Un Natale insieme alla Stella Maris

Piazza del Seminario,13
NOTIZIARIO
DELLA DIOCESI
DI S. MINIATO
56028 San Miniato (Pisa)
tel. e fax 0571/400434
[email protected]
Notiziario locale
22 dicembre 2013
Direttore responsabile:
Andrea Fagioli
Coordinatore diocesano:
Francesco Ricciarelli
Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983
L’ORIGINE
CRISTIANA
DELL’ALBERO DI
NATALE
DI DON FRANCESCO
Il «personaggio» DELL’ANNO
l’agenda del VESCOVO
omenica 22 dicembre - ore 10,45: a le Vedute,
Fucecchio, benedizione del terreno su cui nascerà
D
il futuro oratorio e Santa Messa con il ricordo del 25°
anniversario di ordinazione sacerdotale di don
Giorgio. Ore 19: visita al Centro notturno di ospitalità
di Santa Croce e conviviale con gli ospiti. Lunedì 23
dicembre - ore 11: in curia, auguri natalizi al Vescovo.
Martedì 24 - ore 23,30: Santa Messa nella notte di
Natale in Cattedrale.
Mercoledì 25 - ore 11: Pontificale in Cattedrale.
Ore 18: Vespri solenni in San Domenico.
Giovedì 26 - ore 10: a Montopoli, festa titolare.
Inaugurazione dei nuovi locali dell’oratorio
parrocchiale, Santa Messa e Cresime. Venerdì 27 - ore
11: a Ponsacco per la festa di San Giovanni Evangelista
Martedì 31 - ore 18: - Santa Messa di fine anno e Te
Deum di ringraziamento.
Mercoledì 1 Gennaio 2014 - ore 16,30: consegna del
messaggio per la giornata della pace e Santa Messa in
Cattedrale.
Sabato 4 Gennaio - ore 8: Pellegrinaggio a Cigoli.
Ore 10,30: a Santa Croce per le celebrazioni in
occasione della festa della Beata Cristiana.
RICCIARELLI
n Così parlò Bellavista, Luciano De
Crescenzo metteva a confronto due tipi di
Ipersone:
i “presepisti” e gli “alberisti”. I
presepisti corrispondono al tipo
mediterraneo, che ama stare in compagnia,
fare il bagno in vasca, prendersela comoda.
Gli alberisti invece rispecchiano il tipo
nordico, efficiente, geloso della privacy, che
preferisce fare la doccia. Oggi siamo
diventati tutti più alberisti perché i ritmi
frenetici della vita ci spingono in questa
direzione. L’albero, inoltre, ha il vantaggio
di non essere troppo connotato
religiosamente e quindi più spendibile in
una società multietnica come la nostra.
Mentre il presepe è inequivocabilmente
cattolico, fa riferimento esplicito alla nascita
di Gesù Cristo e per giunta è stato inventato
da un santo – San Francesco d’Assisi –
l’albero di Natale si ricollega alle atmosfere
del politicamente correttissimo Babbo
Natale. Come notavamo nell’editoriale
della scorsa settimana, la declinazione
pagana e consumistica delle festività
natalizie si è imposta a livello mediatico e
non solo, e con essa l’albero di Natale.
Tempo fa, però, mi è capitato di leggere un
libro del grande teologo protestante Oscar
Cullman, intitolato Le origini del Natale,
che offre una prospettiva inaspettata sul
tipico abete addobbato e illuminato per le
feste. L’albero di Natale non è affatto
pagano, al contrario è pieno di risonanze
bibliche che il luterano Cullman
ricostruisce accuratamente. Il simbolo
dell’albero di Natale, come lo conosciamo
oggi, trae le sue origini delle sacre
rappresentazioni che si tenevano sul sagrato
delle chiese, nella Germania medievale, alla
vigilia della Notte Santa. Queste
rappresentazioni, che si chiamavano
«misteri», erano ambientate nel Paradiso
terrestre, avevano per protagonisti Adamo
ed Eva, il serpente e il cherubino con la
spada infuocata e, al centro della scena,
campeggiava l’albero della conoscenza del
bene e del male. Il racconto della Genesi
non ci dice di che specie fosse l’albero. La
tradizione lo ha identificato con un melo,
per l’ambiguità della parola latina
«malum», che può voler dire sia «mela» che
«male». Nei rigori dell’inverno tedesco la
scelta dell’albero da porre al centro della
scena cadde sull’abete, che per l’occasione
veniva addobbato con delle mele. La sacra
rappresentazione includeva, con la nascita
di Cristo, la restituzione dell’albero e del
frutto della tentazione alla dignità
paradisiaca. Così accanto alle mele
venivano appese all’abete delle ostie, il Pane
di vita che salva l’umanità dal peccato e
dalla morte. In seguito l’albero di Natale si è
arricchito di ulteriori simboli, primo fra
tutti la luce. Le candele che illuminavano i
rami dell’albero rimandavano a Cristo, luce
del mondo; i fili dorati ai doni dei Magi; le
stelle luminose all’astro che guidò i sapienti
verso il Salvatore. Citando documenti coevi,
Cullman descrive il passaggio dalla
dimensione comunitaria dell’albero a
quella domestica. Il significato spirituale,
col tempo dimenticato, rimane però lo
stesso: Cristo luce del mondo si incarna e
riscatta l’uomo dal peccato originale e dalle
sue conseguenze. Con questa
consapevolezza, gli alberi di Natale che
punteggiano i giardini dei nostri paesi e
adornano le nostre case, possono diventare
per noi un utile spunto di meditazione e un
ottimo complemento biblico-teologico al
presepe. Il punto di contatto tra presepisti e
alberisti si può forse ritrovare in un’antica
leggenda che ci tramanda un’immagine
suggestiva: l’ultima visitatrice alla grotta di
Betlemme, mentre già la luce della stella si
attenua, è una vecchietta tutta piena di
rughe, Eva, che con mano tremante offre a
Gesù Bambino la mela del primo peccato,
ora trasformata in un globo lucente,
simbolo del mondo rinnovato.
Un Natale
insieme alla
Stella Maris
Primo Piano DELLA SETTIMANA
di Michael Cantarella
aro amico ti scrivo”,
oppure, “Last
Christmas” o “A
Natale puoi”: in
questo periodo ascoltiamo più
o meno sempre le stesse
canzoni. Ma quest’anno noi de
“La Domenica” abbiamo deciso
di far «ascoltare» una canzone
diversa. Una canzone dedicata a
chi lavora con gli ultimi, con gli
scartati. Questa copertina di fine
“C
anno è dedicata alla Fondazione
Stella Maris. È vero, non è un
personaggio (e noi non siamo il
“Time”) ma la Stella del Mare di
Calambrone è per questa
diocesi una grande famgilia, un
solo cuore. Tutti ne conosciamo
le attività, ci immaginiamo le
storie. Oggi abbiamo deciso di
osservarle un po’ più da vicino e
di dedicare spazio a tutti coloro
che lavorano per curare e
rendere migliore la vita di
bambini che hanno dovuto
soffrire fin da tenera età.
Una “canzone natalizia” che
arriva al termine di un anno
molto faticoso, che ci intorudce
in un altro altrettanto difficile,
inutile farci illusioni. Eppure
non possiamo dimenticarci che
qualcosa funziona, che esistono
storie incoraggianti che ci
spronano a fare meglio.
Volgendo lo sguardo alle attività
della Fondazione Stella Maris e
dedicandole questa prima
pagina, guardiamo a chi fa della
speranza e della passione per la
cura e il miglioramento della
vita degli altri la suaragione di
vita. Alcuni la chiamerebbero,
semplicemente, fede.
SERVIZIO A PAGINA 2 E 3
Quando ci lascia chi ci ama «a prescindere»
DI
RENATO COLOMBAI
ermettetemi per una volta di
Pvicenda
dedicare alcune righe ad una
personale. Nei giorni
scorsi è deceduta mia madre.
Giuliana Cetti, così si chiama.
Non ha titolo per essere
ricordata più di altri. Ma
Giuliana è la mia mamma e mi
prenderebbe un senso di
incompletezza se non
partecipassi il mio dolore.
La sua fine è stata fulminea.
Non c’è stato tempo per gli
addii. Il coma si è frapposto tra
l’affetto e l’ostinazione di
strapparla alla morte. In quei
minuti ho vissuto la lacerazione
tra il figlio ed il medico.
Avrei voluto dirle tante cose, ma
non è stato possibile. Eppure
ero lì con il cuore e l’angoscia
per ciò che stava accadendo. Mi
è subito passata davanti la
tristezza dei giorni a venire, la
vuota presenza delle ore senza
di lei. Ma poi mi sono riavuto,
riavvolgendo le sequenze delle
nostre esistenze e guardando
prospettive.
Sarà che sono ormai maturo,
ma tutto ciò lo avverto con
particolare intensità. Poi mi
chiedo, forse scioccamente, cosa
avrà pensato mia mamma in
quegli istanti in cui precipitava
nel coma. Perchè penso che una
mamma non si stanchi mai di
vedere crescere i propri figli e i
figli dei propri figli,anche
sapendo che la loro famiglia è
ormai un’altra. Per chi si trova
nella posizione del figlio, non è
mai tempo di perdere la propria
mamma. Perchè comunque tu
sia cresciuto e tu sia
indipendente, lei è ciò che ti
rasserena, che - come ha
chiosato un amico nel suo sms«è l’unica persona che ti vuol
bene a prescindere».
E il suo ventre ti contorna prima
e dopo, con quel liquido
«primordiale» che ti scalda. E’
venuto il giorno più duro, in cui
il distacco è indilazionabile, il
giorno in cui la terra l’ha
sottratta alla tua vista. Allora
viene da pensare che sia altrove,
in quel luogo, in quella
condizione di cui mai ha
dubitato. La sua è stata la fede
dei «piccoli». Non che non si
facesse domande. Ma era la
“sapientia cordis” ad aiutarla
nelle risposte. Pregava con la
preghiera dei semplici, il
rosario. In questi ultimi anni
l’ha aiutata la televisione: la
messa al mattino, il rosario da
Lourdes, le udienze del Papa.
Certamente aveva i suoi difetti.
Ma ciò che più mi ha consolato
in questi giorni non sono stati
solo gli amici, non solo i
colleghi, ma anche l’abbraccio
di chi con lei e con noi ha
condiviso questi anni. Al
funerale nessun fiore. Anzi non
mi ricordo di avergliene mai
regalato uno. Avrei voluto
scriverle versi di altri: «Al tuo
fianco si apre l’affetto come un
fiore/…dinanzi a te le rose
tacciono».
Tutta la redazione de «La
domenica» esprime le più sentite
condoglianze a Renato, prezioso
collaboratore e amico.