a misura d`uomo - Aracne editrice

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A MISURA D’UOMO
SEZIONE DI
PSICOLOGIA DEL LAVORO

Direttore
Giordano P
Direttore Poliarte di Ancona
Comitato scientifico
Per l’ergonomia
Referente per l’estero
Francesco M
Irene S
Università di Udine
Università di Berlino
Melchiorre M
Università di Torino
Comitato di redazione Poliarte
Per l’antropometria
Andrea M
Emanuela G
Maria P
Università di Ferrara
Elisabetta M
Università di Cagliari
Margherita M C
Università di Torino
Mila T P
Università di Bari
Per la psicologia del lavoro
Enzo S
Università delle Persone di Bologna
per l’ergonomia e l’antropometria
per la psicologia generale
William S
per la psicologia del lavoro
Chiara S
per la cultura del design e filosofia del progetto
A MISURA D’UOMO
SEZIONE DI
PSICOLOGIA DEL LAVORO
Omnia in mensura et numero et pondere
Le esigenze dell’uomo contemporaneo sono così evolute e amplificate da richiedere alle moderne scienze e tecnologie soluzioni sempre più avanzate. La mass
customization s’impone nella nostra epoca consentendo all’uomo di personalizzare
un prodotto industriale adattandolo a sé. L’uso flessibile del  (Computer Aided
Manufacturing) gli consente infatti di soddisfare il proprio desiderio di distinguersi
dagli altri consumatori. È il ritorno all’oggetto su misura, in cui, tuttavia, la tradizione artigiana del capolavoro deve dialogare con la produzione industriale in serie,
attuando la cultura postindustriale e oltrepassando la postmodernità. Così, l’unico e
il molteplice, l’originale e lo standard, il singolare e il plurale superano la bipolarità
nella coincidentia oppositorum: artigianato–industria, arte–design. La misura ritorna
dunque la cifra delle relazioni spaziali con gli oggetti e con gli uomini, il criterio
per conoscere e progettare, lo strumento per conseguire la qualità della vita e il
benessere personale e sociale. Il merito di questa rivalutazione del “su misura” spetta
certamente a discipline come il design e l’ergonomia, che incentrandosi sull’uomo
lo riaccreditano “misura di tutte le cose”, fattore primario nel rapporto con gli
oggetti, le macchine e l’ambiente, dando nuovo valore alle concezioni di Vitruvio,
Leonardo e Le Corbusier.
La collana presenterà risultati di studi, ricerche e sperimentazioni antropometriche, prossemiche, ergonomiche e della psicologia sociale, facendo riferimento
all’ambiente in tutte le sue declinazioni, in particolare quello di lavoro, maggiormente condizionante per l’uomo. Una collana con la finalità di divulgare la cultura
del benessere, ammiccando al bellessere. Una cultura che consenta di migliorare le
proprie condizioni di vita passando da uno stato in cui possa affermare «Sto bene
qui, ora» a quello in cui possa aggiungere «Mi piace star bene qui, ora». Una cultura
che promuova l’educazione emotiva a fianco di quella razionale, per un umanesimo
integrale di maritainiana memoria.
Il bellessere è una realtà aumentata, il passare da una situazione di carenza a una di
abbondanza, come sostiene Enzo Spaltro. È vivere in pienezza, in quella condizione
favorevole che sant’Agostino descrive icasticamente con l’aforisma: «La misura
dell’amore è amare senza misura», a distinguere il contingente dal trascendente.
La collana è strutturata in due sezioni, una dedicata all’antropometria e all’ergonomia, l’altra alla psicologia del lavoro, in un unicum sottile e immateriale sempre
presente, rappresentato dall’idea di progetto.
Alberto Rossati
Silvia Maroncelli
Cecilia Puca
Call center e stress lavoro–correlato
I risultati di una ricerca
Presentazione di
Roberto Cardaci
Copyright © MMXIII
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 
Indice

Presentazione
di Roberto Cardaci

Capitolo I
Dallo stress allo stress lavoro–correlato
.. Il concetto di stress: l’opera di Selye,  – .. L’importanza
dei fattori psicologici e sociali,  – .. Lo stress lavorativo,  –
.. Lo stress lavoro–correlato,  – .. Il quadro legislativo nel
nostro paese e le problematiche emergenti,  – ... Dall’Accordo Europeo al D. Legs.  del  aprile ,  – ... Valutazione dei
rischi e problemi metodologici,  – ... La circolare ministeriale del
 novembre , .

Capitolo II
Call center: l’oggetto bizzarro della new economy?
.. Che cos’è un call center?,  – .. Un po’ di storia: l’evoluzione dei call center,  – .. Funzioni, struttura organizzativa e
personale dei call center,  – ... Il mito di Proteo applicato all’operatore call center,  – Appendice: il tentativo di stabilizzazione
dei lavoratori dei call center realizzato in Italia nel , .

Capitolo III
Alcune tra le più significative ricerche sullo stress nei call
center
.. Le ricerche di Holman e di Sprigg, Smith e Jackson, 
– .. Altre ricerche,  – .. La ricerca di Corigliano e Greco,  – .. Quali conclusioni possiamo trarre da questa breve
rassegna?, .


Indice

Capitolo IV
Una ricerca pilota sullo stress lavoro–correlato all’interno
di un call center di Torino
Premessa,  – .. Il contesto in cui è stata svolta la ricerca: l’azienda “Voice care”,  – .. Obiettivi e metodi della presente
ricerca,  – .. Materiali e metodi,  – ... Parte quantitativa: il questionario OPRA,  – ... Parte qualitativa: l’intervista
semistrutturata,  – .. I principali risultati emersi,  – ... I
questionari,  – ... Gli operatori che svolgono più di un servizio
sono maggiormente stressati di coloro che ne svolgono uno solo?,  –
... Le interviste,  – .. Conclusioni, .

Bibliografia

Indice degli argomenti

Indice degli autori
Presentazione
di R C
Questo libro è interessante non solo per lo studioso, ma anche
per il sindacalista, per lo studente, e, in breve, per ogni persona
interessata al tema dello stress, per almeno due motivi.
Innanzitutto, fornisce al lettore una guida sintetica, ma rigorosa, puntuale ed aggiornata non solo in merito al concetto
di stress, che ormai è sulla bocca di tutti, e tende ad essere
utilizzato genericamente in tutte quelle situazioni che comportano disagio umano e psicologico, impedendo talvolta di
approfondire le cause effettive di tali situazioni.
Il secondo motivo, che costituisce un titolo di merito sostanziale, consiste anche e soprattutto nell’affrontare in maniera
approfondita e per molti versi esaustiva, ben oltre alla semplice
nozione, il tema dello stress lavoro–correlato, che recentemente
è salito alla ribalta sia della ricerca scientifica che della pratica
sociale.
In questo senso, si veda, ad esempio, il D.L. n.  del 
aprile , che recepisce anche per noi italiani, allineandoci
ai dettami legislativi europei, l’obbligo, già in vigore da tempo
negli altri paesi del continente, di realizzare efficaci interventi
di prevenzione nei confronti di questo importante fattore di
rischio per la salute psicofisica degli addetti delle imprese.
In questa prospettiva, il datore di lavoro deve quindi valutare
non solo gli aspetti “oggettivi”, di natura tecnica e strutturale
connessi ad ogni struttura organizzata ed alla sua organizzazione del lavoro, che di solito sono connessi all’ambiente fisico
e al maggiore o minore potenziale di nocività delle sostanze
e delle attrezzature utilizzate, ma anche quelli “soggettivi” e


Presentazione
psicosociali, legati all’ambiente psicologico e al “clima organizzativo”, che più direttamente interessano la qualità della vita
degli addetti sia dentro, sia anche fuori dell’impresa.
Peraltro, con quali modalità, con quali criteri, con quali strumenti operativi questa attenzione innovativa al rischio di stress
degli addetti possa esser concretizzata nelle strutture organizzative delle imprese non è certo definito né nella legislazione
italiana né in quella di altri paesi: in questo senso, si è nella fase iniziale del de jure condendo, senza che si definiscano nello
specifico le modalità di attuazione dei dettami legislativi, che
tuttavia rappresentano un elemento di importante innovazione. Di conseguenza, per la concretizzazione di questa forma di
responsabilità sociale dell’impresa, emerge l’importanza degli
apporti che le scienze sociali possono dare, contribuendo a poco
a poco a quell’accumulo di sapere e saper fare che è necessario per
dare solidità alla pratica alle disposizioni di legge, che, altrimenti,
rischiano di restare nell’ambito di quelle “buone intenzioni” di
cui “son lastricate” se non proprio “le vie dell’inferno”, almeno i
sentieri del velleitarismo e delle “prediche inutili”.
Ed ecco un ulteriore, sostanziale motivo d’interesse di questo volume: nell’ultimo capitolo gli autori illustrano un esempio
concreto di ricerca scientifica rigorosa che ha — o, almeno, può
avere se debitamente utilizzata — importanti ricadute sul piano
dell’organizzazione del lavoro e dell’intervento psicosociale.
Infatti, la ricerca qui descritta prende le mosse dall’esigenza di verificare “sul terreno” quale delle due ipotesi (quella
della direzione e quella dei sindacalisti) formulate nell’ambito
dell’azienda “Voice care”, reggesse alla prova dei fatti.
I sindacalisti avevano informato gli autori che la direzione
dell’azienda aveva precedentemente svolto uno studio ed una
valutazione sullo stress da lavoro, ma ad essere presi in esame
erano stati solo il management, i team leader e i supervisori,
mentre invece erano stati del tutto esclusi gli operatori: quindi,
si trattava non di un’analisi conoscitiva del sistema e della sua
organizzazione del lavoro che riguardasse tutti i settori, ma
di un particolare settore, quello certamente meno esposto a
Presentazione

“rischio” di stess: pertanto, in conclusione, da questo studio era
emerso che all’interno dell’azienda ci sarebbe stato un livello
di stress piuttosto basso.
L’idea dei sindacalisti era quella di porre a confronto i due
studi, (quello aziendale e quello condotto in maniera indipendente dagli autori, che nel frattempo si erano costituiti in équipe
di ricerca) portando all’attenzione non solo dei lavoratori, ma
anche degli amministratori dell’impresa stessa, i risultati della nuova ricerca, soprattutto per valutare se il livello di stress
lavoro–correlato fosse basso, medio o alto.
In sintesi, l’ipotesi di ricerca era la seguente: il livello di stress
all’interno del call center “Voice-care” è alto, medio, o basso? È basso,
così come afferma la direzione aziendale, o è invece piuttosto alto,
come sospettano (sulla base di vari indizi) i sindacalisti?
Ebbene, a conclusione della seconda discesa sul campo, che
ha interessato gli addetti, dall’analisi quantitativa risulta che, nel
complesso, i dipendenti “Voice Care” che hanno risposto al
questionario, si collocano entro un livello di rischio stress da
lavoro–correlato che oscilla tra il medio alto e l’alto.
Il punteggio all’“indice di rischio” (Risk Index) del questionario OPRA, utilizzato come riferimento, è infatti corrispondente
a  su : ciò vuol dire che il malessere derivante da una
scarsa identificazione con il gruppo e con l’organizzazione di
appartenenza, così come la scarsa fiducia nell’organizzazione
stessa e il desiderio di lasciare il proprio posto di lavoro, sono
tutti elementi presenti in modo significativo.
Inoltre, dall’indagine qualitativa (cioè dall’esame dei contenuti emersi nelle interviste) risulta che gli operatori mal sopportano l’espropriazione del potere decisionale rispetto al proprio
impiego, in un contesto lavorativo nel quale a fare da padrona
è la legge dello script, di un copione da seguire pressoché alla
lettera.
Questi risultati confermano quanto già da tempo altre ricerche avevano messo in luce a proposito del lavoro nei call
center, e, quindi, non è certo facile indicare vie d’uscita decisive
e “rivoluzionarie”.

Call center e stress lavoro–correlato
Forse, una politica dei piccoli passi è l’unica possibile, anche
da un punto di vista sindacale.
E non è un caso che la presente ricerca, entrando nel novero
del sapere scientifico apportato alla conoscenza dei fenomeni
dalle ricerche–intervento, sia divenuta uno degli strumenti di
lavoro dei sindacalisti che operano in quest’ambito.
Roberto Cardaci
Capitolo I
Dallo stress allo stress lavoro–correlato
.. Il concetto di stress: l’opera di Selye
Che cos’è lo stress? “Tutti sanno che cos’è eppure nessuno sa
che cosa è”. Così rispondeva alla domanda, nel , in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista «American Scientist» (tr.
it. ), Hans Selye che di questo concetto si può considerare
il “padre”.
Con questa affermazione paradossale, egli voleva riferirsi al
fatto che, già in quell’epoca, il termine stress veniva utilizzato in
maniera molto generica, sicché la conoscenza che ne abbiamo
spesso deriva più da una presunta familiarità che non da una
vera e propria chiarezza concettuale.
Selye stesso afferma di aver mutuato questa parola dalla
fisica:
In fisica tensione e deformazione si producono ogni qualvolta una
forza incontra una resistenza: una forza deforma il materiale che
le oppone resistenza, causando così tensione e deformazione. Definendo la mia sindrome stress biologico ero convinto che il senso
derivato dalla fisica sarebbe stato ovvio nella sua applicazione alla
biologia. Per i miei studenti di lingua inglese l’idea che lo stress
dell’organismo derivi dalla resistenza a un agente di stress, o stressor,
era chiara (Selye, ).
Nelle sue osservazioni e nelle sue ricerche su animali, già
negli anni ’, egli si era reso conto che un ampio spettro di
stimoli ambientali nocivi (che in seguito denominò appunto
stressors) causava uno stesso tipo di reazioni somatiche, quali,
ad es., la formazione di ulcere nello stomaco. Questo tipo di


Call center e stress lavoro–correlato
risposta era aspecifica, giacché si verificava indipendentemente
dalla natura dello stimolo, e si aggiungeva agli effetti specifici
che esso poteva comunque provocare.
Qualche anno dopo (, ), Selye interpretò questa
risposta come espressione di una Sindrome Generale di Adattamento (o SGA), fenomeno costituito da una fase iniziale o
reazione di allarme una fase centrale di resistenza o adattamento,
e una fase finale di esaurimento.
La Sindrome Generale di Adattamento (SGA) e le sue fasi (da Favretto ).
a) La prima fase è quella della reazione di allarme: in essa
sono compresi tutti i fenomeni che si verificano quando
l’agente stressante comincia a far sentire la sua azione sull’organismo. Inizialmente la maggior parte di tali
fenomeni è nociva, in quanto espressione dell’azione
dannosa esercitata direttamente dall’agente stressante e,
anche, dalle mutate condizioni in cui globalmente si trova l’organismo stesso. Ecco che, però, compaiono quasi
subito i fenomeni di difesa, rappresentati per lo più da una
aumentata produzione di ACTH (ormone corticotropoipofisario che ha il compito di stimolare la ghiandola
cortico-surrenale), ipertrofia della parte corticale delle
ghiandole surrenali, ecc.
. Dallo stress allo stress lavoro–correlato

b) Il secondo stadio è quello dell’adattamento vero e proprio.
La sua durata varia sia a seconda del tempo in cui agisce
l’agente stressante e si crea e si mantiene nell’organismo la condizione di stress, sia anche, a seconda della
capacità individuale di difesa. Come dice il nome stesso,
rappresenta il periodo durante il quale l’organismo si
adatta a sopportare l’azione svolta dall’agente nocivo, e,
in qualche modo, vi resiste.
c) Questa condizione dell’organismo non può però durare indefinitamente: se l’azione dell’agente nocivo continua (e, quindi, continua anche la condizione di stress
dell’organismo) l’organismo stesso non ce la fa più a
sopportarla non avendo più risorse nuove da investire.
Si entra allora nella terza fase, quella dell’esaurimento:
l’organismo soccombe in modo più o meno completo,
e si hanno allora alterazioni permanenti, o, nei casi più
gravi, la morte.
In termini generali, lo stress è lo sforzo compiuto dall’organismo per rispondere alle continue e quotidiane stimolazioni
provenienti dall’ambiente le quali ne minano l’abituale equilibrio interno. Qualsiasi tipo di stimolazione (stressor) determina
nell’individuo una reazione di stress — cioè di “squilibrio” —
atta a ripristinare l’adattamento con l’ambiente.
In biologia e in medicina, — come si è visto — lo stress
indica la risposta funzionale con cui l’organismo reagisce ad
uno stimolo più o meno violento di qualunque natura (traumatica, microbica, tossica, ecc.). Di solito, negli organismi
degli animali superiori, questa risposta comprende anche una
serie di fenomeni fisiologici, tra i quali spicca il rilascio, da
parte del sistema nervoso simpatico, di una notevole quantità di catecolamine (adrenalina e noradrenalina). Alcuni degli
effetti dell’aumentata presenza delle catecolamine nell’organismo sono l’aumento del battito cardiaco e della pressione
sanguigna (si comprende allora l’importanza dello stress per
le patologie cardiovascolari).

Call center e stress lavoro–correlato
Nelle sue ricerche Selye si ricollegava a un’idea fondamentale del fisiologo Walter B. Cannon, il quale negli anni ’ era
arrivato a definire il concetto di omeostasi (che a sua volta era
stato intuito da Freud). Con questo termine Cannon intendeva
sottolineare che l’organismo, dell’animale o dell’uomo, tende
a mantenersi in uno stato di equilibrio. Tale equilibrio non è
affatto statico (un’assoluta staticità significherebbe la morte) ma
piuttosto dinamico. In altre parole, il nostro organismo tende a
mantenersi all’interno di confini abbastanza precisi per quanto
riguarda lo stato di tensione che in esso è presente (si pensi
alla temperatura corporea, al tasso di zucchero presente nel
sangue, ed a altri parametri fisiologici; Cannon, , ). È
intuitivo che un livello di tensione troppo basso o troppo alto
sarebbe alla lunga intollerabile. Ed è proprio per questo che
quando compaiono fattori esterni o interni tali da alterare il
nostro livello omeostatico, ecco che subito vengono attivate
delle risposte orientate a ripristinare il precedente equilibrio.
Per concludere, nel caso di noi esseri umani, le reazioni
biologiche allo stress sono governate da due sistemi principali:
il primo fa capo al sistema nervoso simpatico e alla parte midollare delle ghiandole surrenali e, grazie alla liberazione di
catecolamine (adrenalina e noradrenalina) mette in atto funzioni di vigilanza, attivazione e mobilitazione (questo sistema
“scatta” soprattutto quando si tratta di dare una risposta del tipo
“attacco-fuga”); il secondo è quello della parte corticale delle
ghiandole surrenali, che stimolano l’attivazione del sistema nervoso centrale attraverso la secrezione di ormoni corticosteroidi
(e, in particolare, del cortisolo).
In sintesi, queste reazioni a livello del sistema fisiologico
rappresentano un reliquato archeologico della vita dei nostri
antenati primitivi, per i quali serviva a prepararsi a utilizzare
le energie necessarie alla lotta o alla fuga rispetto a minacce
esterne, per lo più di natura fisica. È intuitivo che questo tipo
di risposte, funzionali per l’uomo primitivo — che doveva
affrontare una tigre dai denti a sciabola o per la zebra che
deve fuggire dal leone — non sono adatte al tipo di vita che
. Dallo stress allo stress lavoro–correlato

conduciamo noi, uomini moderni, a cui il tipo di impegno
richiesto è, di solito, relazionale-psicosociale (Sapolsky, a,
b, , ; Farnè, , ,, ).
.. L’importanza dei fattori psicologici e sociali
Sulla base di considerazioni simili a queste, nell’ambito degli
studi sullo stress è ben presto emersa l’importanza dei fattori
psicologici e sociali.
Già J.W. Mason ha sottolineato, fin dai primi anni ’ del
secolo scorso il ruolo svolto dai livelli corticali superiori e, in
breve, dall’apparato psichico, nell’attivarsi delle svariate reazioni
emotive (Mason, ).
Ma è soprattutto a R.S. Lazarus, professore di psicologia
all’Università della California (Berkeley), che si devono alcuni
fondamentali contributi in questo senso. Fin dal  (Lazarus,
) egli ha evidenziato l’importanza dell’intreccio tra processi cognitivi, emotivi e ambientali. L’intreccio tra questi tre
processi si basa su un’interazione definita come “reciprocità
causale”. Con questa espressione egli vuole indicare che “la
persona pensa e agisce e quindi trasforma la relazione personaambiente; l’informazione di ritorno dall’ambiente (feedback)
su tale trasformazione è ri-presentata alla persona attraverso
l’attività cognitiva” (Lazarus–Launier, ).
In sintesi, lo studioso californiano vuole sottolineare che
l’individuo va visto come un elemento attivo nell’interazione con
l’ambiente, e che tale interazione non è statica ma dinamica. Vale
a dire è un processo che implica da una parte il continuo snodarsi
delle relazioni persona-ambiente, e dall’altra il coinvolgimento
soggettivo nel continuo cambiamento con l’obiettivo di trovare
nuove modalità di adattamento (Lazarus e Folkman, ).
Su questa base, egli evidenzia la capacità di appraisal cioè di
interpretazione valutativa da parte dell’individuo come uno dei
fattori più importanti nel processo di stress (Lazarus, ). In
breve, secondo Lazarus, è necessario saper cogliere il grado in

Call center e stress lavoro–correlato
cui un determinato evento è percepito come minaccioso, come
sgradevole o, viceversa, come una sfida cui siamo in gradi di
dare una risposta efficace.
“Nell’identificare una situazione come pericolosa bisogna
formulare una serie di giudizi quasi simultanei. Il giudizio iniziale che Lazarus definisce ‘valutazione primaria’ è quello che
individua la situazione come minaccia, e ne valuta la possibilità,
l’imminenza e il grado di danno potenziale. Poi c’è la ‘valutazione secondaria’: una stima delle proprie risorse difensive, cioè
delle proprie capacità di affrontare o neutralizzare il danno. Il
rapporto tra i fattori negativi della ‘valutazione primaria’ e i fattori negativi della ‘valutazione secondaria’ costituisce il rischio
percepito, il quale, a sua volta, determina l’intensità dell’ansia”
(Beck, ).
In sintesi, il contributo di Lazarus è stato quello “di aver
illuminato la complessità del fenomeno stress e in particolare
le attività mentali che precedono la risposta, le quali sono fondamentali per comprenderne qualità ed intensità” (Fraccaroli e
Balducci, ).
Per concludere, in questa prospettiva possiamo ricollegarci
alle intuizioni degli antichi filosofi. Ad esempio: “Non sono
le cose che turbano l’uomo bensì l’opinione che egli ne ha”,
affermava  anni fa Epitteto. La Rochefoucauld sosteneva,
in una delle sue massime: “I beni e i mali che ci capitano non
ci colpiscono in funzione della loro grandezza, ma della nostra
sensibilità”.
.. Lo stress lavorativo
Già negli anni ’ la psicologia del lavoro cominciò a distinguere la fatica soggettiva dalla fatica oggettiva. Per fatica soggettiva
si intendeva quella situazione in cui il lavoratore esprime un
suo disagio lavorativo attraverso una caduta di efficienza anche
se non è possibile individuare nessun criterio oggettivo di fatica (Bitterman, ). In questo modo, a poco a poco, veniva
. Dallo stress allo stress lavoro–correlato

affermandosi in maniera sempre più marcata l’esigenza di considerare non solo i fattori di carattere oggettivo delle fatica (ambiente fisico, tecnologie utilizzate, compatibilità tra l’uomo e la
macchina, ecc.) ma anche quelli di carattere più squisitamente
psicologico: monotonia del lavoro, senso di appartenenza o
di alienazione al gruppo, soddisfazione/insoddisfazione per il
lavoro svolto, ecc.
In questa presa di coscienza dell’importanza dei fattori soggettivi della fatica un ruolo importante è stato svolto dalle ricerche di Elton Mayo, tra il  e il , durante il cosiddetto
“Esperimento Hawthorne”. Agli inizi E.Mayo e i suoi collaboratori pensavano che la produttività sul lavoro fosse legata ad
aspetti quali l’ambiente fisico, il grado di affaticamento fisiologico, la presenza o meno di incentivi ecc.; nel corso delle ricerche
l’équipe di Mayo arrivò a concludere, non senza una certa sorpresa, che gli elementi che influenzavano più efficacemente la
produttività degli operai e delle operaie erano di natura psicologica e, più precisamente, il tipo di relazioni instaurate con i
compagni e il sentimento di appartenenza al gruppo di lavoro.
(Roethlisberger e Dickson, ; Mayo, ; amplia bibliografia
in Baritz, ).
La considerazione di questi fenomeni da una nuova prospettiva psicosociale ha fatto emergere l’importanza dei fattori
psicologici per lo stress, dal momento che le richieste “oggettive”, una volta in contatto con l’individuo diventano “soggettive”
(si pensi al contributo di R.S. Lazarus di cui abbiamo parlato
alle pagine precedenti).
In breve, la psicologia del lavoro ha messo in luce quello che
altre branche delle disciplina avevano intuito a livello implicito
e cioè che gli agenti stressanti (stressors) sono tali in quanto si
collocano nell’interfaccia individuo-ambiente. Tra i vari modelli disponibili per affrontare questo problema uno dei più esaurienti è quello proposto da Lofquist e Davis () e da Kahn,
French e altri (Kahn et al., , Kahn e Quinn , French,
Caplan e Van Harrison ). Questi autori hanno sviluppato la
cosiddetta teoria Person-Environment Fit, che evidenzia il peso

Call center e stress lavoro–correlato
dell’adattamento reciproco tra persona e ambiente. Secondo
questa prospettiva, lo stress lavorativo si verifica quando viene a mancare una buona corrispondenza tra le caratteristiche
dell’ambiente e le caratteristiche della persona.
In particolare, questa teoria focalizza due aspetti:
a) la misura in cui le capacità e le abilità del lavoratore sono
adatte a soddisfare le richieste dell’ambiente di lavoro;
b) la misura in cui l’ambiente di lavoro soddisfa i bisogni e
le preferenze del lavoratore.
Una mancata corrispondenza in uno di questi due aspetti,
e, ancor più, in tutti e due, genera nel lavoratore l’esperienza
dello stress.
In questa prospettiva si collocano vari studi successivi, che
cercano di mettere in luce i diversi aspetti del processo di cui
abbiamo parlato, e anche le conseguenze in speciche categorie
(una delle categorie maggiormente studiate è quella dei manager. V. ad es. Kast e Rosenzweig , e Fulcheri e Novara
).
Un discorso analogo, in proposito, è quello fatto da Powell e
Enright (). Secondo questi autori, le “domande” che gravano su un individuo implicano uno stato temporaneo o duraturo
di squilibrio.
Però queste richieste non sono soltanto il risultato di forze
esterne che agiscono su un dato punto — come nella definizione ingegneristica di stress — ma rappresentano il prodotto dell’intersezione tra forze esterne e fattori interni che
caratterizzano la vita dell’individuo stesso.
Entrambi questi fattori, ambientali ed interni, possono venire ulteriormente suddivisi in categorie, ognuna delle quali ha
un ruolo significativo nel processo di stress.
Tra l’individuo ed il suo ambiente esiste una relazione circolare o di transazione, poiché uno influenza l’altro. Ne possono
scaturire diversi stati di equilibrio o squilibrio. Questo processo
difficilmente passa inosservato al soggetto, perché una qual-
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