PRESENTAZIONE: Da oltre 40 anni il laboratorio di analisi Gestione Centro Ricerche Cangiano opera nel settore diagnostico e oltre a essere in possesso di autorizzazione regionale per eseguire esami di Patologia Clinica e medicina nucleare in vitro analisi Microbiologiche e ematologiche, e a effettuare quotidianamente numerose e rigorose verifiche per garantire il rispetto delle procedure organizzative ed analitiche, partecipa a meticolosi controlli di qualità, sia inter che intra-laboratorio, relativamente a tutte le determinazioni analitiche di cui esista possibilità di riscontro. Da qualche anno il Laboratorio si sta specializzando nelle analisi Genetiche pre natali e post natali. Completamente computerizzato, ogni settore del laboratorio è collegato attraverso un sofisticato sistema ad una rete informatica interna, eliminando quasi completamente l’inserimento manuale di risultati. Ciò consente di monitorare in tempo reale ogni passaggio di lavorazione del campione. Questa struttura informatica fornisce infine la garanzia di un’operatività sinergica tra tutto il personale del laboratorio. Nel giugno del 1999 il laboratorio “Gestione Centro Ricerche Cangiano” tra i primi a Napoli è stato certificato ISO 9002 ed ora ISO 9001:2008. INFORMAZIONI SUI SERVIZI Direttore Sanitario: Dott. Giampiero Cangiano Il Responsabile della Qualità è la Dott.ssa Francesca Matano L’amministratore il Dott. Giampiero Cangiano Unità lavorative: Laureati Tecnici Segretarie Amministrativi Ausiliari 8 4 6 1 3 Laboratorio Analisi IV° Livello Elenco Esami Eseguiti: Chimica Clinica – Sierologia –Immunologia – Autoimmunità Ematologia – Coagulazione – Farmaci – Microbiologia – Endocrinologia Biologia Molecolare – Genetica -Allergologia. GLI UTENTI ACCEDONO ALLE PRESTAZIONI SENZA BISOGNO DI PRENOTAZIONI Giorni di risposta dei singoli esami. Esami di routine: il giorno stesso. Per esami più rari: una settimana (vedere vademecum in segreteria). 1 Gli utenti accedono al servizio con richiesta medica, impegnativa ed eventualmente con libretto di esenzione. In caso di impegnativa: La prescrizione del medico deve contenere le seguenti indicazioni: a) Nome, cognome, età dell’assistito (data di nascita) b) Codice fiscale dell’assistito, con la specificazione di eventuali diritti di esenzione dal pagamento della prestazione. c) Tipo della prestazione richiesta d) Quesito diagnostico ( non sono previste le diciture. Accertamenti- intervento chirurgico) e) Timbro e firma del medico f) Data g) Dicitura quando necessaria di “Prelievo Venoso” h) Per ogni correzione sull’impegnativa ci vuole il timbro e la firma del medico. i) Codice di patologia (quando necessario) con solo gli esami previsti per quel codice. (chiedere Gazzetta in segreteria). Tempo medio di attesa per accettazione: Tempo medio di attesa per prelievo: Prelievi: Prelievi a domicilio: 8 minuti 5 minuti Ore 8.00 – 11.00 Ore 8.00 - 10.00 Lun. – Ven. Sabato Ore 7.00 - 9.30 Lun. – Sab. (prenotazioni anche il giorno prima) Ritiro Referti Ore 10.00 – 18.00 Ore 10.00 – 12.00 Lun – Ven Sab. E’ classificato come Laboratorio Generale di Base con settori specialistici diretto dal dott. Giampiero Cangiano, Medico: Chimica Clinica e Tossicologia. Vengono effettuati in particolare i dosaggi riguardanti il monitoraggio della fertilità, gravidanza, i markers dell’epatite e HIV e i marker tumorali. Alcuni esami tossicologici e di medicina del lavoro. Microbiologia e sieroimmunologia . Vengono effettuati i dosaggi riguardanti la Microbiologia medica inclusi gli esami micologici e la parassitologia. Diversi esami sierologici ed esami di Biologia Molecolare. Ematologia. Vengono effettuati in particolare screening sulla trombofilia oltre all’attività protrombinica e all’emocromo in 15 minuti ( su richiesta). Genetica. Analisi di cariotipo su sangue periferico e su liquido amniotico, FISH su liquido amniotico e con altre sonde, Fibrosi cistica, ricerca del Papilloma virus e mutazioni sul DNA come Fattore V di leiden Fattore II e MTHFR. 2 Anche se la normativa vigente impone la presenza di soli tre laureati per lo svolgimento della fase analitica, la direzione ha preferito aumentare la presenza dei laureati a discapito dei tecnici, per ottimizzare la fase tecnica con la fase di convalida dei risultati. SERVIZIO AMMINISTRATIVO e di SEGRETERIA Tel, 081 5930133 Segretarie: Valeria Borriello, Alessia dello Iacono e Ilaria De Martino Esther Candia. Il personale di segreteria ha la funzione di accettazione – archivio –consegna dei referti - fatturazione. Contabilità: Responsabile Donatella Silvestri. Privacy – Trattamento dei dati sensibili - Reclami Al momento dell’accettazione il paziente viene informato anche tramite cartelli affissi , ai sensi della D.Gls 196\2003 circa il trattamento dei dati sensibili. Il personale amministrativo è a disposizione per qualsiasi informazione inerente le disposizioni legislative sulla privacy. Per qualsiasi inconveniente documentabile si prega di rivolgersi al personale di segreteria che potrà predisporre un appuntamento con il responsabile del settore di competenza. Pagamento delle prestazioni Il pagamento del ticket va effettuato prima dell’esecuzione delle prestazioni. I cittadini non esenti sono tenuti al pagamento di assistenza medico specialistica ambulatoriale secondo le tariffe vigenti, fino alla concorrenza dell’importo previsto dalla normativa in atto. Il personale amministrativo è a disposizione per ogni chiarimento. note particolari su alcuni strumenti. Un obiettivo molto importante è quello di dare referti batteriologici di sicura utilità clinica. Infatti seguendo le grandi evoluzioni che si stanno avendo nel campo della batteriologia abbiamo preso il primo strumento in automatico, per l’identificazione batterica e l’antibiogramma. Rimanendo fedeli alla Becton Dickinson, ditta leader in batteriologia, per primi a Napoli il PHOENIX System. Il PHOENIX System si avvale sia di un sistema integrato e totalmente automatico, basato su un sensore di crescita colorimetrico che permette di ottimizzare l’identificazione batterica con 45 prove biochimiche (dalle 10 precedenti) e la lettura dell’antibiogramma, con la possibilità di 15 diluizioni per le diverse sensibilità cliniche del paziente all’antibiotico (MIC), sia di un software “Epicenter” sviluppato con Window NT che assicura la gestione completa del dato. Forse l’aspetto più importante e che per la prima volta entra in gioco, nel definire l’antibiotico più giusto, il sistema “ESPERTO” grazie al quale possiamo finalmente evidenziare gli antibiotici sensibili in vitro ma non in vivo. Il Sistema Phoenix consente di concentrarci su ciò che è veramente importante: aiutare il nostro Laboratorio a migliorare la salute dei pazienti. Inoltre la sezione di biologia molecolare si avvale dello strumento della ROCHE Diagnostics LIGHT 3 CYCLER per analisi di PCR qualitative e quantitative. Tale strumentazione è del tutto innovativa, infatti, uno dei vantaggi più grandi rispetto alle normali PCR è il controllo in tempo reale dei prodotti amplificati. Le PCR convenzionali per quantizzare dei campioni, o richiedono campioni multipli o le aliquote devono essere prese da un singolo campione a determinati intervalli ed inoltre il prodotto deve essere rilevato da un elettroforesi usando l’etidio di bromuro, e sappiamo che la preparazione dei campioni multipli è costosa, il ritiro delle aliquote produce contaminazioni e l’analisi dl gel di agarosio con l’etidio di bromuro difetta in sensibilità e specificità con lo svantaggio non trascurabile di dover usare l’etidio di bromuro (cancerogeno). Tutti questi svantaggi sono superati poiché la Light Cycler rilevando in tempo reale l’amplificato riduce la possibilità di contaminare evitando, anche, tutti i problemi legati alla corsa elettoforetica poiché non si effettuerà più In ematologia il laboratorio ha degli strumenti unici a Napoli come il Coulter LH e L’ACL 10.000 della ditta Instrumentation Laboratory che assicurano grande qualità. L’elettroforesi delle proteine (Quadro Proteico): Capyllaris 2 della Sebia è uno strumento che utilizza l’elettroforesi capillare, la più moderna tecnica separativa che grazie alla sua elevata risoluzione e ai tempi di analisi ridotti, può avere numerose applicazioni. Accanto al classico tracciato elettroforetico che separa le diverse classi di sieroproteine riducendo interferenze e migliorandone la separazione è in grado caratterizzare e quantizzare le componenti monoclonali (se presenti) correlabili a patologie anche gravi, fornendo al medico un ottima indicazione sulla prognosi e il follow-up del paziente. L’elettroforesi dell’ Emoglobine: Il D-10 della Biorad è uno strumento che utilizza il sistema HPLC (cromatografia liquida ad alta pressione) che consente la separazione delle diverse componenti emoglobiniche di un paziente con elevata efficienza rispetto alle tecniche separative precedenti, infatti permette di individuare la presenza di emoglobinopatie e di tratti talassemici e, nel caso di pazienti diabetici, fornisce un ottimo dato clinico con il dosaggio di emoglobina glicata. COBAS 6000. Gli ormoni sessuali ormoni tiroidei markers dell’epatite e i markers tumorali sono eseguiti su strumentazione Roche, ditta leader nel settore, garantendo sensibilità e specificità su ogni analita. E’ la prima strumentazione collegata 24 ore al giorno con la sede operativa che aggiorna la strumentazione in tempo reale e controlla quotidianamente i controlli di qualità. 4 MODALITA’ DI RACCOLTA DEI CAMPIONI DA ESAMINARE Prelievo del sangue Presentarsi al laboratorio durante l’orario dei prelievi a digiuno dalle ore 20-21 del giorno prima. E’ permessa la sola assunzione di acqua. Non occorre prenotazione. Raccomandazioni per il prelievo di sangue ai fini diagnostici. • Effettuare il prelievo dopo 8-12 ore di digiuno. • Effettuare il prelievo dopo applicazione del laccio per non più di un minuto. • Effettuare il prelievo possibilmente tra le 7 e le 10 a.m. • Effettuare il prelievo a un orario standardizzato per le sostanze soggette a variazioni cronobiologiche. • In caso di infusione venosa, effettuare il prelievo dal braccio opposto. • Se possibile, effettuare il prelievo prima della somministrazione di farmaci o di altre sostanze usate a scopo diagnostico. • Indicare l’età, il sesso, la razza del paziente e altre caratteristiche salienti (sovrappeso, sottopeso, ecc.). Raccomandazioni per il prelievo di sangue per esami urgenti. • Il prelievo va eseguito più rapidamente possibile. • Vengono ignorate tutte le condizioni previste per il prelievo a scopo diagnostico (digiuno, astensione da farmaci e altre sostanze interferenti, ecc.). • Deve essere indicata con precisione l’ora del prelievo. • Il prelievo del sangue (venoso, arterioso, ecc.) e la raccolta degli altri materiali biologici (urina, liquido cefalorachidiano, ecc.) coinvolge il laboratorio in una duplice veste: Come fornitore di tutto il materiale occorrente ai prelevatori (siringhe, provette e altri contenitori, gel separatori, anticoagulanti, conservanti, ecc.); come operatore del prelievo e fornitore dell’organizzazione necessaria (prenotazione, accesso, personale, ecc.) e delle relative infrastrutture (sala di attesa, box prelievi, servizi igienici, ecc.). Esame delle urine Per l’esame delle urine completo, raccogliere un campione delle urine del primo mattino e consegnarlo a più presto in laboratorio. Il recipiente da utilizzare può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Perché le urine del mattino? - Si dispone di un adeguato volume di campione. - Si può dare una valutazione orientativa della capacità di concentrazione del rene. - E’ maggiore che in altri campioni il numero di elementi figurati del sedimento per unità di volume. - Gli stessi elementi figurati del sedimento si conservano meglio in tale tipo di campione. - In tale campione si colgono meglio le lievi positività della protenuria. Campione di Urina Come è noto, per l’analisi comune fisico-chimica dell’urina è adeguato un campione casuale, preferibilmente emesso la mattina dopo il riposo per assicurare condizioni basali del campione. È tuttavia da ricordare che, sia per l’analisi fisico-chimica dei comuni componenti di routine, sia soprattutto per l’esame morfologico del sedimento urinario, il campione così conservato senza alcun 5 additivo preservante può causare in poche ore non trascurabili alterazioni dei costituenti del campione stesso, in particolare la dissoluzione dei cilindri. Per la determinazione quantitativa dei componenti urinari è invece necessaria la raccolta del campione in un tempo misurato (8, 12 o 24 ore): in tal caso è indispensabile l’aggiunta di additivi preservanti che variano a seconda dell’analita da misurare. Per le ricerche microbiologiche si usa un campione di urina del “mitto intermedio Alterazioni dei parametri dell’esame standard delle urine per una non corretta conservazione del campione: - Alcanizzazione ovvero fermentazione ammoniacale delle urine - Modificazione del PH urinario (che diventa alcalino) - False cristallerie (Triplofosfati, fosfati ossalati) - False proteinurie - False emoglobinurie (azione delle per ossidasi batteriche) - Reazione dei nitriti falsamente positive (azione dei germi contaminanti contenenti redattasi) - Riduzione del contenuto di glucosio eventualmente presente nelle urine (proliferazione dei germi utilizzanti il glucosio) - Riduzione dei corpi chetonici eventualmente presenti (per germi utilizzanti i corpi chetonici) - Ostacolata lettura microscopica del sedimento (gli elementi figurati del sedimento si disintegrano o vengono nascosti dalla flora proliferante). Raccolta Urine delle 24 ore: Al mattino (es. ore 8) svuotare completamente la vescica gettando le urine, quindi utilizzando un contenitore della capienza di circa 2,5 litri perfettamente pulito, raccogliere tutte le urine durante le 24 ore successive (comprese quelle delle ore 8 del mattino successivo). Utilizzare un contenitore di 2,5-3 litri a bocca larga (diametro circa 5 cm) munito di tappo a vite e chiusura ermetica e un cono o bicchiere di plastica di circa 500 ml per la raccolta delle singole minzioni. Quando per le indicazioni richieste occorrono stabilizzanti diversi e incompatibili (es. HCl per la misura di calcio e fosfati e NaOH per la misura degli urati) si raccomanda di procedere a raccolte successive delle urine delle 24 ore nelle condizioni prescritte. Procedere nel seguente modo riportando le indicazioni necessarie (“raccolta delle urine delle 24 ore per la misura di...”; “presenza nel contenitore di... come conservante/stabilizzante”, “avvertenza: evitare il contatto fisico”): • • al tempo prescelto per iniziare la raccolta delle urine, vuotare la vescica e scartare le urine; annotare il tempo di inizio della raccolta; Idrossiprolina: Raccolta delle urine delle 24 ore conservate in luogo fresco. Durante la raccolta delle urine il paziente deve osservare una dieta priva di carne e derivati, pesce, gelati, dolci, gelatine. Test di Nordin: La sera prima dell’esame dalle 23.00 evitare di bere, mangiare, fumare. Il mattino dell’esame ore 7.00 urinare svuotando completamente la vescica. Successivamente bere 250 ml di acqua. Evitare di bere, mangiare, fumare nelle successive 2 ore. Alle ore 9.00 urinare nell’apposito contenitore. Eseguire il prelievo di sangue nella stessa mattinata. 6 17-Chetosteroidi: Raccogliere le urine delle 24 ore e conservarle in frigorifero oppure a temperatura ambiente aggiungendo al contenitore un grammo per litro di acido borico. Acido VanilMandelico (VMA): Raccogliere le urine delle 24 ore aggiungendo al contenitore 15 ml di acido cloridrico al 20%. Tre giorni prima della raccolta delle urine delle 24 ore, il paziente deve astenersi dall’assunzione di banane, vaniglia, cioccolato, caffè, thè, droghe contenenti nitrofurantoina, droghe contenenti ac. Gentisico o omogenetico (droghe antireumatiche). Microalbuminuria\elettroliti Urinari: Raccogliere le urine delle 24 ore e portarle tutte in laboratorio. Proteine di Bence Jones: Raccogliere le urine delle 24 ore miscelarle bene e portare solo un piccolo campione in laboratorio. Clereance: Clereance UREA: Svuotare la vescica , bere 250 ml di acqua e dopo 1 ora raccogliere l’urina Clereance Creatinina: Raccogliere l’urina delle 24 ore e portarle in laboratorio. Urinocoltura: Per un prelievo corretto necessitano tre imperativi: - evitare la contaminazione da batteri dei siti prossimiori o dal materiale (perineo, mucose dei pazienti, mani, materiali….) - impedire di far proliferare un germe accidentale, - operare su campioni di urine vescicali dove i batteri sono stati in grado di moltiplicarsi per almeno 4 ore. Munirsi di un contenitore sterile reperibile presso il nostro centro o in farmacia. La raccolta delle urine deve essere eseguita almeno 4 ore dopo l’ultima minzione (è consigliabile raccogliere le prime urine del mattino che abbiano soggiornato in vescica da 3 a 6 ore). 1. 2. Lavarsi le mani con acqua e sapone Pulire accuratamente e ripetutamente i genitali esterni con acqua e sapone; nella donna tenendo distanziate le grandi labbra con una mano, nel maschio dopo aver retratto completamente la cute del glande. 3. Risciacquarsi con acqua corrente e nella donna asciugarsi con moto procedente anteroposteriore. 4. Urinare, nella donna tenendo divaricate le labbra, scartando il primo getto e, senza interrompere la minzione, raccogliere direttamente nel contenitore il mitto intermedio. Riempire circa la metà del contenitore ed avendo l’avvertenza di non contaminare con la mano o i genitali i bordi, chiudere lo stesso. Per i bambini piccoli Sacchetto di plastica adesivo sterile Modalità di prelievo: 1. Detergere accuratamente la regione sovrapubica e perianale e i genitali esterni lavando con acqua e sapone, risciacquare a lungo ed asciugare con garza o cotone mai usati. Applicare il sacchetto facendolo aderire. 7 2. Avvenuta la minzione rimuovere il sacchetto e versare l’urina nell’apposito contenitore sterile o inviare il sacchetto in laboratorio dopo averlo accuratamente chiuso. 3. Non lasciare in situ il sacchetto più di un’ora. Per i soggetti con catetere a permanenza Oltre al contenitore la siringa monouso. Modalità di prelievo: 1. Chiudere il contenitore con una pinza, al disotto del raccordo con la sacca per almeno un’ora. 2. Disinfettare un tratto del catetere appena al di sopra della giunzione con il tubo di raccordo 3. Aspirare con la siringa circa 10 ml di urina ed immetterli nel contenitore; non raccogliere l’urina dalla sacca o sconnettendo il catetere. N.B. -Per la detersione dei genitali esterni evitare l’uso di sostanze disinfettanti in quanto possono interferire nell’esecuzione dell’esame N.B. Terapie antibiotiche in corso influenzano il risultato delle analisi. 8 ANALISI ESEGUIBILI SU URINA CONSERVANTI Albuminuria Calciuria Glicosuria Idrossiprolinuria Proteinuria Totale Uricuria Cross Links Magnesuria RACCOLTA NELLE Fosfaturia Elettroliti urinari Azoturia 24 ORE SENZA Creatinuria Microalbuminuria Cortisolo Totale ANALISI ESEGUIBILI SU URINA RACCOLTA NELLE 24 ORE CON AGGIUNTA DI CONSERVANTI Acido 5- idrossindolacetico (5-HIAA) Ac. Cloridrico Acido Omovanillico Ac. Cloridrico Acido Vanilmandelico Ac. Cloridrico Catecolamine Urinarie Ac. Cloridrico 5-Idrossitriptamina (Serotonina) Ac. Cloridrico ANALISI ESEGUIBILI SU CAMPIONE DI URINA ESTEMPORANEI Amilasuria Proteinuria di Bence Jones Esame di urine standard Test di gravidanza Immiunofissazione urinaria RACCOLTA DI URINE CHE RICHIEDONO DIETA E/O L’AGGIUNTA DI CONSERVANTI. Idrossiprolina Catecolamine, Ac. Ac. 5 OH vanilmandelico, indolacetico Ac. Omovanillico,Metanefrine Raccolta Si Si Si 24 ore Dieta Si, priva di carne, No Si, priva di pesce, gelati, banane, caffè, prugne, e dolci e gelatina cioccolato Coservanti Nessuno Ac. Cloridrico Ac. Cloridrico 9 Esame delle feci: Indicazione per la raccolta - Sono sufficienti 0.5-2 g di feci emesse spontaneamente - Raccogliere le parti mucose o ematiche nel caso vi siano. - Coprocoltura: Munirsi di contenitore sterile reperibile presso il nostro laboratorio o in farmacia. Ricerca sangue occulto nelle feci: Nei tre giorni precedenti la raccolta eseguire una dieta priva di carne, pesce, uova legumi ricchi in ferro, farmaci contenenti ferro o emoglobina e farmaci gastro-erosivi, purganti drastici; non prelevare le feci in periodo mestruale o se sono in atto sanguinamenti da emorroidi. Nei giorni precedenti la raccolta evitare assunzioni di farmaci contenenti acido acetilsalicilico (es. aspirina ); non usare lo spazzolino per la pulizia dei denti la sera che precede la raccolta del campione di feci; prelevare il campione di feci nell’apposito contenitore e consegnarlo al laboratorio. C’è la possibilità di eseguire l’esame anche senza dieta usando un altro metodo più selettivo. Espettorato: Indicazione per la raccolta e modalità di prelievo - - In contenitori sterili, trasparenti (per osservazione caratteristiche) a bocca larga, con tappo avite (per evitare aereosolizzazione nelle manovre di apertura). Raccogliere l’espettorato dopo un colpo di tosse, l’espettorato deve provenire dall’apparato polmonare-bronchiale (preferibilmente dopo risciacquo del cavo orale) e non deve essere costituito da saliva. Se il paziente ha difficoltà di espettorare consigliare aerosol di soluzione fisiologica tiepida ( almeno 10 aspirazioni); aerosol con mucolitici può essere pure consigliato Per la ricerca dei Micobatteri consigliare sempre il prelievo di tre campioni a giorni successivi. Sangue (EMOCOLTURA) Indicazione per la raccolta Se il prelievo viene fatto a domicilio consegnare al prelevatore i terreni di coltura idonei. Per la preparazione disinfettare la cute con alcool etilico al 70% e porre lo stesso alcool su batuffoli di garza e cotone e lasciare in situ per 2 minuti, oppure eseguire applicazioni di disinfettanti seguendo scrupolosamente i tempi di contatto disinfettante-cute per ottenere il risultato. Rimuovere in tal caso l’eccesso di disinfettante partendo dal centro alla periferia e non viceversa. Modalità di prelievo: - Effettuare il prelievo facendo attenzione a non toccare con le dita la zona del prelievo; se necessario indossare guanti sterili o disinfettare accuratamente il dito che palpa. - Rimuovere il cappuccio dei flaconi per emocoltura e non disinfettare; se privi di cappuccio disinfettare con alcool e lasciare asciugare. 10 - Raccogliere il sangue con siringa e deporre nel sistema di brodocoltura cambiando l’ago; molto utili i sistemi Vacutainer per il prelievo. Per quanto riguarda i tempi di prelievo eseguire prima dell’inizio della terapia o, se ciò non è possibile, prima di una somministrazione di antibiotico. Per quanto riguarda il numero di emocolture eseguire preferibilmente tre campioni distanziando i prelievi a 30 minuti oppure eseguendo a giorni successivi. La sensibilità dei brodi di colture oggi è tale che il prelievo non è legato a momenti di acne febbrile. Modalità di raccolta della Saliva: Il campione di saliva può essere raccolto nei contenitori appositi venduti in farmacia. Il paziente deve tenere la resta leggermente inclinata in avanti e raccogliere la saliva che scivola dal labbro inferiore. Tampone uretrale E’ necessario evitare di urinare alcune ore prima di effettuare l’esame. Segnalare se sono in corso terapie antibiotiche. Tampone vaginale E’ necessario eseguire un’adeguata pulizia locale. Segnalare se sono in corso terapie antibiotiche. Evitare, dalla sera precedente, il bagno in vasca, e l’introduzione in vagina di prodotti per l’igiene intima. L’applicazione di farmaci locali deve essere sospesa da almeno tre giorni, così come le candelette, ovuli ed antibiotici. Il tampone deve essere eseguito lontano dal periodo mestruale. Prova immunologica di gravidanza ( su urina ) L’esame si esegue su un campione di urina preferibilmente del primo mattino. Il metodo utilizzato consente una diagnosi attendibile dopo 10-12 giorni dal concepimento. Esame del liquido seminale Munirsi di un contenitore sterile, fornito gratuitamente dal laboratorio o acquistato in farmacia, e far pervenire il materiale al laboratorio entro mezz’ora circa, previo appuntamento. L’esame va effettuato dopo 3 - 5 gg. di astinenza dai rapporti. Prelievi Richiesti per Prove Funzionali: L’esecuzione di prove funzionali da carico comporta la massima cura nella preparazione del paziente e quindi una stretta collaborazione fra paziente, medico curante e prelevatore. Si citano solo due delle prove di impiego più frequente a scopo esemplificativo: • Curva da carico con glucosio per via orale (OGTT): il paziente deve attenersi nei tre giorni precedenti la prova a una dieta bilanciata standard, a contenuto noto in glucidi. All’inizio della prova il paziente deve trovarsi in condizioni basali; è tuttavia 11 consigliabile, nelle 12 ore precedenti, bere acqua onde favorire la diuresi e quindi la raccolta di campioni di urina per la misura della glicosuria frazionata durante la prova. Durante la prova, inoltre, il paziente non può né fumare né masticare gomma, così da non influenzare il processo di assorbimento intestinale del glucosio. Dopo un prelievo basale, il paziente ingerisce entro 5 minuti una soluzione concentrata di glucosio: una dose standard di 75 grammi per gli adulti, 1 grammo/kg di peso corporeo per i bambini. Prelievi venosi sono eseguiti dopo 30, 60, 90, 120, e 150 minuti. Agli stessi tempi è conveniente, se possibile, raccogliere le urine per costruire anche una curva glicosurica: a questo scopo il paziente va invitato a bere acqua in abbondanza; Curva Glicemica: modalità per l’esecuzione del test da carico di glucosio orale • Il test deve essere eseguito al mattino dopo un digiuno notturno di 10-16 ore. • Il soggetto deve essere al riposo fisico e psichico • Il soggetto non deve durante il test fumare ne masticare gomma • Il soggetto non deve presentare sintomi di malattia acuta intercorrente. • Devono essere stati sospesi da almeno tre giorni le assunzioni di farmaci potenzialmente interferenti sul metabolismo glicidico. • Il soggetto deve aver osservato una dieta libera nei tre giorni precedenti il prelievo durante i quali deve svolgere l’abituale attività fisica (se vi è stato periodo di dieta ipocalorica-ipoglicidica il periodo di dieta libera con 150gr. fino a 300gr. di carboidrati/die deve essere di cinque giorni. • Dopo il prelievo della glicemia di base il soggetto deve bere nell’arco di 5 minuti una soluzione acquosa, contenente il glucosio, data dal laboratorio. N.B. Farmaci legati a Iperglicemia: ACTH-CORTISONICI, CONTRACCETTIVI ORALI, CATECOLAMINE, CAFFEINA-NICOTINA, PSICOATTIVI, DIURETICI. Farmaci legati a Ipoglicemia: SULFONAMIDI, ETANOLO, PROBENECID-TIOURACILI. SALICILATI-FENILBUTAZONE, • Glicemia post-prandiale: è il test di prima scelta per l’accertamento di un sospetto diabete. Nei tre giorni precedenti il test, il paziente deve seguire una dieta a elevato contenuto di glucidi. Nel giorno stabilito, la colazione dovrebbe contenere circa 100 grammi di glucosio. Esattamente 2 ore dopo la fine del pasto si esegue un prelievo venoso per la misura della glicemia. Altre prove funzionali più rare necessitano di specifiche informazioni per il medico, il paziente e il prelevatore. Raccomandazioni per la preparazione al prelievo di sangue per la prova di tolleranza al glucosio. Invitare il paziente a consumare una quantità di circa 300 g di carboidrati nell’alimentazione dei tre giorni precedenti la prova. Il laboratorista deve sempre valutare l’idoneità del campione pervenuto all’analisi e non esitare di escludere dall’indagine campioni ritenuti non idonei. 12 FASE PRE-ANALITICA Dopo l’esame anamnestico, la visita medica e prescrizione del test da parte del medico, il paziente deve essere messo nelle migliori condizioni affinché il prelievo di sangue o la raccolta di altri fluidi biologici possano esprimere risultati di laboratorio con il massimo di informazioni utili. Si tratta di fornire al paziente una serie di indicazioni idonee per ridurre al minimo i numerosi potenziali effetti di disturbo sul referto finale che potrebbero avere un esito confondente sull’utilizzazione clinica del test. Si tratta in generale di mettere il paziente, prima del prelievo, in condizioni ben controllate e standardizzate per tutta una serie di fattori che, in mancanza di un’adeguata sorveglianza, possono, di per sé, alterare il risultato del test, indipendentemente dall’eventuale presenza della malattia. Condizioni basali. Nella maggior parte dei casi gli accertamenti di laboratorio a scopo diagnostico sono eseguiti su pazienti in condizioni “basali”, cioè nella prima mattina poco dopo il risveglio, dopo un digiuno di 8-12 ore. Questo tipo di preparazione al prelievo è quello meglio codificato, è relativamente semplice, accettato dai pazienti e facilmente inseribile nella routine di reparti di degenza e di centri ambulatoriali. Inoltre, la maggior parte dei valori di riferimento oggi disponibili si riferisce a valori basali, ragion per cui è più agevole valutare la normalità o meno dei dati del singolo paziente. I campioni di sangue prelevati in condizioni basali assicurano sieri e plasmi di sangue limpidi per le indagini biochimiche e per lo studio della coagulazione plasmatica, agevolando in tal modo l’attività analitica del laboratorio. Ma il digiuno e il riposo notturno non sono sufficienti per standardizzare il prelievo, che solitamente è di sangue venoso. Fattori capaci di produrre modificazioni significative di qualche parametro biochimico o ematologico sono riportati di seguito: Assunzione di alcool. L’alcool ha una particolare importanza come fattore di variabilità preanalitica, sia per gli effetti a breve termine su analiti come il lattato, l’acido urico, e i metaboliti dell’etanolo, sia soprattutto per gli effetti più prolungati nel tempo sull’attività di diversi enzimi plasmatici: aumentano l’aspartato-transaminasi e specialmente la G-glutamil-transferasi, che ancora dopo 60 ore può presentare un aumento del 25%. L’incremento della G-glutamil-transferasi è dovuto al fenomeno di induzione enzimatica; al contrario, l’aumento di attività della glutammato deidrogenasi e delle aminotransferasi (ALT, AST) deriva dall’effetto tossico dell’alcool sul fegato. L’incremento nella diuresi è il risultato della diminuita increzione di vasopressina che consegue all’accresciuta secrezione di renina e aldosterone. Effetti dell’assunzione acuta di alcool: • Ipertrigliceridemie Transitorie (trigliceridi alti) • Iperuricemie Transitorie (acido urico alto) • Aumenti transitori di CK, LDH, AST • Aumento delle gGT • Aumento dell’acido lattico • Aumento della sintesi del porfobilinogeno 13 Assunzione di caffeina. La caffeina è contenuta in numerose bevande, quali caffè, tè, coca cola, ecc. Si riscontra un incremento della glicemia per attivazione della gluconeogenesi da aumentata increzione di epinefrina. L’attivazione della lipasi determina un netto incremento degli acidi grassi non esterificati. Aumentano pure la renina e le catecolamine. Effetto del fumo. Il fumo determina aumento nella concentrazione ematica di numerosi costituenti. Tali costituenti sono: acidi grassi, epinefrina, glicerolo libero, cortisolo, aldosterone. Queste modificazioni intervengono nello spazio di circa un’ora e la variazione è in rapporto al numero di sigarette consumate. Per stabilire lo status di fumatori si possono utilizzare come marcatori la misura della carbossiemoglobina, dei tiocianati o della cotinina. Effetti del fumo su alcuni parametri di laboratorio, effetti acuti (alcune sigarette prima del prelievo) • Aumento del livello ematico del monossido di carbonio, nicotina ecc. • Aumento dll’ammoniemia • Interferenze delle prove emocoagulative • Interferenze nell’assetto lipidico • Interferenze nel profilo ematologico (aumento dei granulociti e monociti, diminuzione degli eosinofili) • Aumento della cortisolemia e delle catecolamine. Effetti cronici del fumo su alcuni parametri di laboratorio, Tabagismo • Aumento del livello ematico del monossido di carbonio (valori di riferimento diversi per i fumatori) • Aumento del CEA • Poliglobulia secondaria (con aumento dei G. Rossi, Emoglobina ed Ematocrito). • Aumento dei Globuli Bianchi. Digiuno prolungato. Il digiuno prolungato (inedia) determina una riduzione nel sangue di colesterolo, trigliceridi, lipoproteine, proteine, T3 e T4 e aumento della creatinina, dell’acido urico e della bilirubina. Effetto dello stress. L’ansia, che talora assale pazienti emotivi o non sufficientemente avvertiti delle modalità con cui si svolge il prelievo di sangue, può indurre, tramite attivazione del sistema adrenergico, aumenti transitori della concentrazione leucocitaria (aumenti fin oltre il 100% del valore basale) e, ovviamente, degli ormoni surrenalici; mediante induzione di iperventilazione, l’ansia produce alterazioni dell’equilibrio acido-base (alcalosi respiratoria), aumento dell’acido lattico e degli acidi grassi.Riesame del contratt7 Controllo del committente Effetto del ritmo circadiano. Alcuni analiti presentano fluttuazioni più o meno marcate nel tempo della loro concentrazione ematica; le variazioni possono presentare un periodo di circa un giorno (24±1 ore = ritmo circadiano), una settimana, un mese o un anno. Alcuni ormoni presentano variazioni di secrezione di qualche minuto. Le variazioni che maggiormente interessano la medicina di laboratorio sono quelle circadiane che presentano un andamento sinusoidale nell’arco delle 24 ore. 14 Per gli analiti che presentano questo tipo di variazione, risulta necessario eseguire il prelievo di sangue in un orario stabilito che deve coincidere con quello scelto per creare i valori di riferimento. Tale orario dovrà essere osservato tanto più fedelmente quanto maggiore risulta la variazione dell’analita (amplitude) attorno alla media. Dati di laboratorio alterati in coincidenza delle Mestruazioni: • Riduzione delle piastrine ( normalizzazione verso il IV° giorno) • Aumento del numero dei globuli bianchi • Aumento del fibrinogeno • Lieve riduzione dell’emoglobina e dei globuli rossi (nei giorni immediatamente seguenti). • Lieve riduzione del colesterolo • Riduzione della sideremia • Riduzione degli estrogeni urinari (i valori più bassi sono a 2-3 giorni dall’inizio) • Riduzione del volume urinario. Effetto dei farmaci. L’interferenza dei farmaci sui risultati delle indagini di laboratorio può essere dovuta a tre principali fattori: • interferenza diretta nel corso della reazione analitica; • competizione biologica in vivo con analiti, per esempio per il legame con proteine; • alterazione dei processi metabolici. L’acido ascorbico, a causa della reazione riducente, interferisce in numerosi dosaggi; la penicillina e la streptomicina hanno un’azione ossidante; il fenilbutazone potenzia l’effetto di anticoagulanti competendo con essi nel legame con le proteine; i barbiturici aumentano l’attività della glucoroniltransferasi epatica, determinando un aumento del tasso ematico della bilirubina; i contraccettivi orali interferiscono sul metabolismo lipidico. Questi sono alcuni esempi degli effetti farmacologici nelle indagini di laboratorio; ma il problema è estremamente vasto. Effetto dell’esercizio muscolare. L’esercizio muscolare, anche se non intenso, induce aumento nel siero, per periodi relativamente brevi, di acido lattico, creatina, acidi grassi, alcuni aminoacidi; alcuni enzimi, invece (CK, AST, LDH), restano ancora elevati per 24 ore e più dopo uno sforzo di media intensità della durata di un’ora. Aumento: Globuli rossi, Globuli Bianchi, Reticolociti, Piastrine, Emoglobina, Ematocrito, Acido Lattico Piruvico, Urea, A.Urico, Ammonio, Nefa. Il Glucosio ha un comportamento variabile perché legato alla durata e all’entità dello sforzo. In genere si ha una iniziale ipoglicemia poi una iperglicemia da aumentata glicogenolisi muscolare ed epatica, e poi un ritorno alla norma, se lo sforzo è protratto compare un’ipoglicemia da esaurimento delle scorte di glicogeno. Poi un aumento di ALT,LDH,CK (per aumento dell’isoenzima CK-MM, tale aumento compare verso la X-XII ora dallo sforzo e si normalizza in alcuni giorni, il picco è più elevato e il ritorno più lento nei soggetti no allenati). Diminuzione: Colesterolo Totale, Trigliceridi, Lipemia Totale Proteinuria (proteine nelle urine) da sforzo. Effetto della postura. Il problema della standardizzazione della postura prima e durante il prelievo è 15 attualmente in discussione. Gli autori che se ne sono occupati non sono pervenuti a proporre soluzioni univoche. Alcuni sostengono che, data la netta differenza fra i valori riscontrati in pazienti ricoverati (prelievo in posizione clinostatica) e in pazienti ambulatoriali (prelievo in posizione seduta) conviene considerare distinte le due popolazioni, ognuna delle quali dovrebbe far riferimento a propri valori normali. Secondo altri si può raggiungere un compromesso accettabile organizzando i prelievi in modo che il paziente, ospedalizzato o ambulatoriale, mantenga la posizione seduta per 15 minuti prima della puntura venosa: questo periodo sarebbe sufficiente a uniformare il grado di emoconcentrazione di entrambe le popolazioni in questione. Effetto di altri fattori. Altre condizioni del paziente di natura non modificabile, come età, sesso, razza, o modificabili solo lentamente nel tempo, come magrezza, sovrappeso, stile di vita, tipo di alimentazione, ecc. possono avere influenza sui valori basali di taluni analiti. Di tutti questi fattori si deve tenere conto sia nella determinazione degli intervalli di riferimento che nell’interpretazione dei dati di laboratorio. Prelievi Richiesti per Monitoraggio Terapeutico dei Farmaci Il monitoraggio della terapia (Terapeutic Drug Monitoring o TDM) su malattie già diagnosticate è, per definizione, dettato dal medico curante. Esso comprende il dosaggio dei farmaci circolanti (es. antiepilettici), la misura degli effetti terapeutici attesi (es. riduzione dell’attività protrombinica causata dai dicumarolici), la ricerca di eventuali effetti tossici indesiderati, ma possibili o probabili (es. citopenie causate da terapie antitumorali). Nel caso del dosaggio di farmaci nel plasma, i prelievi vanno eseguiti a intervalli ben definiti dall’assunzione di singole dosi: il momento del prelievo è dettato dalle conoscenze di farmacocinetica relative al farmaco in questione e determina la necessità di accedere al servizio prelievi in ore diverse da quelle mattutine. Raccomandazioni per il prelievo di sangue per il monitoraggio dei farmaci. Aspettare il raggiungimento dello stato stazionario (5 dosi distanziate di un intervallo pari all’emivita). Eseguire il prelievo prima della somministrazione del farmaco (punto di valle). Evitare, se possibile, l’uso di eparina che può alterare il legame con le proteine di alcuni farmaci. Effetto del Laccio e della Stasi I meccanismi fisiopatologici che spiegano le alterazioni bioumorali indotte dalla stasi sono riconducibili, almeno in parte, a quelli che si verificano per passaggio dalla posizione clinostatica (sdraiata) a quella ortostatica (in piedi); l’applicazione del laccio determina turgore del vaso e conseguentemente aumento della pressione idrostatica che induce la fuoriuscita di liquidi dal letto vascolare con aumento della concentrazione sia delle proteine che di tutte le sostanze presenti in circolo legate alle proteine medesime (calcio, colesterolo, vitamine, ormoni steroidei, farmaci, ecc.). La stasi determina, inoltre, un processo di anossia (mancanza di ossigeno) vascolare che può risultare più accentuato se contemporaneamente il braccio del paziente viene sottoposto a un esercizio fisico anche modesto, quale si può realizzare per contrazione della muscolatura della mano (apertura e chiusura ripetuta del pugno); in questo caso si realizza un maggiore aumento del potassio e una diminuzione del pH ematico. Tempi di stasi molto ridotti (40 secondi) si evidenziano già consistenti variazioni a carico delle proteine ematiche e degli analiti ad esse legati; tali variazioni sono, inoltre, contraddistinte da una reversibilità molto lenta del fenomeno stesso (sono ancora presenti variazioni misurabili dopo 15 minuti dalla rimozione del laccio!), così da rendere inefficace l’eventuale accorgimento di prelevare il sangue dopo un certo tempo dalla rimozione del laccio. Pertanto, se si 16 volessero evitare le modificazioni indotte in vivo dalla stasi venosa da applicazione di tourniquet, non rimarrebbe altra soluzione se non l’eliminazione dell’impiego del laccio medesimo. In alternativa, ed è la soluzione più ragionevole, si possono standardizzare le condizioni di applicazione del laccio per un tempo stabilito, per esempio 1 minuto. Anche i prelievi per la costruzione di valori di riferimento andranno eseguiti in condizioni identiche. Prelievo di sangue e raccolta di altri fluidi biologici La raccolta dei campioni di sangue deve tenere conto di varie esigenze relative sia al tipo di indagini richieste, sia al tipo di paziente che si deve studiare: • se si deve studiare la parte corpuscolata o il plasma, la raccolta dei campioni deve prevedere l’impiego di sostanze chimicamente definite e complessivamente denominate “anticoagulanti”, che vanno aggiunte al sangue in quantità idonea e secondo protocolli standardizzati che tengano conto delle inevitabili modificazioni biologiche e/o chimico-fisiche che inducono nel sangue; • se le indagini vertono sul siero, è opportuno che i contenitori possano facilitare la coagulazione completa del sangue e la retrazione del coagulo; • le condizioni dei vasi superficiali del paziente, oltre al tipo di indagini richieste e alla quantità di sangue necessaria per eseguirle, condizionano la scelta delle modalità di prelievo: venoso, come d’abitudine, o capillare; talora è invece espressamente indicato il prelievo arterioso. Prelievo di Sangue Venoso Il sangue venoso è idoneo per la maggior parte delle indagini eseguite su sangue periferico; può di solito essere facilmente prelevato dalle vene superficiali dell’avambraccio o della piega del gomito senza fastidio per il paziente. Quando siano inaccessibili le vene dell’avambraccio (obesità, edema, esiti di chemioterapia o di cateterismo cardiaco), si possono utilizzare le vene del dorso della mano (sono però fragili e richiedono un’emostasi più attenta e prolungata alla fine del prelievo), le vene femorali, le vene della caviglia e del dorso del piede, le giugulari esterne (in questi ultimi due casi è difficile controllare l’avvenuta emostasi, per cui queste sedi vanno evitate in presenza di diatesi emorragica o in assenza di possibilità di controllo medico nelle ore successive al prelievo) e le vene del cuoio capelluto, che nei neonati si evidenziano bene per la stasi venosa provocata dal pianto. La scelta dell’ago viene fatta sia in base all’aspetto delle vene del paziente, sia in funzione della quantità di sangue da prelevare. Gli aghi devono essere di calibro idoneo per consentire il rapido deflusso del sangue ed evitare emolisi: di solito si usano aghi di 19 o 20 gauge aventi un diametro di 1,016 e 0,914 mm rispettivamente. Esistono anche aghi particolari studiati per avere un diametro interno maggiore a parità di diametro complessivo (per esempio, 19 TW, thin wall, a parete sottile). La lunghezza degli aghi è in genere compresa tra 30 e 40 mm. Per i pazienti pediatrici o per le vene particolarmente difficili si può ricorrere ad aghi più corti e di calibro inferiore (23 gauge): in tal caso è essenziale non applicare un’aspirazione troppo energica mediante siringa o altri dispositivi atti a creare una pressione negativa (contenitori sottovuoto), onde evitare il deflusso vorticoso del sangue e la conseguente emolisi che può inficiare la validità di alcune indagini ematologiche e biochimiche. Il prelievo venoso è il metodo da preferire, quando non siano specificamente indicati altri tipi di prelievo (arterioso o capillare), perché consente di ottenere quantità di sangue adatte sia a eseguire gran parte delle indagini richieste, sia a ripetere singole determinazioni in caso di errori accidentali, sia a consentire al laboratorio di eseguire anche le indagini non richieste ma suggerite da eventuali dati patologici per meglio precisare l’orientamento diagnostico. Inoltre, è il sistema più efficace per raccogliere campioni di sangue da un gran numero di pazienti in breve tempo, prima dell’inizio del lavoro propriamente analitico del laboratorio. 17 Tecnica del prelievo Il paziente da sottoporre a prelievo venoso può essere sdraiato (clinostasi) se ospedalizzato, oppure seduto se la posizione clinostatica non è espressamente indicata per il tipo di indagini richieste (per esempio, per lo studio del sistema renina-angiotensina-aldosterone); in ogni modo se, come nella maggior parte dei casi, il paziente è cosciente, conviene che si senta a suo agio e sia avvertito delle modalità del prelievo, così da poter collaborare con il prelevatore. Lo stress può causare, mediante modificazioni dell’emodinamica e dell’equilibrio idroelettrico indotte da stimolazione neurormonale, variazioni significative di alcuni parametri ematochimici. Sarebbe opportuno segnalare al laboratorio la postura del paziente al momento del prelievo, considerate le variazioni fisiologiche che essa induce nei valori dei conteggi emocromocitometrici e in alcuni parametri biochimici, quali proteine e sostanze da queste veicolate, enzimi e lipidi. Tali differenze fanno sì che qualche autore parli di due popolazioni nettamente distinte, ognuna delle quali dovrebbe essere confrontata con valori di riferimento ottenuti nelle stesse condizioni operative. Come abbiamo visto, normalmente il prelievo viene eseguito in condizioni basali (cioè a riposo, poco dopo il risveglio mattutino e a digiuno): in tal caso il prelevatore deve accertarsi che sussistano queste condizioni. Così pure, nel caso in cui il paziente debba essere preparato per indagini funzionali con diete speciali o con stimolazioni farmacologiche, ormonali o metaboliche, è compito del prelevatore accertarsi che i protocolli preparatori previsti dal laboratorio siano stati rispettati. Nella scelta della vena da pungere vanno tenuti presenti, oltre alla comodità del prelievo, altri aspetti contingenti che possono anche indurre a scartare le vene “facili”, cioè molto evidenti. Vanno infatti evitate le aree che sono sede di cicatrici estese o di edemi importanti. Detergere disinfettando con alcool isopropilico 70%; non impiegare disinfettanti più aggressivi che potrebbero ledere la cute; utilizzare per la puntura cutanea lancette la cui punta penetrante non superi i 2,4 mm; raccogliere il sangue dei capillari lasciandolo fluire spontaneamente, senza spremitura; detergere con garza sterile asciutta, evitando, se possibile, l’applicazione di cerotto adesivo. Il tallone è la sede di preferenza per il prelievo capillare nel bambino piccolo. Nei primi mesi di vita è assolutamente da evitare l’impiego della falange delle dita della mano quale sede del prelievo, perché l’esiguità delle dimensioni e i tessuti osteo-cartilaginei sottostanti potrebbero facilmente venire irrimediabilmente lesi da una puntura in questa sede. Le dita della mano diventano invece sede preferenziale di puntura cutanea per prelievo capillare quando, all’età di circa due anni, il bambino comincia a camminare e la puntura cutanea nel tallone potrebbe causare disturbo e distorsioni nella deambulazione. Cause di Emolisi in Vitro Cause meccaniche: Prelievo con ago inadeguato (ago con lume di calibro troppo piccolo) con formazioni di vortici nel lume dell’ago. Lo stesso si può verificare per prelievo con ago a farfalla raccordato a siringa quando viene esercitata una forte aspirazione necessaria per vincere la resistenza al flusso di sangue, fornita dal calibro inadeguato dell’ago e del tubicino di raccordo del Buterfly e Vacutaneir. In genere vanno evitate aspirazioni troppo veloci, prelievi “indaginosi”, formazione di schiuma per siringa a tenuta non perfetta. Emolisi dovute a manipolazioni successive al prelievo: 1. Ripetuti scuotimenti del campione prelevato 2. Maldestra separazione del coagulo dalle pareti della provetta durante l’operazione di speratura 18 3. Centrifugazione a forte numero di giri di un campione in cui non è ultimata la coagulazione (soggetto coagulopatico o urgenze chimiche) 4. Passaggio del sangue dalla siringa nella provetta omettendo di togliere l’ago e/o esercitando forte pressione sullo stantuffo. Cause chimiche: Residui di alcool o altri disinfettanti sulla cute e loro penetrazione nel lume dell’ago. Residui di impurità. Anticoagulanti in eccesso. Cause Termiche: Conservazione dei campioni a t° troppo elevate o troppo basse (es. conservazione di un campione in freezer senza separazione del coagulo, formazione di microcristalli di ghiaccio nel plasma, fuoriuscita delle componenti endoeritrocitarie). Cause Biologiche: I casi in cui i Globuli Rossi sono più fragili e pertanto più facilmente lisi durante le manipolazioni successive. (Sferocitosi, Eritroenzimopatie, Emoglobinopatie, Uremia, gravi ed estese ustioni. Anche Globuli Rossi di campioni ottenuti dopo stasi venosa prolungata sono più fragili). Presenza di emolisine in circolo. Presenza di protesi vascolari. Elementi per discriminare una emolisi in vivo da una emolisi in vitro: EMOLISI IN VIVO LDH: L’aumento è proporzionale all’entità dell’emolisi (concentrazione di Hb libera nel siero o plasma) perché trattasi di grossa molecola proteica che rimane nel distretto vascolare una volta liberatasi dai Globuli Rossi. K: L’aumento della potassemia non è proporzionale all’entità dell’emolisi ma minore perché il K+ uscito dai globuli rossi emolizzati può penetrare in altre cellule, essere eliminato per via renale etc. EMOLISI IN VITRO L’aumento di LDH che di K+ è sempre proporzionale all’entità dell’emolisi verificatasi. Conseguenze dell’emolisi di un campione di siero 1. Interferenze nelle letture colorimetriche: per il picco di assorbimento dell’Hb libera 2. Inibizione di alcune attività enzimatiche: inibizione dell’attività lipasica in un siero con emolisi “discreta”. 3. Inibizione di alcune reazioni: inibizione della reazione di azotazione per la determinazione della bilirubinemia. Dosaggio falsato in difetto della bilirubina (spec. e diretta). 4. Passaggio nel siero o plasma di elettroliti, metaboliti, enzimi maggiormente concentrati nei globuli rossi rispetto al siero o plasma, si ha una grave interferenza nel dosaggio della potassemia e di enzimi come LDH (lattico deidrogenasi) ALS (aldolasi) Fosfatasi acida, PHI (fosfoisomerasi ), ICDH (isocitricodeidrogenasi) ma anche le Transaminasi (GOT, GPT). 5. Interferenze nel tracciato elettroforetico a livello della banda delle alfa-due e Beta 6. Interferenze in dosaggi radioimmunologici (RIA) : Progesterone, Gastrina, insulina. 19 DIFFERENTI CONCENTRAZIONI DI ALCUNI ANALITI NEI GLOBULI ROSSI E NEL PLASMA. ANALITI Glucosio (mg/dl) Azoto non proteico (mg/dl) Ac. Urico (mg/dl) Colesterolo Tot. NA+ (meq/L) K+ (meq/L) Cl - (meq/L) LDH GOT (AST) G.ROSSI 74 40 2.5 139 16 100 52 58000 500 PLASMA 90 8 4.6 194 140 4.4 104 360 25 Rapp.GR/PLASMA 0.82 5 0.56 0.71 0.11 23 0.50 161 20 Campione di Sangue per PCR I campioni di sangue per la diagnosi di biologia molecolare (PCR) devono essere raccolti con EDTA o citrato in contenitori sottovuoto costruiti con materiale plastico privo di nucleasi. Usare guanti a perdere per il prelievo. La stabilizzazione del materiale è indispensabile per evitare la rapida degradazione degli acidi nucleici. Questo intervento è particolarmente importante per l’analisi dell’ RNA. Si ottiene una buona e rapida in attivazione delle ribo e desossiribonucleasi con l’uso di sostanze caotropiche(es. isotiocianato di guanidino) e aggiunta di solventi (es. fenolo). Trasporto e Conservazione Numerosi sono i fattori influenzanti la ricerca dei batteri: il volume dei campioni prelevati, le dimensioni e natura del recipiente, il PH, l’assenza o presenza di materiali organici necessari per i germi fragili, la presenza di antibatterici. I fattori più importanti che governano i risultati sono costituiti dal fattore tempo di conservazione, temperatura, mezzi di trasporto. Non esistono regole definite, nella tabella si sottolinea quanto è opportuno che venga eseguito in tema di trasporto e conservazione per i materiali più comuni: resta comunque valida la regola che va operato in tutti i modi affinché ogni materiale venga seminato sui terreni colturali al più presto possibile dopo eseguito il prelievo. 20 Tab. Modalità di trasporto e conservazione dei campioni patologici fra prelievo e semina colturale. Materiali Limiti di conservazione Terreni di Trasporto N° di colture Ore T Urine 6h 4°C no s* Feci 4h 4°C si 3 35°C no 3** Sangue overnight Tratto respiratorio Per micobatteri 4h 96h 4°C 4°C no no s* 3*** Uretro cervicale Per clamidie 4-6h 4°C si s* overnight 4°C si s* 12h 4°C si s* 4h 22h si s* Faringe Essudato vaginale Cavo orale S* prelievo singolo; terreni di trasporto: Stuart, Amies, Cary Blair ** tre prelievi a distanza di 30 minuti, o in giorni successivi. *** terreni selettivi (terreno solido e liquido coevamente) Condizioni che richiedono la conservazione di campioni di materiale biologico • • • • Ripetizioni di indagini per le quali si sono verificati errori analitici contingenti Ripetizioni di indagini i cui risultati appaiono poco plausibili in assoluto o comunque contrastanti con gli altri risultati ottenuti nello stesso soggetto Esecuzione di nuove indagini di cui è sorta la necessità alla luce delle prime indagini eseguite Esecuzione di indagini per le quali non sono previste sedute analitiche frequenti (per la rarità dell’indagine, per il costo delle sedute analitiche, per ridurre le cause di imprecisione analitica). Misure Conservative • Separazione siero coagulo • Raffreddamento del materiale biologico • Protezione dalla fotodegradazione (conservazione al buio) • Modificazione del ph del materiale biologico • Aggiunte di conservanti. 21 22 STABILITA’ DI ALCUNI COMPONENTI NEL SIERO. T° di Frizer T.di Frigo (+4°) T. Ambiente (-10°, -20°) Acido Urico Fino a 5 giorni 2-3 giorni Bilirubina * Diversi giorni 5 giorni 5 giorni Albumina 4 settimane 4 settimane 4 settimane Proteine Totali Almeno un mese Almeno un mese Almeno un mese Trigliceridi** Massimo3 giorni Lipidi Totali** Massimo3 giorni Colesterolo** Massimo3 giorni Na+ K+ Stabili purchè separati dal Coagulo Cratinina Stabile Pochi giorni con Pochi giorni con discreta discreta instabilità instabilità Amilasi Diversi mesi Diversi mesi 7-30 giorni Lipasi Molte settimane Molte settimane 1 settimana Fosfatasi alcalina 30 giorni 5-7 giorni 5-7 giorni (segue un lieve (segue un lieve aumento) aumento) Fosfatasi 4 mesi 15 giorni 15 giorni acida*** AST 20-30 giorni 14 giorni 3-10 giorni (decadimento del 20% dopo 24 ore) ALT 15-30 giorni 7-14 giorni 3-10 giorni (decadimento del 20% dopo 24 ore) CHE 2-3 mesi 7 giorni 7 giorni LDH **** 1 mese 2-7 giorni 7 giorni con decadimento del 10-30% nelle prime 24 ore ggt 1 anno 30 giorni 7 giorni CPK Molto instabile Molto instabile Molto instabile Metabolita * La Bilirubina è fotodegradabile! La stabilità è possibile al riparo della luce ** E’ riferito lieve aumento (10%) dopo scongelamento con i metodi enzimatico e colorimetrico *** La stabilità a T° ambiente e in frigorifero è possibile solo se il PH viene stabilizzato intorno a PH 5. **** Nello scongelamento possono perdersi gli isoenzimi LDH4 e LDH5. Cenni sull’utilizzo di alcuni esami: Markers Tumorali Obiettivo Clinico: Si distinugono i seguenti momenti clinici: 1. Diagnosi differenziale con malattia benigna: si riportano i markers tumorali che hanno potenzialità diagnostica nel distinguere appunto il tumore dalle patologie benigne dello stesso organo; 2. Bilancio di base: si riportano i markers tumorali utili nell'inquadramento iniziale del paziente a diagnosi fatta, prima di ogni intervento terapeutico; in particolare si riferisce se i markers tumorali danno indicazioni sull'estensione della malattia, sul tipo istologico o sulla prognosi; 3. Risposta al trattamento primario: si riportano i markers tumorali che danno indicazioni circa la radicalità del trattamento del tumore primitivo; 4. Riconoscimento precoce della progressione: si riportano i markers tumorali che sono considerati efficaci per l'identificazione precoce di una eventuale ricaduta della malattia. 5. Monitoraggio della terapia per la malattia avanzata:si riportano i markers tumorali che possono essere usati per monitorizzare l'efficacaia delle terapie per la malattia metastatica. MARKERS DA USARE In pressoché tutte le più comuni neoplasie sono stati studiati numerosi markers tumorali. Inoltre, i markers dell'ultima generazione identificati mediante anticorpi monoclonali vengono spesso valutati in un vasto ambito di patologie tumorali. E' pertanto necessario scegliere per ciascun tipo di neoplasia il o i markers da utilizzare ed escludere quelli di provata inefficacia. Fra i markers da utilizzare, da un punto di vista pratico si può distinguere fra markers sicuramente utili e markers probabilmente utili. Markers di prima scelta. Sono i markers sicuramente utili per i quali esiste una solida letteratura biologica e clinica, tale da garantire nell'utilizzo routinario un rapporto costo/risultato favorevole. Markers di seconda scelta. Sono markers probabilmente utili e comprendono quelli per i quali ad una letteratura biologica consolidata non fa riscontro una verifica clinica definitiva del rapporto costo/risultato, ma che inseriti in protocolli di valutazione clinica possono dare utili informazioni addizionali. Carcinoma Colon-retto STOMACO FEGATO PANCREAS PROSTATA MAMMELLA OVAIO UTERO POLMONE TESTICOLO TIROIDE Prima scelta CEA CA19.9,CA72.4 CEA CA19.9 PSA FRE, CEA CA 15.3 AFP,HCG,CA125,CEA HCG,CEA,SCC NSE,CYFRA21:1,CEA AFP,HCG, CT,TG,CEA,TPS Seconda scelta CA19.9, TPS CEA CA19.9,TPS CEA CA19.9, TPS CEA, TPS XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXX 24 CHECKUP Checkup Standard Minimo Emocromo con formula leucocitaria e piastrine VES Colesterolo Totale Colesterolo HDL Trigliceridi Glicemia Uricemia Creatininemia Transaminasi (Got-GPT/AST-ALT) Bilirubina Totale e frazionata gamma-GT Reumatest PSA (uomo sopra i 40 anni) Pap test (donne) Esame urine chimico e microscopico Check-up Standard Completo Emocromo con Formula leucocitaria e piastrine VES Colesterolo totale Colesterolo HDL Trigliceridi Glicemia Uricemia Azotemia Creatininemia Transaminasi Sideremia Protidogramma con Proteine totali Bilirubina Totale e frazionata gamma-GT TAS Reumatest Proteina C T3 FT4 TSH 25 HBsAg PSA (uomo sopra i 40 anni) Pap test (donne) Esame urine chimico e microscopico Ricerca del sangue occulto nelle feci (sopra i 40 anni) Check-up Epatico Transaminasi (Got-GPT/AST-ALT) Protidogramma e Proteine Totali Bilirubina Totale e Frazionata gamma-GT Fosfatasi Alcalina PT Fibrinogeno HBsAg HCV Check-up Renale Azotemia Creatininemia Creatinina clearance Uricemia Esame urine chimico e microscopico Urinocoltura con ABG Esame citologico del sedimento urinario Check-up Gastroenterologico Amilasi e lipasi Helicobacter Pylori Ricerca del sangue occulto nelle feci (sopra i 40 anni) Gastrina Check-up Cardiovascolare 26 Emocromo con formula leucocitaria e piastrine VES Colesterolo totale Colesterolo HDL Colesterolo LDL Trigliceridi Glicemia LDH CPK ApoA ed ApoB CPK-MB Check-up Pre-Gravidico Emocromo con formula Azotemia Creatininemia Glicemia Gruppo Sanguigno Elettroforesi dell'HB Resistenze globulari Rosolia Toxotest Cytomegalovirus Herpes Virus 1 e 2 Check-up Tiroideo T3 T4 TSH fT3 fT4 Tireoglobulina Anticorpi Anti-Microsomiali Anticorpi Anti-Tireoglobulina Anticorpi Anti-TPO Anticorpi Anti-Recettore del TSH Check-up Endocrinologico femminile LH 27 FSH Estradiolo Testosterone Prolattina Progesterone Deas Delta-4-Androstenedione Cortisolo T3 T4 fT3 fT4 TSH Check-up Endocrinologico maschile LH FSH Estradiolo Testosterone Prolattina Cortisolo T3 T4 fT3 fT4 TSH Check-up Oncologico Femminile Ca15-3 Ca125 MCA Cea Tpa Ca19-9 Alfafetoproteina Ferritina Pap test Ricerca del sangue occulto nelle feci (sopra i 40 anni) Check-up Oncologico Maschile PSA 28 PSA Free PAP Cea Tpa Ca19-9 Alfafetoproteina NSE Ferritina Ca15-3 Ricerca del sangue occulto nelle feci (sopra i 40 anni) Esame Citologico del sedimento urinario su 3 campioni Check-up Allergologico Prist Rast Check-up Reumatologico Emocromo VES Reumatest PCR Mucoproteine Waaler-Rose C3 e C4 Ana Ama Asma Check-up Apparato Respiratorio Esame escreato batteriologico e citologico, vedi IstoCitopatologia Intradermoreazione di Mantoux, vedi Preparazione al Prelievo Tpa Cea Nse 29 PER LE DONNE IN GRAVIDANZA La gravidanza nella specie umana dura in media 280 giorni (40 settimane) a partire dal primo giorno dell'ultima mestruazione regolare. In questo caso si parla di eta' gestazionale; si parla invece di eta' concezionale quando si fa riferimento al giorno della fecondazione. Vista la difficolta' di stabilire con esattezza il giorno dell'ovulazione, si fa riferimento in genere all'eta' gestazionale ogni volta che si intende descrivere un fenomeno correlato alla gravidanza ed al suo andamento. La diagnosi di gravidanza e' possibile con diversi tests di laboratorio: beta-HCG, test rapido di gravidanza sulle urine e test di gravidanza semplice. La beta-HCG, da eseguire sul sangue, e' il test piu' sensibile e preciso, ed e' da riservare in tutti i casi in cui e' indispensabile la diagnosi precoce (inseminazioni, sospetto di gravidanza extrauterina, rapporto a rischio). Esami eseguibili in gravidanza Emocromo con formula Azotemia Creatininemia Glicemia Gruppo Sanguigno Esame delle urine Elettroforesi dell'HB Resistenze globulari Rosolia Toxotest Cytomegalovirus Herpes Virus 1 e 2 Test di Coombs Listeria Estriolo HPL Tritest Emocromo con formula L'emocromo e' necessario per la diagnosi precoce degli stati anemici ed in particolare modo dell'anemia sideropenica. Il riscontro di un ridotto volume globulare medio e' un elemento importante per il sospetto di una condizione talassemica. In questi casi e' opportuno eseguire esami piu' specifici (elettroforesi delle emoglobine in particolare). Glicemia Il riscontro di una glicosuria o di valori al limite della glicemia rendono indispensabile una prova da carico di glucosio. La curva glicemica va inoltre eseguita nei casi di: • anamnesi familiare diabetica • obesita' (20% in piu' del peso ideale) 30 • vulvovaginite persistente • anamnesi positiva per aborti abituali, polidramnios, megalosomia fetale, gestosi Rosolia Se e' presente una positivita' per gli anticorpi anti-rosolia non occorre alcun provvedimento ulteriore; se dovesse risultare invece uno stato di non immunita', bisognera' prescrivere misure cautelative per evitare il contagio fino a che siano trascorse almeno 16 settimane di gestazione. Tutte le gestanti non protette dalla rosolia dovrebbero essere sottoposte alla vaccinazione subito dopo il parto o l'avvenuto aborto. L'immunita' dopo la vaccinazione sara' evidenziabile con gli opportuni tests a distanza di 2-6 mesi. Toxotest Le gestanti con titolo anticorpale positivo non necessitano di ulteriori provvedimenti. Per le altre sono opportune misure cautelative allo scopo di evitare il contagio: • mangiare solo carne ben cotta (70 gradi), affumicata o sotto sale • evitare il contatto di carni crude con la bocca (usare guanti di gomma) • lavare bene frutta e verdura prima di consumarla (guanti di gomma) • per i lavori di giardinaggio usare sempre guanti opportuni • EVITARE IL CONTATTO CON LE FECI DI GATTO Se proprio non si puo' fare a meno del proprio gatto, osservare le seguenti regole: • procurarsi una lettiera per il gatto • affidare ad altri il compito di pulirla • sterilizzare la lettiera in acqua bollente per 5 minuti • tenere il gatto il piu' possibile in casa • dare da mangiare al gatto alimenti gia' pronti Tritest Studi retrospettivi compiuti in numerosi centri di ricerca hanno dimostrato che esiste una correlazione tra le concentrazioni ormonali materne dell'Alfa-fetoproteina, dell'estriolo libero, della Beta-HCG ed alcune anomalie cromosomiche del feto. Pertanto e' stato elaborato un programma computerizzato che, basandosi sui valori ematici di questi tre ormoni, sull'eta' materna e su altri parametri quali familiarita', peso, eta' gestazionale effettiva, esprime un indice di probabilita' per un'eventuale patologia cromosomica del feto. Selezionando con questo metodo di screening il 5% di tutte le gestanti a rischio, e' stato possibile diagnosticare precocemente circa il 60% di tutte le sindromi di Down ed una percentuale ancora maggiore di difetti del sistema nervoso. L'esame si basa su un semplice prelievo di sangue, eventualmente corredato da un'ecografia, da effettuare la sedicesima settimana di gravidanza, anche se e' possibile eseguire il test tra la quindicesima e la ventesima settimana gestazionale. 31 COLESTEROLO, TRIGLICERIDI e FATTORI DI RISCHIO Colesterolo Il colesterolo e' un importante costituente delle cellule dell'organismo. E' presente inoltre nella formazione di ormoni, sali biliari e nel trasporto dei grassi, attraverso il sangue, ai tessuti di tutto l'organismo. La maggior parte del colesterolo si forma principalmente nel fegato, in piccola parte deriva dai cibi di derivazione animale come le uova ed i latticini. Il colesterolo circola nel sangue legato alle lipoproteine, l'HDL (lipoproteine ad alta densita') e l'LDL (lipoproteine a bassa densita'. L'HDL rappresenta il cosiddetto "colesterolo buono" in grado di trasportare il colesterolo in eccesso al fegato dove viene eliminato. L'LDL invece rappresenta il "colesterolo cattivo" che viene trasportato ai vari organi e che se in eccesso tende a formare la placca aterosclerotica. La placca determina il progressivo restringimento dei vasi arteriosi con conseguente diminuito afflusso di sangue al cuore ed al cervello. Questo puo' portare inizialmente ad un'ischemia e nei casi piu' gravi all'infarto con danni permanenti cardiaci. Il colesterolo puo' aumentare sia per una predisposizione ereditaria sia per una dieta ricca di cibi ad alto contenuto di grassi. Trigliceridi I trigliceridi rappresentano il principale tipo di grasso presente nelle riserve lipidiche dell'organismo fonte di riserva energetica. Derivano principalmente dalla dieta ed in piccola parte dall'organismo. Sono aumentati sia per predisposizione ereditaria che per diete ricche di grassi. L'aumento dei valori dei trigliceridi rappresentano un importante fattore di rischio per le malattie cardiache ed il diabete. Valori normali di laboratorio Il Colesterolo viene considerato normale se minore di 200 mg/dl Tra 200 e 250 mg/dl i valori vengono considerati al limite e se presenti altri fattori di rischio vanno trattati con la dieta Oltre 250 mg/dl i valori sono elevati e vanno trattati con la dieta o con opportuni trattamenti farmacologici. Fattori di rischio 32 I piu' importanti fattori di rischio sono rappresentati da: Eta' Uomini: > 45 anni Donne: > 55 o in menopausa precoce Familiarita' di coronaropatie Fumo Ipertensione arteriosa Colesterolo HDL basso Diabete EPATITE Epatite A Epatite B Epatite C Epatite A Il virus dell'epatite A e' uno dei sei virus (A, B, C, D, E, G) in grado di causare un'epatite. La trasmissione avviene bevendo acqua o mangiando cibo contaminato con materia fecale contenente il virus. Molluschi contaminati sono una sorgente frequente di infezione. Altre sorgenti di infezione sono il contatto diretto con una persona infettata. Come per le altre epatiti, una persona infettata con l'epatite A puo' non avere nessun sintomo. I sintomi piu' comuni ricordano l'influenza. Questi includono fatica, vomito, dolore nell'area epatica, urine scure e febbre. I tests di funzionalita' epatica, spesso molto elevati, confermeranno la diagnosi. La maggior parte delle persone guarisce entro i sei mesi. Non vi e' nessun specifico trattamento per l'epatite A. La maggior parte dei pazienti va tenuta a riposo da una a quattro settimane dopo la diagnosi. Anticorpi IgM appaiono precocemente e scompaiono nel giro di poche settimane rappresentando quindi un marker di infezione acuta. In un secondo momento compaiono anticorpi IgG che persistono tutta la vita e conferiscono l'immunita' alla malattia. E’ disponibile in Italia il vaccino per l'epatite A. 15-45 giorni Incubazione 0-14 giorni Infezione acuta in fase iniziale 3-6 mesi anni Infezione acuta Guarigione 33 Anti-HAV IgM Anti-HAV Totali Potenziale Infettivita' Immune Epatite B Il virus dell'epatite B e' in grado di provocare un'epatite che si risolve spontaneamente nella maggior parte dei casi. Nel 5-10% dei casi l'epatite non si risolve e la malattia puo' cronicizzarsi ed evolvere in cirrosi e, in una piccola percentuale di casi, in carcinoma epatocellulare. L'epatite B e' piu' infettiva dell'AIDS e viene trasmessa attraverso il sangue infetto e altri fluidi corporei (liquido seminale, secrezioni vaginali, latte, lacrime, saliva). Nel 30-40% dei casi il metodo di trasmissione rimane sconosciuto. La maggior parte delle persone con epatite B non presenta segni o sintomi. In questi casi la malattia puo' essere identificata solo attraverso tests sanguigni. Alcune persone possono avere sintomi simili all'influenza: perdita di appetito, nausea e vomito, febbre, debolezza, stanchezza, dolore addominale, urine scure, occhi e pelle color giallo-verde. Da diversi anni e' disponibile in Italia il vaccino per l'epatite B. 4-12 sett incubazione 1-2 sett inc. fase iniziale infezione acuta iniziale 2 sett3 mesi infezione acuta sieroconversione 3-6 mesi convalescenza anni inizio guarigione risoluzione 34 HbeAg HBsAg Anti-HBc IgM Anti-HBc Anti-HBe Anti-HBs Infettivo Potenziale Infettivita' Infettivita' Incerta Immune Epatite C Il virus dell'epatite C e' stato identificato nel 1989 e dal 1990 e' disponibile un test per gli anticorpi Anti-HCV. In genere gli individui infetti con HCV sono spesso identificati nel corso di check-up od accertamenti diagnostici di routine nel corso di donazioni di sangue. Transaminasi aumentate e positivita' per gli anti-HCV sono segno di epatite cronica C. Gli anticorpi anti-HCV rimangono positivi alcuni anni dopo un episodio di epatite acuta C. Inoltre, in una piccola percentuale di pazienti, esiste una falsa positivita' verso gli anticorpi anti-HCV. In questi ultimi due casi le transaminasi sono tipicamente normali. L'HCV puo' essere trasmesso tramite trasfusioni di sangue. Attualmente tutti i campioni di sangue vengono testati per la presenza del virus. Chiunque venga a contatto con sangue infetto, aghi (da siringa ma anche per tatuaggi o piercing), strumenti chirurgici e' a rischio per l'epatite C. Il rischio di trasmettere l'epatite C sessualmente e' sconosciuto. Esistono solo pochissimi casi certi e documentati. Il ruolo del profilattico come protezione effettiva al 100% nei normali rapporti sessuali e' tutto da dimostrare. Non esiste al momento attuale un vaccino per l'epatite C. 35 LA PCR in Microbiologia L’approccio classico nella diagnosi dell’eziologia specifica di una malattia infettiva si può basare su: a) l’identificazione morfologica e/o fisiologica del patogeno isolato dall’organismo malato; b) sull’identificazione dei prodotti del patogeno nell’organismo malato; c)sull’identificazione di prodotti di reazione (come gli anticorpi) dell’organismo malato nei confronti del patogeno (metodi immunologici); d) su un insieme di questi sistemi. Nonostante questi metodi abbiano offerto preziose possibilità diagnostiche e ancora oggi, in alcuni casi, siano gli unici disponibili o di elezione, esiste una serie di limiti inerenti al loro impiego. L’esame microscopico diretto è spesso caratterizzato da scarsa sensibilità e specificità; le tecniche colturali, benché potenzialmente accurate, sono viziate dalla lentezza con cui si ottengono i risultati. Altri limiti di questo approccio sono l’eventuale presenza di antibiotici precedentemente assunti dal paziente e l’impossibilità di discriminare ceppi virulenti e non virulenti di uno stesso agente. Tra le limitazioni dei metodi immunologici si possono rilevare le seguenti: • La mancata espressione, da parte di singoli ceppi virali o batterici, di antigeni specifici rivelabili; • L’assenza di determinanti antigenici comuni tra ceppi diversi di una stessa specie o di uno stesso gruppo, e quindi l’impossibilità di allestire un metodo in grado di identificare contemporaneamente le diverse varianti; • La presenza di potenziali antigeni specifici per determinati agenti patogeni o relativi sottotipi, ma non dotati di sufficiente immunogenicità e pertanto non identificabili con anticorpi; • L’eventuale presenza di immunocomplessi che impediscono il riconoscimento dell’antigene; • Il fattore l’imitante la sensibilità, rappresentato dalla quantità di antigene presente nel campione. Inoltre spesso non esiste una correlazione assoluta tra risposta anticorpale e infezione attiva (ad esempio nella fase finestra o di infezione pregressa). E’ noto che le caratteristiche e le specificità biochimiche proprie di ogni organismo sono determinate dalla struttura del suo DNA. Conseguentemente, nel genoma di ciascun organismo esistono delle sequenze nucleotidiche che sono specifiche per ogni specie vivente e la identificano in modo univoco. Pertanto, l’identificazione di tali sequenze in un campione biologico rappresenta certamente il modo più sicuro per accertare la presenza di eventuali agenti patogeni, nonché per definirne il tipo, siano essi virali batterici o di altra natura. La decisione di sviluppare ed applicare la PCR per la diagnosi di una determinata infezione deve dipendere innanzitutto da una analisi che comprenda il significato clinico, la velocità e il costo di questo test rispetto a quelli convenzionali. In generale si possono elencare alcune situazioni in cui la PCR trova la sua applicazione elettiva, rispetto ai metodi diagnostici tradizionali: • Quando non esistano, o non siano sufficientemente sensibili o informativi, i marcatori sierologici diretti o indiretti di infezione (antigeni oanticorpi); • Quando sia utile fornire con tempestività il risultato, ad esempio per intervenire con una terapia adeguata; • Quando sia richiesta una particolare sensibilità; • Quando sia necessario o utile discriminare ceppi o varianti, identificare diverse specie, non differenziabili con altri sistemi. 36 Le infezioni genitali rappresentano importanti malattie sessualmente trasmesse sia per la loro ampia diffusione in tutti i paesi del mondo sia perché correlate al rischio di insorgenza di alcune forme di tumori. Sono più di 70 i genotipi di HPV finora descritti e di questi almeno 24 sono stati associati a lesioni genitali e suddivisi in due categorie ad ”alto rischio” e a “basso rischio” a seconda che le lesioni cui appaiono associati possiedono o meno potenzialità evolutive maligne. Sulla base di questa classificazione sono considerati HPV a basso rischio i tipi 6, 11, 42, 43, 44 di solito associati a condilomi benigni e a neoplasie intraepiteliali cervicali (CIN) di basso grado. I tipi 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 53, 56, 58, 66, 67, 70 sono considerati ad alto rischio in quanto possono essere associati a lesioni cervicali pre maligne (CIN grado 2) e a carcinomi cervicali (CIN grado 3). Recenti studi prospettici dimostrano che in donne con PAP test negativo la progressione a CIN nei due anni successivi si ha nel 28% delle pazienti con test HPV positivo e solo nel 3 % di quelle con test negativo. Naturalmente, oltre all’infezione da HPV, altri cofattori agiscono nella genesi del carcinoma cervicale, come partner sessuali multipli, il fumo, ripetute infezioni genitali. Solo la diagnosi molecolare è attualmente disponibile per l’identificazione diretta di HPV. Il virus può essere determinato mediante reazioni di ibridazione, ad esempio con sonde a RNA complementari al DNA virale. Un approccio alternativo consiste nella ricerca del virus mediante amplificazione del DNA con la tecnica di PCR e nell’identificazione del tipo di HPV. L’amplificazione del DNA virale permette di raggiungere un livello di sensibilità estremamente elevato, oltre ad un’alta specificità. Campione biologico: Il test per la ricerca del virus può essere effettuato su campioni di cellule di desquamazione ottenute mediante tampone, lavaggio o spatolato vaginale o cervicale o su materiale bioptico fresco o fissato e incluso in paraffina. Per i soggetti maschili il test può essere effettuato su sperma; l’utilizzo di tamponi uretrali o di un campione di urine non ha, a tutt’oggi, dato risultati soddisfacenti. Quando richiedere il test: • Nello screening primario come integrazione dell’esame citologico nello screening di donne oltre i 35 anni di età. • Nello screening secondario (tutte l’età) per la risoluzione di esami citologici “dubbi”. • Per il chiarimento di una mancata correlazione con la colposcopia. • Per il follow up di soggetti sottoposti a trattamento chirurgico o farmacologico. • Per la conferma dell’eradicazione dell’infezione virale. • Per il controllo del trattamento terapeutico. Campioni richiesti: Tipo: tessuti, tampone vaginale, tampone cervicale, tampone uretrale. Trasporto: 2-8 °C Stabilità: ambiente 4 ore, refrigerati: 3 giorni La Clamydia Tracomatis La Clamydia Tracomatis rappresenta una delle più comuni malattie sessualmente trasmesse. I sintomi sono generalmente rappresentati da cervicite, infiammazione pelvica e dolore pelvico cronico nella donna; uretrite ed epididimite nell’uomo; congiuntivite e pneumopatia nel neonato. Nella maggioranza dei casi le infezioni da Clamydia Tracomatis sono asintomatiche nella donna e nell’uomo, ma possono portare a gravidanze ectopiche e ad infertilità; nel neonato la polmonite acuta può evolvere in malattia 37 polmonare cronica. Dal momento che molte infezioni da Clamydia Tracomatis sono asintomatiche e quelle clinicamente manifeste non possono essere distinte da altre simili malattie sessualmente trasmesse, una diagnosi rapida e accurata è importante per una gestione ottimale del paziente infetto e per interrompere la trasmissione per contatto. Diagnosi di Laboratorio: Le infezioni da Clamydia Tracomatis possono essere dimostrate da un significativo aumento del titolo anticorpale o dalla rivelazione del microrganismo nelle secrezioni corporee infette. La comparsa degli anticorpi specifici richiede 2 – 3 settimane durante l’infezione primaria, comportando un ritardo clinicamente inaccettabile per la diagnosi. La rivelazione sierologia dell’infezione da Clamydia Tracomatis è inoltre complicata dalla presenza di anticorpi che cross- reagiscono con altre specie di Clamydia, dalla stimolazione non specifica di anticorpi anti-clamidia o dalla passata esposizione a diverse specie di clamidia. Qualsiasi titolo di IgG può indicare una esposizione passata a quella particolare specie. Nella popolazione adulta, la prevalenza di titoli anticorpali indicativi di esposizione a clamidia varia da 50 a 78%. L’eventuale presenza di anticorpi cross-reattivi o non specifici è tipicamente < 1:128. I titoli di IgG in individui recentemente infettati sono >1:512; titoli IgM >1:20 sono indicativi di infezione recente con quella particolare specie di clamidia; tuttavia, gli anticorpi IgM anti-clamidia sono cross-reattivi e spesso rappresentano titoli diretti verso specie multiple di clamidie. Le infezioni ricorrenti di clamidia sono comuni; i titoli anticorpali sono già elevati all’esordio e in genere non variano nel tempo. La determinazione diretta dell’organismo, perciò rappresenta il metodo che permette una diagnosi rapida delle infezioni sia acute che ricorrenti. Sono disponibili diversi metodi di rivelazione: • Coltura del microrganismo • Immunofluorescenza diretta • Determinazione antigenica in ELISA • Amplificazione genica I metodi di amplificazione genica sono altamente specifici, hanno una maggiore sensibilità rispetto a tutti gli altri sistemi di determinazione, si possono applicare anche a campioni di urina e danno risultati in tempi brevi. Campioni richiesti: Tipo: urina (primo getto), tampone vaginale, tampone cervicale, tampone uretrale. Trasporto: 2-8 °C Stabilità: ambiente 4 ore, refrigerati: 3 giorni Il Laboratorio di Gestione Centro Ricerche, oltre ad avere consulenti in biologia molecolare estremamente preparati, si è fornito del “LIGHT CYCLER” termociclizzatore rapido con rivelazione in fluorescenza per l’analisi e la quantificazione ON LINE dei prodotti di PCR. La reazione di PCR avviene all’interno di un capillare di vetro (volume 20 ml) e le rapide variazioni di temperatura, attraverso un sistema ad aria, consentono 30 cicli di amplificazione in meno di 20 minuti. L’amplificazione e la rivelazione fluorescente avvengono all’interno dello stesso capillare eliminando qualsiasi problema di contaminazione. Le principali applicazioni comprendono: metodi quantitativi per lo studio dell’espressione genica, l’analisi delle mutazioni tramite la melting curve, l’analisi quantitativa della carica virale. Tale strumentazione è del tutto innovativa, infatti, uno dei vantaggi più grandi rispetto alle normali PCR è il controllo in tempo reale dei prodotti amplificati. Le PCR convenzionali per quantizzare dei campioni o richiedono campioni multipli o le aliquote devono essere prese da un singolo campione a determinati intervalli, il prodotto deve essere rilevato da un elettroforesi usando l’etidio di bromuro, e sappiamo che la preparazione dei campioni multipli è costosa, il ritiro delle aliquote produce contaminazioni e l’analisi del gel di agarosio con l’etidio di bromuro difetta in sensibilità e specificità con lo svantaggio non trascurabile di dover usare l’etidio di bromuro (cancerogeno). Tutti questi svantaggi sono superati poiché la Light Cycler rilevando in tempo reale l’amplificato riduce la possibilità 38 di contaminare evitando, anche, tutti i problemi legati alla corsa elettroforetica poiché non si effettuerà più. LA DIAGNOSI MOLECOLARE NELLE INFEZIONI VIRALI Ormai da alcuni anni, con il costante sviluppo di nuove modalità terapeutiche, si avverte la necessità di una diagnosi rapida e certa delle infezioni virali umane, onde poter aggredire rapidamente l’ agente infettivo e modulare poi in assoluta tranquillità l’ azione farmacologica. Purtroppo le tecniche immunoenzimatiche attualmente in uso, non permettono una precisa attività terapeutica e prognostica, non potendo fornire indicazioni certe sulla esistenza e sul grado di replicazione ed attività dei virus, sia in fase iniziale sia durante il trattamento anti virale. Per questo motivo si è alla continua ricerca di metodiche diagnostiche sempre più affidabili e di più veloce attuazione. In questo contesto si inseriscono le tecniche di diagnosi molecolare (RT-PCR e PCR ) attraverso le quali è possibile mettere in evidenza la presenza del genoma virale ed avere quindi la certezza immediata sia della avvenuta infezione sia degli effetti della eventuale terapia antivirale durante i vari stadi della malattia. Diagnosi dell’ infezione da HBV La diagnosi di infezione da HBV avviene di solito mediante la ricerca nel siero dell’ Ag di superficie Hbs Ag. Nelle epatiti acute o croniche da HBV l’ Hbs Ag rimane nel siero molto più a lungo rispetto al virus intatto. La ricerca diretta del genoma virale dell’ HBV è quindi fondamentale, sia per monitorizzare i vari stadi durante la terapia antivirale, sia per diagnosticare l’ infezione quando non è ancora evidenziabile la risposta anticorpale (periodo finestra). Inoltre i portatori sani che sono positivi alla ricerca dell’ Hbs Ag ma non decorrono nella malattia epatica, sono negativi alla ricerca del genoma dell’ HBV. Diagnosi dell’ infezione da HCV Il virus HCV causa la maggior parte delle epatiti non A e non B ed ha un genoma ad RNA . Tramite la trascrizione inversa e la successiva amplificazione della regione 5’ UR si può rilevare la presenza del virus nel siero o nella biopsia epatica. Ciò permette pertanto sia di rilevare la presenza del virus quando ancora non è evidenziabile la risposta anticorpale (periodo finestra), sia di verificare l’ effetto terapeutico della terapia interferonica od antivirale in genere. Inoltre in caso di soggetti con ALT normali ed infezione cronica la ricerca del genoma virale è necessaria per sapere se il virus è inattivo (esame negativo) o se il virus pur replicandosi (esito positivo) non è stato in grado fino a quel momento di danneggiare il fegato in modo significativo ma necessita di follow up. Tipizzazione dell’ HCV Il virus dell’HCV è altamente variabile. Fino ad oggi sono stati individuati nove tipi che si suddividono poi in molteplici sottotipi. In Italia sono diffusi soprattutto i sottotipi 1a, 1b, 2a, 2c, 3 che possono essere evidenziati tramite RT-PCR. Poiché esiste una stretta correlazione tra il genotipo del virus HCV e la risposta alla terapia interferonica, la conoscenza del sottotipo infettante risulta essere un dato fondamentale per una corretta impostazione della terapia. 39 Il Laboratorio nello screening delle Trombofilie: La trombosi è un fenomeno multifattoriale dalla patogenesi complessa e dipende, secondo un concetto espresso già nel XIX° secolo, dalla triade di alterazioni del sistema vascolare (danno vasale), del flusso ematico ( rallentamento o stasi) e della coagulazione ( ipercoagulabilità). Il trombo venoso è prevalentemente fibrinico e alla sua formazione concorre maggiormente la coagulazione, mentre nella formazione del trombo arterioso giocano un ruolo più importante le piastrine e la parete vasale. Definiamo come stati trombofilici alcune particolari condizioni che possono essere ereditarie o acquisite. In molti casi gli eventi trombotici sono scatenati o favoriti da condizioni acquisite favorenti la trombosi quali l’immobilizzazione, i traumi, gli interventi chirurgici, la assunzione di estroprogestinici e la gravidanza. Trombofilie ereditarie: Sono un gruppo di affezioni caratterizzate da episodi trombotici prevalentemente venosi, che avvengono in età giovanile, spesso riccorrenti e nelle quali è possibile mettere in evidenza una familiarità. Le principali sono Resistenza alla proteina C attivata (APC) Aumento ereditario del fattore II Carenza o alterata funzione degli inibitori della coagulazione - Antitrombina (AT) - Proteina C (PC) - Proteina S (PS) Resistenza alla proteina C attivata: quando al plasma umano normale si aggiunge PC attivata si assiste ad un prolungamento del tempo di coagulazione come conseguenza della in attivazione dei fattori V e VIII attivati, da parte della PC attivata. Esistono soggetti il cui tempo di coagulazione, dopo l’aggiunta in vitro di PC attivata, non si prolunga in maniera adeguata. Responsabile di tale anomalia, denominata resistenza alla PC attivata, è, nella stragrande maggioranza dei casi, una mutazione del fattore V. Questa condizione costituisce la più frequente alterazione trombofilica congenita. Ha una prevalenza nella popolazione trombofilica del 20 – 60% ed è presente nel 3 – 5 % della popolazione normale. All’identificazione di un soggetto resistente con metodo coagulativo è sempre buona norma far seguire la conferma con il test genetico per la mutazione del fattore V di Leiden. Recentemente è stata individuata un variante genetica della protrombina (20210A) che risulta essere associata ad elevati livelli plasmatici del fattore II (protrombina) e ad un elevato rischio di eventi trombotici. Questa mutazione è presente in circa il 2% della popolazione sana, e nel 6-7% dei trombofilici. Altre anomalie ereditarie descritte in associazione con il rischio di trombosi sono: - Carenze o anomalie ereditarie di fattori o meccanismi della fibrinolisi - Iperomocisteinemia - Aumento della lipoproteina Omocisteina: un aumento anche modesto dell’Omocisteina rappresenta un fattore di rischio per malattie cardiovascolari. La diagnosi non comporta particolari problemi nei soggetti omozigoti, mentre negli eterozigoti la misura di livelli del metabolica quattro ore dopo l’assunzione di metionina può migliorare la capacità diagnostica del test. 40 Trombofilie acquisite: - Anticorpi antifosfolipidi (APA) e anticoagulante tipo lupus (LAC). La presenza di APA E LAC si può associare a manifestazioni cliniche di trombosi ricorrenti venose e arteriose, abortività ricorrenti, e piastropenia. - Deficienza acquisita della fibrinolisi - Fattori della coagulazione. Recenti studi riportano un elevato rischio di trombosi per aumentati livelli di alcuni fattori della coagulazione. (VIII, IX, XI). Quando eseguire lo screening? - Storia familiare positiva per embolie venose - Trombosi idiomatica - Età giovanile di comparsa dell’evento - Trombosi in sedi non usuali - Poliabortività - Necrosi cutanea indotta da anticoagulante - Porpora fulminante neonatale - Terapia sostitutiva estroprogestinica Quali esami eseguire? - Antitrombina - Proteina C - Proteina S - Resistenza alla proteina C attivata - Omocisteina - Fattore VIII - Anticorpi anti fosfolipidi (LAC, APA) - Analisi delle mutazioni di Leiden fattore V e della protrombina fattore II (20210 A). Uso Clinico del D-dimero: Il tromboembolismo venoso (TEV) è una malattia potenzialmente fatale che si manifesta nella forme cliniche più frequenti della trombosi venosa profonda (TVP) e dell’embolia polmonare (EP). Il miglior strumento diagnostico che il laboratorio può offrire per la diagnosi di trombosi venosa profonda e di embolia polmonare è il D-dimero. Il D-dimero plasmatico si genera quando il sistema fibrinolitico degrada la fibrina ed è quindi specifico della fibrina stabilizzata e, conseguentemente, miglior marcatore della formazione della fibrina in vivo. Tale marcatore si innalza quindi con l’evento trombotico per abbassarsi poi di circa 1\4 del valore iniziale in 1-2 settimane. Tutti i metodi in uso prevedono l’impiego di anticorpi monoclonali e sono quindi dotati di una ottima specificità analitica (misurano solo il D-dimero e non altri prodotti di degradazione della fibrina) e buona sensibilità. Esistono, invece, delle differenze per quanto attiene alla specificità e sensibilità clinica: Il D-dimero è raramente elevato nei soggetti sani ma è poco specifico per i pazienti con tromboembolismo venoso poiché aumenta in tante altre condizioni in cui si forma e degrada la fibrina ( infezioni, tumori, traumi, interventi chirurgici, insufficienza renale, infarto ecc.) Un risultato negativo rende improbabile la presenza di un episodio acuto di trombosi venosa profonda. 41 Il Laboratorio nello studio della malattia diabetica: Definizione e classificazione Il diabete è un’alterazione del metabolismo degli zuccheri dovuto ad un difetto di produzione o di azione dell’insulina, l’ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas dotato di funzione ipoglicemizzante nell’organismo animale. La recente classificazione del diabete in base alle cause patogenetiche distingue le seguenti forme di malattia: • Diabete tipo 1: diabete insulino-dipendente , conseguente a danno del pancreas per cause immunitarie o idiopatiche (non identificabili). • Diabete tipo 2: non insulino-dipendente, non causato da danni a carico del pancreas che conserva la capacità di produrre insulina. Il difetto di regolazione della glicemia, in questa forma di diabete deriva o da una difettosa risposta cellulare all’azione dell’insulina, o da una produzione di insulina da parte del pancreas inadeguata rispetto all’aumento di glicemia. • Diabete da altre cause specifiche: malattie genetiche, malattie o traumi pancreatici, malattie endocrine associate o altre patologie. • Diabete gestazionale: indotto da variazioni ormonali della gravidanza e spesso relativo alla sola epoca gestazionale. • Alterazioni della tolleranza glicidica (AGT) • Alterata glicemia a digiuno IFG (impaired fasting glicemia) Valutazione del tipo di difetto metabolico Per valutare la causa dell’ alterazione del metabolismo degli zuccheri, la diagnosi clinica si avvale degli esami di laboratorio circa la capacità di produzione di insulina da parte del pancreas. Pertanto per svelare o caratterizzare il diabete o un’alterata tolleranza glucidica è opportuno dosare nel sangue simultaneamente i valori di glicemia ed insulinemia a digiuno e due ore dopo un pasto ricco in zuccheri. E’ inoltre possibile valutare la capacità funzionale del pancreas a produrre insulina dosando nel sangue il peptide C contenuto nella pro-insulina (indice di riserva funzionale del pancreas). 42 Criteri diagnostici Il diabete viene attualmente diagnosticato con i seguenti criteri: Glicemia a digiuno > 126 mg/dl (valore oltre il quale è possibile osservare la comparsa di patologie cardiovascolari associate in soggetti non ancora in terapia) Glicemia 2 ore dopo un carico orale di glucosio o dopo pranzo ricco in carboidrati > 200 mg/dl La diagnosi di alterata tolleranza glicidica viene formulata in caso di valori di glicemia 2 ore dopo un carico orale di glucosio o dopo pasto ricco in carboidrati > 140 mg/dl Curva da carico e profilo glicemico Se vi sono le indicazioni da parte del medico (glicemia basale < 130 mg/dl) può essere effettuata una curva da carico orale di glucosio dopo l’assunzione di una soluzione acquosa contenente75 gr. di glucosio. Prima dell’ assunzione della soluzione glucosata e successivamente dopo 30 min., 60 min., 90 min. , 120 min., 180 min. saranno quindi effetuati i prelievi per il dosaggio della glicemia (curva glicemica) ed eventualmente dell’insulinemia (curva insulinemica). Se la glicemia a digiuno è superiore a 130mg/dl generalmente non viene richiesta la curva da carico ma il profilo della glicemia e dell’insulinemia a digiuno e successivamente due ore dopo i pasti. Complicanze del diabete Complicanze croniche L’eccesso nel sangue di glucosio non utilizzato metabolicamente dall’organismo e non immagazzinato sotto forma di glicogeno come riserva di energia muscolare ed epatica, a causa del difetto insulinico, crea sofferenza cellulare con danno funzionale di molti organi e tessuti dell’organismo. Si generano così le complicanze croniche del diabete: retinopatia fino alla cecità, alterazioni della funzionalità renale fino alla dialisi, , complicanze cardiovascolari fino all’infaro miocardio o all’ ictus cerebrale, arteriopatie periferiche fino alla claudicatio, alterazioni neurologiche, impotenza, ulcere plantari con danno cosiddettodel piede diabetico. Complicanze acute Le complicanze più frequenti causa di emergenze acute nel diabete nel diabete sono il coma diabetico iperosmolare,il coma ipoglicemico ed il coma chetoacidosico. Il coma iperosmolare si associa generalmente a livelli di glicemia > 500 mg/dl, in conseguenza di una rapida disidratazione da massiva diuresi dovuta all’eliminazione degli zuccheri in eccesso con le urine. Il coma ipoglicemico al contrario è causato da un improvviso calo della glicemia generalmente al di sotto di 40mg/dl e può verificarsi in soggetti in terapia con insulina o con potenti farmaci ipoglicemizzanti. Il coma chetoacidosico può verificarsi in soggetti affetti da diabete insulino-dipendente tipo 1, a a causa di un’eccessiva produzione di chetoni (acetone). Criteri diagnostici per le complicanze Per la valutazione del rischio di complicanze croniche gli esami di laboratorio attualmente più utilizzati sono: Glicemia post-prandiale (da effettuarsi due ore dopo un pasto) : rischio moderato >150 mg/dl; rischio elevato> 200mg/dl. 43 Esame urine: la presenza di zuccheri nelle urine (glicosuria) è indice del superamento della soglia renale di riassorbimento dello zucchero ossia di elevazioni di glicemia al di sopra di 180-200 mg/dl nel corso della giornata. La glicosuria può essre misurata nelle prime urine del mattino o in più momenti nel corso della giornata, generalmente due ore dopo i pasti principali (glicosuria frazionata). Emoglobina glicosilata (percentuale di emoglobina, proteina circolante trasportatrice di ossigeno, legata a residui di glucosio ed indice indiretto della deposizione di zucchero a livello dei tessuti dell’organismo): rischio moderato > 7,2; rischio elevato >8,0 Microalbuminuria : nelle urine del soggetto normale non è possibile dosare alcuna traccia di proteine nelle urine. L’eliminazione di tracce di albumina nelle urine del soggetto diabetico rivelabili con tecniche di laboratorio ultrasensibili è indice di un rischio di danno renale e di ipertensione. Il Laboratorio nel turn over osseo:Osteoporosi: Dal punto di vista clinico e socio-economico l’Osteoporosi è la più importante patologia del metabolismo osseo. Per la sua elevata prevalenza, in progressivo aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione, e per la complessità della gestione diagnostica e terapeutica, l’Osteoporosi rappresenta una delle più stringenti sfide per la sanità mondiale. L’osteoporosi o patologia silente è un disturbo del processo di rimodellamento osseo che produce, soprattutto nelle donne anziane ed in post menopausa, una più alta perdita di tessuto osseo con conseguente maggior rischio di fratture. Nonostante il considerevole progresso conseguente alla disponibilità di metodi della Densità Minerale Ossea (BMD) e di nuovi e più efficaci farmaci, la situazione permane critica. In base ai valori di Densità Ossea circa il 30% della popolazione femminile ha un rischio aumentato di Osteoporosi. Solo negli Stati Uniti si contano 1.300.000 fratture ogni anno, con una mortalità a 6 mesi del 20%. Oggi non è ancora possibile evitare la perdita di massa ossea conseguente all’invecchiamento. Grazie a misure preventive e a nuovi efficaci farmaci esistono però buone speranze di ridurre la perdita di osso o almeno di ritardare lo sviluppo dell’osteoporosi. L’affinamento delle tecniche di misura della Densità ossea e la disponibilità di nuovi markers biochimici in grado di stratificare il rischio di fratture e di monitorare l’efficacia della terapia aprono nuove concrete possibilità per vincere la sfida. La disponibilità dei nuovi marcatori biochimici a più elevata sensibilità e specificità permette oggi un perfetto monitoraggio della terapia. E’ così possibile riconoscere nell’arco di soli tre mesi la sua efficacia. Per ottenere una analoga informazione con i metodi di densitometria ossea sono necessari almeno due anni. Ciò è particolarmente importante in quanto sono in procinto di essere immessi sul mercato nuovi farmaci a maggior efficacia. 44 La perdita di osso dopo la menopausa è chiaramente causata da un aumentato turnover osseo con un eccesso di riassorbimento. In numerosi studi i nuovi marcatori biochimici hanno dimostrato di poter stratificare il rischio di fratture in donne in post-menopausa. In base a ciò potrebbe essere pertanto possibile determinare il rischio individuale per decidere per tempo l’opportunità di iniziare una terapia al fine di ridurre il rischio di fratture. I MARCATORI DEL METABOLISMO OSSEO Il turnover osseo è caratterizzato da due processi metabolici: • Processo di formazione operato dagli osteoblasti • Processo di degradazione (riassorbimento) operato dagli osteoclasti Nei due processi si formano delle sostanze che compaiono nel sangue e nelle urine. Queste sostanze possono essere enzimi, proteine, prodotti collaterali della sintesi delle proteine o prodotti di degradazione. La perdita di osso consegue a uno sbilanciamento dei processi dove l’attività osteoclastica eccede quella osteoblastica. Tra i marcatori di formazione ossea il test della osteocalcina si distingue per sensibilità e specificità. Tra i marcatori di riassorbimento i cosiddetti b-CrossLaps su siero si sono recentemente distinti per sensibilità e specificità. Cosa sono i b-CrossLaps? Più del 90% della matrice organica ossea è costituita da collagene di tipo I. Nel normale metabolismo osseo questo viene degradato in piccoli frammenti che vengono rilasciati in circolo e successivamente eliminati per via renale. Uno di questi prodotti di degradazione è chiamato b-CrossLaps. Tra gli esami più importanti per studiare l’osteoporosi ci sono sicuramente il calcio e il PTH Intatto. Quest’ultimo è il metodo di eccellenza per le indagini sul metabolismo del calcio. Il Paratormone (PTH) intatto regola insieme alla calcitonina la concentrazione degli ioni calcio nel sangue. Gli esami consigliati sono: Calcitonina PTH Osteocalcina Calcemia Fosforemia Calciuria Fosfatasi alcalina Idrossiprolinuria Il dosaggio del b-CrossLaps è un esame nuovo ma assumerà sicuramente notevole importanza nello studio del riassorbimento osseo. 45 Il Laboratorio nella diagnostica della patologia prostatica: Il carcinoma della prostata è il tumore più frequente nell’uomo e rappresenta la seconda causa di morte tumorale negli Stati Uniti, la quarta in Italia, dopo il cancro del polmone, dello stomaco e del colon retto. L’incidenza del carcinoma prostatico è in costante e progressivo aumento nei paesi occidentali; nel 1996 negli Stati Uniti sono stati diagnosticati 317.000 nuovi casi ed una mortalità specifica di 44.000 soggetti. Numerosi fattori eziologici sono stati invocati per questa neoplasia. Tra questi ricordiamo fattori genetici, ormonali ambientali, dietetici e legati al comportamento sessuale. La diagnostica della patologia prostatica si avvale essenzialmente dell’esplorazione rettale e di indagini strumentali (ecografia transrettale accompagnata o meno dal prelievo bioptico) e di laboratorio (esame cito-istologico e determinazione di marcatori tumorali). La diagnostica di laboratorio si avvale del dosaggio del PSA totale o T-PSA (PSA + PSA FREE) e del dosaggio del free-PSA. I due dosaggi combinati sono quindi utilizzati per il calcolo del rapporto tra il PSA FREE e il PSA Totale. Nei soggetti sani le concentrazioni sieriche del PSA totale sono inferiori a 4 ng\mL; questo valore è usualmente accettato come limite superiore del range di normalità. Uso clinico del dosaggio del PSA : screening del carcinoma prostatico. Numerosi dati della letteratura documentano che le concentrazioni sieriche del PSA tendono ad aumentare quando si passa da una situazione di benignità ad una situazione di progressiva malignità. Esiste attualmente notevole accordo in letteratura nel considerare il valore di 4 ng/mL di PSA totale come valore di cut-off al di sotto del quale sono prevalentemente compresi soggetti sani o con ipertrofia prostatica benigna; viceversa, valori di PSA totale >4 ng/mL sono associati in , maniera statisticamente significativa con una maggiore frequenza di positività per carcinoma prostatico diagnosticato con ecografia trans-rettale associata o meno a biopsia eco guidata. Nel range 4 – 10 ng/mL di PSA totale è compreso circa il 60% dei carcinomi prostatici con PSA elevato. Tuttavia, oltre il 90% dei soggetti con risultati compresi in tale range, non presentano i segni clinici della neoplasia. Infine, una discreta percentuale di neoplasie prostatiche presenta valori di PSA inferiori a 4 ng/mL. La specificità diagnostica del dosaggio del PSA è stata notevolmente aumentata dal dosaggio contemporaneo del PSA libero e dal calcolo del rapporto PSA libero\PSA tot (F/T PSA). Il rapporto F/T PSA è significativamente più basso nei soggetti con carcinoma prostatico non trattato rispetto a quelli con valori aumentati di PSA totale, determinati da affezioni prostatiche benigne. Il dosaggio del PSA libero (free) ed il calcolo sistematico del rapporto F/T PSA permettono una significativa riduzione delle ecografie transrettali e delle biopsie prostatiche. Classicamente, il dosaggio del free PSA ed il conseguente calcolo del rapporto F/T è riservato ai valori di PSA totale compresi tra 4 e 10 ng/mL. Attualmente si tende ad allargare tale intervallo. Nel nostro laboratorio utilizziamo un intervallo tra 3 – 10 ng/mL ed un cut-off del rapporto F/T pari a 15. Il cut-off deve essere inteso come il valore discriminante tra soggetti per i quali si rendono necessari ulteriori accertamenti diagnostici ( valori inferiori a 15) e soggetti per i quali in assenza di quadro clinico non sono necessari ulteriori accertamenti (valori superiori a 15). 46 Il Laboratorio nella patologia da Helicobacter pilori: La patologia gastroenterologica nel corso di questi ultimi anni è stata rivoluzionata dalla scoperta di un batterio: l’Helicobacter Pylori . L’Helicobacter pilori la chiave patogenetica che ha aperto la porta della comprensione di molte patologie gastroenteriche; ma mentre per alcune di esse esistono molti studi che ne provano la colpevolezza (vedi gastrite cronica antrale e ulcera peptica) per altri ci sono fondati sospetti (dispepsia, carcinoma e linfoma gastrico). Meccanismi patogenetici: Spiccata motilità dovuta alla caratteristica forma elicoidale e alla presenza di flagelli. Capacità di adesione dell’H. pilori nei confronti dell’epitelio gastrico dovuta a sostanze glicoproteiche della superficie batterica che consentono il riconoscimento di specifici recettori di membrana delle cellule epiteliali gastriche. Produzione di tossine: una volta adeso alla superficie della mucosa gastrica l’H. pilori può contribuire al meccanismo patogenetico danneggiando le cellule con i suoi prodotti metabolici e\o citotossine, impedendo l’assunzione di sostanze nutritive o innescando una reazione infiammatoria in risposta a determinati stimoli antigenici. In particolare, una delle sostanze ritenute maggiormente responsabili ,è l’ureasi, enzima che oltre a caratterizzare l’H. pilori, produce ammonio scindendo l’urea plasmatici che trasuda nello stomaco. Un ruolo non indifferente nel danno epiteliale da h.pylori è giocato dalla reazione immunitaria verso il batterio. Buona parte della comprensione della patogenesi delle malattie gastroduodenali passa attraverso l’interazione tra batterio e reazione immunitaria locale dell’ospite, anche perché sembra che la risposta infiammatoria locale passa essere differente in base ai diversi ceppi di H. pilori. E’ quindi sulla base di queste interazioni che probabilmente opera la diversa evoluzione dell’infezione. L’H. pilori oltre ad indurre alterazione dell’istologia gastrica, in particolare della mucosa antrale dello stomaco, determina verosimilmente modificazioni di tipo funzionale sulla secrezione acida e sul rilascio di enzimi ed ormoni quali pepsinogeno, gastrina e somatostatina. La maggior parte delle alterazioni fisiopatologiche indotte dall’H. pilori riguarda la malattia ulcerosa peptica. Sembra che l’ipergastrinemia riscontrata nei soggetti ulcerosi sia un fattore dipendente dall’infezione, o meglio dall’infiammazione causata dalla colonizzazione batterica dell’antro gastrico. Epidemiologia: L’infezione da H. pilori e la gastrite ad esso correlata non evolve necessariamente in una patologia clinicamente manifesta, anzi nella maggior parte dei casi decorre asintomatica. Non sorprende quindi che essa sia considerata la più comune malattia infettiva nel mondo. Il batterio è maggiormente diffuso nei paesi di maggior sviluppo, tra le classi sociali più povere e in condizioni igieniche precarie. Queste caratteristiche geografiche e sociali depongono per un contagio inter umano e di tipo oro-orale oro-fecale. L’H. pilori può essere trasmesso e acquisito lungo tutto il corso dell’esistenza di un individuo, tuttavia sembra che l’infanzia rappresenti il periodo della vita con il più alto rischio di trasmissione- acquisizione e quello in cui l’infezione probabilmente comporta la prognosi peggiore. Diagnosi: I test impiegati nella diagnosi di infezione da H. pilori si distinguono in test invasivi che comportano l’esecuzione di una gastroscopia e di un prelievo bioptico, e test non invasivi, per i quali viene richiesto un prelievo di sangue o un semplice respiro. Metodi non invasivi: Sierologia- l’infezione gastrica da H. pilori determina una risposta immunitaria sistemica che permane per tutta la durata dell’infezione. Tale risposta è caratterizzata dalla iniziale e transitoria produzione IgM, alla quale segue un aumento in poche settimane di IgG e di IgA. Il titolo delle immunoglobuline resta elevato in presenza di gastrite cronica attiva e tende lentamente a ridursi dopo 47 l’eradicazione del batterio. La determinazione del titolo anticorpale avviene mediante tecniche immunoenzimatiche. Attualmente, tuttavia, la sierologia classica appare ridimensionata nel suo significato diagnostico dall’avvento dei metodi di ricerca diretti all’antigene. Per tali motivi, attualmente la ricerca e titolazioni degli anticorpi trova maggior impiego nella valutazione della risposta alla terapia antibiotica. Ricerca diretta dell’antigene: alcuni anni fa è stato proposto un test qualitativo basato sulla ricerca di antigeni strutturali dell’H. pilori presenti nelle feci dei pazienti. Tali test utilizzano anticorpi policlonali adesi sulle pareti dei pozzetti della micropiastra; tali anticorpi si legano in modo specifico agli antigeni del batterio presente nel campione. La ricerca diretta dell’antigene H. pilori nella feci è attualmente il metodo d’elezione per la diagnosi ed il monitoraggio post terapeutico dell’infezione. Il Laboratorio nella diagnostica della malattia celiaca: La malattia celiaca: una diagnosi ancora trascurata. Quadro clinico in età pediatrica Le manifestazioni cliniche della malattia celiaca (MC) sono molteplici; l'evoluzione delle conoscenze scientifiche avvenuta in questi ultimi anni ha permesso di inquadrare in maniera più completa la celiachia in tutti i suoi aspetti, anche se l'estrema eterogenicità delle diverse forme cliniche (quadri atipici o silenti) può rendere difficile o, comunque, tardiva la diagnosi. Prima di esaminare in dettaglio il quadro clinico va segnalato che indagini di screening hanno evidenziato che, almeno in età pediatrica, la MC è una delle patologie croniche più frequenti in assoluto. A questo proposito va citato uno studio multicentrico italiano condotto da Catassi e collaboratori su oltre 17.000 studenti con un'età compresa tra gli 11 ed i 14 anni: dai risultati di questo studio emerge che nel nostro paese la prevalenza della MC è molto elevata: 1 caso ogni 180 soggetti. Un altro dato sorprendente è che, per ogni caso di celiachia correttamente diagnosticato, ve ne sono 7 che sfuggono alla diagnosi clinica. La diffusione nella pratica clinica di test diagnostici dotati di alta sensibilità e specificità, quali la determinazione degli anticorpi anti-gliadina (AGA), anticorpi anti-endomisio (EMA) e anticorpi antitransglutaminasi (Ac anti-tTG), consente di individuare agevolmente, indipendentemente dalla modalità di presentazione clinica, tutti i casi di MC, che vanno, comunque, confermati dalla biopsia intestinale. La celiachia è una patologia multifattoriale legata fondamentalmente a due fattori: uno 48 intrinseco al paziente, rappresentato dalla predisposizione genetica, ed il secondo esogeno o, meglio, ambientale, costituito dalla presenza nella dieta di una proteina o, più precisamente, di un complesso proteico particolare: il GLUTINE. La MC può manifestarsi a qualsiasi età, ma di solito i sintomi si presentano fra il 6° ed il 15° mese di vita, cioè dopo la somministrazione di alimenti contenenti glutine, con un esordio, nella forma tipica, generalmente a distanza di alcuni mesi dall'introduzione. La Malattia Celiaca può essere definita, quindi, come un'intolleranza permanente al glutine ed alle proteine affini in soggetti geneticamente predisposti. Le conoscenze attuali permettono di riconoscere diverse forme cliniche di celiachia: 1. FORMA TIPICA 2. FORMA ATIPICA 3. FORMA SILENTE 4. FORMA LATENTE MALATTIA CELIACA TIPICA Il sintomo che caratterizza l'esordio della forma tipica è la diarrea. Può essere acuta oppure cronica con inizio insidioso; le feci sono abbondanti, maleodoranti, lucide, chiare, ricche di acqua; le evacuazioni sono spesso numerose anche se talora può essere presente una sola evacuazione giornaliera abbondante. Raramente il sintomo principale può essere una stipsi ostinata. In alcuni casi la diarrea può assumere particolare gravità con disidratazione e shock (crisi celiaca). A questi sintomi possono associarsi anoressia, dolori addominali, vomito, arresto della crescita o addirittura calo ponderale; l'addome si presenta espanso, globoso e contrasta con la magrezza degli arti inferiori e dei glutei; talora sono presenti edemi agli arti inferiori ed alle palpebre e spesso vi sono alterazioni dell'umore e del carattere con irritabilità o addirittura apatia, che può in certi casi simulare un atteggiamento autistico. Tale quadro è attualmente sempre meno frequente perché grazie a test sierologici semplici ed affidabili ed all'evoluzione delle conoscenze scientifiche, la diagnosi di celiachia è sempre più precoce. MALATTIA CELIACA ATIPICA Nella forma atipica si ha una prevalenza dei sintomi extraintestinali, con assenza di diarrea; le manifestazioni cliniche sono secondarie al malassorbimento e comprendono: bassa statura, anemia da carenza di ferro o di acido folico, non rispondenti alla terapia orale, rachitismo, osteoporosi, displasia dello smalto dentario, che può variare da alterazioni cromatiche a presenza di solchi e picchiettature fino alla perdita totale dello smalto. Altri sintomi della forma atipica sono rappresentati da: dolori addominali ricorrenti, aftosi recidivante, ritardo puberale, stipsi, ipertransaminasemia idiopatica, sindromi emorragiche, alopecia. Da uno studio multicentrico presentato al 51° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria del 1995, a cui hanno aderito 33 Centri pediatrici, è emerso che la prevalenza globale delle forme atipiche è del 23,2%. I disturbi più frequenti sono: l'anemia sideropenica (36%), bassa statura (30,2%), anoressia (13%); seguono poi una serie di altri sintomi con una percentuale variabile dallo 0,4% al 4%. Da notare che ad un'attenta anamnesi il 42,4% di questi bambini aveva accusato dei sintomi in età precedente (il 40,1% entro il 2° anno) che non avevano portato alla diagnosi; questo sta a dimostrare che i casi atipici rappresentano una percentuale importante della celiachia del bambino. MALATTIA CELIACA SILENTE E' caratterizzata dalla presenza di lesioni della mucosa intestinale tipiche della celiachia in assenza di sintomatologia, che regrediscono dopo dieta priva di glutine. L'esistenza di queste forme 49 clinicamente silenti è stata dimostrata dallo screening dei familiari di 1° grado asintomatici di pazienti celiaci e da studi di screening su studenti. Circa il 10-15% dei parenti di primo grado asintomatici di soggetti celiaci presenta una mucosa intestinale atrofica. MALATTIA CELIACA LATENTE Per MC latente si vuole indicare una variante clinica in cui la malattia esiste ma non si è ancora manifestata. Si tratta di soggetti che al momento della diagnosi presentano una mucosa intestinale normale in presenza di marcatori anticorpali positivi. Questi pazienti non vengono sottoposti ad un regime dietetico privo di glutine, ma è opportuno monitorizzarli nel tempo per poterli identificare e trattare prima della comparsa di complicazioni, che potrebbero essere la prima manifestazione clinica della celiachia. Alcuni studi hanno evidenziato in questi soggetti caratteristiche sieriche ed immunologiche (presenza di AGA ed EMA nel siero, incremento del numero dei linfociti intraepiteliali, con recettori, aumento delle cellule CD25+ della lamina propria) e genetiche (fenotipo HLADQA1*0501 e DQB1*0201) tipiche della celiachia. I pazienti con malattia celiaca latente a distanza di tempo presenteranno un'atrofia della mucosa intestinale, che regredisce dopo dieta priva di glutine. PATOLOGIE ASSOCIATE Molte malattie ben conosciute risultano essere associate alla celiachia. Tra queste in età pediatrica segnaliamo: il diabete mellito insulino-dipendente (2,7%) e la sindrome di Down (10%). Tra le altre patologie più frequentemente associate alla MC vanno inoltre ricordate: tiroiditi autoimmuni, morbo di Addison, nefropatia da IgA, porpora trombocitopenica autoimmune, anemia emolitica autoimmune, artrite reumatoide giovanile, sindrome di Turner, sindrome di Williams, epilessia (con o senza calcificazioni endocraniche), psoriasi, dermatite erpetiforme. In presenza di tali patologie è sempre necessario ricorrere ad un programma di screening per anticipare la diagnosi di malattia celiachia e evitare le complicanze. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE All'inizio del 3° millennio la celiachia ci appare sotto un aspetto multiforme: non solo come sindrome da malassorbimento intestinale, ma anche come affezione spesso clinicamente sfumata, caratterizzata da disturbi modesti o del tutto atipici, e talora associata a varie condizioni patologiche. Nel corso degli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato come la MC possa sfuggire alla diagnosi, soprattutto nelle forme atipiche o silenti, e che nel paziente adulto l'unica modalità d'esordio può essere rappresentata da alcune complicanze che la caratterizzano. La celiachia è la più comune intolleranza permanente conosciuta ed è nel bambino una delle affezioni croniche più frequenti in assoluto. Dallo 0.5 all'1% della popolazione che consuma glutine ne risulta affetta. Al momento attuale la maggior parte dei soggetti celiaci, dal bambino all'adulto, non viene riconosciuta da una appropriata diagnosi e non riceve il trattamento dietetico che sappiamo essere risolutivo. Alcuni dati statistici italiani indicano che a fronte di 30-40.000 casi diagnosticati attualmente, ne esistono altri 300.000 non ancora individuati. Bisogna estendere lo screening a tutta la popolazione in maniera sistematica? La maggior parte degli autori concorda sulla necessità di individuare tutti i casi di celiachia, che possono sfuggire alla diagnosi clinica, ma non si può prescindere da una considerazione: bisogna approntare un programma di indagine guidata, che consenta l'individuazione dei casi sfuggiti alla diagnosi, con il miglior rapporto tra costi e benefici, non perdendo di vista il peso psico-sociale di un trattamento con dieta aglutinata. 50 Ciò si può realizzare attraverso una cultura della celiachia come malattia sistematica, che può coinvolgere vari organi ed apparati, riservando quindi il programma di screening ai gruppi di popolazione a rischio: familiari di 1° grado del celiaco, soggetti con sintomi indicativi di una forma sfumata atipica, pazienti con determinate patologie associate. Dobbiamo ricercare i celiaci mancanti, affinché la dieta senza glutine permetta o una remissione totale della sintomatologia, o un miglioramento e/o la guarigione della patologia associata, e fare in modo che la sintomatologia d'esordio non sia una delle complicanze talora severe della MC. In che modo? • Utilizzate più spesso AGA, EMA e Ac anti-tTG. • Evitate di consegnare all'internista dell'adulto una diagnosi tardiva di celiachia, che oltre al fallimento diagnostico del pediatra, comporta innegabili danni derivanti dalla prolungata esposizione al glutine. Per concludere fra le prospettive future c'è quella della realizzazione di un vaccino. Alcuni ricercatori ritengono di avere individuato il peptide dominante verso il quale è diretta la risposta immune in corso di riesposizione al glutine. Tale scoperta potrebbe riaprire la strada alla terapia immunomodulatrice. Allo stato attuale, tuttavia, esistono notevoli divergenze nell'interpretazione di questi risultati e solo l'ampliamento delle conoscenze consentirà di ottenere indicazioni utili per stimolare ed orientare la ricerca in tal senso. Dante Parenti Neonatologia, Ospedale Cristo Re, Roma M.E. Scapillati Neonatologia, Ospedale Cristo Re, Roma La malattia Celiaca nell’adulto La malattia celiaca (M.C.) è una malattia infiammatoria cronica dell'intestino scatenata dall'assunzione di glutine. E' caratterizzata, nella forma classica, da una mucosa con atrofia dei villi intestinali, iperplasia delle cripte e conseguente sindrome da malassorbimento. Ai classici sintomi "intestinali" quali diarrea, steatorrea, vomito, epigastralgia, dispepsia e perdita di peso si possono associare l'anemia sideropenica, l'osteoporosi, l'alopecia, la depressione, la cefalea, l'infertilità, i dolori articolari ecc... Non è ancora ben definito il limite tra patologie sistemiche associate alla M.C. e le sue complicanze, infatti nessuna di queste ultime è esclusiva della M.C. e può essere associata ad altre condizioni morbose, mentre le patologie considerate manifestazioni sistemiche rispondono alla dieta priva di glutine in modo più soddisfacente rispetto ad alcune complicanze. La sintomatologia • Diarrea cronica con steatorrea, dolori addominali, meteorismo, epigastralgia, vomito, dispepsia • Calo ponderale, astenia (anemia) • Artralgia, mialgia, fratture • Secchezza della cute (Dermatite erpetiforme), orticaria, alopecia • Disturbi della memoria, neuropatia periferica, epilessia • Depressione (10,6%) 51 • Sterilità, disturbi del ciclo mestruale, aborti ripetuti • Afte orali • Secchezza delle mucose (Sjogren) • Cefalea, cervicalgia, lombalgia. • Bassa statura, ritardo della crescita Tra le patologie e le complicanze a carico dell'apparato digerente associate alla M.C. ricordiamo: 1. Le coliti microscopiche quali la colite linfocitaria e la colite collagena; è stato ipotizzato che la prima rappresenti in realtà lo stadio acuto di un'unica malattia che successivamente cronicizza in colite collagena. Sono più frequenti nel sesso femminile e giustificano circa il 2,5% delle diarree croniche con colonscopia macroscopicamente normale. Dal punto di vista istologico la colite linfocitaria è caratterizzata da un aumento dei linfociti intraepiteliali, la colite collagena presenta invece una spessa banda di collagene sottoepiteliale presente principalmente nel colon prossimale, malattie infiammatorie intestinali. 2. Le malattie epatiche quali la colangite primitiva sclerosante e la cirrosi biliare primitiva. Bordella e coll. nel 1997 hanno studiato un gruppo di pazienti affetti da cirrosi biliare primitiva eseguendo dosaggi degli anticorpi anti endomisio (EMA) e le biopsie della seconda porzione duodenale (DII) con un riscontro di M.C. pari all'11% dei pazienti. La correlazione tra i due processi morbosi e la M.C. resta al momento sconosciuta anche se per entrambe è stata sospettata una patogenesi immunologica. Sono descritte in letteratura ipertransaminasemie con o senza steatosi che regrediscono con dieta senza glutine. 3. La M.C. è la causa più frequente di anomalie della funzione splenica legata ad atrofia acquisita dell'organo; in tutti i pazienti con una ipofunzione splenica è aumentato il rischio di complicanze tromboemboliche ed infettive. 4. La precisa prevalenza delle neoplasie nella Malattia Celiaca non è ancora ben conosciuta. Infatti non tutti i celiaci con sintomi lievi o atipici vengono diagnosticati e in non tutti i pazienti affetti da neoplasia viene indagata la presenza della M.C. Le neoplasie dell'apparato digerente più frequentemente associate alla M.C. sono il linfoma generalmente di tipo T, l'adenocarcinoma del tenue, il cancro faringeo ed esofageo. Il rischio di neoplasia faringea ed esofagea è di circa 10 volte più elevato che nella popolazione normale, quello per il linfoma risulta aumentato di 40 volte, mentre per l'adenocarcinoma del tenue è ancora più elevato. La stimolazione immunologica e l'aumentata permeabilità intestinale sono elementi a favore della teoria biologica che sostiene la possibilità di un aumentato rischio per il linfoma e l'adenocarcinoma del tenue. Le patologie extraintestinali associate alla Malattia Celiaca: 1. Le malattie autoimmuni quali il diabete mellito insulino dipendente, le tireopatie, le afte buccali, la sarcoidosi, il pioderma gangrenoso, l'Addison, l'alopecia e le malattie atopiche. 2. Le patologie dermatologiche quali la dermatite erpetiforme, l'alopecia, la vasculite necrotizzante cutanea e la sclerodattilia. 3. L'oligoartrite siero negativa con interessamento preferenziale di caviglie, ginocchia e colonna lombare che può anche precedere la comparsa della M.C., l'osteoporosi, l'artrite reumatoide. 52 4. Le manifestazioni neurologiche, più frequenti nel sesso maschile, quali l'atassia, la neuropatia periferica, la miopatia, la mielopatia, la demenza, l'epilessia, le calcificazioni cerebrali, la leucoencefalopatia progressiva multifocale. 5. La depressione 6. L'insonnia 7. Alterazioni dello sviluppo dentale L'ipoplasia dello smalto è il segno perenne di un momento di alterata mineralizzazione dello smalto. Il fenomeno ipoplasico può manifestarsi, a seconda della gravità, da un semplice mutamento del colore verso il bianco gessoso o verso il grigio e il bruno, a zone di perdita di sostanze, fino ai gravi casi di assenza completa dello smalto. 8. Infertilità, aborti ripetuti, alterazioni del ciclo mestruale 9. L'anemia sideropenica legata principalmente al malassorbimento intestinale di ferro. Accanto alla forma classica la M.C. può essere suddivisa in altre 4 forme: a. la forma subclinica caratterizzata dalla positività agli AGA, EMA ed all'istologia intestinale con sintomi esclusivamente extraintestinali; b. la forma silente caratterizzata dalla positività ai marcatori sierologici ed all'istologia senza senza sintomi; c. la forma latente con positivtà agli AGA ed EMA e con istologia negativa; d. la forma potenziale in cui sono inseriti i parenti di I° grado dei celiaci, i pazienti con sindrome di Down, con diabete insulino dipendente, tireopatie ecc... Giovanni Brandimarte Divisione di Medicina Interna, Servizio di Endoscopia Digestiva Ospedale Cristo Re, Roma Antonio Tursi Divisione di Medicina Interna, Ospedale L.Bonomo, Andria Gian Marco Giorgetti U.O. Nutrizione Clinica, Ospedale S.Eugenio, Roma Elena Rubino Divisione di Medicina - Ospedale "Cristo Re" Roma 53 POST ANALITICA Variabilità biologica e valori di riferimento interindividuali affrontate Parte III. Limite di Riferimento Il laboratorio è utile solo se serve ai bisogni del cliente (paziente, medico). Il risultato di un test per trovare un’utilizzazione clinica deve essere confrontato con i cosiddetti “valori di normalità” o “valori normali”, meglio conosciuti attualmente con il termine “valori di riferimento”. Le ragioni del cambiamento della definizione dipendono dai motivi brevemente accennati di seguito: • ambiguità del concetto di normale: nell’accezione clinica è inteso come sano; nel linguaggio comune come usuale, desiderabile, convenzionale, frequentemente riscontrato; nel linguaggio statistico fa riferimento alla distribuzione gaussiana; • impossibilità di definire in campo biologico valori assoluti di normalità, sia per la variabilità legata a fattori quali l’età o il sesso, a fattori genetici o ambientali, sia soprattutto per la difficoltà di trovare una definizione operativa convincente del termine di salute. Per ovviare a queste difficoltà, Grasbeck e Saris nel 1969 hanno proposto di sostituire il termine “range di normalità” relativo a un test di laboratorio con quello di “limite di riferimento”. Tale sostituzione implica l’importante riconoscimento della natura relativa delle definizioni considerate: esse, infatti, si possono definire solo in riferimento a: • un livello di salute (dichiarato ed eventualmente confortato da altri dati) della popolazione dalla quale vengono raccolti i valori; • fattori che caratterizzano la popolazione di riferimento; • modalità di raccolta, preparazione e conservazione dei materiali biologici; • precisione e accuratezza dei metodi analitici impiegati; • metodi statistici usati per l’analisi e il trattamento dei dati. Fattori che influenzano e caratterizzano la popolazione di riferimento I principali fattori che possono influenzare i valori di riferimento sono di tipo: 54 genetico: si conoscono numerosissime anomalie del metabolismo che vengono trasmesse in maniera recessiva e non presentano manifestazioni patologiche chiaramente apprezzabili, ma causano spesso disturbi metabolici di lieve entità; la presenza di questi soggetti nella popolazione aprioristicamente considerata sana introduce nella valutazione dei valori normali una fonte di errore non facilmente eliminabile. Criteri distintivi importanti sono i gruppi sanguigni (ABO) e gli antigeni di istocompatibilità (HLA); fisiologico: le condizioni fisiologiche più importanti che possono comportare variazioni anche consistenti nella concentrazione di taluni parametri biochimici sono: a) l’età, con particolare riferimento alla prima infanzia (ceruloplasmina, ormoni steroidei della corticale e delle gonadi, ecc.) e all’età avanzata (azotemia, colesterolo, ecc.) b) il sesso (sideremia, acido urico), con particolare riferimento, nel caso della donna, al ciclo mestruale (estrogeni, progestinici), alla menopausa (gonadotropine), alla gravidanza (azotemia, ormoni fetoplacentari) c) l’eccesso di peso (colesterolo, trigliceridi) d) l’ora e il giorno del prelievo (variazioni cronobiologiche del cortisolo, catecolamine, sideremia, ecc.) e) le modalità del prelievo, come la presenza o l’assenza di stasi (bicarbonati, proteine) f) la postura, che può essere eretta (pazienti ambulatoriali) o supina (degenti in ospedale) e che può influenzare sensibilmente taluni parametri ematochimici, come il calcio, le proteine, il colesterolo ecc., attraverso la diversa distribuzione dell’acqua nei vari compartimenti dell’organismo; esogeno: fra questi è da menzionare in primo luogo l’alimentazione (colesterolo), l’attività fisica (enzimi della muscolatura), l’attività professionale e i conseguenti fattori psichici (colesterolo, trigliceridi, pepsino-geno), il fumo, l’alcool, l’assunzione di contraccettivi (fattori della coagulazione), di antiepilettici, di ansiolitici, di farmaci in generale, l’altitudine, il clima, ecc. In base a quanto brevemente accennato, risulta evidente la necessità di stabilire “valori di riferimento” differenti per gli uomini e per le donne, almeno per certi costituenti biochimici; per altri parametri (urea, colesterolo) è necessario suddividere ulteriormente la popolazione in base all’età, stabilendo per esempio valori di riferimento per ciascuna decade di età; altre volte, infine, i valori di riferimento devono essere differenti per i pazienti esterni (out patients) e per quelli ospedalizzati (in patients), come avviene nel caso della creatinfosfochinasi. Per i bambini, talvolta, risulta particolarmente difficile fissare gli ambiti dei valori di riferimento, in quanto alcuni costituenti biochimici (glucosio, NEFA, ceruloplasmina, ecc.) cambiano molto rapidamente, specialmente durante i primi giorni o le prime settimane di vita; da questo punto di vista i bambini rappresentano un problema a sé, da considerare con molta attenzione. L Refertazione Il referto costituisce il documento conclusivo del processo del laboratorio. Nel contesto generale della qualità che vede nella soddisfazione del cliente il suo cardine essenziale, il referto rappresenta il veicolo più qualificato per conseguire tale risultato. La refertazione deve contenere in sintesi un insieme di dati, molti dei quali di conoscenza e di competenza del solo laboratorista, che sono però utili, importanti e talora essenziali al medico per un’approfondita e completa utilizzazione dell’informazione clinica contenuta nel risultato del test. Il laboratorio dimostrerà la sua efficacia consentendo al medico di falsificare via varie ipotesi diagnostiche, 55 fino a pervenire alla diagnosi differenziale e alla terapia della malattia, migliorandone l’evoluzione e l’esito finale (“outcome”). In questo senso il soddisfacimento delle aspettative e delle esigenze del medico, come cliente del laboratorio, viene di fatto a coincidere con il reale soddisfacimento del cittadino ammalato (paziente), che è il cliente centrale del laboratorio. Il paziente, da parte sua, al di là delle problematiche della salute, dalle quali è assillato e per le quali si sente tutelato sul piano tecnico dal suo medico di fiducia, presenta esigenze sue proprie in ordine al referto; alcune sono di natura psicologica, motivate dall’ansia di conoscere al più presto, seppure in prima approssimazione, l’esito di un test. Da qui la necessità della chiarezza estrema nella refertazione e la disponibilità alla consulenza al paziente da parte del laboratorista, ove richiesta. Nel caso più generale, valgono motivazioni di carattere logistico, di tempestività e di puntualità del servizio, di cortesia e di riservatezza, che rappresentano per il paziente la maggior parte della “qualità percepita” del servizio di laboratorio. Soddisfazione del cliente (medico utente), utilizzazione medica del test: l’utilizzazione del test è strettamente correlata alle modalità e alle motivazioni della richiesta. EFFICACIA DEL TEST Diminuzione del livello di incertezza Essenzialità Indispensabilità Sovrabbondanza limitata Basato su protocolli diagnostici Basato su linee guida diagnostiche Basato su percorsi diagnostici Eliminare i test dimostrati non necessari Consulenza- sistemi esperti- intelligenza artificiale Refertazione, qualità percepita dal paziente; soddisfazione del cliente (cittadino utente). Chiarezza del referto Consulenza sul referto Tempestività del servizio Certezza e puntualità del servizio Regolarità del servizio- riservatezza Eguaglianza, imparzialità, diritto di scelta Comfort, cortesia rispetto della dignità Orari di accesso al servizio per il ritiro dei referti Tempi di attesa del servizio per il ritiro dei referti. Il referto. (modalità di compilazione, trasmissione, convalida e consegna referti) L’espressione del risultato delle analisi deve contenere una serie di informazioni precise (non ambigue) su: sistema (paziente), esame, tipo di grandezza, valore numerico, unità di misura. Deve inoltre comprendere ulteriori importanti indicazioni come l’intervallo di riferimento ed eventualmente il metodo di analisi. La Tabella riporta un elenco di alcuni analiti (componenti) con l’indicazione di un risultato di comune riscontro in laboratorio, espresso sia nelle unità SI che in quelle tradizionali; sono pure riportati i fattori da utilizzare per passare dalle unità SI a quelle tradizionali e viceversa. 56 Elenco di alcuni analiti con indicazione dei valori in unità SI e in unità tradizionali. Sottosistema Unità SI (nuove) Unità Tradiz.(vecchie) Fattori conver. componente Val.num. unità Val.num. unità Nuove-vecchie Bilirubina totale mg/dl 0.0585 18.0 µmol/l 1.05 Calcio totale 2.39 mmol/l 9.55 mg/dl 4.00 Cloruro 105 mmol/l 105 mEq/l 1 dU cloruro 155 mmol/l 155 mEq/24h 1 Colesterolo HDL 1.42 mmol/l 55 mg/dl 38.6 Colesterolo totale 4.79 mmol/l 185 mg/dl 38.6 dU coproporfirine 229 mmol/l 150 0.655 µg/24h Creatinina mg/dl 0.0113 84 µmol/l 0.95 dU creatinina 12.8 mmol/l 1.45 g/24h 0.113 Emoglobina 155 g/l 15.5 g/dl 0.1 12 3 Eritrociti 4.85 10 /l 4.85 mil/mm 1 Ferro legato alla trasf. 22.4 5.58 µmol/l 125 µg/dl Fibrinogeno 350 mg/dl 34.01 10.3 µmol/l Fosfato inorganico 1.45 mmol/l 4.50 mg/dl 3.1 dU fosfato 11.3 mmol/l 350 mg/dl 30.96 Glucosio 5.27 mmol/l 95 mg/dl 18.02 Piombo totale 20.72 1.45 µmol/l 18.9 µg/dl Potassio mEq/l 1 4.5 µmol/l 4.5 dU potassio 55 mmol/l 55 mEq/24h 1 Proteine 72.5 g/l 7.25 g/dl 0.1 U proteine 1.5 g/l 1.5 g/l 1 dU proteine 1.5 g 1.5 g/24h 1 Rame totale 6.36 15.7 µmol/l 100 µg/dl Sodio 145 mmol/l 145 mEq/l 1 Tiroxina 135 mmol/l 10.5 12.87 µg/dl Trasferrina mg/dl 7.47 33.8 µmol/l 250 Trigliceridi 1.07 mmol/l 95 mg/dl 88.5 Urato 5.5 mg/dl 0.0168 327 µmol/l Vecchie-nuove 17.1 0.250 1 1 0.0259 0.0259 1.527 88.4 8.84 10 1 0.179 0.0294 0.323 0.0323 0.0555 0.04826 1 1 10 1 1 0.157 1 0.0777 0.135 0.0113 59.5 57 dU urato Urea dU urea sU uroproteine 3.87 5.8 166 18 mmol mmol/l mmol µmol 0.650 35 10 15 g/24h mg/dl g/24h µg/24h 0.168 6.02 0.0602 0.831 5.95 0.166 16.6 1.203 Per concludere, la refertazione deve contenere indicazioni precise relative a: sistema (nome e cognome del paziente) sottosistema (sangue, urina, ecc.) componente indicato con denominazione comunque non equivoca (colesterolo, glucosio, urea, ecc.) unità di misura espressa: a) sotto forma di concentrazione di massa (kg/l, mg/dl, µg/dl, ecc.); b) sotto forma di concentrazione di sostanza (mol/l, mmol/l, ecc.); c) sotto forma di attività (mol/kg H2 O): per esempio con la tecnica ISE diretta è possibile misurare questa grandezza, talvolta, più significativa dal punto di vista clinico rispetto all’indicazione mole al litro; d) con scale di rapporto per l’omogeneizzazione dei dati: per esempio, l’attività enzimatica può venire rapportata a valori ottenuti su materiale di riferimento con metodi di riferimento (metodi IFCC) valore numerico del risultato della misura, espresso possibilmente con tre cifre e comunque con il numero di cifre più adeguato in funzione della sensibilità e della precisione del metodo (per esempio, per le misure di pH si usano quattro cifre; per gli elettroliti, di solito, due). Se è richiesto l’arrotondamento, attenersi alle regole seguenti: a) quando la cifra da scartare è superiore a 5, aumentare di un’unità la cifra precedente; b) quando la cifra da scartare è 5, lasciare invariata la cifra precedente se è pari o aumentare di un’unità se è dispari valori di riferimento, suddivisi per sesso ed età e, ove necessario, con specificazione temporale (cronodesmi); indicazione del metodo di misura; Ulteriori informazioni sul referto che risultano utili al medico e al paziente per una valutazione immediata sono le seguenti: • evidenziazione dei risultati che si collocano al di fuori degli intervalli di riferimento; ciò potrà essere realizzato con opportuni accorgimenti grafici; • rappresentazione grafica di test ottenuti su prelievi a tempi diversi (prove funzionali come la curva da carico di glucosio); • andamento nel tempo dei marcatori tumorali o dei test di maturità fetale; • confronto fra i risultati attuali e i precedenti (delta check); Inserimento risultati: Il 90% dei risultati passano dalle apparecchiature direttamente al computer centrale per evitare il più possibile inserimenti manuali dei risultati nel referto. Il restante 10% dei risultati viene inserito manualmente sempre da due persone che controllano l’una l’operato dell’altra. Convalida: Una prima convalida dei risultati avviene da parte del laureato responsabile di sezione prima di passare i risultati al computer centrale, decidendo l’opportunità di ripetere eventuali valori anomali. Una seconda convalida viene effettuata dal Direttore Sanitario dopo la stampa dei referti per poterli firmare. Consegna referto: Previa consegna da parte del cliente della ricevuta per il ritiro, avuta all’atto del prelievo, le segretarie dalle 10.00 alle 18.00 tutti i giorni sono a disposizione per la consegna del referto. 58 Archiviazione dei referti o degli altri documenti Il Laboratorio prevede specificamente l’archiviazione di tutta la documentazione riguardante le caratteristiche dei prodotti, delle apparecchiature impiegate nel laboratorio, dei risultati del controllo di qualità interno, della verifica esterna di qualità e di ogni altro documento riguardante l’assicurazione di qualità (manuale della qualità) (Tab.). Archiviazione dei documenti per i tempi stabiliti e norme ISO 9000. Archiviazione: Delle richieste degli esami Dei referti dei test Dei risultati del controllo di qualità interno Dei risultati della verifica esterna di qualità Delle schede degli apparecchi Delle schede dei reagenti Dei risultati dei controlli delle apparecchiature Degli interventi di manutenzione sulle apparecchiature Della descrizione delle procedure operative Del manuale della qualità Dei dati di produttività e/o altri indicatori Tra i documenti da archiviare per i tempi previsti dalle leggi nazionali e/o regionali sono inclusi i referti (un anno), oltre ai dati sul controllo di qualità (tre anni). L’archiviazione potrà avvenire su supporto cartaceo o, meglio, su supporto magnetico; in questo caso risulta molto più facile sia il recupero dei dati, ove necessario, sia il suo impiego per calcolare gli indici di produttività, il carico di lavoro e altri eventuali indicatori richiesti al laboratorio. Conservazione ed eliminazione dei campioni dopo l’analisi Con l’emissione del referto, il campione biologico può venire eliminato come rifiuto liquido o solido, secondo le disposizioni di legge. Altre volte risulta invece necessario o opportuno conservare il campione in condizioni idonee (-20°C o 80°C) per poter ricontrollare il test già eseguito, oppure per eseguire altre indagini utili o al completamento della diagnosi o per indagini epidemiologiche o per la ricerca scientifica. Eliminazione di campioni, reagenti, solventi ecc.: • previo pretrattamento dei materiali potenzialmente infetti o pericolosi. • Smaltimento di questi materiali come rifiuti speciali • Conservazione dei campioni in condizioni idonee per: ricontrollo analitico, esecuzione dei test complementari alla diagnosi, esecuzione dei test per scopi epidemiologici, esecuzione dei test per altri fini. L Logica diagnostica e interpretazione del test di laboratorio dei referti dei test Per la diagnosi il medico adotta un piano coordinato che parte dai rilievi clinici che vengono ottenuti nella 59 fase dell’anamnesi e dell’esame obiettivo. Dal complesso dei rilievi eseguiti, il clinico enuclea i cosiddetti sintomi guida che riuniti in complessi sindromici possono venire messi in relazione con quadri morbosi noti per costruire le ipotesi diagnostiche iniziali; per l’individuazione della diagnosi finale il medico adotta una strategia che prevede: l’impiego dei test di laboratorio in maniera sequenziale, in quanto ogni test viene deciso ed eseguito in base alla conoscenza del risultato del test precedente, oppure in maniera predeterminata, che consiste nell’esecuzione contemporanea di più test mediante analizzatori automatici. Quest’ultimo modo di procedere può ridurre i tempi diagnostici anche se rende necessaria l’esecuzione di un numero di test in genere superiore a quello strettamente indispensabile per giungere alla diagnosi. Il clinico di fatto seguirà una strategia operativa o l’altra, in rapporto alle diverse circostanze. Dal punto di vista classificativo, nella forma più semplice un test potrà risultare positivo o negativo e quindi portare a valutazioni diverse secondo la domanda cui deve rispondere. Evidentemente si possono presentare situazioni molto differenti, secondo che si tratti di perseguire una diagnosi precoce di malattia, una diagnosi differenziale, uno studio di fattori di rischio ambientale, un monitoraggio terapeutico. Alcune volte i problemi interpretativi dei risultati dei test di laboratorio sono immediati, come nelle situazioni di seguito indicate. Nel caso di alterazioni cliniche che siano dovute a modificazioni biochimiche del metabolismo su base genetica, la presenza di un analita normalmente assente, oppure il riscontro di un livello di concentrazione superiore o inferiore a un valore prestabilito consente agevolmente di trarre le opportune indicazioni diagnostiche (es. fenilchetonuria, galattosemia, ipotiroidismo, ecc.). L’identificazione delle malattie genetiche con l’impiego delle sonde molecolari appartiene a questa tipologia e così pure la diagnosi di malattie microbiche o virali con la tecnica PCR-sonde di riconoscimento. La determinazione di un farmaco in circolo serve, in genere, a consentire il migliore aggiustamento della posologia, in modo da ottenere un livello di concentrazione che sia ottimale dal punto di vista farmacologico senza presentare problemi di tossicità per il paziente; in questo caso basterà che su un campione biologico prelevato a un tempo standardizzato in rapporto alle modalità di assunzione del farmaco (steady state) si ottenga un valore di concentrazione del farmaco stesso incluso nell’intervallo ritenuto adeguato; in caso diverso si modificherà il trattamento terapeutico. Anche per lo studio dei fattori di rischio ambientali o di intossicazione professionali non si pongono particolari problemi, se non quelli di stabilire i valori considerati ottimali o quelli accettabili di un certo analita per la popolazione esaminata; se per esempio si considerano accettabili valori di piombemia inferiori a 30-40 µg/dl, la misura della concentrazione del piombo nel sangue di un lavoratore esposto a piombo potrà evidenziare l’aumentato assorbimento del metallo, specialmente se esistono controlli longitudinali dell’analita nello stesso soggetto; si potranno così attuare adeguati programmi di tutela della salute degli addetti a certe tipologie di lavorazione. Nella maggior parte dei casi, invece, il problema di collocare adeguatamente un valore osservato in un individuo in relazione ai valori di riferimento di un’opportuna popolazione, può presentarsi più complesso in quanto non è sempre possibile ottenere una distinzione sicura fra malato e sano, ma solo avere una maggiore o minore probabilità statistica di classificazione per l’una o l’altra condizione . Questo dipende dal fatto che non esiste, salvo casi particolari, una zona di separazione tra gli intervalli della distribuzione di un test appartenenti a una popolazione sana rispetto a quelli appartenenti a una popolazione di individui con una certa malattia, specie se in fase iniziale, bensì una sovrapposizione di valori più o meno marcata. In questi casi, l’attribuzione del risultato a una popolazione o all’altra può avvenire solo su base statistica con una certa significatività, quindi, puramente descrittiva che, per assumere rilevanza clinica, abbisognerà di altri criteri di natura biochimica o fisiopatologica. Per la valutazione statistica del test è necessario conoscere alcune caratteristiche del risultato del test, quali la sensibilità e la specificità diagnostica, l’incidenza e la prevalenza della malattia nella popolazione 60 osservata, per poter valutare il valore predittivo che ci indica quale percentuale di pazienti con risultati positivi è da considerarsi ammalata (almeno dal punto di vista statistico). Scopo degli accertamenti diagnostici è, infatti, quello di fornire indicazioni sulla presenza di una malattia in base al risultato del test (positivo o negativo). Al posto della prevalenza si parla anche di probabilità priori (nota) e al posto di valore predittivo si parla di probabilità a posteriori, in quanto indica la probabilità di malattia che deriva dalla conoscenza del risultato del test di laboratorio. Sensibilità Il termine sensibilità (diagnostica o clinica) di un test è impiegato per indicare l’incidenza percentuale di risposte positive che si ottengono applicando il test a pazienti affetti dalla malattia (o dalla situazione fisio-patologica) evidenziabile con il test. Se un test ha una sensibilità del 100%, fornisce 100 risposte positive quando applicato a 100 pazienti affetti dalla malattia; se un altro test, applicato sempre agli stessi 100 pazienti, dà 90 risposte positive (+ 10 falsi negativi) ha una sensibilità del 90%, e così via. Per maggiore chiarezza, al posto della sensibilità si può usare il sinonimo “positività in caso di malattia”. Il concetto di sensibilità è quindi assimilabile a quello di positività del test nella malattia, o di potenza (diagnostica) del test e può essere espresso nel seguente modo percentualizzato. Specificità Il termine specificità (clinica o diagnostica) di un test è impiegato per caratterizzare l’incidenza dei risultati negativi che si ottengono applicando il test a pazienti non portatori della malattia (o della situazione fisiopatologica) evidenziabile con il test. Se il test applicato a 100 persone sane dà 100 risultati negativi, la sua specificità è del 100%; se, applicato alle medesime 100 persone sane, dà 90 risultati negativi (+ 10 falsi positivi), la sua specificità è del 90%, e così via. Per maggiore chiarezza è suggerito l’uso del termine alternativo, ma equivalente, di “negatività nello stato di salute”. Chiaramente un buon test deve essere molto sensibile e molto specifico; in altri termini, deve dare risultati positivi nei soggetti malati e risultati negativi nei soggetti sani. Si deve tuttavia tenere presente che specificità e sensibilità sono due caratteristiche interdipendenti di un test e che non è possibile aumentare la specificità se non abbassando la sensibilità e viceversa. In realtà, in molte occasioni, le due caratteristiche del test possono essere aggiustate al livello voluto, o meglio è possibile ottenere il grado desiderato di specificità sacrificando la sensibilità e viceversa. L’elemento discriminante, il cui livello può essere variato, è rappresentato dal valore di normalità (cut off) fissato per quel determinato test, nello specifico contesto medico: la possibilità di variare l’effetto discriminante è tanto maggiore quanto più ampia è la sovrapposizione tra le distribuzioni dei valori ottenuti nella popolazione dei soggetti sani e nei soggetti malati. Risulta impossibile separare esattamente i valori che indicano una condizione patologica da quelli che esprimono l’assenza di patologia; agli estremi della distribuzione dei dati del gruppo di controllo esistono sempre aree più o meno estese della curva dei dati ricavati dal gruppo dei pazienti affetti da malattia. In queste zone estreme vengono osservati valori considerati normali ottenuti da pazienti affetti dalla malattia (falsi negativi) e viceversa valori considerati patologici ottenuti da soggetti sani (falsi positivi). È quindi possibile, mantenendo invariato il metodo, variarne artificiosamente la sensibilità e la specificità modificando il range di riferimento: • se si restringe l’ampiezza del range si aumenta la sensibilità del metodo (pochi “malati” sfuggono alla diagnosi), a scapito però della specificità, in quanto si considerano “malati” anche soggetti sani ma con valori eccedenti i limiti del range di riferimento; • se si estende l’ampiezza del range si aumenta la specificità del metodo (il test è positivo quasi solamente per i soggetti “malati”), a scapito però della sensibilità, in quanto si considerano “sani” anche pazienti affetti dalla malattia ma con valori che rientrano nei limiti estremi del range di riferimento. 61 Nella pratica clinica si tende a fissare i limiti del range di riferimento in modo da ottenere un compromesso tra la massima sensibilità e la massima specificità del test. La possibilità di disporre di test con diversi gradi di sensibilità e di specificità consente il loro impiego differenziato in relazione agli obiettivi epidemiologici prefissati. Test di riconoscimento Nelle situazioni cliniche in cui si desidera identificare tutti i soggetti affetti da una determinata malattia, per esempio nelle campagne di screening, occorre disporre di un test estremamente sensibile accettando per contro una bassa specificità; in tal modo aumenta il numero di coloro che, pur essendo sani, manifestano una positività del test (falsi positivi), ma si riduce al minimo, fino ad azzerarsi, la possibilità di non riconoscere soggetti affetti dalla malattia. (falsi negativi), raggiungendo così lo scopo per cui è stato effettuato il test diagnostico. Un test di conferma si rende quindi necessario per identificare i falsi positivi. Test di conferma Questi test devono possedere un’elevata specificità, allo scopo di identificare i soggetti sani che hanno dimostrato una positività al test iniziale (falsi positivi); in questo caso la bassa sensibilità del test non è rilevante, in quanto la selezione effettuata dal precedente test di screening ha consentito di eliminare i pazienti affetti da malattia ma con test negativo (falsi negativi). Influenza della variabilità analitica e preanalitica sulla potenza diagnostica del test È anche opportuno ricordare che le curve di distribuzione dei risultati di ogni parametro analitico comprendono non solo la varianza biologica di ogni gruppo di popolazione, ma anche la varianza analitica e preanalitica; si comprende quindi facilmente come ogni sforzo inteso a restringere questo tipo di variabilità riduca la “zona grigia” di sovrapposizione delle curve di distribuzione, migliori la sensibilità e la specificità clinica del test e quindi il valore predittivo, cioè, in ultima analisi, la potenza diagnostica del test. Valore predittivo Il valore predittivo rappresenta dal punto di vista clinico il parametro più importante al fine di una corretta strategia diagnostica o terapeutica. Esso si basa sull’integrazione di diversi dati noti al clinico, quali la prevalenza della malattia nella popolazione, la sensibilità e la specificità del test. Attraverso un’equazione si ricava il valore predittivo, ossia la probabilità a posteriori o post test, che indica la probabilità che il soggetto sottoposto al test abbia la malattia in caso di esito positivo del test medesimo. Si possono calcolare due diversi tipi di valore predittivo: • valore predittivo positivo, che rappresenta la probabilità che un paziente con un test positivo abbia realmente la malattia; • valore predittivo negativo, che rappresenta la probabilità che un soggetto sano con un test negativo effettivamente non abbia la malattia. 62 Sistemi esperti I sistemi esperti sono costituiti da un approccio decisionale basato su regole fornite da esperti e usate per programmare un software in grado di analizzare i risultati dei test di laboratorio di un paziente per suggerire altri test o interpretazioni diagnostiche. Il risultato di un sistema esperto può consistere quindi in una diagnosi o nel suggerimento di test aggiuntivi utili o necessari per confermare la diagnosi stessa. I sistemi esperti risultano utili nel prendere delle decisioni (test aggiuntivi da richiedere o decisioni da adottare). Un esempio di sistema basato su regole di decisione legate agli intervalli di riferimento e a schemi di conoscenze fisiopatologiche è il sistema VALAB per la validazione dei dati biochimici; questo software utilizza più di 20.000 regole per validare i test di laboratorio del settore di biochimica, ematologia e coagulazione e suggerisce informazioni, conclusioni o commenti utili sul piano clinico. I sistemi esperti possono anche fornire utili indicazioni sui test diagnostici (protocolli diagnostici) utili per la diagnosi di specifiche malattie e quindi suggerire un buon criterio per la migliore utilizzazione delle informazioni del laboratorio. Negli ultimi anni alcuni laboratoristi vanno attribuendo grande importanza al contributo che il test di laboratorio è in grado di fornire all’esito del paziente (outcome); secondo tale visione si tende a misurare l’importanza e l’efficacia di un test di laboratorio utilizzando come parametro proprio il contributo che esso può fornire al buon esito della malattia o, ancora più in generale, al miglioramento della qualità della vita. Risulta evidente e da tutti accettato il principio dell’utilità per il paziente di ogni test di laboratorio, per assicurare la prevenzione, per garantirne la diagnosi, per la cura della malattia o per valutarne la stadiazione o la prognosi; in senso ancora più generale, l’utilità del test può trovare la sua giustificazione a favore della società a cui può fornire un contributo importante sia per la ricerca scientifica, sia per l’indagine epidemiologica. In quest’ottica, l’ outcome del paziente potrebbe essere assunto a gold standard per stabilire la validità, l’utilità e l’efficacia di un test di laboratorio. Se si passa, però, dall’enunciazione del principio, in sé accettabile, a una valutazione e misurazione pratica, sorgono subito tali e tante difficoltà da rendere questo criterio troppo generico. Già l’atto medico della diagnosi e della cura risulta spesso molto difficile da valutare, in ordine all’outcome del paziente, con opportuni parametri e con indicatori che siano obiettivi e quantitativi; questo è tanto più vero nelle patologie multiple, nelle forme morbose croniche e in tutte le malattie con elevata componente psicosomatica. D’altra parte, il criterio ricordato non è molto diverso da quello della soddisfazione del cliente (medico-paziente) previsto dalle norme ISO 9000 per tutti i prodotti o processi del laboratorio e che nel contesto della certificazione appare un aspetto centrale e molto importante; tuttavia, in ambito sanitario la sua definizione appare precaria o almeno molto difficile da quantificare. Per questa considerazione si ritengono preferibili i metodi per la misura dell’efficacia diagnostica di un test trattati precedentemente, perché più definiti e misurabili. Il laboratorio basato sull’esperienza (Evidence Based Laboratory EBL) I concetti di logica diagnostica enunciati in questo capitolo stanno alla base dei criteri diagnostici utilizzati da sempre dal clinico per cogliere la diagnosi, anche se talvolta in modo puramente intuitivo. La loro formalizzazione, attraverso la definizione e la misura della sensibilità e della specificità clinica del test, del rapporto di probabilità e del valore predittivo del test positivo e negativo, consente di attribuire a 63 questi concetti una misura statistica quantitativa e di ottenere così la massima evidenza circa l’importanza e la reale utilità clinica di un test di laboratorio. Per conseguire questo risultato è necessario: • abbandonare la schematizzazione dei valori di riferimento, cioè la dicotomia fra valori normali e valori patologici, per attribuire il giusto peso al risultato quantitativo; • studiare la sensibilità e la specificità in popolazioni omogenee per gravità di patologie e/o su sottogruppi clinici ben definiti; • interpretare il test di laboratorio allo studio e il “gold standard” in cieco e da parte di persone (competenti) diverse; • considerare l’affidabilità (precisione statistica) della misura della sensibilità e della specificità in funzione del numero di soggetti studiati e indicare l’intervallo di confidenza della stima stessa; • tener conto della frequenza dei test che presentano risultati indeterminati e che non possono essere inquadrati; • valutare la variabilità (preanalitica e analitica) dei risultati del test. La revisione sistematica dei test di laboratorio, comunemente richiesti e impiegati dal clinico, eseguita secondo i criteri enunciati, consentirà di ottenere il migliore valore diagnostico (potenza) dei test medesimi, secondo criteri verificati e controllabili. Questo lavoro impegnerà sia il clinico (per la scelta della popolazione e per l’interpretazione del risultato del test e del “gold standard”) che il laboratorista (per la misura dei campioni, la stima della loro variabilità e la consulenza al clinico per l’interpretazione). Solo così il clinico potrà disporre degli elementi di giudizio per giustificare l’impiego di un test di laboratorio, qualora il test sia: • riproducibile e accurato, • disponibile a costi ragionevoli, • dotato di valore predittivo (probabilità post test) tale da modificare la gestione della malattia. • In caso contrario il test andrà abbandonato o, almeno, non usato in quel particolare contesto clinico. 64