La costruzione ergativa nelle lingue ceceno

LA COSTRUZIONE ERGATIVA NELLE LINGUE CAUCASICHE
La costruzione ergativa è uno dei tratti tipologici, forse il piú evidente, i quali
contraddistinguono quell’insieme linguistico che convenzionalmente si indica come
‘caucasico’. Tratto esclusivamente tipologico, si badi bene, giacché esso in sé non è
sufficiente a provare nessuna parentela genetica fra qualsivoglia gruppo di lingue: lo
dimostra il fatto che tale costrutto è caratteristico di famiglie linguistiche, le quali fuor di
dubbio sono prive di origine comune. Lingue caucasiche, appunto, ma anche basco, lingue
paleosiberiane (o ciucoto-camciadale), eschimo-aleutine, austronesiche, australiane, oltre
a diverse lingue estinte dell’antica Asia Minore (sumerico, urritico, urartico) presentano
infatti la costruzione che, pur con molte sottovarietà, risponde al nome di ergativa e che,
con le parole di I.M. D’jakonov, definiamo “l’assenza della categoria dell’oggetto diretto nel
verbo transitivo, rimpiazzato dalla categoria del soggetto di stato, e, di conseguenza,
l’assenza della distinzione tra forma attiva e forma passiva”. La costruzione ergativa può
essere certamente anche un fenomeno secondario, come testimoniano oggi lingue indoiraniche della famiglia indeuropea.
L’ergatività delle lingue caucasiche pare essere invece una caratteristica molto antica,
ancora ben conservata se è vero che in un solo idioma, attualmente in via d’estinzione
(l’udi), s’è sviluppato secondariamente, e, con ogni probabilità, abbastanza recentemente,
un costrutto transitivo, marcato dal sorgere di un caso ‘accusativo’.
Tratteremo delle lingue caucasiche secondo la ripartizione, che oggi è di norma
considerata genetica, in ceceno-daghestane, cartveliche e abcaso-adigetiche, con
particolare riguardo per quelle dotate di letteratura e meglio conosciute.
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LINGUE CECENO-DAGHESTANE
Fra le lingue ceceno-daghestane la costruzione ergativa, allorché la si consideri in senso
strettamente grammaticale e non logico, non costituisce un fenomeno omogeneo: in
maniera rigorosamente coerente essa è osservata solo dal darghino (detto,
imprecisamente, dargua).
In darghino il verbo possiede una coniugazione sia classuale, sia personale, cosicché
anche la costruzione ergativa, usata in presenza di verbi transitivi di qualunque tempo, è
caratterizzata da concordanza e classuale, e personale. La concordanza per classe può
essere sia prefissale, sia suffissale, mentre la concordanza personale è soltanto suffissale.
Nelle forme dei tempi presente imperfettivo e presente perfettivo, il quale sottintende un
aspetto verbale risultativo, quando il soggetto dell’azione, che nella proposizione è
espresso in caso ergativo, è di terza persona, allora si ha concordanza classuale, prefissale
e suffissale insieme: neš-li durhä valxuli sari ‘la madre alleva il bambino’, in cui il soggetto
d’azione sta in ergativo come mostra la desinenza -li, l’oggetto è al nominativo, mentre nel
verbo v è prefisso di prima classe (la classe degli esseri ragionevoli maschili, che dispone
anche degli indicatori y e zero) e rappresenta l’oggetto (che nella costruzione ergativa è
detto ‘soggetto di stato’), r di sari esprime la seconda classe nominale (esseri ragionevoli
femminili) e designa dunque il soggetto d’azione. Codesto sari è un pronome riflessivo
usato anche come rafforzativo, e varia per classe nominale: say per la prima classe, sabi
per la terza (la quale comprende tutti gli esseri animati ed inanimati non umani). Tale
pronome riflessivo è usato, nei due tempi verbali sunnominati, per indicare la terza
persona e si è, in tal modo, grammaticalizzato. Nei tempi verbali del passato, laddove il
pronome riflessivo è assente, la concordanza suffissale per classe non è possibile.
Se il soggetto è di I o II persona, si ha concordanza prefissale classuale e suffissale
personale: nu-ni žuz bučulra ‘io leggo il libro’, con pronome personale nu all’ergativo,
oggetto al nominativo e, nel verbo, b prefisso oggettivo di III classe e ra suffisso di I
persona, che rappresenta il soggetto d’azione. La frase suddetta, col pronome soggetto di
II persona, diviene hu-ni žuz bučulri: il suffisso ri è proprio della II persona. Quando poi
l’oggetto è di I o II persona, allora il verbo presenta solo accordo suffissale personale con
l’oggetto, indipendentemente dalla persona del soggetto.
In darghino i verbi intransitivi hanno costruzione nominativa, suddivisa in tre tipi: classuale
prefissale (Hämzat vaḳib ‘Hamza arrivò’), classuale prefissale-suffissale ( Hämzat Ø-uzuli
say ‘Hamza è lavora’, con grado zero del prefisso di classe e indicatore classuale nel
pronome riflessivo grammaticalizzato), classuale-prefissale e personale-suffissale insieme
(nu Ø-učulra ‘io studio’). Esiste anche un particolare costrutto dativo, detto anche
‘affettivo’ e proprio del solo verbo diges ‘amare, volere’: i tipi di concordanza dell’oggetto e
del soggetto col verbo non differiscono da quelli già visti per la costruzione ergativa, anche
se in taluni tempi verbali, come il presente e il futuro, il prefisso di classe s’è perso: na-b
žuz dugilra ‘io desidero il libro’ e na-b neš digaqis ‘io amerò/amo la madre’, frasi in cui il
soggetto logico, posto al dativo, è riflesso nel verbo con i suffissi evidenziati.
In laco, cosí come in darghino, esiste una coniugazione, e di conseguenza anche una
concordanza, classuale e personale: l’accordo per classe è prefissale, l’accordo secondo la
persona è suffissale, e gli indicatori di classe nominale concordano col soggetto nei verbi
intransitivi, coll’oggetto nei verbi intransitivi. La differenza principale rispetto al darghino è
che in laco i pronomi di prima e seconda persona non possiedono forme di caso ergativo,
cosicché essi, quando sono soggetti d’azione, vengono espressi mediante il caso
nominativo, il quale riveste allora le medesime funzioni dell’ergativo. In conseguenza di ciò
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vi sono proposizioni con due casi nominativi, e, per stabilire quale ruolo abbia ciascuno dei
due, si devono osservare l’ordine delle parole e il carattere di concordanza del predicato
verbale: il nominativo del soggetto d’azione precede sempre il nominativo dell’oggetto
(soggetto di stato), mentre col verbo l’oggetto possiede accordo classuale prefissale e il
soggetto presenta accordo personale suffissale, sebbene in alcuni tempi codesto ultimo
accordo manchi. Al presente, laddove si incontrano forme analitiche, è attestata anche una
doppia concordanza classuale prefissale: na qqapa buruxlay Ø-ura ‘io (uomo) cucio il
berretto’, na qqapa buruxlay bura ‘io (ragazza) cucio il berretto’, na qqapa buruxlay dura
‘io (donna) cucio il berretto’. Come si vede, nelle tre frasi varia per classe nominale il
prefisso dell’ultima parola, che è una voce del verbo essere usata come ausiliare: essa
assume la marca del soggetto dell’azione, che nella proposizione è rappresentato dal
pronome personale al caso nominativo, mentre nella forma del verbo ‘cucire’ è presente il
prefisso di terza classe, che designa l’oggetto. Tale oggetto nella frase è espresso in caso
nominativo. Il suddetto costrutto è detto quindi ‘doppio nominativo’. Anche un soggetto di
terza persona, inoltre, nelle forme del tempo presente può presentarsi sotto la veste del
nominativo: ta čağar čičlay ur ‘egli scrive la lettera’, con ta nominativo del pronome
dimostrativo (il predicato, che è un presente durativo, è costruito con una forma gerundiva
unita al verbo ‘essere’), ma ta-nal čağar čibčunni ‘egli scrisse la lettera’, in cui, in un
tempo del passato, il pronome acquisisce la forma dell’ergativo. Con un soggetto di terza
persona sono possibili due tipi di concordanza: o vi è accordo prefissale-suffissale (per
classe e persona) con il solo oggetto, o la concordanza è prefissale con l’oggetto, suffissale
col soggetto. Giacché l’ergativo è sempre identico al genitivo, la costruzione ergativa è
denominata anche ‘genitiva’: in laco, dunque, non esiste uno specifico caso ergativo.
Nella costruzione nominativa vi è normalmente concordanza in persona, classe e numero
fra verbo (intransitivo) e soggetto ( ussu ur ‘c’è il fratello’ e ussu-rval buri ‘ci sono i
fratelli’); nella costruzione dativa, adoperata con i verbi di percezione, il soggetto d’azione,
posto appunto in caso dativo nella frase, non trova espressione morfologica nel verbo, che
presenta accordo con il solo oggetto: ttun ta kkabkkunni ‘io lo vidi’, letteralmente ‘egli m’è
apparso’, con il pronome di I persona ttun al caso dativo.
Terza ed ultima lingua daghestana scritta a possedere una coniugazione verbale non solo
secondo numero e classe, ma anche secondo persona, è il tabassarano. Nel verbo
l’accordo per classe è prefissale, l’accordo secondo la persona è suffissale, cosí come in
darghino e laco. Differentemente dal darghino ed in analogia col laco, però, i pronomi di
prima e seconda persona non possiedono il caso ergativo, cosicché il soggetto d’azione
viene espresso mediante il caso nominativo, nel quale caso è posto anche l’oggetto. Nella
proposizione si hanno quindi due casi nominativi: il nominativo che designa il soggetto
precede quello che indica l’oggetto, e col verbo il soggetto presenta concordanza
personale suffissale, l’oggetto concordanza classuale prefissale. Si veda la frase seguente:
uzu ül ubžuraza ‘io cuocio il pane’. Il pronome di I persona uzu è posto al nominativo, che
svolge qui le stesse funzioni logiche del mancante caso ergativo, ed è riflesso nel predicato
verbale dal suffisso di persona -za; l’oggetto, anch’esso al nominativo secondo norma,
trova espressione nel verbo per mezzo del prefisso di classe inanimata b- (in tabassarano
le classi nominali si sono ridotte a due, quindi b indica la II classe). È da rilevare inoltre
che la forma verbale succitata s’è dotata di un altro prefisso formativo quale è u-: qui,
parlando di prefisso, ci si riferisce evidentemente alla posizione che tale elemento occupa
in relazione alla radice verbale.
La terza persona possiede invece una specifica forma di caso ergativo. Il predicato
verbale, però, quando il soggetto è di terza persona, non concorda con quest’ultimo né
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per classe, né per persona, ed è proprio l’assenza di suffisso la caratteristica della terza
persona verbale: bab-u üler uržura ‘la nonna cuoce i pani’. Qui l’oggetto è al plurale ed è,
come al solito, riflesso nel verbo da un indicatore diverso da quello del singolare, che,
nella frase precedente, era b; il soggetto d’azione sta all’ergativo, che è indicato da -u, e il
verbo mostra per l’appunto accordo col solo oggetto.
In tabassarano, dunque, la terza persona trova espressione nel verbo soltanto quando è di
terza persona l’oggetto della proposizione (concordanza prefissale per classe); l’oggetto di
prima e seconda persona trova nel verbo duplice espressione (prefissale per classe e
suffissale per persona) se il soggetto è di terza persona, ma trova solo accordo prefissale
classuale, quando anche il soggetto è di prima o seconda persona.
Anche la costruzione nominativa in tabassarano rispecchia la situazione suddetta: in uzu
žarğuraza ‘io corro’ è presente doppio accordo, prefissale classuale e suffissale personale,
del soggetto con il verbo intransitivo; in ḳari žabhura ‘il vitello corre’ e ḳarar žarğura ‘i
vitelli corrono’ l’accordo è solo prefissale classuale. È attestata anche la costruzione dativa,
con soggetto logico al dativo e oggetto logico al nominativo.
Ricapitoliamo le differenze tra tabassarano e laco:
- in tabassarano esiste uno specifico caso ergativo, in laco esso non c’è;
- il soggetto di III persona non è mai espresso nel verbo in tabassarano, mentre in laco
talvolta tale concordanza esiste, a seconda dei tempi verbali;
- il soggetto di I e II persona è sempre espresso suffissalmente nel verbo in tabassarano,
in laco ciò avviene solo in alcuni tempi verbali;
- il pronome di III persona ha uno specifico caso ergativo in tabassarano, mentre in laco è
la forma del genitivo quella che svolge le funzioni d’ergativo (in entrambe le lingue, però, i
pronomi di I e II persona sono privi di un caso ergativo distinto, che viene sostituito dal
nominativo).
In àvaro il verbo possiede soltanto coniugazione per classe nominale, e nessuna forma
varia secondo persona o numero. Nella costruzione ergativa il soggetto d’azione non trova
concordanza nel predicato verbale, il quale possiede accordo con il solo oggetto (che, si
ricordi, è interpretabile come ‘soggetto di stato’): insu-ca ču bičana ‘il padre vendette il
cavallo’. In codesta frase il soggetto possiede la specifica desinenza d’ergativo -ca e non
trova riflesso nel predicato, mentre l’accordo dell’oggetto col predicato è segnato dal
prefisso b-: si tratta quindi di concordanza prefissale classuale.
In presenza di costruzione nominativa (intransitiva), l’accordo prefissale per classe
riguarda il soggetto: emen roq
q ove vussana ‘il genitore tornò a casa’. Qui la marca della
classe degli esseri maschili ragionevoli v- concorda con il nominativo emen.
Nella costruzione dativa l’accordo verbale è con l’oggetto, analogamente alla costruzione
ergativa: insu-e (dat.) žindirgo l‘imer boŀula ‘il padre ama suo figlio’, con b- prefisso della
classe degli esseri irragionevoli. In àvaro esiste anche un quarto tipo di costrutto, detto
‘locativo’e caratteristico dei verbi di percezione, nel quale il soggetto logico è posto in un
caso locativo (nelle lingue daghestane i casi locativi sono numerosissimi) e trova, a
differenza dell’oggetto, riflesso nel verbo: insu-da žindirgo vas vix‘ana ‘il padre vide suo
figlio’.
Come l’àvaro si comportano anche le lingue dei gruppi andi e dido, in nessuna delle quali
vi sono tracce di una coniugazione verbale secondo la persona.
Il lesghino ha perso la categoria della classe nominale, cosicché non esiste vera e propria
coniugazione: le singole forme verbali non mutano né per persona, né per numero, e non
dispongono di nessun accordo con gli elementi della frase.
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In lesghino i costrutti ergativo, dativo e locativo hanno l’oggetto logico al caso nominativo;
nel solo costrutto nominativo, proprio dei verbi intransitivi, al nominativo è posto l’oggetto
logico: didedivay nek alax‘na ‘alla madre è sfuggito il latte’, con nek ‘latte’ soggetto e dide
‘madre’ in uno dei casi locativi.
Come il lesghino si comporta l’agulo; le altre lingue del gruppo curino non si differenziano
dall’àvaro (a parte il tabassarano, del quale s’è già detto): fra queste merita una menzione
l’udi.
In udi è nata, pare recentemente, una forma nominale definita ‘caso accusativo’:
nell’ambito del costrutto ergativo, il caso nominativo ha acquisito una desinenza, la quale
rimarca la funzione d’oggetto che esso svolge nella frase. In tal modo, nella frase
medesima, viene a mancare il caso nominativo, giacché il soggetto logico continua ad
essere espresso per via dell’ergativo. La novità appena esposta, comunque, non trova
riscontro con tutti i sostantivi, e pare costituire un rafforzamento del ruolo oggettivo del
caso nominativo; sembra, inoltre, che essa sia caratteristica dei contesti di discorso
particolarmente enfatici.
Fra le lingue nache (ceceno, inguscio e bazbi, che costituiscono il ramo occidentale della
famiglia) le prime due, strettamente affini l’una all’altra, non si discostano dall’àvaro per
quanto attiene all’assenza di coniugazione verbale personale, e possiedono solo accordo
classuale prefissale.
Nella costruzione ergativa c’è legame del solo oggetto col verbo: ing. xoza-ča deš-o laqa
loam bošabäb ‘una parola affettuosa fuse un’alta montagna’, con il soggetto ed il suo
aggettivo che sono posti in ergativo, e non hanno nessuna concordanza col verbo;
l’oggetto sta in nominativo.
Una prima caratteristica delle lingue nache, in contrasto con l’àvaro e le lingue
daghestane, è l’esistenza di una notevole quantità di verbi privi di marche classuali, che
dunque non possiedono accordo nemmeno con l’oggetto: in ing. da-s lätta oax ‘il padre
ara la terra’ il verbo, collocato in ultima posizione, è appunto non classuale. In secondo
luogo si segnala la vasta diffusione di forme analitiche, costituite da un participio e la
particella di ‘essere’: esse richiedono una speciale costruzione definita ‘comune’, che
prevede il ricorso al doppio nominativo e mostra l’accordo del participio con l’oggetto, e
della particella col soggetto. Si ha cosí ing. ḳänk knīzka diyša va ‘il ragazzo leggeva il
libretto’ e cec. Dara knīga yöšuš vu ‘Dara legge il libro’: il soggetto d’azione è in prima
posizione è mantiene accordo con la particella, ultima nella frase, mentre l’oggetto,
anch’esso al nominativo e riconoscibile per la sua seconda posizione, è legato al participio
verbale. In ceceno le forme analitiche presentano anche un altro tipo di costrutto,
chiamato dai grammatici ‘processualmente attivo’, nel quale il soggetto sta in ergativo e
non possiede accordo col verbo, mentre l’oggetto ha doppio accordo col verbo (sia col
participio, sia colla particella): Dara-s i knīga yenša yu ‘Dara ha già letto/ha terminato di
leggere questo libro’, dove y- è prefisso di classe inanimata (le classi nominali sono sei: il
loro numero elevato è dovuto alla distribuzione dei prefissi, che in tutto sono quattro, fra
singolare e plurale).
I verbi intransitivi, quando sono classuali, hanno accordo con il soggetto: cec. student
institute vödu ‘lo studente va in istituto’; se il predicato verbale è una forma analitica
(costruzione ‘comune’), sia il predicato, sia la particella concordano col soggetto.
Nelle lingue nache esistono anche un costrutto dativo con il verbo ‘conoscere’ (lett. ‘essere
noto a’), ed uno locativo per ‘avere’ (lett. ‘essere presso qualcuno/qualcosa’).
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Il bazbi si discosta dalle altre due lingue della sua sottofamiglia: prima differenza è la
comparsa di una coniugazione verbale personale, nella quale, alle forme di prima e
seconda persona, si aggiunge il pronome personale nella veste di suffisso. L’altra
peculiarità del bazbi è l’uso del costrutto ergativo anche in presenza di verbi intransitivi,
ma soltanto alla prima e seconda persona: in as skolen vuitas ‘io vado verso la scuola’ il
pronome, che funge da soggetto, è posto in ergativo, e nella frase manca dunque il
nominativo; il predicato possiede doppia accordo col soggetto: classuale prefissale e
personale suffissale. Quando il soggetto è di terza persona, la costruzione è nominativa:
sẽ yašō skolai yuitā ‘mia sorella va a scuola’, con soggetto al nominativo e consueta
concordanza per prefissale per classe. Anche le forme analitiche richiedono i costrutti
suddetti.
Coi verbi transitivi troviamo la costruzione ergativa in presenza di forme verbali semplici:
Aniko-s kocun xi dottir ‘Annetta versò l’acqua nella brocca’ (accordo classuale dell’oggetto
xi col verbo); la costruzione ‘comune’, ovvero nominativa, in presenza di forme composte:
Siko pir bažbuin va ‘Siko sta pascolando il gregge’, dove la particella verbale concorda
col soggetto, posto al nominativo, ed il participio si lega all’oggetto. In quest’ultima frase si
ritrova il doppio nominativo.
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