZIONI STORICO-SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto stato, 1901
L’altra protagonista della rivoluzione industriale è la classe del Proletariato.
In precedenza i lavoratori erano organizzati in corporazioni, che se da un lato garantivano
i membri contro le classi egemoni del tempo, dall’altro erano oligarchie rette dai maestri d’arte,
che si tramandavano questa carica da padre in fglio ed impedivano ai non corporati di svolgere
il loro lavoro. Abolita questa anacronistica struttura dalla Rivoluzione francese,
la classe operaia ottenne solo alla fne dell’Ottocento il riconoscimento del sindacato.
LE CONDIZIONI STORICO-SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
IL SOCIALISMO UTOPISTICO
La prima corrente del moderno pensiero socialista è il socialismo utopistico, i cui
principali esponenti furono Claude-Henri de Saint-Simon, Etienne Cabet, Charles
Fourier, Pierre-Joseph Proudhon, Louis Blanc e Robert Owen. Il SU sosteneva il
superamento del sistema capitalistico e l’instaurazione di una società fondata sull'ideale
cooperativo. Proposte teoriche del SU: i “falansteri”, comunità autosuffcienti di
produzione e consumo (Fourier), gli atéliers sociaux, fabbriche protette dallo stato e
gestite dai lavoratori (Blanc). Proposte concrete: fondazione di colonie socialiste negli
Stati Uniti (Owen e Cabet). Limite del socialismo utopistico: astrattezza delle sue
formulazioni teoriche, talora ispirate al rimpianto per un mondo precapitalistico
irrimediabilmente perduto. Il SU viene superato dal Socialismo Scientifco.
Charles Fourier, progetto di falansterio, esposto la prima volta nel 1808 (l’edifcio centrale è la “falange”)
LE CONDIZIONI STORICO-SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
IL SOCIALISMO SCIENTIFICO
Il SS si distingue dalle teorie del SU per:
- la critica “totale” della società sulla base del
rapporto economico.
la nuova concezione di “società” del futuro, in
continua evoluzione e modifcazione.
Ne Il Manifesto del Partito Comunista (1847-48),
Marx propone una lettura della storia attraverso
la lotta tra la classe borghese che possiede i
mezzi di produzione e il proletariato che non
altro che la propria forza lavoro.
Karl Marx (1818 –1883)
Friedrich Engels (1820 –1895)
e Il Manifesto del Partito Comunista
L’operaio produce valore in eccesso rispetto alla
sua remunerazione (“plusvalore”) che viene
assorbito dal capitalista a proprio esclusivo
vantaggio. Da questo sfruttamento deriva la lotta
di classe.
Poiché la democrazia parlamentare è facilmente
manovrata dal sistema capitalistico, solo con la
rivoluzione ed il trionfo del proletariato si avrà
la fne di questa sopraffazione e una società
senza classi.
IL DESIGN E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: Le invenzioni tecnologiche
A proposito della Rivoluzione
industriale Leonardo Benevolo scrive:
Fabbricazione del carbone di legna da
un’illustrazione dell’Encyclopédie.
«Nella prima metà del ‘700
l’Inghilterra è ancora un Paese
prevalentemente rurale, e anche
l’industria ha sede soprattutto in
campagna. Finché la lavorazione dei
minerali di ferro si fa col carbone di
legna, gli altiforni sorgono dovunque
ci sono boschi; l'industria tessile è
basata sull'organizzazione del lavoro a
domicilio, e i contadini stessi e i loro
familiari alternano i lavori dei campi
alla flatura e alla tessitura, con
apparecchi a mano di loro proprietà o
concessi in afftto dai datori di lavoro»
(L. Benevolo, Storia dell’architettura moderna,
Roma-Bari 1973).
Due flatoi a ruota del XVIII secolo.
IL DESIGN E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: Le invenzioni tecnologiche
Fabbricazione del carbone di legna da
un’illustrazione dell’Encyclopédie.
Due flatoi a ruota del XVIII secolo.
Ma quando il ferro si comincia a lavorare
col carbon fossile, gli altiforni si
concentrano nei distretti carboniferi;
quando R. Arkwright nel 1768 trova il
modo di applicare alla flatura l’energia
idraulica, ed E. Cartwright nel 1784 di
applicarla alla tessitura, queste operazioni
si concentrano dovunque è possibile
utilizzare l’energia dell’acqua corrente; e
quando la macchina a vapore di Watt,
brevettata nel 1769, comincia ad essere
usata in sostituzione della forza idraulica
(…), la concentrazione può avvenire in
qualsiasi luogo, anche lontano dai fumi
(…). I luoghi di concentrazione delle
industrie diventano centri di nuovi
agglomerati umani in rapido sviluppo,
oppure, sorgendo accanto alle città
esistenti, provocano un aumento
smisurato della loro popolazione»
LA FIGURA DI JOSIAH WEDGWOOD (1730-1803)
«Wedgwood fu il primo “vasaio” a ideare delle forme del tutto adatte al loro scopo e
che fossero al tempo stesso capaci di venir riprodotte con assoluta precisione in
quantitativi illimitati, sì da poter essere distribuiti su quella vasta scala richiesta
dall’estensione del mercato che egli stesso aveva così ampliamente incrementata (...).
Le forme erano, di solito, estremamente pratiche, e parecchie di esse (…) sono rimaste
come forme standardizzate sino ai nostri giorni»
(Herbert Read e Bernard Rackham, English Pottery, 1924).
LA FIGURA DI JOSIAH WEDGWOOD (1730-1803): il Vaso Portland (1789)
Artigiani formatisi in Egitto realizzarono a Roma nel 25 aC
circa il vaso in “vetro-cammeo”. Il vaso viene registrato nella
collezione della famiglia Del Monte all’inizio del ‘600. Fu poi
venduto alla famiglia Barberini, nel cui palazzo romano fu
conservato e da cui prese il nome. Quando la famiglia cadde in
disgrazia, la collezione si disperse ed il vaso venne acquistato
da un antiquario che a sua volta lo vendette a Sir William
Hamilton. Questi lo riportò in Inghilterra e nel 1784 lo
vendette a Lady Margaret Harley, duchessa di Portland, che lo
aggiunse al suo museo, venduto però nel 1786, l’anno dopo la
sua morte. Il vaso fu però riacquistato dal fglio della duchessa.
Josiah Wedgwood ottenne allora in prestito il vaso per
riprodurlo in diaspro.
LA FIGURA DI JOSIAH WEDGWOOD (1730-1803): la vendita e il consumo
Josiah Wedgwood scrisse nel 1779: «La moda è sotto molti aspetti
superiore al “merito”; e mille esempi dimostrano chiaramente che se
voi avete un fglio prediletto su cui volete attirare la benevolenza e
l’attenzione del pubblico, dovete solo scegliere un buon padrino».
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