ANTONIO FELICE URICCHIO PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO E APPLICABILITÀ DELLA LEGGE PINTO NEI GIUDIZI TRIBUTARI* SOMMARIO: 1. I principi del giusto processo tra modifiche costituzionali e impegni internazionali. - 2. Estensione applicativa dei principi del giusto processo al processo tributario. – 3. Il principio della durata ragionevole e i giudizi tributari tra orientamenti giurisprudenziali ed equivoci interpretativi. 1. I principi del giusto processo tra modifiche costituzionali e impegni internazionali. Nell’esperienza giuridica, l’espressione giusto processo designa il complesso delle garanzie processuali offerte alle parti nel bilanciamento tra l’interesse superiore della giustizia e gli interessi di cui i soggetti coinvolti nel processo sono portatori. Nel tentativo di dare una contenuto a tale formula, dottrina e giurisprudenza costituzionale sono giunte a conclusioni non sempre univoche, oscillando tra impostazioni che potremmo definire naturalistiche, le quali privilegiano la configurazione del giusto processo come una sorta di diritto naturale preesistente rispetto alla legge e direttamente collegato ai diritti inviolabili di tutti i soggetti coinvolti nel processo1 e impostazioni positivi*Relazione, integrata con le note, presentata al convegno celebrativo dei 150 anni di unificazione nazionale, promosso dall’associazione magistrati tributari, tenuto a Torino il 15 ottobre 2011. 1 Cfr. CONTI, Giusto processo [dir. proc. pen], voce dell’Enc. dir. (Agg.), V, Milano, 2001, 629; ID. Giusto processo [proc. pen], in Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, III, Milano, 2006, 2816; MARZADURI, La riforma dell‟art. 111, Cost. tra spinte contingenti e ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Legisl. pen., 2000, 758. 1 stiche che riconducono le singole garanzie in essa inscrivibili ad un espresso riconoscimento normativo2. Pur nella varietà degli orientamenti manifestati, essa sembra atteggiarsi come formula di sintesi dell’insieme dei valori e delle garanzie volte a rendere concreto l’esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio all’interno del processo3. In questa prospettiva, la nozione di giusto processo, pur se fondata su principi di natura costituzionale, appare “aperta” in quanto suscettibile di essere definita attraverso disposizioni positive sia internazionali che interne che, di volta in volta, possono ampliare o rafforzare le singole garanzie che ne costituiscono il contenuto4. Non potendo per i limiti del presente intervento, richiamare origini normative e percorsi della giurisprudenziali, è utile in questa sede sottolineare che la legge cost. n. 2 del 1999, nel modificare l’art. 111 2 FERRUA, Il “giusto processo”, Bologna, 2005. Per una compiuta illustrazione dei diversi orientamenti della dottrina tra impostazioni naturalistiche e positivistiche, si veda F. PERCHINUNNO, Fondamento del giusto processo: dalle origini all‟attuazione, Bari, 2005. 3 COMOGLIO, La garanzia costituzionale ed il processo civile, Padova, 1970, 155, secondo cui il complesso dei principi enunciati negli artt. 3, 24, 25, 1° comma, 101-104, 107-108, 111, 113 Cost. consente “di delineare uno schema fondamentale di giusto processo, articolato principalmente nei seguenti elementi: 1) eguaglianza e contraddittorio delle parti dinanzi al giudice; 2) precostituzione per legge del giudice naturale; 3) soggezione del giudice soltanto alla legge; 4) divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali; 5) indipendenza ed imparzialità degli organi giurisdizionali”.. 4 Come evidenziato nella relazione Pera al disegno di legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione - atto Senato 3619, e ss. (cfr anche PERA, Giusto processo una questione di cultura, in Giustizia italiana, III Conferenza nazionale dell’avvocatura, Riva del Garda 29 giugno, 2 luglio 2000,10 e ss.), la norma sul giusto processo costituisce una norma principio a tessitura aperta nel senso che non sia esauribile attraverso una elencazione tassativa e esaustiva di garanzie. In questo senso, anche CECCHETTI, Giusto processo (dir. cost.), voce dell’Enc. dir. (Agg.), V, Milano, 2001, 595, ss., spec. 607. Dello stesso Autore, cfr., inoltre, Il principio del “ giusto processo” nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di TONINI, Padova, 2001, 49 ss. 2 della Costituzione, ha dato una base costituzionale al principio del giusto processo, disponendo, al primo comma, che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Il secondo comma dispone, inoltre, che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale, oltre che nel rispetto del principio della ragionevole durata. La norma assume, pertanto, il principio del giusto processo come modalità attuativa esclusiva della funzione giurisdizionale, pur nel rispetto della riserva di legge ivi prevista ed in armonia con il disposto dell’art. 101, Cost. che sancisce la soggezione dei giudici soltanto alla legge. Nelle fonti internazionali, il modello di “giusto processo” trova, invece, il proprio fondamento negli artt. 10 e 11 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle nazioni unite il 10 dicembre 1948 e dagli artt. 5, 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) sottoscritta a Roma il 4 dicembre 1950, ratificata con legge nazionale del 4 agosto 1955 n. 848,e dagli artt. 1-8 della Convenzione interamericana sui diritti umani adottata in S. Josè d Costarica il 22 novembre 19695. 5 Sull’attuazione dei principi del giusto processo nella disciplina della convenzione europea dei diritti dell’uomo e nelle fonti internazionali, cfr. ESPOSITO, L‟applicazione pratica dei principi della Convenzione Europea dei diritti dell‟uomo nel processo penale italiano, relazione svolta all’Associazione giuristi italo-tedesca, Salerno, 1992, in Arch. pen., 4, 513 e 538; Occorre, tuttavia, evidenziare che nelle fonti normative internazionali richiamate ricorre l’espressione “processo equo” da taluni considerata in qualche modo corrispondente a quella di giusto processo contenuta nell’art. 111 della Cost. (così FOIS, Il modello costituzionale del “giusto processo” in Rass. parl., 2000, 569), da altri, ritenuta in qualche modo difforme (cfr. PERCHINUNNO, Fondamento del giusto processo: dalle origini all‟attuaz., cit., 124, il quale 3 Tra le disposizioni richiamate, maggiore rilevanza assume certamente l'articolo 6 della CEDU (rubricato Diritto ad un processo equo), in forza del quale ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale6. Il richiamo alle disposizioni della convenzione da parte del Trattato dell’Unione europea (attualmente Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1 dicembre 2009) conferisce natura di norma comunitaria al principio del giusto processo. Completa il quadro normativo la legge Pinto (24 marzo 2001, n. 89) che, all’art.2, dispone che “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione Nell'accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, sottolinea la “evidente innovatività” della norma costituzionale sia con riferimento al diritto all’informazione dell’accusato nel più breve tempo possibile, sia alla facoltà concessa all’imputato, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico). 6 Cfr. CAFAGNA, L’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo e la circolazione delle decisioni, in La convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto internazionale privato, a cura di CARELLA, Torino, 2009, 17, secondo cui “l’art. 6 della Cedu determina, a carico degli Stati contraenti, l’obbligo positivo di rendere effettivo all’interno del proprio ordinamento il diritto di ogni persona ad ottenere un processo “equo”; sicché la disposizione in parola trova comunemente applicazione quando, nonostante il rispetto della normativa nazionale, non sia stato possibile assicurare alle parti di un giudizio (civile come penale) una tutela dei propri diritti alla difesa adeguata a quella minima richiesta a livello convenzionale”. 4 nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione”7. 2. Estensione applicativa dei principi del giusto processo al processo tributario. Come evidenziato, il giusto processo, in quanto modo di essere della funzione giurisdizionale, non incontra limiti in relazione ai diversi ambiti in cui essa viene esercitata8 con la conseguenza che i principi di cui all’art. 111, Cost., si rendono applicabili e operanti per qualunque tipo di processo, compreso evidentemente il processo tributario9. 7 Con riguardo al rapporto tra legge Pinto e processo tributario, cfr. BOLETTO, Brevi riflessioni in ordine all‟applicabilità della legge Pinto al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2002, II; DEL FEDERICO, Il giusto processo tributario tra l‟art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell‟uomo e art. 111 della Costituzione, in Giur. trib., 2005, 155; DORIGO, Il diritto alla ragionevole durata del processo tributario nella giurisprudenza più recente della Corte europea dei diritti dell‟uomo, in Rass. trib., 2003, 42; MICELI, Giusto processo tributario: un nuovo passo indietro della giurisprudenza di legittimità, in Riv. dir. trib., 2004, II, 774, per la quale “il principio della ragionevole durata, nuovo nell’esperienza interna, ha richiesto una legge ad hoc, in quanto la norma costituzionale non si prestava ad una diretta applicazione. La legge Pinto, sulla scia della riforma dell’art. 111 Cost ha così attuato la disciplina della ragionevole durata del processo nell’ordinamento interno, operando un rinvio per presupposizione alla Cedu in ordine al contenuto del principio in esame”. Si veda inoltre PODDIGHE, Giusto processo e processo tributario, Milano, 2010, 22 per il quale “l’art. 111 è destinato ad incidere sul sistema processuale nel suo complesso e, di conseguenza, sul processo tributario”, costringendo l’interprete “ a ripensare ai rapporti tra i differenti processi di cognizione (civile, amministrativo e tributario)”. 8 La dottrina, in modo pressoché unanime, ritiene che l’inserimento nella Carta Costituzionale dei principi del giusto processo estenda i propri effetti a tutti i tipi di giurisdizione. 9 Con riguardo al processo tributario, la dottrina ammette pacificamente l’applicabilità dell’art. 111 Costituzione novellato. In questo senso, si veda, per tutti, DI PIETRO, Giusto processo, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di CASSESE, III, Milano 2006, 2809, secondo cui “il processo tributario (…) ha dovuto e tuttora deve misurarsi con l’art. 111, Cost. che, con la formula sintetica del giusto processo, valorizza alcuni caratteri qualificanti l’attività giurisdizionale Da una parte, il contraddittorio, la parità delle parti, la terzietà del giudice hanno assunto, grazie alla nuova formulazione dell’art. 111 Cost., un rilievo costituzionale proprio. Non devono più ricorrere al diritto alla difesa, alla funzione giustiziale nella ripartizione dei 5 Nell’individuare le garanzie iscrivibili nella formula del giusto processo, la norma, nei primi due commi, estende, quindi, ad ogni tipo di processo la garanzia del contraddittorio, il principio della parità delle armi, quello della terzietà e dell’imparzialità del giudice tributario, della ragionevole durata del processo. Nei commi successivi sono, invece, previste garanzie specifiche per il processo penale10, con particolare riferimento al principio del contraddittorio ai fini della formazione della prova, mentre rivestono carattere generale la previsione dell’obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali e quella avente ad oggetto la impugnabilità delle sentenze oltre che dei provvedimenti in materia di libertà personale dinanzi alla poteri ed all’eguaglianza per assumere un fondamento costituzionale. Dall’altra, la durata ragionevole del processo che, una volta affermata a livello costituzionale, può finalmente rendersi autonoma, rispetto all’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Tutti questi caratteri contribuiscono, attualmente, a definire un modello costituzionale processuale unico, come espressione di funzione giurisdizionale senza distinguere i diversi processi, compreso quello tributario”. In questo senso anche si veda ancora RUSSO, Il giusto processo tributario, in Rass. trib., 2004, 11, per il quale “non possono sussistere dubbi sull’applicabilità dell’art. 111 anche al processo tributario, senza che sia possibile in alcun modo, al fine di preservarne le singole norme che lo disciplinano da censure di illegittimità costituzionale con riferimento ad esso per invocarne la specificità di tale processo per tenere conto delle peculiarità proprie della materia costituente il substrato oggettivo delle relative controversie”. Con la legge costituzionale n. 2/1999, esso è divenuto un modello di riferimento di diritto positivo interno, essendo posto, come detto, quale modalità attuativa, esclusiva, della giurisdizione”. Osserva, inoltre, MANZON, Processo tributario e Costituzione. Riflessioni circa l‟incidenza della novella dell‟art. 111, Cost., sul diritto processuale tributario, in Riv. dir. trib., 2001, I, 1113, il quale avverte che, dopo la riforma costituzionale dell’art. 111, “il giusto processo non è più soltanto un modello di riferimento di diritto straniero, una norma di diritto internazionale pattizio, di malsicuro recepimento nell’ordinamento interno, una costruzione teorica ovvero un auspicio giudiziale. 10 Si veda A. GARCEA, La giurisdizione delle Commissioni tributarie ed i principi del «giusto processo», in Riv. Dir. Trib. 2001, 478, il quale avverte che “nei commi 3°, 4° e 5°, ciò che il legislatore ha disciplinato è il principio del contraddittorio nella formazione della prova. La prova, cioè, si deve acquisire di fronte al giudice penale con la garanzia della dialettica processuale tra le parti, non essendovi spazio alcuno per la precostituzione di elementi di prova in fase istruttoria”. Più in generale, su tale problematica, GIOSTRA, Contraddittorio (principio del) (dir. proc. pen.), voce dell’Enc. giur. Treccani Agg., X, Roma, 2001. 6 Suprema Corte di Cassazione11. La lettera della norma e la ratio che la informa inducono a fugare ogni dubbio sull’applicabilità delle regole del giusto processo al processo tributario12. Resta, tuttavia, da verificare se la nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione si limiti ad una mera enunciazione, sia pur in una forma più solenne, di principi già previsti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo o dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) oppure se abbia un contenuto innovativo rispetto al testo normativo precedente13. In quest’ultimo caso, si rende evidentemente 11 Tra i numerosi interventi della dottrina, si segnala TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 11 ss. il quale, dopo aver sottolineato che “i primi due commi dell’art. 111 valgono per ogni tipo di processo”, osserva che “l’occasione storica da cui è nata la riforma dell’art. 111 è legata a questioni di acquisizione della prova nel processo penale, ma l’art. 111 interessa in modo particolare il processo tributario, in quanto processo «minore» che stenta a raggiungere lo standard degli altri processi”. 12 In questo senso, GALLO, Verso un “giusto processo” tributario, in Rass. trib., 2003, 11, il quale, nell’ammettere l’applicabilità dei principi di cui all’art. 111, Cost al processo tributario, trae argomenti dalla formulazione letterale del secondo comma della norma nella parte in cui fa riferimento “ad ogni processo” avente carattere giurisdizionale. Osserva ancora l’A. che “da tale norma il legislatore tributario e la Corte Costituzionale potrebbero trarre, anzi, la spinta per liberare il procedimento tributario dalle secche della “giurisdizione minore” cui la sua origine amministrativa l’ha relegato e per completarne il processo di adeguamento ai principi del contraddittorio, della parità delle parti, della imparzialità e terzietà (e indipendenza) del giudice, oltre alla ragionevole durata”. Così anche MARONGIU, Le Commissioni tributarie e il giusto processo, in Giusto processo tributario e professionalità del giudice, a cura di FORTUNA, Padova, 2006, 52 ss., spec. 66, secondo cui “la lettera dei primi due commi dell’art. 111 non lascia adito a dubbi circa il campo di applicazione del giusto processo: a questo <metodo> deve necessariamente conformarsi ogni ipotesi di esercizio della funzione giurisdizionale e dunque ogni tipo di processo nel quale tale funzione è destinata ad esplicarsi (civile, penale, amministrativo, contabile, tributario)” Cfr. anche MARCHESELLI, Il giusto processo tributario in Italia. Il tramonto dell‟interesse fiscale?, in Dir. prat. trib., 2002, I, 793; DE MITA, La durata ragionevole del processo tra norme interne e norme convenzionali, in Corr. trib., 2002, 1443. 13 Sulla questione del rapporto tra la nuova formulazione dell’art. 111 e la norma precedente, cfr. MARONGIU, Le Commissioni tributarie e il giusto processo, in Giusto processo tributario e professionalità del giudice, cit., 52 ss., spec. 65, secondo cui “è difficile negare che almeno una gran parte dei contenuti normativi del nuovo art. 111 costituisca nient’altro che la formale esplicitazione nel testo della Costituzione di norme già considerate, in modo pressoché incontestato, di livello costituzionale, perché immediatamente connesse a disposizioni presenti nella Carta del 1948. Così sembra doversi ritenere per le norme generali dei primi due commi 7 necessario chiedersi se l’attuale disciplina della giustizia tributaria, sia nella parte relativa agli assetti ordinamentali, sia in quella relativa al rito, possa ritenersi conforme alle prescrizioni in materia di giusto processo contenuto nell’art. 111, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999. Sul punto, non può negarsi che l’art. 111 novellato, pur riprendendo principi già espressi a livello costituzionale (si pensi alla garanzia costituzionale del diritto di difesa in ogni stato e grado di giudizio - art. 24 - a quelle relativa all’indipendenza e terzietà del giudice - arg. ex artt. 101 e 104, ss.) o comunque affermati dalla Corte Costituzionale presenti un contenuto innovativo il quale si manifesta attraverso (tanto per il principio del giusto processo regolato dalla legge, quanto per ciascuno dei caratteri essenziali che lo definiscono), dai quali non si ricava alcun contenuto sostanziale che non avesse già trovato emersione nelle ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale precedenti l’entrata in vigore della riforma”. Pur muovendo da tali premesse, l’Autore osserva che non è affatto da escludere che nella formulazione dei primi due commi dell’art. 111 della Costituzione possa e debba essere riconosciuto un ulteriore elemento di rafforzamento di quel principio di <unicità della giurisdizione> che alcuni autori ritengono vigente nell’ordinamento costituzionale, se non altro perché tutti i tipi di processo vengono accomunati dal loro necessario svolgimento secondo il canone oggettivo del giusto processo, anche se ciò non implica per il legislatore l’impossibilità di configurare diverse tipologie di giudici e diverse forme concrete di tutela giurisdizionale”. Sul punto si veda anche, RUSSO, Il giusto processo tributario, cit., 12, il quale, dopo avere ricordato il tentativo di una parte della dottrina volto a sminuire la portata della riforma costituzionale, “sul presupposto che essa si sarebbe limitata ad esplicitare principi già immanenti nell’ordinamento costituzionale repubblicano”, osserva che “a tale opinione, è dato opporre … che il valore innovativo della disposizione medesima non consiste semplicemente nell’aver dato voce e, quindi, maggior spessore e forza, a regole già desumibili in via implicita dalla trama delle norme costituzionali in materia di giurisdizione, ma nell’aver delineato per alcuni versi un modello al quale deve uniformarsi qualsiasi processo, qualunque sia il giudice, ordinario o speciale, davanti al quale esso si svolge ed a prescindere dalla peculiarità della tipologia di controversie che ne costituiscono l’oggetto con conseguenti riflessi sulla disciplina specifica cui vi si attaglia”. Si veda anche GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: applicazioni e limiti del principio (il caso Ferrazzini) in Riv. dir. trib., 2002, I, 529, ss., spec. 563, il quale, con riguardo al rapporto tra fonti internazionali e interne, ritiene che si possa parlare “di assorbimento costituzionale del principio del giusto processo, 8 l’affermazione di un modello di attuazione della funzione giurisdizionale comune ai diversi tipi di processo nell’ambito del quale alcune garanzie già previste vengono potenziate e rafforzate mentre altre, che non trovano riscontro nel precedente testo costituzionale, sono introdotte ex novo. Tra questi il principio della durata ragionevole del processo che non compariva nel precedente testo costituzionale, previsto, invece, dall’art. 6 CEDU per i diritti e i doveri di carattere civile. In considerazione dell’ampiezza del suo contenuto, l’art. 111, Cost non può essere, quindi, considerato una mera specificazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. apparendo del tutto autonomo rispetto ad altre norme costituzionali. Sembra, inoltre, che i principi del giusto processo, proprio perché garanzia di sistema riferita a qualsiasi modello di giurisdizione esistente nel nostro ordinamento, non possano subire compressioni o deroghe nemmeno in forza di altri principi costituzionali che pure informano il prelievo e, quindi, non possano essere sacrificati all’interesse fiscale, inteso come fondamentale interesse dell’Amministrazione finanziaria, statale o locale, alla percezione dei tributi14. Tali principi devono quindi trovare piena applicazione così come la più risalente giurisprudenza di legittimità si riferiva alla Convenzione europea, ritenendola assorbita nei diritti sanciti e tutelati dalla Costituzione”. 14 Osserva al riguardo TESAURO, Giusto processo e processo tributario, cit., 19 che “la tutela dell’interesse fiscale, però, non dovrebbe interferire con le regole processuali. Non dovrebbe, in specie, mai implicare attenuazioni del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione, delle regole del giusto processo, di cui all’art. 111 della Costituzione e delle garanzie di difesa del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione ex art. 113 Cost. Sul punto, cfr. GALLO, Verso un giusto processo, cit., 21, secondo cui “l’interesse fiscale, inteso come interesse esclusivo dell’Amministrazione finanziaria non ha una autonoma copertura costituzionale e, comunque, non ha una copertura tale da giustificare la sua prevalenza sull’interesse del contribuente anche in sede contenziosa”. In senso diverso, BORIA, L‟interesse fiscale, Torino, 2002, 448, per il 9 nel sistema processuale sia attraverso soluzioni di tipo ordinamentale che favoriscano una rapida definizione del giudizio, nel rispetto del contraddittorio e della parità delle armi, sia attraverso strumenti che assicurino l’equo indennizzo nel caso di processi che abbiano avuto una durata eccessiva e irragionevole15. 3. Il principio della durata ragionevole e i giudizi tributari tra orientamenti giurisprudenziali ed equivoci interpretativi. La portata innovativa del nuovo art. 111, Cost e, più in generale, l’assunzione del principio del giusto processo come modello attuativo di qualunque giurisdizione (tributaria compresa), se da un lato, impongono un riesame complessivo della legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nei decreti 545 e 546 del 1992 (si pensi soprattutto alle disposizioni riguardanti il contraddittorio e la parità delle armi), dall’altro, spingono verso modifiche normative che consentano di portare a compimento il lento e graduale percorso attuativo dell’art. 111 Cost. anche in materia tributaria. Orientando l’analisi verso il principio della durata ragionevole del quale l’interesse fiscale, “benché possa essere considerato un valore prenormativo, nel senso che esprime una esigenza obiettiva della collettività, percepibile nella realtà storica e fattuale, assurge a valore cristallizzato nel sistema normativo in quanto elemento desumibile dal contesto costituzionale che intreccia relazioni orizzontali e verticali con altri valori e norme dell’ordinamento tributario”. 15 Cfr. MARONGIU, Una giustizia lentissima fonte di preoccupazioni e di pretese, la commissione tributaria centrale in Rass,trib., 2011, 877, secondo cui “la ragionevole durata è solo quella del processo giusto e cioè del processo che assicuri tutte le altre garanzie costituzionalmente volute. In altre parole, l’obbligo imposto dalla Costituzione non è quello di perseguire la durata breve del processo o di assicurare semplicemente il processo breve ma di assicurare la 10 processo, deve ritenersi che, nonostante qualche timido tentativo (si pensi alla disciplina volta a consentire la definizione accelerata delle liti di ultradecennale pendenza16), esso resta ancora in larga parte inattuato nei giudizi tributari. Alla sua piena estensione osta la giurisprudenza sia della Corte di Strasburgo (caso Ferrazzini contro Italia, 12 luglio 2001, ricorso n. 44579/9817) sia della Cassazione18, che, muovendo dall’espressione “civil rights and obligations” (diritti e obbligazioni di natura civile) , contenuta nell’art. 6, CEDU, e richiamata dalla legge Pinto n. 89/2001, escludono che essa comprenda anche le obbligazioni tributarie19. Più precisamente, i giudici di legittimità, nell’evidenziare che "le ragioni che hanno determinato l'approvazione ragionevole durata del processo giusto ovvero pienamente compatibile con tutte le garanzie costituzionali in materia processuale”. 16 Il 2° comma-bis d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella l. 22 maggio 1010, n. 73, (“decreto incentivi”) reca modalità di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e alla Commissione tributaria centrale che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado di giudizio da almeno dieci anni, coerentemente con quanto previsto dalla Cedu in ordine alla ragionevole durata dei processi, prevede una sorta di definizione. Evidentemente nella consapevolezza ovvero nel timore di scongiurare possibili sanzioni derivanti dalle lungaggini dei giudizi, viene richiesta espressamente la rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cd. legge Pinto). In particolare, la definizione accelerata delle liti concerne esclusivamente le controversie tributarie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione e alla Commissione tributaria centrale che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado di giudizio (quindi depositati presso la Commissione tributaria provinciale ai sensi dell’art. 22 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) da oltre dieci anni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e per i quali l’Amministrazione finanziaria controparte sia risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. 17 In www.diritto.it.sentenze/giustiziatributaria/sent.strasburgo 18 Cass. 27 agosto 2004, n. 17139; Cass. 30 agosto 2005, n. 17497. 19 Con riguardo a tale pronuncia e, più in generale, all’applicabilità della garanzia della ragionevole durata previsto dall’art. 6 CEDU al processo tributario, cfr. GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: applicazioni e limiti del principio (il caso Ferrazzini), cit., 529, per il quale l’art. 111 della Carta costituzionale, anche se fosse non immediatamente precettivo in questo contesto, e non espressamente richiamato dal legislatore del 2001, 11 della legge 89/2001 si individuano nella necessità di prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative alla durata dei processi, in modo da realizzare la sussidiarietà dell'intervento della Corte di Strasburgo", ritengono che la stessa legge, agganciandosi alla Convenzione europea, ne recepisce i limiti di tutela, non potendo essere invocata per garantire l'equa riparazione per l'eccessiva durata dei processi, come quelli tributari, non rientranti nell'ambito della Convenzione stessa. Invero, non mancano segnali di un possibile revirement interpretativo. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha, infatti, in diverse occasioni ritenuto applicabili le garanzie del giusto processo a controversie aventi ad oggetto sanzioni di natura tributaria (caso Janosevic contro Svezia; Vastberga taxi contro Svezia entrambe del 23 luglio 2002 ; Bendenoun contro Francia del 24 febbraio 1994, caso Iussila contro Finlandia 23 novembre 200620) ovvero l’esercizio dei poteri di accesso presso abitazioni private (Ravon contro Francia del 21 febbraio 200821). dovrebbe comunque contribuire a chiarire la portata di una norma che, per sua stessa formulazione, pare idonea a comprendere il contenzioso tributario nella sua totalità 20 Con riferimento al caso Iussila, la Corte riconosce il diritto alla prova testimoniale ed al contraddittorio con riguardo a giudizi aventi ad oggetto accertamento di imposta e irrogazione di sanzioni. In dottrina, cfr. GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell‟applicazione Cedu (il caso Iussila) in Rass. trib., 2007, 216; CASTELLANETA, Più tutele nel processo fiscale, in Il Sole24ore 8 dicembre 2006. 21 Su tale pronuncia, cfr. GREGGI, Il giusto procedimento nel diritto tributario europeo, in L’attuazione del diritto tributario europeo, a cura di TASSANI, Roma, 2009, 187, secondo cui la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel riconoscere l’applicabilità dell’art. 6 alla materia delle verifiche fiscali, ha impresso “all’art. 6 della CEDU un potenziale applicativo prima non ipotizzabile, di fatto non solo confermandone l’applicazione alla materia tributaria, come si è visto, fino al 2001 esclusa) ma addirittura anticipandone la tutela a una fase preprocessuale”. 12 Sul piano interno, la Corte di Cassazione22, pur ritenendo inapplicabili le disposizioni in materia di equa riparazione di cui alla legge 89, cit., ha affermato che il principio costituzionale di ragionevole durata si applica anche nel processo tributario, rivolgendosi al legislatore ordinario nell’adozione di adeguati strumenti normativi, al giudice, nell’interpretazione delle norme processuali e in funzione acceleratoria e alle parti le quali nel loro agire con responsabilità e collaborazione. Ancora la Cassazione ha aperto alcuni spiragli ammettendo che la legge Pinto possa trovare applicazione anche per i giudizi di ottemperanza davanti alle Commissioni tributarie in quanto riguardanti pretese civili del contribuente che non investono la determinazione del tributo23 ovvero per quelli riguardanti crediti di imposta non contestati nella loro esistenza24 o rimborsi di imposte indebitamente pagate25. La Corte Costituzionale26, inoltre, pur ritenendo non fondate le eccezioni di costituzionalità sollevate con riguardo alle disposizioni in materia di proroga dei termini di impugnazione a favore dell’amministrazione finanziaria, ha ammesso che il principio della ragionevole durata possa comunque operare in materia tributaria, pur se contemperato con il complesso delle garanzie costituzionali rilevanti nel processo stesso. La stessa Corte27 ha ripetutamente invitato il legislatore ordinario ad adottare tutti provvedimenti idonei (anche di 22 Sent. 24 gennaio 2007, n. 1540, in Il civilista, 2009, 10, 46. Cass. 15 luglio 2008, n. 19367. 24 Cass. 7 marzo 2007, n. 5275. 25 Cass. 1° dicembre 2005, n. 26211. 26 Corte cost. 27 febbraio 2009, n. 58 in Giust.civ., 2009, I, 1492. 23 13 natura diversi da quelli aventi ad oggetto strumenti indennitari) che possano dare piena attuazione al principio della ragionevole durata del processo, proprio traendo argomenti dalla premessa che il principio della durata ragionevole si estenda a qualunque tipo di giudizio, sia ordinario che speciale28. Non può tuttavia tacersi che le limitazioni applicative della legge Pinto, rivenienti dalla sentenza Ferrazzini, destano perplessità proprio perché confliggono con la configurazione della ragionevole durata come imperativo a carattere generale rivolto al legislatore come a qualunque altro soggetto del processo. Preferibile appare quindi una lettura della vigente disciplina in materia di durata ragionevole costituzionalmente orientata volta cioè ad ammetterne l’applicazione a qualunque tipo di giudizio compreso quello tributario. In questo senso, sembra deporre sia la disciplina del decreto incentivi citato (art. 2-bis, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge 22 maggio 1010, n. 73), sia l’art. 3, terzo comma, l. 89, cit. come modificato dall'articolo 1, comma 1224 della Legge Finanziaria 2007, secondo cui, nei giudizi diversi da quelli ordinari e militari, il ricorso “è proposto nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze”29. 27 Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, Ancora GALLO, Verso un giusto processo, cit., 20 per il quale, alla luce del principio di cui all’art. 111, Cost., la Corte Costituzionale “dovrebbe indagare la congruenza delle norme oggetto di tutela <differenziata> rispetto ai principi del giusto processo, partendo dal presuppo sto che tali principi hanno ormai una valenza innovativa e un riconoscimento costituzionale esplicito e diretto non più <deducibile> da altre disposizioni di pari rango”. 29 Ritiene che tale disposizione possa essere intesa come espressione della volontà del legislatore di superare l’interpretazione restrittiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, GIOVANNINI, Giustizia e giustizia tributaria (riflessioni brevi sul giusto processo), in Rass. 28 14 Non sembra quindi possa essere condivisa l’interpretazione secondo cui la legge Pinto, definendo le modalità di determinazione dell’equa riparazione in caso di durata irragionevole secondo la disciplina CEDU, non possa trovare applicazione nei giudizi tributari avendo la Corte di Strasburgo ritenuto estranea alla sfera applicativa dell’art. 6 la materia tributaria. Come è noto, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Ferrazzini citata, ha affermato la non riconducibilità dei giudizi tributari tra le questioni concernenti diritti e obbligazioni civili e quindi nella sfera applicativa dell’art. 6 CEDU in considerazione del carattere autoritativo del prelievo e della natura “pubblica” delle obbligazioni tributarie. Afferma la Corte di Strasburgo: “the existence of an individual‟s tax obligation vis-à-vis the State belonged, in their submission, exclusively to the realm of public law. That obligation was part of the civic rights imposed in a democratic society and the purpose of the specific provisions of public law was to support national economic policy”30. Come precisato altresì dalla Corte europea, la materia trib., 2011, 277 per il quale “la disposizione del comma 2 bis è ormai parte integrante dell’ordinamento positivo e la sua forza orientativa sul piano ermeneutico è indiscutibile all’evidenza. E siccome la sua formulazione abbraccia qualsiasi tipologia di lite, comprese quelle riconducibili al rapporto tributario strettamente inteso, neppure le tradizionali argomentazioni della Corte di Cassazione sull’equo indennizzo, tutte incentrate sull’oggetto della controversia, ne potranno arginare forza orientativa ed effetti applicativi consequenziali, ad iniziare, per l’appunto, dalla risarcibilità del danno per la durata irragionevole delle liti”. 30 Osserva ancora la Corte di Strasburgo: “the applicant, for his part, stressed the pecuniary aspect of his claims and contended that the proceedings accordingly concerned “civil rights and obligations”. As it is common ground that there was a “dispute (contestation)”, the Court‟s task is confined to determining whether it was over “civil rights and obligations”. According to the Court‟s case-law, the concept of “civil rights and obligations” cannot be interpreted solely by reference to the domestic law of the respondent State”. Nel richiamare altri precedenti (König v. Federal Republic of Germany judgment of 28 June 1978, Series A no. 27, pp. 29-30, §§ 88-89, and the Baraona v. Portugal judgment of 8 July 1987, Se- 15 fiscale è, quindi, una prerogativa di diritto pubblico, attraverso la quale lo Stato esercita la propria potestà impositiva nei confronti del singolo contribuente come dell’intera collettività. Il contenzioso tributario, pertanto, non rientrerebbe nell'ambito dei giudizi per i quali si rende operante la garanzia del giusto processo in quanto la prestazione tributaria, sebbene patrimoniale, non ricadrebbe tra i “diritti e obbligazioni di natura civile” di cui al citato art. 6 CEDU. Orbene, tali affermazioni non sembrano corrette31 non solo alla luce della ricostruzione del rapporto d’imposta da parte della dottrina tributaria italiana32 e quindi del dovere di contribuzione33 ma soprattutries A no. 122, pp. 17-18, § 42),la Corte “considers that any other solution is liable to lead to results that are incompatible with the object and purpose of the Convention (see, mutatis mutandis, the König judgment cited above, § 88, and Maaouia v. France [GC], no. 39652/98, § 34, ECHR 2000-X). Pecuniary interests are clearly at stake in tax proceedings, but merely showing that a dispute is “pecuniary” in nature is not in itself sufficient to attract the applicability of Article 6 § 1 under its “civil” head (see the Pierre-Bloch v. France judgment of 21 October 1997, Reports of Judgments and Decisions 1997-VI, p. 2223, § 51, and Pellegrin v. France [GC], no. 28541/95, § 60, ECHR 1999-VIII, cf. the Editions Périscope v. France judgment of 26 March 1992, Series A no. 234-B, p. 66, § 40). In particular, according to the traditional case-law of the Convention institutions, “There may exist „pecuniary‟ obligations vis-à-vis the State or its subordinate authorities which, for the purpose of Article 6 § 1, are to be considered as belonging exclusively to the realm of public law and are accordingly not covered by the notion of „civil rights and obligations‟. Apart from fines imposed by way of „criminal sanction‟, this will be the case, in particular, where an obligation which is pecuniary in nature derives from tax legislation or is otherwise part of normal civic duties in a democratic society” (see, among other authorities, the Schouten and Meldrum v. the Netherlands judgment of 9 December 1994, Series A no. 304, p. 21, § 50; application no. 11189/84, Commission decision of 11 December 1986, Decisions and Reports (DR) 50, p. 121, at p. 140; and application no. 20471/92, Commission decision of 15 April 1996, DR 85, p. 29, at p. 46). 31 Così PERRONE, Diritto tributario e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, in Rass.trib., 2007, p680, il quale, nel sottolineare “l’antistorica convezione autoritativa del rapporto Fiscocontribuente”, osserva che “un approccio del genere determina, di fatto, un’evidente ed irrazionale diminutio delle garanzie che un ordinamento democratico dovrebbe riconoscere a quanto sono coinvolti, a vario titolo, in procedimenti aventi carattere giurisdizionale”. 32 Si veda per tutti D’AMATI, Diritto tributario, Teoria e critica, Torino, 1985. 33 Si veda al riguardo GALLO, Verso un giusto processo, cit.,13 il quale, nel criticare la tesi della Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorda che, nel nostro ordinamento, “il fondamento 16 to alla luce dei lavori preparatori della convenzione34. Questi ultimi evidenziano, infatti, l’intento degli estensori di escludere solo le controversie aventi ad oggetto situazioni soggettive di interesse legittimo, scaturenti dall’esercizio di poteri discrezionali da parte delle Pubbliche amministrazioni (tra le quali non possono essere ricondotte quelle fiscali in forza della natura vincolata della funzione impositiva). Negli stessi lavori, non emerge affatto la volontà di escludere le controversie fiscali, a fronte dell’intento di espandere la sfera applicativa di una garanzia riferita alla funzione giurisdizionale in senso ampio. Conforta quanto osservato la stessa giurisprudenza della Corte in materia di prestazioni parafiscali quali quelle previdenziali per le quali la natura “civile” viene riconosciuta sia alla luce del contenuto economico-patrimoniale della prestazione (vedi sentenza Van Dijk and Van Hoof), sia della nozione di diritti civili contrapposta a quella di diritto non civili (diritti politici, ad esempio) (sentenza Editions Periscope contro Francia del 26 marzo 1992 ove una controversia avente ad oggetto il disconoscimento di un regime fiscale agevolativo è stato del concorso alle pubbliche spese è individuabile non più nella situazione di sottomissione al potere sovrano ma nel dovere di contribuzione, riconducibile a sua volta ai doveri di solidarietà e di cooperazione, a fronte dei quali ci sono solo un potere vincolato (e quindi non discrezionale) dell’amministrazione finanziaria a normatività depotenziata e, in sede contenziosa, un diritto soggettivo del provato negatorio della pretesa tributaria. Un diritto perciò, che – indipendentemente dal significato più o meno circoscritto che si vuole attribuire al termine civil nel testo autentico inglese o al termine de caractere civil in quello autentico francese ben può essere ricompreso tra i diritti civili oggetto delle controversie cui si applica l’art. 6 (…)”. Continua ancora l’A. “sembrano, invece, definitivamente superate quelle tesi, riecheggiate dalla Corte di Strasburgo, che considerano oggetto della tutela giurisdizionale un interesse legittimo e, perciò, un diritto soggettivo degradato dall’esercizio del potere di supremazia”. 17 compreso nella sfera applicativa dell’art. 6 Cedu). Va poi ricordato che le altre garanzie che si collegano al giusto processo come quella dell’indipendenza e imparzialità del giudice vengono pienamente riconosciute con riguardo alla materia tributaria35. A ciò va aggiunto poi che, se come affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’espressione “diritti e obbligazioni di carattere civile” va interpretata non alla luce del diritto interno dei singoli stati ma attraverso le norme di carattere internazionale, non può tacersi che negli artt. 10 e 11 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle nazioni unite il 10 dicembre 1948 a 34 Cfr. FOCARELLI, Equo processo e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, Padova, 2001; TAMINITI, La nozione di diritti e obbligazioni di carattere civile ai sensi dell‟art. 6 della convenzione europea dei diritti dell‟uomo, in Documenti giustizia, 2000, 125. 35 Come chiarito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 2 settembre 1998, Lauko c. Slovacchia n. 26138/95), l’indipendenza dell’organo giudicante deve valutarsi in relazione alle persone che lo compongono, a fronte sia del potere esecutivo che delle parti in causa. Tale valutazione dovrà essere compiuta sulla base delle regole di designazione del giudice, sulla durata del mandato e dalle garanzie contro pressioni ed interferenze esterne. sent. 30 marzo 1993. Con riguardo all’imparzialità, la Corte di Giustizia delle Comunità europee (Corbiau, C24/92, Rec., 1993, I, 1277), ha affermato che essa ricorre quando il giudice assume una posizione di estraneità rispetto alla parte che ha adottato la decisione impugnata . Il diritto ad un giudice indipendente e imparziale trova ulteriore conforto nell’art. 13, CEDU (Diritto ad un ricorso effettivo) in base al quale “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”. Se l’applicabilità dell’art. 6 Cedu, alla materia fiscale è stata esclusa dalla Corte europea (cfr. sentenza Ferrazzini, citata in precedenza), non sorgono dubbi sull’applicabilità dell’art. 13, Cedu al processo tributario (in questo senso, MALHERBE, Il giusto procedimento in materia fiscale: principio generale ovvero garanzia nell‟ambito dell‟armonizzazione, in Atti del convegno di Bologna 28-28 ottobre 2005 “Per una costituzione fiscale europea” (trad. it. di MODOLESI), 13, secondo cui “è incontestabile che l’art. 13 Cedu sia applicabile in materia tributaria, se un individuo contesta la validità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria. Il primo articolo del protocollo addizionale n. 1 alla Cedu garantisce il diritto di chiunque, al rispetto dei propri beni e, dunque, al rispetto dei propri diritti di proprietà. Ne deriva, secondo il nostro parere che qualsiasi forma di attuazione del tributo possa potenzialmente rientrare nel campo di applicazione dell’art. 13 della Cedu, in quanto finalizzato a privare del possesso una persona – fisica o morale – di un bene che gli appartiene 18 cui si ispira la stessa disciplina europea, viene affermato il diritto di ogni individuo ha “ad un‟equa e pubblica udienza al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”36 e che nell’art.8 della convenzione interamericana sui diritti umani adottata in S. Josè d Costarica il 22 novembre 1969, i principi del giusto processo vengono espressamente riferiti alle controversie di qualsiasi natura (civile, fiscale, di lavoro, ecc.). Conclusivamente, si può ritenere che siano ormai maturi i tempi perché possa essere superata l’interpretazione minimalista e restrittiva in ordine all’applicazione del principio di ragionevole durata dei processi alle controversie tributarie accolta dalla Corte europea e recepita da quella interna con riguardo all’equa riparazione di cui alla legge Pinto37. La preoccupazione di natura politica in ordine al numero ed all’entità degli indennizzi da pagare ai contribuenti italiani38 coinvolti – normalmente il denaro”. 36 La norma è poi ripresa dall’art. 14 del patto internazionale sui diritti politici e civili approvato il 16 dicembre 1966 New York che adopera l’espressione rights and obligations nel senso di diritti e di doveri. 37 Così PERRONE, Diritto tributario e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, cit., 690, il quale auspica che il legislatore domestico, “ancorché guidato dalla necessità di dare piena attuazione al principio di sussidiarietà fra l’ordinamento interno e quello internazionale, fra l’ordinamento interno e quello internazionale, introduca nel primo una disposizione di garanzia il cui ambito di applicazione sia più ampio di quello che caratterizza la norma convenzionale.” Così anche PODDIGHE, Giusto processo e processo tributario, cit., 162, per il quale “ non si può escludere che il singolo Stato contraente possa prevedere una maggiore tutela rispetto a quella riconosciuta dalla CEDU che ha l’obbiettivo della costruzione di uno spazio europeo di valori condivisi fissando standars minimi. In secondo luogo, il richiamo dell’art. 6 sembra limitato al solo profilo del termine ragionevole. La legge Pinto, inoltre, prima di attuare la Cedu attua quanto disposto nell’ultima parte del secondo comma dell’art. 111 della costituzione”. 38 Così la relazione del presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo Wildhaber nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario (25 gennaio 2000) 19 in giudizi troppo lunghi39 non può condizionare la lettura delle norme e meno che mai può fare perdere di vista la ratio che le ispira40. L’auspicio è che le garanzie di cui all’art. 111, Cost. possano trovare piena applicazione anche nel sistema della giustizia tributaria e che i tempi, già abbastanza celeri, dei giudizi scongiurino un ampio accesso agli istituti protettivi della legge Pinto. Antonio Uricchio (ordinario di diritto tributario. Università degli studi “Aldo Moro” di Bari). 39 Tale preoccupazione aveva indotto il legislatore ad adottare il d.l. 11 settembre 2002, n. 20, attraverso il quale l’applicazione della legge Pinto veniva escluso espressamente nei casi di procedimenti tributari rilevanti penalmente. Tale disposizione veniva espunta in sede di conversione del decreto nella consapevolezza della sua illegittimità costituzionale. 40 In senso diverso, BARBAGALLO, Durata dei giudizi tributari: principi costituzionali, responsabilità sopranazionale dello stato e leggi interne sull‟indennizzo, in La giustizia tributaria italiana e la sua Commissione centrale, a cura di PALEOLOGO, Milano, 2005, 147 il quale conclude per la non applicabilità dei principi della ragionevole durata al processo tributario visto che “la disposizione di cui all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede che la legge assicura la ragionevole durata del processo, va intesa come norma precettiva soltanto in connessione con l’art. 6, I comma, della Convenzione. Essa, cioè, è attributiva di un diritto alla persona che può essere fatto valere immediatamente nei confronti dello Stato, soltanto nel limite in cui tale diritto è riconosciuto dall’art. 6, primo comma, della Convenzione”. 20