Alcune riflessioni introduttive
«Un documento – scriveva Marc Bloch nel   – è come un testimone:
non parla che quando lo si interroghi. E la difficoltà consiste nello stabilire il questionario». Nel caso della famiglia in particolare fanno difetto in
primo luogo le fonti e, quando esse ci sono (frammenti sfilacciati, veri e
propri brandelli prodotti con finalità diverse da quelle per cui le adoperiamo) e cerchiamo di farle combaciare, o di interrogarle, danno risposte
non solo parziali, ma spesso non generalizzabili. È ovvio che la tomba di
un guerriero longobardo della fine del VI secolo getta luce sugli usi e sulla
mentalità della popolazione longobarda prima dell’integrazione con i Romani, in particolare sul culto dei morti, sull’abbigliamento, sulle tecniche
di combattimento, ma appare arbitrario estrapolare da quel singolo corredo funebre un costume di sepoltura comune a tutti i combattenti, dal momento che quel corredo rispecchia il ceto sociale di quel guerriero. Ugualmente il diario di un mercante del XV secolo ci introduce nella famiglia di
quel mercante, una famiglia più o meno numerosa, più o meno ricca, più
o meno politicamente potente, inserita in una particolare realtà urbana, ma
quanto esemplificativa della classe mercantile di quella città, e quanto
estensibile e generalizzabile a famiglie mercantili di altre città italiane?
Una storia della famiglia medievale sembrerebbe possibile attraverso lo studio e la descrizione di singoli casi; ma questi medaglioni, per
quanto ben documentati e ricchi di particolari, non necessariamente riflettono la struttura familiare più diffusa, anche se possono rappresentare un piacevole e virtuoso case study; basta ricordare Marziale (Epigrammata, I, ):
Petit Gemullus nuptias Maronillae
et cupit et instat et precatur et donat.
Adeone pulchra est? Immo foedius nil est.
Quid ergo in illa petitur et placet? Tussit.
. M. Bloch, Lavoro e tecnica, p. .

FAMIGLIA E ISTITUZIONI NEL MEDIOEVO ITALIANO
Infatti, la singola famiglia, dal momento in cui si forma fino a quando si
scioglie, conosce cicli di sviluppo quanto mai vari e articolati: può nascere come nucleare semplice, può avere o non avere figli, può diventare una nucleare allargata verso l’alto, lateralmente, verso il basso, e anche una multipla a più nuclei; può ritornare una nucleare semplice, e
concludere il suo ciclo vitale nel gruppo degli isolati. Ebbene, proprio
per l’imprevedibilità e per la casualità di questo processo la storia di una
singola famiglia non è estensibile banalmente a famiglie della stessa fascia sociale, residenti nello stesso luogo, con una base economica simile.
Tuttavia, al di là dell’individualità e dell’unicità delle esperienze familiari , una riflessione che incroci la struttura dei nuclei familiari con la
condizione economica, politica, culturale e sociale di quelle famiglie, limitatamente a una certa epoca, e a una certa zona, potrebbe portare alla luce alcuni elementi di fondo che sembrano incanalare e condizionare i modelli di famiglia. La struttura familiare, infatti, appare influenzata da una pluralità di elementi sia demografici sia economico-politicoculturali, quali per esempio il tasso di mascolinità, l’età al matrimonio,
sistemi di successione e di emancipazione, la professione, la consuetudine al servizio domestico, i rapporti con il potere..., i quali, opportunamente richiamati, consentono di evidenziare le trasformazioni degli aggregati domestici. Ma ogni classificazione, per quanto articolata, si rivelerà sempre insufficiente e insoddisfacente, non riuscendo a comprendere le numerose e singole varianti, a meno che partiamo dal presupposto che le risposte alle nostre domande sulle strutture familiari potranno
essere accolte solo a condizione di parlare di modelli flessibili, pluralità
di modi di formazione, tendenze. E questo vale non solo per l’età medievale, ma anche per secoli più vicini a noi. Marzio Barbagli, per esempio,
ha individuato almeno tre modelli familiari nell’Italia fra Settecento e
Ottocento, dimostrando anche che nell’area italiana non c’è relazione, a
differenza di altre aree europee, tra formazione delle strutture familiari
ed età al matrimonio, tra servizio domestico in età prematrimoniale e residenza neolocale, tra età al matrimonio e residenza neolocale . Lo stesso autore mostra come l’età al matrimonio vari in ragione delle responsabilità attribuite alla donna nella formazione della base economica della nuova famiglia; e già Yver, Flandrin, Segalen, Radcliffe-Brown hanno
considerato la diversa posizione della donna per spiegare le differenze
tra Francia del Nord, dove prevale un diritto egualitario tra i figli, e Francia del Sud, dove il regime dotale si accompagna al lignaggio. Anche le
. Cfr. R. Bizzocchi, In famiglia; C. Casanova, La famiglia in età moderna.
. Cfr. M. Barbagli, Tre modi di formazione; Id., Sotto lo stesso tetto.

ALCUNE RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
più recenti tipologie classificatorie della famiglia, elaborate dal Cambridge Group for Population Studies, sembrano insufficienti a inquadrare le diverse forme di famiglia, eppure a queste bisogna continuare a
riferirsi per avere una base di dati comuni su cui confrontarsi .
“Famiglia”, inoltre, è un termine generico; infatti, il soggetto “famiglia” preso in esame dal punto di vista demografico è in genere la coppia,
mentre quando consideriamo gli aspetti sociale ed economico della stessa “famiglia”, il punto di osservazione si allarga dalla coppia alla famiglia,
dal parentado alla parentela. Se consideriamo però il contesto politico, il
soggetto “famiglia” si dilata necessariamente a comprendere la consorteria, ovvero il gruppo di consorti, imparentati fra loro in maniera più o
meno stretta, grazie in genere ai rapporti di sangue e di affinità, e la fazione: un corpo ancora più numeroso che coagula famiglie di ceti diversi, collegate da rapporti di patronato, di padrinato, o semplicemente di
vicinia, di parrocchia.
Tracciare una storia della famiglia medievale, allora, significa non limitarsi a ricercarla nelle pagine dei testi agiografici, nel marmo delle lapidi sepolcrali, nei dipinti conservati nei musei, nei ricchi catasti quattrocenteschi che la fissano in un particolare momento del suo ciclo di vita, ma cercare di capire di volta in volta gli elementi che più l’hanno condizionata e indirizzata, e soprattutto capire “come” e “perché”.
La famiglia è cambiata nei dieci secoli di Medioevo perché si è dovuta adattare a particolari situazioni: ad esempio, le dominazioni straniere hanno prodotto notevoli alterazioni nel tessuto economico e sociale; e,
se le guerre hanno svuotato, anche se solo temporaneamente e per brevi
periodi, le famiglie, le pestilenze hanno spinto a nozze precoci i sopravvissuti di entrambi i sessi, mentre le carestie hanno costituito un freno al
matrimonio . La famiglia, infatti, non è un soggetto passivo ma, per usare un’espressione di Giovanni Levi, «risponde» alle pressioni dell’ambiente, attua una strategia per adattarsi alle nuove situazioni. E questo
adattamento non è solo contingente e temporaneo, perché fra crescita demografica e situazione economica c’è un’interdipendenza tale – basti
pensare al peso della contrattualistica agraria – da condizionare non solo
certe scelte, quali la residenza dopo le nozze, il numero dei figli, l’età al
matrimonio, il celibato, ma da provocare anche adattamenti a livello fisico (è provato che le età del menarca e della menopausa sono legate alle
. Sono stati proposti quattro tipi: nord-occidentale, caratterizzato da residenza neolocale e alta età al matrimonio; occidentale-centrale ove predomina la famiglia-ceppo; mediterraneo: al neolocalismo si accompagna la bassa età al matrimonio della donna; orientale: grandi famiglie congiunte di servi della gleba.
. Cfr. L. Tittarelli, La scelta del coniuge, p. .

FAMIGLIA E ISTITUZIONI NEL MEDIOEVO ITALIANO
condizioni di benessere della popolazione) e mentali (come mostra il lungo intervallo di tempo fra le nascite delle popolazioni nomadi) .
Ma la famiglia è cambiata anche per scelte interne, volute e consapevolmente indirizzate dagli stessi membri allo scopo di tutelarne, attraverso la protezione economica, la stessa esistenza; pensiamo a come
si sono modificate le regole di emancipazione fra Tre e Quattrocento (e
ciò si era già verificato nel tardo impero, da Costantino a Giustiniano);
pensiamo alla scomparsa del dono maritale, alla monetizzazione ed alla
riduzione della dote, attuate nel XII secolo per avere mano libera sul patrimonio e sul capitale, o alla diffusione del fedecommesso tra le famiglie aristocratiche del XVI secolo: strumenti rivolti all’irrobustimento
economico della famiglia in vista anche del suo potenziamento politico.
Ovviamente, quando si parla di famiglie bisognerebbe da subito distinguere le poche ricche famiglie dalla folla delle famiglie miserabili; anche
a livello di struttura i cambiamenti sono più sensibili e macroscopici nelle poche famiglie del ceto dirigente, per le quali anche disponiamo di più
fonti, mentre per le altre sembra di poter individuare un lungo monotono percorso entro i binari di una struttura rigidamente nucleare, con pochi, pochissimi figli conviventi. Sarebbe errato estendere i numerosi figli dei mercanti fiorentini alle classi sociali inferiori, dove la precocità alle nozze non sembra accompagnarsi ad un numero alto di figli, anche
perché le cattive condizioni alimentari favoriscono l’anticipazione della
menopausa, l’allattamento prolungato combinato con la malnutrizione
funziona da contraccettivo e l’intensità delle gravidanze è comunque bilanciata da un’alta mortalità infantile .
«Se le variazioni di popolazione possono essere considerate il più importante fattore di mutamento sociale, purché si distinguano sempre le situazioni in cui i fattori demografici sono determinanti da quelle in cui non
lo sono» , per questo stesso motivo non sembrano particolarmente pertinenti alla storia della famiglia il metodo regressivo-comparativo brillantemente inaugurato da Frazer alla fine del secolo scorso e neppure i più recenti confronti astorici prodotti dall’antropologia , in quanto non danno
informazioni utili per scoprire le sollecitazioni che hanno provocato i mu-
. Cfr. P. G. Solinas, Popolazioni e sistemi sociali, pp. , .
. M. W. Flinn, Il sistema demografico, sottolinea il breve periodo fertile della donna: circa  anni.
. L’osservazione di Le Roy Ladurie è citata da P. Burke, Sociologia e storia, p. .
. Osserva giustamente Clavero a proposito di diritto e religione nel contesto del lignaggio: «Oggi la storiografia preferisce ricorrere ad antropologie estranee non solo a noi,
ma anche all’umanità di quell’epoca. Da una identificazione dello storico col suo oggetto, in seguito alla quale questo perdeva la sua identità, siamo passati a una proiezione di

ALCUNE RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
tamenti delle strutture familiari, ma permettono di conoscere solo alcune
sopravvivenze. Pochi esempi: regime della proprietà e norme di trasmissione della terra sono stati assunti come elementi determinanti nell’individuazione dei modelli demografici per l’età medievale e moderna, ma un
confronto recente tra famiglie di boari, mezzadri e braccianti nel contado
bolognese, nell’Ottocento, ha mostrato come la struttura familiare non
fosse condizionata, almeno in quel periodo e in quella zona, dalla proprietà dei mezzi di produzione . Non la quantità di terra in proprietà, ma
il numero degli animali posseduti, come già aveva rimarcato Giorgio
Giorgetti, sembra segnare uno spartiacque nel mondo contadino . E tali
differenze sono state rilevate anche per i contadini di città della Pisa del
primo Quattrocento; mentre Delille, esaminando le famiglie di massari locatari e piccoli proprietari nella Puglia del XVI secolo, conclude: «le diverse relazioni giuridiche con la terra non influiscono sull’organizzazione
familiare» . Eppure Menzione per il Valdarno pisano del XVII secolo nota che le famiglie dei mezzadri e dei proprietari coltivatori, pur avendo la
stessa ampiezza, non presentano la medesima struttura, prevalendo fra i
contadini i legami verticali e fra i mezzadri quelli orizzontali; e la stessa
Umbria mezzadrile ha recentemente svelato, tra le famiglie mezzadrili,
modelli di matrimonio diversi : gli agganci fra strutture familiari e proprietà della terra non sono perciò sempre evidenti, né costanti.
Una ricerca pubblicata nel lontano  portò alla luce come alla
presenza o meno dello “stato”, ovvero di un’autorità centralizzata con
un apparato amministrativo e giudiziario, si possano ricondurre forme
diverse nelle organizzazioni delle società africane, basate ora su relazioni personali e parentali (Boscimani e Nuer), ora su un’organizzazione
politico-territoriale (Zulu). La stessa ricerca rileva anche differenze tra
Boscimani e Nuer, differenze che sembrano legate alle diverse condizioni ambientali in cui vivevano e al fatto che praticavano economie diverse: gli uni cacciatori, gli altri anche pastori e pescatori . La presenza delquel che si considera immediatamente come alieno, in seguito alla quale gli si infonde
un’identità esotica, senza ottenere con ciò altro che la conferma del fatto che quell’umanità non è la nostra» (B. Clavero, Dictum Beati, p. ).
. Cfr. L. Ferrante, Strutture o strategie?, pp. -, a proposito di alcune analisi di
Marzio Barbagli.
. G. Giorgetti, Contadini e proprietari, p. .
. G. Delille, “Massari” et “braccianti”, pp. -, p. ; cfr. G. Petralia, A proposito di strutture familiari.
. A. Menzione, Proprietari, contadini, comunità rurali; L. Tittarelli, La scelta del coniuge.
. M. Fortes, E. E. Evans-Pritchard, African Political Systems; cfr. poi anche le osservazioni di L. Li Causi, Uomo e potere.

FAMIGLIA E ISTITUZIONI NEL MEDIOEVO ITALIANO
l’organizzazione statale e le sue caratteristiche andranno tenute presenti e valutate caso per caso, per meglio individuare i modi di interferenza
con le strutture familiari; l’esistenza dei clan scozzesi, per esempio, è stata collegata alla presenza di un governo regio debole, che lasciava spazio
a organizzazioni parentali robuste.
Inoltre, i costumi familiari sono stati profondamente influenzati, se
non plasmati, dalla Chiesa, che spesso trovò per questo fine un prezioso alleato nello Stato. L’uso di partecipare le nozze e di festeggiarle con
parenti e amici, allo scopo di legittimare le unioni e di impedire il concubinato, fu un espediente creato dalla Chiesa e reso obbligatorio fin
dal Concilio di Laodicea del , riconfermato da quello di Arles del 
(publicis nuptiis publica manifestare) e richiamato anche da Pier Damiani («sacri canones prohibent ut absque publicis nuptiis numquam
matrimonium copuletur»), ma pubblicità, consenso, indissolubilità dell’unione non comportarono per tutto il Medioevo la presenza del sacerdote, o la celebrazione del rito nuziale in chiesa . Alla dottrina della Chiesa invece fecero da subito riferimento le autorità civili; già l’imperatore Probo (fine III secolo), poi Teodosio II e Valentiano III ()
consideravano valido solo il matrimonio fatto con il consenso dei contraenti e alla presenza di amici, mentre alcuni secoli dopo il re Liutprando adattava tale prescrizione alle tradizioni longobarde, stabilendo
che la consegna della scrittura di morgengabe alla sposa avvenisse alla
presenza di «amici e parenti» .
E sarebbe stata ancora la Chiesa, che sosteneva fortemente la monogamia, l’indissolubilità del matrimonio, la consensualità alle nozze, a
restringere il campo della parentela entro cui si potevano contrarre le
unioni. A partire dal Concilio di Neocesarea () avrebbe vietato il matrimonio di una vedova con il cognato, cioè con il fratello del marito defunto, pratica in uso fino ad allora; mentre nel VI secolo estese il divieto
delle nozze ai parenti di secondo grado, nel VII secolo al terzo grado secondo il computo germanico e nei Concili del ,  e  portò la proibizione dal quarto al settimo grado ; e a questi limiti aggiunse le proibizioni per affinità e per parentela spirituale .
In un bel libro di un ventennio fa un antropologo, Jack Goody, leggeva in tale normativa la volontà della Chiesa di impadronirsi del patri-
. Cfr. P. Toubert, Les structures du Latium, pp. -, in particolare pp. -.
. A. Marongiu, Studi storici sulla famiglia, in particolare pp. -.
. Cfr. M. M. Sheehan, Sessualità, matrimonio, celibato e famiglia, p. ; Id., Marriage, Family and Law.
. Cfr. J. Gaudemet, Il matrimonio.

ALCUNE RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
monio di persone senza eredi prossimi, e poneva in evidenza come la
Chiesa avesse per questo scopo vietato il divorzio, le adozioni, le seconde nozze. Scriveva infatti:
Ostacolando certe strategie del diritto ereditario che avrebbero consentito la
continuazione di una discendenza familiare e cioè l’adozione, il matrimonio tra
cugini, il matrimonio plurimo e il concubinaggio, le unioni con affini o il matrimonio successivo per persone divorziate, la chiesa fu causa di ulteriori alienazioni delle proprietà familiari. I suoi insegnamenti esaltavano la famiglia elementare come il fattore più importante e la cosa aveva per conseguenza l’erosione dei diritti dei collaterali e dei gruppi parentali più ampi .
Un’ipotesi suggestiva, da non scartare a priori, anche se sembra difficile
riuscire ad individuare una comune politica ecclesiastica perseguita per
secoli da papi tanto diversi; tuttavia, anche i giuristi cattolici riconoscono la profonda influenza della Chiesa in particolare nelle pratiche successorie. Scrive per esempio Vismara:
Fonte di unità nello svolgimento storico dei patti successori, durante il Medioevo, fu la Chiesa che di questi istituti si era impossessata, subordinandoli al
conseguimento di una causa pia, e che proprio per questa finalità li aveva anche
introdotti nei diritti barbarici .
Consentiamo invece con Goody che questa legislazione ha segnato una
frattura tra l’Europa carolingia con il suo modello familiare bilateraleesogamico ed il mondo arabo, ove trionfa la “repubblica dei cugini”, caratterizzata da clan patrilineari endogamici e da una diffusa poliginia: ancora un esempio della validità della tesi pirenniana?
Eppure, gli interessi economici della Chiesa appaiono fortemente
tutelati dalle trasformazioni che subisce il testamento dell’età classica.
Infatti, tra II e III secolo d.C., viene ritenuto legittimo ogni atto per causa di morte anche se non conteneva l’heredis institutio, ma semplicemente codicilli, legati, donazioni mortis causa, fedecommessi; in questo
modo, trasformandosi «l’heredis institutio in un atto di natura eminentemente patrimoniale» , la Chiesa era riuscita a legittimare l’acquisizione dei beni che venivano donati per la salvezza dell’anima. Quanto ai di-
. J. Goody, Famiglia e matrimonio, p. . Il volume è stato oggetto di molte osservazioni, anche critiche, per le quali cfr. S. A. Epstein, The Medieval Family, pp.  ss.
. G. Vismara, Storia dei patti successori, p. ; Id., Le successioni ereditarie, p. ;
Id., La famiglia.
. Id., Le successioni ereditarie, p. .

FAMIGLIA E ISTITUZIONI NEL MEDIOEVO ITALIANO
vieti che disciplinavano il matrimonio fra parenti, questi hanno avuto, se
non il fine, certamente il risultato di corrodere i fondamenti della società
romana, e in genere delle società per ordini, con la creazione di un nuovo modello matrimoniale che contrastava le barriere di classe.
Se è vero che nell’Europa cattolica la Chiesa ha profondamente modellato le strutture familiari, vincolandole e irrigidendole all’interno di
una famiglia monogamica, caratterizzata, per usare le parole di sant’Agostino, da «proles, fides, sacramentum», cioè figli, fedeltà, unione permanente , non possiamo ignorare che le autorità civili affiancarono da
subito questo indirizzo della Chiesa, pur con posizioni non sempre nette
e con alcune eccezioni collegabili a esigenze di tipo politico. L’imperatore Giustino II, per esempio, ancora nel  riconosceva la possibilità di
divorziare; l’imperatore Costantino, che nel  aveva autorizzato i lasciti alla Chiesa, fece sposare quattro dei suoi figli con figli e figlie di uno
zio; ugualmente l’imperatore Claudio si era unito in matrimonio con la
nipote Agrippina, figlia del fratello, deliberando che uno zio poteva unirsi con la nipote se questa era figlia di un fratello e non di una sorella, per
aggirare il divieto di contrarre le nozze entro il sesto grado incluso. È evidente che in questo caso la ragione politica e l’esigenza di consolidare il
potere infrangevano senza timori una recente disposizione della Chiesa . Come già rilevava Sergio Roda,
la carenza, la non sempre limpida perspicuità, la contraddittorietà delle fonti legislative imperiali e dall’altro il silenzio persistente della documentazione canonica sui matrimoni fra parenti dagli inizi del IV secolo agli inizi del VI secolo impediscono di individuare i processi di svolgimento del tema in campo laico e in
campo ecclesiastico e di vederne le interferenze ;
tuttavia le fonti rimaste testimoniano che, durante il basso impero, la
proibizione delle unioni fra consanguinei si arrestava, in linea collaterale, al terzo grado, mentre il divieto delle nozze tra cugini primi, già emanato da Teodosio, e confermato nel  da Onorio in Occidente e da Arcadio in Oriente, fu, successivamente, abolito dal medesimo Arcadio, rimanendo perciò in vigore nel solo impero di Occidente. L’indagine di
Roda, incentrata sulle nozze fra cugini germani, è importante perché da
. J. Gaudemet, L’Église dans l’empire romain, p. . Sant’Agostino si dichiara contrario al matrimonio fra cugini, osteggiato anche dai Romani perché impediva la moltiplicazione dei legami e delle alleanze interfamiliari.
. M. Corbier, Les comportements familiaux, p. , individua una consapevole strategia dinastica nel matrimonio fra Claudio e Agrippina; cfr. anche Ead., La costruzione
della parentela.
. S. Roda, Il matrimonio fra cugini germani, p. .

ALCUNE RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
un lato mette in evidenza che, in mancanza di legislazione da parte della Chiesa, era il potere laico che legiferava sul matrimonio, comminando
addirittura la pena capitale per i disobbedienti, dall’altro porta alla luce
la presenza di una normativa differente tra le due parti dell’impero: in
Occidente, infatti, la persistenza del divieto, per quanto temperata dalla possibilità di ricorrere all’imperatore, si rintraccia anche in una lettera conservata nel corpus delle Variae di Cassiodoro, a cavallo perciò tra
IV e V secolo. La differente legislazione nelle due parti dell’impero viene
ricondotta da Roda sulla scia di Gaudemet non solo a condizioni sociali
diverse, ma all’influenza che hanno in Occidente personalità cristiane come Ambrogio e Agostino, che si prefiggevano, vietando questi matrimoni, di limitare il potenziamento delle grandi famiglie della nobiltà pagana che guidava l’opposizione al cristianesimo: ancora un esempio dell’influenza che la dottrina cristiana ha avuto sulle strutture familiari.
Nel  l’imperatore Giustiniano, che aveva conservato in Oriente la
liceità del matrimonio fra cugini primi, imponeva all’Italia la sua legislazione, una legislazione fondata sul diritto romano, ma un diritto romano snaturato per l’influenza del cristianesimo ; questa legislazione, che
non si affermò, però, nei suoi contenuti specifici neppure nelle aree bizantine dell’Italia, dove si elaborarono testi giuridici particolari, avrebbe introdotto, secondo Cammarosano, una specificità di rilievo, dal momento che
contiene una mutazione sostanziale rispetto al diritto romano classico, cioè l’integrazione nel sistema giuridico pubblico di tutto ciò che riguardava la religione e i suoi ministri, costituendo così un elemento di innovazione difficilmente
confutabile anche dalle visioni più continuiste del passaggio dal mondo antico
al Medioevo .
In realtà la penetrazione di norme di diritto cristiano nel diritto imperiale romano risale già al IV secolo. La ritroviamo nell’ultimo libro del
Codice teodosiano e in alcune parti del Corpus iuris civilis di Giustiniano, in particolare nel Codice e nelle Novelle; mentre le Pandette appaiono opera di carattere essenzialmente pagano, a parte le interpolazioni tarde apportate dai giuristi cristiani, quali per esempio le norme
riguardanti i monaci che sono tratte dalla regola di san Benedetto.
Quanto alla normativa sulla famiglia in particolare è stato osservato che
«il concetto di famiglia legittima che trova il suo fondamento nella sa. Sull’influsso cristiano nella legislazione imperiale cfr., oltre a Vismara, J. Gaudemet, L’Église et l’état, p. .
. P. Cammarosano, Nobili e re, pp. -.

FAMIGLIA E ISTITUZIONI NEL MEDIOEVO ITALIANO
cramentalità del matrimonio non è compreso ancora dai testi giustinianei» . Perciò, più che a un’influenza della legislazione giustinianea, che
in Italia non ebbe modo di affermarsi per l’arrivo dei Longobardi, si deve pensare piuttosto a un’influenza del Codice teodosiano, compilato nel
, che aveva avuto modo di diffondersi e radicarsi in particolare nel
periodo di dominio ostrogoto. Infatti, la coesistenza delle due popolazioni romana e ostrogota, essendo stati vietati i matrimoni misti, e vigendo la personalità del diritto, aveva consentito di mantenere l’integrità dell’ordinamento costituzionale romano originario, come mostrano anche i riferimenti contenuti nelle Variae di Cassiodoro; è stato invece definitivamente accertato che il cosiddetto Edictum Theodorici è
estraneo all’Italia, essendo stato compilato da Teodorico II, re del regno
visigoto di Tolosa .
Il particolare rapporto fra Chiesa e Stato, che si instaura da subito
in Occidente, porta l’autorità a legiferare sui matrimoni, almeno a partire dalla fine del VI secolo, in parallelo con la normativa ecclesiastica.
Nel  re Childeberto imponeva la pena di morte per il ratto della futura sposa e per chi si univa con la vedova del fratello, confermando un
recente sinodo () della Chiesa che aveva previsto la scomunica in caso di rapimento; mentre Pipino, in un breve, confermava le disposizioni ecclesiastiche in materia di gradi di parentela, estendendo il divieto
anche ai parenti acquisiti e ai parenti spirituali, e rendendo obbligatoria la pubblicità del matrimonio. Successivamente Liutprando vietava
il matrimonio tra persone legate da vincoli spirituali, riconoscendo valore al testamento come mezzo per le disposizioni pro anima, cioè per
i lasciti alla Chiesa fatti allo scopo di assicurarsi il Paradiso, mentre nel
 faceva propria la norma ecclesiastica che vietava il matrimonio di
un vedovo con la sorella della moglie, e di un celibe con la vedova di
un cugino.
Il potere laico perciò, al di là delle necessità contingenti e dei privilegi che riservava alle famiglie regia e ducali , sembra appoggiare la
Chiesa nei suoi tentativi di scindere i nuclei parentali, o comunque di circoscrivere gli imparentamenti allo scopo di tenere sotto controllo, attraverso il disciplinamento dei matrimoni, il potere politico ed economico
delle più importanti famiglie, e con il fine di impadronirsi dei loro beni,
dal momento che delle donazioni pro anima ne beneficiava la Chiesa ma,
in assenza di eredi legittimi entro il settimo grado, introitava il fisco re-
. M. Roberti, Cristianesimo e collezioni giustinianee, p. .
. G. Vismara, Fonti del diritto, pp. -, -.
. Esempi in G. Duby, Il matrimonio medievale.

ALCUNE RIFLESSIONI INTRODUTTIVE
gio . D’altra parte, se è innegabile che, come ha messo in luce Cammarosano , la documentazione scritta rimasta fra VII e XI secolo è costituita esclusivamente da atti conservati negli archivi ecclesiastici, e noi ricostruiamo una realtà che passa forzatamente attraverso questo filtro, è anche vero che «la documentazione del secolo VIII indica la costante interferenza, la compenetrazione, fra società laica e società chiericale e monastica: nelle carriere, nelle iniziative, nei comportamenti economici i
due mondi giungono a dare l’immagine di assoluta permeabilità»  e,
possiamo aggiungere, di reciproci condizionamenti .
Tenendo presenti i limiti che per tutto il Medioevo ci sono imposti
dalle fonti, e la costante interferenza tra legislazione laica ed ecclesiastica su questo specifico tema, possiamo tentare di ripercorrere attraverso
una bibliografia settoriale e frammentata le vicende di «una cerchia chiusa di persone, unite dal vincolo di sangue e raccolte sotto l’autorità paterna, attorno a un patrimonio» , e cercare di seguirne le trasformazioni con particolare attenzione alle famiglie dei ceti dirigenti, che sono più
documentate e più influenzate dalle trasformazioni politiche, con la consapevolezza che «la famiglia oscilla tra diritto pubblico e privato [...] e
non si privatizza mai tanto che qualcosa di pubblico in essa non resti» .
Si proverà infine a individuare le relazioni tra i comportamenti familiari
e i modelli istituzionali, senza pretendere di stabilire rigidi nessi causali
e neppure una gerarchia tra gli elementi considerati, che sono invero
profondamente intrecciati e nei diversi momenti diversamente emergenti e predominanti, nell’ipotesi che la famiglia sia anche un organismo
giuridico consapevolmente costruito a scopo politico.
. Certamente la società occidentale è stata profondamente influenzata dalla legislazione ecclesiastica, e condizionata soprattutto dal timore che le unioni tra cugini portassero a difetti nella prole. Nel  invece la rivista della National Society of Genetic
Counselors ha dimostrato che, se una coppia senza legami familiari rischia nel - per cento dei casi di avere bambini con handicap, ritardi mentali o gravi malattie genetiche, nelle coppie di cugini il rischio aumenta dall’, al , per cento; altri sono invece i fattori da
non sottovalutare, come, nel caso italiano specifico, l’anemia mediterranea. È anche vero
che, attualmente, nel mondo occidentale ben  Stati considerano illegale il matrimonio
fra cugini di primo grado; mentre nelle aree non cattoliche, in Medio Oriente, in Asia e
in Africa, più del  per cento della popolazione ha legami di sangue e i matrimoni fra cugini sono preferiti alle unioni di coppie non imparentate.
. P. Cammarosano, Italia medievale.
. Id., Nobili e re, p. .
. Sulla simbiosi “regno-sacerdozio” in Gallia hanno scritto pagine illuminanti Tabacco (G. Tabacco, Egemonie sociali; Id., Spiritualità e cultura) e Prinz (F. Prinz, Clero e
guerra; Id., Ascesi e cultura).
. G. Vismara, La famiglia, p. .
. E. Besta, La famiglia, p. .
