TOMO V convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati Modulo 2 La Fisica quantistica Unità 3 Lo stato solido e i semiconduttori Lo studio della materia allo stato solido è uno dei campi nei quali la meccanica quantistica ha condotto ai risultati più fecondi, sul piano sia del progresso delle conoscenze che della ricchezza dei risultati pratici. Lo studio dei semiconduttori, in particolare, ha condotto alla realizzazione di dispositivi elettronici straordinariamente efficaci, i quali sono alla base della rivoluzione dell’informazione che stiamo vivendo in questi anni. Ma le prospettive offerte oggi dalla nanotecnologia sono ancora più estese: nuovi materiali e dispositivi totalmente nuovi in quanto basati sulla meccanica quantistica. Figura 0. Oggi è possibile manipolare manipolare la materia al livello di singoli atomi. La figura, in falsi colori, rappresenta 48 atomi di ferro che sono stati disposti su una superficie di rame. Notate, al centro, le onde stazionarie degli elettroni liberi del rame confinati nel “recinto” di ferro. (immagine realizzata nei laboratori di ricerca IBM) 3.1 I legami chimici tengono assieme gli atomi della materia La materia ordinaria, come sapete, non è costituita da atomi isolati, ma da atomi che interagiscono fra loro attraverso forze elettriche. Sono infatti queste forze, che si esercitano fra i nuclei e gli elettroni degli atomi che costituiscono una molecola o un cristallo, che determinano il legame chimico che li tiene assieme. Si usa distinguere fra diversi tipi di legami chimici, covalente, ionico e metallico, ciascuno dotato di particolari caratteristiche. Ma la realtà è generalmente assai complessa, soprattutto nei solidi, sicchè i legami chimici vanno intesi come casi particolari di situazioni reali intermedie nelle quali possono prevalere le caratteristiche dell’uno o dell’altro dei legami anzidetti. La descrizione corretta dei legami chimici richiede infatti il ricorso alla meccanica quantistica che, attraverso la risoluzione di una appropriata equazione di Schrödinger, stabilisce gli stati che assumono gli elettroni in una molecola, le geometrie di questi stati e la struttura complessiva delle molecole. E’ ancora il ricorso a considerazioni quantistiche che consente di interpretare la geometria degli aggregati di atomi che costituiscono i cristalli e le loro proprietà fisiche. Vi sono tuttavia dei criteri guida generali: i legami chimici fra gli atomi sono determinati essenzialmente dagli elettroni degli strati più esterni degli atomi costituenti; gli aggregati di atomi sono stabili quando l’energia potenziale complessiva presenta un minimo ed è comunque inferiore a quella degli atomi costituenti, presi separatamente. Un caso particolarmente semplice è quello della molecola del gas idrogeno (H2), formata dall’unione di due atomi di questo elemento. Risolvendo l’equazione di Schrödinger per il sistema, che comprende due protoni (i nuclei degli atomi) e due elettroni, si trova che nello stato fondamentale vi sono due possibili funzioni d’onda per gli elettroni, una simmetrica rispetto al centro di massa dei nuclei, l’altra antisimmetrica. Alla prima corrisponde una “nuvola” elettronica con più alta probabilità che gli elettroni si trovino nella regione fra i due nuclei, dove l’attrazione esercitata dai protoni è più intensa. Si trova poi che in questo caso il sistema è stabile, perchè l’energia potenziale totale presenta un minimo al variare della distanza fra i nuclei, come mostra la figura 2. E in effetti la molecola di idrogeno è fatta così, con i due elettroni in questo stato, naturalmente con numeri di spin diversi (-½, +½) cioè con spin opposti. Nella molecola di idrogeno, in conclusione, si ha la condivisione di due elettroni da parte di due atomi. Questo legame, chiamato legame covalente, si crea in generale quando due o più coppie di elettroni vengono messe in comune fra due atomi. Il legame covalente è il più comune in natura, 1 nel senso che determina la formazione del maggior numero di sostanze composte, in particolare i composti organici, di tutte le molecole nello stato gassoso e di gran parte degli aggregati cristallini. Diverso è il caso del legame ionico, che si crea fra due atomi quando uno di essi cede all’altro un elettrone, ed è quindi determinato dall’attrazione elettrostatica fra i due ioni così formati, dotati di cariche elettriche di segno opposto. Così avviene, per esempio, in tutti i sali, in particolare nel cloruro di sodio, il comune sale da cucina (NaCl). Questa sostanza è costituita dall’unione di ioni sodio (Na+), cioè atomi di sodio che hanno perso l’unico elettrone del loro strato più esterno, più debolmente legato all’atomo, e di ioni cloro (Cl -), cioè atomi di cloro che hanno acquistato un elettrone, completando così il loro guscio elettronico esterno. Un altro legame importante è il legame metallico, che s’interpreta ammettendo che gli atomi dei metalli, disponendosi ordinatamente a formare un cristallo, possano perdere uno o due dei loro elettroni esterni. Questi diventano liberi di muoversi all’interno del cristallo, e per questo si parla di “gas di elettroni”, dando luogo in particolare alle ottime proprietà di conducibilità elettrica e termica che caratterizzano appunto i metalli. Si tratta di un legame fortemente delocalizzato, che consiste nell’attrazione elettrostatica fra gli elettroni liberi e gli ioni del reticolo cristallino. Approfondimento 1. La molecola di idrogeno è un minuscolo oscillatore. A quale frequenza? I due nuclei della molecola di idrogeno oscillano continuamente attorno alla loro distanza di equilibrio (d0 in figura 2), in ragione dell’energia termica posseduta dalla molecola, che dipende dalla temperatura a cui essa si trova. Il comportamento delle forze elettriche attorno alla posizione di equilibrio, in fondo alla buca di potenziale, è infatti di tipo elastico e può essere caratterizzato da una costante elastica k = 510 N/m. Conoscendo la massa del protone che costituisce il nucleo degli atomi di idrogeno (mp = 1,673∙10-27 kg) si può risalire alla frequenza delle oscillazioni della molecola. Ammettendo per semplicità che la molecola di idrogeno si comporti come un sistema massa-molla, si ha: f = 1/(2) √(k/mp) = √(510/1,673∙10-27)/6,28 ≈ 9∙1013 Hz. Figura 1. Quando due atomi di idrogeno si trovano a grande distanza, le loro “nuvole” elettroniche restano imperturbate (a). Quando però la distanza diminuisce le funzioni d’onda si modificano, e le nuvole si deformano, a causa dell’interazione fra i due atomi (b). Nella molecola di idrogeno le due nuvole dei due atomi si fondono assieme, creando una nube che è particolarmente densa nella regione fra i due nuclei, dove è maggiore la probabilità che gli elettroni si trovino (c) (Adattare da Scienza della Materia, vol. 2, pag. 37) Figura 2. L’energia potenziale totale della molecola di idrogeno in funzione dalla distanza fra i nuclei presenta un minimo per d 0 = 74 pm, per cui le forze attrattive e quelle repulsive si equilibrano, cioè si ha un legame stabile. In questa condizione l’energia di legame della molecola, cioè l’energia necessaria a separare i due atomi allontanandoli a grande distanza, è di 4,5 eV. 3.2 I solidi: conduttori, isolanti e semiconduttori Consideriamo due oscillatori identici, per esempio due pendoli, che dunque oscillano esattamente alla stessa frequenza. Cosa avviene quando avviciniamo i pendoli fra loro, creando così fra essi un accoppiamento, attraverso l’aria? Il sistema complessivo presenta ora due diverse frequenze di oscillazione, una maggiore e una minore di quella dei due oscillatori separati; con una differenza di frequenza che aumenta al crescere del grado di accoppiamento. E se colleghiamo assieme tre o più oscillatori identici? Il risultato è del tutto analogo: il sistema costituito da n oscillatori verrà a possedere n diverse frequenze di oscillazione, attorno a quella che possedevano inizialmente. Un fenomeno simile avviene quando si avvicinano fra loro più atomi uguali, come quando si forma di un cristallo. Come sapete, gli elettroni degli atomi, considerati separatamente, possono occupare soltanto determinati livelli di energia, stabiliti dai numeri quantici. Quando però gli atomi interagiscono fra loro, a ciascuno di questi livelli viene a corrispondere una molteplicità di livelli 2 distinti. Dato che il numero di atomi di un cristallo è straordinariamente grande, l’insieme di questi livelli viene a costituire una banda di energia praticamente continua. Sicchè nel cristallo si formano più bande continue, corrispondenti ai livelli energetici dell’atomo isolato, che sono chiamate bande permesse perché rappresentano stati che gli elettroni possono occupare. Queste possono sovrapporsi parzialmente oppure essere separate da intervalli Precisiamo. Le bande permesse di energia non chiamati bande proibite perchè in esse non vi sono stati sono “luoghi” dove gli elettroni degli atomi del che gli elettroni possano occupare. cristallo possono trovarsi, ma insiemi di livelli di energia che gli elettroni possono assumere. Notate però che la formazione di queste bande continue di energia riguarda sopratutto gli elettroni degli strati più esterni, perchè quelli più interni, fortemente legati ai nuclei, risentono assai meno dell’interazione con gli atomi adiacenti. E’ proprio dalla particolare struttura a bande di un cristallo che dipendono le sue proprietà, in particolare le proprietà elettriche. Negli isolanti la banda di energia permessa più elevata, chiamata banda di conduzione (C in figura 4) è vuota, cioè priva di elettroni. Al di sotto di essa si trova una banda proibita di parecchi eV, per esempio 5,5 eV nel caso del diamante, che la separa dalla banda di energia permessa subito inferiore, chiamata banda di valenza (V in figura 4), che invece è completamente piena. Ma gli elettroni della banda di valenza, fortemente legati agli atomi, non possono acquistare energia in presenza di un campo elettrico, dal momento che tutti i livelli di energia in quella banda sono già occupati. Sicchè essi non possono spostarsi Tabella 1. Ampiezza nel cristallo, che si comporta appunto come un isolante. EBP della banda proibita di alcuni materiali Nei semiconduttori la struttura a bande è simile a quella degli InSb 0,17 eV isolanti, ma con una differenza importantissima: l’ampiezza della banda 0,67 eV proibita è relativamente bassa, per esempio 1,14 eV nel silicio, cioè tale che a Ge Si 1,14 eV temperatura ambiente l’energia termica sia sufficiente a portare nella banda di conduzione una piccola frazione degli elettroni della banda di valenza. GaAs 1,42 eV Questi si comportano come portatori di carica, liberi di muoversi all’interno GaP 2,26 eV del cristallo, dato che in un cristallo con legami covalenti gli elettroni sono C (diamante) 5,5 eV condivisi fra tutti i suoi atomi. E quindi un semiconduttore conduce l’elettricità, sia pur debolmente. Sono semiconduttori alcuni elementi del IV gruppo della tavola periodica, fra cui il germanio (Ge) e il silicio (Si), che è il più importante, alcuni composti, come l’arseniuro di gallio (GaAs) e alcune leghe fra particolari elementi. Nei metalli, infine, le due bande permesse superiori sono parzialmente sovrapposte, formando così un’unica banda di energia permessa, che è riempita solo parzialmente. E quindi gli elettroni che vi si trovano possono muoversi liberamente, sempre beninteso all’interno del metallo: sia spontaneamente grazie all’agitazione termica, conducendo quindi bene il calore, sia in presenza di un campo elettrico, perciò conducendo bene l’elettricità. Quanto detto spiega la straordinaria differenza fra la conducibilità elettrica di un isolante, di un semiconduttore e di un metallo, che dipende dal numero di elettroni liberi per unità di volume. Il numero di elettroni liberi in un volumetto di metallo è infatti maggiore di molti ordini di grandezza rispetto a un semiconduttore, che a sua volta è estremamente maggiore di un isolante, la cui veramente minima conducibilità si deve a piccole deviazioni dal comportamento ideale, che sarebbe invece quello di un isolante perfetto. Alla conducibilità elettrica dei semiconduttori puri contribuiscono sia gli elettroni liberati dagli atomi del cristallo per effetto termico sia le lacune, o elettroni mancanti, ad essi corrispondenti. Quando infatti un elettrone si libera da un atomo del semiconduttore, si crea un posto vacante che può essere occupato da un elettrone sottratto a un altro atomo. In presenza di un campo elettrico, quindi, si muovono sia gli elettroni liberi sia quelli che si spostano ad occupare i posti vacanti, creandone via via dei nuovi. Tutto avviene cioè come se le lacune si muovano effettivamente, comportandosi dunque come cariche positive libere, cioè come portatori di carica. Il numero delle lacune, per quanto detto, è esattamente uguale a quello degli elettroni liberi. ma questo numero non è fisso, perchè fluttua continuamente nel tempo attorno a un valore di equilibrio: a ogni istante si creano infatti coppie elettrone-lacuna per effetto termico e a ogni istante 3 un certo numero di elettroni liberi vanno ad occupare altrettante lacune, annichilandosi vicendevolmente. Questo equilibrio dipende fortemente dalla temperatura, che favorisce la creazione di coppie elettrone-lacuna, sicchè la conducibilità elettrica aumenta a sua volta assai rapidamente con la temperatura: ciò è sfruttato in pratica per realizzare dei termometri elettronici molto sensibili. La creazione di coppie elettrone-lacuna può essere anche prodotta dall’assorbimento di fotoni di energia almeno pari a quella della banda proibita, in grado cioè di portare un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione. In tal caso si parla di effetto fotoelettrico interno, perché gli elettroni così liberati restano comunque all’interno del semiconduttore. Questo fenomeno è sfruttato nelle cosidette fotoresistenze, la cui resistenza è inversamente proporzionale al flusso luminoso che le colpisce. Queste trovano vari impieghi pratici, per esempio negli esposimetri delle macchine fotografiche. I semiconduttori drogati La conducibilità elettrica di un semiconduttore aumenta grandemente, pur restando lontana da quella dei metalli, quando nel cristallo viene introdotto un certo numero di atomi di determinati elementi, che vanno a sostituire altrettanti atomi del semiconduttore. Questo processo prende il nome di drogaggio, il materiale così ottenuto si chiama semiconduttore drogato. Le dosi di drogaggio sono piccolissime, tipicamente dell’ordine di 1-100 atomi di impurità per milione di atomi del cristallo. Per capire cosa avviene in un cristallo drogato esaminiamo prima la struttura di un semiconduttore puro, come il germanio o il silicio, elementi del IV gruppo. Lo strato elettronico più esterno degli atomi di questi elementi contiene 4 elettroni, chiamati elettroni di valenza perché ne determinano le proprietà chimiche, i quali si trovano normalmente nella banda di valenza. Il cristallo di silicio ha struttura cubica a facce centrate, nella quale ogni atomo forma legami covalenti con ciascuno dei quattro atomi più vicini, condividendo cioè due elettroni con ciascuno di essi, come è mostrato nella parte a) della figura 5. Un paragone sportivo? Ciascun Quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di un atomo di silicio del cristallo gioca contemporaneamente 4 partite a elemento del V gruppo, che possiede cinque elettroni nello strato tennis con i 4 atomi adiacenti, più esterno, quattro di questi vengono impegnati nei legami usando due elettroni per partita. covalenti, mentre il quinto, essendo solo debolmente legato all’atomo, si libera facilmente grazie all’agitazione termica, passando quindi nella banda di conduzione. Gli elettroni così liberati vanno dunque ad accrescere la conducibilità elettrica del materiale, che in questo caso prende il nome di semiconduttore di tipo n, perché la maggior parte dei portatori di carica è costituito appunto da elettroni, dotati di carica negativa. L’opposto accade invece quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di un elemento del III gruppo, che possiede tre elettroni nello strato più esterno e può quindi fornire solo tre dei quattro elettroni necessari per stabilire i legami covalenti. Di conseguenza nel cristallo si crea un lacuna, cioè l’equivalente di una particella libera dotata di carica positiva. Le lacune così prodotte vanno ad accrescere la conducibilità elettrica del materiale, che in questo caso prende il nome di semiconduttore di tipo p, perché la maggior parte dei portatori di carica è costitito da cariche positive. Notate però che i semiconduttori drogati sono elettricamente neutri. A ciascun elettrone libero in un semiconduttore di tipo n, trascurando quelli generati per effetto termico, corrisponde infatti uno ione positivo fisso dotato di carica positiva (un atomo di drogante che ha perso un elettrone). In un semiconduttore di tipo p, analogamente, a ciascuna lacuna corrisponde uno ione negativo fisso dotato di carica negativa (un atomo di drogante che ha acquistato un elettrone). La fisica della tecnologia 1. Il drogaggio dei semiconduttori. Come si compie il drogaggio di un cristallo semiconduttore puro, inserendovi piccole quantità controllate di altri elementi per trasformarlo in un semiconduttore drogato? Una tecnica consiste nel 4 portare il cristallo ad alta temperatura (attorno a 1000°C, nel caso del silicio) in presenza di un gas che contiene l’elemento drogante, il quale penetra gradualmente al suo interno per diffusione. Tale processo, del tutto analogo ai moti di diffusione delle molecole di un gas, è fortemente favorito dalla temperatura. Un’altra tecnica è quella chiamata impianto di ioni: gli atomi di drogante vengono prima ionizzati e poi accelerati da un intenso campo elettrico che li “spara” contro il cristallo semiconduttore. Se l’energia cinetica degli ioni è sufficiente (da decine a centinaia di keV), essi penetrano nel cristallo e vi si inseriscono. Una successiva “ricottura” del cristallo è poi necessaria per ricomporne la struttura cristallina, che era stata distorta dagli effetti di questa questa “artiglieria”. Approfondimento 2. La struttura a bande dei semiconduttori drogati. La presenza di un consistente numero di portatori di carica (elettroni liberi oppure lacune) nei semiconduttori drogati si deve al cambiamento struttura a bande che si verifica quando un cristallo semiconduttore viene drogato; come mostra la figura A nel caso del silicio di tipo n. La presenza nel cristallo di atomi con 5 elettroni esterni, cioè con un elettrone in più rispetto a quanto richiedono i legami covalenti, crea infatti infatti una piccola banda permessa (indicata in nero nella figura) all’interno della banda proibita. Questa si trova tipicamente a qualche centesimo di eV dal bordo inferiore della banda di conduzione, e quindi a temperatura ambiente l’energia termica è sufficiente a portare in banda di conduzione tutti, o quasi tutti, gli elettroni che vi si trovano. Si ha infatti: kT = 1,38∙10-23300 = 4,14∙10-21 J = 4,14∙10-21/1,6∙10-19 eV = 0,026 eV. Figura A. Struttura a bande di un cristallo di silicio puro e di un cristallo drogato di tipo n. In quest’ultimo si ha una piccola banda permessa appena sotto la banda di conduzione, a pochi centesimi di elettronvolt. Da questa gli elettroni passano facilmente nella banda di conduzione grazie all’energia termica a temperatura ambiente. Figura 3. Quando degli atomi si avvicinano fra loro, l’interazione fra essi trasforma i livelli energetici posseduti inizialmente in bande di energia praticamente continue (bande permesse), separate da bande proibite. L’ampiezza delle bande permesse è tanto maggiore quanto più gli atomi si avvicinano. Il cristallo costituito dagli atomi di un dato elemento ha la specifica struttura a bande che corrisponde alla particolare distanza interatomica d0, per cui il cristallo è stabile (d0 = 54,3 nm nel caso del silicio). Figura 4. (a) La struttura a bande di un isolante è caratterizzata dalla presenza di una banda di conduzione (C) completamente vuota di elettroni e da una banda di valenza i cui stati sono invece tutti occupati. Le due bande sono separate da una banda proibita (P), priva di stati che gli elettroni possano assumere, con ampiezza di parecchi eV. (b) I semiconduttori differiscono dagli isolanti per la minore ampiezza, attorno a 1 eV, della banda proibita. (c) Nei metalli, le prime due bande permesse si sovrappongono parzialmente, creando un’unica banda che per questo è solo parzialmente riempita di elettroni. Questi elettroni determinano la conducibilità elettrica del metallo. Figura 5. Rappresentazione (nel piano) dei legami fra gli atomi di un cristallo di silicio puro (a) e di silicio drogato (b e c). Ciascun atomo di silicio si lega con quattro atomi vicini, condividendo due elettroni con ciascuno di essi. Gli atomi di arsenico (b) hanno 5 elettroni nello strato più esterno, quattro dei quali vengono condivisi con gli atomi di silicio 5 adiacenti, mentre il quinto si libera facilmente perché solo debolmente legato all’atomo. Gli atomi di boro (b) hanno 3 elettroni nello strato più esterno, sicchè devono catturarne uno a un altro atomo in modo da averne 4 da condividere con gli atomi di silicio adiacenti: si libera così una lacuna o elettrone mancante, una carica positiva che può muoversi nel cristallo. (adattare da Scienza della materia, vol. 2, pag. 255, fig. 3) 3.3 La giunzione p-n e il diodo a semiconduttore Quando poniamo a contatto due metalli diversi, fra essi si stabilisce una differenza di potenziale (effetto Volta, Tomo III, pag. xxx) che è dovuta alla differenza fra le energie di estrazione degli elettroni dai due metalli. Lo stesso fenomeno si verifica fra due regioni di un semiconduttore drogate diversamente, in particolare quando una parte di Attenzione. La differenza di potenziale un cristallo è di tipo n e l’altra di tipo p, formando ciò che fra le due regioni di una giunzione p-n si chiama una giunzione p-n ( figura 6). NON si misura con un voltmetro disposto fra i suoi estremi. Per la stessa ragione Questa barriera di potenziale si manifesta in per cui non si misura quella che si concreto quando fra i due estremi della giunzione si stabilisce fra due metalli diversi. applica una tensione esterna che, a seconda della sua polarità, può abbassare la barriera, favorendo così il moto dei portatori (gli elettroni liberi presenti nella zona p, le lacune presenti nella zona n) attraverso la giunzione, oppure può innalzarla, impedendone il passaggio. Nel primo caso nella giunzione scorre una corrente elettrica e si dice che essa è polarizzata direttamente; nel secondo caso non vi scorre corrente apprezzabile e si dice che la giunzione è polarizzata inversamente. Su questa proprietà è basato il funzionamento dei diodi a semiconduttore, che potete osservare eseguendo l’esperimento proposto nella figura 7. Più precisamente, il comportamento elettrico di una giunzione p-n è descritto dalla seguente legge dovuta al fisico americano William Shockley (1910-1989): (1) eV I I 0 exp 1 kT dove I è l’intensità della corrente, V è la tensione applicata dall’esterno fra la regione p e quella n della giunzione, I0 è un parametro caratteristico della giunzione, e è la carica dell’elettrone, k = 1,38∙10-23 J/K è la costante di Boltzmann. Il coefficiente η vale circa 1 per il germanio e circa 2 per il silicio. Il parametro I0 prende il nome di corrente inversa, perché rappresenta la debolissima corrente, dell’ordine di 1-100 pA nel caso di un normale diodo al silicio, che scorre attraverso la giunzione quando ad essa viene applicata una tensione negativa (fra la zona p e quella n). Il grafico in figura 8 rappresenta la curva caratteristica corrente-tensione di una giunzione p-n, data dalla formula (1). I diodi sono usati soprattutto per rendere unidirezionale una corrente alternata, cioè per trasformarla in una corrente continua, come avviene per esempio nei caricabatterie dei telefonini e degli altri apparecchi portatili. Oltre che nei diodi, le proprietà delle giunzioni p-n sono sfruttate nella realizzazione dei transistori a giunzione e di numerosi altri dispositivi elettronici. Le celle fotovoltaiche Cosa avviene quando un fotone incide su una giunzione p-n? Sapete già l’assorbimento di un fotone da parte di un semiconduttore produce la creazione di una coppia elettrone-lacuna, se l’energia E che esso possiede è maggiore o uguale all’ampiezza E BP della banda proibita del materiale, cioè se è verificata la condizione (2) hf = hc/ ≥ EBP dove f è la frequenza del fotone e la sua lunghezza d’onda. Ma fra le due regioni di una giunzione p-n vi è un campo elettrico, dovuto alla presenza di ioni di carica opposta sui due lati (che si manifesta nella presenza della barriera di potenziale di cui 6 s’è detto prima). L’effetto del campo è allora quello di separare gli elettroni dalle lacune, creando così un accumulo di cariche opposte ai due lati della giunzione e quindi una differenza di potenziale fra i suoi estremi, una corrente se questi sono collegati a un carico esterno. La giunzione p-n, così, si comporta come un generatore elettrico, che converte l’energia dei fotoni in energia elettrica. I dispositivi realizzati a questo scopo prendono il nome di celle fotovoltaiche o celle solari e trovano impiego nello sfruttamento dell’energia solare come fonte di energia alternativa ( pag. xxx). Esempio 1. Quali fotoni della luce solare sono utilizzati da una cella solare al silicio? Vogliamo stabilire quale parte dei fotoni della radiazione solare sono effettivamente utilizzati da una cella solare al silicio. Ricaviamo dalla formula (2) la lunghezza d’onda dei fotoni che hanno l’energia minima necessaria a produrre effetto fotoelettrico nel silicio: = hc/EBP. Sapendo che l’ampiezza della banda proibita nel silicio è EBP = 1,1 eV = 1,11,6∙10-19 J = 1,76∙10-19 J, si ha pertanto: = 6,63∙10-343∙108/1,76∙10-19 = 1,13∙10-6 m = 1130 nm. Questa lunghezza d’onda, che cade nell’infrarosso, separa i fotoni utili per la conversione in elettricità, cioè tutti quelli che cadono nel visibile più una piccola frazione di quelli infrarossi, da quelli inutilizzabili, cioè i fotoni infrarossi con lunghezza d’onda maggiore di 1130 nm. I diodi emettitori di luce (LED) Il processo inverso, cioè l’emissione di fotoni da parte di una giunzione p-n attraversata da una corrente elettrica, si verifica in vari materiali semiconduttori, ma non nel silicio. L’energia dei fotoni emessi corrisponde al salto di energia che subiscono gli elettroni della corrente, cioè all’ampiezza della banda proibita EBP del semiconduttore (o a salti fra i livelli energetici intermedi che si creano nei semiconduttori drogati), con trasformazione totale, idealmente, in energia luminosa dell’energia elettrica assorbita. Così, usando diodi di materiali diversi, con valori diversi di EBP, per esempio arseniuro di gallio (GaAs), fosfuro di gallio (PAs), e leghe di questi e altri materiali, si ottiengono luci di colori diversi e radiazione infrarossa (nei LED usati nei telecomandi). Da qualche tempo anche luce blu, con LED di nitruro di gallio e indio (GaInN). La radiazione emessa da questi dispositivi è incoerente, come quella delle lampade a incandescenza o di quelle a scarica. Producono invece radiazione coerente, sfruttando il principio dell’emissione stimolata ( Unità 2, pag. xxx), i diodi laser, che si ottengono realizzando attorno alla giunzione una microcavità ottica con pareti riflettenti. La fisica attorno a noi 1. Le lampadine a stato solido. Da qualche tempo si sta diffondendo l’impiego dei LED come sorgenti di illuminazione, in aggiunta a quello tradizionale come lampadine spia o come indicatori luminosi. Queste lampadine a stato solido, già in uso nei semafori e nei fari delle automobili, cominciano infatti a trovare impiego anche nella illuminazione degli ambienti. Il successo dei LED è legato alle loro caratteristiche di efficienza, misurata in termini di luce prodotta per watt consumato, che sta migliorando nel tempo ma già oggi è decisamente superiore alle tradizionali lampade a incandescenza, e alla loro durata lunghissima, attorno a 105 ore, assai maggiore di qualunque altro tipo di lampada. Sono stati necessari molti anni di lavoro per riuscire a ottenere luce bianca, come è necessario nel campo dell’illuminazione, a partire da sorgenti di luce colorata, quali sono naturalmente i LED. Le soluzioni adottate sono essenzialmente due: l’impiego in combinazione di tre LED ciascuno dei quali emette luce di uno dei tre colori primari (rosso, verde e blu), l’impiego di LED che emettono radiazione di piccola lunghezza d’onda, che viene trasformata in luce bianca utilizzando opportune sostanze fluorescenti (come avviene nelle lampade fluorescenti usuali). 7 Figura A. L’impiego dei LED nei semafori per le segnalazioni stradali è particolarmente conveniente. Queste lampade emettono infatti naturalmente luce colorata (rossa, verde o arancione), sostituendo, con grandi risparmi di energia, le lampade a incandescenza dotate di filtri colorati che si usavano in passato. Nella foto un semaforo realizzato con sorgenti LED, prodotto dalla società americana Gelcore. Figura 6. Una giunzione p-n si realizza drogando differentemente due regioni di un semiconduttore, per ottenere cioè al suo interno una zona di tipo p e una di tipo n. Nei pressi della zona di contatto le cariche libere si neutralizzano, creando il cosidetto strato di svuotamento, mentre le cariche fisse (ioni con cariche di segno opposto ai due lati) creano un campo elettrico e quindi una differenza di potenziale fra le due zone della giunzione. (Adattare da Scienza della Materia, vol. 2, pag. 256, modificando le scritte come segue: a sinistra ione positivo e a destra ione negativo) Figura 7. Esperimento. Il diodo è un conduttore unidirezionale. (a) Collegate un diodo al silicio fra una pila e una lampadinetta: questa si accenderà indicando il passaggio di una corrente elettrica. (b) Invertendo la polarità del diodo, la lampadina resterà spenta, indicando che nel circuito non scorre corrente di intensità apprezzabile. Figura 8. La curva caratteristica corrente-tensione di una giunzione p-n, cioè di un diodo a semiconduttore, mostra chiaramente che questo dispositivo non segue la legge di Ohm, comportandosi come un conduttore unidirezionale. A una tensione positiva (polarizzazione diretta) corrisponde il passaggio di corrente; a una negativa (polarizzazione inversa), una corrente di intensità debolissima (I 0). 3.4 Il transistore a giunzione Esperimento 1. Il transistore a giunzione amplifica una corrente. Procuratevi una pila da 4,5 volt, un transistore NPN, un resistore da 220 Ω e due lampadinette adatte alla pila, e realizzate il circuito in figura 9. Chiudendo l’interruttore, troverete che si accende la lampadina 2 ma non quella 1. Ciò si spiega ammettendo che il transistore amplifichi la corrente che entra nel suo ingresso, nel terminale B, lasciandosi attraversare cioè da una corrente corrispondente, più intensa, che scorre nel suo terminale d’uscita C. Che infatti è in grado di accendere la lampadina 2. Il transistore a giunzione è sostanzialmente un cristallo nel quale sono state realizzate due giunzioni p-n, con la regione intermedia in comune, a piccolissima distanza fra loro perché il funzionamento del dispositivo è basato proprio sull’interazione fra le giunzioni. E quindi possiamo avere sia un sandwich p-n-p, che prende il nome di transistore PNP, che uno n-p-n, che prende il nome di NPN. La figura 10 mostra in particolare la struttura di un transistore NPN, nel quale la regione in comune è di tipo n. La proprietà essenziale di questo dispositivo è l’amplificazione di corrente: quando le tensioni esterne sono disposte come nella figura 10, la corrente IC che scorre attraverso l’elettrodo C (chiamato collettore) è poco minore di quella (IE) che scorre attraverso l’elettrodo E (chiamato emettitore), ma assai più intensa della corrente IB che scorre nell’elettrodo B (chiamato base), a cui è direttamente proporzionale. Si ha pertanto: (3) IC = IB dove il fattore di amplificazione è tipicamente compreso fra 50 e 500. Il fenomeno di amplificazione è dovuto al fatto che la giunzione BE fra la base (B) e l’emettitore (E) è realizzata in modo che la corrente che vi scorre sia costituita soprattutto da elettroni. Quando questa giunzione viene polarizzata direttamente, cioè si applica una tensione positiva fra B ed E, si crea una corrente di elettroni che dall’emettitore raggiunge la regione di base. 8 Ma siccome la regione di base ha uno spessore assai piccolo, questi elettroni la attraversano senza ricombinarsi apprezzabilmente con le lacune in essa presenti, raggiungendo così il collettore, anche se la giunzione BC fra base e collettore è polarizzata inversamente, e scorrendo poi nel circuito esterno. Attraverso l’elettrodo di base scorre quindi soltanto la piccola differenza (IB) fra le correnti di emettitore (IE) e di collettore (IC), che è molto minore della corrente di collettore. Nota storica 1. L’invenzione del transistore a giunzione. L’idea di controllare il moto di cariche elettriche in un cristallo semiconduttore, per realizzare un dispositivo amplificatore risale agli anni ’30 del Novecento. Essa trovò successo il 16 dicembre del 1947, quando nei laboratori di ricerca della società americana Bell Telephone un gruppo di scienziati, dopo aver costruito il primo rudimentale transistore usando un cristallo di germanio con due contatti di oro a 50 m di distanza (l’equivalente di due giunzioni p-n ravvicinate), verificò che esso poteva amplificare una debole corrente elettrica. Gli inventori del transistore, William Shockley, John Bardeen e Walter Brattain, ricevettero il premio Nobel nel 1956. I transistori, nel giro di pochi anni, rivoluzionarono il mondo dell’elettronica, soppiantando i tubi a vuoto usati in precedenza grazie al loro minore ingombro e al minor consumo di potenza. Data infatti a quell’epoca la diffusione delle radio portatili e lo sviluppo dei primi calcolatori elettronici moderni. Ma l’invenzione del transistore aprì anche la porta allo sviluppo di numerosi altri dispositivi, fra cui le celle solari e i circuiti integrati. Figura A. Il primo rudimentale transistore costruito nel 1947 presso i laboratori Bell Telephone (Il mondo della Fisica, vol. B, pag. 453, ma possibilmente trovando una immagine migliore) Figura 9. (a) Struttura di un transistore NPN. Le correnti I C e IE hanno pressappoco la stessa intensità. Intensità assai inferiore ha invece la corrente IB, data dalla differenza fra le due precedenti. (b) Simbolo grafico di un transistore NPN usato negli schemi elettrici. Figura 10. Esperimento. Il transistore amplifica una corrente. Realizzate il semplice circuito in figura. Chiudendo l’interruttore la lampadina 1 resta spenta mentre si accende la lampadina 2. La corrente I2, amplificata dal transistore, è infatti molto più intensa della corrente I1. 3.5 Il transistore MOS La struttura dei transistori MOS (metallo-ossido-semiconduttore) è più semplice di quella dei transistori a giunzione, come mostra la figura 11. Qui è rappresentato un dispositivo a canale n, del tipo detto ad accrescimento, che è costituito da due piccole regioni di tipo n realizzate in un cristallo semiconduttore di tipo p. Il semiconduttore è ricoperto da uno straterello isolante di ossido di silicio, al di sopra del quale si trova lo strato metallico che costituisce l’elettrodo di comando, chiamato porta. In condizioni normali, cioè in assenza di segnale di comando sulla porta, il tratto fra le due regioni n (chiamato canale) non può condurre corrente: fra le due regioni n si trova infatti una regione p, e quindi si ha l’equivalente di due diodi disposti in serie in sensi opposti. Le cose cambiano, però, quando fra la porta e il semiconduttore viene applicata una tensione positiva. La struttura formata dal metallo (l’elettrodo porta), dall’ossido e dal semiconduttore costituisce infatti un condensatore, sicchè quando fra la porta e il semiconduttore si applica una tensione positiva (VP), le cariche positive sulla porta inducono nel semiconduttore sottostante altrettante cariche negative. Se queste ultime sono abbastanza numerose, la regione del canale cambia natura, trasformandosi da una di tipo p in una di tipo n, che mette quindi in contatto fra loro le due regioni n ai suoi estremi. L’intensità della corrente che può scorrere attraverso il canale, quando una tensione è applicata ai suoi estremi (fra D e S in figura), dipende naturalmente dal valore della tensione applicata alla porta, che esercita dunque una azione di controllo. 9 La semplicità realizzativa di questa soluzione rende oggi dominante l’impiego dei transistori MOS nei circuiti integrati. Figura 11. Nella figura si individuano i tre strati, rispettivamente di metallo (in alto), di ossido isolante e di semiconduttore (in basso), da cui deriva la denominazione dei transistori MOS. Il dispositivo in figura è del tipo detto a canale n , ma il canale conduttore fra le due regioni drogate di tipo n in realtà non esiste. Esso si forma soltanto quando si applica una tensione positiva (VP) fra l’elettrodo porta (P) e il semiconduttore, grazie alle cariche negative che vengono indotte nel cristallo p. E allora può scorrere una corrente fra i due elettrodi D e S, collegati alle due regioni n agli estremi del canale. 3.6 Dai circuiti integrati alle nanotecnologie Poco più di 10 anni dopo l’invenzione del transistore a giunzione, l’ingegnere americano Jack Saint Clair Kilby attuò un’idea che si rivelò presto di eccezionale portata: costruire all’interno di un cristallo di semiconduttore un circuito elettrico completo di tutte le sue parti: diodi, transistori, resistori, condensatori, …, inclusi i conduttori che li collegano. Il primo circuito integrato della storia nacque infatti nei laboratori della società Texas Instruments, dove Kilby lavorava, nell’estate del 1958. I transistori e i diodi vengono realizzati drogando opportunamente determinate regioni di un cristallo di silicio, i resistori consistono di piccoli volumi di semiconduttore (la cui resistenza fra gli estremi è data dalla seconda legge di Ohm) che vengono drogati in modo da presentare la resistività desiderata, i condensatori si ottengono disponendo sul silicio uno straterello di ossido isolante ricoperto poi da uno stato di metallo (come nei transistori MOS). I conduttori che collegano fra loro i vari elementi del circuito si ottengono infine depositando delle piste metalliche sull’ossido che ricopre tutto il semiconduttore, ad eccezione dei punti di contatto con i vari componenti. I primi circuiti integrati commerciali, prodotti negli anni ’60 del secolo scorso, comprendevano soltanto un piccolo numero di componenti. Ma questo numero è andato sempre aumentando negli anni, grazie ai progressi delle tecniche di fabbricazione, in particolare la continua riduzione delle dimensioni dei transistori e degli altri componenti. Sicchè oggi si realizzano circuiti integrati che contengono oltre un miliardo di transistori in un’area dell’ordine del cm 2. Notate che il processo di fabbricazione è oggi completamente Il costo di un singolo transistore? automatico, realizzato in impianti costosissimi, che All’incirca 10-7 euro, se un microprocessore producono volumi enormi di prodotti per soddisfare le che ne contiene 109 costa ~ 102 euro. esigenze di un mercato vastissimo. Le nanotecnologie Le tecnologie usate per realizzare circuiti integrati hanno trovato impiego anche per costruire dispositivi meccanici ed elettromeccanici (micromotori, meccanismi, sensori, …) di dimensioni micrometriche, sviluppando successivamente microlavorazioni sempre più raffinate, in grado di operare su oggetti di dimensioni nanometriche. Nel Se prendessimo un frammento di carbonio, corso degli stessi anni, inoltre, la fisica ha compiuto modificassimo la posizione dei singoli atomi, e li progressi straordinari nella comprensione del disponessimo in modo appropriato, potremmo ottenere un diamante. Questa non è fantascienza, comportamento delle proprietà di aggregati di ma una prospettiva della nanotecnologia. materia di dimensioni sempre più piccole. Dalla combinazione dei progressi teorici e delle tecnologie realizzative ha origine lo sviluppo della disciplina chiamata nanotecnologia, che sarebbe più corretto chiamare nanoscienza, che ha l’obiettivo di studiare e manipolare la materia a livello atomico e molecolare. Cioè su una scala dove le proprietà fisico-chimiche dei materiali sono diverse, spesso sorprendentemente, da quelle possedute a scala più grande, offrendo così straordinarie prospettive nella realizzazione di nuovi materiali oltre che di nanodispositivi. E del 10 resto si sono già ottenuti nanomateriali con proprietà particolarissime, come le nanoparticelle usate in lubrificanti innovativi, quelle impiegate in esperimenti di disinquinamento ambientale, oppure i nanotubi di carbonio. Questi sono tubi sottilissimi di carbonio, con diametro di qualche nanometro e lunghezza di qualche millimetro, che presentano straordinarie proprietà sia meccaniche (resistenza cento volte maggiore di quella dell’acciaio) che elettriche e termiche. Tali proprietà, che derivano dalla natura unidimensionale della loro struttura, si manifestano in una elevatissima conducibilità termica ed elettrica, molto maggiore di qualsiasi altro materiale normale, secondo l’asse del tubo, ma al tempo stesso in un comportamento isolante attraverso le sue pareti. La Fisica della tecnologia 2. La fabbricazione dei dispositivi a semiconduttore e dei circuiti integrati. Il silicio è abbondantissimo in natura, nella Il processo ha inizio con l’estrazione del silicio dal sabbia e nell’argilla come in molte rocce, minerale e la sua purificazione, che fornisce una cristallo costituendo il 25% della crosta terrestre. purissimo (le impurità sono meno di un miliardesimo) nella forma di una barra cilindrica monocristallina con raggio fino a 30 cm. Questa viene tagliata in sottili (≈ 0,75 mm) fette chiamate wafer, che vengono poi ricoperte di ossido isolante (SiO2) per proteggerle da qualsiasi contaminazione. Le fasi successive del processo sono mostrate nelle figura A. 1) Sull’ossido viene deposto uno strato di fotoresist, un materiale sensibile Le dimensioni submicrometriche dei singoli elementi alla luce, al quale viene poi sovrapposta una che costituiscono oggi i circuiti integrati richiedono un maschera, che rappresenta il circuito che si dettaglio estremo nella definizione delle aree del wafer che vengono sottoposte al drogaggio. In passato si usava vuole realizzare, più precisamente il dettaglio in luce visibile, oggi radiazioni ultraviolette, con cui si negativo delle zone del cristallo che devono ottengono dettagli al livello di poche decine di nm. essere drogate inserendovi le impurità. 2) Il wafer viene esposto a luce ultravioletta che rende resistenti agli acidi le zone di fotoresist non coperte dalla maschera. 3) Si elimina il fotoresist non trattato e si sottopone il wafer all’azione di un acido che asporta selettivamente l’ossido. 4) Il wafer viene sottoposto al drogaggio, in una fornace di diffusione o mediante impianto di ioni ( pag. xxx), e quindi viene ossidato nuovamente in vista di ripetere le fasi precedenti quante volte occorre, cioè fino a realizzare il drogaggio (di tipo n o p) di tutte le zone desiderate. In una fase ulteriore, sul wafer viene deposto uno strato di metallo (o di semiconduttore fortemente drogato, quindi buon conduttore), che viene inciso selettivamente per ricavarne le connessioni elettriche fra le varie parti del circuito. Poi il wafer viene suddiviso per ottenerne i singoli dispositivi, da decine a centinaia. Questi, dopo l’esecuzione di prove elettriche, vengono incapsulati nel contenitore finale e collegati ai terminali esterni. Figura A. Alcune fasi essenziali del processo di fabbricazione di un circuito integrato. 1) Il silicio viene ossidato e ricoperto di fotoresist. 2) La radiazione ultravioletta raggiunge il fotoresist non protetto dalla maschera, rendendolo inerte all’acido. 3) L’acido asporta l’ossido dalle regioni corrispondenti alla maschera. 4) Gli atomi di impurità raggiungono, drogandole, le regioni non protette dall’ossido. Queste fasi vengono ripetute più volte fino a completare il drogaggio, di tipo p e di tipo n, di tutte le regioni necessarie a creare nel silicio i vari elementi del circuito. Approfondimento 2. There is plenty of room at bottom (C’è un sacco di posto giù in fondo) Questo è il titolo della conferenza che il fisico teorico americano Richard Feynman tenne nel 1959 al congresso annuale della Società Americana di Fisica (APS). Che significa? Che la materia, a ben 11 vedere, offre spazi impensati, finora non sfruttati, per le più varie possibilità. Per esempio, per scrivere sulla capocchia di uno spillo i 24 volumi dell’Enciclopedia Britannica: basta ingrandirla 25 mila volte, oppure ridurre dello stesso fattore le pagine dell’enciclopedia, e lo spazio c’è. Infatti, riducendo 25 mila volte ogni singolo elemento dell’immagine di una pagina, che ha un diametro di 0,25 mm, questo arriverebbe a dimensioni di 10 nm, cioè l’equivalente di una trentina di atomi di un metallo ordinario, che sarebbe ancora ben distinguibile. Ma come si potrebbe scrivere sullo spillo il contenuto dell’enciclopedia? Questo, e il resto della conferenza, leggetelo voi stessi, in inglese, all’indirizzo Web http://www.zyvex.com/nanotech/feynman.html Figura A. Richard Feynman (1918-1988, premio Nobel nel 1965), oltre a portare contributi eccezionali alla fisica teorica, ha scritto testi di fisica di eccezionale profondità, chiarezza ed efficacia espositiva. Figura 12. In questa sottile fetta (wafer) di silicio purissimo sono state realizzate centinaia di moduli (chip) identici. ciascuno dei quali costituisce un microprocessore, cioè il cuore di un calcolatore elettronico. (immagine aggiornata, modificando opportunamente la dida, simile a quella in Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 369) Figura 13. Micromeccanismi realizzati con la tecnologia del silicio dalla società americana Sandia per far ruotare più assi con un unico micromotore. 3.7 La superconduttività. Il passaggio della corrente elettrica nei metalli, in condizioni ordinarie, è assicurato dalla presenza di elettroni liberi. Il loro moto è tuttavia ostacolato dagli urti con gli ioni che costituiscono il reticolo cristallino. Questi urti diventano più frequenti all’aumentare della temperatura, cioè quando gli ioni vibrano maggiormente attorno alle loro posizioni di equilibrio. E infatti la resistività dei metalli aumenta gradualmente al crescere della temperatura. Ma quando certi metalli, come pure altre sostanze, vengono portati a temperature molto basse la loro resistività si annulla bruscamente (non diventa molto piccola, ma si annulla del tutto). Questo fenomeno prende il nome di superconduttività e si chiamano superconduttori i materiali nei quali si manifesta. La transizione avviene al di sotto di una temperatura caratteristica, chiamata temperatura di transizione, che vale 1,2 K per l’alluminio, 4,2 K per il mercurio, 9,2 K per il niobio. Notate che si tratta di un vero e proprio cambiamento di stato perché varie proprietà dei materiali, non soltanto quelle elettriche ma anche quelle termiche, come la capacità termica, e quelle magnetiche, subiscono mutamenti significativi. La prima osservazione della superconduttività risale al 1911, quando il fisico olandese Heike Kamerlingh Onnes (1853-1926, premio Nobel nel 1913) trovò, con sua grande sorpresa, che la resistenza elettrica di un filamento di mercurio raffreddato al di sotto di 4,2 K crollava bruscamente a valori non più misurabili. Egli si attendeva invece che la resistenza diminuisse gradualmente al diminuire della temperatura verso lo zero assoluto. Si trovò in seguito che anche altri metalli, e altre sostanze, manifestano questa transizione e che ad essa si accompagna fra l’altro un drastico cambiamento delle proprietà magnetiche ( figura 15). L’interpretazione del fenomeno arrivò molto più tardi, negli anni ’50 del Novecento, per opera dei fisici americani John Bardeen, Leon Cooper e John R. Schrieffer, che per questo ricevettero il Nobel nel 1973. Secondo la teoria BCS (così chiamata dalle iniziali dei cognomi dei tre scienziati), che è basata sulla meccanica quantistica, nei superconduttori gli elettroni liberi si uniscono due a due formando le cosidette coppie di Cooper, che costituiscono a tutti gli effetti i 12 portatori di carica in questi materiali. I due elettroni di ciascuna coppia hanno spin opposti, sicchè queste coppie hanno spin zero, cioè momento angolare intrinseco nullo. E quindi per le coppie di Cooper non vale il principio di esclusione di Pauli: esse partecipano a un medesimo stato quantico e sono descritte da un’unica funzione d’onda, tendendo perciò a muoversi tutte assieme nella stessa direzione, con la stessa velocità e, quel che più conta, senza urti con il reticolo cristallino; costituendo ciò che si chiama un superfluido. E così avviene, coinvolgendo nel moto miliardi di miliardi di coppie di elettroni, quando a un superconduttore viene applicata una differenza di potenziale: infatti, lanciando una corrente in una bobina superconduttrice e poi chiudendo il circuito, la corrente continua a circolare per anni senza variazioni apprezzabili della sua intensità. Ma il legame fra i due elettroni è relativamente debole: quando la temperatura supera un valore caratteristico del materiale (chiamato temperatura di transizione), l’energia termica diventa sufficiente a rompere il legame e il materiale transisce dallo stato superconduttore a quello normale. La stessa transizione si verifica anche a temperature più basse di quella di transizione, quando il superconduttore è attraversato da una corrente elettrica sufficientemente intensa o si trova in presenza di un campo magnetico sufficientemente intenso. E’ evidente il grandissimo interesse che presenta la superconduttività in vista delle sue applicazioni tecnologiche: cavi elettrici per il trasporto dell’elettricità a distanza senza perdite, magneti e macchine elettriche con avvolgimenti superconduttori, ferrovie a sospensione magnetica, e altro ancora. L’inconveniente è che i dispositivi impieganti metalli superconduttori vanno raffreddati a temperature bassissime usando elio liquido, che è un fluido assai costoso. Nuove prospettive per gli impieghi pratici della superconduttività sono state aperte dalla scoperta, nel 1986, della cosidetta “superconduttività ad alta temperatura” in particolari sostanze (ossidi di rame e di altri elementi). A seguito di questo lavoro, che nel 1987 ha meritato il premio Nobel ai fisici Karl Alex Müller e Johannes Georg Bednorz, state individuate vari nuovi materiali superconduttori con temperature di transizione fino a oltre 160 K (-113 °C), per raffreddare i quali è sufficiente l’azoto liquido, che bolle a circa 77 K: un Estrarre da un corpo1 J di energia termica fluido assai più economico (circa cento volte) dell’elio alla temperatura dell’elio liquido (4,2 K), per liquido. Si tratta però di materiali fragili, di uso non raffreddarlo e poi mantenerlo freddo, agevole, ciò che per ora ne frena la diffusione nelle richiede di spendere 1000 J a temperatura ambiente. La stessa operazione richiede applicazioni pratiche. Essi hanno tuttavia trovato largo invece appena 10 J per un corpo alla impiego in applicazioni particolari. Una di queste ci temperatura dell’azoto liquido (77 K). riguarda direttamente, tutte le volte che utilizziamo un telefonino: nelle stazioni base della telefonia cellulare si usano infatti filtri superconduttori per separare i segnali a microonde a seconda della loro frequenza. Figura 14. Nei metalli che manifestano il fenomeno della superconduttività (fra cui il mercurio, l’alluminio, il piombo lo stagno e niobio) la resistività si riduce bruscamente a zero al di sotto della temperatura di transizione. In altri metalli, come il rame, l’argento e l’oro, la resistività diminuisce invece gradualmente con la temperatura per assumere poi un valore costante alle temperature più basse. (Scienza della Materia, vol. II, pag. 152) Figura 15. Quando un campione di materiale subisce la transizione dallo stato normale a quello superconduttore, il campo magnetico viene espulso dal suo volume (effetto Meissner). (adattare da Caforio, Fisica 3, pag. 489) Figura 16. I treni più veloci (il record è di 581 km/h) corrono sollevati e guidati da potenti magneti superconduttori. Nella foto un treno giapponese a levitazione magnetica (denominato Maglev da magnetic levitation). 13 Test di verifica 1) I due atomi che costituiscono una molecola di idrogeno sono tenuti assieme da un legame di tipo Ο ionico Ο covalente Ο metallico 2) Il legame derivante dall’attrazione elettrostatica fra due atomi, uno dei quali ha ceduto un elettrone all’altro, si chiama Ο ionico Ο covalente Ο metallico 3) Il legame chimico più comune è quello Ο ionico Ο covalente Ο metallico 4) Avvicinando fra loro due atomi, i livelli energetici degli elettroni O restano invariati O si sdoppiano O si trasformano in bande continue 5) Sottolineate gli errori che individuate nelle frasi seguenti. Gli elettroni più esterni degli atomi di un semiconduttore possono muoversi liberamente nel cristallo. Da ciò deriva l’elevata resistività elettrica di questi materiali. 6) O O O La distinzione fra isolanti, semiconduttori e metalli è basata sulla loro conducibilità elettrica sulla loro struttura a bande sulla velocità con cui possono spostarsi gli elettroni liberi presenti in questi materiali 7) Vero o falso? V I metalli sono caratterizzati dalla presenza di una banda proibita nella loro struttura a bande O L’ampiezza della banda proibita nei semiconduttori è dell’ordine di 10 eV O Alla conducibilità elettrica dei semiconduttori contribuiscono sia elettroni che lacune O Sono semiconduttori alcuni elementi del III gruppo della tavola periodica O I semiconduttori drogati di tipo n possiedono carica elettrica negativa O 8) Il numero degli elettroni liberi in un semiconduttore puro O non dipende dalla O aumenta al crescere della temperatura F O O O O O O diminuisce al crescere della 9) Quando un fotone di sufficiente energia colpisce un semiconduttore, l’effetto fotoelettrico O produce una coppia elettrone-lacuna O libera un elettrone dal cristallo O libera un elettrone nel cristallo 10) Quando il silicio viene drogato inserendo nel cristallo alcuni atomi che possiedono 5 elettroni nel loro strato più esterno, in corrispondenza di ciascun atomo di drogante O si libera facilmente un elettrone O si forma una lacuna O si crea una coppia costituita da un elettrone libero e da una lacuna 11) Per ottenere lacune in un semiconduttore, occorre drogarlo con atomi di un elemento del O III O IV OV gruppo della tavola periodica. 14 12) Vero o falso? L’altezza della barriera di potenziale in una giunzione p-n si misura con un voltmetro Ponendo a contatto un cristallo di silicio n e uno p si ottiene una giunzione p-n Le giunzioni p-n seguono la legge di Ohm Le giunzioni p-n si comportano come conduttori unidirezionali Una giunzione p-n, se illuminata, può comportarsi come un generatore elettrico V O O O O O F O O O O O 13) La caratteristica corrente-tensione di un diodo a semiconduttore è descritta da una O retta O curva parabolica O curva esponenziale 14) Raddoppiando la tensione di polarizzazione diretta applicata a un diodo a semiconduttore, la corrente attraverso il diodo O si raddoppia O si quadruplica O aumenta di un ordine di grandezza 15) Raddoppiando la corrente che scorre in diodo a semiconduttore in polarizzazione diretta, la tensione ai suoi estremi O si raddoppia O subisce un piccolo incremento O resta invariata 16) Vogliamo usare una cella fotovoltaica come rivelatore di radiazione infrarossa con lunghezza d’onda di 1,5 m. Per questo useremo una giunzione p-n di O germanio (EBP = 0,7 eV) O silicio (EBP = 1,1 eV) O arseniuro di gallio (EBP = 1,4 eV) 17) Un fabbricante di celle solari ha messo in vendita un suo prodotto assai perfezionato, con area di 10 cm2, asserendo che può fornire a un carico una corrente di 2 A alla tensione di 0,6 volt sotto la luce solare di 1 kW/m2. Acquistereste questo dispositivo? O sì O soltanto dopo averne esaminato le caratteristiche tecniche O no 18) Un diodo emettitore di luce genera luce blu, con lunghezza d’onda di 460 nm. Pertanto la banda proibita del semiconduttore di cui è fatto è certamente di circa Ο 1,3 eV Ο 2,6 eV Ο 10 eV 19) Una cella solare, illuminata da Sole, genera una corrente di 10 mA. Usando uno specchietto per aumentare la luce che investe la cella, l’intensità della corrente O resta invariata O si raddoppia O si quadruplica 20) Vogliamo comandare un motorino elettrico, che assorbe una corrente di 250 mA, usando un transistore con fattore di amplificazione = 100. Questo dispositivo richiederà in ingresso una corrente di circa O 2,5 mA O 25 mA O 2,5 A 21) La resistenza elettrica fra gli estremi di un volumetto di silicio drogato O non dipende dal O aumenta al crescere del O diminuisce al crescere del drogaggio che ha subito quella regione del cristallo. 22) Completate le frasi seguenti. Un transistore a giunzione è un dispositivo dotato di tre terminali, che è costituito da due giunzioni le quali hanno una regione in comune. Un transistore funziona come amplificatore di corrente, con guadagno ≈ 100, perché variando la corrente che scorre nella base si controlla quella, più intensa, che scorre nel collettore. 23) Il guadagno di corrente di un transisore a giunzione è definito come O IC/IB O IB/IC O IC/IE 15 24) In un circuito integrato viene realizzato un condensatore utilizzando uno strato di ossido di silicio (r = 3,9) con spessore di 20 nm ricoperto da un metallo. Per ottenere una capacità di 20 pF occorre una superficie dell’ordine di Ο 1 mm2 Ο 0,1 mm2 O 0,01 mm2 25) La corrente che scorre attraverso un transistore MOS viene controllata Ο da una corrente, più debole, applicata all’elettrodo di comando O dalla tensione applicata all’elettrodo di comando O attraverso l’interazione fra due giunzioni p-n, una delle quali viene polarizzata direttamente 26) Aumentando la costante dielettrica dello strato isolante di un transistore MOS, la conducibilità elettrica del canale O aumenta O resta invariata O diminuisce 27) L’area di silicio occupata da un singolo transistore in un circuito integrato con superficie di 1 cm2 che ne contiene cento milioni è dell’ordine di Ο 0,1 mm2 O 10 m2 Ο 1 m2 28) Vero o falso? Tutti i metalli, al di sotto della temperatura di transizione, diventano superconduttori Il fenomeno della superconduttività si verifica soltanto nei metalli Il mercurio diventa superconduttore quando la sua temperatura è inferiore a 4,2 K Non esistono materiali superconduttori a temperature maggiori di 30 K Tutti i materiali superconduttori transiscono nello stato normale in presenza di magnetico sufficientemente intenso V F O O O O O O O O un campo O O 29) Quando un materiale transisce nello stato superconduttore la sua resistività elettrica O diminuisce apprezzabilmente O si riduce di alcuni ordini di grandezza O si annulla 30) Correggete gli errori che individuate nelle frasi seguenti. In un atomo a più elettroni, che si trova nel suo stato fondamentale, questi si distribuiscono negli stati quantici di maggiore energia. Le caratteristiche fisiche e chimiche di un elemento dipendono dalla distribuzione degli elettroni nel suo strato più interno. Gli elementi in cui questo strato è riempito completamente presentano la massima reattività chimica. 31) Nei superconduttori il passaggio della corrente elettrica è affidato a gruppi di O 2 O 3 O 4 elettroni fra loro collegati. 32) Utilizzando dei magneti superconduttori O non è possibile O sarà possibile in futuro sollevare un intero treno. O è possibile 16 Problemi e quesiti 1. Spiegate molto brevemente la natura del legame covalente, presentando due esempi. Risoluzione. Il legame covalente si stabilisce quando due o più coppie di elettroni vengono messe in comune fra due atomi. Come avviene fra i due atomi di una molecola di idrogeno o fra gli atomi che costituiscono un cristallo di silicio. 2. Spiegate brevemente quale grandezza determina la stabilità di una molecola. Risoluzione. La stabilità di una molecola è determinata dalla sua energia potenziale, che deve presentare un minimo al variare dei parametri geometrici, in particolare la distanza fra gli atomi, ed essere comunque inferiore a quella degli atomi costituenti, presi separatamente. Calcolate il numero di atomi che si trovano in 1 cm 3 in un cristallo di silicio, sapendo che la cella cubica di questo cristallo contiene 8 atomi e che il passo reticolare, cioè la distanza fra due celle successive è L = 54,3 pm. Calcolate la densità del silicio sapendo che la massa atomica di questo elemento è mSi = 28,1 u e ricordando che 1 u = 1,66∙10-27 kg. Risoluzione. Dato che vi sono 8 atomi di silicio in ciascuna cella elementare e che il volume della cella è V = L3 = (54,3∙10-12)3 m3 = 1,60∙10-31 m3 =1,60∙10-25 cm3, si conclude che il numero di atomi di silicio è: nSi = 8/V = 8/1,60∙10-25 = 5,00∙1025 atomi/cm3. La densità del materiale è: d = nSi mSi = 5,00∙102528,1 u/cm3 = 1,41∙1027 u/cm3 = 1,41∙10271,66∙10-27 kg/cm3 = 2,34 g/cm3. 4. Discutete brevemente la differenza fra metalli e semiconduttori puri in termini dei portatori di carica elettrica che sono presenti in queste due categorie di materiali. Risoluzione. Nei metalli, la conduzione elettrica è affidata a cariche negative: elettroni liberi (uno o due degli elettroni più esterni di ciascun atomo). Nei semiconduttori puri vi sono cariche libere sia negative (elettroni) che positive (lacune) in ugual numero. Ma soltanto a temperature diverse dallo zero assoluto, grazie alla piccola frazione di atomi che si ionizzano per effetto dell’agitazione termica, ciascuno dei quali libera un elettrone e una lacuna. Stabilite se, per realizzare una fotoresistenza molto sensibile alla luce, conviene utilizzare un semiconduttore puro oppure uno drogato. Risoluzione. Il funzionamento di una fotoresistenza è basato sull’aumento della conducibilità elettrica di un semiconduttore, dovuto alla presenza di portatori di carica prodotti per effetto fotoelettrico interno dalla luce incidente sul materiale. Tale fenomeno è più facilmente avvertibile quando è basso il numero di portatori di carica presenti nel materiale in assenza di luce. Cioè quando si tratta di un semiconduttore puro. In un cristallo di silicio, a temperatura ambiente, vi sono n i = 1,45∙1010 elettroni liberi per cm3. Calcolate la frazione di atomi di silicio che hanno perso un elettrone sapendo che in un cristallo di silicio vi sono nSi = 5∙1025 atomi/cm3. Calcolate di quanto aumenta la conducibilità elettrica del cristallo quando il semiconduttore viene drogato inserendovi n As = 1017 atomi di arsenico per cm3, ammettendo che ciascuno di questi atomi liberi un elettrone e trascurando, per semplicità, il contributo delle lacune alla conducibilità. Risoluzione. La frazione di atomi di silicio da cui si è liberato un elettrone a temperatura ambiente è piccolissima: ni/nSi = 1,45∙1010/5∙1025 = 2,9∙10-16. Se il cristallo di silicio è stato drogato inserendovi atomi di arsenico, e da ciascuno di essi si è liberato un elettrone, il numero degli elettroni liberi è n n = nAs = 1017 elettroni/cm3. Ammettendo che la conducibilità elettrica sia direttamente proporzionale al numero di elettroni liberi, l’aumento di conducibilità rispetto al semiconduttore puro è data dal rapporto nn/ni = 1017/1,45∙1010 = 6,9∙107. La barriera di potenziale che si stabilisce in una giunzione p-n dipende dall’entità del drogaggio delle due regioni della giunzione? Se sì, per quale motivo e in che modo? (Suggerimento: esaminate la figura 6.) Risoluzione. E’ evidente in primo luogo che la barriera di potenziale dipende dal drogaggio, anzi dal diverso drogaggio (di tipo n e di tipo p) nelle due regioni della giunzione per il semplice motivo che in un semiconduttore omogeneo, sia esso puro oppure drogato, non si stabilisce nessuna barriera. Esaminando la figura 6 si osserva che la barriera di potenziale dipende dal campo elettrico che si crea nello strato di svuotamento, dove vi sono cariche fisse di segno opposto. Si capisce allora che a un drogaggio più forte corrisponde un maggior numero di atomi di impurità, quindi un maggior numero di queste cariche e conseguentemente un campo più intenso e una barriera di potenziale più alta. 17 Stabilite le differenze fra la conducibilità elettrica di un semiconduttore puro e di un semiconduttore drogato quando entrambi si trovano alla temperatura dello zero assoluto. Risoluzione. Non vi è alcuna differenza, perchè entrambi i semiconduttori alla temperatura dello zero assoluto si comportano come isolanti. In entrambi i casi, infatti, la generazione dei portatori di carica, elettroni liberi e lacune, richiede energia (maggiore in un semiconduttore puro che in uno drogato), in assenza di altri fenomeni energia termica che alla temperatura dello zero assoluto non è disponibile. 9. Calcolate l’intensità della corrente che scorre in un diodo al silicio con I0 = 10-9 A, quando ad esso è applicata una tensione di 700 mV in polarizzazione diretta. Risoluzione. Il problema non può essere risolto se non si conosce la temperatura T a cui si trova il diodo, come risulta dalla formula (1). Assumendo che il diodo si trovi a temperatura ambiente, cioè sia T = 300 K, l’intensità I della corrente corrispondente alla tensione V = 700 mV, ricordando che nei diodi al silicio η = 2, è: 1, 6 1019 0, 7 eV 9 9 4 I I 0 exp 1 10 exp 1 10 exp 13,5 1 7, 49 10 A 0, 749 mA. 23 kT 2 1,38 10 300 10. Calcolate la differenza di potenziale che si stabilisce ai capi di un diodo al silicio con I 0 = 2∙10-9 A, quando esso si trova alla temperatura T = 300 K ed è percorso da una corrente di intensità I = 5 mA. Risoluzione. La tensione richiesta si ricava come segue dalla formula (1), ricordando che nei diodi al silicio η = 2: kT I I 0 2 1,38 1023 300 0, 005 2 109 6 V ln ln 0, 0518ln 2,5 10 0, 763 V 19 9 e I 1, 6 10 2 10 0 11. Calcolate approssimativamente la tensione VL ai capi della lampadina nel circuito di figura 7a sapendo che essa assorbe 2 W quando la tensione della pila è VP = 4,5 volt e i parametri del diodo, che si trova a temperatura ambiente (T = 300 K), sono: I0 = 10-11 A, η = 2. Risoluzione. La tensione VL ai capi della lampadina è data dalla differenza fra la tensione V P della pila e la tensione V ai capi del diodo. Non possiamo ricavarla esattamente perché non conosciamo la corrente che attraversa il circuito e quindi non possiamo calcolare la tensione V. Possiamo però ragionevolmente supporre che essa sia dell’ordine di 1 volt. In tal caso si avrebbe VL = VP – V = 4,5 – 1 = 3,5 volt e allora conoscendo la potenza P = 3 W dissipata nella lampadina, possiamo ricavare la seguente stima della corrente: I = P/V = 2/3,5 = 0,571 A. Da questo, utilizzando la 23 8 formula (1): otteniamo: V kT ln I I 0 2 1,38 10 300 ln 0,571 10 0, 0518ln 5, 71107 0,925 V e 1, 6 1019 108 I0 E quindi la tensione della lampadina è: VL = VP – V = 4,5 – 0,925 = 3,58 volt. Si potrebbe migliorare l’approssimazione ricalcolando la corrente nel circuito (I = 2/3,58 = 0,559 A) e la tensione del diodo, ottenendo così V = 0,924 volt: un valore pochissimo diverso dal precedente, grazie alla dipendenza logaritmica, assai debole, della tensione del diodo dalla corrente che lo attraversa. 12. Calcolate la tensione agli estremi dei due diodi in figura, supponendo che si tratti di due diodi al germanio, con corrente inversa I0 = 1 A. Risoluzione. I due diodi, essendo disposti in serie, sono percorsi dalla stessa corrente, di intensità circa pari alla corrente inversa I 0 del diodo B, che è polarizzato inversamente. In prima approssimazione possiamo dire che tutta la tensione della pila cade ai capi del diodo B perché la tensione necessaria al diodo A, che è polarizzato direttamente, per condurre la debolissima corrente I0, è certamente assai piccola rispetto all’altra. Si ha infatti: 23 6 6 kT I I 0 1,38 10 300 10 10 V ln ln 0, 0259ln 0 25,9 mV . E quindi la tensione del diodo A 6 e 1, 6 1019 10 I0 è 10 – 0,0259 = 9,97 V. 13. Disegnate nel riquadro in basso la forma dell’onda della corrente i(t) che attraversa il circuito in figura, quando al suo ingresso viene applicata una tensione alternata sinusoidale, considerando il diodo come un conduttore unidirezionale ideale (con resistenza nulla quando è polarizzato direttamente, infinita per polarizzazione inversa). Nelle 18 stesse ipotesi calcolate il valor massimo della corrente quando la tensione applicata ha valore efficace di 6 volt e R = 1000 ohm. i(t) Risoluzione. Nel circuito scorre corrente soltanto quando la tensione d’ingresso v(t) è positiva, in tal caso con intensità i(t) = v(t)/R. Sicchè la forma d’onda della corrente è la stessa della tensione per v(t)>0 ed è nulla altrimenti. Al valore efficace di 6 volt corrisponde il valor massimo di 6√2 = 8,48 e quindi si ha: imax = 8,48/1000 = 8,48 mA. t 14. Individuate, fra quelli in tabella 1, un materiale adatto a realizzare una cella fotovoltaica per la radiazione infrarossa e uno per una cella sensibile alla radiazione ultravioletta ( ≈ 200 nm) ma non al visibile, calcolando per ciascuno di essi la lunghezza d’onda massima per cui si effetto fotoelettrico. Risoluzione. Una cella fotovoltaica per l’infrarosso richiede una materiale con piccolo valore dell’ampiezza della banda proibita; si sceglie pertanto l’antimoniuro di indio (InSb) , con E BP = 0,17 eV. Dalla formula (2) ricaviamo la lunghezza d’onda minima corrispondente: max = hc/EBP = 6,63∙10-343∙108/(0,17∙1,6∙10-19) = 7,31∙10-6 m = 7,31 m. Un materiale sensibile alla radiazione ultravioletta, con lunghezza d’onda = 200 nm, dovrà avere, sempre in base alla formula (2) EBP = hc/= 6,63∙10-343∙108/(1,6∙10-19200∙10-9) = 6,22 eV. Scegliendo il diamante, la lunghezza d’onda massima per l’effetto fotoelettrico è: max = (6,22/5,5)200 nm = 226 nm. 15. Spiegate brevemente perché la corrente che scorre nel collettore di un transistore NPN, polarizzato come in figura 10a, è appena poco inferiore a quella che scorre nell’emettitore. Calcolate la corrente che scorre nell’emettitore quando la corrente di collettore è I C = 1 mA e = 200. Risoluzione. La corrente che scorre nell’emettitore è costituita prevalentemente di elettroni. Solo una piccola frazione di questi, raggiunta la regione di base, si ricombina con le lacune ivi presenti, sicchè la maggior parte di essi può raggiungere il collettore, che si trova a un potenziale positivo, scorrendo poi nel circuito esterno. Dalla formula (3) ricaviamo l’intensità della corrente di base quando IC = 1 mA: IB = IC/ = 1/200 mA = 0,005 mA. Dato che la corrente nell’emettitore è la somma di quelle che scorrono nella base e nel collettore ( fig. 9), si ha: IE = IB + IC = (1 + 0,005) mA = 1,005 mA. 16. Un transistore a giunzione con guadagno = 100 è polarizzato come in figura 10a, ma con un resistore di resistenza R = 2000 ohm disposto in serie al collettore. Tracciate nel riquadro a fianco il grafico che rappresenta la potenza dissipata nel resistore quando la corrente che scorre nella base del transistore viene fatta variare fra 1 e 10 A. P Risoluzione. Applicando la formula (3) si conclude che quando la corrente di base IB varia fra 1 e 10 A, la corrente di collettore, IC = IB, varia corrispondentemente fra 0,1 e 1 mA. Ricordando che la potenza P dissipata in un IB resistore di resistenza R attraversato da una corrente di intensità I è: P = I 2R, la potenza dissipata nel resistore da 2000 ohm si può esprimere in funzione della corrente di base nella forma: P(I B) = 2IB2R = 10024∙103IB2 = 4∙107IB2, presentando quindi una dipendenza parabolica da IB. Tale potenza varia pertanto fra 4107(10-6)2 = 4∙10-5 W = 0,04 mW e 4107(10-5)2 = 4∙10-3 W = 4 mW. 19