Principi del giusto processo e applicabilità della legge Pinto nei

ANTONIO FELICE URICCHIO
PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO E APPLICABILITÀ DELLA
LEGGE PINTO NEI GIUDIZI TRIBUTARI*
SOMMARIO: 1. I principi del giusto processo tra modifiche costituzionali e impegni
internazionali. - 2. Estensione applicativa dei principi del giusto processo al processo
tributario. – 3. Il principio della durata ragionevole e i giudizi tributari tra orientamenti giurisprudenziali ed equivoci interpretativi.
1. I principi del giusto processo tra modifiche costituzionali e impegni
internazionali. Nell’esperienza giuridica, l’espressione giusto processo
designa il complesso delle garanzie processuali offerte alle parti nel
bilanciamento tra l’interesse superiore della giustizia e gli interessi di
cui i soggetti coinvolti nel processo sono portatori. Nel tentativo di dare
una contenuto a tale formula, dottrina e giurisprudenza costituzionale
sono giunte a conclusioni non sempre univoche, oscillando tra impostazioni che potremmo definire naturalistiche, le quali privilegiano la
configurazione del giusto processo come una sorta di diritto naturale
preesistente rispetto alla legge e direttamente collegato ai diritti inviolabili di tutti i soggetti coinvolti nel processo1 e impostazioni positivi*Relazione, integrata con le note, presentata al convegno celebrativo dei 150 anni di unificazione nazionale, promosso dall’associazione magistrati tributari, tenuto a Torino il 15 ottobre
2011.
1
Cfr. CONTI, Giusto processo [dir. proc. pen], voce dell’Enc. dir. (Agg.), V, Milano, 2001,
629; ID. Giusto processo [proc. pen], in Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, III,
Milano, 2006, 2816; MARZADURI, La riforma dell‟art. 111, Cost. tra spinte contingenti e
ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Legisl. pen., 2000, 758.
1
stiche che riconducono le singole garanzie in essa inscrivibili ad un
espresso riconoscimento normativo2.
Pur nella varietà degli orientamenti manifestati, essa sembra atteggiarsi come formula di sintesi dell’insieme dei valori e delle garanzie
volte a rendere concreto l’esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio all’interno del processo3. In questa prospettiva, la nozione di
giusto processo, pur se fondata su principi di natura costituzionale,
appare “aperta” in quanto suscettibile di essere definita attraverso
disposizioni positive sia internazionali che interne che, di volta in
volta, possono ampliare o rafforzare le singole garanzie che ne costituiscono il contenuto4.
Non potendo per i limiti del presente intervento, richiamare origini
normative e percorsi della giurisprudenziali, è utile in questa sede
sottolineare che la legge cost. n. 2 del 1999, nel modificare l’art. 111
2
FERRUA, Il “giusto processo”, Bologna, 2005. Per una compiuta illustrazione dei diversi
orientamenti della dottrina tra impostazioni naturalistiche e positivistiche, si veda F. PERCHINUNNO, Fondamento del giusto processo: dalle origini all‟attuazione, Bari, 2005.
3
COMOGLIO, La garanzia costituzionale ed il processo civile, Padova, 1970, 155, secondo cui
il complesso dei principi enunciati negli artt. 3, 24, 25, 1° comma, 101-104, 107-108, 111, 113
Cost. consente “di delineare uno schema fondamentale di giusto processo, articolato principalmente nei seguenti elementi: 1) eguaglianza e contraddittorio delle parti dinanzi al giudice; 2)
precostituzione per legge del giudice naturale; 3) soggezione del giudice soltanto alla legge; 4)
divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali; 5) indipendenza ed imparzialità degli
organi giurisdizionali”..
4
Come evidenziato nella relazione Pera al disegno di legge costituzionale di riforma dell’art.
111 della Costituzione - atto Senato 3619, e ss. (cfr anche PERA, Giusto processo una questione
di cultura, in Giustizia italiana, III Conferenza nazionale dell’avvocatura, Riva del Garda 29
giugno, 2 luglio 2000,10 e ss.), la norma sul giusto processo costituisce una norma principio a
tessitura aperta nel senso che non sia esauribile attraverso una elencazione tassativa e esaustiva
di garanzie. In questo senso, anche CECCHETTI, Giusto processo (dir. cost.), voce dell’Enc. dir.
(Agg.), V, Milano, 2001, 595, ss., spec. 607. Dello stesso Autore, cfr., inoltre, Il principio del “
giusto processo” nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali,
in Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di TONINI,
Padova, 2001, 49 ss.
2
della Costituzione, ha dato una base costituzionale al principio del
giusto processo, disponendo, al primo comma, che “la giurisdizione si
attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Il secondo
comma dispone, inoltre, che ogni processo si svolge nel contraddittorio
tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale, oltre che nel rispetto del principio della ragionevole durata. La
norma assume, pertanto, il principio del giusto processo come modalità
attuativa esclusiva della funzione giurisdizionale, pur nel rispetto della
riserva di legge ivi prevista ed in armonia con il disposto dell’art. 101,
Cost. che sancisce la soggezione dei giudici soltanto alla legge.
Nelle fonti internazionali, il modello di “giusto processo” trova, invece,
il proprio fondamento negli artt. 10 e 11 della dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle nazioni unite il
10 dicembre 1948 e dagli artt. 5, 6 e 13 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(Cedu) sottoscritta a Roma il 4 dicembre 1950, ratificata con legge
nazionale del 4 agosto 1955 n. 848,e dagli artt. 1-8 della Convenzione
interamericana sui diritti umani adottata in S. Josè d Costarica il 22
novembre 19695.
5
Sull’attuazione dei principi del giusto processo nella disciplina della convenzione europea dei
diritti dell’uomo e nelle fonti internazionali, cfr. ESPOSITO, L‟applicazione pratica dei principi
della Convenzione Europea dei diritti dell‟uomo nel processo penale italiano, relazione svolta
all’Associazione giuristi italo-tedesca, Salerno, 1992, in Arch. pen., 4, 513 e 538; Occorre,
tuttavia, evidenziare che nelle fonti normative internazionali richiamate ricorre l’espressione
“processo equo” da taluni considerata in qualche modo corrispondente a quella di giusto
processo contenuta nell’art. 111 della Cost. (così FOIS, Il modello costituzionale del “giusto
processo” in Rass. parl., 2000, 569), da altri, ritenuta in qualche modo difforme (cfr. PERCHINUNNO, Fondamento del giusto processo: dalle origini all‟attuaz., cit., 124, il quale
3
Tra le disposizioni richiamate, maggiore rilevanza assume certamente
l'articolo 6 della CEDU (rubricato Diritto ad un processo equo), in
forza del quale ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata
imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di
un tribunale indipendente ed imparziale6. Il richiamo alle disposizioni
della convenzione da parte del Trattato dell’Unione europea (attualmente Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1 dicembre 2009) conferisce natura di norma comunitaria al principio del giusto processo.
Completa il quadro normativo la legge Pinto (24 marzo 2001, n. 89)
che, all’art.2, dispone che “chi ha subito un danno patrimoniale o non
patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai
sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato
rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della
Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione Nell'accertare la
violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione
alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento,
sottolinea la “evidente innovatività” della norma costituzionale sia con riferimento al diritto
all’informazione dell’accusato nel più breve tempo possibile, sia alla facoltà concessa
all’imputato, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni a suo carico).
6
Cfr. CAFAGNA, L’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo e la circolazione delle
decisioni, in La convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto internazionale privato, a
cura di CARELLA, Torino, 2009, 17, secondo cui “l’art. 6 della Cedu determina, a carico degli
Stati contraenti, l’obbligo positivo di rendere effettivo all’interno del proprio ordinamento il
diritto di ogni persona ad ottenere un processo “equo”; sicché la disposizione in parola trova
comunemente applicazione quando, nonostante il rispetto della normativa nazionale, non sia
stato possibile assicurare alle parti di un giudizio (civile come penale) una tutela dei propri
diritti alla difesa adeguata a quella minima richiesta a livello convenzionale”.
4
nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione”7.
2. Estensione applicativa dei principi del giusto processo al processo tributario. Come evidenziato, il giusto processo, in quanto modo
di essere della funzione giurisdizionale, non incontra limiti in relazione
ai diversi ambiti in cui essa viene esercitata8 con la conseguenza che i
principi di cui all’art. 111, Cost., si rendono applicabili e operanti per
qualunque tipo di processo, compreso evidentemente il processo
tributario9.
7
Con riguardo al rapporto tra legge Pinto e processo tributario, cfr. BOLETTO, Brevi riflessioni
in ordine all‟applicabilità della legge Pinto al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2002, II;
DEL FEDERICO, Il giusto processo tributario tra l‟art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell‟uomo e art. 111 della Costituzione, in Giur. trib., 2005, 155; DORIGO, Il diritto alla
ragionevole durata del processo tributario nella giurisprudenza più recente della Corte
europea dei diritti dell‟uomo, in Rass. trib., 2003, 42; MICELI, Giusto processo tributario: un
nuovo passo indietro della giurisprudenza di legittimità, in Riv. dir. trib., 2004, II, 774, per la
quale “il principio della ragionevole durata, nuovo nell’esperienza interna, ha richiesto una
legge ad hoc, in quanto la norma costituzionale non si prestava ad una diretta applicazione. La
legge Pinto, sulla scia della riforma dell’art. 111 Cost ha così attuato la disciplina della
ragionevole durata del processo nell’ordinamento interno, operando un rinvio per presupposizione alla Cedu in ordine al contenuto del principio in esame”. Si veda inoltre PODDIGHE,
Giusto processo e processo tributario, Milano, 2010, 22 per il quale “l’art. 111 è destinato ad
incidere sul sistema processuale nel suo complesso e, di conseguenza, sul processo tributario”,
costringendo l’interprete “ a ripensare ai rapporti tra i differenti processi di cognizione (civile,
amministrativo e tributario)”.
8
La dottrina, in modo pressoché unanime, ritiene che l’inserimento nella Carta Costituzionale
dei principi del giusto processo estenda i propri effetti a tutti i tipi di giurisdizione.
9
Con riguardo al processo tributario, la dottrina ammette pacificamente l’applicabilità dell’art.
111 Costituzione novellato. In questo senso, si veda, per tutti, DI PIETRO, Giusto processo, in
Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, III, Milano 2006, 2809, secondo cui “il
processo tributario (…) ha dovuto e tuttora deve misurarsi con l’art. 111, Cost. che, con la
formula sintetica del giusto processo, valorizza alcuni caratteri qualificanti l’attività giurisdizionale Da una parte, il contraddittorio, la parità delle parti, la terzietà del giudice hanno
assunto, grazie alla nuova formulazione dell’art. 111 Cost., un rilievo costituzionale proprio.
Non devono più ricorrere al diritto alla difesa, alla funzione giustiziale nella ripartizione dei
5
Nell’individuare le garanzie iscrivibili nella formula del giusto processo, la norma, nei primi due commi, estende, quindi, ad ogni tipo di
processo la garanzia del contraddittorio, il principio della parità delle
armi, quello della terzietà e dell’imparzialità del giudice tributario,
della ragionevole durata del processo. Nei commi successivi sono,
invece, previste garanzie specifiche per il processo penale10, con
particolare riferimento al principio del contraddittorio ai fini della
formazione della prova, mentre rivestono carattere generale la previsione dell’obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali e quella avente ad oggetto la impugnabilità delle sentenze oltre
che dei provvedimenti in materia di libertà personale dinanzi alla
poteri ed all’eguaglianza per assumere un fondamento costituzionale. Dall’altra, la durata
ragionevole del processo che, una volta affermata a livello costituzionale, può finalmente
rendersi autonoma, rispetto all’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’Uomo e delle Libertà
fondamentali. Tutti questi caratteri contribuiscono, attualmente, a definire un modello costituzionale processuale unico, come espressione di funzione giurisdizionale senza distinguere i
diversi processi, compreso quello tributario”. In questo senso anche si veda ancora RUSSO, Il
giusto processo tributario, in Rass. trib., 2004, 11, per il quale “non possono sussistere dubbi
sull’applicabilità dell’art. 111 anche al processo tributario, senza che sia possibile in alcun
modo, al fine di preservarne le singole norme che lo disciplinano da censure di illegittimità
costituzionale con riferimento ad esso per invocarne la specificità di tale processo per tenere
conto delle peculiarità proprie della materia costituente il substrato oggettivo delle relative
controversie”. Con la legge costituzionale n. 2/1999, esso è divenuto un modello di riferimento
di diritto positivo interno, essendo posto, come detto, quale modalità attuativa, esclusiva, della
giurisdizione”. Osserva, inoltre, MANZON, Processo tributario e Costituzione. Riflessioni circa
l‟incidenza della novella dell‟art. 111, Cost., sul diritto processuale tributario, in Riv. dir. trib.,
2001, I, 1113, il quale avverte che, dopo la riforma costituzionale dell’art. 111, “il giusto
processo non è più soltanto un modello di riferimento di diritto straniero, una norma di diritto
internazionale pattizio, di malsicuro recepimento nell’ordinamento interno, una costruzione
teorica ovvero un auspicio giudiziale.
10
Si veda A. GARCEA, La giurisdizione delle Commissioni tributarie ed i principi del «giusto
processo», in Riv. Dir. Trib. 2001, 478, il quale avverte che “nei commi 3°, 4° e 5°, ciò che il
legislatore ha disciplinato è il principio del contraddittorio nella formazione della prova. La
prova, cioè, si deve acquisire di fronte al giudice penale con la garanzia della dialettica
processuale tra le parti, non essendovi spazio alcuno per la precostituzione di elementi di prova
in fase istruttoria”. Più in generale, su tale problematica, GIOSTRA, Contraddittorio (principio
del) (dir. proc. pen.), voce dell’Enc. giur. Treccani Agg., X, Roma, 2001.
6
Suprema Corte di Cassazione11.
La lettera della norma e la ratio che la informa inducono a fugare ogni
dubbio sull’applicabilità delle regole del giusto processo al processo
tributario12. Resta, tuttavia, da verificare se la nuova formulazione
dell’art. 111 della Costituzione si limiti ad una mera enunciazione, sia
pur in una forma più solenne, di principi già previsti nella Convenzione
europea dei diritti dell’uomo o dalla dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo) oppure se abbia un contenuto innovativo rispetto al testo
normativo precedente13. In quest’ultimo caso, si rende evidentemente
11
Tra i numerosi interventi della dottrina, si segnala TESAURO, Giusto processo e processo
tributario, in Rass. trib., 2006, 11 ss. il quale, dopo aver sottolineato che “i primi due commi
dell’art. 111 valgono per ogni tipo di processo”, osserva che “l’occasione storica da cui è nata
la riforma dell’art. 111 è legata a questioni di acquisizione della prova nel processo penale, ma
l’art. 111 interessa in modo particolare il processo tributario, in quanto processo «minore» che
stenta a raggiungere lo standard degli altri processi”.
12
In questo senso, GALLO, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, 11, il
quale, nell’ammettere l’applicabilità dei principi di cui all’art. 111, Cost al processo tributario,
trae argomenti dalla formulazione letterale del secondo comma della norma nella parte in cui fa
riferimento “ad ogni processo” avente carattere giurisdizionale. Osserva ancora l’A. che “da
tale norma il legislatore tributario e la Corte Costituzionale potrebbero trarre, anzi, la spinta per
liberare il procedimento tributario dalle secche della “giurisdizione minore” cui la sua origine
amministrativa l’ha relegato e per completarne il processo di adeguamento ai principi del
contraddittorio, della parità delle parti, della imparzialità e terzietà (e indipendenza) del
giudice, oltre alla ragionevole durata”. Così anche MARONGIU, Le Commissioni tributarie e il
giusto processo, in Giusto processo tributario e professionalità del giudice, a cura di FORTUNA,
Padova, 2006, 52 ss., spec. 66, secondo cui “la lettera dei primi due commi dell’art. 111 non
lascia adito a dubbi circa il campo di applicazione del giusto processo: a questo <metodo> deve
necessariamente conformarsi ogni ipotesi di esercizio della funzione giurisdizionale e dunque
ogni tipo di processo nel quale tale funzione è destinata ad esplicarsi (civile, penale, amministrativo, contabile, tributario)” Cfr. anche MARCHESELLI, Il giusto processo tributario in Italia.
Il tramonto dell‟interesse fiscale?, in Dir. prat. trib., 2002, I, 793; DE MITA, La durata
ragionevole del processo tra norme interne e norme convenzionali, in Corr. trib., 2002, 1443.
13
Sulla questione del rapporto tra la nuova formulazione dell’art. 111 e la norma precedente,
cfr. MARONGIU, Le Commissioni tributarie e il giusto processo, in Giusto processo tributario e
professionalità del giudice, cit., 52 ss., spec. 65, secondo cui “è difficile negare che almeno una
gran parte dei contenuti normativi del nuovo art. 111 costituisca nient’altro che la formale
esplicitazione nel testo della Costituzione di norme già considerate, in modo pressoché
incontestato, di livello costituzionale, perché immediatamente connesse a disposizioni presenti
nella Carta del 1948. Così sembra doversi ritenere per le norme generali dei primi due commi
7
necessario chiedersi se l’attuale disciplina della giustizia tributaria, sia
nella parte relativa agli assetti ordinamentali, sia in quella relativa al
rito, possa ritenersi conforme alle prescrizioni in materia di giusto
processo contenuto nell’art. 111, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999.
Sul punto, non può negarsi che l’art. 111 novellato, pur riprendendo
principi già espressi a livello costituzionale (si pensi alla garanzia
costituzionale del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio - art.
24 - a quelle relativa all’indipendenza e terzietà del giudice - arg. ex
artt. 101 e 104, ss.) o comunque affermati dalla Corte Costituzionale
presenti un contenuto innovativo il quale si manifesta attraverso
(tanto per il principio del giusto processo regolato dalla legge, quanto per ciascuno dei caratteri
essenziali che lo definiscono), dai quali non si ricava alcun contenuto sostanziale che non
avesse già trovato emersione nelle ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale precedenti
l’entrata in vigore della riforma”. Pur muovendo da tali premesse, l’Autore osserva che non è
affatto da escludere che nella formulazione dei primi due commi dell’art. 111 della Costituzione possa e debba essere riconosciuto un ulteriore elemento di rafforzamento di quel principio di
<unicità della giurisdizione> che alcuni autori ritengono vigente nell’ordinamento costituzionale, se non altro perché tutti i tipi di processo vengono accomunati dal loro necessario svolgimento secondo il canone oggettivo del giusto processo, anche se ciò non implica per il
legislatore l’impossibilità di configurare diverse tipologie di giudici e diverse forme concrete di
tutela giurisdizionale”. Sul punto si veda anche, RUSSO, Il giusto processo tributario, cit., 12, il
quale, dopo avere ricordato il tentativo di una parte della dottrina volto a sminuire la portata
della riforma costituzionale, “sul presupposto che essa si sarebbe limitata ad esplicitare principi
già immanenti nell’ordinamento costituzionale repubblicano”, osserva che “a tale opinione, è
dato opporre … che il valore innovativo della disposizione medesima non consiste semplicemente nell’aver dato voce e, quindi, maggior spessore e forza, a regole già desumibili in via
implicita dalla trama delle norme costituzionali in materia di giurisdizione, ma nell’aver
delineato per alcuni versi un modello al quale deve uniformarsi qualsiasi processo, qualunque
sia il giudice, ordinario o speciale, davanti al quale esso si svolge ed a prescindere dalla
peculiarità della tipologia di controversie che ne costituiscono l’oggetto con conseguenti riflessi
sulla disciplina specifica cui vi si attaglia”. Si veda anche GREGGI, Giusto processo e diritto
tributario europeo: applicazioni e limiti del principio (il caso Ferrazzini) in Riv. dir. trib.,
2002, I, 529, ss., spec. 563, il quale, con riguardo al rapporto tra fonti internazionali e interne,
ritiene che si possa parlare “di assorbimento costituzionale del principio del giusto processo,
8
l’affermazione di un modello di attuazione della funzione giurisdizionale comune ai diversi tipi di processo nell’ambito del quale alcune
garanzie già previste vengono potenziate e rafforzate mentre altre, che
non trovano riscontro nel precedente testo costituzionale, sono introdotte ex novo. Tra questi il principio della durata ragionevole del processo
che non compariva nel precedente testo costituzionale, previsto,
invece, dall’art. 6 CEDU per i diritti e i doveri di carattere civile.
In considerazione dell’ampiezza del suo contenuto, l’art. 111, Cost non
può essere, quindi, considerato una mera specificazione del diritto di
difesa garantito dall’art. 24 Cost. apparendo del tutto autonomo rispetto ad altre norme costituzionali. Sembra, inoltre, che i principi del
giusto processo, proprio perché garanzia di sistema riferita a qualsiasi
modello di giurisdizione esistente nel nostro ordinamento, non possano
subire compressioni o deroghe nemmeno in forza di altri principi
costituzionali che pure informano il prelievo e, quindi, non possano
essere sacrificati all’interesse fiscale, inteso come fondamentale interesse dell’Amministrazione finanziaria, statale o locale, alla percezione
dei tributi14.
Tali principi devono quindi trovare piena applicazione
così come la più risalente giurisprudenza di legittimità si riferiva alla Convenzione europea,
ritenendola assorbita nei diritti sanciti e tutelati dalla Costituzione”.
14
Osserva al riguardo TESAURO, Giusto processo e processo tributario, cit., 19 che “la tutela
dell’interesse fiscale, però, non dovrebbe interferire con le regole processuali. Non dovrebbe, in
specie, mai implicare attenuazioni del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione, delle regole
del giusto processo, di cui all’art. 111 della Costituzione e delle garanzie di difesa del cittadino
nei confronti della Pubblica Amministrazione ex art. 113 Cost. Sul punto, cfr. GALLO, Verso un
giusto processo, cit., 21, secondo cui “l’interesse fiscale, inteso come interesse esclusivo
dell’Amministrazione finanziaria non ha una autonoma copertura costituzionale e, comunque,
non ha una copertura tale da giustificare la sua prevalenza sull’interesse del contribuente anche
in sede contenziosa”. In senso diverso, BORIA, L‟interesse fiscale, Torino, 2002, 448, per il
9
nel sistema processuale sia attraverso soluzioni di tipo ordinamentale
che favoriscano una rapida definizione del giudizio, nel rispetto del
contraddittorio e della parità delle armi, sia attraverso strumenti che
assicurino l’equo indennizzo nel caso di processi che abbiano avuto
una durata eccessiva e irragionevole15.
3. Il principio della durata ragionevole e i giudizi tributari tra orientamenti giurisprudenziali ed equivoci interpretativi. La portata innovativa del nuovo art. 111, Cost e, più in generale, l’assunzione del
principio del giusto processo come modello attuativo di qualunque
giurisdizione (tributaria compresa), se da un lato,
impongono un
riesame complessivo della legittimità costituzionale delle disposizioni
contenute nei decreti 545 e 546 del 1992 (si pensi soprattutto alle
disposizioni riguardanti il contraddittorio e la parità delle armi),
dall’altro, spingono verso modifiche normative che consentano di
portare a compimento il lento e graduale percorso attuativo dell’art.
111 Cost. anche in materia tributaria.
Orientando l’analisi verso il principio della durata ragionevole del
quale l’interesse fiscale, “benché possa essere considerato un valore prenormativo, nel senso
che esprime una esigenza obiettiva della collettività, percepibile nella realtà storica e fattuale,
assurge a valore cristallizzato nel sistema normativo in quanto elemento desumibile dal
contesto costituzionale che intreccia relazioni orizzontali e verticali con altri valori e norme
dell’ordinamento tributario”.
15
Cfr. MARONGIU, Una giustizia lentissima fonte di preoccupazioni e di pretese, la commissione tributaria centrale in Rass,trib., 2011, 877, secondo cui “la ragionevole durata è solo
quella del processo giusto e cioè del processo che assicuri tutte le altre garanzie costituzionalmente volute. In altre parole, l’obbligo imposto dalla Costituzione non è quello di perseguire la
durata breve del processo o di assicurare semplicemente il processo breve ma di assicurare la
10
processo, deve ritenersi che, nonostante qualche timido tentativo (si
pensi alla disciplina volta a consentire la definizione accelerata delle
liti di
ultradecennale pendenza16), esso resta ancora in larga parte
inattuato nei giudizi tributari. Alla sua piena estensione osta la giurisprudenza sia della Corte di Strasburgo (caso Ferrazzini contro Italia,
12 luglio 2001, ricorso n. 44579/9817) sia della Cassazione18, che,
muovendo dall’espressione “civil rights and obligations” (diritti e
obbligazioni di natura civile) , contenuta nell’art. 6, CEDU, e richiamata dalla legge Pinto n. 89/2001, escludono che essa comprenda anche le
obbligazioni tributarie19. Più precisamente, i giudici di legittimità,
nell’evidenziare che "le ragioni che hanno determinato l'approvazione
ragionevole durata del processo giusto ovvero pienamente compatibile con tutte le garanzie
costituzionali in materia processuale”.
16
Il 2° comma-bis d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella l. 22 maggio 1010, n. 73,
(“decreto incentivi”) reca modalità di definizione agevolata delle controversie tributarie
pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e alla Commissione tributaria centrale che originano
da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado di giudizio da almeno dieci anni, coerentemente con
quanto previsto dalla Cedu in ordine alla ragionevole durata dei processi, prevede una sorta di
definizione. Evidentemente nella consapevolezza ovvero nel timore di scongiurare possibili
sanzioni derivanti dalle lungaggini dei giudizi, viene richiesta espressamente la rinuncia ad
ogni eventuale pretesa di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cd. legge
Pinto). In particolare, la definizione accelerata delle liti concerne esclusivamente le controversie tributarie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e alla Commissione tributaria centrale
che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado di giudizio (quindi depositati presso la
Commissione tributaria provinciale ai sensi dell’art. 22 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) da
oltre dieci anni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e per i quali
l’Amministrazione finanziaria controparte sia risultata soccombente nei primi due gradi di
giudizio.
17
In www.diritto.it.sentenze/giustiziatributaria/sent.strasburgo
18
Cass. 27 agosto 2004, n. 17139; Cass. 30 agosto 2005, n. 17497.
19
Con riguardo a tale pronuncia e, più in generale, all’applicabilità della garanzia della
ragionevole durata previsto dall’art. 6 CEDU al processo tributario, cfr. GREGGI, Giusto
processo e diritto tributario europeo: applicazioni e limiti del principio (il caso Ferrazzini),
cit., 529, per il quale l’art. 111 della Carta costituzionale, anche se fosse non immediatamente
precettivo in questo contesto, e non espressamente richiamato dal legislatore del 2001,
11
della legge 89/2001 si individuano nella necessità di prevedere un
rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative alla durata
dei processi, in modo da realizzare la sussidiarietà dell'intervento della
Corte di Strasburgo",
ritengono che la stessa legge, agganciandosi
alla Convenzione europea, ne recepisce i limiti di tutela, non potendo
essere invocata per garantire l'equa riparazione per l'eccessiva durata
dei processi, come quelli tributari, non rientranti nell'ambito della
Convenzione stessa.
Invero, non mancano segnali di un possibile revirement interpretativo.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha, infatti, in diverse occasioni
ritenuto applicabili le garanzie del giusto processo a controversie aventi
ad oggetto sanzioni di natura tributaria (caso Janosevic contro Svezia;
Vastberga taxi contro Svezia entrambe del 23 luglio 2002 ; Bendenoun
contro Francia del 24 febbraio 1994, caso Iussila contro Finlandia 23
novembre 200620) ovvero l’esercizio dei poteri di accesso presso
abitazioni private (Ravon contro Francia del 21 febbraio 200821).
dovrebbe comunque contribuire a chiarire la portata di una norma che, per sua stessa formulazione, pare idonea a comprendere il contenzioso tributario nella sua totalità
20
Con riferimento al caso Iussila, la Corte riconosce il diritto alla prova testimoniale ed al
contraddittorio con riguardo a giudizi aventi ad oggetto accertamento di imposta e irrogazione
di sanzioni. In dottrina, cfr. GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova
testimoniale nell‟applicazione Cedu (il caso Iussila) in Rass. trib., 2007, 216; CASTELLANETA,
Più tutele nel processo fiscale, in Il Sole24ore 8 dicembre 2006.
21
Su tale pronuncia, cfr. GREGGI, Il giusto procedimento nel diritto tributario europeo, in
L’attuazione del diritto tributario europeo, a cura di TASSANI, Roma, 2009, 187, secondo cui la
Corte europea dei diritti dell’uomo, nel riconoscere l’applicabilità dell’art. 6 alla materia delle
verifiche fiscali, ha impresso “all’art. 6 della CEDU un potenziale applicativo prima non
ipotizzabile, di fatto non solo confermandone l’applicazione alla materia tributaria, come si è
visto, fino al 2001 esclusa) ma addirittura anticipandone la tutela a una fase preprocessuale”.
12
Sul piano interno, la Corte di Cassazione22, pur ritenendo inapplicabili
le disposizioni in materia di equa riparazione di cui alla legge 89, cit.,
ha affermato che il principio costituzionale di ragionevole durata si
applica anche nel processo tributario, rivolgendosi al legislatore ordinario nell’adozione di adeguati strumenti normativi, al giudice,
nell’interpretazione delle norme processuali e in funzione acceleratoria
e alle parti le quali nel loro agire con responsabilità e collaborazione.
Ancora la Cassazione ha aperto alcuni spiragli ammettendo che la legge
Pinto possa trovare applicazione anche per i giudizi di ottemperanza
davanti alle Commissioni tributarie in quanto riguardanti pretese civili
del contribuente che non investono la determinazione del tributo23
ovvero per quelli riguardanti crediti di imposta non contestati nella
loro esistenza24 o rimborsi di imposte indebitamente pagate25.
La Corte Costituzionale26, inoltre, pur ritenendo non fondate le eccezioni di costituzionalità sollevate con riguardo alle disposizioni in
materia
di
proroga
dei
termini
di
impugnazione
a
favore
dell’amministrazione finanziaria, ha ammesso che il principio della
ragionevole durata possa comunque operare in materia tributaria, pur se
contemperato con il complesso delle garanzie costituzionali rilevanti
nel processo stesso. La stessa Corte27 ha ripetutamente invitato il
legislatore ordinario ad adottare tutti provvedimenti idonei (anche di
22
Sent. 24 gennaio 2007, n. 1540, in Il civilista, 2009, 10, 46.
Cass. 15 luglio 2008, n. 19367.
24
Cass. 7 marzo 2007, n. 5275.
25
Cass. 1° dicembre 2005, n. 26211.
26
Corte cost. 27 febbraio 2009, n. 58 in Giust.civ., 2009, I, 1492.
23
13
natura diversi da quelli aventi ad oggetto strumenti indennitari) che
possano dare piena attuazione al principio della ragionevole durata del
processo, proprio traendo argomenti dalla premessa che il principio
della durata ragionevole si estenda a qualunque tipo di giudizio, sia
ordinario che speciale28.
Non può tuttavia tacersi che le limitazioni applicative della legge Pinto,
rivenienti dalla sentenza Ferrazzini, destano perplessità proprio perché
confliggono con la configurazione della ragionevole durata come
imperativo a carattere generale rivolto al legislatore come a qualunque
altro soggetto del processo. Preferibile appare quindi una lettura della
vigente disciplina in materia di durata ragionevole costituzionalmente
orientata volta cioè ad ammetterne l’applicazione a qualunque tipo di
giudizio compreso quello tributario. In questo senso, sembra deporre
sia la disciplina del decreto incentivi citato (art. 2-bis, del D.L. 25
marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 1010, n. 73), sia
l’art. 3, terzo comma, l. 89, cit. come modificato dall'articolo 1, comma
1224 della Legge Finanziaria 2007, secondo cui, nei giudizi diversi da
quelli ordinari e militari, il ricorso “è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze”29.
27
Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349,
Ancora GALLO, Verso un giusto processo, cit., 20 per il quale, alla luce del principio di cui
all’art. 111, Cost., la Corte Costituzionale “dovrebbe indagare la congruenza delle norme
oggetto di tutela <differenziata> rispetto ai principi del giusto processo, partendo dal presuppo
sto che tali principi hanno ormai una valenza innovativa e un riconoscimento costituzionale
esplicito e diretto non più <deducibile> da altre disposizioni di pari rango”.
29
Ritiene che tale disposizione possa essere intesa come espressione della volontà del
legislatore di superare l’interpretazione restrittiva della Corte europea dei diritti dell’uomo,
GIOVANNINI, Giustizia e giustizia tributaria (riflessioni brevi sul giusto processo), in Rass.
28
14
Non sembra quindi possa essere condivisa l’interpretazione secondo cui
la legge Pinto, definendo le modalità di determinazione dell’equa
riparazione in caso di durata irragionevole secondo la disciplina CEDU,
non possa trovare applicazione nei giudizi tributari avendo la Corte di
Strasburgo ritenuto estranea alla sfera applicativa dell’art. 6 la materia
tributaria. Come è noto, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la
sentenza Ferrazzini citata, ha affermato la non riconducibilità dei
giudizi tributari tra le questioni concernenti diritti e obbligazioni civili e
quindi nella sfera applicativa dell’art. 6 CEDU in considerazione del
carattere autoritativo del prelievo e della natura “pubblica” delle
obbligazioni tributarie. Afferma la Corte di Strasburgo: “the existence
of an individual‟s tax obligation vis-à-vis the State belonged, in their
submission, exclusively to the realm of public law. That obligation was
part of the civic rights imposed in a democratic society and the purpose
of the specific provisions of public law was to support national economic policy”30. Come precisato altresì dalla Corte europea, la materia
trib., 2011, 277 per il quale “la disposizione del comma 2 bis è ormai parte integrante
dell’ordinamento positivo e la sua forza orientativa sul piano ermeneutico è indiscutibile
all’evidenza. E siccome la sua formulazione abbraccia qualsiasi tipologia di lite, comprese
quelle riconducibili al rapporto tributario strettamente inteso, neppure le tradizionali argomentazioni della Corte di Cassazione sull’equo indennizzo, tutte incentrate sull’oggetto della
controversia, ne potranno arginare forza orientativa ed effetti applicativi consequenziali, ad
iniziare, per l’appunto, dalla risarcibilità del danno per la durata irragionevole delle liti”.
30
Osserva ancora la Corte di Strasburgo: “the applicant, for his part, stressed the pecuniary
aspect of his claims and contended that the proceedings accordingly concerned “civil rights
and obligations”. As it is common ground that there was a “dispute (contestation)”, the
Court‟s task is confined to determining whether it was over “civil rights and obligations”.
According to the Court‟s case-law, the concept of “civil rights and obligations” cannot be
interpreted solely by reference to the domestic law of the respondent State”. Nel richiamare
altri precedenti (König v. Federal Republic of Germany judgment of 28 June 1978, Series A no.
27, pp. 29-30, §§ 88-89, and the Baraona v. Portugal judgment of 8 July 1987, Se-
15
fiscale è, quindi, una prerogativa di diritto pubblico, attraverso la quale
lo Stato esercita la propria potestà impositiva nei confronti del singolo
contribuente come dell’intera collettività. Il contenzioso tributario,
pertanto, non rientrerebbe nell'ambito dei giudizi per i quali si rende
operante la garanzia del giusto processo in quanto la prestazione
tributaria, sebbene patrimoniale, non ricadrebbe tra i “diritti e obbligazioni di natura civile” di cui al citato art. 6 CEDU.
Orbene, tali affermazioni non sembrano corrette31 non solo alla luce
della ricostruzione del rapporto d’imposta da parte della dottrina
tributaria italiana32 e quindi del dovere di contribuzione33 ma soprattutries A no. 122, pp. 17-18, § 42),la Corte “considers that any other solution is liable to lead to
results that are incompatible with the object and purpose of the Convention (see, mutatis
mutandis, the König judgment cited above, § 88, and Maaouia v. France [GC], no. 39652/98,
§ 34, ECHR 2000-X). Pecuniary interests are clearly at stake in tax proceedings, but merely
showing that a dispute is “pecuniary” in nature is not in itself sufficient to attract the applicability of Article 6 § 1 under its “civil” head (see the Pierre-Bloch v. France judgment of 21
October 1997, Reports of Judgments and Decisions 1997-VI, p. 2223, § 51, and Pellegrin v.
France [GC], no. 28541/95, § 60, ECHR 1999-VIII, cf. the Editions Périscope v. France
judgment of 26 March 1992, Series A no. 234-B, p. 66, § 40). In particular, according to the
traditional case-law of the Convention institutions, “There may exist „pecuniary‟ obligations
vis-à-vis the State or its subordinate authorities which, for the purpose of Article 6 § 1, are to
be considered as belonging exclusively to the realm of public law and are accordingly not
covered by the notion of „civil rights and obligations‟. Apart from fines imposed by way of
„criminal sanction‟, this will be the case, in particular, where an obligation which is pecuniary
in nature derives from tax legislation or is otherwise part of normal civic duties in a democratic society” (see, among other authorities, the Schouten and Meldrum v. the Netherlands
judgment of 9 December 1994, Series A no. 304, p. 21, § 50; application no. 11189/84,
Commission decision of 11 December 1986, Decisions and Reports (DR) 50, p. 121, at p. 140;
and application no. 20471/92, Commission decision of 15 April 1996, DR 85, p. 29, at p. 46).
31
Così PERRONE, Diritto tributario e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, in Rass.trib.,
2007, p680, il quale, nel sottolineare “l’antistorica convezione autoritativa del rapporto Fiscocontribuente”, osserva che “un approccio del genere determina, di fatto, un’evidente ed
irrazionale diminutio delle garanzie che un ordinamento democratico dovrebbe riconoscere a
quanto sono coinvolti, a vario titolo, in procedimenti aventi carattere giurisdizionale”.
32
Si veda per tutti D’AMATI, Diritto tributario, Teoria e critica, Torino, 1985.
33
Si veda al riguardo GALLO, Verso un giusto processo, cit.,13 il quale, nel criticare la tesi
della Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorda che, nel nostro ordinamento, “il fondamento
16
to alla luce dei lavori preparatori della convenzione34.
Questi ultimi
evidenziano, infatti, l’intento degli estensori di escludere solo le controversie aventi ad oggetto situazioni soggettive di interesse legittimo,
scaturenti dall’esercizio di poteri discrezionali da parte delle Pubbliche
amministrazioni (tra le quali non possono essere ricondotte quelle
fiscali in forza della natura vincolata della funzione impositiva). Negli
stessi lavori, non emerge affatto la volontà di escludere le controversie
fiscali, a fronte dell’intento di espandere la sfera applicativa di una
garanzia riferita alla funzione giurisdizionale in senso ampio.
Conforta quanto osservato la stessa giurisprudenza della Corte in
materia di prestazioni parafiscali quali quelle previdenziali per le quali
la natura “civile” viene riconosciuta sia alla luce del contenuto economico-patrimoniale della prestazione (vedi sentenza Van Dijk and Van
Hoof), sia della nozione di diritti civili contrapposta a quella di diritto
non civili (diritti politici, ad esempio) (sentenza Editions Periscope
contro Francia del 26 marzo 1992 ove una controversia avente ad
oggetto il disconoscimento di un regime fiscale agevolativo è stato
del concorso alle pubbliche spese è individuabile non più nella situazione di sottomissione al
potere sovrano ma nel dovere di contribuzione, riconducibile a sua volta ai doveri di solidarietà
e di cooperazione, a fronte dei quali ci sono solo un potere vincolato (e quindi non discrezionale) dell’amministrazione finanziaria a normatività depotenziata e, in sede contenziosa, un diritto
soggettivo del provato negatorio della pretesa tributaria. Un diritto perciò, che – indipendentemente dal significato più o meno circoscritto che si vuole attribuire al termine civil nel testo
autentico inglese o al termine de caractere civil in quello autentico francese ben può essere
ricompreso tra i diritti civili oggetto delle controversie cui si applica l’art. 6 (…)”. Continua
ancora l’A. “sembrano, invece, definitivamente superate quelle tesi, riecheggiate dalla Corte
di Strasburgo, che considerano oggetto della tutela giurisdizionale un interesse legittimo e,
perciò, un diritto soggettivo degradato dall’esercizio del potere di supremazia”.
17
compreso nella sfera applicativa dell’art. 6 Cedu). Va poi ricordato che
le altre garanzie che si collegano al giusto processo come quella
dell’indipendenza e imparzialità del giudice vengono pienamente
riconosciute con riguardo alla materia tributaria35.
A ciò va aggiunto poi che, se come affermato dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, l’espressione “diritti e obbligazioni di carattere
civile” va interpretata non alla luce del diritto interno dei singoli stati
ma attraverso le norme di carattere internazionale, non può tacersi che
negli artt. 10 e 11 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
proclamata dall’Assemblea delle nazioni unite il 10 dicembre 1948 a
34
Cfr. FOCARELLI, Equo processo e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, Padova, 2001;
TAMINITI, La nozione di diritti e obbligazioni di carattere civile ai sensi dell‟art. 6 della
convenzione europea dei diritti dell‟uomo, in Documenti giustizia, 2000, 125.
35
Come chiarito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 2 settembre 1998, Lauko c.
Slovacchia n. 26138/95), l’indipendenza dell’organo giudicante deve valutarsi in relazione alle
persone che lo compongono, a fronte sia del potere esecutivo che delle parti in causa. Tale
valutazione dovrà essere compiuta sulla base delle regole di designazione del giudice, sulla
durata del mandato e dalle garanzie contro pressioni ed interferenze esterne. sent. 30 marzo
1993. Con riguardo all’imparzialità, la Corte di Giustizia delle Comunità europee (Corbiau, C24/92, Rec., 1993, I, 1277), ha affermato che essa ricorre quando il giudice assume una
posizione di estraneità rispetto alla parte che ha adottato la decisione impugnata . Il diritto ad
un giudice indipendente e imparziale trova ulteriore conforto nell’art. 13, CEDU (Diritto ad un
ricorso effettivo) in base al quale “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella
presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza
nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle
loro funzioni ufficiali”. Se l’applicabilità dell’art. 6 Cedu, alla materia fiscale è stata esclusa
dalla Corte europea (cfr. sentenza Ferrazzini, citata in precedenza), non sorgono dubbi
sull’applicabilità dell’art. 13, Cedu al processo tributario (in questo senso, MALHERBE, Il giusto
procedimento in materia fiscale: principio generale ovvero garanzia nell‟ambito
dell‟armonizzazione, in Atti del convegno di Bologna 28-28 ottobre 2005 “Per una costituzione
fiscale europea” (trad. it. di MODOLESI), 13, secondo cui “è incontestabile che l’art. 13 Cedu sia
applicabile in materia tributaria, se un individuo contesta la validità dell’operato
dell’Amministrazione finanziaria. Il primo articolo del protocollo addizionale n. 1 alla Cedu
garantisce il diritto di chiunque, al rispetto dei propri beni e, dunque, al rispetto dei propri diritti
di proprietà. Ne deriva, secondo il nostro parere che qualsiasi forma di attuazione del tributo
possa potenzialmente rientrare nel campo di applicazione dell’art. 13 della Cedu, in quanto
finalizzato a privare del possesso una persona – fisica o morale – di un bene che gli appartiene
18
cui si ispira la stessa disciplina europea, viene affermato il diritto di
ogni individuo ha “ad un‟equa e pubblica udienza al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di
ogni accusa penale che gli venga rivolta”36 e che nell’art.8 della
convenzione interamericana sui diritti umani adottata in S. Josè d
Costarica il 22 novembre 1969, i principi del giusto processo vengono
espressamente riferiti alle controversie di qualsiasi natura (civile,
fiscale, di lavoro, ecc.).
Conclusivamente, si può ritenere che siano ormai maturi i tempi perché
possa essere superata l’interpretazione minimalista e restrittiva in
ordine all’applicazione del principio di ragionevole durata dei processi
alle controversie tributarie accolta dalla Corte europea e recepita da
quella interna con riguardo all’equa riparazione di cui alla legge Pinto37.
La preoccupazione di natura politica in ordine al numero ed
all’entità degli indennizzi da pagare ai contribuenti italiani38 coinvolti
– normalmente il denaro”.
36
La norma è poi ripresa dall’art. 14 del patto internazionale sui diritti politici e civili approvato il 16 dicembre 1966 New York che adopera l’espressione rights and obligations nel senso di
diritti e di doveri.
37
Così PERRONE, Diritto tributario e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, cit., 690, il
quale auspica che il legislatore domestico, “ancorché guidato dalla necessità di dare piena
attuazione al principio di sussidiarietà fra l’ordinamento interno e quello internazionale, fra
l’ordinamento interno e quello internazionale, introduca nel primo una disposizione di garanzia
il cui ambito di applicazione sia più ampio di quello che caratterizza la norma convenzionale.”
Così anche PODDIGHE, Giusto processo e processo tributario, cit., 162, per il quale “ non si può
escludere che il singolo Stato contraente possa prevedere una maggiore tutela rispetto a quella
riconosciuta dalla CEDU che ha l’obbiettivo della costruzione di uno spazio europeo di valori
condivisi fissando standars minimi. In secondo luogo, il richiamo dell’art. 6 sembra limitato al
solo profilo del termine ragionevole. La legge Pinto, inoltre, prima di attuare la Cedu attua
quanto disposto nell’ultima parte del secondo comma dell’art. 111 della costituzione”.
38
Così la relazione del presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo Wildhaber nel
discorso inaugurale dell’anno giudiziario (25 gennaio 2000)
19
in giudizi troppo lunghi39 non può condizionare la lettura delle norme e
meno che mai può fare perdere di vista
la ratio
che le ispira40.
L’auspicio è che le garanzie di cui all’art. 111, Cost. possano trovare
piena applicazione anche nel sistema della giustizia tributaria e che i
tempi, già abbastanza celeri, dei giudizi scongiurino un ampio accesso
agli istituti protettivi della legge Pinto.
Antonio Uricchio
(ordinario di diritto tributario. Università degli studi “Aldo Moro” di Bari).
39
Tale preoccupazione aveva indotto il legislatore ad adottare il d.l. 11 settembre 2002, n. 20,
attraverso il quale l’applicazione della legge Pinto veniva escluso espressamente nei casi di
procedimenti tributari rilevanti penalmente. Tale disposizione veniva espunta in sede di
conversione del decreto nella consapevolezza della sua illegittimità costituzionale.
40
In senso diverso, BARBAGALLO, Durata dei giudizi tributari: principi costituzionali,
responsabilità sopranazionale dello stato e leggi interne sull‟indennizzo, in La giustizia
tributaria italiana e la sua Commissione centrale, a cura di PALEOLOGO, Milano, 2005, 147 il
quale conclude per la non applicabilità dei principi della ragionevole durata al processo
tributario visto che “la disposizione di cui all’art. 111, secondo comma, della Costituzione,
nella parte in cui prevede che la legge assicura la ragionevole durata del processo, va intesa
come norma precettiva soltanto in connessione con l’art. 6, I comma, della Convenzione. Essa,
cioè, è attributiva di un diritto alla persona che può essere fatto valere immediatamente nei
confronti dello Stato, soltanto nel limite in cui tale diritto è riconosciuto dall’art. 6, primo
comma, della Convenzione”.
20