Grammatiche e riflessione sulla lingua a scuola - Trento, 3 e 4 marzo 2011 La grammatica nell’Educazione linguistica. L’evoluzione negli ultimi anni Adriano Colombo 1. Tendenze della ricerca nelle scienze del linguaggio 2. Le grammatiche di riferimento 3. A che cosa ci servono le grammatiche di riferimento a) a non dire balle b) ad assumere (e trasmettere) un atteggiamento di verifica e di ricerca c) ad accettare il dubbio e l’incertezza d) a introdurre alcune innovazioni di contenuto Bibliografia e documenti 2. Alcune grammatiche di riferimento A impianto tradizionale - L. Serianni, Grammatica italiana, UTET Università 2006 (prima edizione 1988) - M. Sensini, La grammatica della lingua italiana, Mondadori Oscar Guide 1997 A impianto “moderno” - L. Renzi e altri, Grande grammatica di consultazione della lingua italiana, Il Mulino, 3 voll. 1988-1995 - Ch. Schwarze, Grammatica della lingua italiana; edizione italiana a cura di A. Colombo, Carocci 2009 (edizioni tedesche 1988, 1995) - C. Andorno, La grammatica italiana, Bruno Mondadori 2003 - G. Salvi, L. Vanelli, Nuova grammatica italiana, Il Mulino 2004 - M. Prandi, Le regole e le scelte, UTET 2006 Da leggere comunque: - L. Vanelli, Grammatiche dell'italiano e linguistica moderna, Unipress 2010 3) Alcune balle da evitare - i tre gradi dell’aggettivo Sensini 1997, MORFOLOGIA § 3.1.9: «Il comparativo di uguaglianza si forma ponendo davanti al secondo termine di paragone gli avverbi quanto o come […]: “Io non sono bravo come te”, “Quel viaggio risultò faticoso come avevamo previsto”.» - nomi concreti e astratti ivi § 2.1.1. «Come si vede, se da un lato molti nomi sono indubbiamente "concreti" (Pierino, caffettiera, leone) e molti altri indubbiamente "astratti" (lealtà, giustizia, virtù), sono però moltissimi anche quelli che offrono un largo margine di incertezza, […]. Molto discussa, in particolare, è la definizione dei nomi che, come partenza, corsa, salto e lettura, indicano al tempo stesso un concetto astratto e un'azione percepibile con i sensi, anche se priva di consistenza materiale. Il problema è così complesso che alle due classi tradizionali dei nomi concreti e dei nomi astratti molti studiosi ne aggiungono ora una terza, quella dei nomi indicanti azione. Altri studiosi, invece, arrivano ad abolire la distinzione tra nomi concreti e nomi astratti in quanto priva di fondamento scientifico. A rendere ancora più labile questa differenza, del resto, gioca anche il fatto che molti nomi possono assumere valore astratto o concreto a seconda del contesto espressivo. Così, bellezza è un nome astratto quando viene usato nel senso di “fascino, eleganza", cioè come pura entità concettuale ('Tutti amano la bellezza); ma è un nome concreto quando viene usato per indicare una "persona molto bella" ("Laura è una Grammatiche e riflessione sulla lingua a scuola - Trento, 3 e 4 marzo 2011 bellezza"). Allo stesso modo, nella frase "Vorrei un succo di frutta" il nome succo è un nome concreto; ma nella frase "Questo è il succo della faccenda" lo stesso nome è usato con valore astratto.» - le definizioni di nome, verbo, aggettivo, soggetto…; - la lista dei 40 complementi; - la “frase minima” ivi, SINTASSI DELLA FRASE SEMPLICE § 1.3.: «La forma base della frase semplice, costituita da soggetto e predicato, si chiama frase minima o, anche, frase nucleare: essa infatti è l'unità minima di comunicazione, cioè il più piccolo insieme di parole dotate di senso compiuto, e, d'altra parte, il soggetto e il predicato, i due elementi la cui presenza è indispensabile perché essa abbia senso, sono il "nucleo" intorno al quale si possono aggregare altri elementi della frase. La frase minima costituita soltanto da soggetto, sotto forma di nome o pronome, e predicato esiste soltanto quando il verbo in questione è un verbo intransitivo ("Il telefono squilla") o un verbo transitivo usato in forma assoluta ("Paolo studia") o è formato da una voce del verbo essere in funzione di copula seguita da un nome o da un aggettivo in funzione di nome del predicato ("Il cielo è azzurro"). Solo con questi tipi di verbo, infatti, il predicato ha un senso compiuto grazie al semplice soggetto cui si riferisce, senza bisogno di ulteriori precisazioni. In tutti gli altri casi, la frase minima ha senso compiuto, e quindi esiste come tale, solo quando il suo verbo trova senso compiuto, oltre che nel soggetto, in un ulteriore elemento che, appunto, ne completa il significato. Ci sono infatti verbi - tutti transitivi - che non hanno senso compiuto senza l'indicazione dell'oggetto dell'azione espressa dal verbo (come i verbi salutare, visitare, rimproverare, incontrare ecc.) o senza l'indicazione, oltre che dell'oggetto dell'azione, anche del destinatario dell'azione (come i verbi dare, mandare, regolare ecc.). Così "Laura rimprovera" non è una frase minima, anzi non è neppure una frase nonostante sia costituita da un soggetto e da un verbo, perché non ha senso compiuto: perché lo abbia, bisogna che il verbo sia seguito da un'indicazione che completi il suo significato indicando chi Laura rimprovera: "Laura rimprovera il fratellino". »