TOMO V
convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati
Modulo 2 La Fisica quantistica
Unità 3 Lo stato solido e i semiconduttori
Lo studio della materia allo stato solido è uno dei campi nei quali la meccanica quantistica ha
condotto ai risultati più fecondi, sul piano sia del progresso delle conoscenze che della ricchezza dei
risultati pratici. Lo studio dei semiconduttori, in particolare, ha condotto alla realizzazione di
dispositivi elettronici straordinariamente efficaci, i quali sono alla base della rivoluzione
dell’informazione che stiamo vivendo in questi anni. Ma le
prospettive offerte oggi dalla nanotecnologia sono ancora più
estese: nuovi materiali e dispositivi totalmente nuovi in quanto
basati sulla meccanica quantistica.
Figura 0. Oggi è possibile manipolare manipolare la materia al livello di
singoli atomi. La figura, in falsi colori, rappresenta 48 atomi di ferro che sono
stati disposti su una superficie di rame. Notate, al centro, le onde stazionarie
degli elettroni liberi del rame confinati nel “recinto” di ferro. (immagine
realizzata nei laboratori di ricerca IBM)
3.1 I legami chimici tengono assieme gli atomi della materia
La materia ordinaria, come sapete, non è costituita da atomi isolati, ma da atomi che interagiscono
fra loro attraverso forze elettriche. Sono infatti queste forze, che si esercitano fra i nuclei e gli
elettroni degli atomi che costituiscono una molecola o un cristallo, che determinano il legame
chimico che li tiene assieme. Si usa distinguere fra diversi tipi di legami chimici, covalente, ionico
e metallico, ciascuno dotato di particolari caratteristiche. Ma la realtà è generalmente assai
complessa, soprattutto nei solidi, sicchè i legami chimici vanno intesi come casi particolari di
situazioni reali intermedie nelle quali possono prevalere le caratteristiche dell’uno o dell’altro dei
legami anzidetti.
La descrizione corretta dei legami chimici richiede infatti il ricorso alla meccanica
quantistica che, attraverso la risoluzione di una appropriata equazione di Schrödinger, stabilisce gli
stati che assumono gli elettroni in una molecola, le geometrie di questi stati e la struttura
complessiva delle molecole. E’ ancora il ricorso a considerazioni quantistiche che consente di
interpretare la geometria degli aggregati di atomi che costituiscono i cristalli e le loro proprietà
fisiche.
Vi sono tuttavia dei criteri guida generali: i legami chimici fra gli atomi sono determinati
essenzialmente dagli elettroni degli strati più esterni degli atomi costituenti; gli aggregati di atomi
sono stabili quando l’energia potenziale complessiva presenta un minimo ed è comunque inferiore a
quella degli atomi costituenti, presi separatamente.
Un caso particolarmente semplice è quello della molecola del gas idrogeno (H2), formata
dall’unione di due atomi di questo elemento. Risolvendo l’equazione di Schrödinger per il sistema,
che comprende due protoni (i nuclei degli atomi) e due elettroni, si trova che nello stato
fondamentale vi sono due possibili funzioni d’onda per gli elettroni, una simmetrica rispetto al
centro di massa dei nuclei, l’altra antisimmetrica. Alla prima corrisponde una “nuvola” elettronica
con più alta probabilità che gli elettroni si trovino nella regione fra i due nuclei, dove l’attrazione
esercitata dai protoni è più intensa. Si trova poi che in questo caso il sistema è stabile, perchè
l’energia potenziale totale presenta un minimo al variare della distanza fra i nuclei, come mostra la
figura 2. E in effetti la molecola di idrogeno è fatta così, con i due elettroni in questo stato,
naturalmente con numeri di spin diversi (-½, +½) cioè con spin opposti.
Nella molecola di idrogeno, in conclusione, si ha la condivisione di due elettroni da parte di
due atomi. Questo legame, chiamato legame covalente, si crea in generale quando due o più coppie
di elettroni vengono messe in comune fra due atomi. Il legame covalente è il più comune in natura,
1
nel senso che determina la formazione del maggior numero di sostanze composte, in particolare i
composti organici, di tutte le molecole nello stato gassoso e di gran parte degli aggregati cristallini.
Diverso è il caso del legame ionico, che si crea fra due atomi quando uno di essi cede
all’altro un elettrone, ed è quindi determinato dall’attrazione elettrostatica fra i due ioni così
formati, dotati di cariche elettriche di segno opposto. Così avviene, per esempio, in tutti i sali, in
particolare nel cloruro di sodio, il comune sale da cucina (NaCl). Questa sostanza è costituita
dall’unione di ioni sodio (Na+), cioè atomi di sodio che hanno perso l’unico elettrone del loro strato
più esterno, più debolmente legato all’atomo, e di ioni cloro (Cl -), cioè atomi di cloro che hanno
acquistato un elettrone, completando così il loro guscio elettronico esterno.
Un altro legame importante è il legame metallico, che s’interpreta ammettendo che gli
atomi dei metalli, disponendosi ordinatamente a formare un cristallo, possano perdere uno o due dei
loro elettroni esterni. Questi diventano liberi di muoversi all’interno del cristallo, e per questo si
parla di “gas di elettroni”, dando luogo in particolare alle ottime proprietà di conducibilità elettrica
e termica che caratterizzano appunto i metalli. Si tratta di un legame fortemente delocalizzato, che
consiste nell’attrazione elettrostatica fra gli elettroni liberi e gli ioni del reticolo cristallino.
Approfondimento 1. La molecola di idrogeno è un minuscolo oscillatore. A quale frequenza?
I due nuclei della molecola di idrogeno oscillano continuamente attorno alla loro distanza di
equilibrio (d0 in figura 2), in ragione dell’energia termica posseduta dalla molecola, che dipende
dalla temperatura a cui essa si trova. Il comportamento delle forze elettriche attorno alla posizione
di equilibrio, in fondo alla buca di potenziale, è infatti di tipo elastico e può essere caratterizzato da
una costante elastica k = 510 N/m. Conoscendo la massa del protone che costituisce il nucleo degli
atomi di idrogeno (mp = 1,673∙10-27 kg) si può risalire alla frequenza delle oscillazioni della
molecola. Ammettendo per semplicità che la molecola di idrogeno si comporti come un sistema
massa-molla, si ha: f = 1/(2) √(k/mp) = √(510/1,673∙10-27)/6,28 ≈ 9∙1013 Hz.
Figura 1. Quando due atomi di idrogeno si trovano a grande distanza, le loro “nuvole” elettroniche restano imperturbate
(a). Quando però la distanza diminuisce le funzioni d’onda si modificano, e le nuvole si deformano, a causa
dell’interazione fra i due atomi (b). Nella molecola di idrogeno le
due nuvole dei due atomi si fondono assieme, creando una nube
che è particolarmente densa nella regione fra i due nuclei, dove è
maggiore la probabilità che gli elettroni si trovino (c)
(Adattare da Scienza della Materia, vol. 2, pag. 37)
Figura 2. L’energia potenziale totale della molecola di idrogeno in
funzione dalla distanza fra i nuclei presenta un minimo per d 0 = 74
pm, per cui le forze attrattive e quelle repulsive si equilibrano, cioè
si ha un legame stabile. In questa condizione l’energia di legame
della molecola, cioè l’energia necessaria a separare i due atomi
allontanandoli a grande distanza, è di 4,5 eV.
3.2 I solidi: conduttori, isolanti e semiconduttori
Consideriamo due oscillatori identici, per esempio due pendoli, che dunque oscillano esattamente
alla stessa frequenza. Cosa avviene quando avviciniamo i pendoli fra loro, creando così fra essi un
accoppiamento, attraverso l’aria? Il sistema complessivo presenta ora due diverse frequenze di
oscillazione, una maggiore e una minore di quella dei due oscillatori separati; con una differenza di
frequenza che aumenta al crescere del grado di accoppiamento. E se colleghiamo assieme tre o più
oscillatori identici? Il risultato è del tutto analogo: il sistema costituito da n oscillatori verrà a
possedere n diverse frequenze di oscillazione, attorno a quella che possedevano inizialmente.
Un fenomeno simile avviene quando si avvicinano fra loro più atomi uguali, come quando si
forma di un cristallo. Come sapete, gli elettroni degli atomi, considerati separatamente, possono
occupare soltanto determinati livelli di energia, stabiliti dai numeri quantici. Quando però gli atomi
interagiscono fra loro, a ciascuno di questi livelli viene a corrispondere una molteplicità di livelli
2
distinti. Dato che il numero di atomi di un cristallo è straordinariamente grande, l’insieme di questi
livelli viene a costituire una banda di energia praticamente continua. Sicchè nel cristallo si formano
più bande continue, corrispondenti ai livelli energetici dell’atomo isolato, che sono chiamate bande
permesse perché rappresentano stati che gli elettroni possono occupare. Queste possono sovrapporsi
parzialmente oppure essere separate da intervalli
Precisiamo. Le bande permesse di energia non
chiamati bande proibite perchè in esse non vi sono stati sono “luoghi” dove gli elettroni degli atomi del
che gli elettroni possano occupare.
cristallo possono trovarsi, ma insiemi di livelli
di energia che gli elettroni possono assumere.
Notate però che la formazione di queste bande
continue di energia riguarda sopratutto gli elettroni degli strati più esterni, perchè quelli più interni,
fortemente legati ai nuclei, risentono assai meno dell’interazione con gli atomi adiacenti.
E’ proprio dalla particolare struttura a bande di un cristallo che dipendono le sue proprietà,
in particolare le proprietà elettriche. Negli isolanti la banda di energia permessa più elevata,
chiamata banda di conduzione (C in figura 4) è vuota, cioè priva di elettroni. Al di sotto di essa si
trova una banda proibita di parecchi eV, per esempio 5,5 eV nel caso del diamante, che la separa
dalla banda di energia permessa subito inferiore, chiamata banda di valenza (V in figura 4), che
invece è completamente piena. Ma gli elettroni della banda di valenza, fortemente legati agli atomi,
non possono acquistare energia in presenza di un campo elettrico, dal momento che tutti i livelli di
energia in quella banda sono già occupati. Sicchè essi non possono spostarsi
Tabella 1. Ampiezza
nel cristallo, che si comporta appunto come un isolante.
EBP della banda proibita
di alcuni materiali
Nei semiconduttori la struttura a bande è simile a quella degli
InSb
0,17 eV
isolanti, ma con una differenza importantissima: l’ampiezza della banda
0,67 eV
proibita è relativamente bassa, per esempio 1,14 eV nel silicio, cioè tale che a Ge
Si
1,14 eV
temperatura ambiente l’energia termica sia sufficiente a portare nella banda
di conduzione una piccola frazione degli elettroni della banda di valenza.
GaAs
1,42 eV
Questi si comportano come portatori di carica, liberi di muoversi all’interno
GaP
2,26 eV
del cristallo, dato che in un cristallo con legami covalenti gli elettroni sono
C (diamante) 5,5 eV
condivisi fra tutti i suoi atomi. E quindi un semiconduttore conduce
l’elettricità, sia pur debolmente. Sono semiconduttori alcuni elementi del IV gruppo della tavola
periodica, fra cui il germanio (Ge) e il silicio (Si), che è il più importante, alcuni composti, come
l’arseniuro di gallio (GaAs) e alcune leghe fra particolari elementi.
Nei metalli, infine, le due bande permesse superiori sono parzialmente sovrapposte,
formando così un’unica banda di energia permessa, che è riempita solo parzialmente. E quindi gli
elettroni che vi si trovano possono muoversi liberamente, sempre beninteso all’interno del metallo:
sia spontaneamente grazie all’agitazione termica, conducendo quindi bene il calore, sia in presenza
di un campo elettrico, perciò conducendo bene l’elettricità.
Quanto detto spiega la straordinaria differenza fra la conducibilità elettrica di un isolante, di
un semiconduttore e di un metallo, che dipende dal numero di elettroni liberi per unità di volume. Il
numero di elettroni liberi in un volumetto di metallo è infatti maggiore di molti ordini di grandezza
rispetto a un semiconduttore, che a sua volta è estremamente maggiore di un isolante, la cui
veramente minima conducibilità si deve a piccole deviazioni dal comportamento ideale, che sarebbe
invece quello di un isolante perfetto.
Alla conducibilità elettrica dei semiconduttori puri contribuiscono sia gli elettroni liberati
dagli atomi del cristallo per effetto termico sia le lacune, o elettroni mancanti, ad essi
corrispondenti. Quando infatti un elettrone si libera da un atomo del semiconduttore, si crea un
posto vacante che può essere occupato da un elettrone sottratto a un altro atomo. In presenza di un
campo elettrico, quindi, si muovono sia gli elettroni liberi sia quelli che si spostano ad occupare i
posti vacanti, creandone via via dei nuovi. Tutto avviene cioè come se le lacune si muovano
effettivamente, comportandosi dunque come cariche positive libere, cioè come portatori di carica.
Il numero delle lacune, per quanto detto, è esattamente uguale a quello degli elettroni liberi.
ma questo numero non è fisso, perchè fluttua continuamente nel tempo attorno a un valore di
equilibrio: a ogni istante si creano infatti coppie elettrone-lacuna per effetto termico e a ogni istante
3
un certo numero di elettroni liberi vanno ad occupare altrettante lacune, annichilandosi
vicendevolmente. Questo equilibrio dipende fortemente dalla temperatura, che favorisce la
creazione di coppie elettrone-lacuna, sicchè la conducibilità elettrica aumenta a sua volta assai
rapidamente con la temperatura: ciò è sfruttato in pratica per realizzare dei termometri elettronici
molto sensibili.
La creazione di coppie elettrone-lacuna può essere anche prodotta dall’assorbimento di
fotoni di energia almeno pari a quella della banda proibita, in grado cioè di portare un elettrone
dalla banda di valenza a quella di conduzione. In tal caso si parla di effetto fotoelettrico interno,
perché gli elettroni così liberati restano comunque all’interno del semiconduttore. Questo fenomeno
è sfruttato nelle cosidette fotoresistenze, la cui resistenza è inversamente proporzionale al flusso
luminoso che le colpisce. Queste trovano vari impieghi pratici, per esempio negli esposimetri delle
macchine fotografiche.
I semiconduttori drogati
La conducibilità elettrica di un semiconduttore aumenta grandemente, pur restando lontana da
quella dei metalli, quando nel cristallo viene introdotto un certo numero di atomi di determinati
elementi, che vanno a sostituire altrettanti atomi del semiconduttore. Questo processo prende il
nome di drogaggio, il materiale così ottenuto si chiama semiconduttore drogato. Le dosi di
drogaggio sono piccolissime, tipicamente dell’ordine di 1-100 atomi di impurità per milione di
atomi del cristallo.
Per capire cosa avviene in un cristallo drogato esaminiamo prima la struttura di un
semiconduttore puro, come il germanio o il silicio, elementi del IV gruppo. Lo strato elettronico più
esterno degli atomi di questi elementi contiene 4 elettroni, chiamati elettroni di valenza perché ne
determinano le proprietà chimiche, i quali si trovano normalmente nella banda di valenza. Il
cristallo di silicio ha struttura cubica a facce centrate, nella quale ogni atomo forma legami
covalenti con ciascuno dei quattro atomi più vicini, condividendo cioè due elettroni con ciascuno di
essi, come è mostrato nella parte a) della figura 5.
Un paragone sportivo? Ciascun
Quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di un
atomo di silicio del cristallo gioca
contemporaneamente 4 partite a
elemento del V gruppo, che possiede cinque elettroni nello strato
tennis con i 4 atomi adiacenti,
più esterno, quattro di questi vengono impegnati nei legami
usando due elettroni per partita.
covalenti, mentre il quinto, essendo solo debolmente legato
all’atomo, si libera facilmente grazie all’agitazione termica, passando quindi nella banda di
conduzione. Gli elettroni così liberati vanno dunque ad accrescere la conducibilità elettrica del
materiale, che in questo caso prende il nome di semiconduttore di tipo n, perché la maggior parte
dei portatori di carica è costituito appunto da elettroni, dotati di carica negativa.
L’opposto accade invece quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di un elemento
del III gruppo, che possiede tre elettroni nello strato più esterno e può quindi fornire solo tre dei
quattro elettroni necessari per stabilire i legami covalenti. Di conseguenza nel cristallo si crea un
lacuna, cioè l’equivalente di una particella libera dotata di carica positiva. Le lacune così prodotte
vanno ad accrescere la conducibilità elettrica del materiale, che in questo caso prende il nome di
semiconduttore di tipo p, perché la maggior parte dei portatori di carica è costitito da cariche
positive.
Notate però che i semiconduttori drogati sono elettricamente neutri. A ciascun elettrone
libero in un semiconduttore di tipo n, trascurando quelli generati per effetto termico, corrisponde
infatti uno ione positivo fisso dotato di carica positiva (un atomo di drogante che ha perso un
elettrone). In un semiconduttore di tipo p, analogamente, a ciascuna lacuna corrisponde uno ione
negativo fisso dotato di carica negativa (un atomo di drogante che ha acquistato un elettrone).
La fisica della tecnologia 1. Il drogaggio dei semiconduttori.
Come si compie il drogaggio di un cristallo semiconduttore puro, inserendovi piccole quantità
controllate di altri elementi per trasformarlo in un semiconduttore drogato? Una tecnica consiste nel
4
portare il cristallo ad alta temperatura (attorno a 1000°C, nel caso del silicio) in presenza di un gas
che contiene l’elemento drogante, il quale penetra gradualmente al suo interno per diffusione. Tale
processo, del tutto analogo ai moti di diffusione delle molecole di un gas, è fortemente favorito
dalla temperatura.
Un’altra tecnica è quella chiamata impianto di ioni: gli atomi di drogante vengono prima ionizzati
e poi accelerati da un intenso campo elettrico che li “spara” contro il cristallo semiconduttore. Se
l’energia cinetica degli ioni è sufficiente (da decine a centinaia di keV), essi penetrano nel cristallo
e vi si inseriscono. Una successiva “ricottura” del cristallo è poi necessaria per ricomporne la
struttura cristallina, che era stata distorta dagli effetti di questa questa “artiglieria”.
Approfondimento 2. La struttura a bande dei semiconduttori drogati.
La presenza di un consistente numero di portatori di carica (elettroni liberi oppure lacune) nei
semiconduttori drogati si deve al cambiamento struttura a bande che si verifica quando un cristallo
semiconduttore viene drogato; come mostra la figura A nel caso del silicio di tipo n. La presenza
nel cristallo di atomi con 5 elettroni esterni, cioè con un elettrone in più rispetto a quanto richiedono
i legami covalenti, crea infatti infatti una piccola banda permessa (indicata in nero nella figura)
all’interno della banda proibita. Questa si trova tipicamente a qualche centesimo di eV dal bordo
inferiore della banda di conduzione, e quindi a temperatura ambiente l’energia termica è sufficiente
a portare in banda di conduzione tutti, o quasi tutti, gli elettroni
che vi si trovano. Si ha infatti: kT = 1,38∙10-23300 =
4,14∙10-21 J = 4,14∙10-21/1,6∙10-19 eV = 0,026 eV.
Figura A. Struttura a bande di un cristallo di silicio puro e di un cristallo
drogato di tipo n. In quest’ultimo si ha una piccola banda permessa appena
sotto la banda di conduzione, a pochi centesimi di elettronvolt. Da questa
gli elettroni passano facilmente nella banda di conduzione grazie
all’energia termica a temperatura ambiente.
Figura 3. Quando degli atomi si avvicinano fra loro,
l’interazione fra essi trasforma i livelli energetici
posseduti inizialmente in bande di energia
praticamente continue (bande permesse), separate da
bande proibite. L’ampiezza delle bande permesse è
tanto maggiore quanto più gli atomi si avvicinano. Il
cristallo costituito dagli atomi di un dato elemento ha
la specifica struttura a bande che corrisponde alla
particolare distanza interatomica d0, per cui il
cristallo è stabile (d0 = 54,3 nm nel caso del silicio).
Figura 4. (a) La struttura a bande di un isolante è caratterizzata dalla
presenza di una banda di conduzione (C) completamente vuota di
elettroni e da una banda di valenza i cui stati sono invece tutti
occupati. Le due bande sono separate da una banda proibita (P),
priva di stati che gli elettroni possano assumere, con ampiezza di
parecchi eV. (b) I semiconduttori differiscono dagli isolanti per la minore ampiezza, attorno a 1 eV, della banda
proibita. (c) Nei metalli, le prime due bande permesse si sovrappongono parzialmente, creando un’unica banda che per
questo è solo parzialmente riempita di elettroni. Questi elettroni determinano la conducibilità elettrica del metallo.
Figura 5. Rappresentazione (nel piano) dei legami fra gli atomi di un cristallo di silicio puro (a) e di silicio drogato (b e
c). Ciascun atomo di silicio si lega con quattro atomi vicini, condividendo due elettroni con ciascuno di essi. Gli atomi
di arsenico (b) hanno 5 elettroni nello strato più esterno, quattro dei quali vengono condivisi con gli atomi di silicio
5
adiacenti, mentre il quinto si libera facilmente perché solo debolmente legato all’atomo. Gli atomi di boro (b) hanno 3
elettroni nello strato più esterno, sicchè devono catturarne uno a un altro atomo in modo da averne 4 da condividere con
gli atomi di silicio adiacenti: si libera così una lacuna o elettrone mancante, una carica positiva che può muoversi nel
cristallo.
(adattare da Scienza della materia, vol. 2, pag. 255, fig. 3)
3.3 La giunzione p-n e il diodo a semiconduttore
Quando poniamo a contatto due metalli diversi, fra essi si stabilisce una differenza di potenziale
(effetto Volta,  Tomo III, pag. xxx) che è dovuta alla differenza fra le energie di estrazione degli
elettroni dai due metalli. Lo stesso fenomeno si verifica fra due regioni di un semiconduttore
drogate diversamente, in particolare quando una parte di
Attenzione. La differenza di potenziale
un cristallo è di tipo n e l’altra di tipo p, formando ciò che
fra le due regioni di una giunzione p-n
si chiama una giunzione p-n ( figura 6).
NON si misura con un voltmetro disposto
fra i suoi estremi. Per la stessa ragione
Questa barriera di potenziale si manifesta in
per cui non si misura quella che si
concreto quando fra i due estremi della giunzione si
stabilisce fra due metalli diversi.
applica una tensione esterna che, a seconda della sua
polarità, può abbassare la barriera, favorendo così il moto dei portatori (gli elettroni liberi presenti
nella zona p, le lacune presenti nella zona n) attraverso la giunzione, oppure può innalzarla,
impedendone il passaggio. Nel primo caso nella giunzione scorre una corrente elettrica e si dice che
essa è polarizzata direttamente; nel secondo caso non vi scorre corrente apprezzabile e si dice che
la giunzione è polarizzata inversamente. Su questa proprietà è basato il funzionamento dei diodi a
semiconduttore, che potete osservare eseguendo l’esperimento proposto nella figura 7.
Più precisamente, il comportamento elettrico di una giunzione p-n è descritto dalla seguente
legge dovuta al fisico americano William Shockley (1910-1989):
(1)

 eV  
I  I 0  exp 
  1
  kT  

dove I è l’intensità della corrente, V è la tensione applicata dall’esterno fra la regione p e quella n
della giunzione, I0 è un parametro caratteristico della giunzione, e è la carica dell’elettrone, k =
1,38∙10-23 J/K è la costante di Boltzmann. Il coefficiente η vale circa 1 per il germanio e circa 2 per
il silicio. Il parametro I0 prende il nome di corrente inversa, perché rappresenta la debolissima
corrente, dell’ordine di 1-100 pA nel caso di un normale diodo al silicio, che scorre attraverso la
giunzione quando ad essa viene applicata una tensione negativa (fra la zona p e quella n). Il grafico
in figura 8 rappresenta la curva caratteristica corrente-tensione di una giunzione p-n, data dalla
formula (1).
I diodi sono usati soprattutto per rendere unidirezionale una corrente alternata, cioè per
trasformarla in una corrente continua, come avviene per esempio nei caricabatterie dei telefonini e
degli altri apparecchi portatili. Oltre che nei diodi, le proprietà delle giunzioni p-n sono sfruttate
nella realizzazione dei transistori a giunzione e di numerosi altri dispositivi elettronici.
Le celle fotovoltaiche
Cosa avviene quando un fotone incide su una giunzione p-n? Sapete già l’assorbimento di un fotone
da parte di un semiconduttore produce la creazione di una coppia elettrone-lacuna, se l’energia E
che esso possiede è maggiore o uguale all’ampiezza E BP della banda proibita del materiale, cioè se è
verificata la condizione
(2)
hf = hc/ ≥ EBP
dove f è la frequenza del fotone e  la sua lunghezza d’onda.
Ma fra le due regioni di una giunzione p-n vi è un campo elettrico, dovuto alla presenza di
ioni di carica opposta sui due lati (che si manifesta nella presenza della barriera di potenziale di cui
6
s’è detto prima). L’effetto del campo è allora quello di separare gli elettroni dalle lacune, creando
così un accumulo di cariche opposte ai due lati della giunzione e quindi una differenza di potenziale
fra i suoi estremi, una corrente se questi sono collegati a un carico esterno. La giunzione p-n, così,
si comporta come un generatore elettrico, che converte l’energia dei fotoni in energia elettrica. I
dispositivi realizzati a questo scopo prendono il nome di celle fotovoltaiche o celle solari e trovano
impiego nello sfruttamento dell’energia solare come fonte di energia alternativa ( pag. xxx).
Esempio 1. Quali fotoni della luce solare sono utilizzati da una cella solare al silicio?
Vogliamo stabilire quale parte dei fotoni della radiazione solare sono effettivamente utilizzati da
una cella solare al silicio.
Ricaviamo dalla formula (2) la lunghezza d’onda dei fotoni che hanno l’energia minima necessaria
a produrre effetto fotoelettrico nel silicio: = hc/EBP. Sapendo che l’ampiezza della banda proibita
nel silicio è EBP = 1,1 eV = 1,11,6∙10-19 J = 1,76∙10-19 J, si ha pertanto:
= 6,63∙10-343∙108/1,76∙10-19 = 1,13∙10-6 m = 1130 nm. Questa lunghezza d’onda, che cade
nell’infrarosso, separa i fotoni utili per la conversione in elettricità, cioè tutti quelli che cadono nel
visibile più una piccola frazione di quelli infrarossi, da quelli inutilizzabili, cioè i fotoni infrarossi
con lunghezza d’onda maggiore di 1130 nm.
I diodi emettitori di luce (LED)
Il processo inverso, cioè l’emissione di fotoni da parte di una giunzione p-n attraversata da una
corrente elettrica, si verifica in vari materiali semiconduttori, ma non nel silicio. L’energia dei
fotoni emessi corrisponde al salto di energia che subiscono gli elettroni della corrente, cioè
all’ampiezza della banda proibita EBP del semiconduttore (o a salti fra i livelli energetici intermedi
che si creano nei semiconduttori drogati), con trasformazione totale, idealmente, in energia
luminosa dell’energia elettrica assorbita. Così, usando diodi di materiali diversi, con valori diversi
di EBP, per esempio arseniuro di gallio (GaAs), fosfuro di gallio (PAs), e leghe di questi e altri
materiali, si ottiengono luci di colori diversi e radiazione infrarossa (nei LED usati nei
telecomandi). Da qualche tempo anche luce blu, con LED di nitruro di gallio e indio (GaInN).
La radiazione emessa da questi dispositivi è incoerente, come quella delle lampade a
incandescenza o di quelle a scarica. Producono invece radiazione coerente, sfruttando il principio
dell’emissione stimolata ( Unità 2, pag. xxx), i diodi laser, che si ottengono realizzando attorno
alla giunzione una microcavità ottica con pareti riflettenti.
La fisica attorno a noi 1. Le lampadine a stato solido.
Da qualche tempo si sta diffondendo l’impiego dei LED come sorgenti di illuminazione, in
aggiunta a quello tradizionale come lampadine spia o come indicatori luminosi. Queste lampadine a
stato solido, già in uso nei semafori e nei fari delle automobili, cominciano infatti a trovare impiego
anche nella illuminazione degli ambienti. Il successo dei LED è legato alle loro caratteristiche di
efficienza, misurata in termini di luce prodotta per watt consumato, che sta migliorando nel tempo
ma già oggi è decisamente superiore alle tradizionali lampade a incandescenza, e
alla loro durata lunghissima, attorno a 105 ore, assai maggiore di qualunque altro
tipo di lampada.
Sono stati necessari molti anni di lavoro per riuscire a ottenere luce
bianca, come è necessario nel campo dell’illuminazione, a partire da sorgenti di
luce colorata, quali sono naturalmente i LED. Le soluzioni adottate sono
essenzialmente due: l’impiego in combinazione di tre LED ciascuno dei quali
emette luce di uno dei tre colori primari (rosso, verde e blu), l’impiego di LED
che emettono radiazione di piccola lunghezza d’onda, che viene trasformata in
luce bianca utilizzando opportune sostanze fluorescenti (come avviene nelle
lampade fluorescenti usuali).
7
Figura A. L’impiego dei LED nei semafori per le segnalazioni stradali è particolarmente conveniente. Queste lampade
emettono infatti naturalmente luce colorata (rossa, verde o arancione), sostituendo, con grandi risparmi di energia, le
lampade a incandescenza dotate di filtri colorati che si usavano in passato. Nella foto un semaforo realizzato con
sorgenti LED, prodotto dalla società americana Gelcore.
Figura 6. Una giunzione p-n si realizza drogando differentemente due regioni di un semiconduttore, per ottenere cioè al
suo interno una zona di tipo p e una di tipo n. Nei pressi della zona di contatto le cariche libere si neutralizzano, creando
il cosidetto strato di svuotamento, mentre le cariche fisse (ioni con cariche di segno opposto ai due lati) creano un
campo elettrico e quindi una differenza di potenziale fra le due zone della giunzione.
(Adattare da Scienza della Materia, vol. 2, pag. 256, modificando le scritte come segue: a sinistra ione positivo e a
destra ione negativo)
Figura 7. Esperimento. Il diodo è un conduttore
unidirezionale. (a) Collegate un diodo al silicio fra una pila
e una lampadinetta: questa si accenderà indicando il
passaggio di una
corrente elettrica. (b)
Invertendo la polarità
del diodo, la lampadina resterà spenta, indicando che nel circuito non scorre
corrente di intensità apprezzabile.
Figura 8. La curva caratteristica corrente-tensione di una giunzione p-n, cioè di un
diodo a semiconduttore, mostra chiaramente che questo dispositivo non segue la
legge di Ohm, comportandosi come un conduttore unidirezionale. A una tensione
positiva (polarizzazione diretta) corrisponde il passaggio di corrente; a una
negativa (polarizzazione inversa), una corrente di intensità debolissima (I 0).
3.4 Il transistore a giunzione
Esperimento 1. Il transistore a giunzione amplifica una corrente.
Procuratevi una pila da 4,5 volt, un transistore NPN, un resistore da 220 Ω e due lampadinette
adatte alla pila, e realizzate il circuito in figura 9. Chiudendo l’interruttore, troverete che si accende
la lampadina 2 ma non quella 1. Ciò si spiega ammettendo che il transistore amplifichi la corrente
che entra nel suo ingresso, nel terminale B, lasciandosi attraversare cioè da una corrente
corrispondente, più intensa, che scorre nel suo terminale d’uscita C. Che infatti è in grado di
accendere la lampadina 2.
Il transistore a giunzione è sostanzialmente un cristallo nel quale sono state realizzate due
giunzioni p-n, con la regione intermedia in comune, a piccolissima distanza fra loro perché il
funzionamento del dispositivo è basato proprio sull’interazione fra le giunzioni. E quindi possiamo
avere sia un sandwich p-n-p, che prende il nome di transistore PNP, che uno n-p-n, che prende il
nome di NPN. La figura 10 mostra in particolare la struttura di un transistore NPN, nel quale la
regione in comune è di tipo n.
La proprietà essenziale di questo dispositivo è l’amplificazione di corrente: quando le
tensioni esterne sono disposte come nella figura 10, la corrente IC che scorre attraverso l’elettrodo C
(chiamato collettore) è poco minore di quella (IE) che scorre attraverso l’elettrodo E (chiamato
emettitore), ma assai più intensa della corrente IB che scorre nell’elettrodo B (chiamato base), a cui
è direttamente proporzionale. Si ha pertanto:
(3)
IC = IB
dove il fattore di amplificazione  è tipicamente compreso fra 50 e 500.
Il fenomeno di amplificazione è dovuto al fatto che la giunzione BE fra la base (B) e
l’emettitore (E) è realizzata in modo che la corrente che vi scorre sia costituita soprattutto da
elettroni. Quando questa giunzione viene polarizzata direttamente, cioè si applica una tensione
positiva fra B ed E, si crea una corrente di elettroni che dall’emettitore raggiunge la regione di base.
8
Ma siccome la regione di base ha uno spessore assai piccolo, questi elettroni la attraversano senza
ricombinarsi apprezzabilmente con le lacune in essa presenti, raggiungendo così il collettore, anche
se la giunzione BC fra base e collettore è polarizzata inversamente, e scorrendo poi nel circuito
esterno. Attraverso l’elettrodo di base scorre quindi soltanto la piccola differenza (IB) fra le correnti
di emettitore (IE) e di collettore (IC), che è molto minore della corrente di collettore.
Nota storica 1. L’invenzione del transistore a giunzione.
L’idea di controllare il moto di cariche elettriche in un cristallo semiconduttore, per realizzare un
dispositivo amplificatore risale agli anni ’30 del Novecento. Essa trovò successo il 16 dicembre del
1947, quando nei laboratori di ricerca della società americana Bell Telephone un gruppo di
scienziati, dopo aver costruito il primo rudimentale transistore usando un cristallo di germanio con
due contatti di oro a 50 m di distanza (l’equivalente di due giunzioni p-n ravvicinate), verificò che
esso poteva amplificare una debole corrente elettrica. Gli inventori del transistore, William
Shockley, John Bardeen e Walter Brattain, ricevettero il premio Nobel nel 1956.
I transistori, nel giro di pochi anni, rivoluzionarono il mondo dell’elettronica, soppiantando i
tubi a vuoto usati in precedenza grazie al loro minore ingombro e al minor consumo di potenza.
Data infatti a quell’epoca la diffusione delle radio portatili e lo sviluppo dei primi calcolatori
elettronici moderni. Ma l’invenzione del transistore aprì anche la porta allo sviluppo di numerosi
altri dispositivi, fra cui le celle solari e i circuiti integrati.
Figura A. Il primo rudimentale transistore costruito nel 1947 presso i laboratori Bell Telephone
(Il mondo della Fisica, vol. B, pag. 453, ma possibilmente trovando una immagine migliore)
Figura 9. (a) Struttura di un transistore NPN. Le correnti I C e IE
hanno pressappoco la stessa intensità. Intensità assai inferiore ha
invece la corrente IB, data dalla
differenza fra le due precedenti.
(b) Simbolo grafico di un transistore
NPN usato negli schemi elettrici.
Figura 10. Esperimento. Il
transistore amplifica una
corrente. Realizzate il semplice
circuito in figura. Chiudendo
l’interruttore la lampadina 1 resta spenta mentre si accende la lampadina 2. La corrente
I2, amplificata dal transistore, è infatti molto più intensa della corrente I1.
3.5 Il transistore MOS
La struttura dei transistori MOS (metallo-ossido-semiconduttore) è più semplice di quella dei
transistori a giunzione, come mostra la figura 11. Qui è rappresentato un dispositivo a canale n, del
tipo detto ad accrescimento, che è costituito da due piccole regioni di tipo n realizzate in un cristallo
semiconduttore di tipo p. Il semiconduttore è ricoperto da uno straterello isolante di ossido di
silicio, al di sopra del quale si trova lo strato metallico che costituisce l’elettrodo di comando,
chiamato porta. In condizioni normali, cioè in assenza di segnale di comando sulla porta, il tratto
fra le due regioni n (chiamato canale) non può condurre corrente: fra le due regioni n si trova infatti
una regione p, e quindi si ha l’equivalente di due diodi disposti in serie in sensi opposti.
Le cose cambiano, però, quando fra la porta e il semiconduttore viene applicata una tensione
positiva. La struttura formata dal metallo (l’elettrodo porta), dall’ossido e dal semiconduttore
costituisce infatti un condensatore, sicchè quando fra la porta e il semiconduttore si applica una
tensione positiva (VP), le cariche positive sulla porta inducono nel semiconduttore sottostante
altrettante cariche negative. Se queste ultime sono abbastanza numerose, la regione del canale
cambia natura, trasformandosi da una di tipo p in una di tipo n, che mette quindi in contatto fra loro
le due regioni n ai suoi estremi. L’intensità della corrente che può scorrere attraverso il canale,
quando una tensione è applicata ai suoi estremi (fra D e S in figura), dipende naturalmente dal
valore della tensione applicata alla porta, che esercita dunque una azione di controllo.
9
La semplicità realizzativa di questa soluzione rende oggi dominante l’impiego dei transistori
MOS nei circuiti integrati.
Figura 11. Nella figura si individuano i tre strati,
rispettivamente di metallo (in alto), di ossido isolante
e di semiconduttore (in basso), da cui deriva la
denominazione dei transistori MOS. Il dispositivo in
figura è del tipo detto a canale n , ma il canale
conduttore fra le due regioni drogate di tipo n in
realtà non esiste. Esso si forma soltanto quando si
applica una tensione positiva (VP) fra l’elettrodo
porta (P) e il semiconduttore, grazie alle cariche negative che vengono indotte nel cristallo p. E allora può scorrere una
corrente fra i due elettrodi D e S, collegati alle due regioni n agli estremi del canale.
3.6 Dai circuiti integrati alle nanotecnologie
Poco più di 10 anni dopo l’invenzione del transistore a giunzione, l’ingegnere americano Jack Saint
Clair Kilby attuò un’idea che si rivelò presto di eccezionale portata: costruire all’interno di un
cristallo di semiconduttore un circuito elettrico completo di tutte le sue parti: diodi, transistori,
resistori, condensatori, …, inclusi i conduttori che li collegano. Il primo circuito integrato della
storia nacque infatti nei laboratori della società Texas Instruments, dove Kilby lavorava, nell’estate
del 1958.
I transistori e i diodi vengono realizzati drogando opportunamente determinate regioni di un
cristallo di silicio, i resistori consistono di piccoli volumi di semiconduttore (la cui resistenza fra gli
estremi è data dalla seconda legge di Ohm) che vengono drogati in modo da presentare la resistività
desiderata, i condensatori si ottengono disponendo sul silicio uno straterello di ossido isolante
ricoperto poi da uno stato di metallo (come nei transistori MOS). I conduttori che collegano fra loro
i vari elementi del circuito si ottengono infine depositando delle piste metalliche sull’ossido che
ricopre tutto il semiconduttore, ad eccezione dei punti di contatto con i vari componenti.
I primi circuiti integrati commerciali, prodotti negli anni ’60 del secolo scorso,
comprendevano soltanto un piccolo numero di componenti. Ma questo numero è andato sempre
aumentando negli anni, grazie ai progressi delle tecniche di fabbricazione, in particolare la continua
riduzione delle dimensioni dei transistori e degli altri componenti. Sicchè oggi si realizzano circuiti
integrati che contengono oltre un miliardo di transistori in un’area dell’ordine del cm 2. Notate che il
processo di fabbricazione è oggi completamente
Il costo di un singolo transistore?
automatico, realizzato in impianti costosissimi, che
All’incirca 10-7 euro, se un microprocessore
producono volumi enormi di prodotti per soddisfare le
che ne contiene 109 costa ~ 102 euro.
esigenze di un mercato vastissimo.
Le nanotecnologie
Le tecnologie usate per realizzare circuiti integrati hanno trovato impiego anche per costruire
dispositivi meccanici ed elettromeccanici (micromotori, meccanismi, sensori, …) di dimensioni
micrometriche, sviluppando successivamente microlavorazioni sempre più raffinate, in grado di
operare su oggetti di dimensioni nanometriche. Nel
Se prendessimo un frammento di carbonio,
corso degli stessi anni, inoltre, la fisica ha compiuto
modificassimo la posizione dei singoli atomi, e li
progressi straordinari nella comprensione del
disponessimo in modo appropriato, potremmo
ottenere un diamante. Questa non è fantascienza,
comportamento delle proprietà di aggregati di
ma una prospettiva della nanotecnologia.
materia di dimensioni sempre più piccole. Dalla
combinazione dei progressi teorici e delle tecnologie
realizzative ha origine lo sviluppo della disciplina chiamata nanotecnologia, che sarebbe più
corretto chiamare nanoscienza, che ha l’obiettivo di studiare e manipolare la materia a livello
atomico e molecolare. Cioè su una scala dove le proprietà fisico-chimiche dei materiali sono
diverse, spesso sorprendentemente, da quelle possedute a scala più grande, offrendo così
straordinarie prospettive nella realizzazione di nuovi materiali oltre che di nanodispositivi. E del
10
resto si sono già ottenuti nanomateriali con proprietà particolarissime, come le nanoparticelle usate
in lubrificanti innovativi, quelle impiegate in esperimenti di disinquinamento ambientale, oppure i
nanotubi di carbonio. Questi sono tubi sottilissimi di carbonio, con diametro di qualche nanometro e
lunghezza di qualche millimetro, che presentano straordinarie proprietà sia meccaniche (resistenza
cento volte maggiore di quella dell’acciaio) che elettriche e termiche. Tali proprietà, che derivano
dalla natura unidimensionale della loro struttura, si manifestano in una elevatissima conducibilità
termica ed elettrica, molto maggiore di qualsiasi altro materiale normale, secondo l’asse del tubo,
ma al tempo stesso in un comportamento isolante attraverso le sue pareti.
La Fisica della tecnologia 2. La fabbricazione dei dispositivi a semiconduttore e dei circuiti
integrati.
Il silicio è abbondantissimo in natura, nella
Il processo ha inizio con l’estrazione del silicio dal
sabbia e nell’argilla come in molte rocce,
minerale e la sua purificazione, che fornisce una cristallo
costituendo il 25% della crosta terrestre.
purissimo (le impurità sono meno di un miliardesimo) nella
forma di una barra cilindrica monocristallina con raggio fino a 30 cm. Questa viene tagliata in
sottili (≈ 0,75 mm) fette chiamate wafer, che vengono poi ricoperte di ossido isolante (SiO2) per
proteggerle da qualsiasi contaminazione.
Le fasi successive del processo sono mostrate nelle figura A. 1) Sull’ossido viene deposto
uno strato di fotoresist, un materiale sensibile
Le dimensioni submicrometriche dei singoli elementi
alla luce, al quale viene poi sovrapposta una
che costituiscono oggi i circuiti integrati richiedono un
maschera, che rappresenta il circuito che si
dettaglio estremo nella definizione delle aree del wafer
che vengono sottoposte al drogaggio. In passato si usava
vuole realizzare, più precisamente il dettaglio in
luce visibile, oggi radiazioni ultraviolette, con cui si
negativo delle zone del cristallo che devono
ottengono dettagli al livello di poche decine di nm.
essere drogate inserendovi le impurità. 2) Il
wafer viene esposto a luce ultravioletta che rende resistenti agli acidi le zone di fotoresist non
coperte dalla maschera. 3) Si elimina il fotoresist non trattato e si sottopone il wafer all’azione di un
acido che asporta selettivamente l’ossido. 4) Il wafer viene sottoposto al drogaggio, in una fornace
di diffusione o mediante impianto di ioni ( pag. xxx), e quindi viene ossidato nuovamente in vista
di ripetere le fasi precedenti quante volte occorre, cioè fino a realizzare il drogaggio (di tipo n o p)
di tutte le zone desiderate.
In una fase ulteriore, sul wafer viene deposto uno strato di metallo (o di semiconduttore
fortemente drogato, quindi buon conduttore), che viene inciso selettivamente per ricavarne le
connessioni elettriche fra le varie parti del circuito. Poi il wafer viene suddiviso per ottenerne i
singoli dispositivi, da decine a centinaia. Questi, dopo l’esecuzione di prove elettriche, vengono
incapsulati nel contenitore finale e collegati ai
terminali esterni.
Figura A.
Alcune fasi essenziali del processo di fabbricazione di un
circuito integrato. 1) Il silicio viene ossidato e ricoperto di
fotoresist. 2) La radiazione ultravioletta raggiunge il
fotoresist non protetto dalla maschera, rendendolo inerte
all’acido. 3) L’acido asporta l’ossido dalle regioni
corrispondenti alla maschera. 4) Gli atomi di impurità
raggiungono, drogandole, le regioni non protette
dall’ossido. Queste fasi vengono ripetute più volte fino a
completare il drogaggio, di tipo p e di tipo n, di tutte le
regioni necessarie a creare nel silicio i vari elementi del
circuito.
Approfondimento 2. There is plenty of room at bottom (C’è un sacco di posto giù in fondo)
Questo è il titolo della conferenza che il fisico teorico americano Richard Feynman tenne nel 1959
al congresso annuale della Società Americana di Fisica (APS). Che significa? Che la materia, a ben
11
vedere, offre spazi impensati, finora non sfruttati, per le più varie possibilità. Per esempio, per
scrivere sulla capocchia di uno spillo i 24 volumi dell’Enciclopedia Britannica: basta ingrandirla 25
mila volte, oppure ridurre dello stesso fattore le pagine dell’enciclopedia, e lo spazio c’è. Infatti,
riducendo 25 mila volte ogni singolo elemento dell’immagine di una
pagina, che ha un diametro di 0,25 mm, questo arriverebbe a dimensioni di
10 nm, cioè l’equivalente di una trentina di atomi di un metallo ordinario,
che sarebbe ancora ben distinguibile. Ma come si potrebbe scrivere sullo
spillo il contenuto dell’enciclopedia? Questo, e il resto della conferenza,
leggetelo voi stessi, in inglese, all’indirizzo Web
http://www.zyvex.com/nanotech/feynman.html
Figura A. Richard Feynman (1918-1988, premio Nobel nel 1965), oltre a portare
contributi eccezionali alla fisica teorica, ha scritto testi di fisica di eccezionale profondità,
chiarezza ed efficacia espositiva.
Figura 12. In questa sottile fetta (wafer) di silicio
purissimo sono state realizzate centinaia di moduli (chip) identici. ciascuno dei
quali costituisce un microprocessore, cioè il cuore di un calcolatore elettronico.
(immagine aggiornata, modificando opportunamente la dida, simile a quella in
Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 369)
Figura 13. Micromeccanismi realizzati con la tecnologia del silicio dalla
società americana Sandia per far ruotare più assi con un unico micromotore.
3.7 La superconduttività.
Il passaggio della corrente elettrica nei metalli, in condizioni
ordinarie, è assicurato dalla presenza di elettroni liberi. Il loro
moto è tuttavia ostacolato dagli urti con gli ioni che costituiscono
il reticolo cristallino. Questi urti diventano più frequenti
all’aumentare della temperatura, cioè quando gli ioni vibrano
maggiormente attorno alle loro posizioni di equilibrio. E infatti la
resistività dei metalli aumenta gradualmente al crescere della temperatura.
Ma quando certi metalli, come pure altre sostanze, vengono portati a temperature molto
basse la loro resistività si annulla bruscamente (non diventa molto piccola, ma si annulla del tutto).
Questo fenomeno prende il nome di superconduttività e si chiamano superconduttori i materiali
nei quali si manifesta. La transizione avviene al di sotto di una temperatura caratteristica, chiamata
temperatura di transizione, che vale 1,2 K per l’alluminio, 4,2 K per il mercurio, 9,2 K per il
niobio. Notate che si tratta di un vero e proprio cambiamento di stato perché varie proprietà dei
materiali, non soltanto quelle elettriche ma anche quelle termiche, come la capacità termica, e
quelle magnetiche, subiscono mutamenti significativi.
La prima osservazione della superconduttività risale al 1911, quando il fisico olandese
Heike Kamerlingh Onnes (1853-1926, premio Nobel nel 1913) trovò, con sua grande sorpresa, che
la resistenza elettrica di un filamento di mercurio raffreddato al di sotto di 4,2 K crollava
bruscamente a valori non più misurabili. Egli si attendeva invece che la resistenza diminuisse
gradualmente al diminuire della temperatura verso lo zero assoluto. Si trovò in seguito che anche
altri metalli, e altre sostanze, manifestano questa transizione e che ad essa si accompagna fra l’altro
un drastico cambiamento delle proprietà magnetiche ( figura 15).
L’interpretazione del fenomeno arrivò molto più tardi, negli anni ’50 del Novecento, per
opera dei fisici americani John Bardeen, Leon Cooper e John R. Schrieffer, che per questo
ricevettero il Nobel nel 1973. Secondo la teoria BCS (così chiamata dalle iniziali dei cognomi dei
tre scienziati), che è basata sulla meccanica quantistica, nei superconduttori gli elettroni liberi si
uniscono due a due formando le cosidette coppie di Cooper, che costituiscono a tutti gli effetti i
12
portatori di carica in questi materiali. I due elettroni di ciascuna coppia hanno spin opposti, sicchè
queste coppie hanno spin zero, cioè momento angolare intrinseco nullo. E quindi per le coppie di
Cooper non vale il principio di esclusione di Pauli: esse partecipano a un medesimo stato quantico e
sono descritte da un’unica funzione d’onda, tendendo perciò a muoversi tutte assieme nella stessa
direzione, con la stessa velocità e, quel che più conta, senza urti con il reticolo cristallino;
costituendo ciò che si chiama un superfluido. E così avviene, coinvolgendo nel moto miliardi di
miliardi di coppie di elettroni, quando a un superconduttore viene applicata una differenza di
potenziale: infatti, lanciando una corrente in una bobina superconduttrice e poi chiudendo il
circuito, la corrente continua a circolare per anni senza variazioni apprezzabili della sua intensità.
Ma il legame fra i due elettroni è relativamente debole: quando la temperatura supera un
valore caratteristico del materiale (chiamato temperatura di transizione), l’energia termica diventa
sufficiente a rompere il legame e il materiale transisce dallo stato superconduttore a quello normale.
La stessa transizione si verifica anche a temperature più basse di quella di transizione, quando il
superconduttore è attraversato da una corrente elettrica sufficientemente intensa o si trova in
presenza di un campo magnetico sufficientemente intenso.
E’ evidente il grandissimo interesse che presenta la superconduttività in vista delle sue
applicazioni tecnologiche: cavi elettrici per il trasporto dell’elettricità a distanza senza perdite,
magneti e macchine elettriche con avvolgimenti superconduttori, ferrovie a sospensione magnetica,
e altro ancora. L’inconveniente è che i dispositivi impieganti metalli superconduttori vanno
raffreddati a temperature bassissime usando elio liquido, che è un fluido assai costoso.
Nuove prospettive per gli impieghi pratici della superconduttività sono state aperte dalla
scoperta, nel 1986, della cosidetta “superconduttività ad alta temperatura” in particolari sostanze
(ossidi di rame e di altri elementi). A seguito di questo lavoro, che nel 1987 ha meritato il premio
Nobel ai fisici Karl Alex Müller e Johannes Georg Bednorz, state individuate vari nuovi materiali
superconduttori con temperature di transizione fino a oltre 160 K (-113 °C), per raffreddare i quali è
sufficiente l’azoto liquido, che bolle a circa 77 K: un
Estrarre da un corpo1 J di energia termica
fluido assai più economico (circa cento volte) dell’elio
alla temperatura dell’elio liquido (4,2 K), per
liquido. Si tratta però di materiali fragili, di uso non
raffreddarlo e poi mantenerlo freddo,
agevole, ciò che per ora ne frena la diffusione nelle
richiede di spendere 1000 J a temperatura
ambiente. La stessa operazione richiede
applicazioni pratiche. Essi hanno tuttavia trovato largo
invece appena 10 J per un corpo alla
impiego in applicazioni particolari. Una di queste ci
temperatura dell’azoto liquido (77 K).
riguarda direttamente, tutte le volte che utilizziamo un
telefonino: nelle stazioni base della telefonia cellulare si usano infatti filtri superconduttori per
separare i segnali a microonde a seconda della loro frequenza.
Figura 14. Nei metalli che manifestano il fenomeno della superconduttività (fra cui il mercurio, l’alluminio, il piombo
lo stagno e niobio) la resistività si riduce bruscamente a zero al di sotto della temperatura di transizione. In altri metalli,
come il rame, l’argento e l’oro, la resistività diminuisce invece gradualmente con la temperatura per assumere poi un
valore costante alle temperature più basse.
(Scienza della Materia, vol. II, pag. 152)
Figura 15. Quando un campione di materiale subisce la transizione dallo stato
normale a quello superconduttore, il campo magnetico viene espulso dal suo
volume (effetto Meissner).
(adattare da Caforio, Fisica 3, pag. 489)
Figura 16. I treni più veloci (il record è di 581 km/h) corrono sollevati e guidati da potenti magneti superconduttori.
Nella foto un treno giapponese a levitazione magnetica (denominato Maglev da magnetic levitation).
13
Test di verifica
1) I due atomi che costituiscono una molecola di idrogeno sono tenuti assieme da un legame di
tipo
Ο ionico
Ο covalente
Ο metallico
2) Il legame derivante dall’attrazione elettrostatica fra due atomi, uno dei quali ha ceduto un
elettrone all’altro, si chiama
Ο ionico
Ο covalente
Ο metallico
3) Il legame chimico più comune è quello
Ο ionico
Ο covalente
Ο metallico
4) Avvicinando fra loro due atomi, i livelli energetici degli elettroni
O restano invariati
O si sdoppiano
O si trasformano in bande continue
5) Sottolineate gli errori che individuate nelle frasi seguenti.
Gli elettroni più esterni degli atomi di un semiconduttore possono muoversi liberamente nel
cristallo. Da ciò deriva l’elevata resistività elettrica di questi materiali.
6)
O
O
O
La distinzione fra isolanti, semiconduttori e metalli è basata
sulla loro conducibilità elettrica
sulla loro struttura a bande
sulla velocità con cui possono spostarsi gli elettroni liberi presenti in questi materiali
7) Vero o falso?
V
I metalli sono caratterizzati dalla presenza di una banda proibita nella loro struttura a bande O
L’ampiezza della banda proibita nei semiconduttori è dell’ordine di 10 eV
O
Alla conducibilità elettrica dei semiconduttori contribuiscono sia elettroni che lacune O
Sono semiconduttori alcuni elementi del III gruppo della tavola periodica
O
I semiconduttori drogati di tipo n possiedono carica elettrica negativa
O
8) Il numero degli elettroni liberi in un semiconduttore puro
O non dipende dalla
O aumenta al crescere della
temperatura
F
O
O
O
O
O
O diminuisce al crescere della
9) Quando un fotone di sufficiente energia colpisce un semiconduttore, l’effetto fotoelettrico
O produce una coppia elettrone-lacuna
O libera un elettrone dal cristallo
O libera un elettrone nel cristallo
10) Quando il silicio viene drogato inserendo nel cristallo alcuni atomi che possiedono 5
elettroni nel loro strato più esterno, in corrispondenza di ciascun atomo di drogante
O si libera facilmente un elettrone
O si forma una lacuna
O si crea una coppia costituita da un elettrone libero e da una lacuna
11) Per ottenere lacune in un semiconduttore, occorre drogarlo con atomi di un elemento del
O III
O IV
OV
gruppo della tavola periodica.
14
12) Vero o falso?
L’altezza della barriera di potenziale in una giunzione p-n si misura con un voltmetro
Ponendo a contatto un cristallo di silicio n e uno p si ottiene una giunzione p-n
Le giunzioni p-n seguono la legge di Ohm
Le giunzioni p-n si comportano come conduttori unidirezionali
Una giunzione p-n, se illuminata, può comportarsi come un generatore elettrico
V
O
O
O
O
O
F
O
O
O
O
O
13) La caratteristica corrente-tensione di un diodo a semiconduttore è descritta da una
O retta
O curva parabolica
O curva esponenziale
14) Raddoppiando la tensione di polarizzazione diretta applicata a un diodo a semiconduttore,
la corrente attraverso il diodo
O si raddoppia
O si quadruplica
O aumenta di un ordine di grandezza
15) Raddoppiando la corrente che scorre in diodo a semiconduttore in polarizzazione diretta, la
tensione ai suoi estremi
O si raddoppia
O subisce un piccolo incremento
O resta invariata
16) Vogliamo usare una cella fotovoltaica come rivelatore di radiazione infrarossa con
lunghezza d’onda di 1,5 m. Per questo useremo una giunzione p-n di
O germanio (EBP = 0,7 eV) O silicio (EBP = 1,1 eV)
O arseniuro di gallio (EBP = 1,4 eV)
17) Un fabbricante di celle solari ha messo in vendita un suo prodotto assai perfezionato, con
area di 10 cm2, asserendo che può fornire a un carico una corrente di 2 A alla tensione di 0,6
volt sotto la luce solare di 1 kW/m2. Acquistereste questo dispositivo?
O sì
O soltanto dopo averne esaminato le caratteristiche tecniche
O no
18) Un diodo emettitore di luce genera luce blu, con lunghezza d’onda di 460 nm. Pertanto la
banda proibita del semiconduttore di cui è fatto è certamente di circa
Ο 1,3 eV
Ο 2,6 eV
Ο 10 eV
19) Una cella solare, illuminata da Sole, genera una corrente di 10 mA. Usando uno specchietto
per aumentare la luce che investe la cella, l’intensità della corrente
O resta invariata
O si raddoppia
O si quadruplica
20) Vogliamo comandare un motorino elettrico, che assorbe una corrente di 250 mA, usando un
transistore con fattore di amplificazione  = 100. Questo dispositivo richiederà in ingresso
una corrente di circa
O 2,5 mA
O 25 mA
O 2,5 A
21) La resistenza elettrica fra gli estremi di un volumetto di silicio drogato
O non dipende dal
O aumenta al crescere del
O diminuisce al crescere del
drogaggio che ha subito quella regione del cristallo.
22) Completate le frasi seguenti.
Un transistore a giunzione è un dispositivo dotato di tre terminali, che è costituito da due
giunzioni le quali hanno una regione in comune. Un transistore funziona come amplificatore di
corrente, con guadagno ≈ 100, perché variando la corrente che scorre nella base si controlla
quella, più intensa, che scorre nel collettore.
23) Il guadagno di corrente  di un transisore a giunzione è definito come
O IC/IB
O IB/IC
O IC/IE
15
24) In un circuito integrato viene realizzato un condensatore utilizzando uno strato di ossido di
silicio (r = 3,9) con spessore di 20 nm ricoperto da un metallo. Per ottenere una capacità di
20 pF occorre una superficie dell’ordine di
Ο 1 mm2
Ο 0,1 mm2
O 0,01 mm2
25) La corrente che scorre attraverso un transistore MOS viene controllata
Ο da una corrente, più debole, applicata all’elettrodo di comando
O dalla tensione applicata all’elettrodo di comando
O attraverso l’interazione fra due giunzioni p-n, una delle quali viene polarizzata direttamente
26) Aumentando la costante dielettrica dello strato isolante di un transistore MOS, la
conducibilità elettrica del canale
O aumenta
O resta invariata
O diminuisce
27) L’area di silicio occupata da un singolo transistore in un circuito integrato con superficie di
1 cm2 che ne contiene cento milioni è dell’ordine di
Ο 0,1 mm2
O 10 m2
Ο 1 m2
28) Vero o falso?
Tutti i metalli, al di sotto della temperatura di transizione, diventano superconduttori
Il fenomeno della superconduttività si verifica soltanto nei metalli
Il mercurio diventa superconduttore quando la sua temperatura è inferiore a 4,2 K
Non esistono materiali superconduttori a temperature maggiori di 30 K
Tutti i materiali superconduttori transiscono nello stato normale in presenza di
magnetico sufficientemente intenso
V
F
O
O
O
O
O
O
O
O
un campo
O
O
29) Quando un materiale transisce nello stato superconduttore la sua resistività elettrica
O diminuisce apprezzabilmente
O si riduce di alcuni ordini di grandezza
O si annulla
30) Correggete gli errori che individuate nelle frasi seguenti.
In un atomo a più elettroni, che si trova nel suo stato fondamentale, questi si distribuiscono
negli stati quantici di maggiore energia. Le caratteristiche fisiche e chimiche di un elemento
dipendono dalla distribuzione degli elettroni nel suo strato più interno. Gli elementi in cui
questo strato è riempito completamente presentano la massima reattività chimica.
31) Nei superconduttori il passaggio della corrente elettrica è affidato a gruppi di
O 2
O 3
O 4
elettroni fra loro collegati.
32) Utilizzando dei magneti superconduttori
O non è possibile
O sarà possibile in futuro
sollevare un intero treno.
O è possibile
16
Problemi e quesiti
1. Spiegate molto brevemente la natura del legame covalente, presentando due esempi.
Risoluzione. Il legame covalente si stabilisce quando due o più coppie di elettroni vengono messe in comune fra due
atomi. Come avviene fra i due atomi di una molecola di idrogeno o fra gli atomi che costituiscono un cristallo di silicio.
2. Spiegate brevemente quale grandezza determina la stabilità di una molecola.
Risoluzione. La stabilità di una molecola è determinata dalla sua energia potenziale, che deve presentare un minimo al
variare dei parametri geometrici, in particolare la distanza fra gli atomi, ed essere comunque inferiore a quella degli
atomi costituenti, presi separatamente.

 Calcolate il numero di atomi che si trovano in 1 cm 3 in un cristallo di silicio, sapendo che la
cella cubica di questo cristallo contiene 8 atomi e che il passo reticolare, cioè la distanza fra
due celle successive è L = 54,3 pm. Calcolate la densità del silicio sapendo che la massa
atomica di questo elemento è mSi = 28,1 u e ricordando che 1 u = 1,66∙10-27 kg.
Risoluzione. Dato che vi sono 8 atomi di silicio in ciascuna cella elementare e che il volume della cella è V = L3 =
(54,3∙10-12)3 m3 = 1,60∙10-31 m3 =1,60∙10-25 cm3, si conclude che il numero di atomi di silicio è: nSi = 8/V = 8/1,60∙10-25
= 5,00∙1025 atomi/cm3. La densità del materiale è:
d = nSi mSi = 5,00∙102528,1 u/cm3 = 1,41∙1027 u/cm3 = 1,41∙10271,66∙10-27 kg/cm3 = 2,34 g/cm3.
4. Discutete brevemente la differenza fra metalli e semiconduttori puri in termini dei portatori
di carica elettrica che sono presenti in queste due categorie di materiali.
Risoluzione. Nei metalli, la conduzione elettrica è affidata a cariche negative: elettroni liberi (uno o due degli elettroni
più esterni di ciascun atomo). Nei semiconduttori puri vi sono cariche libere sia negative (elettroni) che positive
(lacune) in ugual numero. Ma soltanto a temperature diverse dallo zero assoluto, grazie alla piccola frazione di atomi
che si ionizzano per effetto dell’agitazione termica, ciascuno dei quali libera un elettrone e una lacuna. 

 Stabilite se, per realizzare una fotoresistenza molto sensibile alla luce, conviene utilizzare un
semiconduttore puro oppure uno drogato.
Risoluzione. Il funzionamento di una fotoresistenza è basato sull’aumento della conducibilità elettrica di un
semiconduttore, dovuto alla presenza di portatori di carica prodotti per effetto fotoelettrico interno dalla luce incidente
sul materiale. Tale fenomeno è più facilmente avvertibile quando è basso il numero di portatori di carica presenti nel
materiale in assenza di luce. Cioè quando si tratta di un semiconduttore puro. 

 In un cristallo di silicio, a temperatura ambiente, vi sono n i = 1,45∙1010 elettroni liberi per
cm3. Calcolate la frazione di atomi di silicio che hanno perso un elettrone sapendo che in un
cristallo di silicio vi sono nSi = 5∙1025 atomi/cm3. Calcolate di quanto aumenta la
conducibilità elettrica del cristallo quando il semiconduttore viene drogato inserendovi n As =
1017 atomi di arsenico per cm3, ammettendo che ciascuno di questi atomi liberi un elettrone
e trascurando, per semplicità, il contributo delle lacune alla conducibilità. 
Risoluzione. La frazione di atomi di silicio da cui si è liberato un elettrone a temperatura ambiente è piccolissima:
ni/nSi = 1,45∙1010/5∙1025 = 2,9∙10-16. Se il cristallo di silicio è stato drogato inserendovi atomi di arsenico, e da ciascuno
di essi si è liberato un elettrone, il numero degli elettroni liberi è n n = nAs = 1017 elettroni/cm3. Ammettendo che la
conducibilità elettrica sia direttamente proporzionale al numero di elettroni liberi, l’aumento di conducibilità rispetto al
semiconduttore puro è data dal rapporto nn/ni = 1017/1,45∙1010 = 6,9∙107.

 La barriera di potenziale che si stabilisce in una giunzione p-n dipende dall’entità del
drogaggio delle due regioni della giunzione? Se sì, per quale motivo e in che modo?
(Suggerimento: esaminate la figura 6.)
Risoluzione. E’ evidente in primo luogo che la barriera di potenziale dipende dal drogaggio, anzi dal diverso drogaggio
(di tipo n e di tipo p) nelle due regioni della giunzione per il semplice motivo che in un semiconduttore omogeneo, sia
esso puro oppure drogato, non si stabilisce nessuna barriera. Esaminando la figura 6 si osserva che la barriera di
potenziale dipende dal campo elettrico che si crea nello strato di svuotamento, dove vi sono cariche fisse di segno
opposto. Si capisce allora che a un drogaggio più forte corrisponde un maggior numero di atomi di impurità, quindi un
maggior numero di queste cariche e conseguentemente un campo più intenso e una barriera di potenziale più alta.

17
 Stabilite le differenze fra la conducibilità elettrica di un semiconduttore puro e di un
semiconduttore drogato quando entrambi si trovano alla temperatura dello zero assoluto. 
Risoluzione. Non vi è alcuna differenza, perchè entrambi i semiconduttori alla temperatura dello zero assoluto si
comportano come isolanti. In entrambi i casi, infatti, la generazione dei portatori di carica, elettroni liberi e lacune,
richiede energia (maggiore in un semiconduttore puro che in uno drogato), in assenza di altri fenomeni energia termica
che alla temperatura dello zero assoluto non è disponibile.
9. Calcolate l’intensità della corrente che scorre in un diodo al silicio con I0 = 10-9 A, quando
ad esso è applicata una tensione di 700 mV in polarizzazione diretta.
Risoluzione. Il problema non può essere risolto se non si conosce la temperatura T a cui si trova il diodo, come risulta
dalla formula (1). Assumendo che il diodo si trovi a temperatura ambiente, cioè sia T = 300 K, l’intensità I della
corrente corrispondente alla tensione V = 700 mV, ricordando che nei diodi al silicio η = 2, è:


 1, 6 1019  0, 7  
 eV  
9
9
4
I  I 0  exp 

1

10
exp


  1  10  exp 13,5  1  7, 49 10 A  0, 749 mA. 
 
23

kT
2

1,38

10

300

 

 


10.
Calcolate la differenza di potenziale che si stabilisce ai capi di un diodo al silicio con I 0 =
2∙10-9 A, quando esso si trova alla temperatura T = 300 K ed è percorso da una corrente di
intensità I = 5 mA.
Risoluzione. La tensione richiesta si ricava come segue dalla formula (1), ricordando che nei diodi al silicio η = 2:
 kT  I  I 0  2 1,38 1023  300  0, 005  2 109 
6
V
ln 
ln 

  0, 0518ln 2,5 10  0, 763 V 
19
9
e
I
1,
6

10
2

10


 0 


11. Calcolate approssimativamente la tensione VL ai capi della lampadina nel circuito di figura
7a sapendo che essa assorbe 2 W quando la tensione della pila è VP = 4,5 volt e i parametri
del diodo, che si trova a temperatura ambiente (T = 300 K), sono: I0 = 10-11 A, η = 2.
Risoluzione. La tensione VL ai capi della lampadina è data dalla differenza fra la tensione V P della pila e la tensione V
ai capi del diodo. Non possiamo ricavarla esattamente perché non conosciamo la corrente che attraversa il circuito e
quindi non possiamo calcolare la tensione V. Possiamo però ragionevolmente supporre che essa sia dell’ordine di 1
volt. In tal caso si avrebbe VL = VP – V = 4,5 – 1 = 3,5 volt e allora conoscendo la potenza P = 3 W dissipata nella
lampadina, possiamo ricavare la seguente stima della corrente: I = P/V = 2/3,5 = 0,571 A. Da questo, utilizzando la
23
8


formula (1): otteniamo: V   kT ln  I  I 0   2 1,38 10  300 ln  0,571  10   0, 0518ln 5, 71107  0,925 V
e
1, 6 1019
108


 I0 
E quindi la tensione della lampadina è: VL = VP – V = 4,5 – 0,925 = 3,58 volt. Si potrebbe migliorare l’approssimazione
ricalcolando la corrente nel circuito (I = 2/3,58 = 0,559 A) e la tensione del diodo, ottenendo così V = 0,924 volt: un
valore pochissimo diverso dal precedente, grazie alla dipendenza logaritmica, assai debole, della tensione del diodo
dalla corrente che lo attraversa.


12. Calcolate la tensione agli estremi dei due diodi in figura, supponendo
che si tratti di due diodi al germanio, con corrente inversa I0 = 1 A.
Risoluzione. I due diodi, essendo disposti in serie, sono percorsi dalla stessa corrente, di
intensità circa pari alla corrente inversa I 0 del diodo B, che è polarizzato inversamente. In
prima approssimazione possiamo dire che tutta la tensione della pila cade ai capi del diodo
B perché la tensione necessaria al diodo A, che è polarizzato direttamente, per condurre la
debolissima
corrente
I0,
è
certamente
assai
piccola
rispetto
all’altra.
Si
ha
infatti:
23
6
6
 kT  I  I 0  1,38 10  300  10  10 
V
ln 
ln 

  0, 0259ln  0   25,9 mV . E quindi la tensione del diodo A
6
e
1, 6 1019
 10

 I0 
è 10 – 0,0259 = 9,97 V.
13. Disegnate nel riquadro in basso la forma dell’onda della corrente i(t)
che attraversa il circuito in figura, quando al suo ingresso viene
applicata una tensione alternata sinusoidale, considerando il diodo
come un conduttore unidirezionale ideale (con resistenza nulla quando
è polarizzato direttamente, infinita per polarizzazione inversa). Nelle
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stesse ipotesi calcolate il valor massimo della corrente
quando la tensione applicata ha valore efficace di 6 volt e R
= 1000 ohm.
i(t)
Risoluzione. Nel circuito scorre corrente soltanto quando la tensione d’ingresso
v(t) è positiva, in tal caso con intensità i(t) = v(t)/R. Sicchè la forma d’onda della
corrente è la stessa della tensione per v(t)>0 ed è nulla altrimenti. Al valore
efficace di 6 volt corrisponde il valor massimo di 6√2 = 8,48 e quindi si ha: imax
= 8,48/1000 = 8,48 mA.
t
14. Individuate, fra quelli in tabella 1, un materiale adatto a
realizzare una cella fotovoltaica per la radiazione infrarossa e uno per una cella sensibile alla
radiazione ultravioletta ( ≈ 200 nm) ma non al visibile, calcolando per ciascuno di essi la
lunghezza d’onda massima per cui si effetto fotoelettrico.
Risoluzione. Una cella fotovoltaica per l’infrarosso richiede una materiale con piccolo valore dell’ampiezza della banda
proibita; si sceglie pertanto l’antimoniuro di indio (InSb) , con E BP = 0,17 eV. Dalla formula (2) ricaviamo la lunghezza
d’onda minima corrispondente: max = hc/EBP = 6,63∙10-343∙108/(0,17∙1,6∙10-19) = 7,31∙10-6 m = 7,31 m. Un materiale
sensibile alla radiazione ultravioletta, con lunghezza d’onda  = 200 nm, dovrà avere, sempre in base alla formula (2)
EBP = hc/= 6,63∙10-343∙108/(1,6∙10-19200∙10-9) = 6,22 eV. Scegliendo il diamante, la lunghezza d’onda massima per
l’effetto fotoelettrico è: max = (6,22/5,5)200 nm = 226 nm.
15. Spiegate brevemente perché la corrente che scorre nel collettore di un transistore NPN,
polarizzato come in figura 10a, è appena poco inferiore a quella che scorre nell’emettitore.
Calcolate la corrente che scorre nell’emettitore quando la corrente di collettore è I C = 1 mA
e  = 200.
Risoluzione. La corrente che scorre nell’emettitore è costituita prevalentemente di elettroni. Solo una piccola frazione di
questi, raggiunta la regione di base, si ricombina con le lacune ivi presenti, sicchè la maggior parte di essi può
raggiungere il collettore, che si trova a un potenziale positivo, scorrendo poi nel circuito esterno. Dalla formula (3)
ricaviamo l’intensità della corrente di base quando IC = 1 mA: IB = IC/ = 1/200 mA = 0,005 mA. Dato che la corrente
nell’emettitore è la somma di quelle che scorrono nella base e nel collettore ( fig. 9), si ha: IE = IB + IC = (1 + 0,005)
mA = 1,005 mA.
16. Un transistore a giunzione con guadagno  = 100 è
polarizzato come in figura 10a, ma con un resistore di
resistenza R = 2000 ohm disposto in serie al collettore.
Tracciate nel riquadro a fianco il grafico che rappresenta la
potenza dissipata nel resistore quando la corrente che scorre
nella base del transistore viene fatta variare fra 1 e 10 A.
P
Risoluzione. Applicando la formula (3) si conclude che quando la corrente di base
IB varia fra 1 e 10 A, la corrente di collettore, IC = IB, varia
corrispondentemente fra 0,1 e 1 mA. Ricordando che la potenza P dissipata in un
IB
resistore di resistenza R attraversato da una corrente di intensità I è: P = I 2R, la
potenza dissipata nel resistore da 2000 ohm si può esprimere in funzione della corrente di base nella forma: P(I B) =
2IB2R = 10024∙103IB2 = 4∙107IB2, presentando quindi una dipendenza parabolica da IB. Tale potenza varia pertanto fra
4107(10-6)2 = 4∙10-5 W = 0,04 mW e 4107(10-5)2 = 4∙10-3 W = 4 mW.
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