Introduzione
Alcuni cenni sull’origine
del castigliano e sulla letteratura medievale
Come afferma López Estrada (1962), l’opera letteraria, per via
della sua stessa essenza espressiva, è sempre un fatto linguistico, una comunicazione che si stabilisce tra l’autore o interprete
e il lettore o pubblico. Ogni opera letteraria costituisce, pertanto, uno dei numerosi modi di comunicazione in cui confluiscono i procedimenti scelti dall’autore all’interno dell’insieme della
lingua, applicati in modo così intenso da diventare creatori,
cioè “poetici”, indipendentemente dal fatto che si utilizzi la
prosa o il verso. Certamente, la poesia offre il più alto grado di
potere comunicativo del linguaggio, ma tutti gli autori medievali hanno usato le risorse della lingua al fine di esprimere ciò che
doveva impressionare il lettore o uditore. L’opera letteraria fa
parte del campo del linguaggio, dei diversi aspetti della sua tecnica di studio, ossia linguaggio e creazione letteraria non devono essere considerati fenomeni diversi. Per questo, all’inizio di
qualsiasi libro relativo alla letteratura medievale, è necessario
accennare alle questioni linguistiche.
Il castigliano cosiddetto medievale si estende dalle prime
manifestazioni scritte fino alla metà del secolo XVI, ossia supera
i limiti imposti per la letteratura medievale di quasi mezzo secolo penetrando nel Rinascimento o inizi del “Secolo d’oro”.
Dopo la grande attività letteraria del regno di Alfonso X (secolo
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XIII) viene stabilito un sistema grafico che, con leggere modifiche, si protrae durante il periodo di crisi avvertito da questa
lingua nel periodo rinascimentale finché la Real Academia
Española non fissa le basi dell’attuale ortografia.
Le origini del castigliano manifestano un certo ritardo rispetto alle altre lingue romanze, dovuto principalmente alla sovrapposizione di genti di diversa origine nei periodi di pre- e
post-romanizzazione. Infatti, tra le popolazioni stanziate nella
Penisola Iberica prima della conquista romana non esisteva
un’unità linguistica: al centro, all’ovest e al nord le immigrazioni indoeuropee avevano dato luogo al diffondersi di lingue
pre-celtiche e celtiche; le popolazioni pirenaiche avevano una
lingua comune che sopravvive nell’attuale basco, e al sud esistevano stanziamenti fenici e tartesi che utilizzavano ognuno la
propria lingua. Tuttavia, questo sostrato linguistico anteriore al
latino ha avuto un’influenza alquanto limitata sullo spagnolo
moderno.
Al “basco-cantabro-iberico” sono associati fenomeni come:
a) la sostituzione della f iniziale latina con h (FILIUS latino dà
figlio in italiano e fils in francese, mentre in spagnolo diventa
hijo); b) l’assenza, in castigliano moderno, del suono labiodentale /v/ (che esisteva nello spagnolo antico, anche se non nel
nord); c) la riduzione vocalica a un sistema di cinque fonemi
(/a/, /e/, /i/, /o/, /u/) con tre gradi di apertura (massima, media e minima) contro le dieci vocali del latino classico e le sette
del latino volgare ispanico; d) la palatalizzazione /l/ dei gruppi
iniziali PL- (PLORARE > llorar), KL- (CLAMARE > llamar) e FL(FLAMMA > llama); e) l’inserimento di una vocale iniziale in parole che iniziano con il suono [rr] (REPENTIRE > arrepentir; RUGARE > arrugar); e, infine, f ) la derivazione di alcune parole
(es., izquierdo dal basco ezquerr).
Al greco si devono vari influssi lessicali, mentre gli elementi
germanici non derivano dall’invasione visigota perché anteriori
e comuni alle altre lingue (es., werra da cui deriva guerra).
Il latino volgare costituisce perciò la base dello spagnolo,
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INTRODUZIONE
lingua che più delle sue sorelle neolatine tende all’arcaismo perché sviluppatasi in una zona periferica dell’Impero Romano
dove difficilmente giungevano le innovazioni (per esempio, i
termini spagnoli mesa e comer derivano dalle forme latine mensa e comedere che sono più antiche dei lessemi tabula e manducare da cui discendono l’italiano tavola e il francese table, l’italiano mangiare e il francese manger).
Peculiare è invece l’apporto lessicale arabo, lingua dalla
quale sono passati allo spagnolo più di quattromila vocaboli,
molti dei quali sono facilmente riconoscibili dall’assimilazione
dell’articolo arabo al- (albañil, algodón, alcalde...).
Fino all’XI secolo, il linguaggio colto e ufficiale usa il latino
sebbene la parlata romanza – o, per meglio dire, le parlate romanze – siano già una realtà linguistica definita. Tra questi due
poli esiste un latino semi-dotto, volgarizzato e adattato alla fonetica romanza, che dà origine a una serie di lingue romanze
con destini alquanto diversi.
Nel nord-ovest della Penisola si parla il galiziano dal quale,
dopo il secolo XII, derivò il portoghese, dando origine alla cosiddetta tradizione galego-portoghese; vi sono poi: a) l’asturiano-leonese, che non oltrepassò mai il bacino superiore del Duero; b) il navarro-aragonese che, pur estendendosi fino all’Andalusia orientale, non sopravvisse al XV secolo e oggi si conserva
molto frammentato soltanto in alcune zone pre-pirenaiche; c) il
sempre più vitale catalano – lingua ibero-romanza con influenze
gallo-romaniche – che si estese dal Rossiglione verso sud ed est
attraverso la regione valenzana e le Baleari fino ad Alghero in
Sardegna; d) nelle zone conquistate dagli Arabi, una serie di
dialetti mozarabici di cui oggi non rimane traccia, ma che sono
conosciuti attraverso glossari arabo-romanzi. A questi bisogna,
infine, aggiungere il basco, lingua d’origine pre-romanza che
anticamente ebbe una notevole espansione tanto che agli inizi
del secolo XII arrivava fino al nord dell’attuale Rioja.
Il castigliano, idioma che in seguito s’impone su tutti, nasce
in condizioni di evidente inferiorità fisica e politica rispetto a
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quelli citati, ma presto l’espansione della Castiglia lo trasforma
in una specie di “lingua franca”: nelle zone riconquistate si sovrappone all’arabo e all’ebraico – lingue proprie delle due comunità che nel Medioevo ispanico avevano coltivato le lettere –
e, in seguito, dà origine alla letteratura aljamíada (scritta in romanzo ma con caratteri arabi o ebraici); fa scomparire dall’uso
scritto il leonese e l’aragonese; crea il dialetto andaluso e quello
extremeño e forma, insieme a qualche influenza orientale, il dialetto murciano. Infine, raggiunge le Canarie e l’America, dove
da “castigliano” diventa “spagnolo” senza, tuttavia, subire variazioni più consistenti di quelle di qualsiasi altra lingua con
così vasti confini.
Oggigiorno esistono quattro regioni bilingui: la Galizia
(dove si parla il galego o galiziano); la Catalogna e Valenza (catalano) e i Paesi Baschi (basco).
Le principali teorie sulla letteratura medievale spagnola
Sono numerosi i critici che hanno interpretato la cultura spagnola considerando la letteratura medievale come parte fondamentale per l’esposizione delle loro idee. Tra questi, in particolare Américo Castro e Sánchez-Albornoz, a metà del secolo XX,
hanno elaborato una visione di tale letteratura che è stata fonte
di polemiche non ancora sopite. Pur partendo entrambi dalla
considerazione che la storia deve essere messa in relazione con
la vita (vissuta), sono giunti a conclusioni assai diverse. Per A.
Castro (1948), la storia della Spagna moderna comincia nel 711
con l’invasione musulmana. Pertanto, secondo lui, ai tempi della Hispania romana e dell’epoca visigota gli abitanti della Penisola non potevano ancora essere considerati spagnoli: la loro
morada vital (dimora vitale) si sarebbe infatti formata soltanto
quando affrontarono gli Arabi e dalle conseguenze che ne derivarono. Castro insiste sulla singolarità della cultura spagnola vista come prodotto della plurisecolare convivenza di Cristiani,
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INTRODUZIONE
Musulmani ed Ebrei; nega perciò l’esistenza di costanti biologico-psichiche e quindi una continuità tra Visigoti e Cristiani del
nord anche sul terreno culturale. Infine, sottolinea l’importanza,
per un popolo, di vivere all’interno di una specifica realtà dinamica.
Sánchez-Albornoz (1956) ha fatto della sua polemica con A.
Castro il nucleo di due copiosi volumi. Anch’egli non crede all’esistenza di costanti biologico-psichiche, ma neppure in rapide
ristrutturazioni della situazione esistenziale di un popolo perché
considera che le tradizioni storiche abbiano avuto una vita particolarmente lunga tra gli Spagnoli e che i remoti caratteri dei
primi abitanti della Penisola siano ancora molto vivi. Sostiene
l’esistenza di un perenne e lento mutare degli elementi di un
complesso che, in quanto tale, ha una sua continuità. Secondo
lui, quindi, non esiste un archetipo etnico spagnolo né remoto
né medievale, bensì i diversi strati di ciò che è spagnolo sono
andati via via modificandosi nel corso dei tempi. Malgrado ciò,
considera la Reconquista punto chiave della storia della Spagna
e riconosce che la convivenza di Arabi, Ebrei e Cristiani nel
Medioevo iberico è stata un fattore decisivo.
D’altro genere sono gli studi di Ramón Menéndez Pidal
(1951a) sulla storia e sulla letteratura spagnola. L’autore ricerca
nel passato i caratteri ispanici da cui deriverebbe la complessa
e, a volte, contraddittoria storia spagnola e conclude che proprio nel loro perdurare attraverso i secoli sta una delle caratteristiche fondamentali della letteratura iberica (teoria neo-tradizionalista). Secondo lui, al contrario di ciò che avvenne in altre
letterature europee, in Spagna si passò dal Medioevo al Rinascimento senza che si verificasse una profonda cesura: in tal
modo, alcuni antichi generi letterari poterono rifiorire in epoche posteriori ed essere maggiormente apprezzati. In definitiva,
ritenendo che vi sia una trasmissione ininterrotta di atti espressivi dalle origini, egli è propenso a credere in una sostanziale
stabilità etnica che investe anche il piano culturale. Infatti, la
sua teoria dello “stato latente” propugna l’ipotesi che qualsiasi
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genere letterario che non sia una mera importazione straniera
sorge da un fondo nazionale coltivato profondamente prima di
essere ripreso da autori più colti: per lui esiste dunque una linea ininterrotta che unisce i Latini ai Visigoti e questi ai Regni
cristiani del nord.
Infine, altri due critici, Dámaso Alonso e Otis H. Green,
considerano caratteristiche fondamentali della storia e della letteratura spagnola il dualismo e la contraddizione. Dámaso
Alonso (1944) sostiene che peculiare alla Spagna è la sintesi di
elementi contrapposti e che l’eterno dualismo drammatico dell’animo spagnolo costituisce anche la legge di unità della sua
letteratura. Green (1963-66), nella sua revisione della letteratura
spagnola dal Cid a Calderón de la Barca, considera dominanti
le idee sui sentimenti cavallereschi e l’amore. Base dei principi
cavallereschi – guerra come virtù – sarebbe la tradizione medievale del sic et non, ovvero il “sì e il no” insieme, la contraddizione vissuta, lo sforzo per riunire i contrari; e l’amor cortese,
con la complessità che incarna – amore puro che coltiva il desiderio carnale –, presente nella letteratura spagnola dalle origini
al secolo XV, sarebbe penetrato anche nei “Secoli d’oro” insieme alla modalità dell’amore platonico.
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