www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 02 Febbraio 2013 Il Don Giovanni del grande salisburghese è andato in scena nel Teatro della Fortuna ma... Mozart è rimasto dietro le quinte analisi di Giosetta Guerra FANO (20 gennaio 2013) - Oggigiorno il teatro d’opera è diventato più una sala d’esposizione per registi e scenografi che un luogo dove ascoltare buona musica e bravi cantanti. Nella nuova produzione del Don Giovanni di Mozart, che ha aperto la stagione lirica al Teatro della Fortuna di Fano, l’aspetto visivo è prevalso su quello uditivo. E stiamo parlando di Mozart che si potrebbe ascoltare ad occhi chiusi, stiamo parlando di Don Giovanni che ha già la descrizione di tutto nelle note; quindi gli elementi di base, irrinunciabili, sono un cast adeguato ed esperto del canto mozartiano e un direttore che porti l’orchestra a realizzare la tinta mozartiana, poi ben venga anche il bell’allestimento per fare spettacolo. Al Teatro della Fortuna il lavoro accurato di regia, scenografia e luci ha prodotto uno spettacolo bello da vedere. Il regista Francesco Esposito (il cui nome non è scritto sulla locandina del libretto di sala) si è affidato alla simbologia, lasciando intuire a chi già li conosceva ambienti e luoghi, che potevano però essere poco chiari per i neofiti. Buona la scelta dei simboli: lo specchio mal riflettente per la vanità e per il compiacimento di sé (sentimenti che non danno la giusta immagine della vita), la rosa per l’amore che però ha anche le spine (Don Giovanni la dona a tutti, ma poi la sfoglia e fa cadere i petali addosso alle persone), la maschera per nascondere se stessi ma anche per superare le proprie insicurezze (tutti indossano una maschera di varie fogge e dimensioni), il palcoscenico in pendenza per la precarietà degli equilibri. Questa sorta di medaglione a specchio con l’effige del protagonista è sempre presente in scena, appoggiato o sospeso, e risolve in modo molto originale la fine di Don Giovanni, piegandosi a mo’ di coperchio sopra la botola in cui il dissoluto è sprofondato tra il fumo che invade la sala. Azzeccatissima l’apparizione della statua ossidata dal tempo che, accompagnata da una processione di uccelli rapaci, arriva a cena sbucando dalla botola e tirando su verso l’alto la tovaglia bianca che fa da basamento. Inquietanti le maschere beccute che restano dietro anche nel canto liberatorio dei sopravvissuti (Don Giovanni non è morto se non materialmente), distribuiti sulla passerella davanti ad una sala affumicata. Poi tutti in palcoscenico per gli applausi, anche gli orchestrali, tutti senza maschera, avvolti da una luce dorata, mentre dall’alto scende una rosa d’oro. Il palcoscenico si amplia su una passerella intorno all’orchestra, la platea viene usata anche per l’ingresso di Don Giovanni e delle maschere, i palchetti di barcaccia sono adibiti a balconi. Le scene sono di grande effetto, grazie alle luci, al variegato posizionamento di lampioni a forma di maschera, alla presenza inquietante di figuranti con maschera bianca dal naso adunco, che al momento della morte del Don apparivano come avvoltoi, all’esternazione dei pruriti delle donne, che mostrano spesso le loro grazie e ci stanno un po’ con tutti, c’è anche una sveltina tra Don Giovanni e Zerlina durante la festa in maschera; un lavoro accurato frutto di una riflessione artistico/filosofica del regista, tuttavia la scena fissa, anche se variata nei particolari, e troppe cose e presenze da seguire e da capire, hanno impegnato eccessivamente le nostre meningi, distogliendole dalla parte musicale. Per alcune scelte comunque ci siamo posti degli interrogativi. Perché la stanza di Donna Anna è in piena luce se lo “stupro” avviene al buio, tanto che lei confonde Don Giovanni con Don Ottavio? Perché non usare il grande medaglione per la visualizzazione della «marmorea testa che fa così così» nella scena del cimitero? (Il colloquio col profilo del commendatore su una piccola cornice rotonda è poco credibile e quasi incomprensibile, bella invece l’idea di far accettare l’invito con una mano che sbuca dal basso porgendo una rosa). Perché vestire di bianco tutte e tre le donne (solo Donna Anna indossa anche un abito nero) se sono di tipologie diverse? Perché la scena di seduzione Don Giovanni/Zerlina che dovevano essere soli (Là ci darem la mano ) si svolge tra dame e cavalieri? Perché per lo scambio di identità Don Giovanni e Leporello indossano lo stesso mantello? Perché ridurre la cena del Don a un mordi e fuggi su uno scalino della pedana sulla quale danzano dei personaggi in nero? I costumi sono bianchi e uguali per le tre donne, Anna poi lo cambia con un sontuoso abito nero, rosso bordò e poi rosso vivo per Don Giovanni, nero per Leporello e Ottavio, neri o beige per le masse, mantelli bordò cangiante per le maschere, cosce all’aria e mutandoni per le donne, dorso nudo per i figuranti. C’era di tutto e di più. Regia e costumi di Francesco Esposito, scene di Mauro Tinti, sculture di Franco Armieri, luci di Fabio Rossi, coreografie di Domenico Iannone. Sul piano musicale e su quello vocale la tinta mozartiana è risultata piuttosto carente. L’atmosfera intrigante e inquietante non si è sentita subito in orchestra che ha iniziato con una certa flemma: sbrigativa l’Ouverture (che riassume l’ambiguità della partitura mozartiana) e piuttosto noiosa la prima parte fino all’ingresso delle maschere, momento in cui l’orchestra ha cominciato a carburare, entrando un po’ più nel linguaggio mozartiano. Forse sarebbe stato il caso di dedicare più tempo alle prove musicali dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Roberto Parmeggiani, risparmiando magari sull’aspetto esteriore, che qui comincia dal foyer; bello certamente, ma se i soldi sono pochi si dovrebbero privilegiare la musica e il canto. I cantanti, giovani e ben preparati, hanno eseguito con cura il loro compito più o meno sostenuti dalle loro peculiarità vocali. Il più navigato era il basso marchigiano Andrea Concetti nel ruolo protagonista di Don Giovanni . Pur non essendo in perfetto stato di salute, ha mantenuto lo smalto vocale e la verve scenica che conosciamo, voce ben timbrata, di notevole spessore, emissione morbida, padronanza del palcoscenico. Il fraseggio era un po’ approssimativo, nonostante il buon peso vocale, nell’aria “Fin ch’han del vino ”, disturbata dal rumore delle coppie che ballavano e si rotolavano dietro. Giovanni Guagliardo (Leporello) ha esibito un bel timbro di baritono, tecnicamente canta bene anche se la zona acuta è un po’ rozza, nell’aria del catalogo, durante la quale scendevano dall’alto medaglioni con profili di donna, sostiene i suoni e si destreggia bene nel canto sillabato, ma non dà giocosità all’accento, che è invece un po’ sguaiato, il fraseggio è superficiale. Il basso poco profondo Christian Faravelli non è adatto per il ruolo del Commendatore. Di grande presa il terzetto iniziale Giovanni Leporello Commendatore, un po’ meno quello del cimitero. Il mezzosoprano Agata Bienkowska non ha il temperamento di Donna Elvira, è debole, a volte noiosa e pigolante e cerca di tenersi su con la fiaschetta del whisky (scelta registica), è flemmatica nell’aria “Mi tradì quell’alma ingrata ”, la voce esce a tratti pompata, con suoni corti fastidiosi e un canto monocorde, eppure ha un buon corpo vocale, ma gonfia i suoni nella zona grave. Pablo Karaman (Don Ottavio ) è un tenore flebile, tecnicamente ha cantato bene “Dalla sua pace” toccando adeguatamente tutti i registri, usando la messa di voce e la mezza voce, e “Il mio tesoro intanto ” (anche se con vocalizzi precari), ma manca proprio della materia prima, non ha corpo vocale. Il duetto iniziale con Donna Anna (che emette qualche strilletto) è molto fiacco. Laura Giordano (Donna Anna) ha un bel timbro sopranile, il suono è pulito e gradevole nelle smorzature, ma non nelle puntature acute. Ha cantato molto bene la richiesta di vendetta, con l’espressività e le dinamiche necessarie, purtroppo la voce è troppo acuminata. Ha eseguito con cura il soavissimo rondò “Non mi dir, b ell’idol mio ” con lunghi filati, ma la voce è poco duttile anche se luminosa ed acuta. La voce del soprano Carolina Lippo (Zerlina) è generalmente stridula, ma nella scena di seduzione/perdono con Masetto (Batti b atti b el Masetto ) è più aggraziata, ben modulata (c’è anche un bel filato) ed è sostenuta dalla complicità dell’orchestra. La Giordano e la Lippo (Anna e Zerlina) sono vocalmente simili, la voce è leggera e puntuta e manca di morbidezza. Giacomo Medici è un Masetto moscio e con poca voce. Buono il Coro del Teatro della Fortuna M. Agostini diretto da Lorenzo Bizzarri. Crediti fotografici: Foto Amati Bacciardi per il Teatro della Fortuna Nella miniatura in alto: Andrea Concetti nel ruolo eponimo Al centro: immagine d'assieme del Don Giovanni concepito dal regista Esposito Nella fotosequenza: suggestive immagini di scena