L`attualità di Gramsci - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna

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Giuseppe Normanno
Attualità di Gramsci*
di Giuseppe Normanno
1. Introduzione
In una lettera a Tania del 19 marzo 1927, Gramsci, esponendo il progetto di
trattare alcuni temi della cultura e della politica, come poi avrebbe fatto nei Quaderni, così si esprime:
Sono assillato (è questo un fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa
idea: che bisognerebbe fare qualcosa für ewig, secondo un una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli.
Gramsci affidava ai Quaderni il compito di sottrarre al tempo le sue riflessioni per farne una testimonianza perenne di pensiero e di azione.
È importante il richiamo a Goethe ed al Pascoli, per una specie di tensione
romantica, quasi foscoliana in forza della quale l’intellettuale tenta disperatamente
di vivere, come Gramsci afferma in una lettera alla mamma del 1931, “nel cuore dei
propri cari” e di sopravvivere al tempo in una specie di “amortalità storica”.
Eppure, se vi è una concezione che è stata continuamente modificata, adattata ai tempi, deformata secondo le contingenze dell’epoca ed i mutevoli interessi
politici e partitici, è quella gramsciana.
Il dibattito storiografico del “dopo Gramsci” si è in un primo tempo preoccupato non tanto di discernere la validità e i limiti del pensiero gramsciano, interpretato nella sua interna struttura e nella sua genesi, quanto di determinarne, non
senza forzature, l’ “attualità” secondo le spinte delle varie circostanze politiche.
Si è assistito, così, ad alterne canonizzazioni e ripudi della concezione
gramsciana, non sempre storicamente e teoricamente fondati.
*
In occasione del Convegno il prof. Giuseppe Normanno preparò un saggio dal titolo Attualità di
Gramsci del quale presentò un’ampia sintesi nell’intervento svolto al Convegno stesso. Questo intervento è
stato l’ultimo pronunciato pubblicamente da Giuseppe Normanno, intellettuale impegnato, studioso dai
molteplici interessi, docente attento e sensibile, spentosi prematuramente il 31 agosto 2001. Di Giuseppe
Normanno che è stato un punto alto di riferimento della cultura di Capitanata abbiamo ritenuto di pubblicare
l’intiero saggio, offrendolo così alla conoscenza dei lettori de «la Capitanata». Ringraziamo la famiglia che ci
ha fornito il manoscritto dell’Autore.
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Attualità di Gramsci
Si può parlare di un “Gramsci di tutti”, di un Gramsci spesso forzato a disegni di parte ed adattato ai vari momenti storici.
Da una parte si è parlato di un Gramsci riformista, socialdemocratico, o per
esaltarlo (Tamburrano, Lagorio, Lehner) o per svalutarlo (Perlini, Riechers): dall’altra ci sono eccessivamente sottolineati i caratteri ‘leninisti’ e addirittura maoisti
del pensiero gramsciano (A. M. Macciocchi). Da parte sua Geymonat ha rimproverato a Gramsci il ripudio del “materialismo dialettico” con la conseguenza di “troppo
idealismo”.
Althusser scorgeva nel pensiero gramsciano l’intrusione di elementi umanistici
all’interno del marxismo e parla di una coupure tra il periodo dell’«Ordine Nuovo»
e quello ‘umanistico’ dei Quaderni.
Radicale è la condanna di Pellicani secondo il quale non vi sarebbe spazio di
libertà e di ricerca, a causa del carattere ‘gnostico’ ed ‘olistico’ del suo pensiero, nel
quale l’unica verità a prevalere sarebbe quella del Partito.
Né si è omesso di parlare di un “gramscismo di destra”.
Infine, quando si costruiva il modello dell’ “eurocomunismo” non si esitò a
ricorrere a Gramsci, sino a vederlo come precursore del cosiddetto “compromesso
storico” (Gruppi). In realtà, in Gramsci non si può vedere né una fideistica adesione al materialismo dialettico ed al leninismo, né una puntuale ‘anticipazione’ della
democrazia pluralista attuata nell’ambito del socialismo.
Come mai il für ewig gramsciano si è dissolto in tanti diversi Gramsci così
soggetti al tempo?
Ciò è avvenuto sia per la molteplicità e l’eterogeneità delle fonti alle quali
Gramsci si ispira (da Croce a Gentile a Sorel, da Labriola a Lenin) per cui facilmente si può assumere una sola fonte alla cui luce indebitamente si interpreta l’intero
suo pensiero, sia per la discontinuità e complessività espositiva di questa concezione il cui carattere è fortemente dialettico e dialogico, capace di riferirsi continuamente tanto alla contraddizione ed al conflitto quanto all’unità, tanto alla ‘sistematicità’ quanto alla ‘problematicità’.
Soprattutto si è trascurato di considerare lo spessore teoretico del pensiero
di Gramsci che, perciò, è stato prevalentemente ridotto a prassi politica. È, allora,
importante rimeditare sul valore della categoria del ‘politico’ (Schmitt) in Gramsci all’interno di un plesso teoretico complesso e sfaccettato che non può essere
considerato come un sistema chiuso e definitivo, ma va colto in tutta la sua problematicità.
Molti studi (Femia, Adamson, Bovero, Nardone, Sbarberi, De Giovanni,
Marramao), muovendo da posizioni ideologiche estremamente diverse, hanno cercato di ‘liberare’ il pensiero gramsciano dai quadri sistematici, considerandolo più
nelle sue differenziazioni che nella sua unità.
L’ermeneutica gadameriana, il neo-marxismo (Bloch, Havemann, Garaudy) con le sue forti tensioni utopiche ed esistenziali, il moderno esistenzialismo
e lo stesso “personalismo comunitario” aiutano a dare del pensiero gramsciano
visto problematicamente, dialetticamente e spesso paradossalmente, per viam
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negationis, una interpretazione ‘ambivalente’, ‘problematica’ e ‘progettuale’, per
cui necessariamente la lettura del pensiero di Gramsci va posto in confronto
’
con vivaci movimenti di pensiero, in senso quasi ‘metapolitico . Questo significa attualità.
Perciò attualità non significa dedurre dal pensiero politico di Gramsci un
modello politico, dopo la caduta di modelli finora considerati in assoluto, né significa adattamento forzato agli attuali modelli politici peraltro in continua trasformazione.
È attuale Gramsci se ci dà delle indicazioni teoretiche sull’uomo, sulla società, sulla guida, che possono fungere da idee - guida, da idee - forza anche se non si
può negare che vi siano delle ‘ambivalenze’ nel pensiero gramsciano.
Da una parte sono stati riscontrati aspetti dogmatici ed olistici, dall’altra filoni di pensiero più problematici, che possano proiettare il pensiero gramsciano in
una dimensione di ‘ulteriorità’ e di liberazione.
2. Filosofia, ideologia, identità di teoria e prassi
Non è giusto negare con Croce o con Sasso alla concezione politica di Gramsci
il carattere filosofico perché dettata da interessi pratici e non da una “ricerca disinteressata del sapere”.
Al contrario, vi è in Gramsci la tendenza a collegare l’attività politica a quella
teoretica, per cui l’azione non è altro che l’anima della stessa concezione della vita.
La filosofia in Gramsci non è né assimilata alla metafisica né ridotta positivisticamente a scienza della natura.
Anzi, la filosofia viene definita come un’attività propria dell’uomo; al senso
comune la scientificità aggiunge la criticità, la coerenza logica, il linguaggio filosofico.
La filosofia rientra nella concezione delle “sovrastrutture” che non sono un
mero prodotto della struttura economica, ma tendono ad incidere sulla struttura
stessa per trasformarla.
La filosofia, allora, non essendo pura teoria, ma tendendo alla trasformazione del reale, viene a tradursi in termini di prassi.
La politica, perciò, non è da intendersi come pura empiria, poiché ha bisogno
di essere giustificata razionalmente e criticamente.
Tuttavia, non basta che un movimento politico venga teoricamente giustificato, ma è necessario che si espanda tra le masse e costituisca una propria ‘egemonia’ mediante il consenso.
In senso più ampio si può dire che la filosofia deve diventare una fede, producendo, così, un’attività pratica ed un movimento culturale.
Ma, se per il pensiero gramsciano le filosofia è teoria che si traduce nella
prassi, nella storicità, nell’opera dei gruppi sociali, non si identifica totalmente con
l’ideologia?
In questo caso non vi è il pericolo che il primato del politico risolva in sé,
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Attualità di Gramsci
senza residui la filosofia stessa? Il “dopo-Gramsci” si è fortemente impegnato a
considerare le istanze culturali tanto diverse presenti nella concezione gramsciana
del ‘politico’.
È una concezione criticata da una parte (Tronti, Althusser) per il prevalere
del carattere umanistico, dall’altra (Del Noce, Pellicani) per l’eccessiva caratterizzazione ideologica, partitica, storicistica e messianica mutuata in gran parte dal
leninismo.
La grande difficoltà presente nel pensiero gramsciano, caratterizzato dal “pensare per contrari”, è data dal fatto che entrambe le concezioni sono rese possibili.
Da una parte, contro Bucharin, Gramsci afferma il primato del soggetto, inteso come l’ “uomo collettivo”, sull’oggetto per cui la filosofia appare aperta al
mutamento della realtà, dall’altra vi è la possibilità di una concezione “totalizzante” della politica che si riconosce, in senso hegeliano, in un’unica ideologia: la filosofia della prassi.
3. La dialettica
Gramsci, misurandosi con Croce, respinge la concezione della politica come
“passione” e polemizza col “nesso dei distinti”. Secondo Gramsci, se si svuota la
dialettica dell’opposizione, si eliminano la lotta e la contraddizione che costituiscono l’anima della storia. Anche Gioberti e Proudhon non risolvono il problema del
processo dialettico, col pericolo di giungere al massimo riformismo o ad una rivoluzione passiva.
Anche nella concezione gramsciana della dialettica, come osserva Bobbio, si
possono riscontrare diversi significati. Senz’altro, poiché si accentua il momento
della lotta e dell’antitesi, la dialettica gramsciana appare più moderna di quella
hegeliana e di quella marxiana in quanto esclude la previsione ritenuta piuttosto di
natura empirica e sociologica. Però, Gramsci, volendo attribuire un senso al processo storico, lo dirige essenzialmente a un fine. Da una parte l’ulteriorità conduce
all’ulteriorità, distruggendo le tesi che si contrappongono al mutamento, dall’altra
tende inevitabilmente ad un fine.
Da una parte vi è “realismo”, dall’altra “messianismo”.
Ma, una volta che la filosofia della prassi sarà salita al culmine, sarà ancora
soggetta al divenire o tenderà alla regressione e alla stasi?
In questo caso, divenuto il “moderno Principe un’antitesi esso stesso, sarà
possibile sostituirlo con un’altra sintesi?
Gramsci non risponde a questo interrogativo, ma lascia spazio ad una risposta positiva nella misura in cui il comunismo non si sclerotizzerà in rigide forme
burocratiche, ma renderà possibile la realizzazione della volontà collettiva. Ciò potrà
avvenire se l’ideologia sarà verificata con strumenti critici, capaci di svelarne l’eventuale degenerazione in “falsa coscienza”.
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4. L’egemonia
In Gramsci l’egemonia è una sintesi di “coercizione” e di “consenso”.
Badaloni afferma che la concezione dell’egemonia non è da interpretarsi né
sulla base del determinismo della struttura, né su quella dello statalismo a causa
della grande importanza che Gramsci assegna alla “società civile” ed alle sovrastrutture nel senso di una “democrazia in espansione”.
Si può parlare di un consenso dal basso (Adamson, Finocchiaro, Sorel) anche
se la concezione necessaria nella fase di transizione per la formazione della società
comunista.
Certo, si è parlato di una società armonica e regolata in cui dovrebbe esservi
una sostanziale identità di dirigenti e di diretti, con pericolo di totalitarismo (Bovero,
Sbarbero).
Ciò costituisce solo un aspetto della questione poiché rimane l’altro dell’educazione della coscienza collettiva e del ruolo della società civile.
Circa il problema del rapporto tra egemonia e pluralismo bisogna pensare da
una parte che non vi è in Gramsci un totale distacco da Lenin, dall’altra che l’egemonia gramsciana si differenzia da quella leniniana in forza dell’oggettiva differenza esistente tra la situazione rivoluzionaria presente in Oriente ed in Occidente
come Gramsci precisa in un famoso passo del Quaderno 14.
A differenza che in Oriente dove la società civile era “primordiale e gelatinosa”,
in Occidente, dove vi era una “robusta catena di casematte”, occorreva determinare
la strategia rivoluzionaria attraverso la guerra di posizione, la ricognizione dell’elemento specifico caratterizzante ogni situazione (il nazional - popolare) e l’analisi
della struttura della società civile di cui lo Stato avrebbe dovuto costituire la frontiera più avanzata.
La concezione, nella fase di transizione, viene identificata non con l’arbitrio
o la violenza repressiva, ma con la razionalità volta alla persuasione, per cui si accelera il processo di trasformazione della società.
In questo senso, Gramsci distingue varie forme di Cesarismo (progressivo o
repressivo).
La coercizione, in fondo, è già funzionale ad consenso attivo. Nell’opera di
ricostruzione del consenso, è di fondamentale importanza l’opera degli intellettuali. Bobbio afferma la superiorità della società civile rispetto allo Stato al quale spetta
l’azione coercitiva.
Secondo Anderson, sembra talvolta che lo Stato sia comprensivo della società civile, altre volte che lo Stato si identifichi con la società civile stessa.
Sembra, invece, che in Gramsci si debba escludere lo “Stato etico” e la
statolatria, ma anche il primato assoluto della società civile che apparirebbe come
un’entità ipostatica rispetto allo Stato. Molto probabilmente lo Stato viene a regolare la società civile. Comunque non vi è un’univocità nella concezione della
società civile. Da una parte lo Stato porta alla massima maturazione la società
civile, dall’altra si passa spesso, sulle orme di Marx, ad un’estinzione dello Stato
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Attualità di Gramsci
anche se non si precisano i modi e le strategie che a tale estinzione dovrebbero
condurre.
È molto interessante l’interpretazione di Adamson secondo il quale utilizza
le categorie usate da Habermas e Luhmann nello studio del rapporto tra società
civile e Stato, evidenziando le ambivalenze del pensiero gramsciano.
I fattori culturali e sociali della società civile possono essere considerati come
“sottosistemi” funzionali al sistema totale.
In questo senso, sarebbe possibile un pericolo di una visione olistica e totalizzante ma potrebbe anche pensare alla società civile come ad un ampio spazio di
“eversione”, di contestazione e di opera culturale, diretta a contenere il dominio.
Possiamo concludere che l’egemonia gramsciana conduce ad ammettere una
“società civile diffusa” che, al massimo della maturazione dovrebbe escludere l’opera
repressiva dello Stato.
5. Gli intellettuali
La concezione gramsciana degli intellettuali nasce essenzialmente da tre matrici.
Una prima matrice è di ordine politico sociale: gli intellettuali come “commessi” della classe dominante.
Una seconda matrice è di ordine filosofico: la razionalità costituisce il
proprium dell’intellettuale per cui ogni uomo è lato sensu un intellettuale.
La terza matrice è di ordine collettivo: l’intellettuale come scienziato ideologo, scienziato - politico, agente della persuasione all’interno del processo di
razionalizzazione attuato dalla società tecnologica.
L’intellettuale, considerato nella sua funzione alla storia, è proiettato nella
sua dimensione futura, nella prospettiva utopistica del regno della libertà.
Molti sono i modelli con i quali Gramsci si misura.
Sul piano storico, da una parte vi è il “giacobinismo”, al centro la Chiesa
Cattolica che funge da “modello negativo”, dall’altra la tradizione nazionale italiana. Sul piano dell’organizzazione moderna del lavoro è importante il modello
weberiano nel comune interesse per l’etica protestante e nel rapporto tra cultura e
trasformazioni economiche.
Cerroni che afferma che il superamento del sociologismo e del weberismo è
nella fondazione di una teoria degli intellettuali al cui centro vi sono la produzione
economica e l’universalità della cultura.
Gli intellettuali funzionari delle sovrastrutture dovranno superare sia la
separatezza rispetto alla società, sia il cosmopolitismo. Il nuovo intellettuale
sarà tecnico specialista politico, cioè organizzatore del consenso, funzionario
di nuove strutture, organico al corso storico delle masse, dirigente ed organizzatore delle masse stesse mediante il partito. Ma questa concezione non può
non sollecitare alcuni gravi interrogativi: quale sarà il rapporto tra gli intellettuali e le masse? Quale rapporto intercorrerà tra l’intellettuale organico e le
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masse? Fino a qual punto l’intellettuale, rispetto al partito, godrà della libertà
di ricerca scientifica?
Circa questo problema, Gramsci si è trovato di fronte ad opposte critiche.
Mentre Pellicani lo accusa di essere il sacerdote dell’unica ideologia, il marxismo,
Asor Rosa e Tronti lo accusano di promuovere una cultura asettica e provinciale.
Ad una riflessione più attenta sembra che la grande ‘problematicità’ di Gramsci
consista nel considerare il valore della cultura europea, senza aggettivi, un prezioso
elemento pedagogico offerto dalla tradizione alle masse che, partendo dalla storia,
si progettano mediante la volontà collettiva verso il futuro.
D’altra parte vi è spesso il pericolo di un assorbimento della cultura da parte
dell’ideologia.
Certamente, però, il rispetto per l’analisi del pluralismo culturale, non ha mai
condotto Gramsci allo znadovismo e a forme rigide di controllo culturale dall’alto.
Le ambivalenze di significato derivano da quella ‘duplicità’ che, mentre spinge alla scienza perfetta in quanto ideologia totale, si riverbera poi sulla problematicità
come ulteriore ricerca di senso.
6. Il partito
Circa il partito non si può non prendere le mosse da un famoso brano del
Quaderno 13, definito da Pellicani “vero capo di tutte le tempeste”, nel quale Gramsci
tra l’altro afferma che “il principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o
dell’imperativo categorico, diventa la base di una completa laicizzazione della vita e
di tutti i rapporti di costume”.
Totale elminazione del dissenso (Pellicani) e assoluto dominio sacrale del
partito (Del Noce)?
Salvadori coglie in questo brano l’unità tra dirigenti e diretti.
Dopo la “svolta del 1926” e dopo l’involuzione sovietica, Gramsci avrebbe abbandonato il giovanile giacobinismo ed avrebbe rifiutato una direzione verticistica del
partito il cui compito sarebbe quello di una sollecitazione della coscienza collettiva.
In realtà, Gramsci, parlando di una concezione laica della vita, avrebbe escluso la visione sacrale del partito. Gramsci ribadisce la necessità del confronto del
partito con le masse al fine del consenso.
All’interno della categoria sociologica di ‘massa’ è necessario delineare il concetto di persona nelle sue caratteristiche di singolarità, di interiorità, di comunitarietà.
7. Conclusioni
È attuale ancora Gramsci? Non è attuale se si pensa ad un modello storico
sociale da applicare a società totalmente diverse da quella che egli prospettava ai
suoi tempi.
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Attualità di Gramsci
Né è attuale Gramsci se pensiamo di adattarlo strategicamente ai modelli
politici oggi in evoluzione, sottoponendolo ancora una volta ad un’opera di
strumentalizzazione.
Come, allora, può essere Gramsci attuale dopo la fine del comunismo, dopo
l’affermarsi di modelli da lui respinti, nell’epoca del nichilismo?
È attuale, invece, per la sua ricca e profonda riflessione sulla categoria del
politico, sulle sue funzioni, sui suoi fini all’interno delle diverse strutture politiche.
Il pensiero di Gramsci, liberato dalle sue ambivalenze e dalle condizioni contingenti, può essere colto nelle sue più significative intuizioni: la riforma intellettuale e morale, la funzione della cultura, i compiti degli intellettuali, la scoperta dei
valori positivi presenti nella religione.
Sono intuizioni che ancor oggi possono inserirsi in un progetto politico partendo dalle due dimensioni che nel pensiero di Gramsci entrano in rapporto
dialettico: quelle storico - realista e quella utopica.
Nella concezione politica di Gramsci deve essere valorizzata la volontà collettiva in forza della quale la storia può essere modificata.
Un secondo aspetto problematico e non sistematico è costituito dalla concezione dell’ulteriorità, del progresso che spinge a modificare l’assetto sociale da parte delle masse, guidate dagli intellettuali.
Quando, ad esempio, Gramsci afferma che la storia non si può determinare
come avviene su di un ring ove tutto sia stabilito e che non si può stabilire a priori
ciò che deve essere conservato o abolito, può dare un’indicazione di tipo problematico che rompa con una visione deterministica del pensiero di Marx.
Afferma Gramsci: “Si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il
sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato,
molte concezioni idealistiche che sono utopistiche durante il regno della necessità,
potrebbero diventare verità dopo il passaggio”.
Sembra, allora, che vi siano in Gramsci una tensione verso il “regno dei fini”,
kantianamente inteso, ed un’apertura ad un “totalmente altro”, ad un orizzonte
sempre modificabile e mai del tutto storicamente prevedibile e determinabile.
In una terza direzione Gramsci dà la possibilità di scorgere nel suo pensiero
tanto l’unità quanto la contraddizione.
La “dualità” tra sistema e problema ci dice che il pensiero di Gramsci non va
assunto come un unico blocco concettuale ma come una lezione dal carattere
educativo energetico.
Da Gramsci viene l’incoraggiamento all’impegno politico ed al dialogo culturale inteso alla trasformazione della società, contro le spinte all’individualismo ed
all’utilitarismo del singolo e dei gruppi di potere.
L’attualità di Gramsci si consolida mediante una liberazione “di” Gramsci e
“da” Gramsci, che richiede il valore della persona, il rifiuto del totalitarismo, l’affermazione costante del rapporto tra razionalità e politica.
Solo in tal modo il nostro debito verso l’umanesimo di Gramsci sarà grande.
Egli vivrà in noi veramente für ewig.
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