V Forum sulla Formazione in Psicoterapia Libro degli Abstract

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SPC -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva S.r.l. APC -­‐ Associazione di Psicologia Cognitiva V Forum sulla Formazione in Psicoterapia Assisi, 18-­‐20 Ottobre 2013 Libro degli Abstract Indice Sessione Relazioni 1 -­‐ Riflessioni e innovazioni in psicoterapia ...................................................... 11 Sessione Relazioni 2 -­‐ Età evolutiva e adolescenza ......................................................................... 16 Sessione Relazioni 3 -­‐ Processi cognitivi e psicopatologia .............................................................. 21 Sessione Poster 1 Disturbi Alimentari e Obesità ......................................................................................................................... 29 Interventi psicologici a scuola ........................................................................................................................ 33 Pazienti organici/corpo .................................................................................................................................. 40 Processi cognitivi nei disturbi d'ansia ............................................................................................................. 46 Sessione Relazioni 4 -­‐ Nuove prospettive e nuovi topic ................................................................. 52 Sessione Relazioni 5 -­‐ Dipendenza e devianza ................................................................................ 57
Sessione Poster 2 Valutazione/assessment ................................................................................................................................ 62 Ruolo di genitori e caregivers ......................................................................................................................... 66 Psichiatria e psicofisiologia ............................................................................................................................ 73 Evolutiva -­‐infanzia e adolescenza-­‐ .................................................................................................................. 79 Sessione Relazioni 6 -­‐ Disturbi alimentari ....................................................................................... 84 Sessione Relazioni 7 -­‐ Emozioni ...................................................................................................... 87 Sessione Poster 3 Emozioni e processi cognitivi ........................................................................................................... 92 Interventi psicologici fuori dal contesto clinico ................................................................................ 98 Psicoterapia ................................................................................................................................... 103 Schema Therapy ............................................................................................................................ 107 Sessione Relazioni 8 -­‐ Attaccamento, psicopatologia e pratiche genitoriali ................................. 110 2 14.00 -­‐ 14.30 "Apertura lavori Forum" -­‐ Sandra Sassaroli e Francesco Mancini (Sala Teatro) 14.30 -­‐ 16.30 Sessione Relazioni 1 Riflessioni e innovazioni in psicoterapia (Sala Teatro) Chair: Roberta Trincas Discussant: Chiara Caruso 18 ottobre
16.30 -­‐ 17.00 17.00 -­‐ 19.00 due sessioni in parallelo Coffee Break Sessione Relazioni 2 Età evolutiva e adolescenza (Sala Teatro) Chair: Lorenza Isola Discussant: Michela Muggeo 19.00 -­‐ 20.00 09.00 -­‐ 10.45 Sessione Relazioni 3 Processi cognitivi e psicopatologia (Sala Musica) Chair: Simona Giuri Discussant: Rocco Luca Cimmino Sessione Poster 1 Disturbi Alimentari e Obesità (Sala Onda) Chair: Sofia Piccioni Interventi psicologici a scuola (Sala Cristalli) Chair: Teresa Cosentino Pazienti organici/corpo (Galleria Teatro) Chair: Barbara Barcaccia Processi cognitivi nei disturbi d'ansia (Sala Ping Pong) Chair: Francesca Martino "Innovations in Transdiagnostic CBT using Control Theory: Theory, Research & Practice" Lecture: Warren Mansell (Sala Teatro) 19 ottobre
10.45 -­‐ 11.00 Coffee Break 11.00 -­‐ 13.00 Sessione Relazioni 4 Nuove prospettive e nuovi topic (Sala Teatro) Chair: Andrea Bassanini Discussant: Stefania Fadda 13.00 -­‐ 14.00 Pausa pranzo 14.00 -­‐ 16.00 Sessione Relazioni 5 Dipendenza e devianza (Sala Teatro) Chair: Gabriele Caselli Discussant: Elena Bilotta 3
16.00 -­‐ 16.30 Coffee Break 16.30 -­‐ 17.30 Sessione Poster 2 19 ottobre
Valutazione/ assessment (Sala Onda) Chair: Tiziana Ciccioli Ruolo di genitori e caregivers (Sala Cristalli) Chair: Angelo Saliani Psichiatria e psicofisiologia (Sala Ping Pong) Chair: Sara Mori 17.30 -­‐ 19.00 Evolutiva -­‐
infanzia e adolescenza-­‐ (Galleria Teatro) Chair: Giuseppe Romano Sessione Relazioni 6 Disturbi Alimentari (Sala Teatro) Chair: Marco Saettoni Discussant: Elena Tugnoli 20.00 Cena Sociale 09.30 -­‐ 11.00 Sessione Relazioni 7 Emozioni (Sala Teatro) Chair: Andrea Gragnani Discussant: Sara Della Morte 11.00 -­‐ 12.00 20 ottobre
12.00 -­‐ 13.30 Emozioni e processi cognitivi (Galleria Teatro) Chair: Chiara Manfredi Sessione Poster 3 Interventi Psicoterapia psicologici (Sala Ping fuori dal Pong) contesto Chair: clinico Gian Paolo (Sala Cristalli) Mazzoni Chair: Luca Cieri Schema Therapy (Sala Onda) Chair: Katia Tenore Sessione Relazioni 8 Attaccamento, psicopatologia e pratiche genitoriali (Sala Teatro) Chair: Annalisa Pericoli Discussant: Francesca Solito 13.30 -­‐ 13.45 Chiusura dei lavori e premiazione 4 -­‐ Sessione Relazioni -­‐ 18 Ottobre 2013 -­‐ ore 14.30/16.30 Sessione Relazioni 1 -­‐ Riflessioni e innovazioni in psicoterapia (Sala Teatro) Chair: Roberta Trincas Discussant: Chiara Caruso Poiese et al. Morabito et al. Sapuppo et al. Muggeo et al. Aprile et al. Ruocco et al. APC ACT e morbo di Parkinson APC Realizzazione di una guida multimediale per i pazienti con disturbi d'ansia Gli interventi in psicoterapia: è possibile un linguaggio comune tra i vari APC orientamenti? SC The bridge between research and practice SC L'autocaratterizzazione degli allievi prima e dopo la formazione in psicoterapia SC L'errore del terapeuta in psicoterapia 18 Ottobre 2013 -­‐ ore 17.00/19.00 (in parallelo) Sessione Relazioni 2 -­‐ Età evolutiva e adolescenza (Sala Teatro) Chair: Lorenza Isola Discussant: Michela Muggeo Samele Pontillo Barbieri et al. Pizzoleo et al. Lippolis APC Intervento nei disturbi specifici dell'apprendimento APC Gli interventi psicologici nei disturbi psicotici ad esordio in età evolutiva Prevalenza e rischio di sviluppare un disturbo alimentare in una popolazione non SC clinica di adolescenti SC Indagine quantitativa/qualitativa sulle credenze perfezionistiche in età evolutiva APC Il percorso ad ostacoli di Caterina Sessione Relazioni 3 -­‐ Processi cognitivi e psicopatologia (Sala Musica) Chair: Simona Giuri Discussant: Rocco Luca Cimmino Migliore et al. Gaita et al. Martino et al. Sgambati et al. Accardo APC Relazione tra giudizio morale e pensiero controfattuale Frequenza controfattuale e disfunzionalità della rappresentazione controfattuale APC come variabili del pensiero controfattuale Il ruolo della ruminazione rabbiosa nel discontrollo del comportamento nel SC Disturbo Borderline di Personalità (DBP) Come la risposta cognitiva a situazioni di parziale successo influenza il tono SC dell'umore e la valutazione globale di sé: il Self-­‐Discrepancy Monitoring APC Deffered acceptance algorithm 5
19 Ottobre 2013 -­‐ ore 11.00/13.00 Sessione Relazioni 4 -­‐ Nuove prospettive e nuovi topic (Sala Teatro) Chair: Andrea Bassanini Discussant: Stefania Fadda Solito Amato et al. Balzarelli et al. Manfredi Semeraro et al. Varrucciu et al. APC APC SC SC L'arte della mindfulness nella perdita e nelle inquietudini di morte Il training metacognitivo La prevenzione dei Disturbi Alimentari via web. Il progetto ProYouth Love addiction Ti racconto perché dormiamo tutti insieme. Uno studio sul fenomeno del APC cosleeping Il confine fra i disturbi dello spettro intellettivo, dello spettro autistico e dello APC spettro schizofrenico 19 Ottobre 2013 -­‐ ore 14.00/16.00 Sessione Relazioni 5 -­‐ Dipendenza e devianza (Sala Teatro) Chair: Gabriele Caselli Discussant: Elena Bilotta Carrieri et al. Gagliardo et al. Donato et al. Di Lisio et al. Querci et al. APC La terapia cognitivo-­‐comportamentale per soggetti autori di reati Temperamento, carattere e disposizione alla noia nel disturbo da abuso di APC sostanze SC Pensiero desiderante e gioco d'azzardo patologico APC Internet related sex offenders L'effetto della ruminazione sul craving nel consumo problematico di alcool: un SC disegno sperimentale 19 Ottobre 2013 -­‐ ore 17.30/19.00 Sessione Relazioni 6 -­‐ Disturbi Alimentari (Sala Teatro) Chair: Marco Saettoni Discussant: Elena Tugnoli Facci et al. Lignola et al. Soliani Della Morte et al. Atteggiamenti e opinioni nei confronti dell'obesità e delle persone obese negli allievi in formazione APC e SPC della sede di Verona Psicopatologia del disturbo dell'alimentazione e immagine corporea negativa in APC un campione italiano di atleti d'alto livello SC Temperamenti e caratteri nei disturbi dell'alimentazione Impatto sull'autostima delle difficoltà di immagine corporea nei disturbi SC alimentari in età adulta e in età evolutiva: uno studio condotto con il SAWBS APC 6 20 Ottobre 2013 -­‐ ore 09.30/11.00 Sessione Relazioni 7 -­‐ Emozioni (Sala Teatro) Chair: Andrea Gragnani Discussant: Sara Della Morte Iazzetta et al. Ferrante et al. Fontana et al. Fileni et al. Rimoldi Mottarella APC Psicologia e psicopatologia della noia APC Dalla paura al coraggio SC Regolazione emotiva e alessitimia in un gruppo di pazienti con DA Autostima e competenza emotiva: un contributo allo sviluppo di una sana SC personalità attraverso un progetto di intervento in un campione di preadolescenti SC L'efficacia della DBT nella disregolazione emotiva… SC Credenze sul pianto tra competenza emotiva e stereotipi di genere 20 Ottobre 2013 -­‐ ore 12.00/13.30 Sessione Relazioni 8 -­‐ Attaccamento, psicopatologia e pratiche genitoriali (Sala Teatro) Chair: Annalisa Pericoli Discussant: Francesca Solito Riso APC Psicopatologia e genitorialità Corà et al. APC Attaccamento e tratti di personalità in un'ottica intergenerazionale Notarangelo et al. SC Umorismo genitoriale. Più sorrisi e meno bronci Relazione tra aspettative genitoriali rispetto alla costruzione del sé del figlio Siciliano et al. SC adolescente e sviluppo della sintomatologia ansiosa Di Lizia et al. SC Funzioni Metacognitive e Credenze Metacognitive CASI: Child and Adolescent Scale of Irrationality. Traduzione e adattamento Battilana et al. APC italiano di una scala per lo studio del funzionamento socio-­‐emotivo e comportamentale dell’età evolutiva e sottostanti processi cognitivi 7
-­‐ Poster -­‐ Sessione Poster 1 18 Ottobre 2013 -­‐ ore 19.00/20.00 Disturbi Alimentari e Obesità (Sala Onda) Chair: Sofia Piccioni Di Carlo et al. Mercantelli et al. Renzoni et al. Guerini et al. SC L'intervento sulla capacità emotiva delle pz con DA Insoddisfazione per l'immagine corporea e fitness in un campione di soggetti SC di sesso maschile SC Uno studio sperimentale sui tratti psicopatologici del pz obeso APC Organizzazione di significato personale "Disturbi Alimentari Psicogeni" Chair: Teresa Cosentino Abbate et al. Luzi et al. Tesei et al. Domenichini et al. Lombardi et al. Fabris et al. SC L'intervento REBT nella scuola primaria Efficacia di un intervento multimodale sulle problematiche comportamentali SC nel gruppo classe Studio preliminare sulla motivazione all'apprendimento e strategie di SC intervento APC Progetto di educazione affettivo-­‐sessuale nella scuola secondaria di I grado Un intervento preventivo sui comportamenti aggressivi applicato su classi di APC scuola primaria APC Lo psicologo nel contesto scolastico Chair: Barbara Barcaccia Cavallo et al. Ricci et al. Latrofa et al. Terlizzi et al. Goffredo et al. Cicchielli et al. Interventi psicologici a scuola (Sala Cristalli) SC SC APC APC APC APC Pazienti organici/corpo (Galleria Teatro) Il ruolo del corpo nella rappresentazione all'azione. Uno studio comportamentale su soggetti paraplegici e tetraplegici La sindrome fibromialgica: il ruolo del rimuginio e della ruminazione rabbiosa Tetania latente Lo psicologo in corsia Attaccamento e dolore in un campione di bambini con cefalea L'intervento psicologico nel pronto soccorso pediatrico Processi cognitivi nei disturbi d'ansia (Sala Ping Pong) Chair: Francesca Martino Frau et al. SC Postal et al. SC Colazilli et al. SC Rigliaco Simeone et al. Catarinella et al. APC APC APC Stili di attaccamento, sintomi dissociativi e credenze psicopatologiche relative all'ansia: uno studio correlazionale L'acquafobia e le cognizioni di mantenimento Forme dell'ansia e predittori di personalità negli artisti: uno studio sui musicisti Connotazione negativa dell'incertezza e soglia di decisione L'anxiety sensitivity in età evolutiva Propensione e sensibilità al disgusto nel DOC 8 Sessione Poster 2 19 Ottobre 2013 -­‐ ore 16.30/17.30 Valutazione/assessment (Sala Onda) Chair: Tiziana Ciccioli Paparusso et al. Pace et al. Biella et al. Moscatelli Fazzello et al. SC Validazione della Scala di Valutazione del Benessere (SVB) SC Il senso di vuoto. Validazione di un test diagnostico Studio di affidabilità e validazione della traduzione italiana della Beck Insight SC Scale (BIS) Organizzazione di significato personale: una validazione empirica nella APC popolazione generale APC Ipotesi di procedura di assessment cognitivo per l'età evolutiva Ruolo di genitori e caregivers (Sala Cristalli) Chair: Angelo Saliani Patricelli et al. SC Ricci et al. SC Castellucci et al. Strauss et al. Papagna et al. SC APC APC Carrieri et al. APC Chair: Sara Mori Poli et al. Bellodi et al. Buonocore et al. Cazzolli et al. Improta L'incidenza di ansia e depressione e dei processi cognitivi associati nei genitori di bambini e adulti con autismo La presenza dei familiari: fattore protettivo per il disagio psicologico degli immigrati stranieri? Burnout e capacità di gestire le emozioni Parent inclusion in early intensive behavior interventions Accompagnare per l'ultimo viaggio Il parent training nella formazione dei genitori con bambini che presentano difficoltà comportamentali Psichiatria e psicofisiologia (Sala Ping Pong) SC La relazione tra alessitimia e dissociazione nelle crisi psicogene non epilettiche Il suicidio tramite auto-­‐immolazione: l'esperienza dell'ospedale Bufalini di SC Cesena APC Il training assertivo in ambito psichiatrico Relazione tra l'asimmetria frontale delle onde alfa e i valori al BDI-­‐II e STAI-­‐Y in APC un gruppo di soggetti adulti APC L'ACT nel trattamento dell'epilessia Evolutiva (infanzia e adolescenza) (Galleria Teatro) Chair: Giuseppe Romano Varrucciu et al. Ansaldo et al. Aloisi et al. Lenzi et al. Vallini et al. Puntscher et al. APC Funzioni cognitive specifiche e QI nei disturbi dello sviluppo intellettivo APC La nascita pretermine APC La CBT applicata ai disturbi di tipo internalizzante in età evolutiva Durante l’osservazione e l’imitazione di volti di bambini (proprio e altrui) le APC madri a rischio di depressione post-­‐partum mostrano attivazioni neurali differenti rispetto alle madri non a rischio SC Adolescenza e qualità della vita SC Mindfulness -­‐ efficace per bambini con ADHD? 9
Sessione Poster 3 20 Ottobre 2013 -­‐ ore 11.00/12.00 Chair: Chiara Manfredi Bilotta et al. Salvatori et al. Offredi APC Alessitimia, strategie di coping e abuso di alcol APC La vergogna in psicopatologia: una rassegna SC Efetti della ruminazione rabbiosa in risposta a differenti tipi di rabbia Il ruolo di personalità e stili genitoriali nel predire il desire thinking e l'anger SC rumination SC La ruminazione ideativa nei disturbi dell'umore e nel DOC APC Intentional forgetting SC Il ruolo delle meta-­‐emozioni: un'indagine esplorativa Chiung Ching Wang Tessieri et al. Gorgoni et al. Bedini et al. Chair: Luca Cieri Emozioni e processi cognitivi (Galleria Teatro) Interventi psicologici fuori dal contesto clinico (Sala Cristalli) Ierace et al. Fiorini et al. Collavini et al. Acerra et al. Ferrari Lavorini et al. APC Che cos'è la psicoterapia? Analisi territoriale su una popolazione non clinica Applicazione di del protocollo MAC per il miglioramento delle performance di SC un gruppo di pallavoliste adolescenti Dall'assertività virtuale all'assertività personale. Proposta di un Training di APC Assertività per adolescenti dai 14 ai 18 anni. "Da Facebook a Face to face" SC Training al pensiero concreto in realtà virtuale SC Craving, pensiero desiderante e bias attentivi nella dipendenza da nicotina Applicazione del protocollo MAC per il miglioramento delle prestazioni in SC contesto aziendale Chair: Gian Paolo Mazzoni Calonaci Maietta et al. Battilana et al. Amato et al. Malorgio Psicoterapia (Sala Ping Pong) APC Il ripostiglio nella mente. Omosessualità e psicoterapia APC Relazione terapeutica e sviluppo metacognitivo APC La percezione i autoefficacia negli psicoterapeuti in formazione La gestione di stati emotivi spiacevoli: Mindfulness e Detached Mindfulness a SC confronto L'efficacia dell'intervento CBT nelle dimensioni di depressione, ansia e SC rimuginio in un gruppo di pz con diagnosi di disturbo depressivo Schema Therapy (Sala Onda) Chair: Katia Tenore Bazzani et al. Aucello APC Schema Therapy e alleanza terapeutica SC Schemi cognitivi prevalenti in un campione di popolazione militare 10 Venerdì 18 ottobre 14.30-­‐16.30 Sala Teatro Riflessioni e innovazioni in psicoterapia Chairman: Roberta Trincas Discussant: Chiara Caruso 11
Presentazione 1. ACT e morbo di Parkinson: una proposta di intervento terapeutico di gruppo per l’acettazione della malattia Poiese Paola*, Federica Bianco* e Barbara Barcaccia** * Psicologa, Psicoterapeuta, sede di Verona SPC; Psicologa, Psicoterapeuta, sede di Roma SPC ** Introduzione L’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) è una terapia che utilizza interventi basati sull’accettazione e sulla mindfulness, intesa come capacità di prestare attenzione con flessibilità, apertura e curiosità, associati a strategie di impegno e di cambiamento comportamentale con lo scopo di aiutare le persone a costruire vite ricche, piene e significative (Harris, 2011). Il crescente interesse scientifico per questo approccio e le sue caratteristiche di elevata trasversalità lo rendono, a nostro avviso, uno strumento particolarmente interessante anche per patologie neurodegenerative, come il Morbo di Parkinson. Una simile condizione pone inevitabilmente la persona di fronte a radicali ed importanti modifiche della propria vita e della qualità della stessa. Obiettivi del presente lavoro: 1. verificare anche in questa popolazione la caratteristica di elevata trasversalità di questo approccio (ad oggi infatti non esistono dati in letteratura di applicazione di protocolli ACT con questo tipo di pazienti) 2. verificare l’efficacia dell’intervento proposto con particolare attenzione alla riduzione della sintomatologia depressiva (misurata con il BDI-­‐II pre e post intervento) e all’aumento di indici legati alla consapevolezza (misurati attraverso l’AAQ-­‐II). Metodo Il protocollo di intervento per la terapia di gruppo è stato realizzato a partire da due lavori che proponevano interventi basati sull’ACT in contesti di gruppo; in un caso per pazienti con dolore cronico (Vowles e Sorrell: Life with Cronic Pain: An Acceptance-­‐based Approch, 2009) e nell’altro per pazienti con depressione (Zettle e Hayes,1987; Zettle e Rianes, 1989). Il materiale da dare ai pazienti e alcune modalità di presentazione e discussione dei 6 processi dell’Hesaflex sono state adattate alla luce delle peculiari caratteristiche dei pazienti con Morbo di Parkinson. Come misure pre o post intervento sono state scelte due scale: 1. BDI-­‐II per la valutazione dello stato depressivo del paziente 2. AAQ-­‐II per la valutazione del livello di accettazione del paziente Criteri per la selezione dei partecipanti sono stati due: 1. assenza di patologie psichiatriche precedenti 2. quadro cognitivo entro i limiti della norma (valutato attraverso una batteria testistica standardizzata) Risultati Nonostante la ridotta numerosità del campione (9 pazienti; età media 69 anni), la valutazione qualitativa dei dati può fornire alcune importanti indicazioni: 1. l’intervento ACT si conferma caratterizzato da un’elevata versatilità e si contraddistingue come tipologia di intervento adattabile a disturbi diversi 2. emerge un andamento decrescente confrontando i punteggi al BDI prima e dopo il trattamento; 3. emerge un andamento crescente nei punteggi all’AAQ-­‐II, indicativo di una tendenza ad una maggiore accettazione della malattia 4. seppur non rilevabile in maniera sistematica, tutti i pazienti che hanno partecipato a tale attività hanno valutato come positivo e utile tale intervento (e più efficace rispetto agli interventi di supporto psicologico a cui avevano partecipato in precedenza) Conclusioni A nostro avviso, il presente lavoro si configura come importante spunto di riflessione confermando ancora una volta la versatilità di tale approccio e la sua applicabilità anche con pazienti con Morbo di Parkinson. Inoltre una valutazione qualitativa dei dati (è necessario infatti aumentare la numerosità del campione per poter effettuare un’analisi statistica significativa) evidenzia un trend di efficacia del trattamento sia in termini di maggior accettazione della malattia (con un aumento del punteggio nella fase post-­‐trattamento nel AAQ-­‐II) che di riduzione della sintomatologia depressiva (con una diminuzione del punteggio al BDI-­‐II). Presentazione 2. Realizzazione di una guida multimediale per i pazienti con disturbi d'ansia Morabito M., Circosta M., Contarino R., Di Mauro A., Fazzello A., Ferrari L., Genovese T., Ierace B., La Serra M., Manglaviti M., Messina S.,Rapisarda R., Stella E., Zema A., Mangiola G., Giordano A. Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) – Reggio Calabria – III anno 12 Introduzione I nostri stati emotivi sono influenzati da ciò che pensiamo e da come pensiamo (Back, 1984). Le esperienze di vita concorrono a formare in ognuno di noi delle convinzioni (cognizioni) e delle credenze che condizionano il nostro modo di “percepire” e “interpretare” gli eventi e, di conseguenza, le nostre azioni e il nostro comportamento. La terapia cognitiva, partendo dal presupposto che i disturbi d’ansia derivino da modalità disfunzionali persistenti di percepire gli eventi, ha come obiettivo quello di rendere il paziente consapevole di queste modalità e di far sviluppare pensieri alternativi funzionali che consentano di elaborare la realtà in maniera più razionale. Al paziente è richiesta una collaborazione attiva nel concordare con il terapeuta gli obiettivi intermedi e finali del trattamento e nello svolgimento dei compiti a casa che gli verranno assegnati durante le sedute. Metodo Dopo un’analisi dei manuali sui disturbi d’ansia (Andrews, 2003;Galassi, 2009) che rappresentano una guida per il paziente nello svolgimento dei compiti a casa, si è proceduto a rielaborare in formato multimediale alcuni degli esercizi già esistenti, come quelli sulla respirazione e il rilassamento, integrandoli con supporti audio-­‐visivi e introducendo una sezione di psicoeducazione sui pensieri e sulle emozioni esemplificandola con una parte di esercizi volti a favorire il riconoscimento di pensieri ed emozioni nonché degli errori di ragionamento più frequenti. Tesi Vista la notevole diffusione e l’utilizzo dei mezzi informatici e degli strumenti multimediali, la loro capacità di coinvolgere l’utente e di comunicare mediante un linguaggio immediato e diretto, con il presente lavoro si intende fornire una guida multimediale facilmente fruibile, che sia di supporto al paziente durante la terapia cognitiva dei disturbi d’ansia, in particolare per lo svolgimento degli homework che il terapeuta assegna al paziente e che sono parte integrante della terapia stessa. Conclusioni In una fase successiva alla diffusione del CD multimediale si procederà a verificarne l’efficacia percepita sia da parte del paziente che lo utilizza che del terapeuta che se ne avvale come strumento di supporto alla terapia. Bibliografia Andrews G., (2003), Trattamento dei disturbi d'ansia. Guide per il clinico e manuali per chi soffre del disturbo, Centro Scientifico Editore. Beck A. T., (1984), Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi, Astrolabio Ubaldini. Galassi F., (2009), La Terapia Integrata dei Disturbi d’Ansia, Franco Angeli. Wells A., (2003), Trattamento cognitivo dei disturbi d'ansia, McGraw-­‐Hill Companies Presentazione 3. Gli interventi in psicoterapia: è possibile un linguaggio comune tra i vari orientamenti Walter Sapuppo*, Maria Marino*, Ezia Anatriello*, Lucia Cajazzo*, Serena Caravella*, Stefania Castaldo*, Carmela Cesareo*, Lucia Cesaro*, Marilena D’Ambra*, Massimiliano Delle Curti*, Roberto Esposito*, Roberta Falivene*, Assunta Giuliano*, Arianna Iorio*, Maria Lettieri*, Carmen Piro*, Katia Russo*, Anna Sicolo*, Anna Maria Silvestri*, Anna Tramontano*, Rosario Esposito** *IV anno SPC – sede di Napoli; **Responsabile Project IV anno, SPC – sede di Napoli Introduzione La terapia cognitiva (TC) si fonda sul presupposto teorico e clinico che vi sia una stretta connessione tra pensieri, emozioni e comportamenti. Ne deriva che i nostri stati mentali e le nostre azioni sono fortemente collegati al modo in cui interpretiamo la realtà circostante e che, quindi, le condizioni di sofferenza psicologica vengono influenzate dal modo in cui definiamo e reagiamo alle esperienze ed al contesto circostante. Su queste premesse vengono elaborati i modelli di intervento della TC. Tali modelli hanno, tra i punti di forza, quello di fornire una descrizione precisa delle strategie terapeutiche. Questo, in molti, casi ha permesso di elaborare protocolli di intervento specifici per il trattamento di singole psicopatologie e di dimostrare, anche attraverso una mole ormai notevole di studi, l’efficacia della TC. I primi interventi in terapia cognitiva erano finalizzati al cambiamento delle variabili psicologiche sottostanti i disturbi emotivi e comportamentali. Negli ultimi anni si è sviluppato un crescente interesse per l’approfondimento di ricerche e di interventi clinici orientati all’accettazione, centrati principalmente sull’alterazione del ruolo delle emozioni, degli stati mentali, dei ricordi e delle sensazioni più che sul loro contenuto e sulla loro frequenza. Il notevole ampliamento delle prospettive teoriche e di intervento ha reso maggiormente complessa la possibilità di integrare gli interventi e le strategie terapeutiche in sistemi di classificazione. Inoltre, alcuni studi condotti su terapeuti di differenti orientamenti teorici, dimostrano che l’integrazione di tecniche sembra essere, piuttosto che un’eccezione, una prassi frequente. Metodo È in corso un lavoro di review nel quale vengono considerati articoli pubblicati negli ultimi trent’anni, selezionati 13
sui seguenti motori di ricerca: Psycinfo, Academic Search Premier, Psycoraticles, PubMed Tesi La possibilità di riferirsi a protocolli di intervento, basati su sistemi teorici e su studi di efficacia, rappresenta uno dei punti di forza, di affidabilità e di accuratezza, teorica e clinica, della psicoterapia cognitiva. L’elaborazione e l’approfondimento di nuove procedure di intervento e di nuovi aspetti relativi alla teoria della clinica, ha arricchito il patrimonio teorico e metodologico del lavoro in psicoterapia, rendendo maggiormente complessi i modelli di trattamento ed ampliando la possibilità di scelta tra le procedure e le strategie di intervento. Questo lavoro si propone di individuare i sistemi di classificazione degli interventi e delle strategie presenti in letteratura nella terapia cognitiva, al fine di orientare nella scelta della più efficace strategia terapeutica e di fornire una guida ai vari sistemi di classificazione. Conclusioni Ad oggi, tra i tentativi di classificazione di maggior rilievo abbiamo selezionato il lavoro della task force Common Language Psychoterapy, il cui scopo è quello di arrivare a fornire una classificazione empirica delle procedure disponibili in psicoterapia, in un linguaggio scientifico condiviso; elementi, questi, centrali nel nostro lavoro. Procederemo, infatti, nella revisione critica delle classificazioni di procedure disponibili in letteratura concentrandoci su alcuni punti critici, quali: l’esigenza di sistematizzare gli interventi disponibili in psicoterapia cognitiva; l’importanza di considerare i criteri attraverso i quali le sistematizzazioni sono state elaborate; l’individuazione degli interventi e delle procedure selezionati e la loro codifica all’interno di un linguaggio condiviso e comprensibile dal mondo scientifico. Presentazione 4. The bridge between research and practice Michela Muggeo, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano. Chiara Caruso, Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto Francesca Martino, Studi Cognitivi, Modena. Elena Mannelli, Scuola Cognitiva, Firenze. Referente italiano: Gabriele Caselli, Studi Cognitivi, Modena. Referente rumeno: Alina Zlati, Open Minds-­‐Center for Mental Health Research, Cluj-­‐
Napoca. Introduzione Le questioni riguardo lo scarto tra ricerca scientifica e pratica clinica sono innumerevoli e di lunga data. Gli studi sugli interventi nella sanità pubblica, così come le campagne di prevenzione indicano che quelle innovazioni considerate efficaci negli studi di ricerca non sono necessariamente quelle più comunemente usate nella pratica. Questi dati suggeriscono l’importanza di trovare nuovi modi per diminuire lo scarto tra scienza e pratica. Questo progetto è stato messo a punto attraverso una collaborazione tra “Studi Cognitivi” e “Open Minds” con lo scopo produrre una ricerca rilevante dal punto di vista pratico, come lo sviluppo di campagne di prevenzione o mirati programmi di intervento clinici. Scopo Lo scopo del progetto è quello di sviluppare un proposal di ricerca clinicamente rilevante, tenendo presente che attualmente viene richiesta sempre più evidenza scientifica per ottenere fondi. Metodi Con lo scopo di stabilire una collaborazione internazionale a lungo termine, il progetto verrà steso attraverso il lavoro congiunto di studenti selezionati tra “Studi Cognitivi” e “Open Minds”. Durante la prima fase gli studenti di Open Minds hanno trascorso un periodo in Italia con lo scopo di imparare i fondamenti della psicoterapia cognitiva e cercare di integrarli in un lavoro di ricerca; nella seconda fase, gli studenti di Studi Cognitivi hanno passato un mese nella sede di Open Minds per apprendere come progettare scientificamente un disegno di ricerca e chiedere fondi per realizzarlo. Risultati Il risultato è la stesura di un progetto volto a indagare i fattori che favoriscono o ostacolano l’accesso ai servizi di salute mentale, attraverso una metodologia nuova in questo ambito. Conclusioni Il progetto è attualmente in fase di stesura e verrà sottomesso alla richiesta di grant. Presentazione 5. L’autocaratterizzazione degli allievi prima e dopo la formazione in psicoterapia Aprile, C., Del Ponte, H., Di Bari, S., Formiconi, C., Galassi, F.R., Ialenti, V., Lambertucci, L. Studi Cognitivi, sede di San Benedetto del Tronto Introduzione La ricerca consiste in uno studio longitudinale che confronta le autocaratterizzazioni di 20 allievi di una scuola di specializzazione in psicoterapia, all’inizio e al termine del percorso formativo, con quelle di un gruppo di 14 controllo che non svolge nel medesimo arco temporale alcuna formazione. L’autocaratterizzazione, strumento d’indagine della personalità, ci permette una comprensione clinica del soggetto e della prospettiva con cui costruisce la propria realtà con modalità di cambiamento in continuo divenire Obiettivo L’obiettivo è individuare dimensioni e aree problematiche dei due gruppi e verificare se la formazione ha comportato negli studenti della scuola di specializzazione un processo evolutivo di assimilazione e accomodamento. Si tratta di verificare quali cambiamenti intervengono nel sistema cognitivo durante i quattro anni di formazione. L’ipotesi è che nel gruppo dei trainee i cambiamenti saranno più significativi che nel gruppo di controllo. Metodo Ai documenti è stata applicata l’analisi del contenuto definita da B. Berelson come capace di descrivere in modo obiettivo, sistematico e quantitativo il contenuto manifesto della comunicazione. Ogni autocaratterizzazione è stata analizzata da un gruppo di analisti, che ha compiuto un training di addestramento sulla griglia di codifica per l’analisi delle autocaratterizzazioni, con meccanismi di controllo delle decodifiche soggettive. Le unità d’analisi, alcune delle quali vengono valutate in termini positivi o negativi, sono classificate per presenza e rilevanza su una scala che va da molto rilevante (5 punti) a molto irrilevante (1 punto). Risultati I risultati della prima somministrazione (avvenuta nel 2012) saranno presentati e discussi. La seconda somministrazione è prevista nel 2015. Presentazione 6. L’errore del terapeuta in psicoterapia F. Ruocco, A. Montali, F. Fiore Studi Cognitivi -­‐ Milano Introduzione Nel linguaggio clinico l’errore viene attribuito spesso al paziente. Per quanto riguarda, invece, l’approccio CBT, è importante stabilire che l’obiettivo terapeutico si gioca nella relazione terapeutica. Tre grossi elementi sono coinvolti nell’errore terapeutico: emozioni, cognizioni e comportamenti. Nel nostro elaborato, ne abbiamo estrapolato quattro tipologie: 1. competenza tecnico-­‐terapeutica; 2. conduzione del colloquio; 3. formulazione del contrato terapeutico; 4. competenza interpersonale. Abbiamo inoltre preso in considerazione la presa di consapevolezza dell’errore e la determinazione della causa. Obiettivo L’obiettivo è sondare la percezione dell’errore in un ambiente di professionisti per cercare, le spiegazioni, che i terapeuti si danno sul drop-­‐out dei pazienti, confrontandoli con un precedente lavoro su terapeuti formati. Inoltre abbiamo comparato i dati con una precedente ricerca: ‘Analisi delle Aspettative di Errore in Gruppi di Allievi in Corso di Formazione in Terapia’. Ciò che ci si chiede è se fosse possibile rintracciare delle categorie formali nelle aspettative di errore da parte dei professionisti Metodo Il questionario utilizzato è un riadattamento. Sono state prese in considerazione le seguenti categorie di errore: il tipo di errori ricorrenti, l’attribuzione causale e la consapevolezza. Abbiamo raccolto 30 questionari compilati in forma anonima. Si sono, così, confrontati i differenti approcci terapeutici rispetto alla tipologia di errore, all’attribuzione e alla modalità di acquisizione della consapevolezza rispetto all’errore, sui gruppi maggiormente rappresentati: sistemico, cognitivocomportamentale e costruttivista. Risultati La risposta più rappresentata per le ‘categorie di errore’ è relativa alla competenza tecnico-­‐terapeutica, con un 38%. L’attribuzione di errore maggiormente rappresentata è relativa alle abilità professionali, mentre la consapevolezza dell’errore deriva per il 26% dalle reazioni del paziente e segnali di questi al terapeuta e dalla riflessione esplicita del terapeuta stesso. Conclusione Possiamo, alla fine, confermare che sia i terapeuti esperti che terapeuti non esperti hanno la percezione dei propri errori. Per diversi indirizzi di specializzazione in psicoterapia si hanno diverse tendenze alla percezione ed all’attribuzione dell’errore. Infatti, sia ad una attribuzione dell’errore, sia all’attribuzione della causa che per la presa di coscienza emerge la tendenza interna per terapeuti cognitivi-­‐comportamentali e costruttivisti ed invece uno stile esterno per terapeuti sistemici. 15
Sessione Relazioni -­‐2 Venerdì 18 ottobre 17.00-­‐19.00 Sala Teatro Età evolutiva e adolescenza Chairman: Lorenza Isola Discussant: Michela Muggeo 16 Presentazione 1 Intervento nei disturbi specifici dell’apprendimento: studio d’efficacia di training preventivi tramite potenziamento delle abilità cognitive e socio-­‐emotive Francesca Samele -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC -­‐ sede di Grosseto Introduzione La più recente letteratura internazionale sui disturbi di apprendimento evidenzia la necessità di individuare precocemente, già nella scuola dell’infanzia, bambini a rischio di successive difficoltà scolastiche e di programmare progetti che mirino alla prevenzione. Le difficoltà scolastiche di questi bambini risultano ridotte se i fattori di rischio sono individuati già nella scuola dell’infanzia e se si interviene precocemente con adeguati interventi preventivi di potenziamento delle abilità carenti. Inoltre gli interventi preventivi su bambini prescolari a rischio di DSA risultano addirittura più efficaci di interventi riabilitativi. In quest’ottica un nuovo filone di studi, mossi soprattutto dai risultati in campo internazionale, sta sostenendo l’importanza di interventi di potenziamento delle abilità cognitive sottese agli apprendimenti scolastici. Un altro campo, molto più sviluppato in America, sta sostenendo l’importanza di interventi di prevenzione anche sulle competenze socio-­‐emotive, individuando nei bambini con DSA una bassa competenza anche in quest’area. In questo lavoro presentiamo uno studio d’efficacia condotto in alcune scuole primarie, su 239 bambini di prima elementare. Il progetto è stato suddiviso in tre fasi, in una prima fase di screening sono state valutate le abilità di lettura e scrittura, le abilità cognitive di base (consapevolezza fonologica, abilità visuo-­‐spaziali, denominazione rapida e memoria a breve termine) e le competenze socio-­‐emotive (prestazione al test TEC e analisi del sociogramma). Successivamente il campione è stato diviso in 5 gruppi, tre gruppi sperimentali, in aggiunta alle normali attività didattiche, hanno sostenuto un programma di potenziamento delle 4 abilità di base importanti per l’apprendimento della lingua scritta, un altro gruppo ha sostenuto un programma di educazione razionale emotiva ed infine il quinto gruppo di controllo non ha sostenuto nessuna attività al di fuori di quelle scolastiche. Ai fini della verifica dell’efficacia di questi interventi è stato effettuato un confronto delle prestazioni dei bambini al follow-­‐up con il campione di controllo. Dai risultati del presente studio si evince che il training sulle abilità cognitive, migliora in maniera significativa sia le abilità cognitive considerate che il livello di prestazione in lettura e scrittura, indicando che l’incremento di prestazione prodotto sulle abilità potenziate si generalizza anche alle competenze scolastiche. E’ interessante osservare che nel gruppo sperimentale del presente lavoro erano inclusi molti bambini stranieri con grosse difficoltà iniziali con la lingua Italiana, e che anche per loro si è osservato un notevole miglioramento nella prestazione alle prove, dovuto anche ad una migliore comprensione delle consegne. A questo ha probabilmente contribuito anche il lavoro svolto in gruppo con gli altri bambini, che ha favorito in questi bambini stranieri l’integrazione e lo scambio verbale con i compagni, con ricadute positive sulla comprensione della lingua italiana. Anche il training sulle competenze emotive ha prodotto dei miglioramenti sulle variabili indicate. Inoltre, ad una analisi qualitativa, gli insegnanti hanno riportato dei miglioramenti anche nel clima, nella partecipazione e nelle interazioni in classe. Infatti hanno notato che i bambini stranieri e quelli che erano in difficoltà negli apprendimenti, si sono integrati maggiormente. Presentazione 2 Gli interventi psicologici nei Disturbi Psicotici ad esordio in età evolutiva: Una revisione della letteratura Dott.ssa Maria Pontillo Psicoterapeuta, Scuola di Specializzazione di Psicoterapia Cognitiva (SPC) Sede di Roma Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, Roma Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Introduzione I Disturbi Psicotici rappresentano, tra i disturbi psichiatrici, la categoria diagnostica con il più alto grado di invalidità sul piano sintomatologico, del funzionamento e su quello prognostico. Circa il 25% di tali disturbi esordisce prima dei 18 anni e prende il nome di Disturbo Psicotico ad Esordio Precoce. I Disturbi Psicotici ad Esordio Precoce (Early Onset Psychosis; EOP) si manifestano tra i 13 e i 17 anni con una prevalenza di 1-­‐2 casi su 1000. Al di sotto dei 13 anni ci si riferisce ai Disturbi Psicotici ad Esordio molto precoce (Very Early Onset Psychosis; VEOP) la cui prevalenza stimata è pari a 1 caso su 10000. Rispetto ai Disturbi Psicotici ad esordio in età adulta (Adult Onset Psychosis), queste condizioni rappresentano forme più severe e disabilitanti del disturbo sia dal punto di vista clinico che neuropsicologico e neuro anatomico. Diverse ricerche infatti hanno dimostrato che per le forme più precoci l’esordio sè prevalentemente a sintomatologia negativa e cognitiva. 17
Inoltre, la perdita di volume corticale sarebbe maggiore rispetto alle forme ad esordio più tardivo. Sebbene in letteratura sia stato ampiamente evidenziato che i trattamenti farmacologici non sono di per sé sufficienti a migliorare il decorso e l’outcome dei Disturbi Psicotici ad Esordio Precoce e Molto Precoce (EOP/VEOP), ad oggi non è stata condotta alcuna revisione sistematica circa l’efficacia degli interventi psicologici in questo tipo di condizioni. Obiettivo Esaminare la letteratura esistente circa gli interventi psicologici in pazienti con Disturbo Psicotico ad Esordio Precoce/Molto Precoce (EOP/VEOP) con focus sull’efficacia della psicoterapia cognitivo-­‐comportamentale, della “Cognitive remediation”, della psicoeducazione e dell’ intervento di tipo familiare. Metodo E’ stata condotta una ricerca sistematica sui seguenti database: Pubmed/Medline, Cinhal, Cochrane e Psicinfo Risultati I risultati confermano l’esistenza in letteratura di un significativo gap circa gli interventi psicologici per pazienti con Disturbo Psicotico ad Esordio Precoce/ Molto Precoce (EOP/VEOP). Nonostante le notevoli differenze dal punto di vista clinico, neuropsicologico e neuro anatomico tra Disturbi Psicotici ad esordio in età adulta e le forme più precoci, ad oggi le due condizioni vengono trattate utilizzando gli stessi criteri diagnostici e interventi terapeutici. Gli studi esaminati infatti non valutano l’efficacia degli interventi psicologici in relazione alle fasce d’età d’esordio del disturbo e non tengono dunque conto di come i pazienti con Disturbo Psicotico Precoce/Molto Precoce (EOP/VEOP), potrebbero presentare aspetti clinici e neuropsicologici strettamente relati alle varie tappe dello sviluppo e in grado di determinarne significativamente il decorso e l’outcome. Presentazione 3 Prevalenza di rischio di sviluppare un disturbo alimentare in una popolazione non-­‐clinica di adolescenti Barbieri L., Patrone, B., Mori, S. e Calzolari, L. Scuola Cognitiva di Firenze Introduzione Molti studi rilevano come i disturbi del comportamento alimentare (DA) abbiano esordio prevalentemente tra gli adolescenti (Gandarillas,2004). La fascia di popolazione a maggior rischio di sviluppare un DA è rappresentata da donne in età compresa tra 10 e 30 anni. La prevalenza sembra essere più bassa nei maschi (da 0,37% a 6,5%) rispetto alle femmine (3.65% al 17,9%), per tutte le diagnosi di DA. Obiettivo L’obiettivo del presente studio è stimare la prevalenza del rischio di sviluppare un disturbo alimentare in un campione non clinico di adolescenti ed esaminare le differenze tra maschi e femmine nelle scale specifiche per i disturbi alimentari, nelle scale psicologiche considerate nel questionario e negli stili di risposta. Metodo Il campione è composto da 634 adolescenti del I° anno delle Scuole Medie Superiori, di cui 293 femmine (46,2%) e 341 maschi (53,8%), a cui è stato somministrato l’EDI-­‐3 (Giannini et al., 2009) come questionario self-­‐report. Per quanto riguarda l’analisi dei dati, in primo luogo sono state effettuate delle analisi descrittive del campione; è stata poi effettuata un’analisi della varianza a una via (ANOVA) tra soggetti. Risultati I soggetti con punteggi a rischio secondo l’indice risultano il 3,9% del campione, di questi il 3,1% sono femmine e il 0,7% sono maschi. Le ragazze riportano punteggi superiori sostanzialmente in tutte le scale. Queste differenze sono statisticamente significative, tranne che per le scale che riguardano l’insicurezza interpersonale, l’alienazione interpersonale, la disregolazione emotiva, i problemi interpersonali e l’ipercontrollo. Emergono differenze anche negli stili di risposta. Conclusioni La percentuale di soggetti che riporta preoccupazioni riguardanti il cibo e comportamenti ad esse correlati risulta essere in linea con la letteratura. Le femmine risultano più a rischio rispetto ai maschi. Il campione di adolescenti si accomuna comunque per i costrutti che riguardano le preoccupazione dell’area interpersonale ed emotiva. Presentazione 4 Indagine quantitativa/qualitativa sulle credenze perfezionistiche in età evolutiva Tesei Francesca (*), Laura Catullo, Annalisa D’Angelo, Francesco Emanuele Pizzoleo. Introduzione Il perseguire standard di comportamento eccessivamente elevati può influire negativamente sull’autostima intesa come insieme di credenze relative al confronto tra il sé sperimentato e il sé ideale. 18 Obiettivo Lo scopo è quello di vedere se nei soggetti con alti livelli di emozioni sgradevoli come ansia e tristezza, esiste una correlazione tra la scarsa autostima e credenze perfezionistiche estreme indagate in quattro aree rilevanti: Utilità del tentativo di ottenere sempre standard elevati; Utilità di puntare all’eccellenza; Errore come condanna al fallimento e/o disapprovazione; Perfezionismo come strategia utile per ottenere approvazione. Metodo Il campione è costituito da 150 studenti di una scuola secondaria di primo grado. Sono stati somministrati i seguenti test: Test dell’ansia e della depressione (Newcomer et al., 2003), Test di valutazione dell’autostima (Bracken, 2003); Strumento costruito ad hoc per indagare credenze perfezionistiche. Risultati Lo studio mostra una correlazione tra livelli elevati di ansia/tristezza, scarsa autostima con la frequenza di credenze perfezionistiche estreme. I risultati confermano le ipotesi di partenza e verranno discussi durante l’esposizione dei lavori. Conclusioni Con questo studio si vuole mirare a contribuire ad una migliore identificazione delle credenze perfezionistiche presenti in adolescenti con scarsa autostima, ansia e depressione. Tale indagine può avere interessanti ricadute cliniche nella valutazione e nell’intervento su credenze perfezionistiche estreme legate ad emozioni negative. Presentazione 5 IL PERCORSO AD OSTACOLI DI CATERINA. Una proposta di intervento per un caso di disturbo traumatico dello sviluppo R. Lippolis*, M. Terlizzi**, M. G. Foschino Barbaro°Affiliazione: * Psicologo-­‐Psicoterapeuta, Scuola di Psicoterapia Cognitiva – Sede di Napoli, IV Anno ** Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva -­‐ Sede di Napoli, III Anno° Psicologo, Psicoterapeuta -­‐ Servizio di Psicologia, A. O. U. Policlinico “Giovanni XXIII” di Bari Introduzione La letteratura riporta come ripetute esperienze relazionali traumatiche in età precoce siano correlate ad incrementi significativi dell’incidenza di modelli d’attaccamento disorganizzato nella prima infanzia e all’insorgenza di diversi disturbi psicopatologici dall’infanzia all’età adulta. Queste, alterando i modelli operativi interni dell’individuo e determinando un funzionamento psicologico post-­‐traumatico capace di condizionare la personalità del futuro adulto, divengono una dimensione psicopatologica che si associa in comorbilità con altri disturbi, peggiorandone la prognosi. Le principali aree sintomatiche coinvolte nei disturbi traumatici dello sviluppo sono le disregolazioni affettive e fisiologiche (incapacità di modulazione e di tolleranza di stati emotivi intensi), i disturbi nella regolazione delle funzioni corporee (il sonno, l’alimentazione, la reattività al tocco e al suono), la ridotta consapevolezza di sensazioni, emozioni e stati corporei, la ridotta capacità di descrivere emozioni o stati corporei. Una traiettoria evolutiva relazionale di tipo traumatico discosterà dunque lo sviluppo biopsicosociale del bambino dal suo naturale sviluppo e determinerà la formazione di rappresentazioni diverse e non integrate di sé e degli altri (Liotti, 2005), che a loro volta renderanno difficile il processo di regolazione emotiva con conseguenti comportamenti disfunzionali di perdita di controllo (Lyons-­‐Ruth, Jacobvitz, 1999). Presentazione del caso clinico Caterina è una bambina di 10 anni, inviata, dal Tribunale dei Minorenni, presso il Servizio di Psicologia dell’A.O.U. Policlinico-­‐Giovanni XXIII di Bari, per la riparazione delle numerose esperienze di vita sfavorevoli a cui si è trovata esposta. Infatti, all’età di 4 anni circa, Caterina è stata allontanata dal nucleo famigliare di origine a causa delle condizioni di incuria e maltrattamenti fisici da parte della madre, affetta da alcool dipendenza e da patologia psichiatrica non meglio specificata, e dell’elevata conflittualità da cui era caratterizzato il rapporto fra i genitori. Da allora, Caterina ha continuamente sperimentato una serie di fallimenti relazionali ed esperienze di separazione, dovute ai frequenti trasferimenti di comunità e ad esperienze di affido fallite. Attualmente risiede da circa 10 mesi in una comunità a Bari. Quindi, le esperienze che hanno configurato il quadro psicopatologico della minore di cui si presenta il caso, sembrano essere le ripetute privazioni affettive e fisiche ricevute nel contesto di origine, una tipologia disorganizzata di attaccamento con i caregiver, le ripetute esperienze di rifiuto subite dalla famiglia, le frequenti esperienze di separazione verificatesi con i trasferimenti di comunità da operatori, insegnanti e gruppi classe, il fallimento adottivo e non in ultimo l’allontanamento dal fratello. Trattamento Prima fase: assessment La prima fase dell’intervento ha previsto un assessment psicodiagnostico così strutturato: numerosi raccordi diretti e telefonici con le svariate figure istituzionali e non, che sono intervenute nella tutela e crescita della minore, finalizzati alla ricostruzione della sua storia di vita; utilizzo di test proiettivi e grafici per l’esplorazione del mondo rappresentazionale relativo al proprio sé e alle figure significative; osservazione di situazioni di gioco (libero e strutturato), in contesto di laboratorio, videoregistrate e successivamente codificate sulla base dell’Emotional Availability Scales, (Biringen et al., 1998), 19
per la valutazione dell’adattamento al contesto ed alle relazioni; questionari di etero somministrazione per gli operatori della comunità e le attuali insegnanti sulla valutazione del comportamento e degli aspetti emozionali della minore nel contesto comunitario e scolastico (CBCL, Child Behavior Checklist, Achebanch 2001) diario di osservazione per gli operatori di comunità dei livelli di adattamento della minore al contesto comunitario. L’assessment ha avuto diversi scopi: diagnostico, terapeutico ed educativo. Seconda fase: intervento La metodologia di intervento messa in atto prevede l’utilizzo di “setting multipli” con lo scopo di coinvolgere attivamente, in tale percorso verso la riparazione delle esperienze sfavorevoli, tutti gli operatori, i contesti e i servizi (scuola e comunità) che hanno in tutela la cura e la crescita della bambina, che alla luce della teoria dell’attaccamento, dovrebbero poter rappresentare per la minore quella “base sicura” che le è mancata nel contesto familiare, e che rappresenta il punto di partenza verso l’elaborazione di tali esperienze. In quest’ottica, l’intervento prevede: • un incontro a settimana di psicoterapia individuale con la bambina, interamente basato sul gioco con l’intento di offrirle e aiutarla a sperimentare un’esperienza emozionale correttiva; • la possibilità per la bambina di poter svolgere un’attività corporea gratificante, che nel caso di Caterina è un corso di danza, che frequenta una volta a settimana; • un intervento clinico basato sull’attaccamento mediante l’utilizzo del VIPP -­‐ Videofeedback Intervention to promote Positive Parenting (Juffer, Bakermans-­‐Krenenburg & van JIzendoorn 2008) per aumentare la sensibilità dell’operatrice della comunità “significativa” per Caterina, cioè che costituisce per lei un punto di riferimento; • life skills training con gli operatori della comunità e gli insegnanti con l’intento di aiutarli a dare senso ai comportamenti ed alle reazioni della bambina apparentemente irrazionali ed ingiustificati e di offrire loro dei suggerimenti educativi concreti da poter utilizzare con la bambina; • un incontro a cadenza variabile (quindicinale o mensile) del terapeuta principale (M. Linehan, 2001) con gli altri operatori coinvolti nella presa in carico di Caterina • trasmissione di report di aggiornamento della presa in carico al Tribunale per i minorenni di Bari Conclusioni L’analisi dei dati emersi dalla ricostruzione della storia di vita di Caterina e dalle valutazioni effettuate ha permesso chiaramente di inquadrare le sue alterazioni neuropsicologiche e la sua sintomatologia esternalizzante nella categoria diagnostica di “Disturbo traumatico dello sviluppo” (Van der Kolk, 2005). In linea con quanto presente in letteratura (Lyons-­‐Ruth e Jacobvitz, 1999; Liotti 2005; Liotti e Farina, 2012), emerge, inoltre, anche un quadro di disorganizzazione dell’attaccamento. Relativamente all’intervento, saranno riportati i risultati di tale metodologia a distanza di 12 mesi dall’inizio del trattamento. 20 Sessione Relazioni -­‐3 Venerdì 18 ottobre 17.00-­‐19.00 Sala Musica Processi cognitivi e psicopatologia Chairman: Simona Giuri Discussant: Rocco Luca Cimmino 21
Presentazione 1 Relazione tra giudizio morale e pensiero controfattuale Migliore S.¹, Mancini F.2, Curcio G3 ¹Università Campus “Bio-­‐Medico”, Roma; ² Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC), Roma, ³ Università degli studi dell’Aquila. Introduzione Alla fine del XX secolo alle ricerche fatte sulle emozioni, sulla ragione e sulle basi celebrali ad esse sottostanti, fu data una vera e propria sferzata grazie agli studi condotti da Antonio Damasio che hanno portato alla formulazione della teoria del marcatore somatico (Damasio, 1995). In breve, l’ipotesi di Damasio prevede che un contesto di presa di decisione simile ad una situazione già vissuta attivi automaticamente (ma non necessariamente in maniera conscia) i ricordi relativi a quell’esperienza nelle cortecce associative di ordine superiore. Ciò attiva, a sua volta, i relativi legami immagazzinati nella corteccia prefrontale ventromediale (VMPFC) e, quindi, anche lo stato somatico o l’emozione provata in passato in quella situazione. L’attivazione somatosensoriale, dunque, “marca” lo scenario e le possibili opzioni di scelta come “buone” o “cattive”, agendo rispettivamente come incentivo o come segnale d’allarme. In altre parole, l’emozione opera come un marcatore somatico, che segnala i vantaggi o i rischi associati a ciascuna opzione. Esso aiuta a delimitare lo spazio decisionale, escludendo le opzioni “cattive” e consentendo di decidere in maniera efficiente e in tempi brevi, guidando i processi di presa di decisione verso quelle che, sulla base dell’esperienza passata in situazioni analoghe, sono le scelte più vantaggiose. Secondo Damasio il marcatore somatico nei soggetti normali potrebbe attivarsi addirittura prima che il soggetto abbia compreso coscientemente quali decisioni sono vantaggiose e quali svantaggiose. Viceversa, in assenza di questo indizio emotivo, la semplice conoscenza astratta, seppur precisa, di quali scelte siano vantaggiose e quali meno non è sufficiente a far compiere scelte corrette. Un meccanismo di questo tipo potrebbe essere particolarmente utile nel dominio sociale poiché consentirebbe di semplificare il processo di scelta, delimitando uno spazio decisionale altrimenti molto ampio. L’ipotesi del marcatore somatico fornisce, tra le altre cose, un’interpretazione del ruolo della VMPFC nella presa di decisione e nella pianificazione del comportamento. Questa regione cerebrale, nello specifico, consentirebbe di acquisire, rappresentare e recuperare una sorta di “peso emotivo” delle nostre azioni, codificando il probabile valore futuro delle nostre scelte e mediante il quale le emozioni e le esperienze passate possono guidare le nostre decisioni. A tal proposito, Koenigs e collaboratori (2007) hanno studiato un gruppo di pazienti con una lesione circoscritta alla VMPFC. Questi soggetti mostrano un pattern di risposta definito utilitario quando devono giudicare dilemmi morali in cui il sacrificio umano di una persona porta alla salvezza di molteplici vite; in altre classi di dilemmi morali, le risposte sono comparabili a quelle del gruppo di controllo. I risultati ottenuti sono interpretati dagli autori del lavoro come una prova a favore della teoria secondo la quale le emozioni giocano un ruolo centrale nelle scelte morali. Specificamente stabilisce che, quando è compromesso il processo cerebrale che sostiene le emozioni legate a situazioni collettive (VMPFC), i giudizi che noi formuliamo sui dilemmi etici tendono ad essere più utilitaristi, più radicati in calcoli razionali, meno ispirati da considerazioni umanitarie. Questo risultato non suggerisce certo che tali giudizi a freddo siano anormali, ma solo che non collimano con quanto la maggioranza delle persone ordinarie tende ad approvare e a condividere. I dati ottenuti dalle ricerche sopra citate e quelli ottenuti da uno studio condotto su pazienti che hanno subito una lesione alla VMPFC entro i primi sedici mesi dalla nascita (Anderson et al, 1999) suggeriscono che la corteccia prefrontale non è solo la sede di un meccanismo che integra conoscenze e segnali emotivi per produrre decisioni appropriate e vantaggiose, ma anche una regione cerebrale necessaria, durante lo sviluppo, per l’acquisizione di conoscenze di base essenziali per un adeguato comportamento morale e sociale. Deficit di questo tipo determinano l’instaurarsi di condotte antisociali simili a quelle osservabili nella psicopatia o sociopatia: questi infatti presentano un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri caratterizzato da un’incapacità di conformarsi alle norme sociali e morali, incapacità di pianificazione, irritabilità e suscettibilità ripetuti, incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa, totale mancanza di rimorso. In accordo con questa visione è emerso che soggetti psicopatici possono presentare una disfunzione della corteccia prefrontale e che bambini con tendenze antisociali sono carenti nel ragionamento morale (Intrator et al., 1997). Un aspetto importante di quest’argomento è che gli individui affetti da psicopatia non riescono a distinguere tra trasgressioni morali e convenzionali. Lo psicologo cognitivo James Blair spiega quest’incapacità del soggetto psicopatico in termini di mancanza di riconoscimento dei segnali remissivi: negli adulti normali il controllo della violenza avviene attraverso l’individuazione di segnali legati alla preoccupazione, all’espressione facciale di tristezza o a suoni associati alla paura e alla sottomissione. Il riconoscimento di questi segnali attiva circuiti corticali attraverso i quali noi siamo in grado di attribuire agli altri credenze e desideri, poi usiamo i segnali provenienti da questo sistema per coordinare l’azione con la supervisione dell’emozione, in particolar modo dell’empatia. Negli psicopatici questo sistema inibitorio è danneggiato: la mancanza di un input emotivo causa 22 una confusione tra trasgressioni morali e convenzionali. Gli psicopatici non possiedono una risposta tipica ai segnali avversivi per cui non riescono a collegare questo tipo di informazione emotiva ad una comprensione del perché certi atti sono moralmente sbagliati, tutto questo accompagnato da una totale assenza di rimpianto. Infine, per introdurre adeguatamente il nostro lavoro sperimentale, presento i dati di una ricerca condotta da Greene e collaboratori (2004) relativa ai circuiti cerebrali coinvolti nei dilemmi morali personali ed impersonali. Sono considerate personali quelle violazioni che causano un danno fisico grave nei confronti di una particolare persona, non limitandosi a deviare una minaccia nei confronti di un gruppo di individui. Scopo L’esperimento è stato costruito in modo da poter analizzare direttamente i contributi dell’emozione e del ragionamento ai nostri giudizi morali. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) gli autori del lavoro hanno rilevato nelle aree cerebrali associate ad emozione e cognizione sociale (corteccia prefrontale mediale, cingolato posteriore, solco temporale superiore/giunzione temporo-­‐parietale) un aumento significativo di attività nel momento in cui i soggetti considerano dilemmi morali personali; nelle aree cerebrali associate a memoria di lavoro e altri processi cognitivi (corteccia prefrontale dorso laterale destra-­‐ DLPFC destra, lobulo parietale inferiore bilaterale) un aumento di attività finché essi stessi considerano dilemmi morali impersonali. Quando i soggetti giudicano casi morali personali in cui le conseguenze utilitaristiche (massimizzare il bene – salvare 5 persone è meglio che salvarne una) entrano in conflitto con le regole deontologiche che si presume abbiano una forte portata emozionale (non far del male agli altri – non spingere l’uomo grasso) si evidenzia un aumento di attività nella corteccia cingolata anteriore. L’intensità di attivazione di quest’area si è vista essere direttamente proporzionale al tempo necessario per formulare la risposta. Greene et al. hanno scoperto che quando i soggetti vanno controcorrente, cioè affermano la legittimità di un caso morale personale, mostrano un’attivazione molto maggiore della DLPFC destra (coinvolta nella pianificazione e nel ragionamento), mettendo in rilievo l’influenza dei processi “cognitivi” a favore delle risposte utilitarie. Obiettivi L’obiettivo dello studio è indagare come variano alcune variabili che possono influire sul pensiero controfattuale in ambito morale. A questo scopo è stata usata una versione modificata del test dei dilemmi morali di Greene. È così stato considerato il peso delle variabili indipendenti Condizione (dilemmi NM, MIMP, e MP), Genere (Uomini, Donne), Età (Giovani, Adulti, Anziani), Prospettiva (Prima persona, Terza persona) a carico delle variabili dipendenti tempi di reazione (in secondi) e tipo di risposta (contesto – fuori contesto). Sono stati esaminati 90 partecipanti, bilanciati per genere ed età. Metodi Scopo centrale dell’esperimento è indagare come variano alcune variabili che possono influire sul pensiero controfattuale in ambito morale. A tale fine, ci si è avvalsi del test dei dilemmi morali di Greene (Greene et al., 2001) apportando le necessarie modifiche in modo da poter rilevare correttamente le variabili di interesse della nostra ricerca. Il test è stato somministrato a 90 soggetti sani bilanciati per genere, italiani, d’età compresa tra 25 e 70 anni; ai fini delle analisi statistiche i partecipanti sono stati raggruppati in tre gruppi in base all’età, bilanciandoli per genere (tabella 1). Ipotesi Coerentemente con quanto osservato in letteratura (Greene et al., 2004), ipotizziamo un aumento dei tempi di risposta nel passaggio tra la condizione NM, MIMP e MP che rispecchia un conflitto tra i benefici utilitaristici e regole deontologiche che si presume abbiano una forte portata emozionale. Inoltre pensiamo possa esserci un aumento delle risposte fuori dal contesto quando valutiamo possibili azioni e scenari per conto di terzi, rispetto a quando siamo coinvolti in prima persona (Girotto et al., 2007). Risultati L’analisi della varianza ha evidenziato un effetto statisticamente significativo per il fattore Età (F= 7.89; p=0.0007), ad indicare che i TR aumentano nel gruppo di partecipanti “anziani” rispetto agli altri due gruppi. I confronti post-­‐hoc (test di Scheffè) indicano che gli anziani sono significativamente diversi sia dagli adulti (p=0.002) che dai giovani (p=0.007) mentre giovani e adulti non mostrano TR significativamente diversi tra di loro. È anche emerso un effetto statisticamente significativo del fattore Condizione sui TR (F= 75.61; p<0.000001); in particolare, si osserva un incremento dei TR passando dalla condizione NM, a quella MIMP fino alla MP risultando quest’ultima quella che richiede TR più lunghi. I post-­‐hoc indicano che i dilemmi NM sono significativamente diversi (p<0.000001) da entrambi gli altri tipi di dilemmi, e anche MIMP e MP differiscono statisticamente tra di loro (p=0.03). L’ANOVA ha mostrato che l’interazione Condizione x Età è statisticamente significativa (F=6.44; p<0.00008) ad indicare che i soggetti anziani tendono ad essere in generale più lenti degli altri due gruppi in tutte e tre i tipi di dilemmi come confermato dalle analisi post-­‐hoc (0.01<p<0.00006). 23
L’altra interazione significativa emersa è Condizione x Prospettiva (F=9.32; p=0.0001), ad indicare che i dilemmi MP richiedono maggior tempo di risposta rispetto ai NM e MIMP, e che questo tende ad essere accentuato nella prospettiva in 1^ rispetto alla 3^ persona (mentre la tendenza è opposta nei NM e MIMP; post-­‐hoc: p=0.001). Nessun altro effetto principale o interazione è risultato significativo. Per quanto riguarda le analisi condotte sul tipo di risposta controfattuale prodotta, è emerso un effetto statisticamente significativo per il fattore Condizione (F=103.38; p<0.000001). In particolare, si osserva un aumento progressivo delle risposte fuori dal contesto passando dai dilemmi NM, a quelli MIMP fino a quelli MP. I confronti post-­‐hoc indicano che i dilemmi NM sono statisticamente diversi da MIMP e MP (p<0.000001), così come lo sono MIMP e MP (p=0.002). Si è anche osservato un effetto statisticamente significativo del fattore Genere (F=12.52; p=0.0007): in particolare le donne producono tendenzialmente più risposte fuori contesto degli uomini. È risultata statisticamente significativa inoltre l’interazione Condizione x Prospettiva (F=10.98; p=0.00003), in cui i dilemmi MP tendono a mostrare un numero molto più elevato di controfattuali rispetto alle altre condizioni soprattutto nelle situazioni in 1^ persona (post hoc p=0.0001). Anche l’interazione tra Condizione x Genere è risultata significativa (F=7.22; p=0.0009), ad indicare che le donne producono maggiori risposte fuori contesto, maggiormente nei casi di dilemmi MIMP e MP (0.0002<p<0.02). Nessun altro effetto principale o interazione è risultato significativo. Conclusioni Dai risultati ottenuti si è evidenziato un aumento significativo nei TR tra le variabili NM – MIMP – MP, in accordo con quanto avevamo ipotizzato inizialmente e con i dati presenti in letteratura (Greene et al., 2004). Questo dato potrebbe rispecchiare un conflitto da una parte tra regole deontologiche e senso morale, e dall’altra con la possibilità di valutare scene alternative in freddi termini di costi/benefici. Immaginare possibili scenari in cui la storia si sarebbe potuta concludere in maniera diversa richiede un tempo maggiore nelle condizioni morali VS non morali (differenza ancora più evidente tra morale personale e impersonale) perché l’emozione correlata ai particolari scenari che si susseguono nella nostra mente è molto più forte e intensifica così il conflitto esplicato in precedenza. Quindi soppesare cause e conseguenze delle proprie possibili azioni porta ad un aumento dei TR nei dilemmi morali (impersonali e personali) in quanto vi è una mediazione cognitiva più ampia che viene modulata da emozioni più intense. Nei dilemmi NM questo effetto non si osserva, come se l’aspetto emotivo avesse una rilevanza quasi inesistente, proprio perché l’analisi delle possibili alternative avviene rapidamente secondo uno schema costi/benefici. Un altro aspetto riguarda la variabile età: in particolare è stato osservato un aumento significativo dei TR dei soggetti Anziani rispetto agli altri due gruppi, che potrebbe indicare che con l’avanzare dell’età gli individui tendono ad essere maggiormente riflessivi nel ponderare le proprie scelte. Questo effetto è rilevante e si mantiene sia in contesti di giudizio che non implicano norme morali, sia in contesti che le implicano a livello impersonale e personale. Nell’analisi condotta sul tipo di risposta è stato osservato un effetto statisticamente significativo per la Condizione, che mostra un incremento del numero di risposte fuori dal contesto nelle due condizioni morali. Questo dato può rispecchiare una tendenza, nelle condizioni in cui si evidenzia un conflitto maggiore, ad avvalersi di risposte che richiamano elementi non direttamente presenti nella scena, cosi da poter avere uno spettro più ampio di possibilità su cui poter basare la propria scelta. In questo modo si potrebbe raggiungere una soluzione che tende a risolvere il conflitto. Emerge, inoltre, una differenza significativa tra uomini e donne, con queste ultime che tendono a ricercare maggiormente risposte fuori contesto, come per sfuggire al conflitto. In particolare vediamo che se coinvolte in prima persona in una condizione di scelta con possibili cause avverse verso terzi (MIMP e MP), il numero di risposte fuori contesto si alza in maniera significativa rispetto ai coetanei uomini. Si osserva, infine, un effetto significativo nell’interazione tra Condizione e Prospettiva; in particolare nella sola condizione morale personale la discrepanza tra prima e terza persona appare rilevante. Osserviamo infatti che nel ricercare una soluzione al dilemma aumenta il numero di risposte fuori dal contesto, principalmente se si è coinvolti in prima persona. Questo dato sembra integrare i dati ottenuti in un precedente studio (Girotto et al., 2007) nel quale si sottolinea come il ruolo giocato dall’individuo – attore della vicenda o semplice lettore – vada ad influenzare considerazioni e scelte nell’attività post-­‐decisionale controfattuale. Una motivazione basilare a questa ipotesi è che attori e lettori hanno differenti scopi motivazionali che fungono da guida durante il processo controfattuale; “l’attore” andrà a modificare mentalmente gli eventi esterni piuttosto che le proprie azioni, poiché, rispetto al “lettore”, deve sfuggire al senso di colpa di quelle morti. Nel nostro caso “l’attore” è rappresentato dalla condizione “prima persona”, il “lettore” invece “terza persona”. Bibliografia Anderson SW, Bechara A, Damasio H, Tranel D, Damasio AR. Impairment of social and moral behavior related to early damage in human prefrontal cortex. Nat Neurosci 1999; 2:1032-­‐7. Damasio A, L’errore di Cartesio – Emozione, ragione e cervello umano, Edizione Adelphi, 1994. 24 Girotto V, Ferrante D, Pighin S, Gonzalez M. Postdecisional counterfactual thinking by actors and readers. Psychol Sci 2007; 18:510-­‐5. Greene JD, Nystrom LE, Engell AD, Darley JM, Cohen JD. The neural bases of cognitive conflict and control in moral judgment. Neuron 2004; 44:389-­‐400. Greene JD, Sommerville RB, Nystrom LE, Darley JM, Cohen JD. An fMRI investigation of emotional engagement in moral judgment. Science 2001; 293:2105-­‐8. Intrator J, Hare R, Stritzke P, Brichtswein K, Dorfman D, Harpur T, Bernstein D, Handelsman L, Schaefer C, Keilp J, Rosen J, Machac J. A brain imaging (single photon emission computerized tomography) study of semantic and affective processing in psychopaths. Biol Psychiatry 1997; 42:96-­‐103. Koenigs M, Young L, Adolphs R, Tranel D, Cushman F, Hauser M, Damasio A. Damage to the prefrontal cortex increases utilitarian moral judgements. Nature 2007; 446:908-­‐11. Presentazione 2 Frequenza controfattuale e disfunzionalità della rappresentazione controfattuale come variabili del pensiero controfattuale: una possibile svolta nella ricerca? Marzia Gaita*, Elisa Grendene*, Valentina Luciani*, Mimmo Pino**, Paolo Zandomeneghi*, Francesco Carone°. * 2° anno SPC Verona** 4° anno SPC Verona° Conduttore Project Introduzione Il pensiero controfattuale sembra avere un importante ruolo nell’implementare azioni volte a mutare lo status quo di eventi con esito negativo (Epstude, Roese; 2008). Inoltre, un difetto nella produzione di pensieri controfattuali sembra relato a scarso problem solving (Coricelli; 2005), mentre un eccesso porterebbe ad una iperfocalizzazione sul problema (Markman & Weary; 1998). Obiettivi Non sembra chiaro attraverso quali variabili il pensiero controfattuale può trasformarsi da utile strumento per la pianificazione di strategie a modalità di pensiero ripetitiva compatibile con la ruminazione (Watkins; 2008). Le due variabili ipotizzate sono: disfunzionalità controfattuale e frequenza controfattuale. La prima si verifica se il contrasto tra lo status quo (A) e lo stato controfattuale (Z) viene vissuto in modo disfunzionale (“è catastrofico trovarsi in A e non in Z”). Questa, unita alla frequenza controfattuale (frequenza con cui lo scenario controfattuale si presenta alla mente del soggetto) avrebbero effetto sull’emotività del soggetto e sulla messa in atto di comportamenti proattivi al problem solving. Metodo Sono stati reclutati 47 studenti universitari, di età compresa tra i 19 e i 45 anni, che hanno compilato un questionario autosomministrato. E’ stato chiesto ai soggetti di descrivere un’esperienza universitaria con un impatto negativo e di rispondere a domande su questa esperienza. Le variabili rilevate sono state: frequenza controfattuale (freq cft), disfunzionalità controfattuale (disf cft), emozioni negative al momento dell’evento (emo neg ev), emozioni negative al momento attuale (emo neg post), comportamenti proattivi (comp post), stile ruminativo (RUM, scala dell’RRS). I t-­‐test mostrano come i soggetti con alta freq cft hanno livelli di emo neg ev significativamente più elevati dei soggetti con bassa freq cft (p<0,05), mentre la differenza non è significativa per emo neg post. Soggetti con alto disf cft hanno livelli significativamente più elevati sia di emo neg ev che di emo neg post dei soggetti con bassa disf cft (p<0,05). Rispetto ai soggetti con bassa freq cft e bassa disf cft, i soggetti con alta freq cft e alta disf cft hanno ottenuto livelli significativamente più elevati nella scala ruminazione del RRS (p<0.05). Le regressioni dell’effetto complessivo di freq cft e disf cft sulle variabili emot neg post e ruminazione dell'RRS hanno dimostrato significatità (p<0,001). Per quanto riguarda i comp post, si è evidenziato un effetto incrociato delle variabili freq cft e disf cft. Infatti, soggetti con bassa freq cft aumenterebbero i comp post con l’aumentare dei punteggi di disf cft, mentre soggetti con alto freq cft diminuirebbero i comp post con l’aumentare di punteggi disf cft. Risultati I risultati confermerebbero che la frequenza controfattuale non spiega sufficientemente il permanere di uno stato negativo dei soggetti a distanza di tempo dall’evento ad esito negativo. La variabile introdotta, disfunzionalità controfattuale, sembra spiegare con maggiore significatività questo effetto per la differenza in emotività negative post nei soggetti ad alto disf cft. Inoltre le regressioni eseguite mostrano che è l’interazione di freq cft e disf cft a spiegare meglio il permanere di uno stato negativo nei soggetti. Queste due variabili sembrano legate alla tendenza per uno stile ruminativo: alti livelli di freq cft e disf cft corrispondono ad alti livelli di ruminazione RRS. Infine, si evidenzia come l’associazione tra alta freq cft e alta disf cft tenda ad inibire i comp post (come se i soggetti stessero ruminando sull’accaduto, impedendogli una pianificazione risolutiva del problema), e che questo si realizzi anche per bassi livelli in queste due variabili (come se fossero poco interessati ad implementare azioni per cambiare la situazione). 25
Presentazione 3 Il ruolo della ruminazione rabbiosa nel discontrollo del comportamento nel Disturbo Borderline di Personalità (DBP) Martino F.1-­‐2, Caselli G.2, Menchetti M.1-­‐3, Berardi D.1-­‐3, Sassaroli S.2 1Istituto di Psichiatria Università di Bologna, 2Centro di Psicoterapia Cognitiva e Ricerca “ Studi Cognitivi”, 3Dipartimento di Salute Mentale Ausl Bologna Introduzione La disregolazione emotiva rappresenta per diversi modelli teorici l’aspetto psicopatologico nucleare del DBP ed è alla base dell’incapacità di esercitare un controllo funzionale sul proprio comportamento. Tale incapacità si traduce poi in condotte come autolesionismo, abuso di sostanze, aggressività auto ed etero-­‐diretta. Secondo alcuni autori (Selby, 2008) la ruminazione potrebbe essere la chiave di lettura del funzionamento del DBP. In particolare, la ruminazione rabbiosa sembra favorire l’iperattivazione fisiologica, incrementare e mantenere nel tempo l’emozione di rabbia ed elicitare forme di comportamento aggressivo (Denson, 2011, Baer, 2011). Obiettivo Indagare la presenza di ruminazione rabbiosa nel DBP e in altre popolazioni (clinica e non clinica) e comprendere la sua relazione con la disregolazione emotiva e il discontrollo del comportamento, in presenza di altre caratteristiche cliniche come l’impulsività, direttamente implicate nel DBP. Metodo Il campione è rappresentato da soggetti con diagnosi di DBP che afferiscono al Centro di Salute Mentale di Bologna e al Centro di Psicoterapia Cognitiva di Milano; sono previsti due gruppi di controllo: soggetti con altre diagnosi di DP e studenti universitari. Vengono indagate mediante batteria di test: la personalità (SCID II); la ruminazione rabbiosa (ARS); la tendenza all’aggressività (AQ); l’autolesionismo (SHI); l’impulsività (BIS); la disregolazione emotiva (DERS); il comportamento aggressivo (OAS). Risultati Le analisi statistiche permetteranno di confrontare i tre campioni di riferimento DBP, altri DP, controlli sani, rispetto ai livelli di ruminazione rabbiosa. Inoltre sarà possibile esplorare il suo ruolo predittivo su comportamenti aggressivi ed autolesionisti in relazione al grado di impulsività. Bibliografia Selby, E.A., Anestis, M.D., Joiner, T.E. (2008). Understanding the relationship between emotional and behavioral dysregulation: Emotional cascades. Behaviour Research and Therapy, 46, 593-­‐611. Denson TF, Pedersen WC, Friese M, Hahm A, Roberts L.(2011). Understanding impulsive aggression: Angry rumination and reduced self-­‐control capacity are mechanisms underlying the provocation-­‐aggression relationship. Pers Soc Psychol Bull; 37(6):850-­‐62. Baer R.A., Sauer S.E. (2011) Relationships between depressive rumination, anger rumination, and borderline personality features Personality Disorders: Theory, Research, and Treatment; 2(2), 142-­‐150. Presentazione 4 Come la risposta cognitiva a situazioni di parziale successo influenza il tono dell’umore e la valutazione globale di sé: il Self-­‐Discrepancy Monitoring Sgambati, S.+, Caselli G.+, Decsei-­‐Radu, A.*, Fiore F.°, Manfredi, C.+, Querci, S.+ , Rebecchi, D.+ ^, Ruggiero, G.M.° , & Sassaroli, S.°+ Studi Cognitivi – Post-­‐Graduate Cognitive Psychotherapy School and Research Center -­‐ Modena, Italy°Studi Cognitivi – Post-­‐Graduate Cognitive Psychotherapy School and Research Center -­‐ Milan, Italy*University of Oradea, Romania^ Servizio di Psicologia Clinica, Dipartimento di Salute Mentale, Azienda USL, Modena, Italy Introduzione Poche ricerche hanno indagato la risposta cognitiva davanti a esperienze di successo, nonostante la pratica clinica evidenzi una tendenza delle persone depresse a reagire in modo negativo anche in risposta a stimoli positivi. Questa attitudine ‘Self-­‐Discrepancy Monitoring’ contribuisce a ri-­‐orientare l’attenzione sugli aspetti negativi, quale passaggio intermedio verso la tendenza a ruminare. Obiettivo Il presente studio ha esplorato l’impatto di questo stile cognitivo in risposta a stimoli di parziale successo e le ricadute sul tono dell’umore e sulla valutazione globale di sé, valutate prima e dopo l’induzione sperimentale. Metodo Il disegno sperimentale ha coinvolto due gruppi: clinico e di controllo. 26 La procedura sperimentale ha previsto una prima fase di rievocazione immaginativa di un episodio di successo ed una successiva di assegnazione per ogni soggetto a una delle due condizioni sperimentali: utilizzare il SDM o il rievocare l’evento in termini positivi. I risultati mostrano che l’induzione del SDM in risposta a stimoli positivi si associa ad un abbassamento dell’umore indipendentemente dal livello iniziale di gravità dei sintomi depressivi. In base ai risultati, ci si è proposti di indagare la frequenza e le credenze che possono facilitare l’uso del SDM attraverso la costruzione e somministrazione di due questionari ad un ampio campione della popolazione generale. Risultati I risultati verranno discussi. Presentazione 5 Deferred Acceptance Algorithm. Una revisione cognitivista del Nobel 2012 per l’economia Accardo Mariapina Psicoterapeuta -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva -­‐ SPC Roma Introduzione La Reale Accademia Svizzera delle Scienze ha assegnato il Nobel 2012 per l’Economia a Lloyd Shapley e Alvin Roth per il loro contributo alla teoria della stabile allocazione e per le analisi sulla configurazione dei mercati. Il meccanismo di Gale-­‐Shapley, deferred acceptance algorithm, consente di rimandare le scelte definitive, sullo studio, il lavoro, la vita privata, fino a quando si è trovata la soluzione ideale. Quando si giunge alla soluzione ideale, tutte le opzioni sono state considerate e non ce n’è una migliore. Il presente lavoro si occupa di condurre una revisione cognitivista con opportune obiezioni. Metodo Le obiezioni sono condotte a partire da un approccio di tipo descrittivo e tengono conto della capacità del ragionamento di realizzare gli scopi del soggetto e di essere funzionale. Un approccio di tipo descrittivo si propone di produrre teorie che descrivano il comportamento decisionale senza far ricorso ai modelli normativi della scelta razionale. Tesi 1. Il deferred acceptance algorithm fa ricorso ai modelli normativi della scelta razionale, che com’è noto non descrivono il reale comportamento di scelta degli individui. 2. Gli algoritmi, è vero che garantiscono il raggiungimento della risposta normativamente corretta, ma necessitano di tempi molto lunghi. Da quanto compreso sul deferred acceptance algorithm non sembra che in tutte le sue applicazioni si possa considerare la presenza di condizioni ottimali di disponibilità di tempo e risorse. 3. Nella vita quotidiana le scelte sono influenzate dal modo in cui sono formulate e rappresentate dagli agenti, ma anche dalle emozioni che sono attive al momento della scelta. Una procedura come quella del deferred acceptance algorithm non tiene conto delle rappresentazioni e delle emozioni dell’agente, né dell’eventuale modifica delle stesse nel tempo. 4. In base alla teoria dei giochi il conflitto può essere definito un gioco a somma zero. Protrarre in maniera indefinita un gioco a somma zero porta immancabilmente alla perdita di entrambi i giocatori. Viene da supporre che nelle situazioni conflittuali non sia consigliabile rimandare in maniera indefinita la scelta, per trovare quella migliore in assoluto. 5. Gale e Shapley hanno dimostrato che quest’algoritmo porta sempre ad un accoppiamento stabile. Il sospetto è che tuttavia quest’accoppiamento possa essere in realtà “una soluzione abbastanza buona” piuttosto che la migliore. Conclusioni Il deferred acceptance algorithm pare quindi un po’ lontano dalla possibilità di risolvere i problemi concreti delle persone. Nella vita quotidiana gli esseri umani sono sistematicamente lontani dalle prescrizioni della razionalità formale e normativa. La vita quotidiana è tipicamente caratterizzata da situazioni d’incertezza, dove si decide e si sceglie in modo irrazionale. Cercando di non contraddirmi, il lavoro non giunge solo a formulare delle obiezioni, si tratta pur sempre di un premio Nobel. A mio avviso emerge una sorta di nuova prospettiva per il concetto di temporal discounting. Nel deferred acceptance algorithm si evince che il fattore tempo ha un ruolo principale. Il deferred acceptance algorithm sembrerebbe seguire il meccanismo d’inversione delle preferenze, tuttavia, anche se nel tempo T una scelta esclude l’altra, attraverso l’elaborata procedura di matching, la migliore scelta a lungo termine è comunque assicurata, trattandosi di decisioni in condizioni di certezza, e senza alcun conflitto. È un po’ come prendere sia l’uovo oggi sia la gallina domani! Un’ulteriore osservazione “positiva” sul deferred acceptance algorithm è la presenza di una particolare illusione positiva: l’ottimismo irrealistico. Quale migliore illusione se non quella di credere nella possibilità di trovare una soluzione ideale oltre la quale non ce n’è una migliore! Tuttavia le obiezioni sembrano prevalere sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. 27
Sessione Poster 1 Venerdì 18 ottobre 19.00-­‐20.00 Disturbi Alimentari e Obesità (Sala Onda) Chairman: Sofia Piccioni 28 Poster 1 L’intervento sulla capacità emotiva delle pazienti con DA: uno studio sperimentale Giuseppina Di Carlo, Simona Anselmetti, Carolina Redaelli, Sara Bertelli, Silvio Scarone Ambulatorio Disturbi della Condotta Alimentare, Dipartimento di Salute Mentale, AO San Paolo Polo Universitario, Milano Introduzione Il focus del presente lavoro riguarda il ruolo giocato dalle emozioni nello sviluppo e nel mantenimento dei Disturbi Alimentari (DA), caratterizzati da deficit sia nei compiti di regolazione e riconoscimento delle emozioni sia nell’espressione di queste, con conseguenti difficoltà di gestione delle relazioni sociali, che peggiorano la prognosi. L’utilizzo di elementi della DBT, in affiancamento alla terapia individuale, può avere un impatto positivo sia sulle condizioni cliniche, che su una riduzione del tasso dei drop-­‐out dei pazienti con DA. Obiettivo Lo scopo del lavoro è valutare, in uno studio controllato, l’efficacia additiva di un intervento di gruppo, ispirato agli “Skill Training” di Marsha Linehan, sulla capacità di regolazione, comprensione e gestione delle emozioni in pazienti affetti da DA. Metodo La ricerca si è svolta all’interno dell’ambulatorio sui DA dell’Ospedale San Paolo di Milano. Il campione testato è composto da pazienti con DA, che hanno seguito una psicoterapia individuale e un modulo di di terapia di gruppo (DBT), focalizzato sulla regolazione delle emozioni della durata di circa tre mesi. Risultati e Conclusioni I risultati della nostra indagine suggeriscono l’importanza di un intervento integrato per il miglioramento della sintomatologia e un’implementazione delle competenze emotive e metacognitive nei pazienti con DA Poster 2 Insoddisfazione per l’immagine corporea e fitness in un campione di soggetti di sesso maschile A. Mercantelli, A. Cicciarelli, C. Ziella, C. Fabbri, E. Moretti, L. Pagnanelli, S.Taddei, C. La Mela Scuola Cognitiva di Firenze Introduzione Nell’ambito dei disturbi alimentari, uno dei fattori psicologici più importanti associato alle variabili psicopatologiche specifiche del disturbo, appare essere l’insoddisfazione per l’immagine corporea. (Pope et al., 1997). Dalla letteratura internazionale emerge che, mentre nelle donne questa insoddisfazione si concretizza con il desiderio di apparire più magre ed esili, negli uomini l’insoddisfazione rispetto al proprio corpo caratterizza il desiderio di avere un corpo più grande e muscoloso (Drewnowski & Yee,1987). Negli uomini, questa insoddisfazione e i comportamenti sintomatici che ne conseguono, possono assumere un rilievo di intensità tale da acquisire la severità di una vera e propria sindrome clinica, definita “Reverse Anorexia” (Pope et al., 1988) o più recentemente “Muscle Dismorphia” (Pope et al., 2005). Questa condizione psicopatologica, tipicamente maschile, è caratterizzata dalla presenza di disturbi dell’immagine corporea e da alterazioni del comportamento alimentare (Cella et al., 2012). Obiettivo Gli obiettivi del presente studio sono: 1) valutare la prevalenza della condizione di rischio per disturbi alimentari (DA) in un campione di soggetti maschi che praticano attività fisica di potenziamento muscolare in palestra. 2) Valutare se esista una relazione tra i fattori di rischio per DA e distorsione dell’immagine corporea in un campione di soggetti maschi affetti da Reverse Anorexia. METODO: A tutti i partecipanti (N= 30) è stata somministrata una scheda socio demografica, l’Eating Disorder Inventory-­‐3 (EDI-­‐3, Garner et al., 2004); e il Body Uneasiness Test (BUT, Cuzzolaro et al ., 2000). I soggetti arruolati per lo studio sono stati sottoposti ad intervista clinica per verificare i criteri DSM, per una diagnosi di DA, e di Reverse Anorexia secondo i criteri di Choi 2002. Risultati e conclusioni Dallo studio ci attendiamo che il campione di soggetti presi in esame risulti avere un rischio maggiore di sviluppare DA, rispetto al gruppo di controllo e che esista, nel gruppo di studio una correlazione positiva tra fattori di rischio e la distorsione dell’immagine corporea. 29
Poster 3 Uno studio sperimentale sui tratti psicopatologici del paziente obeso Dott.ssa Alessia Renzoni Dott.ssa Laura Pattarelli; Studi Cognitivi, Milano Lo studio nasce dall’esigenza di indagare le componenti eziopsicopatogeniche dell’obesità, malattia cronica di diffusione mondiale che negli ultimi anni ha visto un notevole incremento nella fascia infanto-­‐adolescenziale ; solo nel 2011, in Italia, si è registrata una prevalenza del 10% sul totale della popolazione. Il campione di 457 soggetti reclutati per la ricerca provengono dal reparto di “riabilitazione nutrizionale in pazienti obesi” della Casa di Cura Villa Esperia. I pazienti vengono ammessi al ricovero se rispondono ai seguenti criteri: BMI ≥30, complicanze mediche quali diabete, apnee notturne, malattie cardiovascolari ed una buona capacità a deambulare. La somministrazione dei questionari (SCL-­‐90, BUT, BES, TAS), avviene all’inizio del ricovero su tutti i pazienti; dall’analisi statistica si osserva che il genere femminile è maggiormente compromesso nella percezione dell’immagine corporea e che risulta avere una maggior frequenza di episodi BED, mentre il tratto alessitimico non discrimina i due generi. In generale è emerso che i pazienti obesi con alti valori alla BUT e all’SCL-­‐90 hanno il 76,5 % di probabilità di avere un Binge Eating Disorder. A fronte di ciò è possibile orientare l’intervento psicoterapeutico anche sulla gestione dei temi centrali problematici legati all’immagine di sé e di sé con gli altri senza dimenticare l’ipotesi della presenza di eventuali storie traumatiche. Poster 4 Organizzazione di Significato Personale “Disturbi Alimentari Psicogeni” (DAP): verso la costruzione e validazione di un questionario Guerini R.1, Nardelli M.1, Papagna S.1, Piccini G.1, Concutelli C.1, Scottoni F.1, Rocco C.1, Sallusti F.1, Barlotti C.1, Buttazzo C.1, Ceccucci A.1, Costa E.1, Giorgio M.T.1, Ielpo F.1, Magnifico I.1, Noccioli R.1, Petroni F.1, Ruggiero M.1, Ruota C.1, Bedetti M.2, Condrò G.3, Giardina Grifo L.3, Dodet M.4 1Allievi III anno Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), Roma, 2co-­‐trainer III anno Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), Roma, 3conduttori Project Associazione di Psicologia Cognitiva (APC) Roma, 4didatta Associazione di Psicologia Cognitiva (APC), Roma Introduzione Le Organizzazioni di Significato Personale (O.S.P.) rappresentano le linee guida e il punto di riferimento di un modello teorico e clinico messo a punto a partire dalla fine degli anni ’80 (Guidano, 1987;1991). Tale modello identifica quattro organizzazioni delle quali fa parte quella definita “Disturbi Alimentari Psicogeni”, DAP. L’elevato valore euristico insito nella descrizione di ciascuna organizzazione, fra cui quella DAP, consente al clinico di identificare delle dimensioni che difficilmente sarebbe possibile cogliere con l'ausilio di altri modelli come un quadro unitario. Le organizzazioni si collocano all’interno di un modello di mente che situa le dimensioni in questione lungo un continuum tra normalità e patologia. Obiettivo Al fine di esplorare le caratteristiche tipiche delle dimensioni soggiacenti l’organizzazione DAP, descritte dal modello teorico, abbiamo condotto uno studio preliminare che possa guidarci e orientarci nella successiva fase di selezione degli item allo scopo di costruire il questionario. Per quanto a nostra conoscenza, nessun lavoro sino ad ora si è mai occupato di costruire e validare un questionario che possa misurare le dimensioni dell’organizzazione DAP. Si segnala un primo tentativo nella validazione di tutte e quattro le organizzazioni da parte di Picardi e Mannino (2001). Metodo L’intero campione è stato costituito dalla selezione casuale di 120 partecipanti reclutati all’interno di scuole pubbliche romane. Nessuno di essi era stato segnalato per disturbi neurologici, psichiatrici, sensoriali o di altro genere. Ai partecipanti è stato spiegato che avrebbero preso parte a una ricerca e che avrebbero dovuto rispondere a delle domande che sarebbero state sottoposte in forma di questionario somministrato collettivamente in aula. Dal campione iniziale di 120 partecipanti ne sono stati selezionati 86 (39 femmine e 47 maschi), d’età compresa tra i 13 e i 16 anni (M=14.55; DS=0.59) che hanno completato l’intero questionario e risposto a tutte le domande inerenti le emozioni provate in maniera prevalente, le oscillazioni d’umore prodotte dal peso e l’effetto sul senso di adeguatezza/inadeguatezza di sé. Risultati È stata condotta un’analisi di correlazione attraverso l’impiego del software statistico R, versione 2.13.0 per Windows. L’analisi dei dati suggerisce una correlazione positiva tra le oscillazioni del tono dell’umore e del peso rispetto all’emozione di rabbia (r =.63; p =.005), una correlazione positiva tra le oscillazioni del tono dell’umore e del peso rispetto all’emozione di colpa (r = .60; p =.005), una correlazione positiva tra le oscillazioni di umore e 30 peso rispetto all’emozione di tristezza (r =.42; p = .22) e correlazioni positive con le emozioni di vergogna (r = .24; p = .50) e di disgusto (r = .27; p = .45). All’interno delle correlazioni positive a raggiungere la significatività statistica sono le sole emozioni di rabbia e di colpa. Si segnala una correlazione negativa con l’emozione di paura (r = -­‐.49; p =.15) e con l’emozione che abbiamo etichettato come di “curiosità” (r = -­‐.40; p = .24), senza che esse raggiungano la significatività statistica. Conclusioni I risultati del nostro studio si conformano al costrutto soggiacente l’organizzazione DAP. In corrispondenza a variazioni relative al senso di adeguatezza/inadeguatezza di sé, il dominio emotivo presenta delle oscillazioni che si dispiegano tra rabbia e senso di colpa. Tali emozioni sono in effetti quelle che hanno raggiunto la significatività statistica nell’analisi correlazionale con le oscillazioni del tono dell’umore prodotte dal peso, in relazione a un vissuto di modificazione del senso di adeguatezza di sé. Quanto abbiamo qui voluto indagare, e di cui presentiamo i risultati in relazione al dominio emotivo, costituisce il primo passo verso la formulazione di opportuni item che descrivano sistematicamente ciascuna dimensione appartenente all’organizzazione DAP. Bibliografia Dodet M. (2001). Psicoterapia cognitiva post-­‐razionalista: il modello, la clinica, la formazione. Studi di Psichiatria, 3(2). Dodet M. (2008). Organizaciones de significado personal y trastornos de personalidad: una propuesta conscrutivista, Revista de Psicoterapia, vol. XIX, 74/75, pp. 73–88. Guidano V.F. (1987). Complexity of the Self. Guilford Press, New York (Trad. it. La complessità del Sé. Boringhieri, Torino, 1988). Guidano V.F. (1991). The Self in Process. Guilford Press, New York, 1991. (Trad. it. Il Sé nel suo divenire. Boringhieri,Torino, 1992). Picardi A. e Mannino G. (2001). Le organizzazioni di significato personale: verso una validazione empirica, Rivista di psichiatria, 36 (4). Reda M.A. (1986). Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia. Carocci, Roma. 31
Sessione Poster 1 Venerdì 18 ottobre 19.00-­‐20.00 Interventi psicologici a scuola (Sala Cristalli) Chairman: Teresa Cosentino 32 Poster 1 L’intervento REBT nella scuola primaria E. Abbate, L. Angelone, C. Biondi, C. Caruso, C. Di Agostino, V. Ionni, A. Mobili, M. Ferri, G. Caselli, R. Verità. Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto Introduzione Alcuni lavori (Di Pietro et al., 1999; Vaccaro & Verità, 2011) hanno dimostrato l’efficacia del training di Educazione Razionale-­‐Emotiva sulla modifica di diverse variabili comportamentali ed emotive in bambini in età scolare. Nel presente lavoro, si estendono in ambito educativo i principi, i metodi e le evoluzioni più recenti della Terapia Razionale Emotiva (REBT) (Ellis, 1983), con l’obiettivo di sperimentarne gli effetti sugli alunni e sugli insegnanti. Di seguito è presentata la fase pilota di un più ampio studio che sarà condotto nell’A.S. 2013-­‐14. Obiettivo Obiettivo dello studio è valutare la tendenza a pensare ed agire in maniera razionale negli alunni di classe terza di due scuole primarie e indagare il senso di autoefficacia personale e lo stress percepito negli insegnanti di una delle due scuole dopo un percorso di educazione razionale-­‐emotiva. A tal fine sono state effettuate delle misure pre e post intervento sugli alunni e sugli insegnanti. Metodo Soggetti sperimentali: 27 alunni e 4 insegnanti di 3 elementare della provincia di L’Aquila e 22 alunni di 3 elementare della provincia di Rimini. Metodi: L’intervento, condotto da psicoterapeuti in formazione, prevede un percorso organizzato in 9 sessioni di un’ora ciascuna così strutturati: - 1 incontro di formazione per insegnanti - 8 incontri con la classe (alunni e insegnati). Si tratta di incontri a tema, condotti sulla base dei programmi di Educazione Razionale-­‐Emotiva proposti nei libri Con la testa tra le favole (Verità, 2000) e Pensieri favolosi (Verità, 2006). Durante gli incontri, alla lettura delle favole vengono affiancate attività di ristrutturazione dei pensieri disfunzionali. Strumenti: Sono impiegati per la valutazione del training i seguenti questionari self-­‐report: - Questionario emotivo-­‐comportamentale (adattamento italiano di Di Pietro, 1998) per gli alunni; - Scala di efficacia personale percepita in ambito scolastico (Caprara, 2001) per gli insegnanti; - Percevied Stress Scale (adattamento italiano di Fiore, 2010) per gli insegnanti. Risultati I dati relativi ai test somministrati agli insegnanti sono stati analizzati con il test non parametrico di Wilcoxon per campioni dipendenti, considerando la scarsa numerosità del campione e che i dati non hanno distribuzione normale. Non si è riscontrata una differenza significativa del training sull’Autoefficacia (p > 0.05) (media pre = 48.5; ds = 5.19; media post= 68.5; ds = 3.87) e sullo Stress percepito (p> 0.05) (media pre = 21; ds = 0; media post = 24.25; ds = 0.96). I dati relativi al test somministrato agli alunni sono stati controllati per normalità e omogeneità, risultando normali (pre: K-­‐S d=,11767; post: K-­‐S d=,11252) e omogenei (Levene’s pre p= 0,25; Levene’s post p= 0,30). Un’ANOVA condotta sui punteggi al Questionario emotivo-­‐comportamentale prima e dopo il Training (pre; post), con i fattori Sesso (F, M) e Gruppo (Rimini, L’Aquila) come variabili categoriali, ha evidenziato solo un effetto significativo del Training (F(1, 45)=76,881, p< .001) (media pre = 9.4; ds = 2.43; media post = 12.36; ds = 2.39). Non è stato riscontrato nessun effetto di interazione. Conclusioni In conclusione, si evidenzia l’efficacia dell’intervento sulla modifica dei pensieri disfunzionali negli alunni. Non è stato riscontrato alcun effetto significativo del Gruppo, cioè non ci sono differenze nei punteggi degli alunni le cui maestre hanno partecipato al training rispetto a quelli in cui le insegnanti non hanno partecipato al training. Questo dato è probabilmente imputabile a fattori intervenienti (numerosità del campione, ore di formazione…) che saranno valutati nei prossimi studi. 33
Poster 2 Efficacia di un intervento multimodale sulle problematiche comportamentali nel gruppo classe Luzi Danila(*), Epifani Lucia, Tesei Francesca, Tripaldi Simona, Ferri Marika. Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto Introduzione Le capacità attentive e di controllo del comportamento inibitorio sono coinvolte nella manifestazione di un comportamento adattivo in funzione delle richieste esterne, soprattutto nell’ambiente classe (Barkley, 2007). Numerose ricerche evidenziano che le capacità empatiche e l’autoregolazione emotiva risultano fondamentali per instaurare adeguate relazioni interpersonali (Miles & Stipek, 2006; Shields & Cicchetti 2001). Obiettivo I bambini con comportamenti problematici presentano una compromissione di queste competenze sociali. Lo studio prende in considerazione tali premesse teoriche e intende analizzare gli effetti di un intervento multimodale a scuola rivolto al gruppo classe. Metodo 20 bambini con comportamenti problematici saranno sottoposti ad un intervento di educazione relazionale-­‐
affettiva in classe e saranno confrontati con un gruppo di 20 controlli di pari età e scolarità. Verranno utilizzati i seguenti strumenti carta e matita prima e dopo l’intervento: Test delle relazioni interpersonali (Bracken, 2003); Interpersonal reactivity index (Davis, 1980; Albiero, et al., 2006); Test di valutazione dell’autostima (Bracken, 2003); Test delle situazioni sociali (Dewey, 1991; Blair & Cipolotti, 1995); Test dell’ansia e della depressione (Newcomer et al., 2003); Test di distinzione morale/convenzionale (Blair e Cipollotti, 1995); Risultati Ci si attende che a seguito dell’intervento multimodale il gruppo sperimentale manifesti migliori abilità empatiche e un maggior livello di autostima, manifestando di conseguenza un atteggiamento più collaborativo e prosociale. Conclusioni Il gruppo favorisce l’apprendimento dal vivo delle abilità relazionali interpersonali e delle competenze sociali (Lambruschi 2004, van Manen 2001). Questi dati seppur preliminari possono contribuire ad una migliore identificazione di quegli aspetti intra-­‐ e inter-­‐ interdividuali che possono poi sfociare in una psicopatologia. Poster 3 Studio preliminare sulla motivazione all’apprendimento e strategie di intervento Tesei Francesca (*), Epifani Lucia, Luzi Danila, Simona Tripaldi, Ferri Marika. Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto Introduzione La letteratura recente definisce lo “studio come una particolare forma di apprendimento” e i “correlati del successo scolastico” sono tutti quei fattori che in maniera diversa contribuiscono alla formazione del livello di autostima di un individuo: si tratta di caratteristiche individuali, come il senso di autostima, di autoefficacia, fattori familiari e le relazioni sociali. Obiettivo Lo scopo dello studio è che migliorando o potenziando le strategie di studio si avrà un migliore livello di autostima personale, senso di autoefficacia ed un incremento della motivazione allo studio. Metodo Il campione è costituito da 20 soggetti sperimentali e 20 di controllo di pari età e scolarità. Verrà effettuato sul campione sperimentale un intervento multimodale per favorire una maggiore motivazione allo studio. Verranno somministrati i seguenti test per valutare l’efficacia dell’intervento proposto: Test di valutazione dell’autostima (Bracken, 2003); Test dell’ansia e della depressione (Newcomer et al., 2003); AMOS, Test di abilità e motivazione allo studio (De Beni, Moè, Cornoldi, 2003), da cui verranno utilizzati il QAS, questionario sull’approccio allo studio e il QCA, questionario sulle attribuzioni; Risultati Ci si attende che rispetto al gruppo di controllo, composto da ragazzi di pari età e scolarità, nel gruppo sperimentale, dopo l’intervento di potenziamento multimodale sulla motivazione allo studio e sulle strategie di studio, vi siano stati dei mutamenti sia nel livello dello stile di attribuzione dei propri successi ed insuccessi ed un incremento nella motivazione allo studio. 34 Conclusioni Questo studio può contribuire a una migliore comprensione degli aspetti motivazionali che sono alla base del successo e dell’insuccesso scolastico e a strategie di miglioramento. Poster 4 Progetto di educazione affettivo – sessuale nella scuola secondaria di I grado Irene Domenichini*, Concetta Elia*, Silvia Facci°, Francesca Baggio** *Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC -­‐ Sede di Verona; Associazione di Psicologia Cognitiva APC -­‐ Sede di Verona; **Docente Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC Introduzione La maturazione biologica, insieme allo sviluppo cognitivo, emotivo e fisico, rende gli adolescenti e i pre-­‐
adolescenti sempre più ricettivi e interessati ai temi riguardanti la sessualità e, dunque, ai messaggi (spesso contraddittori) ai quali sono quotidianamente esposti o che cercano attivamente nel mondo attorno a loro: internet e i racconti tra coetanei, infatti, sembrano essere tra le fonti più utilizzate per reperire informazioni, tuttavia si tratta spesso di rappresentazioni che consegnano un'immagine stereotipata dell'esperienza sessuale, poco articolata e priva di riferimenti al significato e alle risonanze emotive (Palmonari, A., 2001). Il lavoro che presentiamo nasce dall’esigenza di proporre un progetto di educazione affettivo-­‐sessuale, nella scuola secondaria di I grado, flessibile e capace di adattarsi alle specificità di ciascuna classe. Obiettivo L’obiettivo del contributo è duplice: 1) vorremmo presentare una fotografia delle credenze e delle modalità di reperire informazioni dei ragazzi circa la sessualità e 2) condividere un progetto che, nella nostra esperienza, ha incontrato l’apprezzamento di studenti, insegnanti e genitori. Gli obiettivi del progetto sono stati: fornire informazioni, correggendo e ampliando eventuali credenze parziali o erronee; ampliare e articolare la rappresentazione della sessualità, accompagnando i ragazzi verso una presa di coscienza anche degli aspetti relazionali e affettivi; fornire l’occasione per un confronto e un aiuto alla conoscenza dell’altro sesso; creare un contesto nel quale affrontare tematiche relative alla sessualità, invitando a discuterne anche con gli adulti di riferimento. Metodo Abbiamo incontrato insegnanti e genitori, sia prima del lavoro in classe, per conoscere i ragazzi, condividere gli argomenti in programma, chiedere se sentivano l’utilità di affrontare alcune tematiche da noi non previste, sia al termine, per restituire quanto emerso, suggerendo modalità e approcci per proseguire l’educazione affettivo-­‐
sessuale, ciascuno nell’esercizio del proprio ruolo educativo. Gli incontri con i ragazzi sono stati quattro, di due ore ciascuno e, ove possibile, hanno previsto la presenza dell’insegnante. Preliminarmente e nel corso degli incontri, i ragazzi hanno compilato alcuni questionari riadattati da “Le parole giuste” (Marmocchi P. e Raffuzzi L., 1998), funzionali a leggere le loro preferenze, acquisire informazioni sulla classe e introdurre l’incontro successivo. Al termine, si è valutato l’aumento della conoscenza percepita e il loro giudizio qualitativo sul progetto. Risultati I dati che saranno presentati riguardano un campione di 267 ragazzi al III anno della scuola superiore di I grado e confermano la tendenza a rivolgersi agli amici per ottenere informazioni o risolvere problemi in tema di sessualità, mentre forniscono un’interessante visione rispetto ai significati attribuiti ad alcune esperienze (per es. verginità, avere un ragazzo/a, età giusta per le prime esperienze sessuali/affettive) e all’omosessualità. Il questionario finale mostra un significativo aumento della percezione di conoscenza riferita dai ragazzi, i quali dicono di aver apprezzato in maniera particolare il modo diretto e “normale” con cui i temi venivano affrontati e la possibilità di discutere e trovare soluzioni ai problemi portati. Conclusioni Abbiamo riscontrato l’effettiva presenza di informazioni superficiali e/o incomplete e/o sbagliate anche sui temi già oggetto di studio, che certifica l’importanza di non fermarsi all’idea “i ragazzi sanno già tutto” o a dichiarazioni di apparente disinteresse. È stato a volte difficile stimolare i ragazzi “direttamente” e “didatticamente” sugli aspetti emotivi e valoriali legati alla sessualità; nella nostra esperienza è stato preferibile inserire trasversalmente ai diversi temi trattati alcune sulle risonanze emotive suscitate, in linea con l’obiettivo di favorire una maggiore integrazione tra gli aspetti pulsionali e quelli affettivi. 35
Poster 5 Un intervento preventivo sui comportamenti aggressivi applicato su classi di scuola primaria Lombardi Lavinia1, Stefania La Padula2, Bertacchi Iacopo3, Giuli Consuelo3, Bonetti Silvia3, Muratori Pietro4 1SPC Grosseto IV anno, Pandora Centro di Psicoterapia Cognitiva; 2SPC Grosseto IV anno; 3Associazione Mente Cognitiva, Lucca; 4IRCCS Fondazione Stella Maris Pisa Introduzione Questo lavoro illustra l’esperienza di un intervento preventivo sulle problematiche di aggressività e condotta applicato in ambito scolastico, attraverso uno studio controllato di efficacia nella pratica. Il protocollo utilizzato è stato quello del Coping Power Program (CPP) di Lochman (Lochman e Wells, 2002), considerato dalla letteratura come uno dei più studiati ed efficaci nel trattamento dei disturbi della condotta. Il protocollo è stato adattato per essere applicato come intervento preventivo in contesto scolastico, nello specifico su tutti gli alunni della classe. Obiettivo Lo scopo di questo studio è stato quello di determinare la misura in cui un approccio di tipo preventivo, quale il CPP, precedentemente trovato efficace per prevenire comportamenti problematici ed antisociali nei bambini aggressivi ad alto rischio, è in grado di diminuire i comportamenti aggressivi e migliorare le competenze sociali ed emotive se applicato come intervento di prevenzione universale nel contesto scolastico. Metodo Il campione è costituito da 9 classi di scuola primaria (184 alunni, 7-­‐10 anni) caratterizzate dalla presenza di forti problematiche comportamentali. Le classi sono state assegnate al gruppo sperimentale o di controllo in modo randomizzato: 5 classi (113 alunni) hanno ricevuto l’intervento con il CPP, 4 classi (71 alunni) non hanno ricevuto alcun intervento. Ai docenti è stato somministrato prima e dopo l’intervento il test “Strength and Difficulties Questionnaire” (SDQ) (Goodman, 1997), oltre ad un intervista post sperimentale ed un questionario di valutazione. Le 9 classi non presentavano prima dell’intervento differenze significative nelle sub-­‐scale dell’SDQ. L’intervento con il CPP consiste in un training di 24 sessioni con la classe e 12 incontri di supervisione con i docenti. Risultati Gli studenti coinvolti nel programma di intervento con il CPP hanno significativamente meno probabilità di mostrare problemi di comportamento e problemi di iperattività rispetto agli studenti del gruppo di controllo. Nello specifico le sub-­‐scale che hanno fatto registrare un cambiamento significativo sono: Totale Difficoltà: F=6.57, t0: 7.3 (sd 7), t1: 6.2 (sd 6); Problemi comportamentali: F=4.93, p<0.05, t0: 1.3 (sd 2), t1: 1.1 (sd 2); Iperattività/Disattenzione: F=8.95, p<0.001, t0: 3.0 (sd 3), t1: 2.5 (sd 3); Comportamenti Prosociali: F=13.46, p<0.001, t0: 7.1 (sd 2), t1: 7.9 (sd 2). Conclusioni Il risultato più importante di questo studio, da un punto di vista di prevenzione, è costituito dal fatto che il CPP, già risultato efficace come intervento di prevenzione secondaria per i comportamenti aggressivi e l’abuso di sostanze (Lochman e Wells 2002), è efficace anche nel prevenire i comportamenti aggressivi quando applicato come intervento preventivo in ambito scolastico. La letteratura suggerisce che il training sul problem-­‐solving e sulle abilità emotive può essere un modo efficace per ridurre i comportamenti aggressivi (Mytton 2009). Un intervento applicato sulla classe capace di prevenire i comportamenti aggressivi è importante perché può ridurre l'onere a carico degli insegnanti e dirigenti, le risorse della scuola, aumentando in tal modo il potenziale per l'attuazione e la sostenibilità (Botvin et al 2006). Poster 6 Lo psicologo nel contesto scolastico: un’esperienza di tirocinio nelle scuole. Silvia Fabris*, Mattia Garau*, Gianluca Godino*, Elisa Gottardo*, Elisa Michelini*, Valentina Raoli*, Alice Turri*, Sara Bernardelli°*Psicologi, studenti specializzandi SPC-­‐Scuola di Psicoterapia Cognitiva e APC-­‐Associazione di Psicologia Cognitiva, sede di Verona °Psicologa-­‐Psicoterapeuta, responsabile del progetto dei tirocini nelle scuole SPC-­‐Scuola di Psicoterapia Cognitiva e APC-­‐Associazione di Psicologia Cognitiva, sede di Verona Introduzione Ad oggi in Italia è cospicuo il numero di psicologi che operano nel contesto scolastico realizzando svariati interventi (Masoni, 2004; Varani e Forzani, 2005). Nonostante questo, mancano una chiara regolamentazione normativa, un’ istituzionalizzazione del ruolo (Trombetta, Alessandri e Coyne, 2008; Trombetta, 2011) ed una descrizione dettagliata delle applicazioni pratiche degli interventi attuabili. Dalla letteratura specifica emerge inoltre che, da un lato gli anni tra i 12 e i 18 rappresentano l’età più a rischio di break down evolutivo e di esordio di quadri psicopatologici, dall’altro che la scuola rappresenta il contesto privilegiato dagli adolescenti per interventi di consulenza psicologica (Varani e Forzani, 2005). In questo panorama si inserisce l’esperienza di un gruppo di psicologi, specializzandi presso la sede di Verona della Scuola APC -­‐ Associazione di psicologia 36 cognitiva e SPC -­‐ Scuola di psicoterapia cognitiva che stanno svolgendo il tirocinio di formazione in psicoterapia presso alcuni istituti comprensivi, realizzando diversi interventi di sostegno psicologico e formazione. 37
Metodo Gli obiettivi del progetto di tirocinio sono stati quelli di creare delle collaborazioni con le scuole per implementare interventi di prevenzione e promozione del benessere psicologico, di individuare precocemente eventuali problematiche dei ragazzi, di aumentare le loro risorse personali nella gestione del disagio ed infine di facilitare gli invii ai servizi territoriali competenti. Sono stati effettuati i seguenti interventi: -­‐ Lo sportello di ascolto psicologico rivolto a studenti, insegnanti e genitori; -­‐ Progetto di educazione all’affettività e sessualità; -­‐ Progetto di prevenzione del bullismo; -­‐ Interventi specifici all’interno delle classi su singole problematiche segnalate dagli insegnanti e dirigenti scolastici. I metodi utilizzati sono stati: -­‐ Colloquio psicologico; -­‐ Interventi all’interno delle classi con il supporto di materiali cartacei e video; -­‐ Interventi di tipo esperienziale, in cui gli alunni venivano invitati ad utilizzare strategie specifiche per i singoli problemi affrontati nelle singole classi allo scopo di acquisire nuove competenze, soprattutto di tipo relazionale; Trattamento Per la conduzione dello sportello di ascolto psicologico i tirocinanti una volta a settimana si sono recati nelle scuole e hanno incontrato gli alunni, i genitori e insegnanti che facevano richiesta. Per incontrare gli alunni minorenni, è stata prima fatta richiesta di autorizzazione a tutti i genitori. Per la realizzazione del progetto di educazione all’affettività e sessualità si sono organizzati degli incontri nelle prime, seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado (a seconda della richiesta e delle disponibilità delle singole scuole) e sono stati affrontati i seguenti argomenti: -­‐ Le emozioni e i sentimenti; -­‐ Le differenze tra maschi e femmine; -­‐ La riproduzione, i metodi contraccettivi, la gravidanza, l’aborto Ai ragazzi sono state presentate delle schede di lavoro a supporto di quanto discusso in classe e si è discusso insieme dei singoli argomenti e dubbi emersi. Alla fine del percorso è stato chiesto ai ragazzi di compilare un questionario di gradimento degli incontri. In relazione agli interventi di prevenzione del bullismo, sono stati condotti degli incontri nelle singole classi della scuola primaria e secondaria di primo gradi in cui sono stati affrontati i seguenti argomenti: -­‐ Le emozioni e i sentimenti; -­‐ Modi utili e dannosi di esprimere le emozioni; -­‐ Le emozioni degli altri; -­‐ Interventi di assertività per comunicare le proprie emozioni in modo utile e prevenire comportamenti prepotenti. Per la conduzione del progetto lo psicologo si è avvalso di materiali di supporto cartaceo; è stata utilizzata la tecnica del roleplaying per la messa in pratica delle nuove strategie comunicative e relazionali. Conclusioni Questo lavoro mette in luce l’utilità, gli scopi e le funzioni della figura dello psicologo nel contesto scolastico. Nelle scuole si è lavorato allo scopo di favorire il benessere psicologico degli alunni e degli adulti che sono coinvolti nella loro educazione e nella loro crescita. Considerando i dati che indicano che gli anni tra i 12 e i 18 rappresentano l’età più a rischio di break down evolutivo e di esordio di quadri psicopatologici (Varani e Forzani, 2005), diventa sempre più importante la presenza di una figura psicologica che faccia da riferimento all’interno della scuola. Questo lavoro ha lo scopo di mostrare quali possono essere gli interventi che uno psicologo può effettuare all’interno delle scuole. 38 Sessione Poster 1 Venerdì 18 ottobre 19.00-­‐20.00 Pazienti Organici/Corpo (Galleria Teatro) Chairman: Barbara Barcaccia 39
Poster 1 Il ruolo del corpo nella rappresentazione dell’azione. Uno studio comportamentale su soggetti paraplegici e tetraplegici. F.Cavallo°, A.Barbonetti °° °Centre for Clinical Research, San Raffaele Sulmona, Sulmona, Italy°°Andrologic Unit, Department of Internal Medicine, University of L’Aquila, L’Aquila, Italy Introduzione Soggetti con lesione spinale, presentano un disordine neurologico acuto, con severi deficit sensoriali e motori. Questo genera una speciale condizione del cervello, in cui le aree sensorie motorie sono preservate ma disconnesse, per cui i loro comandi motori efferenti non raggiungono gli effettori e non ricevono più feedback di afferenza. La simulazione delle azioni osservate gioca un ruolo importante nel riconoscimento della stessa. Le azioni sono rappresentate attraverso la rievocazione dell’azione osservata. I neuroni mirror rappresentano la base neuronale di tale rappresentazione. Obiettivo L’obiettivo è di indagare se azioni che non appartengono più al repertorio motorio del soggetto, per via della lesione, vengono rappresentate allo stesso modo di azioni ancora presenti nello stesso repertorio. Metodo Abbiamo utilizzato un paradigma di priming incidentale da ripetizione. Ai partecipanti sono state presentate alcune immagini che ritraggono azioni senza significato e con significato. Le immagini sono state classificate in base al fatto che ritraessero un’azione nuova o ripetuta, rispetto a un’immagine precedente in una serie di prove. Risultati Abbiamo dimostrato un effetto priming basato sulla ripetizione di un’azione; lo stato del corpo non interferisce con la rappresentazione delle azioni e il repertorio senso-­‐motorio permane anche dopo anni dalla lesione. Poster 2 La Sindrome Fibromialgica: il ruolo del rimuginio e della ruminazione rabbiosa Ricci A. 1, Bonini S. 1, Continanza M.1 , Guidi S.2, Turano M.T.2, Puliti E.1,2, Finocchietti A.1,31 Scuola Cognitiva Firenze; 2 Centro Cognitivismo Clinico Firenze; 3 Studi Cognitivi Milano Introduzione Studi in letteratura hanno dimostrato che esiste una relazione tra fibromialgia, ansia e depressione (Sarzi-­‐
Puttini, Cazzola, 2009). Da un nostro precedente studio (Bonini et al., 2012) è stato possibile osservare, rispetto ad un campione di soggetti sani, un diverso profilo psicologico nei soggetti fibromialgici in relazione all’ansia e alle variabili cognitive di controllo e rimuginio (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006). Obiettivo Lo scopo del presente lavoro è quello di esplorare la differenza tra un gruppo di soggetti affetti da Sindrome Fibromialgica rispetto ad altre patologie di dolore cronico e un gruppo di controllo in aspetti quali ansia e depressione ed indagare se i processi cognitivi di rimuginio ansioso e ruminazione rabbiosa siano in relazione con tali variabili in soggetti fibromialgici. Metodo Ad un gruppo di soggetti con diagnosi di fibromialgia, ad uno con un'altra tipologia di dolore cronico e ad un gruppo di controllo è stata somministrata una batteria di test composta da un questionario anamnestico, Fibromyalgia Impact Questionnaire (FIQ), State-­‐Trait Anxiety Inventory (STAI), Penn State Worry Questionnaire (PSWQ), Beck Depression Inventory (BDI-­‐II), Anger Rumination Scale (ARS). Sono state calcolate le differenze tra i due gruppi e le relazioni tra i costrutti indagati nel gruppo con diagnosi di fibromialgia. (Sarzi–Puttini, 2003; Pedrabissi e Santinello, 1989; Sanavio et al.,1997; Ghisi et al., 2006; Baldetti e Bartolozzi, 2012). Risultati attesi e conclusione In questa prima parte del progetto si indagheranno le caratteristiche psicopatologiche e i costrutti centrali di pazienti con diagnosi di fibromialgia con particolare interesse verso il rimuginio ansioso e la ruminazione rabbiosa. Ciò potrebbe avere importanti implicazioni nel trattamento con CBT dei pazienti fibromialgici attraverso protocolli mirati. Poster 3. TETANIA LATENTE: UN'INDAGINE ESPLORATIVA IN PAZIENTI PEDIATRICI A. Latrofa *, S. Papagna ** , M. Simeone *** D. Gagliardi °, M.G. Foschino Barbaro °° *Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Napoli, **Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Roma***Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale, Bari ° Unità operativa di Neurologia pediatrica A.O.U. Policlinico-­‐“Giovanni XXIII” Bari. °° Psicologo, Psicoterapeuta -­‐ Servizio di Psicologia, A. O. U. Policlinico “Giovanni XXIII” di Bari Introduzione 40 La “spasmofilia" è una disfunzione cronica caratterizzata da una condizione latente di labilità dell'omeostasi calcica e/o degli elettroliti che conduce ad un’ insufficienza del tasso percentuale di calcio e magnesio. Questa condizione predispone gli individui a manifestare crisi tetaniche in relazione ad un aumento dell’eccitabilità neuromuscolare (Eisinger, 1983; Prandi, 1989; Saginario et al., 1992; Battisti et al., 2006). La spasmofilia sembra essere una condizione abbastanza diffusa, sebbene vi sia ancora molta incertezza e confusione in merito ad essa. In letteratura (Melillo et al., 2009; Schneider, 2009; Seelig, 1998) sono riportate, infatti, difficoltà nella diagnosi differenziale con tutte quelle patologie come la fibromialgia, sindrome da fatica cronica o l’iperventilazione, caratterizzate da quadri clinici simili e poco chiari. Nei pochi studi condotti in merito a questa sindrome si ipotizza che alcuni fattori facilitino il passaggio da una condizione latente a crisi tetaniche manifeste. Tra questi, si rileva la presenza di aspetti di natura psicologica; nello specifico, alcuni autori ipotizzano che eventi di vita percepiti come emotivamente stressanti e difficili da affrontare possano in qualche modo predisporre l'individuo all’insorgenza di crisi tetaniche (Eisinger, 1983; Galland, 2000; Seelig 1994). Questa sindrome pertanto chiama in causa numerose aree disciplinari (la neurologia, la psichiatria, la psicologia), dalla diagnosi sino alla terapia. La poliedricità e le innumerevoli determinanti che sono alla base del disturbo richiedono adeguati approfondimenti, sia dal punto di vista organico che psicologico. Alcuni studi indicano il manifestarsi di sintomi somatici è collegato ad una diminuita capacità di identificare, esprimere, regolare le emozioni e trovare strategie di coping adeguate per gestirle (Waller & Scheidt, 2006). Inoltre è comune la comorbilità con l'ansia e la depressione (Campo et al., 2004) e vi è una certa sovrapposizione dei sintomi, per esempio la fatica e le tensioni muscolari associate con disturbo d'ansia generalizzato, che possono ulteriormente complicare la valutazione. Obiettivo Tale studio si propone di svolgere un’indagine esplorativa su un campione di pazienti afferenti all’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari al fine di meglio individuare le peculiarità della spasmofilia e cogliere eventuali processi psicologici coinvolti. Nello specifico si vuole: -­‐ verificare la presenza di sintomi psicopatologici in bambini e adolescenti con tetania latente; -­‐ confrontare i pazienti con tetania latente (positivi all’elettromiografia) con i pazienti che pur presentando la stessa sintomatologia, risultano negativi all’elettromiografia, relativamente alla presenza di sintomi psicopatologici e legame di attaccamento. Metodo È stata svolta un’analisi retrospettiva delle valutazioni psicodiagnostiche effettuate dal Servizio di Psicologia dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bari, dal 2010,su 61 pazienti, di cui 40 positivi all’elettromiografia e 21 negativi.. Ai fini di questo studio sono stati presi in considerazione i risultati dei seguenti strumenti testistici: -­‐ Separation Anxiety Test (Attili, 2001); -­‐ Scale psichiatriche di Autosomministrazione per Fanciulli e Adolescenti (Cianchetti e Fancello, 2001); -­‐ Child Behavior Checklist (Achenbach, 1991); Risultati e Conclusioni Le analisi sono attualmente in corso. Poster 4 Lo psicologo in corsia sportello di supporto psicologico per piccoli degenti e loro familiari: modelli di intervento cognitivo-­‐comportamentale Maria Terlizzi°, Giorgia Vernola*, Viviana Armenise**, Daria Di Liso**, Alessandra Cervinara ^, Alessandra Latrofa°, Marvita Goffredo°, Angela Spinelli***,Grazia Tiziana Vitale***, S. Papagna# Maria Grazia Foschino Barbaro****, ° Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Napoli, IIII Anno* Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, II Anno **Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, III Anno^ Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Ancona, II Anno*** Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, IV Anno# Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede Roma, III Anno ****Psicologo, Psicoterapeuta, Servizio di Psicologia, A. O. U. Policlinico “Giovanni XXIII”, Bari Introduzione Le osservazioni delle modalità attraverso cui il bambino organizza la sua esperienza, i pattern di interazione genitore/bambino, le differenze temperamentali ed i sistemi di autoregolazione sono contributi rilevanti nella valutazione dello sviluppo psicologico del bambino. Quest’ultimo è inoltre determinato dalle esperienze di attaccamento, dalle emozioni del caregiver che valuta e gestisce i momenti di sofferenza e le sue richieste d’aiuto. L’esperienza di malattia ed, in particolare, l’esperienza dell’ospedalizzazione, le procedure mediche invasive e dolorose e le lunghe degenze rappresentano delle esperienze che possono interferire con la qualità di vita del bambino, creando, talvolta, fratture nel suo normale sviluppo. Ci sono evidenze scientifiche che attestano la natura traumatica nelle situazioni di patologia invalidante: in questi casi i bambini svilupperebbero più frequentemente un attaccamento disorganizzato (George e Solomon 2007). La disorganizzazione 41
dell’attaccamento nella prima infanzia è correlata allo sviluppo di psicopatologie nelle età successive. La capacità del genitore di fornire le cure adeguate al bambino in una situazione di sofferenza fisica è un predittore per un sano sviluppo psicologico. Nel contesto ospedaliero, l’integrazione dello psicologo nello staff medico rappresenta un importante elemento di supporto nel percorso assistenziale in quanto potrebbe essere utile a comprendere quei sintomi e quei comportamenti ai quali la sola medicina non è in grado di rispondere e a intervenire precocemente in tutte quelle situazioni a rischio. Da settembre 2012 è stato avviato dal Servizio di Psicologia, un progetto che prevede la presenza degli psicologi specializzandi in Psicoterapia Cognitiva nelle seguenti Unità Operative: -­‐ Chirurgia Pediatrica, Ortopedia e Traumatologia, Nefrologia, Neurologia, dell’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari; -­‐ Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell’A.O.U.C. Policlinico di Bari. Nella fase iniziale, il progetto ha previsto l’osservazione delle metodologie e delle routine caratteristiche di ciascun reparto, al fine di familiarizzare con le procedure mediche, conoscere le patologie e le problematiche con cui gli operatori si confrontano quotidianamente. Successivamente, sulla base dei bisogni rilevati, è stata messa a punto una “Scheda individuale” per raccogliere informazioni e osservazioni sui bambini degenti e i loro genitori. Il sistema di assessment prevede osservazioni e colloqui in corsia che indagano le seguenti aree: Per il caregiver: rilevazione del tono dell’umore, della qualità della narrazione, delle strategie di coping, dell’adattamento all’evento stressante e analisi delle funzioni genitoriali; per il bambino: osservazione comportamentale per rilevare il tono dell’umore, le strategie di coping e i comportamenti di esplorazione che mette in atto, osservazione della relazione madre-­‐bambino ( seguendo i criteri della classificazione diagnostica 0-­‐3 per i bambini in età pre-­‐scolare). Nella fase successiva è prevista l’attuazione di interventi psicologici brevi o prolungati: interventi psicoeducativi, interventi di sostegno, interventi individuali rivolti al bambino e/o al caregiver, interventi di gruppo e interventi per la coppia e per la famiglia. I dati rilevati vengono inoltre riportati nella cartella clinica del bambino degente, fornendo una sintesi delle osservazioni relativamente a tali aree: -­‐ fattori di rischio e fattori protettivi presenti nella storia evolutiva del bambino; -­‐ tipologia di intervento psicologico effettuato; -­‐ adattamento del bambino e del genitore al contesto; -­‐ qualità della relazione madre-­‐bambino. Tesi Il progetto è volto a verificare che la presenza di uno psicologo in reparto possa: -­‐ individuare in modo precoce le situazioni a rischio e progettare interventi tempestivi; -­‐ offrire un supporto alla genitorialità in condizioni di stress; -­‐ restituire il significato psicologico del sintomo psicosomatico; -­‐ promuovere l’empowerment potenziando le risorse presenti nel nucleo familiare. Conclusioni Il progetto è ancora in fase di attuazione. Saranno dunque presentate le principali tecniche d’intervento cognitivo-­‐comportamentali utilizzate nella gestione di situazioni più o meno complesse e le relative considerazioni. Poster 5 Attaccamento e dolore in un campione di bambini con cefalea M.Goffredo*, M. Simeone**, M.G. Foschino^ *Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Napoli, III anno; **Psicologo, Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale; ^Psicologo, Psicoterapeuta -­‐ Servizio di Psicologia , A. O. U. C. Policlinico di Bari Introduzione La cefalea primaria è un disturbo particolarmente diffuso tra bambini e ragazzi di età compresa tra i 4 ed i 17 anni (Strine et al., 2006). In tal senso, una ricerca italiana condotta su un campione di soggetti con cefalea di età compresa tra gli 11 ed i 15 anni riporta che ben il 40% dei soggetti manifesta almeno un episodio di cefalea alla settimana (Santinello et al., 2009). La cefalea non investe unicamente la dimensione somatica, ma può avere anche un impatto negativo sulla qualità di vita dell’individuo che ne soffre, associandosi a stati emotivi negativi (ansia, tristezza, rabbia) ed interferendo con lo svolgimento delle consuete attività quotidiane (Powers, Andrasik, 2005; Kernick and Campbell, 2009). Molti bambini riportano, infatti, oltre al mal di testa, una frequente sensazione di affaticamento a seguito delle attività giornaliere, a cui spesso si associano un calo nel rendimento scolastico, un aumento delle giornate di assenza da scuola e una riduzione delle interazioni sociali (Grazzi et al., 2004). Negli ultimi anni, sembra essere in crescita l’interesse per la relazione che intercorre tra attaccamento e dolore. Meredith e coll. (2005; 2006) propongono l’ “Attachment-­‐Diathesis Model of Chronic Pain”, ipotizzando che la 42 relazione tra il pattern di attaccamento e gli esiti del dolore, in termini di disabilità percepita, sia mediata dal processo di “appraisal” del dolore, ossia dalla valutazione di sé e delle proprie capacità di coping, nonché dalla percezione del supporto sociale. I dati presenti in letteratura sostengono tale modello dimostrando come i soggetti con attaccamento insicuro presentano con più frequenza pensieri catastrofici legati al dolore e manifestano così stati di dolore più frequenti e di maggiore intensità (Tremblay & Sullivan, 2007; McWilliams & Asmundson, 2007). Simili risultati sono stati trovati anche in un campione di soggetti cefalalgici (Savi et al., 2005). Tali dati fanno riferimento alla popolazione adulta; esigue ad oggi le ricerche condotte in tal senso nella popolazione evolutiva. Pertanto, comprendere con più chiarezza la relazione che intercorre tra pattern di attaccamento e percezione/gestione del dolore nei bambini potrebbe consentire una più completa conoscenza dei fattori di rischio del dolore cronico nonché incrementare le possibilità di efficacia degli interventi di cura (Tremblay & Sullivan, 2007). Obiettivi Il presente lavoro persegue l’obiettivo di indagare in un campione di bambini con cefalea l’esistenza di una eventuale associazione tra pattern di attaccamento, presenza di pensieri catastrofici associati al dolore e qualità di vita percepita, partendo dall’ipotesi che anche in età evolutiva l’attaccamento insicuro si associ ad una visione catastrofica del dolore e una rappresentazione della propria qualità di vita maggiormente negativa. Metodologia I casi analizzati per il presente studio sono selezionati dall’archivio del Servizio di Psicologia dell'Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari. Sono tutti bambini provenienti dal reparto di Neurologia con diagnosi di cefalea primaria o secondaria di età compresa tra gli 8 ed i 15 anni. Gli strumenti utilizzati: il Separation Anxiety Test (SAT, Attili, 2001) per la valutazione dell’attaccamento, il Pain Catastrophizing Scale per l’età evolutiva (PCS-­‐
C; Crombez G., Bijttebier P. et al., 2003) per la misurazione del pensiero catastrofico associato al dolore, il Pediatric Quality of Life Inventory (PedsQL 4.0 Generic Core Scales; James W. Varni) per la valutazione della qualità di vita in età evolutiva. Risultati Le analisi sono attualmente in corso. Bibliografia Grazzi L., D’Amico D., Usai S., Solari A., Bussone G. (2004). Disability in young patients suffering from primary headaches. Neurological Science; 25:111–2. McWilliams LA, Asmundson GJ. (2007). The relationship of adult attachment dimensions to pain-­‐related fear, hyper-­‐vigilance, and catastrophizing. Pain;127:27-­‐34. Meredith PJ, Strong J, Feeney JA. (2005). Evidence of a rela-­‐tionship between adult attachment variables and apprais-­‐als of chronic pain. Pain Res Manag;10:191-­‐200. Meredith PJ, Strong J, Feeney JA. (2006). The relationship of adult attachment to emotion, catastrophizing, control, threshold and tolerance, in experimentally-­‐induced pain. Pain;120:44-­‐52. Kernick D, Campbell J. (2009). Measuring the impact of headache in children: A critical review of the literature. Cephalalgia; 29:3-­‐16. Powers S.W., Andrasik F. (2005). Biobehavioral treatment, disability, and psychological effects of pediatric headache. Pediatric Annals;34:461-­‐465 Santinello M, Vieno A, De Vogli R. (2009). Primary headache in Italian early adolescents: the role of perceived teacher unfairness. Headache; 49:366–374. Strine T.W., Okoro C.A., McGuire L.C., Balluz L.S. (2006). The associations among childhood headaches, emotional and behavioral difficulties, and health care use. Pediatrics;117:1728-­‐1735. Tremblay I., Sullivan M.J.L. (2007). Pain catastrophizing in adolescents: the impact of attachment style. Pediatric Pain Letter, April 2007, Vol. 9 No. 1 Poster 6 L’intervento psicologico nel pronto soccorso pediatrico Roberta Cicchelli**, Antonella Stellacci***, Daniela Bilanzuoli* Maria Grazia Foschino Barbaro° * Psicologo, Tirocinante Master in Scienze della prevenzione primaria forense e formativa per l’infanzia e l’adolescenza** Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, I anno APC *** Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Ancona, I anno SPC° Psicologo, Psicoterapeuta – Servizio di Psicologia, A.O.U. Policlinico -­‐ Ospedale “Giovanni XXIII” di Bari. Introduzione Nella società moderna un ruolo sempre più centrale sta assumendo l’intervento psicologico nelle situazioni di emergenza (Trabucco e Buonocore, 2007). Per emergenza, solitamente, si intende una situazione di pericolo e/o di forte stress per le persone, che priva delle condizioni di coping necessarie a ripristinare nell’immediato lo stato di “normalità” (Saakvitne K. W. et al. 2000). Nelle situazioni di emergenza, tutte le persone coinvolte, in 43
particolare i bambini, necessitano di un’attenzione e di un possibile supporto e/o intervento da un punto di vista psicologico. Solitamente si fa ricorso a tale intervento in contesti catastrofici su larga scala (alluvioni, terremoti), trascurando quelle situazioni di crisi che è possibile osservare quotidianamente nel Pronto Soccorso, specie in quello Pediatrico. Obiettivo Integrare la cultura medico-­‐sanitaria con quella psicologica nell’Unità di Pronto Soccorso Pediatrico (PSP); evidenziare le metodologie di intervento più efficaci per la prevenzione e promozione della salute dei bambini. Metodo Il lavoro è strutturato in due parti e preceduto dalla formazione personale degli Psicologi in merito ai concetti cardine della Psicologia dell’Emergenza e rispetto la metodologia del Triage. La prima fase consiste nell’osservazione del funzionamento (tempi e modalità operative) del PSP. Nella seconda fase, l’intervento psicologico clinico si effettua attraverso la strutturazione di una tempestiva relazione empatica con l’utenza ed il supporto agli operatori sanitari, continuamente esposti ad un elevato rischio di stress e di burn-­‐out. In base all’esperienza clinica in questo ambito, nelle attività generali del PSP gli aspetti caratteristici risultano essere: il ritmo di lavoro accelerato; la velocità dei processi decisionali (che limita il tempo dedicato a ciascun paziente e alla comunicazione); il rischio di errore e l’elevata responsabilità clinica, medico legale e relazionale. Risultati e conclusioni La necessità di gestire il Triage, le aspettative dell’utente ed i problemi relazionali ad esso correlati rappresentano bisogni emergenti. L’intervento psicologico nel PS potrebbe configurarsi, pertanto, come l’espressione di una modalità di accoglienza della sofferenza psichica dei pazienti e dei loro familiari, in grado di prevenire l’impatto potenzialmente traumatico dei danni subiti. Nonostante tali considerazioni, si riscontrano dei limiti organizzativi del setting (mancanza di ambienti dedicati e rapidità delle procedure) che non sempre permettono di operare in modo funzionale. La nostra esperienza rappresenta l’esigenza di creare una sinergia tra la prospettiva biomedica (diagnosi, trattamento, ecc.) e quella del paziente (rappresentazioni, aspettative, emozioni, ecc.) con l’intento ultimo di favorire l’umanizzazione delle cure, garantendo al paziente un clima relazionale che gli consente di sentirsi accolto e compreso ed ai familiari un sostegno in tutto il percorso ospedaliero. Infine, considerando il carico lavorativo quotidiano del personale ospedaliero sarebbe utile, in futuro, l’avvio di incontri formativi psicologici per migliorare la comunicazione tra le varie figure professionali, per ridurre il carico di stress e per diminuire gli eventuali fattori di rischio di burn-­‐out. 44 Sessione Poster 1 Venerdì 18 ottobre 19.00-­‐20.00 Processi cognitivi nei disturbi d'ansia (Sala Ping Pong) Chairman: Francesca Martino 45
Poster 1 Stili di attaccamento, tratti di personalità e credenze psicopatologiche relative all’ansia: uno studio correlazionale C. Frau, M. Giovini, C. Sodde, E. Muntoni, Studi Cognitivi – Modena; Dipartimento di Salute Mentale, Asl Sanluri Introduzione In diverse ricerche che hanno seguito dall’infanzia fino alla prima età adulta molti bambini e i loro genitori, si è dimostrato come le esperienze dissociative fossero maggiormente correlate al pattern di attaccamento disorganizzato rispetto ad altre forme di trauma fisico o sessuale. Il presente studio sperimentale esplora come uno specifico pattern di attaccamento sia correlato ai sintomi dissociativi e se la disregolazione emozionale possa condurre il soggetto a mettere in atto strategie di coping ripetute nel tempo che lo “organizzano” in tratti di personalità rigidi e coartati. Obiettivo La ricerca vuole verificare le seguenti ipotesi sperimentali: i pazienti classificati come “evitanti spaventati” rispetto ai soggetti con altri stili di attaccamento hanno più sintomi dissociativi, si stabilizzano prevalentemente in patterns di personalità ossessivo-­‐compulsiva e presentano una forte tendenza alla responsabilità patologica. i pazienti appartenenti alla categoria di attaccamento “evitante spaventato” sperimentano livelli più elevati di “Not Just Right Experience” i sintomi dissociativi sono correlati positivamente alle credenze psicopatologiche dell’ansia. Metodo Il gruppo sperimentale è composto da 40 soggetti di entrambi i sessi, di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Ad ogni soggetto è stata somministrata una batteria di test costituita da: Attachement Style Questionnaire (Feeney, Noller and Hanrahan; 1994) per la valutazione dello stile di attaccamento; SCID-­‐II (Structured Clinical Interview for DSM-­‐IV Axis II Disorders) e Young Schema Questionnaire (Jeffery Young e Gary Brown ; 2004) per valutare la personalità; Dissociative Experience Scale (Bernstein e Putnam; 1986), Dissociation Questionnaire (Vanderlinden, 1993) e i Test per la Valutazione della Dissociazione (Steinberg; 2006); Not Just Right Experience Test (Coles et al., 2003); Intolerance of Uncertainty Scale (Buhr e Dugas; 2002), Responsability Attitude Scale (Salkovskis, 2000) e Rosenberg Self-­‐Esteem Scale (Rosenberg, 1965) per la valutazione delle credenze cognitive. I risultati e le relative conclusioni derivate dalla loro interpretazione verranno esposti dettagliatamente in sede di presentazione. Poster 2 L’acquafobia e le cognizioni di mantenimento B. Postal, G. Caselli Introduzione L’acquafobia fa parte delle fobie specifiche del sottotipo “ambiente naturale”. L’acquafobia è la paura di immergersi in acqua ed è anche inquadrata come paura di nuotare. L’intenzione della ricerca qui rappresentata era di capire, quali cognizioni aiutano a mantenere quest’acquafobia. Nella ricerca qui presentata si tratta di una ricerca online. Ipotesi Persone affette da acquafobia 1. sono più ansiose rispetto a quelle che non ne soffrono 2. soffrono anche di un‘intensa paura dell‘altezza 3. hanno un‘alta paura della paura 4. hanno le credenze di comportarsi male o fare brutta figura nei momenti d‘ansia e di 5. nutrire poca fiducia in se stessi, ovvero di essere in grado di controllare la propria paura. 6. hanno difficoltà nella gestione delle emozioni 7. hanno la percezione di uno scarso controllo su se stessi e sugli eventi esterni 8. manifestano un’alta intensità della tensione pensando a momenti nei quali si trovano 9. nell’acqua profonda L’ipotesi 8 chiede cosa predice di più la tensione provata nuotando nell’acqua profonda, così come misurata dallo STAI-­‐X1. Il questionario era composto dai seguenti elementi: FSS II (Geer, 1966); 3 item important (25, 34, 46); ACS (Williams et al, 1997); sottoscala “la paura della paura”; FDS – R (Harrington, 2005); sottoscala “intolleranza delle emozioni”; ACQ (Rapel et al, 1996); STAI-­‐X1 (Spielberger, 1970). Metodo 76 persone hanno risposto al questionario. Per l’analisi sono stati raggruppati i soggetti che avevano risposto agli item 25 e 46 del FSS-­‐II con uno score > 4. 35 soggetti hanno fatto parte di questo “gruppo acquafobia”, 46 confrontato con il resto del campione usando le medie. Si è potuto osservare che il “gruppo acquafobia” ha punteggi significativamente più alti del resto del campione. Con questo le ipotesi 1, 3, 5 e 7 sono state confermate. Per verificare l’ipotesi 8 si è verificata una regressione in tutti i punteggi e lo STAI-­‐X1 come variabile dipendente. I predittori significativi sono l’ACQ scala “e” e l’ACS anxiety-­‐scale. Per confermare l’ipotesi 2 sono stati individuati i soggetti che soffrono di paura dell’altezza. La differenza è significativa e l’ipotesi è stata confermata. Con l’analisi dell’ipotesi 4 si è potuto verificare soltanto la prima parte dell’ipotesi. Per questo l’analisi sull’ipotesi 6 più dettagliata non si è potuta svolgere. Conclusioni Questa ricerca rappresenta un primo tentativo di capire meglio questa fobia. In parte si è riusciti a raggiungere questo obiettivo, c’è però ancora spazio per migliorare o allargare questa ricerca. Si poteva confermarle tutte le ipotesi, tranne l’ipotesi 6. Poster 3 Forme dell’ansia e predittori di personalità negli artisti: uno studio sui musicisti Martino Daniela, Simona Napoletano, Anna ColazilliStudi Cognitivi San Benedetto del Tronto Introduzione È ampiamente riportata in letteratura l’incidenza dell’ansia in persone che svolgono lavori particolarmente stressanti. Il nostro interesse è stato riservato ai musicisti, che vivono con la costante pressione di doversi esibire in pubblico. Le ricerche hanno tentato una analisi dei processi e delle variabili in gioco ma il quadro risulta poco chiaro, si parla indistintamente di “ansia da palcoscenico”, “ansia da prestazione” e “ansia sociale”, fornendo una descrizione univoca del fenomeno. Obiettivo Indagare la natura dell’ansia nei musicisti, operando al contempo una distinzione tra le categorie nosografiche menzionate. Il campione è di 192 soggetti, studenti di musica e diplomati in Conservatorio, dai 18 anni in su. Si vuole dimostrare che l’ansia da palcoscenico è indipendente dall’ansia da prestazione e dall’ansia sociale e quindi non patologica. A conferma dell’ipotesi, ci aspettiamo che i soggetti riportino i livelli più alti nell’ansia da palcoscenico. Ulteriore obiettivo è verificare se esiste un tratto di personalità maggiormente predittivo dell’ansia nei musicisti tra quelli ritenuti più plausibili: timore dell’errore, timore del giudizio e timore dell’attivazione fisiologica Metodo Somministrazione STAI-­‐Y opportunamente modificata, secondo 3 situazioni specifiche: suonare davanti ad un pubblico, incontrare nuove persone ad una festa e svolgere un importante esame scritto all’università, al fine di valutare rispettivamente l’ansia da palcoscenico, l’ansia sociale e l’ansia da prestazione. Somministrazione MPS, BSPS e ACS per l’identificazione del tratto di personalità. Poster 4 Connotazione negativa dell’incertezza e soglia di decisione Antonio Rigliaco Specializzandi* 4° anno 2011-­‐2012 APC Lecce Tutor Introduzione L'intolleranza all'incertezza è stata spesso studiata in relazione alle manifestazioni del Disturbo Ossessivo Compulsivo sia come bisogno di certezza, sia come espressione di tendenza al dubbio, sia in relazione a situazioni ambigue. Obiettivo Scopo di questo lavoro è di verificare se l'intolleranza all'incertezza può validamente essere studiata per mezzo di una soglia di decisione (TDS), piuttosto che come costrutto mentalistico. Si è pianificato un esperimento in cui la classe di stimoli Incertezza, preventivamente condizionata in modo aversivo, possa acquisire funzione di controllo nell’attivare condotte con caratteristiche formali proprie dei sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo influenzando lo stile di decisione individuale in un compito con dati ambigui. Metodo Un campione di 21 individui normali è stato sottoposto a questo compito prima e dopo una sessione di condizionamento negativo del significato di Incertezza. I comportamenti osservabili sono stati richiesti con apposite regole di esecuzione che definivano anche le condizioni in cui emettere le risposte. Sono state formulate le seguenti ipotesi di lavoro: Ipotesi nulla (H0): non esiste relazione tra connotazione negativa dell'Incertezza e soglia di decisione. Ipotesi alternativa (H1): esiste una relazione significativa tra connotazione negativa dell'Incertezza e abbassamento della soglia di decisione. Risultati I risultati di questo studio preliminare non confermano l’ipotesi alternativa pur non rifiutando quella nulla. 47
Poster 5 L’anxiety sensitivity in età evolutiva. Dati preliminari di validazione della versione italiana del Childhood Anxiety Sensitivity Index M. Simeone°, G. Coppola°°, D. Di Liso*, M. Goffredo**, A. Latrofa**, M.G. Foschino^ ° Psicologo, Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale °° Ricercatore universitario, Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Università “G. D’Annunzio” di Chieti-­‐Pescara * Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, III anno ** Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Napoli, III anno ** Psicologo, Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Sede di Napoli, III anno ^ Psicologo, Psicoterapeuta -­‐ Servizio di Psicologia , A. O. U. C. Policlinico di Bari Introduzione I dati in letteratura mettono in evidenza un notevole incremento dei disturbi d’ansia in età evolutiva (Costello et al. 2004). Tali disturbi si manifestano spesso con decorso di natura cronica associandosi frequentemente ad altri disturbi, in particolare il disturbo depressivo, i problemi della condotta ed il disturbo da deficit di attenzione (Bittner et al 2007). Tra i principali precursori dei disturbi d’ansia in età evolutiva, oltre ai fattori biologici ed ambientali (temperamento inibito e presenza di genitori con ansia clinicamente significativa) (Biederman et al. 2001; Cooper et al. 2006) la letteratura mette in evidenza l’anxiety sensitivity (Taylor, Jang,Stewart, & Stein, 2008). L’Anxiety Sensitivity (AS) è un costrutto cognitivo che si riferisce alla paura delle sensazioni di arousal autonomico, quali tachicardia, sudorazione, dispnea, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, tremori, difficoltà di concentrazione, confusione mentale (Reiss e McNally, 1985). Nello specifico, consiste nella credenza che tali sensazioni siano altamente pericolose e possano produrre conseguenze negative come la malattia fisica, la perdita del controllo mentale, l’umiliazione sociale. Sia nella popolazione adulta sia in quella evolutiva, tale dimensione sembrerebbe costituire un importante fattore di rischio rispetto all’insorgenza e mantenimento di tutti i disturbi d’ansia, mostrando tuttavia un’influenza specifica in relazione allo sviluppo del Disturbo di Panico (Weems et al., 2002; McLaughlin e coll., 2007). Nei bambini inoltre è stata osservata una stretta associazione con il benessere psicologico e il funzionamento sociale: alti livelli di anxiety sensitivity predicono una scarsa percezione di benessere psicologico, una maggiore incidenza di comportamenti problematici ed un peggioramento nel funzionamento sociale (Tsao et al., 2007). Obiettivo L’obiettivo di questo lavoro è presentare dati preliminari relativi alla validazione della versione italiana del Childhood Anxiety Sensitivity Index (CASI), un questionario self-­‐reported (Silverman, et al., 1991) per la misurazione dell’anxiety sensitivity in età evolutiva. Obiettivi. Lo studio si propone tre obiettivi; i primi due relativi alla validazione della versione italiana: più specificamente, si intende confermare, attraverso un’analisi fattoriale confermatoria, la struttura struttura trifattoriale, in linea con quanto emerso dalla validazione del medesimo strumento in altri contesti culturali e testare la validità concorrente dello strumento (Chirumbolo e Mannetti, 2004), verificando la correlazione tra l’anxiety sensitivity e il livello di ansia manifestata. Il terzo obiettivo dello studio intende verificare l’ipotesi di una trasmissione intergenerazionale della predisposizione all’anxiety sensitivity, verificando l’esistenza di una eventuale associazione tra l’anxiety sensitivity dei bambini e quello del genitore. Metodo E’ stato reclutato un campione (N=350) costituito da bambini e ragazzi di età compresa tra gli 8 ed i 16 anni residenti in città del Centro-­‐Italia e del Sud-­‐Italia, in fase di ampliamento. Al fine di reperire il campione, è stata chiesta la collaborazione di alcune scuole primarie e di scuole superiori di primo e secondo grado. Il progetto prevede anche il coinvolgimento attivo di un genitore per ciascun bambino e ragazzo incluso nel campione. La batteria di test prevista per le valutazioni comprende: per i bambini e ragazzi le Scale psicologiche di auto-­‐
somministrazione per fanciulli e adolescenti (SAFA, Cianchetti & Fancello, 2001), nello specifico la scala SAFA-­‐A e la scala SAFA-­‐S nelle versioni adeguate all’età, il Childhood Anxiety Sensitivity Index (CASI; Silverman, Fleisig, 48 Rabian, & Peterson, 1991), il Pain Catastrophizing Scale per l’età evolutiva (PCS-­‐C; Crombez G., Bijttebier P. et al., 2003); per il genitore l’Anxiety Sensitivity Index (ASI; Reiss, Peterson, Gursky, & McNally, 1986) e la Child Behavior Checklist/6-­‐18 (CBCL; Thomas M. Achenbach, 1991). Risultati e conclusioni Le analisi sono attualmente in corso. Bibliografia Biederman J., Faraone S., Hirshfeld-­‐Becker D.R., Friedman D., Robin J.A., Rosenbaum J.F. (2001). Patterns of psychopathology and dysfunction in high-­‐risk children of parents with panic disorder and major depression. American Journal of Psychiatry 158, 49–57. Bittner A., Egger H.L., Erklanli A., Costello J., Foley D.L., Angold A. (2007). What do childhood anxiety disorders predict? Journal of Child Psychology and Psychiatry 48, 1174–1183. Cooper P.J., Fearn V., Willetts L., Seabrook H., Parkinson M. (2006). Affective disorder in the parents of a clinic sample of children with anxiety disorders. Journal of Affective Disorders 93, 205–212. Costello J., Egger H.L., Angold A. (2004). Developmental epidemiology of anxiety disorders. In Phobic and Anxiety Disorders in Children and Adolescents (ed. T. H. Ollendick and J. S. March), pp. 61–91. Oxford University Press : New York. Reiss, S. e McNally, R. J. (1985). The expectancy model of fear. In S. Reiss e R. R. Bootzin (Eds.), Theoretical issues in behavior therapy. New York: Academic Press. McLaughin E.N., Stewart S., Taylor S. (2007). Childhood anxiety Sensitivity Index factors predict unique varance in DSM-­‐IV anxiety disorder symptoms. Cognitive Behaviour Therapy 36, 210-­‐219. Silverman W.K., Fleisig W., Rabian B. (1991) Childhood Anxiety Sensitivity Index. Journal of Clinical Child Psychology 20 (2). Taylor S., Jang K.L., Stewart S.H., Stein M.B. (2008). Etiology of the dimensions of anxiety sensitivity: a behavioral-­‐
genetic analysis. J Anxiety Disord 22:899–914 Tsao J., Meldrum M., Kim S.C., Zeltzer L.K. (2007). Anxiety sensitivity and health-­‐related quality of life in children with chronic pain. Journal of Pain, 8(10): 814–823. Weems C.F., Hayward C., Killen J., Taylor C. B. (2002). A longitudinal investigation of anxiety sensitivity in adolescence. Journal of Abnormal Psychology, 3, 471-­‐477 Poster 6 Propensione e sensibilità al disgusto nel disturbo ossessivo-­‐compulsivo: una review Catarinella Sara°, Dassisti Angela°, Fagliarone Daniela°, Gallese Marta°, Grossi Giuseppe°, Lenzi Delia°, Oliviero Luana°, Pugliese Erica°, Questa Michele° e Cosentino Teresa* ° allievi del II anno della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) di Roma * tutor del project di ricerca Introduzione Numerosi studi in questi ultimi decenni hanno messo in luce il ruolo svolto dal disgusto nello sviluppo e nel mantenimento dei disturbi d'ansia (Olatunji e McKay 2007), del comportamento alimentare (Troop et al. 2000), come anche nei pazienti schizofrenici (Schienle et al. 2003), negli ipocondriaci (Davey e Bond 2006) e tra coloro che soffrono di disfunzioni sessuali (de Jong, 1998). In questa review abbiamo passato in rassegna gli articoli recenti, nazionali ed internazionali, inerenti la peculiare relazione tra Disturbo Ossessivo-­‐Compulsivo (DOC) e disgusto. Tesi Obiettivo della presente review è stato l’esame degli studi recenti che hanno indagato l’associazione tra l’emozione del disgusto ed il Disturbo Ossessivo-­‐Compulsivo, aggiornando una precedente review sull’argomento (Berle, 2006). Nel presente lavoro, in particolare, faremo riferimento alla distinzione tra propensione al disgusto, intesa come tendenza a sperimentare più frequentemente e con maggiore intensità l’emozione di disgusto, e sensibilità al disgusto, ossia la tendenza a sovrastimare le conseguenze negative delle manifestazioni del disgusto (van Overveld, de Jong, et al., 2006), distinzione non ancora presente o chiara all’epoca della precedente review. Nello specifico, tenteremo di chiarire se i dati disponibili consentono di definire se i due costrutti correlano diversamente con il DOC ed i suoi sottotipi. Metodo Sono stati esaminati gli studi presenti in letteratura (dal 2006 ad oggi) che hanno impiegato sia strumenti self-­‐
report che prove comportamentali, nonché ricerche basate su tecniche di neuroimmagine, evidenziando i punti di forza e le criticità di ciascuno studio. Conclusioni Gli articoli presi in rassegna corroborano l’associazione tra disgusto e Disturbo Ossessivo-­‐Compulsivo, soprattutto per quanto riguarda il sottotipo basato sul timore di contaminazione; sebbene, con risultati non 49
sempre concordanti. Tuttavia, nei pochi studi che hanno distinto con chiarezza i due costrutti di propensione e sensibilità al disgusto, quest'ultima sembra avere un'implicazione più rilevante Risultati I risultati saranno discussi alla luce delle diverse limitazioni riscontrate, tra cui il prevalente ricorso a misure self-­‐report e a campioni di soggetti non clinici. 50 Sessione Relazioni -­‐ 4 Sabato 19 ottobre 11.30-­‐13.00 Sala Teatro Nuove prospettive e nuovi topic Chairman: Andrea Bassanini Discussant: Stefania Fadda 51
Presentazione 1 L’Arte della Mindfulness nella perdita e nelle inquietudini di morte Francesca Solito, Scuola di Psicoterapia Cognitiva -­‐ SPC Sede di Grosseto Il presente lavoro ha come obiettivi quelli di sottolineare il vissuto emozionale ed esistenziale di chi incontra il cancro ed esplicitare come può la coltivazione dello stato mentale mindfulness aiutare chi sta attraversando queste esperienze di grande sofferenza e di perdita di sé. La ricerca esamina gli studi attuali più importanti sugli effetti degli interventi mindfulness nella malattia oncologica. Poiché la letteratura dimostra i benefici delle pratiche mindfulness nel ridurre in maniera significativa la sintomatologia depressiva e ansiosa e nel migliorare la qualità della vita nei pazienti con il cancro, il presente studio ha inoltre come obiettivo quello di spiegare come i principi della mindfulness possono rappresentare un valido aiuto anche nell’elaborazione del lutto e nelle angosce di morte. Nell’ambito della pratica clinica la meditazione mindfulness viene applicata come sostegno al lutto ma la ricerca in questo campo non è supportata da studi che interessano una popolazione precisa di pazienti e che utilizzano procedure metodologiche e misurazioni oggettive. Si ritiene di conseguenza auspicabile che la ricerca scientifica ne dimostri l’efficacia, attraverso studi rigorosi dal punto di vista metodologico, in modo da supportare e avvalorare la pratica clinica. Presentazione 2 Il Training Metacognitivo: una ricerca nelle classi del ciclo elementare Amato M.M*, Bruschi C.*, Caponera R.*, Carpinelli L.*, Castellani V.*, Lestingi K.*, Pesce R.*, Pizzonia G.*, Ranalli C.*, Rendace L.*, Sajeva V.*, Santillo M.*, Tiberio S.*, Mercuriu M.** *Scuola di Psicoterapia Cognitiva – sede di Roma **Tutor Project di Ricerca Scuola di Psicoterapia Cognitiva APC -­‐SPC, Roma; Equipe per l’Età Evolutiva APC -­‐SPC , Roma Introduzione Il progetto nasce dall’idea, ampiamente diffusa e condivisa nella letteratura, che la didattica metacognitiva contribuisca a sviluppare capacità positive ed importanti per un corretto sviluppo cognitivo, emotivo e psicologico, del bambino durante il percorso scolastico. Potenziare le abilità metacognitive di un bambino significa dargli la possibilità di sviluppare flessibilità nel corso di un’azione, adattabilità di pensiero a diverse situazioni, automonitoraggio e controllo dell’esito delle proprie azioni. Un approccio metacognitivo è utile per stimolare e potenziare l’autoconsapevolezza, ovvero la conoscenza personale dei meccanismi e processi cognitivi, comportamentali ed emozionali che regolano la vita di tutti i giorni. Obiettivo Scopo dello studio è incrementare e favorire lo sviluppo di abilità metacognitive , promuovendo lo sviluppo di strategie di controllo, di automonitoraggio e di auto-­‐osservazione, unitamente al rafforzamento della motivazione personale. Inoltre, lavorando sulle variabili psicologiche che sono alla base di un corretto e positivo percorso personale e scolastico, si cercherà di sviluppare un efficace senso di autostima. Metodo Questo progetto pilota è stato realizzato in cinque classi (quattro terze ed una quarta elementare) dell’Istituto Comprensivo Parco della Vittoria di Roma, plesso Giacomo Leopardi. Il progetto è stato così articolato: Fase iniziale: prevede la somministrazione collettiva di alcune prove criteriali per determinare il livello di partenza degli alunni: Prove di Metacomprensione (Pazzaglia, De Beni, Cristante, 1994); Prove MT di Comprensione per le classi terze e quarte (Cornoldi, 2004); Questionario sugli Stili Attributivi (Ravazzolo, De Beni, Moè, 1998). Fase di training: si svolgerà due volte al mese, a partire da Aprile 2013 sino al mese di Novembre 2013, durante la quale gli alunni verranno coinvolti in attività di potenziamento delle abilità metacognitive, problem solving, automonitoraggio e autocontrollo. Fase di screening finale: si svolgerà nel mese di Novembre 2013. La fase di screening prevede la somministrazione collettiva delle prove criteriali per determinare il livello finale raggiunto degli alunni: Prove di Metacomprensione (Pazzaglia, De Beni, Cristante, 1994); Prove MT di Comprensione per le classi terze e quarte (Cornoldi, 2004); Questionario sugli Stili Attributivi (Ravazzolo, De Beni, Moè, 1998). Risultati Trattandosi di uno studio pilota che terminerà a Novembre 2013, verranno presentati i risultati parziali della ricerca. 52 Conclusioni Numerose ricerche (Palincsar e Brown, 1990, Torgersen, 1977, Scruggs e Mastropieri, 1991, Cornoldi e Caponi, 1991) hanno dimostrato che la didattica metacognitiva, applicata a bambini con difficoltà di apprendimento e disturbi cognitivi, può contribuire al miglioramento dei deficit mnestici, di lettura, di matematica e di scrittura oltre che migliorare qualitativamente le prestazioni dei bambini con ADHD (Deficit di attenzione con iperattività) attraverso processi di autoregolazione cognitiva. In accordo con tali dati, ci aspettiamo che gli alunni sottoposti al training metacognitivo migliorino significativamente le abilità e le competenze trattate rispetto al gruppo di controllo. Presentazione 3 La prevenzione dei Disturbi Alimentari via web. Il progetto ProYouth. Giorgia Balzarelli e Marilena Tamburrino -­‐ Studi Cognitivi, Milano Introduzione Il progetto ProYouth è un’iniziativa europea che riguarda la prevenzione via web dei Disturbi Alimentari. Obiettivo Lo scopo del progetto ProYouth è la promozione della salute psicologica nei giovani tra i 15 e i 25 anni, incentrata soprattutto su un sano regime alimentare e sul raggiungimento della soddisfazione corporea. Metodo Attraverso il portale i ragazzi possono accedere a numerose informazioni utili per risolvere dubbi legati all’alimentazione. I servizi della piattaforma sono: blog psicoeducativo, screening, monitoraggio, forum, chat di gruppo e chat individuale. Risultati I dati presentati in questo lavoro fanno riferimento allo studio pilota sull’analisi della popolazione studentesca delle scuole secondarie di secondo grado dell’Emilia Romagna al 31 maggio 2012. I partecipanti hanno compilato un questionario iniziale anonimo, contenente una serie di domande relative al comportamento alimentare e agli atteggiamenti problematici nei confronti del cibo e del proprio corpo. Conclusioni Dalle correlazioni tra tutte le variabili è emerso che la percezione del corpo negativa non è correlata, mentre le uniche variabili correlate sono preoccupazione per il peso (r = .257; p < 0,01) e comportamenti di compensazione (r = .293; p < 0,01). In conclusione, i dati ottenuti dimostrano che l'influenza della preoccupazione per il peso sulla frequenza delle abbuffate non è diretta ma passa attraverso i comportamenti di compensazione. Presentazione 4 LOVE ADDICTION: Cosa è, come funziona Chiara Manfredi*°, Gabriele Caselli*, Francesco Rovetto°, Giovanni Maria Ruggiero*, Sandra Sassaroli* *Studi Cognitivi; °Università di Pavia La dipendenza affettiva si colloca tra le dipendenze comportamentali, o new addictions, caratterizzate dall’assenza di una sostanza chimica e delle conseguenze fisiche e fisiologiche che questa comporterebbe. Ad oggi, come le altre dipendenze comportamentali, anche la Love Addiction non ha ricevuto legittimazione nel DSM-­‐V, ma è oggetto di crescente interesse clinico e sociale. La Dipendenza Affettiva è una condizione relazionale negativa caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico piuttosto che benessere e serenità (Lingiardi, 2005). Dalla letteratura risulta che il 99% dei soggetti dipendenti affettivi sono di sesso femminile (D. Miller, 1994); donne con fascia di età diversa, dalle post-­‐adolescenti di 20 anni d’età alle donne adulte di 40/50 anni. Per indagare meglio la Dipendenza Affettiva è stato avviato un filone di ricerche che, iniziando da interviste semi-­‐
strutturate su campione clinico e di controllo a scopo esplorativo, ha portato alla costruzione e validazione di un questionario psicometrico che permetta di identificare precocemente le persone che rischiano di sviluppare una dipendenza affettiva dal partner. In seguito, il questionario è stato somministrato insieme a altri strumenti clinici e sintomatici, che permettessero di delineare il “profilo” del dipendente affettivo, consentendo di cogliere gli aspetti disfunzionali e le possibili modalità di intervento. I risultati verranno presentati e discussi. 53
Presentazione 5 "Ti racconto perché dormiamo tutti insieme" Uno studio sul fenomeno del cosleeping. Semeraro V.*, Bilotta E.*, Salvi E.*, Castellani V.°, Carpinelli L.°, Pizzonia G.°, Patrizi C**. * Equipe per l’Età Evolutiva, APC-­‐SPC, Roma ° Specializzando III anno SPC, sede di Roma** Docente APC/SPC, Equipe per l’Età Evolutiva APC-­‐SPC, Roma Introduzione L’ipotesi di un rapporto tra le variabili cosleeping, disturbi del sonno e psicopatologia in età evolutiva non è stata confermata dagli studi disponibili in letteratura. La difficoltà di comprendere eventuali legami di causalità diretta è dovuta al fatto che ognuna delle variabili può essere a sua volta influenzata da fattori di tipo sociale, economico e culturale. La riflessione su abitudini legate al dormire in età evolutiva, quali il Cosleeping, deve quindi partire dalla comprensione della cornice culturale e della storia familiare, accertando se tale assetto del dormire derivi da una scelta di vita, da una risposta transitoria a eventi stressanti (separazioni o lutti), o se non sia conseguenza di un più ampio insieme di relazioni familiari psicologicamente disturbate o di problemi psicologici individuali. Una ricerca recente, svolta su un campione clinico composto da 58 bambini e ragazzi, fra gli 8 e i 14 anni, individuati presso la Clinica di Neuropsichiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma, e un campione non clinico di 47 partecipanti (nessuna diagnosi di disturbo psichico o psicoterapia pregressa) individuato in una scuola elementare e in una scuola media, ha rilevato la presenza di una correlazione tra il cosleeping e una serie di sintomi, quali ansia da separazione, anedonia e umore irritabile, evitamenti (ad esempio dormire fuori casa o partecipare a gite). Tale correlazione è presente anche tra il cosleeping ed alcune problematiche genitoriali (ansia di tratto, disturbi psicosomatici e presenza di paure e fobie). Obiettivi della ricerca Partendo dai risultati ottenuti nella prima fase della ricerca, (presentati al XVI Congresso Nazionale SITCC Roma, 4/7 Ottobre 2012), il presente lavoro si propone di descrivere le abitudini legate al sonno di bambini (età media = 10,5; d.s.= 2,1) cosleepers e non, attraverso il confronto delle risposte alle domande tratte dal questionario CSHQ -­‐ Children’s Sleep Habits Questionaire (Owens, Spirito, Mc Guinn, 2000), somministrato anche ai loro genitori. In particolare, si vogliono approfondire: Le ragioni che hanno condotto ad adottare il cosleeping. A tale scopo, verrà presentata l’analisi delle motivazioni di base dell’esordio del cosleeping partendo dalle risposte, date dai genitori e dai bambini cosleepers (appartenenti al campione clinico e al campione non clinico), alle domande del questionario circa le ragioni o gli eventi che li hanno portati ad adottare tale pratica. Le attività alle quali i figli si dedicano prima di andare a dormire. Saranno analizzate le frequenze relative alle attività che precedono il momento dell’addormentamento, comparando le risposte date allo stesso “Questionario sulle abitudini del sonno” da genitori e figli, per verificare se sono concordi o se differiscono in modo significativo nel descrivere le abitudini legate al dormire. Risultati attesi: Ci si aspetta di trovare conferme sul fenomeno che, stando alla letteratura, è maggiormente correlato con il cosleeping, vale a dire le erronee strategie di coping rispetto ai disturbi del sonno del bambino. Dall’analisi e dall’approfondimento delle risposte al “Questionario sulle abitudini del sonno”, date da genitori e figli, saranno tratte utili indicazioni che consentiranno anche di migliorare lo strumento di indagine da noi elaborato per la ricerca. Presentazione 6 Il confine fra i disturbi dello sviluppo intellettivo, dello spettro autistico e dello spettro schizofrenico N. Varrucciu1 3, M. Piva Merli 1 3 4 e M. Bertelli1 2 3 1CREA (Centro di Ricerca ed Evoluzione AMG), Misericordia di Firenze; 2Firenze WPA-­‐SPID (World Psychiatric Association-­‐Section Psychiatry of Intellectual Disability); 3SIRM (Società Italiana per lo Studio del Ritardo Mentale) 4DSNP (Dipartimento Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Studi di Firenze) Introduzione I Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) sembrano rappresentare uno dei disturbi più frequenti dell’età evolutiva, ma il confine diagnostico con i Disturbi dello Sviluppo Intellettivo (DSI) e dello Spettro Schizofrenico (DSS) risulta di difficile individuazione. Dati di letteratura riportano che l’80% delle persone con autismo ed almeno il 40% di quelle con DSA presentano DSI. Inoltre alcune dimensioni psicopatologiche, come la depersonalizzazione, la derealizzazione o la mancanza di istinto sociale collegano i DSA ai DSS. Obiettivo Obiettivo del presente lavoro è stato rivedere la letteratura internazionale per precisare il confine diagnostico fra questi ambiti secondo i diversi approcci psico-­‐patologici. 54 Materiali e Metodi È stata effettuata una mappatura sistematica della letteratura degli ultimi 15 anni sulla base della seguente domanda: “Qual è il confine diagnostico tra Disturbi dello Spettro Autistico, Disturbi dello Sviluppo Intellettivo e Disturbi dello Spettro Schizofrenico?”. Risultati DSI, DSA e DSS condividono alcune caratteristiche cliniche, neuropsicologiche e genetiche, molte delle quali sono attribuibili ad anomalie dello sviluppo cerebrale. Uno studio recente, che aveva l’obiettivo di verificare accuratamente la diagnosi di schizofrenia o di altri disturbi psicotici, ha mostrato come in molti casi venissero soddisfatti i criteri per un DSA e/o un DSI. Inoltre recenti studi di genetica hanno evidenziato come le persone con diagnosi di DSA presentino il 19 % in più di variazioni del numero dei geni collegati ai DSI rispetto ai controlli. Conclusioni Il concetto di spettro ben rappresenta forme cliniche qualitativamente differenti ma con base biologica e decorso sovrapponibili. L'estrema variabilità della sintomatologia autistica è ritenuta dalla comunità scientifica internazionale un polimorfismo attribuibile ad una complessità di fattori causali diversi, sia di tipo biologico, soprattutto genetico, che ambientale. Anche lo sviluppo dell'intelligenza è controllato dalla combinazione di fattori biologici, genetici, psicologici e socio-­‐ambientali. L'integrazione della funzione di questi geni e degli altri fattori rappresentano una delle sfide della ricerca per l’individuazione delle aree di sovrapposizione e delle differenze tra DSI, DSA e DSS e dunque dei meccanismi implicati nella predisposizione ai disturbi del neurosviluppo. Bibliografia Bradley E, Lunsky Y, Palucka A, Homitidis S. Recognition of intellectual disabilities and autism in psychiatric inpatients diagnosed with schizophrenia and other psychotic disorders, Advances in Mental Health and Intellectual Disabilities; 2011 Vol. 5 Iss: 6, pp.4 – 18 Fombonne E. Epidemiology of pervasive developmental disorders. Pediatr Res. 2009 Jun;65(6):591-­‐8. 55
Sessione Relazioni -­‐ 5 Sabato 19 ottobre 14.00-­‐16.00 Sala Teatro Dipendenza e devianza Chairman: Gabriele Caselli Discussant: Elena Bilotta Presentazione 1 La terapia cognitivo-­‐comportamentale per soggetti autori di reati: proposta per un protocollo di intervento nella realtà carceraria italiana Loredana Carrieri°, Raffaele Ettrapini°, Mattia Garau^, Lisa Grossi°, Davide Marzola°, Alessandra Scarcia°, Silvia Albanese*, Francesca Gamba*, Daniela Zardini*. APC Verona II anno SPC Verona II anno APC-­‐SPC Verona Introduzione La letteratura internazionale offre una mole considerevole di lavori dedicati alla pianificazione, all’implementazione e alla verifica di efficacia di programmi terapeutici ad orientamento cognitivo-­‐
comportamentale (CC) rivolti ad autori di reati. Meno ricca appare la realtà italiana, dove le esperienze strutturate in senso preventivo sono circoscritte a singole case di reclusione (Carcere di Opera, Casa Circondariale di Milano Bollate) e non necessariamente sono di orientamento CC. Metodo Allo scopo di definire un protocollo di intervento mirato al reinserimento sociale di autori di reati in ottica cognitivo-­‐comportamentale e applicabile alla realtà carceraria italiana è stata condotta un’analisi approfondita di: -­‐ legislazione italiana relativa alla figura dello psicologo penitenziario; -­‐ letteratura internazionale sui protocolli di intervento in ambito carcerario ad orientamento CC; -­‐ letteratura ed esperienze nazionali, a prescindere dall’orientamento teorico data la scarsa diffusione della TCC in Italia e particolarmente in questo ambito; -­‐ dati preliminari derivati dall'esperienza maturata a Verona con il progetto “Percorsi Responsabili”, progetto sperimentale promosso dalla Comunità dei Giovani in collaborazione con UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna), SPC e Fondazione Cariverona, finalizzato al pieno reinserimento del condannato e alla diminuzione della recidiva, che prevede l’attivazione di percorsi psicoterapici allo scadere della pena detentiva a complemento dell’intervento socio-­‐assistenziale. Tesi Un protocollo di intervento psicologico per autori di reati in ottica CC dovrebbe prevedere: -­‐ obiettivi ispirati a promuovere l’assunzione di responsabilità del crimine commesso, il miglioramento delle abilità comportamentali e relazionali, la riduzione della recidiva; -­‐ interventi con obiettivi diversificati condotti sia durante il periodo di reclusione sia allo scadere della pena; -­‐ criteri di inclusione ed esclusione che tengano conto della pena, dell'uso di sostanze e del tipo di reato; -­‐ valutazioni diagnostiche mirate a definire la presenza di caratteristiche psicopatologiche, rischio suicidario, deficit cognitivi e risorse; -­‐ valutazione e gestione della motivazione al trattamento; -­‐ setting di gruppo ed individuali, durante la carcerazione e/o a fine pena -­‐ utilizzo di strumenti per valutare l’efficacia dell’intervento, in particolare in termini di riduzione della recidiva; -­‐ approccio multidisciplinare e integrato con i servizi carcerari e sociali; -­‐ coinvolgimento, ove possibile, di familiari e/o di altre figure significative. Conclusioni Date la realtà carceraria italiana, la letteratura scientifica e l’esperienza del progetto “Percorsi Responsabili”, si ritiene: -­‐ auspicabile la diffusione della TCC in ambito carcerario italiano; -­‐ possibile l’introduzione di protocolli di intervento psicologico per autori di reati in ottica CC in collaborazione con istituzioni e fonti di finanziamento pubblico e privato. Presentazione 2. Temperamento, carattere e disposizione alla noia nel disturbo da abuso di sostanze Gagliardo G., Lupo M., Pascucci T., Pratesi D., Sabatini D., Iazzetta P. -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC -­‐ Sede di Grosseto Background e Obiettivi Il presente lavoro intende valutare alcuni correlati psicometrici di Dipendenza da Sostanze. In particolare lo studio si inserisce in una più ampia ricerca ricerca sul costrutto emotivo della “noia”. L'emozione, benché poco studiata, riveste un ruolo importante nella psicopatologia e nel trattamento psicoterapico di numerosi Disturbi psichici e problemi emotivi. L'ipotesi di partenza è che una maggior sensibilità alla noia possa determinare in alcuni soggetti sia una propensione alla sperimentazione di psicoattivi facilitando generalmente l'incontro con le sostanze, correlando con la cosidetta “novelty seeking”(NS) , sia che le sostanze vengano utilizzate tatticamente per combattere questo stato emotivo sgradito. Una più elevata NS è stata riscontrata in pazienti con Dipendenza da Sostanze rispetto alla popolazione generale in letteratura (Le 57
Bon O, 2004) Materiali e Metodi Sono stati reclutati 29 soggetti con disturbo di abuso/dipendenza da sostanze, in fase di remisssione , trattati in strutture preposte. La comorbilità psichiatrica è stata valutata con SCID 1 e la eventuale presenza di disturbi di Personalità con la SCID 2, interviste semistrutturate di uso universale adatte a formulare le diagnosi secondo i criteri DSM IV TR. Il campione è stato affiancato da uno di controlli sani, composto da 29 volontari. La presenza di Disturbi psichici è stata esclusa mediante la SCID NP, versione per “non pazienti” utilizzata routinariamente con questa finalità. A tutti i soggetti di entrambi i gruppi sono state somministrate due scale psicometriche: TCI-­‐
R e Sin-­‐ Il TCI-­‐R è la versione più aggiornata del noto Temperament and Character Inventory di Cloninger che misura una serie di dimensioni temperamentali (presunte a prevalente matrice genetico/biologica) e caratteriali (presunte a matrice psicogena/appresa). La SIN (Scala di Inclinazione alla noia) è la versione italiana della Boredom Proneness Scale, considerata in letteratura lo strumento più valido per l'assessment di questo costrutto. (Vodanovich & Kass, 1990) Le analisi statistiche sono state condotte con SPSS 16.0 Risultati Il punteggio totale medio alla SIN (µ: 77,20 vs 67,58) era più alto nel gruppo di pazienti con Abuso/Dipendenza da Sostanze rispetto ai controlli sani, in maniera statisticamente significativa al t-­‐test (p<0.05) L’Anova one way confermava una correlazione positiva, non statisticamente significativa tra punteggi della SIN e della scala Novelty Seeking (Ns) del TCI. Con la stessa analisi si identificavano differenze significative, poi confermate al t test, tra gruppo clinico e gruppo di controllo rispettivamente, per quanto riguarda le scale Novelty Seeking (µ107,86 vs 100,26; p<0,05);Self-­‐Directeness (µ127,49 vs148,65; p <0,005) , Cooperativness(124,79 vs 137,35 ; p>0,059) e Reward Dependence (RD) (µ:101,6 vs 96, p<0,05) Discussione Le ipotesi di partenza rimangono intriganti topic di ricerca: l’inclinazione alla noia sembra essere una dimensione psicologica in grado di discriminate tra soggetti sani e tossicodipendenti, verosimilmente la ancora scarsa numerosità campionaria non ha permesso infatti di raggiungere la significatività in alcune correlazioni. La maggior parte degli studi rivela un dato in controtendenza rispetto ai nostri risultati sulla scala RD che risulta avere un punteggio più elevato nei tossicodipendenti (Ball et al., 1999). La scala RD rappresenta l’espressione dei sisetmi neurobiologici della gratificazione a controllo dopaminergico, sul piano psicologico rimane un campo di interesse un’ipotesi esplicativa di questa dimensione sull’abuso di sostanze. L’inclinazione alla noia sembra essere una dimensione correlata all’abuso di sostanze, indipendentemente dalla ricerca di novità sensu strictu. Presentazione 3 Ricerca su pensiero desiderante e gioco d’azzardo patologico Donato G., Marcotriggiani A., Caselli G., Giustina L. Studi Cognitivi, Modena Introduzione Il pensiero desiderante è definito un processo volontario di elaborazione cognitiva delle informazioni riguardanti oggetti o attività considerati piacevoli. Recenti studi hanno dimostrato che il desire thinking è implicato nei disturbi del controllo degli impulsi, nella bulimia nervosa e nell’abuso di sostanze. Il termine “metacognizione” fa riferimento alle attività della mente che hanno per oggetto la mente stessa, sia nel momento della riflessione sia nel momento del controllo. Recenti studi (Caselli, Ghigliani e Pigionatti, 2011) si sono proposti di verificare se le metacognizioni abbiano un ruolo predittivo sul craving e sul gioco d’azzardo patologico, indipendentemente da emozioni negative e pensiero desiderante. Obiettivi La nuova ipotesi intende verificare se le metacognizioni abbiano un ruolo predittivo sul pensiero desiderante nel gioco d’azzardo patologico, indipendentemente da emozioni negative e craving, ampliando il campione di ricerca. Metodologia A un campione composto da un gruppo clinico e uno di controllo viene somministrata una batteria composta da: South Oaks Gambling Scale; Desire Thinking Questionnaire; Gambling Craving Scale; Metacognitions Desire Thinking Questionnaire – G; Hospital Ansiety and Depression Scale. Risultati preliminari L’ipotesi iniziale non è stata confermata, in quanto dall’analisi correlazionale è emerso come le metacognizioni non correlano con il disturbo di gioco d’azzardo in sé ma con il pensiero desiderante. Dall’analisi dei dati risulta che metacognizioni e craving siano predittori significativi della componente “verbal perseveration” del pensiero desiderante e che metacognizioni, craving e ansia siano predittori significativi della componente “imaginal prefiguration” del pensiero desiderante. Conclusioni 58
Alla luce dei risultati ottenuti, emerge la centralità del ruolo del pensiero desiderante nel gioco d’azzardo patologico. Ci si propone quale obiettivo di ricerca futuro approfondire le correlazioni tra metacognizione, pensiero desiderante e variabili di personalità, nonché analizzare qualitativamente i contenuti metacognitivi e legati al pensiero desiderante presenti nei giocatori d’azzardo patologici. Presentazione 4 Internet-­‐related Sex offender: il caso clinico di un adolescente Daria Di Liso*, Grazia Tiziana Vitale**, Maria Grazia Foschino Barbaro° * Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, III anno ** Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, IV Anno° Psicologo, Psicoterapeuta – Servizio di Psicologia, A.O.U. Policlinico -­‐ Ospedale “Giovanni XXIII” di Bari. Introduzione Negli ultimi anni si è potuto notare un aumento delle condanne per reati sessuali perpetrati attraverso internet. Purtroppo, questo fenomeno non riguarda solo gli adulti, ma vede coinvolti anche molti minorenni, in particolare adolescenti. Internet è ormai parte costitutiva dell’identità sociale e personale di un adolescente (Papuzza et al., 2011). La rete offre la possibilità di mettersi in contatto con gli amici di tutti i giorni, mantenere le amicizie nel tempo e di farne di nuove; tramite internet i ragazzi sperimentano molteplici e infinite identità, con passaggi continui tra mondi virtuali e reali. Cooper (1998) propone il concetto della “Tripla A” per spiegare il perché vi sia stata un’espansione significativa di attività sessuali on-­‐line: A come “a buon mercato” “accessibile” “anonimato”. L’adolescente che naviga in Internet infatti ha la possibilità di avere accesso con estrema facilità a materiale pornografico che stimoli ed appaghi la sua curiosità rispetto ad una tematica che in tale fase di vita appare centrale ai fini del processo di costruzione e definizione dell’identità. Internet, inoltre, attraverso la partecipazione ai social network facilita la costruzione delle relazioni accelerando la percezione di intimità e confidenza. Obiettivo Il presente lavoro illustrerà il percorso clinico di un adolescente. Formulazione del caso clinico G. ha 20 anni quando giunge al Servizio di Psicologia dell’Ospedale Pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari a seguito della definizione da parte del Tribunale di un progetto di messa alla prova. All’età di 17 anni, ha commesso reati sessuali attraverso l’utilizzo di Internet ai danni di diverse ragazze di età compresa tra i 12 e i 18 anni di età. Gli incontri svolti finora sono stati finalizzati all’anamnesi ed alla costruzione dell’alleanza terapeutica. Trattamento Attualmente non sono presenti in letteratura trattamenti specifici per adolescenti che commettono questa tipologia di reati legati al web. Il trattamento cognitivo-­‐comportamentale per i sexual-­‐offender, in genere, si focalizza sull’empatia, la fantasia di far del male, la sessualità e le relazioni, e prevede training sull’assertività e la rabbia (Quayle, 2003). Davis (2001) ha ipotizzato una nuova patologia legata all’utilizzo di Internet e formulato un modello di trattamento nel quale ci si sofferma sulle cognizioni disadattive legate al sé e al mondo. Per trattamento del presente caso faremo riferimento al protocollo inglese i-­‐SOPT (Internet-­‐related sexual offending), messo a punto da Middleton e collaboratori (2009). Seguendo questo programma i principali obiettivi del trattamento saranno raggruppati in due categorie: valutare e trattare il funzionamento socio-­‐
affettivo del soggetto (come ad esempio problemi di autostima e problemi di solitudine affettiva) e cambiare gli atteggiamenti pro-­‐offending (che includono deficit di empatia con la vittima e le distorsioni cognitive che riguardano gli atteggiamenti e le credenze che minimizzano e giustificano i comportamenti aggressivi). Conclusioni Il crescente numero di questo tipo di casi impone la necessità di indagare il funzionamento psicologico di tali soggetti al fine di cogliere eventuali fattori di vulnerabilità e schemi cognitivi comuni che si ripetono. Il trattamento di G. è stato intrapreso da poco tempo. Saranno presentati i dati dell’assessment ed il percorso terapeutico effettuato. Il presente lavoro intende elaborare percorsi di trattamento adeguati per l’adolescenza, capaci di ridurre concretamente il rischio di recidiva. 59
Presentazione 5 L'effetto della ruminazione sul craving nel consumo problematico di alcol: un disegno sperimentale Querci Sara*, Gemelli Antonella *, Caselli Gabriele *, Canfora Flaviano *, Lugli Anna Maria *, Annovi Claudio **, Ruggiero Giovanni Maria*, Sassaroli Sandra *, Watkins Edward***, Rebecchi Daniela**** * Scuola di Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Studi Cognitivi ** Servizio Dipendenze Patologiche, Dipartimento Salute Mentale, Azienda USL Modena *** School of Psychology, University of Exeter, Exeter, UK **** Servizio di Psicologia Clinica, Dipartimento di Salute Mentale, Azienda USL, Modena Introduzione Una serie di studi ha mostrato il ruolo centrale della ruminazione mentale nel mantenimento dei disturbi da abuso di alcool e nel rischio di ricaduta anche dopo un trattamento che non interveniva su questa variabile. Obiettivo Lo scopo dello studio era esplorare l'impatto del craving sulla ruminazione in tre popolazioni: nei soggetti con problemi alcol correlati, nei problem drinkers e nei social drinkers. Metodo I partecipanti dei tre gruppi sono stati randomizzati in due compiti d'induzione di uno stile di pensiero: distrazione e ruminazione. Il craving è stato misurato prima e dopo la condizione sperimentale e successivamente alla resting phase. Risultati I risultati hanno dimostrato che la ruminazione, rispetto alla distrazione, ha un effetto significativo nell'incrementare il craving nei pazienti con diagnosi di disturbo correlato all'alcol ma non nei problem drinkers e nei social drinkers. L'effetto era indipendente dallo stato dell'umore e della ruminazione misurate alla baseline e si manteneva anche a seguito della resting phase. Conclusioni La ruminazione ha un impatto diretto sul craving in una popolazione di soggetti con problemi alcol correlati. Bibliografia Caselli G; Bortolai C; Leoni M; Rovetto F; Spada MM. Rumination in problem drinkers. Addiction Research & Theory December 2008; 16(6): 564–571. Caselli G, Ferretti C, Leoni M, Rebecchi D, Rovetto F, Spada MM. Rumination as a predictor of drinking behaviour in alcohol abusers: a prospective study. Addiction 2010. Watkins E, Scott J, Wingrove J, Rimes K, Bathurst N, Steiner H, Kennell-­‐Webb S, et al. 2007. Rumiantion-­‐focused cognitive behaviour therapy for residual depression: A case series. Behaviour Research and Therapy 45:2144–
2154. Watkins E, Scott J, Wingrove J, Rimes K, Bathurst N, Steiner H, Kennell-­‐Webb S, et al. 2007. Rumiantion-­‐focused cognitive behaviour therapy for residual depression: A case series. Behaviour Research and Therapy 45:2144–
2154. 60
Sessione Poster 2 Sabato 19 ottobre 16.30-­‐17.30 Valutazione/Assessment (Sala Onda) Chairman: Tiziana Ciccioli 61
Poster 1 Validazione della Scala di Valutazione del Benessere (SVB) M. Paparusso, M. Amabili, G. Ceci, L. Cognigni, F. Felicetti, L. Silvestrini, M. Torrieri, L. Troiani Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto Introduzione Il benessere è un processo che si sviluppa temporalmente attraverso determinazioni del possibile all’interno del contesto in cui si agisce. Lorenzi e Scarinci (2013) hanno individuato alcuni fattori che promuovono il benessere: senso e significato della vita, relazionalità, consapevolezza, accettazione e trascendenza. Ed è su questi presupposti teorici che hanno messo a punto la scala di valutazione del benessere (SVB). Obiettivo Lo scopo di questo lavoro è analizzare le proprietà psicometriche della SVB. Metodo Un campione di 136 soggetti ha completato il questionario on-­‐line. E' stata verificata sia la validità che l’affidabilità della SVB, in particolare è stata eseguita un’analisi fattoriale, il test-­‐retest e la valutazione dell’attendibilità (alfa di Crombach). Inoltre, è stata utilizzata la Psychological Well-­‐Being Scale (PWB) di Carol Riff per verificare la validità convergente e la SCL-­‐90 per verificare la validità discriminante. Risultati La SVB ha dimostrato di avere buone proprietà psicometriche, ogni sottoscala presenta una buona consistenza interna, buona validità convergente e discriminante. Conclusioni La SVB può essere utilizzata come strumento per la misurazione completa ed approfondita del benessere psicologico. Poster 2 Il Senso di Vuoto. Validazione di un test diagnostico Pace Giovanna, Soresi Francesca, Tiseo Alessandra (Didatta: Dott. Di Tucci Antonio; Docente: Dott.ssa Fiore Francesca) Introduzione Il costrutto di vuoto può essere spiegato con molteplici significati e in letteratura vi sono poche ricerche che definiscono tale stato. Obiettivo La ricerca parte dall'ipotesi che il costrutto di vuoto può essere definito e misurabile e come obiettivo si prefigge la costruzione di un test che sia valido, attendibile e facilmente somministrabile che indaghi tale stato. Metodo Nella fase preliminare della ricerca è stato creato un elenco di definizioni del senso di vuoto da cui un test di 135 item e nella fase operativa tale test è stato somministrato attraverso una piattaforma on line insieme ad una batteria di validazione. Risultati Dalle analisi emerge un modello bifattoriale: disperazione ed odio per se'/autodistruzione i due fattori. Attraverso il metodo direct oblimin, e individuata la matrice pattern, si è giunti ad un test di 35 item. Il modello risulta con un fit accettabile, il test è attendibile e con buona coerenza. Il costrutto misurato ha correlazioni negative con self rating depression scale di Zung e il BDI e correlazioni positive con scale che misurano impulsività, aggressività, rabbia e ansia. Conclusioni Il test costruito risulta valido e affidabile confermando l'ipotesi di misurabilità del costrutto. Il senso di vuoto si spiega attraverso i fattori: disperazione e odio per se'/autodistruzione confermando l'ipotesi di poter definire tale costrutto. Poster 3 Studio di affidabilità e validazione della traduzione italiana della Beck Cognitive Insight Scale (BCIS) Biella Sabrina, Bollini Silvia, Carissimi Luca, Orsini Elena, Parabiaghi Alberto Studi Cognitivi Milano Introduzione e Obiettivo Il presente studio, progettato e promosso dall’Istituto ‘Mario Negri’ di Milano, aveva l’obiettivo di validare la versione italiana della Beck Cognitive Insight Scale, valutante l’insight cognitivo, che costituisce un’evoluzione del concetto di insight clinico. 62
Metodo I campioni principali erano costituiti da 70 soggetti psicotici ricoverati presso la Clinica Universitaria di Genova e da 106 soggetti provenienti dalla popolazione generale. Per la sola verifica della struttura fattoriale, sono stati aggiunti 25 soggetti psicotici provenienti dal Servizio Psichiatrico Universitario di Diagnosi e Cura dell’Aquila. Ai pazienti, oltre alla BCIS, sono state somministrate la Peter’s Delusion Inventory, la Positive and Negative Syndrome Scale e la Clinical Global Impression. Risultati e conclusioni E’ emersa dalle analisi una struttura fattoriale leggermente differente da quella originaria ed è stato proposto un nuovo indice di insight maggiormente discriminativo tra pazienti e controlli. Nel complesso, l’affidabilità e la validità convergente della traduzione italiana della scala si sono dimostrate accettabili. Si è evidenziata, inoltre, una relazione tra insight e miglioramento della patologia. Quanto emerso indica la possibilità di utilizzare la BCIS come strumento di valutazione dell’esito dei trattamenti in pazienti affetti da psicosi. Non si esclude che nel futuro si possano trovare relazioni tra livelli di insight e presenza di altri disturbi psichici. Poster 4 Organizzazioni di significato personale: una validazione empirica nella popolazione generale E. Moscatelli, F. Angelini, G. Annibali, M. Bartoli, A. Battistelli, M. Cavalieri, M. Cuomo, R. Di Placido, S. Flagiello, S. Leonzi, A. Marcozzi, E. Marziale, R. Modesti, A. Natali, G. Pelle, L. Pitetti, C. Ridolfi, M. A. Schiavone, F. Scortichini, F. Tucci.* R. Mosticoni°. *Allievi IV anno 2012 Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC sede di Ancona; Docente e Didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC Introduzione Il modello delle Organizzazioni di Significato Personale (OSP) postula che ogni individuo sia caratterizzato da una OSP, attraverso la quale riordina continuamente le esperienze passate e presenti in modo tale che ne risulti un senso di continuità personale, e che tali strutture siano legate al potenziale sviluppo di sintomatologie e/o differenti esperienze di attaccamento. In ognuna di esse compaiono costrutti e variabili in parte in comune e in parte specifici per ciascuna organizzazione. La presenza di costrutti/variabili comuni a più OPS, soprattutto emozionali e cognitivi (Controllo, Solitudine, Autonomia, Paura, Lontananza, Prevenire), rende laborioso validare una corrispondenza biunivoca tra OSP e disturbo. Secondo la Relational Frame Theory, se un insieme di oggetti gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva e di trasferimento di funzione allora costituiscono una Classe di Equivalenza funzionale. Specularmente, se i costrutti delle OSP godono di queste proprietà allora costituiscono una Classe di equivalenza. Obiettivo Partendo da questa premessa si è voluto verificare se i costrutti e le variabili comuni alle varie OPS godono delle suddette proprietà, identificando pertanto una classe di significati equivalenti. Se così fosse, sarebbe possibile studiare il cluster di costrutti come oggetto unico; ovvero riferirsi alla OSP come ad un meta-­‐significato che include e comprende tutti i significati personali “organizzati”. Metodo Le due parole/costrutto “paura” e “controllo” (scelte casualmente tra quelle comuni alle 4 OPS) sono state associate arbitrariamente ad un simbolo grafico in due setting separati. Successivamente si è chiesto ad un campione di 234 soggetti non patologici di associare 30 parole di un elenco che includeva altre parole/costrutto, nomi comuni ed astratti, ad uno di 3 simboli grafici. In base alla “proprietà di trasferimento della funzione”, ci aspettavamo che il simbolo associato inizialmente alla parola “Paura” o “Controllo” venisse associato quando le altre parole presentate appartenevano alla stessa classe di equivalenza. Risultati L’analisi dei dati rivela che l'associazione tra “Paura” o “Controllo” e il simbolo è trasferita anche a “Autonomia”, “Controllo”, “Paura”, “Prevenire” e “Solitudine”. Conclusioni Per la proprietà di trasferimento di funzione, pertanto, è legittimo ipotizzare che tutte queste parole/costrutto appartengano a una medesima classe di equivalenza. Il fatto che tutti i costrutti sopra citati appartengono ad una stessa classe di equivalenza fa sì che tali costrutti non siano più descrittivi di un tipo specifico di organizzazione di significato personale. Va sottolineato, inoltre, che gli individui esaminati non sono stati selezionati o classificati sulla base di OSP o di patologie: l'esistenza di questa classe di significati equivalenti appare pertanto non dipendente da variabili interindividuali. A distinguere gli agorafobici dagli ossessivi, dai depressi e dai dappici potrebbe essere il come i soggetti affrontano questi costrutti , quindi le loro strategie di coping, e non i costrutti in quanto tali. 63
Poster 5 Ipotesi di una procedura di assessment cognitivo per l’eta’ evolutiva Fazzello A., Circosta M., Contarino R., Di Mauro A., Ferrari L., Genovese T., Ierace B., La Serra M., Manglaviti M., Messina S., Morabito M., Rapisarda R., Stella E., Zema A., Mangiola G., Milasi R. Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) sede di Reggio Calabria – III anno Introduzione L’assessment è un processo valutativo finalizzato alla valutazione globale di un soggetto nella sua unicità e complessità psicologica; i colloqui e l’utilizzo di strumenti diagnostici in questa fase sono finalizzati alla comprensione della natura del problema riportato dal paziente. La raccolta di informazioni e di particolari costellazioni comportamentali ed emotive del paziente, che tendenzialmente si manifestano come sintomi psichici, consente la formulazioni di ipotesi rispetto alla natura del problema ed eventuali meccanismi di mantenimento. La procedura, si pone come obiettivo quello di significazione del sintomo entro la sofferenza psichica di quel paziente e del suo sistema. Il centro di interesse del clinico nella valutazione di pazienti in età evolutiva non è la categorizzazione del bambino e della sua sofferenza ma la lettura del suo disagio psicologico, della qualità delle sue relazioni e dei meccanismi di scompenso al fine di pervenire ad una spiegazione del disagio e di come esso si manifesta. Un assessment in ottica cognitiva prevede la formulazione dell’ipotesi diagnostica partendo dalla costruzione attuale che il bambino e i genitori fanno di sé stessi, dall’analisi del problema riportato, dalla loro storia. Metodo Sulla base delle considerazioni sin qui riportate, ci si è proposti di ipotizzare una procedura di assessment per l’età evolutiva in regime privato, di ragazzi e ragazze con un’età compresa fra i sette ed i sedici anni. Si è riflettuto su un protocollo che, a partire dalla raccolta di informazioni anamnestiche e informazioni relative allo sviluppo del bambino, i pattern primari d’attaccamento, l’organizzazione cognitiva del bambino, l’analisi del problema e dei meccanismi di scompenso che possono aver condotto alla sofferenza psicologica, l’analisi delle relazioni nel suo contesto di vita, arrivi ad individuare strumenti diagnostici specifici fino a giungere alla formulazione della diagnosi. Il protocollo di assessment prevede tre fasi, strutturate in vari incontri e in cui sono coinvolte, in maniera alternata, le figure dell’assessor, del neuropsichiatria infantile, dei genitori e del bambino. -­‐ La prima fase è strutturata in tre incontri nella quale si utilizzano strategie standard, qualunque sia la problematica che ha reso necessaria la consultazione. Durante questa fase vengono consegnati ai genitori alcuni strumenti (CBCL, scale Conners, Questionario costruito ad hoc sul funzionamento globale del bambino e la sintomatologia, SCL-­‐90; ASQ). Al bambino sono consegnati degli strumenti di autovalutazione (Scale Conners, SAFA). -­‐ La seconda può prevedere uno o due incontri nella quale vengono utilizzati strumenti diagnostici specifici scelti in base all’ipotesi diagnostica formulata. -­‐ La terza, che si svolge durante l’incontro conclusivo, è dedicata alla restituzione al bambino ed ai genitori dei risultati della valutazione. Tesi Dall’analisi della letteratura è emerso che l’età evolutiva è un campo nel quale ancora non sono disponibili strumenti e procedure chiare e definite per effettuare un buon percorso di assessment. A tal proposito si è proceduto ad individuare le fasi specifiche in cui l’assessment deve essere svolto con la relativa batteria di test da utilizzare. Conclusione Tale lavoro ha portato a definire una procedura di assessment in età evolutiva. In una fase successiva si avrà l’intento di valutare, tramite l’applicazione su un sufficiente numero di pazienti e la successiva somministrazione di strumenti che misurano il gradimento e l’efficacia, la validità della procedura costruita. Bibliografia Lambruschi F. (2004), Psicoterapia Cognitiva dell’età evolutiva, Bollati Boringieri. Isola L, Mancini F., (2013), Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza, Franco Angeli. 64
Sessione Poster 2 Sabato 19 ottobre 16.30-­‐17.30 Ruolo di genitori e caregivers (Sala Cristalli) Chairman: Angelo Saliani 65
Poster 1 L’incidenza di ansia e depressione e dei processi cognitivi associati nei genitori di bambini e adulti con autismo: ripercussioni sulla qualità della vita. Giusy-­‐Andreina Patricelli, Angela Vespa. Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto. Introduzione Le famiglie in cui è presente un figlio con disturbo dello spettro autistico sono sottoposte ad un notevole carico di sofferenza emotiva, che espone le figure genitoriali al rischio di sviluppare disagi psicologici, ripercuotendosi negativamente sulla loro qualità della vita. Obiettivo L’obiettivo della ricerca è confrontare l’incidenza di ansia e depressione e dei relativi processi cognitivi (rimuginio e ruminazione) tra due popolazioni: genitori di bambini con disturbo dello spettro autistico e genitori di adulti con la medesima diagnosi, valutando quanto e in che modo i sistemi di ansia e depressione influiscano sulla qualità della vita. Ipotesi Si ipotizza che nel primo campione predominino ansia e rimuginio dovuti all’urgenza e all’allarme derivanti dal dover fronteggiare una problematica complessa e a loro sconosciuta, mentre nel secondo prevalgano stati depressivi e ruminazione, come espressione del disagio causato da una patologia cronica e invalidante. Metodo L’indagine è stata condotta su 50 genitori di bambini con DSA di età compresa tra 3 e 10 anni e 50 genitori di adulti con DSA tra 18 e 35 anni, attraverso questionari autosomministrati. Gli strumenti selezionati per la valutazione dell’ansia sono STAI e PSWQ, per la depressione BDI e RRS, WHOQOL per la qualità della vita, PSS per lo stress percepito. Risultati I risultati tendono a confermare l’ipotesi e verranno discussi in occasione del Forum. Conclusioni L’individuazione dei processi cognitivi disfunzionali e degli stati emotivi problematici ipotizzati nelle due popolazioni consentirebbe di attuare interventi precoci sull’insorgenza di eventuali disturbi ansiosi, nonché di progettare programmi di prevenzione che ne impediscano l’evoluzione verso sindromi depressive più invalidanti. Poster 2 La presenza dei familiari: fattore protettivo per il disagio psicologico degli immigrati stranieri Ilaria Ricci (1), Manuela Scarpantoni (1,2), Lucia Epifani (1,2), Gian Luigi Menzietti (1) 1. Studi Cognitivi, San Benedetto del Tronto 2. Associazione Cognitivismo Clinico, San Benedetto del Tronto Introduzione L’immigrazione si configura come un’esperienza in continua crescita, soprattutto nei paesi occidentali, che porta con sé cambiamenti di ordine economico, sociale, culturale e psicologico. Per chi emigra, il fenomeno è caratterizzato da una serie di elementi molto stressanti, tra cui: ritmi di lavoro intensi, separazione dalla famiglia e dai figli, assenza di una vita privata; questi elementi costituiscono fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi psicologici, tra cui ansia e depressione (Tarricone, 2011). Studi internazionali sui rifugiati, hanno messo in evidenza che spesso manca il supporto sociale, perché frequentemente queste persone arrivano da sole, con modalità casuali e in un paese non scelto. E’ emerso inoltre, come aspetto fondamentale per lo sviluppo di psicopatologia, la separazione dalla famiglia (Turner et al., 2003). Grinberg (1990) sostiene che la maggiore o minore gravità dei disturbi causati dall’emigrazione dipende da come si emigra: da soli, in gruppo, in coppia o con la famiglia: “Il poter condividere con altri i momenti difficili è sempre di conforto”. Infine, condizioni abitative difficili e isolamento sociale sono stati associati a maggiori livelli di depressione (Van Velsen et al., 1996) Nella nostra pratica clinica, venendo a contatto con soggetti stranieri, abbiamo sentito la necessità di approfondire se la presenza dei familiari (es. coniuge, genitori) rappresenta per l’immigrato un fattore protettivo circa l’insorgenza di un possibile disagio psicologico (ansia e depressione) Obiettivi Lo scopo di questo studio è indagare se gli immigrati stranieri che abitano senza familiari presentano maggiori livelli di rimuginio e depressione rispetto a coloro che vivono con uno o più familiari Metodo Il campione è composto da 100 immigrati stranieri di diverse nazionalità (50 vivono da soli, 50 vivono con almeno un componente familiare). Ai partecipanti sono stati somministrati i seguenti test psicometrici Penn State Worry Questionnaire (Meyer et al., 1990) Beck Depression Inventory (Beck, 1993). L’analisi descrittiva e la verifica delle ipotesi statistiche sono effettuate mediante package statistico SPSS. 66
Risultati I risultati del campione sono in via di elaborazione Bibliografia Beck A. T., Steer R. A., (1993), "Beck Depression Inventory", The Psychological Corporation Grinberg L. e R., (1990) Psicoanalisi dell’emigrazione e dell’esilio, Franco Angeli, Milano. Meyer, T.J., Miller, R.L., et al. (1990) “Development and validation of the Penn State Worry Questionnaire”. In Behaviour Research and Therapy, 6, p.487. Tarricone I, Atti A.R., Braca M., Pompei G., Morri M., Poggi F., Melega S., Stivanello E., Tonti L., Nolet M., Berardi D., (2011). “Migrants referring to Bologna Transcultural Psychiatric Team: reasons for drop-­‐out”. In International Journal of social Psychiatry, 57, 6, pp. 627-­‐30. Turner S, W., Bowie C., Dunn G., Shapo L., Yule W., (2003). “Mental health of kosovan albanian refugees in the UK”, in British Journal of Psychiatry, 182, pp. 444-­‐48. Vanvelsen C., Gorst-­‐Unsworth C., Turner S.W., (1996). Survivors of torture and organized violence: demography and diagnosis. In Journal of Traumatic Stress, 9, pp.181-­‐93. Poster 3 Burnout e capacità di gestire le emozioni Valerio Castellucci, Valentina Mordini e William Giardi, Studi Cognitivi Sede Di San Benedetto Del Tronto Introduzione Il burnout è un processo stressogeno legato a quelle professioni in cui il rapporto con l’utente implica aiuto e sostegno nella sfera sociale e/o psicologica. Tra le dimensioni soggettive che sono state indagate ne emergono in particolare tre, strettamente legate alle capacità metacognitive di auto-­‐riflessività e comprensione della mente altrui: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale (Maslach, 1981). Obiettivo Questa ricerca si pone pertanto come obiettivo quello di valutare e individuare la relazione esistente tra il burnout e la capacità del singolo individuo di comprendere sia i propri stati mentali che quelli delle persone con cui lavora (colleghi e utenti inclusi). L’ipotesi è che all’aumentare di tali capacità metacognitive, corrisponda un minore rischio di burnout. Metodo Per indagare le dimensioni sopra indicate, si è scelto di coinvolgere un campione composto da circa 90 soggetti che lavorano in contesti considerati tradizionalmente a rischio: operatori socio sanitari, assistenti sociali, psicologi e insegnanti. A tutti sono stati somministrati i seguenti questionari: Maslach Burnout Inventory (MBI), (Maslach e Jackson, 1981); Indice di Reattività Interpersonale (IRI), (Davis, 1980); Frustration Discomfort Scale-­‐Revised (FDS-­‐R), (Harrington, 2005). Adattato alle problematiche lavorative; 5 Five Facet Mindfullness (FFMQ), (Baer, Smith, Hopkins, Krietemeyer, Toney . Traduzione e validazione italiana a cura di Didonna F. e Bosio V.) Risultati e conclusioni I risultati non sono ancora noti in quanto la raccolta e l’analisi dei dati statistici è tuttora in corso. Poster 4 Parent Inclusion in Early Intensive Behavior Interventions for young children with ASD: A Synthesis of Meta-­‐Analyses from 2009 to 2011. Iorio, A. 2, Giuliano, A. 2, Caravella, S. 2, D’Ambra M. 2, Silvestri, A. 2, Tramontano, A. 2, Cajazzo, L. 2, Falivene, R. 2, Piro, C. 2, Cesaro, L. 2, Cesareo, C. 2, Castaldo, S. 2, Lettieri, M. 2, Marino, M. 2, Sicolo, A. 2, Esposito, R. 2, Sapuppo, W. 2, Anatriello, E. 2, & Russo, K2. Strauss, K. 1, Mancini, F. 2, Fava, L. 1 1 Associazione di Volontariato “Una Breccia nel Muro”; Roma, Italia; Centro di ricerca e trattamento per L’autismo ‘‘Una Breccia nel Muro”; Roma, Italia 2 Scuola di Psicoterapia Cognitiva – SPC sede di Napoli Introduzione In questi ultimi due anni, in campo clinico e specialmente sull’Autismo, numerose linee guida nazionali ed internazionali sono state stilate al fine di raccomandare specifici trattamenti e promuovere protocolli per una diagnosi precoce, per una pianificazione di trattamenti individualizzati e per la valutazione dell’efficacia degli interventi; fare una sintesi scientifica di questa immensa letteratura diventa determinante per poter raggiungere delle conclusioni che abbiano una funzione applicata e di cambiamento rispetto a ciò che già si fa. Esistono una varietà di meta-­‐analisi disponibili che generalmente verificano l’efficacia di trattamenti intensivi cognitivi e comportamentali (EIBI) per bambini con Autismo. Tuttavia, quando si vanno a valutare i risultati empirici di ogni singolo studio di ricerca, emerge una grande variabilità negli outcomes tra uno studio e l’altro. Le evidenze cliniche e di sviluppo non sono sempre universali, difatti con alcuni bambini si hanno dei rapidi 67
progressi, con altri si riesce a fare alcuni progressi e altri ancora non mostrano progressi significativi (Eikeseth, 2009; Peters-­‐Scheffers et al., 2011, Reichow & Wolery, 2009). Quindi , risulta evidente che esistono fattori intra e inter personali che possono facilitare la differenziazione nella risposta ad uno stesso trattamento e che, inoltre, possono esistere delle leggere differenze nell’applicazione dello stesso trattamento il che può influenzare l’efficacia dell’intervento precoce. Le metà analisi, di solito, considerano una vasta gamma di dati per aumentare la potenza statistica per poter arrivare a delle conclusioni più stabili e veritiere; purtroppo spesso fattori molto specifici inclusi nei trattamenti intensivi per l’autismo non vengono ben definiti e quindi considerati. Considerando questo, le conclusioni che fino ad ora esistono, non ci permettono di definire nel dettaglio come affidabili scientificamente sia le scelte di trattamento legate all’età, alla gravità e al profilo clinico del bambino, sia la pianificazione del trattamento individualizzato considerando l’intensità, la durata e il setting di intervento e sia il monitoraggio del trattamento rispetto alle valutazioni cliniche, al tipo di training da effettuare con tutti gli attori dell’intervento e quale tipo di supervisione si necessità. Obiettivo L’analisi da noi effettuata delle meta-­‐analisi già esistenti (Eldevik et al., 2009; Makrygianni & Reed, 2010; Peters-­‐
Scheffer et al., 2011; Reichow & Wolery, 2009; Spreckley & Boyd, 2009; Virués-­‐Ortega, 2010) aveva lo scopo di esaminare le differenze chiave ( caratteristiche del trattamento, dei bambini e dell’inclusione di varie figure professionali) trovate nei campioni analizzati in ogni singolo studio di modo tale da poter delineare quali potevano essere gli effetti di moderazione per spiegare i diversi risultati emersi dagli studi analizzati. Metodo Selezione degli studi Le meta-­‐analisi considerate in questo articolo sintetizzavano programmi di trattamento basati sull’ABA con diverse definizioni che variavano da quella più classica e da manuale di Lovass (UCLA; Reichow & Wolery, 2009) a quella più allargata che include anche programmi di Pivotal Response Training (Viruès_Ortega, 2010). In totale 29 ricerche sono state considerate di cui 8 non incluse nella nostra analisi vista la loro inconsistenza da un punto di vista metodologico (uso di strumenti non standardizzati, pochi dettagli sul trattamento e molti dati mancanti per poter calcolare gli effect size). Analisi Prima di effettuare le analisi statistiche utili per calcolare gli effect size, abbiamo condotto una serie di analisi descrittive di modo da evidenziare le caratteristiche metodologiche di ogni studio relativamente al disegno sperimentale, alle caratteristiche del campione, alle caratteristiche del trattamento, ai formati di trattamento, ai dati di outcome e all’introduzione di predittori come outocome. Gli effect size sono stati calcolati usando la stima HEDGES g per 3 misurazioni di outcome: livello intellettivo, capacità di linguaggio e funzionamento adattivo. Questi sono stati stimati per ognuno dei 21 studi inclusi nella nostra analisi secondo 3 parametri: 1) TIPO D’INTERVENTO (EIBI intensivo vs EIBI meno intensivo; EIBI vs altri trattamenti; EIBI svolto in un centro vs EIBI gestito dai genitori -­‐; 2) DELIVERY FORMAT ( modelli senza inclusione dei genitori, modelli che includevano i genitori nella generalizzazione a casa, modelli con un inclusione totale del genitore; 3) STIMA GENERALE PER OGNI TIPO DI INTERVENTO. Per concludere le analisi abbiamo condotto una correlazione e una metà regressione per tutti e 3 i tipi di delivery format di modo da poter stimare l’effetto moderatore che provoca le differenze nelle diverse traiettorie di sviluppo dei bambini Risultati Analisi descrittive: Dei 21 studi solo 2 usano un disegno sperimentale con un assegnazione randomizzata. Le misurazioni diagnostiche variano tra gli studi e vengono riportate diagnosi di Autismo, Disturbi dello spettro autistico, Disturbo pervasivo dello sviluppo con e senza ritardo cognitivo. Per tutti gli studi il campione era molto piccolo con una media di soggetti M=30.43 (SD=33.92, range 9-­‐158). Non c erano differenze significative per l’età all’inizio del trattamento tra tutti gli studi ( circa 40 mesi di età). Molti studi mettevano a confronto EIBI con altri trattamenti o con trattamenti as usual. Solo 4 studi hanno confrontato differenti applicazioni dello stesso modello – 2 EIBI intensivi vs EIBI meno intensivi e 2 center-­‐based vs. EIBI mediati dai genitori. Di questi, 9 modelli escludevano i genitori dal trattamento, 8 modelli includevano i genitori attivamente nella generalizzazione delle abilità a casa e in 5 modelli il trattamento era mediato esclusivamente dai genitori. Tra questi studi, 11 hanno riportato di avere controllato la competenza e l’affidabilità dei terapisti nell’applicare il protocollo terapeutico, ma nessuno di questi ha riportato i dati parametrici con i quali venivano assicurati queste competenze. I bambini inclusi nel gruppo di trattamento ricevettero significativamente un numero di ore maggiore di trattamento rispetto al gruppo di controllo (t=3.542, p=.001; MD=12.54, CI 5.285-­‐19.787). Inoltre, non c’erano differenze tra i diversi delivery format ( con e senza inclusione del genitore) per quanto riguarda la durata e l’intensità del trattamento rispettivamente di 24 mesi e di 32 ore settimanali. In tutti i casi gli strumenti utilizzati per la valutazione variavano tra gli studi e tra le valutazioni in tempi diversi nello stesso studioi. In 14 studi sono stati stimati possibili predittori di outcome , come l’IQ, l’età cronologica e le abilità di linguaggio; solo in uno studio sono stati considerati come predittori anche l’intensità del trattamento, la sintomatologia autistica e la qualità della supervisione. 68
Analisi degli Effect-­‐size Abbiamo potuto calcolare questo valore per 13 studi che avevano un gruppo di confronto arrivando alla conclusione che quando il bambino segue un trattamento EIBI migliora significativamente di più di un bambino che ha seguito un altro intervento, in tutte e 3 le misurazioni di outcome ( IQ, Linguaggio, Capacità adattive). EIBI più intensivo è più efficace rispetto ad EIBI meno intensivo per quanto riguarda i miglioramenti di IQ. Solo 2 studi hanno messo a confronto differenti delivery formats portando a conclusioni contrastanti; uno studio ha evidenziato maggiori miglioramenti nel gruppo che ha seguito un EIBI center-­‐based e l’altro studio ha evidenziato un maggiore effetto per il trattamento mediato dai genitori. Nella nostra analisi dettagliata abbiamo analizzato queste differenze mettendo in luce che la combinazione tra staff e genitori nell’erogazione del trattamento, specialmente quando il genitore è incluso solo per la generalizzazione delle abilità a casa, risulta essere il delivery format più efficace, senza considerare il sottotipo di trattamento EIBI applicato. Meta-­‐regressione: Nell’applicazione della regressione, ristretta al delivery format, è emerso che l’intensità del trattamento facilità miglioramenti nelle abilità intellettive solo in programmi center-­‐based senza l’inclusione del genitore, mentre I programmi intensivi mediati dai genitori portano ad un miglioramento maggiore delle capacità adattive. Inoltre, il training dei supervisori incrementa l’efficacia del programma terapeutico nei modelli senza l’inclusione genitoriale, mentre nei programmi dove il genitore è incluso, lo stesso tempo di training su di loro porta ad un significativo aumento delle competenze dei bambini. Per concludere, nei modelli center-­‐based l’efficacia dell’intervento non è mediata dal funzionamento del bambino all’inizio del trattamento, invece nei modelli con l’inclusione dei genitori i bambini con abilità maggiori di linguaggio e di capacità adattive all’inizio porta ad una maggiore efficacia dell’intervento Conclusioni Il nostro scopo era quello di esaminare il differente impatto che differenti caratteristiche del delivery format hanno sull’efficacia di un intervento intensivo precoce (EIBI). I principali risultati possono essere riassunti nel seguente modo: EIBI è efficace sui bambini con Autismo, particolarmente quando i genitori sono inclusi nel trattamento, ma questa inclusione necessità di una differenziazione rispetto ad alcune caratteristiche del bambino. Questi risultati suggeriscono che i miglioramenti più grandi si hanno quando il modello è diretto dallo staff con l’inclusione del genitore che deve essere costantemente formato durante l’erogazione del trattamento, considerando, al tempo stesso, anche le caratteristiche del bambino quando inizia il trattamento. Quindi si può concludere che 3 fattori sono attivi e centrali per l’ottimizzazione del percorso di trattamento EIBI applicato all’Autismo e che necessitano di maggiori studi e approfondimenti: la formazione dei supervisori, la formazione dei genitori e le caratteristiche del trattamento individualizzato per ogni bambino con Autismo. Le implicazioni cliniche e di ricerca futura sono dettagliatamente discusso nel lavoro originale Riferimenti bibliografici Eikeseth, S. (2009). Outcome of comprehensive psycho-­‐educational interventions for young children with autism. Research in Developmental Disabilities, 30, 158–178. Makrygianni, M. K., & Reed, P. (2010). A meta-­‐analytic review of the effectiveness of behavioural early intervention programs for children with Autistic Spectrum Disorders. Research in Autism Spectrum Disorders, 4, 577–593. Peters-­‐Scheffer, N., Didden, R., Korzilius, H., & Sturmey, P. (2011). A meta-­‐analytic study on the effectiveness of comprehensive ABA-­‐based early intervention programs for children with autism spectrum disorders. Research in Autism Spectrum Disorders, 5, 60–69. Reichow, B., & Wolery, M. (2009). Comprehensive synthesis of early intensive behavioral interventions for young children with autism based on the UCLA Young Autism Project model. Journal of Autism and Developmental Disorders, 39, 23–41. Spreckley, M., & Boyd, R. (2009). Efficacy of applied behavioral intervention in preschool children with autism for improving cognitive, language, and adaptive behavior: A systematic review and meta-­‐analysis. Journal of Pediatrics, 154, 338–344. Viruès-­‐Ortega, J. (2010). Applied behavior analytic intervention for autism in early childhood: Meta-­‐analysis, meta-­‐regression and dose-­‐response meta-­‐analysis of multiple outcomes. Clinical Psychology Review, 30, 387–399. Poster 5 Accompagnare per l’ultimo viaggio: Interventi cognitivo comportamentali nelle cure palliative pediatriche S. Papagna *, A. Spinelli **, L. La Gioia ***, M.G. Foschino Barbaro ° Affiliazione: * Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Roma ** Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce *** Psicologo, Psicoterapeuta ° Psicologo, Psicoterapeuta -­‐ Servizio di Psicologia, A. O. U. Policlinico “Giovanni XXIII”, Bari Introduzione Le patologie inguaribili sono molteplici: da quelle oncologiche, alle malattie neuromuscolari e neurovegetative, alle patologie metaboliche e alle sindromi genetiche. Ciascuna di esse risulta caratterizzata da peculiarità a 69
livello sintomatico e terapeutico e possono essere differenziate in base sia all’aspettativa di vita sia alla compromissione dello stato di salute che esse comportano. Quando parliamo di cure palliative pediatriche (CPP), così come specificato dall’OMS (1998), ci riferiamo alla presa in carico attiva e totale del corpo, della mente, dello spirito del bambino con malattia inguaribile ma anche al sostegno alla sua famiglia (Guarino, 2006). Le CPP comprendono dunque il controllo del dolore e degli altri sintomi legati alla malattia, ma anche la gestione dei problemi psicologici, sociali e spirituali dei pazienti e dei loro familiari, al fine di assicurare loro la migliore qualità di vita possibile, nonostante la condizione critica sia a livello fisico che psicologico (Wolfe, Friebert e Hilden, 2002). L’intervento psicologico risulta particolarmente utile in tale contesto di cura, al fine di affiancare i piccoli pazienti e le loro famiglie nel processo di accettazione e di adattamento alla diagnosi infausta. Nello specifico, esso avrebbe lo scopo di potenziare gli stili di coping, di accompagnare nella gestione degli aspetti emotivi e dei processi di decision making legati alle scelte terapeutiche nonché nel percorso di accettazione del lutto. Lo scopo del presente lavoro è quello di passare in rassegna le diverse forme di intervento psicologico sviluppate e applicate nelle CPP e sviluppare un protocollo di trattamento da rivolgere ai bambini e alle famiglie. Metodo In base ad una serie di ricerche effettuate consultando PubMed e la banca dati EBSCO, verranno descritti i processi psicologici e relazionali individuabili nei contesti di cure palliative pediatriche, i protocolli implicati nel supporto psicologico applicabili al trattamento psicologico, e gli indicatori di un miglioramento della qualità di vita. Tesi Questo studio si pone l’obiettivo di evidenziare come i principi della terapia cognitivo-­‐comportamentale, ed in particolare dell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy; Hayes, 2005), possano essere particolarmente efficaci nel promuovere una migliore qualità di vita nelle fasi terminali della malattia, sia nei bambini che nei loro familiari. L’integrazione di strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell'azione e modificazione del comportamento, si rivelano utili per incrementare la flessibilità psicologica e le strategie di coping. L’obiettivo è quello di rendere il più elevata possibile la qualità di vita del bambino e della sua famiglia, che sperimenta situazioni di sofferenza e stress cronico. Conclusioni Nonostante il numero di studi sull’applicabilità e l’efficacia di psicoterapie ad orientamento cognitivo-­‐
comportamentale nelle CPP sia ancora piuttosto esiguo, i dati riportati in letteratura suggeriscono che un intervento precoce, specie se basato sulle tecniche della Terapia di Accettazione, possa svolgere un ruolo nel migliorare la qualità di vita durante la malattia e dopo la morte del bambino. Questo tipo di interventi si sono rivelati efficaci in contesti di malattia grave o cronica, nonché in caso di intensi e prolungati sintomi algici (Coyne, McHugh & Martinez, 2011; Prevedini, Presti, Rabitti, Miselli & Moderato, 2011; Veehof, Oskam, Scheurs & Bohlmeijer, 2010). L’applicazione dell’Acceptance and Committment Therapy in contesti di CPP si è mostrata utile al fine di ridurre in maniera statisticamente significativa la sintomatologia depressiva ed ansiosa nonché i livelli di fatica percepiti dai genitori. Inoltre, un intervento precoce sulla base dei principi dell’ACT, ridurrebbe la sintomatologia depressiva anche in seguito alla morte del proprio caro (Bohlmeijer et.al., 2010). Sulla base dei protocolli analizzati, si cercherà di definire una metodologia di intervento per poter successivamente applicare i principi dell’ACT anche ai casi di CPP. Poster 6 “Il Parent Training nella formazione dei genitori con bambini che presentano difficoltà comportamentali”. Carrieri Loredana, Dalla Costa Stefania, De Broi Vera, Di Giovanna Federica, Greselin Giulia, Maddalena Yuri, Marzola Davide, Moschion Elisa, Porto Maria , Salici Manuela, Setti Giulia, Tessari Elena, Xodo Erica, Zocatelli Giada. Conduttore del Project: Lorenzon Maria Grazia. Il Parent Training è un modello di intervento psicologico rivolto ai genitori, al fine di modificare lo stile relazionale e gli atteggiamenti che influiscono negativamente sul comportamento dei bambini, restituendo loro la responsabilità di agire attivamente sullo sviluppo dei propri figli. Il P.T. rappresenta un approccio ai problemi del bambino diverso dalla terapia infantile tradizionale che non può essere inteso come risolutivo, ma come uno strumento che può completare il trattamento clinico, aumentando la possibilità di ottenere cambiamenti significativi e duraturi nei disturbi dei bambini. Molti studi hanno documentato i buoni risultati di questo modello d’intervento, ancora poco sviluppato in Italia. Il presente lavoro riguarda una proposta di Parent Training rivolta a genitori di bambini che non hanno una diagnosi specifica ma presentano problemi esternalizzanti e difficoltà di gestione in famiglia, età 8-­‐10 anni. Partendo da un’indagine sui più recenti contributi sul P.T. nell’ambito della ricerca internazionale e nel panorama italiano, sono stati messi a confronto diversi modelli di P.T. al fine di proporre un programma di P.T., il più completo possibile, articolato nell’ottica della maggior efficacia dell’intervento. Si conclude sull’opportunità di strutturare il P.T in 8-­‐10 incontri. I contenuti proposti danno particolare rilevanza alla rielaborazione cognitiva ed emotiva dei vissuti dei genitori e alle tecniche comportamentali, tutti 70
aspetti ritenuti fondamentali per la gestione delle problematiche del bambino. In particolare vengono affrontati i seguenti argomenti: senso di competenza e autoefficacia genitoriale, tecniche di gestione emotiva: gestione della rabbia, dell’aggressività, dei sensi di colpa e altri aspetti di educazione emotiva, tecniche di gestione cognitiva del problema: adeguata comprensione delle difficoltà del bambino, sistema di credenze, di attribuzioni, aspettative, locus of control, tecniche comportamentali per la gestione educativa. Dal punto di vista metodologico il P.T è proposto per un gruppo di genitori, in quanto risulta la modalità più efficace, ma può essere proposto individualmente. La conduzione del gruppo è affidata a due terapeuti, utilizzando un approccio collaborativo tra psicologo e genitori. Tra le attività da proporre si considerano particolarmente efficaci il role-­‐playing e gli homeworks. Si conclude inoltre che per migliorare le competenze dei bambini, una maggior sinergia può essere ottenuta attivando in parallelo al P.T. con i genitori un percorso con gli insegnanti del bambino: P.T e Teacher Training, in gruppi separati. La naturale prosecuzione del progetto prevede la sperimentazione del programma in situazione reale, focalizzando l’attenzione su un altro degli aspetti critici del P.T., la valutazione dell’efficacia dell’intervento e gli incontri di follow-­‐up. 71
Sessione Poster 2 Sabato 19 ottobre 16.30-­‐17.30 Psichiatria e Psicofisiologia (Sala Ping Pong) Chairman: Sara Mori 72
Poster 1 La relazione tra alessitimia e dissociazione nelle Crisi Psicogene Non-­‐Epilettiche Andrea Poli 1, 2, Cristina Meoni 1, Claudio Bartolozzi 3, Giancarlo Muscas 4† & Ferdinando Galassi 5 1Scuola Cognitiva di Firenze, via delle Porte Nuove, 10, Firenze; 2Istituto di Neuroscienze, CNR, via Moruzzi, 1, Pisa; 3AOU Careggi, Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Reparto di Genetica Medica, Firenze; 4AOU Careggi, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Reparto di Neurologia, Firenze; 5AOU Careggi, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Reparto di Psichiatria, Firenze. Introduzione Le crisi psicogene non epilettiche (PNES, Psychogenic Non-­‐Epileptic Seizures) sono comportamenti parossistici che somigliano alle crisi epilettiche (EP, Epileptic Seizures) ma che, tuttavia, non presentano i cambiamenti dell’attività elettrica corticale che mostrano le EP (Devinsky et al., 2011; Szaflarski et al., 2003). A differenza delle EP, le PNES hanno un’origine psicologica e sono classificate nel DSM-­‐IV-­‐TR come un tipo di disordine da conversione (APA, 2000). Nonostante i pazienti con PNES mostrino un’esperienza emotiva più intensa (Roberts et al., 2012), e un estremo arousal emozionale possa risultare in un fallimento integrativo della memoria (van der Kolk, 2006), oltre a provocare difficoltà nei pazienti ad identificare i triggers emotivi scatenanti le crisi (Ehlers & Clark, 2000), non vi sono ancora, ad oggi, evidenze definitive sulla relazione tra dissociazione ed alessitimia nei pazienti con PNES e nei pazienti con PNES in comorbilità con EP (PNES + EP) (Myers et al., 2013; Schacter & LaFrance, 2010). Obiettivo La ricerca si propone di verificare le seguenti ipotesi: 1) la predisposizione alla dissociazione è un fattore predittivo per lo sviluppo di PNES; 2) l’alessitimia è mediatore degli effetti della dissociazione sulle probabilità di sviluppare PNES. Metodo I soggetti del nostro studio sono: 14 pazienti con PNES, 13 pazienti con PNES + EP, 9 pazienti con EP (tutti selezionati con monitoraggio video-­‐EEG) e 16 controlli sani (HC, Healthy controls). Ad ogni soggetto è stato somministrato un protocollo di valutazione: Dissociative Experiences Scale (DES-­‐II), Toronto Alexithymia Scale (TAS-­‐20), Beck Depression Inventory (BDI-­‐II), State-­‐Trait Anxiety Inventory per l’ansia di stato (STAI-­‐S) e di tratto (STAI-­‐T). Le analisi statistiche che abbiamo eseguito sono state regressioni logistiche multiple e combinazioni di modelli di regressione lineare e logistica multinomiale per l’analisi di mediazione/moderazione secondo i criteri raccomandanti da Baron e Kenny (Baron & Kenny, 1986), aggiornati e migliorati da Hicks e Tingley (Hicks & Tingley, 2011) e da Hayes (Hayes, in press).Risultati: I risultati indicano che i pazienti con PNES e PNES + EP presentano punteggi significativamente maggiori, rispetto ai pazienti con EP e gli HC, alla TAS-­‐20 e, in particolare, alle sottoscale Difficoltà ad identificare i sentimenti (DIF, Difficulty to Identify Feelings) e Pensiero orientato all’esterno (EOT, Externally Oriented Thinking), mentre i pazienti con PNES presentano punteggi significativamente maggiori, rispetto ai pazienti con PNES + EP, EP e gli HC, alla DES-­‐II e, in particolare, alla sottoscala Assorbimento (Abs, Absorption). Dai modelli di regressione logistica risulta che solo le sottoscale EOT ed Abs sono in grado di predire in maniera significativa l’appartenenza al gruppo diagnostico PNES. Dall’analisi di mediazione/moderazione risulta che la sottoscala Abs è in grado di predire l’appartenenza al gruppo PNES, ma non al gruppo PNES + EP, ed è pienamente mediata (full mediation) da EOT nel predire l’appartenenza al gruppo PNES. Nessuna delle due variabili agisce, invece, come moderatore nei confronti dell’altra nella predizione di appartenenza al gruppo PNES o PNES + EP. Conclusione Il nostro studio dimostra come i risultati siano in linea con le nostre ipotesi di partenza: la predisposizione alla dissociazione, in particolare a livello di assorbimento, è un fattore che favorisce lo sviluppo di PNES e l’alessitimia, in particolare a livello di pensiero orientato all’esterno, è un fattore che media pienamente gli effetti della dissociazione sulla probabilità di sviluppare PNES. Lo sviluppo di protocolli orientati al trattamento del Pensiero orientato all’esterno potrebbe essere utile anche nel trattamento della sintomatologia dissociativa legata all’assorbimento. Riferimenti Bibliografici American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 4th edition, Text Revision. Washington DC (2000). Baron, R.M. & Kenny, D.A. (1986). The moderator-­‐mediator variable distinction in social psychological research: conceptual, strategic and statistical considerations. J Pers Soc Psychol, 51, 1173-­‐1182. Devinsky O, Gazzola D, LaFrance WC Jr. ( 2011 ). Differentiating between nonepileptic and epileptic seizures, Nat Rev Neurosci, 7(4):210-­‐20. Ehlers , A., & Clark, D.M. (2000). A cognitive model of post-­‐traumatic stress disorder, Behav Res Ther, 38:319-­‐345. Hayes, A. F. (in press). An introduction to mediation, moderation, and conditional process analysis: a regression-­‐
based approach, Guilford Press, New York. Hicks, R., & Tingley D. (2011). Causal Mediation Analysis. Stata Journal, 11(4), 609-­‐615. 73
Myers L, Matzner B, Lancman M, Perrine K, Lancman M. (2013). Prevalence of alexithymia in patients with psychogenic non-­‐epileptic seizures and epileptic seizures and predictors in psychogenic non-­‐epileptic seizures, Epilepsy Behav., 26(2):153-­‐7. Roberts NA, Burleson MH, Weber DJ, Larson A, Sergeant K, Devine MJ, Vincelette TM, Wang NC. (2012). Emotion in psychogenic nonepileptic seizures: responses to affective pictures, Epilepsy Behav., 24(1):107-­‐15. Schacter SC, LaFrance WC Jr. (Eds.), Gates and Rowan's Nonepileptic Seizures (3rd ed.), Cambridge University Press, New York, NY (2010). Szaflarski, J.P., Hughes, C., & Szaflarski, M. (2003). Quality of life in psychogenic nonepileptic seizures. Epilepsia, 44(2):236-­‐242.van der Kolk BA. (2006). Clinical implications of neuroscience research in PTSD, Ann N Y Acad Sci., 1071:277-­‐93. Poster 2 Il suicidio tramite auto immolazione: l’esperienza dell’Ospedale Bufalini di Cesena Bellodi I*, Novelli B**, Melandri D.* *Psicologa, Specializzanda Studi Cognitivi Modena **Psicologa Psicoterapeuta, Ospedale Bufalini, Cesena Introduzione Mentre le motivazioni che stanno alla base della scelta estrema di togliersi la vita sono per lo più imputabili alla presenza di disturbi di natura psichiatrica, la scelta del metodo sembra avere delle caratteristiche proprie rispetto all’atto. Obiettivo L’obiettivo di questo articolo è quello di esaminare in dettaglio un metodo, l’auto immolazione, osservato nell’esperienza del Centro Grandi Ustionati (CGU) dell’Ospedale Bufalini. Metodo Con l’obiettivo di individuare dati epidemiologici e caratteristiche sociodemografiche è stato selezionato un campione di 61 soggetti che hanno scelto di ricorrere a questa modalità di suicidio altamente letale nell’arco temporale che va dal 1994 al 2010 con accesso al CGU. I dati sono stati analizzati attraverso l’uso di statistiche descrittive e incrociati tramite il test del χ2. Il campione è caratterizzato dalla presenza di soggetti per lo più senza tentati suicidi alle spalle. Il 21% del campione non ha una diagnosi psichiatrica, mentre il restante 48% si divide tra psicosi, abuso di sostanze, disturbo di personalità, depressione disturbi dell’umore. Risultati e conclusioni Dal punto di vista delle caratteristiche socio demografiche l’autoimmolazione è relativamente imprevedibile, mentre una proporzione maggiore di prevedibilità è data dalla diagnosi di disturbi dell’umore/depressione χ2=p<0.05. Valutare e prevenire diventa ancora più importante soprattutto considerate le conseguenze gravose legate al metodo, dal punto di vista della salute (compreso l’aumento del rischio di un nuovo tentativo di suicidio), dell’assistenza e dei costi per il SSN. Poster 3 Il Training Assertivo in ambito psichiatrico Buonocore Anna°, Cancellaro Mariangela°, Cappuccio Angela°, Cappuccio Sara°, D’Ancicco Francesco°, De Luca Francesca°, Freda Gabriella°, Guerrieri Giorgia°, Monteforte Eva°, Olivito Cristina°, Pacenza Alberta°, Paragliola Immacolata°, Pascale Moena°, Perna Carmen°, Petillo Romina°, Scoglio Valentina°, Siciliano Margherita°, Staiano Maria°, Terlizzi Monica°, Tocco Filomena°, Vigliotta Angela° e Cosentino Teresa* ° allievi del II anno della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) sede di Napoli * tutor del project di ricerca Introduzione L’assertività è quella competenza relazionale che permette di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni e bisogni, mantenendo, nel contempo, una positiva relazione con gli altri; permette una chiara e diretta espressione di sé, rispettosa dell’altro e dei suoi bisogni/valori, in modo adeguato e coerente al contesto in cui ci si trova, al fine di perseguire gli obiettivi ricercati. Con il termine Training Assertivo si fa rifermento ad un insieme di strategie e tecniche volte all’addestramento della persona ad esprimere in modo diretto ed onesto i propri pensieri, bisogni ed emozioni, in maniera socialmente accettabile, senza negare i sentimenti e i bisogni degli altri. In ambito psichiatrico, il training assertivo, sia in setting individuali che di gruppo, è indicato per soggetti con difficoltà nelle relazioni interpersonali, che provano ansia nelle situazioni sociali ed evitano di esprimere i propri desideri, bisogni, sentimenti ed opinioni o con la tendenza a prevaricare gli altri e a dominare nei rapporti. Obiettivo 74
Uno degli ambiti di intervento privilegiati della terapia cognitivo-­‐comportamentale è il lavoro sulle abilità comunicative. Scopo di questa review era verificare l’efficacia, a breve e lungo termine, dei training assertivi in ambito psichiatrico Metodologia Consultando diversi motori di ricerca (PubMed, Google Scholar, Ebsco), sono stati esaminati diversi studi sperimentali, presenti nella letteratura nazionale ed internazionale, inerenti la misurazione di efficacia dei training assertivi in ambito psichiatrico. Conclusioni Gli articoli presi in rassegna dimostrano l’utilità dei training assertivi anche in ambito psichiatrico, producendo un significativo cambiamento delle capacità di comunicazione. I risultati saranno discussi anche alla luce delle diverse limitazioni riscontrate in tali studi. Poster 5 Relazione tra l’asimmetria frontale delle onde alfa e i valori al BDI-­‐II e STAI-­‐Y in un gruppo di soggetti adulti Cazzolli Giulia *, Fait Elisa SPC -­‐Scuola di Psicoterapia Cognitiva, sede di Verona, 3° anno ° SPC -­‐Scuola di Psicoterapia Cognitiva, sede di Verona, 2° anno Introduzione Lo studio dell’attività elettrica del cervello ha rivestito un ruolo centrale nella psicofisiologia clinica e sperimentale; tale attività (insieme delle fluttuazioni spontanee e continue dei potenziali elettrici cerebrali) può essere suddivisa in diverse bande di frequenza (alfa, beta, theta, delta, gamma). Tra queste bande di frequenza, il ritmo alfa, chiamato anche "ritmo di Berger", è tipico della veglia rilassata ad occhi chiusi, ha una frequenza di 8-­‐
13 Hz e un'ampiezza che varia tra i 30 ed i 50 µV. Esso viene generalmente considerato come un ritmo inversamente relato all’attivazione del cervello: si assiste infatti a un blocco o una diminuzione della quantità di tali onde quando il sistema corticale è coinvolto in processi attivi (Davidson et al., 1990). Su questo presupposto si basano le ricerche che esaminano le asimmetrie frontali delle alfa, ovvero come si distribuiscono le onde alfa all’interno dei due emisferi cerebrali in corrispondenza degli elettrodi frontali. Tali studi mostrano diverse associazioni, tra cui l’asimmetria frontale di attivazione in relazione a varie forme di psicopatologia come la depressione e l’ansia (Allen et al., 1993; Henriques e Davidson, 1991; Weidemann et al., 1999). In particolare, diverse ricerche evidenziano come persone con depressione maggiore tendano a mostrare un’ipoattività frontale sinistra (iperattività frontale destra) (Davidson e Slagter, 2000; Deldin e Chiu, 2005; Pössel et al., 2008; Kemp et al., 2010). Gli studi invece che si sono focalizzati sulla relazione tra ansia e le asimmetrie frontali hanno mostrato risultati contrastanti: Heller et al. (1997) hanno evidenziato che persone ansiose hanno un’attivazione maggiore frontale sinistra; studi invece sul disturbo di panico (Wiedemann et al., 1999 ) e la fobia sociale (Davidson et al., 2000) hanno rivelato il pattern contrario. Obiettivo Scopo dello studio è indagare la relazione tra l’asimmetria frontale delle onde alfa prodotte durante la veglia rilassata ad occhi chiusi (resting state) ed i valori ottenuti dalla somministrazione della Beck Depression Inventory-­‐II (BDI-­‐II) e della State-­‐Trait Anxiety Inventory -­‐Forma Y (STAI-­‐Y). L’obiettivo è quello di capire se esiste una correlazione tra i diversi punteggi al BDI-­‐II e alla STAIY e l’asimmetria frontale durante il resting state. Metodo 30 partecipanti cognitivamente sani tra i 55 e gli 80 anni sono stati reclutati per l’esperimento. Inizialmente sono stati somministrati loro i questionari STAI-­‐Y e BDI-­‐II; successivamente sono stati fatti accomodare in una stanza silente ed elettromagneticamente schermata in cui veniva loro registrato il tracciato EEG. È stato chiesto ai partecipanti di chiudere gli occhi e rilassarsi (resting state) per cinque minuti. Risultati e conclusioni Non è stata riscontrata alcuna correlazione trai i tra i punteggi al BDI-­‐II e alla STAI-­‐Y e l’asimmetria frontale delle onde alfa nel campione di soggetti considerato. Bibliografia Allen, J.J., Iacono, W.G., Depue, R.A. & Arbisi, P. (1993). Regional electroencephalographic asymmetries in bipolar seasonal affective disorder before and after exposure to bright light. Biological Psychiatry, 33, 642-­‐646 Davidson, R. J., Chapman, J.P., Chapman, L.J., & Henriques, J.B. (1990). Asymmetrical brain electrical activity discriminates between psychometrically-­‐matched verbal and spatial cognitive tasks. Psychophysiology, 27, 528-­‐
543. Davidson, R.J., Marshall, J.R., Tomarken, A.J. & Henriques, J.B. (2000). While a phobic waits: Regional brain electrical and autonomic activity in social phobics during anticipation of public speaking. Biological Psychiatry, 47, 85-­‐95. Davidson, R.J.& Slagter, H.A. (2000). Probing emotion in the developing brain: functional neuroimaging in the assessment of the neural substrates of emotion in normal and disordered children and adolescents. Mental Retardation and Developmental Disabilities Research Reviews, 6, 166-­‐170. 75
Deldin, P.J. & Chiu, P. (2005). Cognitive restructuring and EEG in major depression. Biological Psychology, 70, 141-­‐
151. Heller, W., Nitschke, J.B., Etienne, M.A. & Miller, G.A. (1997). Patterns of regional brain activity differentiate types of anxiety. Journal of Abnormal Psychology, 106, 376-­‐385. Henriques, J.B. & Davidson, R.J. (1991). Left frontal hypoactivation and depression. Journal of Abnormal Psychology, 100, 535-­‐545. Kemp, A.H., Griffiths, K., Felgham, K.L., Shankman, S.A., Drinkenburg, W., Arns, M., Clark, C.R. & Bryant, R.A. (2010). Disorder specificity despite comorbidity: resting EEG alpha asymmetry in major depressive disorder and post-­‐traumatic stress disorder. Biological Psychiatry, 85, 350-­‐354. Pössel, P., Lo, H., Frit, A. & Seemann, S. (2008). A longitudinal study of cortical EEG activity in adolescents. Biological Psychology, 78,173-­‐178. Wiedemann, G., Pauli, P., Dengier, W., Lutzenberger, W., Birbaumer, N. & Buchkremer, G. (1999). Frontal brain asymmetry as a biological substrate of emotions in patients with panic disorders. Archives of General Psychiatry, 56, 78-­‐84 Poster 6 L’Acceptance and Commitment Therapy nel trattamento dell’epilessia: studi di efficacia. I. Improta, Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) -­‐ Grosseto Introduzione L’Epilessia è una patologia neurologica che si manifesta con crisi epilettiche ricorrenti e non sempre prevedibili. Il principale approccio alla cura dell’epilessia è di tipo farmacologico, basato sull’utilizzo di farmaci specifici definiti antiepilettici. Tuttavia, nel 15-­‐20% dei soggetti con epilessia in trattamento non si riesce ad ottenere un controllo soddisfacente delle crisi: in questi casi si parla di farmaco-­‐resistenza. L’efficacia dei farmaci antiepilettici deve essere rapportata ai possibili effetti avversi e collaterali degli stessi. Nei paesi meno sviluppati, come l’India ed il Sud Africa, molti pazienti epilettici hanno difficoltà ad accedere alle terapie farmacologiche perché sono troppo costose. I sintomi clinici, gli effetti collaterali dei farmaci antiepilettici e le problematiche psicologiche legate all’esperienza soggettiva della persona affetta da epilessia sono correlati ad una riduzione della qualità di vita. Per queste ragioni, negli ultimi decenni sono stati eseguiti studi clinici per verificare l’efficacia di nuovi trattamenti psicologici per l’epilessia. Tra di essi emerge l’approccio psicoterapeutico dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT). Metodo La principale rassegna della letteratura scientifica sull’ACT nel trattamento dell’epilessia è stata proposta da Lundgren e Hayes (2008). Gli autori, in due studi controllati e randomizzati condotti in India e in Sud Africa, hanno verificato l’efficacia del protocollo dell’Acceptance and Commitment Therapy e hanno confrontato gli esiti del trattamento con altri interventi di tipo non psicoterapeutico come lo Yoga ed un percorso di supporto psicologico, (St). I criteri di inclusione prevedevano per tutti i pazienti: la diagnosi di epilessia, verificata attraverso esami neurofisiologici (EEG), la manifestazione di un minimo di 4 crisi epilettiche nei precedenti tre mesi, un’età compresa tra i 22 ed i 55 anni. I partecipanti vennero suddivisi casualmente in due gruppi: in India il gruppo ACT è stato confrontato con il gruppo di controllo sottoposto allo Yoga; in Sud Africa il gruppo ACT è stato confrontato con il gruppo di controllo sottoposto al St. L’efficacia del trattamento ACT è stata valutata attraverso il calcolo dell’indice delle crisi (frequenza x durata) mediante la compilazione di un diario clinico delle crisi e la misurazione della qualità di vita dei pazienti mediante due strumenti di valutazione: il World Health Organization Quality of Life Assessment (WHOQOL) e la Satisfaction With Life Survey (SWLS). Tesi Tenendo in considerazione la base teorica entro cui nasce la proposta dell’ACT ed i principali ambiti clinici, ma non solo, nei quali l’ACT è stata applicata e per i quali sono state riportate indicazioni inerenti l’efficacia del trattamento stesso, gli autori hanno verificato l’ipotesi che l’Acceptance and Commitment Therapy sia un trattamento efficace per ridurre le strategie non adattive di risposta alle emozioni negative legate all’esordio e alla manifestazione delle crisi epilettiche e che l’applicazione dei sei processi terapeutici fondamentali (il contatto con il momento presente, la defusione cognitiva, l’accettazione dell’esperienza, il sé come contesto, i valori e l’azione impegnata) permetta ai pazienti epilettici di ridurre l’indice delle crisi e migliorare la qualità di vita. Conclusioni I risultati statistici al post trattamento ed al follow up a 6 e 12 mesi hanno mostrato l’efficacia del protocollo ACT nel trattamento dell’epilessia. E’ possibile affermare che il miglioramento della qualità di vita dei pazienti epilettici sia il risultato dell’acquisizione di una maggiore flessibilità psicologica e dell’impegno a vivere nella direzione dei valori personali. Le ricerche presentate sono tuttavia limitate a studi pilota condotti su piccoli gruppi. Riferimenti bibliografici Lundgren, T., Dahl, J., Yardi, N., Melin L. (2008). Acceptance and Commitment Therapy and yoga for drug-­‐
refractory epilepsy: A randomized controlled trial. Epilepsy & Behavior, 13, 102-­‐108 76
Lundgren, T., Dahl, J., Melin, L., & Kies, B. (2006). Evaluation of Acceptance and Commitment Therapy for drug refractory epilepsy: A randomized controlled trial in South Africa. Epilepsia, 47, 2173-­‐2179 Lundgren, T., Dahl, J., & Hayes, S. C. (2008). Evaluation of mediators of change in the treatment of epilepsy with Acceptance and Commitment Therapy. Journal of Behavior Medicine, 31(3), 225-­‐235. 77
Sessione Poster 2 Sabato 19 ottobre 16.30-­‐17.30 Evolutiva (Infanzia e Adolescenza) (Galleria Teatro) Chairman: Giuseppe Romano 78
Poster 1 FUNZIONI COGNITIVE SPECIFICHE E QI NEI DISTURBI DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO N. Varrucciu1-­‐3, D. Scuticchio1-­‐3, A. Bianco1-­‐3, F. D’Agostino1, C. Corezzi1 e M.O. Bertelli1-­‐2-­‐3 1 CREA (Centro di Ricerca ed Evoluzione AMG), Misericordia di Firenze, Firenze; 2 WPA-­‐SPID (World Psychiatric Association-­‐Section Psychiatry of Intellectual Disability); 3 SIRM (Società Italiana per lo Studio del Ritardo Mentale) Introduzione Recenti evidenze neuropsicologiche, genetiche e anatomo-­‐funzionali stanno minando il primato dei modelli monocomponenziali d’intelligenza e dei relativi strumenti di misurazione del Quoziente Intellettivo (QI). La problematica ha particolare rilevanza nel Ritardo Mentale (RM), che sembra rappresentare un raggruppamento di quadri sindromici estremamente variabili, accomunati da compromissioni cognitive precoci più o meno estese. Tale eterogeneità, che coinvolge anche i profili adattivi, ha indotto il gruppo di lavoro dell’OMS per la revisione dell’ICD-­‐10 a proporre la nuova definizione di ‘Disturbi dello Sviluppo Intellettivo’ (DSI). Questo cambiamento di prospettiva ha importanti conseguenze anche in ambito clinico, dove valori di QI unici occultano la specificità delle disfunzioni cognitive, giustificano qualsiasi sintomo fisico e inducono a credere che gli interventi terapeutici siano sempre di limitata efficacia. Obiettivo Lo scopo del presente lavoro è confrontare, attraverso una revisione della letteratura, gli indicatori d’utilità del modello d’intelligenza su cui si basano gli attuali strumenti di misurazione del Quoziente Intellettivo con quelli di singole funzioni cognitive. Metodo E' stata effettuata una mappatura sistematica della letteratura internazionale con i seguenti quesiti di riferimento: “il QI è una misura efficace dell’intelligenza?”, “la riduzione del QI è un criterio utile alla diagnosi ed alla tipizzazione dei DSI?” e “le misure delle funzioni cognitive specifiche rappresentano un riferimento più utile del QI per diagnosticare e tipizzare i DSI?”. Risultati Il modello d’intelligenza del QI sembra avere un’utilità limitata, sia rispetto alla sotto-­‐tipizzazione diagnostica, sia alla vulnerabilità psichiatrica, sia ai risultati prevalenti delle indagini neuro-­‐bio-­‐psicologiche, che alle abilità individuali. Uno stesso punteggio di QI può corrispondere a profili cognitivi molto diversi. Inoltre limiti funzionali e problemi comportamentali associati ai DSI correlano maggiormente con la compromissione di funzioni cognitive specifiche che con la riduzione del QI. Conclusioni Il modello d’intelligenza su cui si basa il QI sembra avere un’utilità limitata, sia clinica che riabilitativa. L’indagine delle funzioni cognitive specifiche potrebbe offrire nuove opportunità alla ricerca del settore e dovrebbe essere integrata nelle batterie di valutazione standardizzate per i DSI. Riferimenti bibliografici Johnson W, Jung RE, Colom R, Haier RJ (2008). Cognitive abilities independent of IQ correlate with regional brain structure. Intelligence, 36, 18-­‐28. Salvador-­‐Carulla L, Reed GM, Vaez-­‐Azizi LM, Cooper SA, Martinez-­‐Leal R, Bertelli M, et al. (2011). Intellectual developmental disorders: towards a new name, definition and framework for "mental retardation/intellectual disability" in ICD-­‐11, 10(3), 17 Poster 2 La nascita pretermine: risvolti nello sviluppo neuro-­‐cognitivo del bambino, nella costruzione dell’attaccamento e nel vissuto genitoriale. Ansaldo Manuela, Bandiera Zaira, D’Angelis Benedetta, Greco Alessia, Grisafi Alessandra, Massimi Silvia, Mattiolo Giorgia, Peccatori Daniela, Pilli Maria Gabriella, Quattrini Luisa, Di Giannatale Barbara, Vita Laura. Allievi II anno scuola APC Roma, training Fenelli – Guerisoli Introduzione Una nascita pretermine, ovvero avvenuta prima della 37esima settimana di gestazione, è considerata uno dei fattori di rischio per la crescita del nascituro. Lo scopo di questo articolo è di fornire un resoconto circa gli aspetti più rilevanti emersi nella letteratura scientifica specifica sul tema, passando in rassegna l’influenza di una nascita pretermine sui diversi aspetti dello sviluppo del bambino, quali motorio, cognitivo, affettivo e socio-­‐
relazionale, sulla costruzione della relazione con i caregivers e sui vissuti cognitivi ed emotivi degli stessi. Metodo Ricerca bibliografica Tesi L’urgenza di cogliere le complesse variabili che caratterizzano e coesistono – o sono conseguenza di – una nascita pretermine, è finalizzata al consentire un intervento precoce sugli aspetti cardine che influenzano un normale e quanto più sano sviluppo del bambino pretermine, insieme all’ambiente sociale e relazionale che lo circonda. Verranno innanzitutto descritte le ricerche che hanno esaminato le differenze nello sviluppo neuro-­‐
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cognitivo tra bambini pretermine e a termine, valutandone i risvolti sull’umore e sul percorso scolastico. A seguire, gli studi che approfondiscono aspetti nodali dell’attaccamento, per poi soffermarsi sulle conseguenze della nascita pretermine sulla salute psicologica dei genitori. Conclusioni Un approfondimento ed una individuazione dei fattori di rischio per i quali fornire supporto sanitario e sociale consentirebbe una soluzione di prevenzione rispetto all’emergere di comportamenti disfunzionali e non adattivi. Poster 3 La CBT applicata ai disturbi di tipo internalizzante in eta’ evolutiva: una proposta di analisi della letteratura attraverso l’utilizzo del casp (critical appraisal skills program) Aloisi E.*; Bevilacqua G*..;Cervinara A.* Cingolani M.*; Cioci M.*;Del Nibletto L.*, Di Zio M.*; Francesconi C.*; Gasperini E.*; Lijoi E.*; Matè C.*; Melchiorri E.*; Mismetti L.*; Proietti M.T.*; Ristè N.*; Rossi E.*; Russo M.*; Santarelli S.*; Sternini F.*, Tramannoni V.*; Violini P.*, Mercuriu M. ** * Allievi specializzandi Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC . II anno, Ancona ** Tutor project di Ricerca Scuola Di Psicoterapia Cognitiva di Roma APC SPC., Equipe per l’età Evolutiva APC SPC di Roma. Introduzione e Obiettivo In questo studio ci si è chiesti come la ricerca e le pubblicazioni recenti abbiamo trattato i Disturbi dell’età evolutiva ed, in particolar modo, come la CBT abbia contribuito, attraverso la ricerca e la pratica clinica, al trattamento dei disturbi di tipo Internalizzante. Metodo E stata presa in esame la letteratura internazionale tra il 2007 ed il 2012 utilizzando, come criteri di selezione, gli studi cognitivo-­‐comportamentali che si sono occupati di età evolutiva (cut-­‐off 14 anni), per il trattamento dei disturbi di tipo internalizzante (disturbi ansia generalizzati, disturbi d'ansia da separazione, ritiro sociale, fobia specifica,depressione, ecc.).Gli articoli selezionati sono poi stati analizzati utilizzando il questionario CASP (Critical Appraisal Skills Programme), uno strumento didattico che si propone di promuovere la pratica clinica basata sull’evidenza (evidence based medicine) facilitando lo sviluppo di abilità di valutazione critica della letteratura. Per il presente studio è stata utilizzata la versione riadattata del CASP per studi randomizzati (Randomized Controlled Trials RCT) presentata ad Assisi nell’ottobre 2011 dal Gruppo SPC del terzo anno di Roma (C. Baglioni, G. Battagliese, M.Caccetta, S. Carlucci, O. I. Luppino, A. Mancini, S. Marianelli, D. Russo, L. Smimmo, C. Buonanno ). Nel presente studio vengono presentati i risultati della ricerca, limiti e potenzialità dello strumento utilizzato. Risultati e conclusioni La versione modificata del CASP si è rivelata molto utile per effettuare una prima selezione degli articoli a detta di tutti i valutatori; il CASP si presenta come uno strumento chiaro, comprensibile ed utile per selezionare articoli validi che rispondano a criteri di solidità metodologica, validità ed attendibilità dei risultati. L’analisi della letteratura ha mostrato interessanti risultati per quanto riguarda l’efficacia dei trattamenti CBT in età evolutiva per i disturbi di tipo internalizzante. Poster 4 Durante l’osservazione e l'imitazione di volti di bambini (proprio e altrui) le madri a rischio di depressione post-­‐partum mostrano attivazioni neurali differenti rispetto alle madri non a rischio. Lenzi D.1,3,4, Trentini C.2, Macaluso E.1, Graziano S.1,2, Pantano P.3, Speranza AM.2, Lenzi GLL. 2, Ammaniti M. 1. Laboratorio di Neuroimmagini, IRCSS Santa Lucia, Roma; 2. Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Università di Roma La Sapienza. 3. Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Università di Roma La Sapienza. 4. Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma, SPC, II anno. Introduzione La depressione post-­‐partum è una patologia molto invalidante per la madre e per i figli, sia per gli effetti a breve che a lungo termine. La ricerca clinica fino ad oggi ha mostrato che ci sono diversi fattori di rischio per lo sviluppo di tale patologia, e gli studi di neuroimaging si sono per lo più focalizzati sulla depressione maggiore mostrando il coinvolgimento di numerose aree tra le quali numerose appartenenti al sistema limbico. Recenti teorie dell’infant research discutono sul ruolo centrale della mancata o limitata comunicazione verbale e soprattutto non verbale (attraverso l’ imitazione e la comprensione delle emozioni del figlio) nelle prime fasi dello sviluppo del bambino, causate dalla depressione. I disturbi depressivi sono anche caratterizzati da riduzione della mimica facciale e da ritiro emotivo. Il substrato neurobiologico di tali processi nelle madri sani e a rischio depressivo non è ancora definito. Scopo Studiare le aree cerebrali deputate all’imitazione ed all’ osservazione di volti emotivi di bambini propri e altrui valutare eventuali differenze tra madri normali e madri a rischio depressivo. 80
Materiali e Metodi Abbiamo studiato 30 madri con figli di età compresa tra i 6 ed i 12 mesi e suddivise in due gruppi: 16 madri con CESD < 19 (S, Sane) e 14 madri con CES-­‐D > 22 (RD, a Rischio di Depressione post-­‐partum). I soggetti sono stati poi sottoposti a Risonanza Magnetica Funzionale durante un compito di imitazione e di osservazione ed immedesimazione di facce di bambini propri e non propri, con diverse espressioni faciali (neutre, stressate, felici, ambigue). I soggetti sono stati sottoposti anche all’ Adult Attachment Interview e alla TAS. Risultati L’analisi dei dati di neuroimmagini ha mostrato una significativa differenza di attivazione tra i due gruppi ed in particolare: 1. Le madri RD mostrano, durante la fase di riposo (task osservazione) una maggiore deattivazione della corteccia orbitofrontale mediale e della parte antero basale del cingolo che correla direttamente con il rischio di depressione postpartum; 2. Durante l’osservazione delle facce emotive il gruppo S attiva maggiormente il precuneo e durante l’ imitazione è il gruppo RD ad attivare maggiormente la corteccia somatomotoria di destra; 3. il gruppo di madri RD, paragonate alle madri S, mostrano un’ aumentata attivazione dell’ amigdala di destra quando guardano i propri figli rispetto agli altrui. Conclusioni I dati di neuroimmaging mostrano che ci sono aree cerebrali, appartenenti al sistema limbico, motorio e del sistema deputato all’attenzione che si attivano differentemente nei gruppi di madri a rischio depressivo. Tali differenze potrebbero essere l’espressione dello stato mentale depressivo materno associato ad un aumentata sensibilità a stimoli emotivi stimolanti l’attaccamento Poster 5 Adolescenza e qualità della vita Chiara Vallini, Federica Rinaldi, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko, Gabriele Caselli. Introduzione Nell'anno scolastico 2011/12 la provincia di Modena, con 8.640 studenti stranieri, è la quarta provincia d’Italia per presenza di minori stranieri nelle scuole (MIUR, 2012). Obiettivi Comprendere se determinate strategie di coping e stili relazionali influiscono e predicono il livello della qualità della vita; Definire quali strategie di coping e stili relazionali sono più funzionali ad un soddisfacente livello di qualità di vita; Comprendere se esistono differenze tra Europei (E) e Non Europei (NE) rispetto alle aree indagate. Metodo Strumenti utilizzati: COPE Inventory (Carver et al.,1989; Sica et al., 2008); Brief Multidimensional Students' Life Satisfaction Scale -­‐ College Version (Huebner et al. 2006); Social Provision Scale (Russell & Cutrona, 1984). I soggetti coinvolti: 248 soggetti, con età media di 19 anni, suddivisi tra E 50% e NE 50%. Risultati Conclusioni Esistono significative differenze tra i gruppi (E e NE). Il gruppo NE ha punteggi superiori nelle scale Strategie di evitamento e Attitudine positiva e riferisce di avere una buona qualità della vita se possiede una forte integrazione sociale e una guida stabile. Le strategie di evitamento dei NE influenzano in modo negativo la qualità della vita per effetto indiretto delle variabili Guida, Alleanza e Integrazione sociale. 81
Poster 6 Mindfulness: efficace per bambini con ADHD? Puntscher et al. Introduzione Nella scuola primaria è piuttosto comune trovare bambini che faticano a mantenere la concentrazione e l'attenzione durante lo studio e mostrano un comportamento impulsivo. In conseguenza di ciò, spesso, tali bambini non vengono adeguatamente seguiti dagli insegnanti rischiando di sviluppare così importanti disabilità sociali. Il 3-­‐6% dei bambini sotto ai 10 anni soffre di ADHD. La terapia del disturbo prevede solitamente un percorso psicologico e psicoeducativo per il paziente e i familiari; nei casi più gravi, il trattamento farmacologico. Obiettivo Negli ultimi dieci anni sono stati sviluppati diversi approcci basati sulla Mindfulness per il trattamento dei disturbi psichiatrici. Lo scopo del presente studio è di verificare l'efficacia della Mindfulness nel migliorare lo stato di attenzione e concentrazione in un gruppo di scolari. Metodo 47 scolari tra i 9 e i 14 anni sono stati sottoposti ad un training di Mindfulness, secondo il modello MBSR di Kabat-­‐Zinn (1990), per 8 settimane con esercizi adattati all’età del campione. L'attenzione e la concentrazione sono state valutate al giorno 0 e all'endpoint con il Test D2. Risultati I risultati hanno evidenziato un miglioramento nell’ attenzione e concentrazione nei bambini sottoposti al trattamento con differenze significative tra il gruppo sperimentale e quello di controllo. Conclusioni La ricerca dimostra che il training di Mindfulness per bambini ed adolescenti è una strategia terapeutica effettiva che può sostenere altre strategie psicoterapeutiche. 82
Sessione Relazioni -­‐ 6 Sabato 19 ottobre 17.30-­‐19.00 Sala Teatro Disturbi Alimentari Chairman: Marco Saettoni Discussant: Elena Tugnoli 83
Presentazione 1 Atteggiamenti e opinioni nei confronti dell’obesità e persone obese.Sono gli studenti Cognitivo Comportamentali in formazione immuni dal Weight Bias? Un’indagine dalla sede APC/SPC di Verona Facci Silvia et al., La letteratura scientifica negli ultimi anni ha evidenziato quanto l’obesità sia stigmatizzata e penalizzi, chi ne è affetto, in diversi e importanti domini della vita come lavoro, istruzione, relazioni interpersonali e ambiente sanitario. Su quest’ultima, la ricerca ha evidenziato atteggiamenti negativi in diverse figure sanitarie come medici, infermiere, psicologi, dietiste, studenti di medicina e professionisti specializzati nel trattamento dell’obesità. Tali atteggiamenti negativi possono portare il paziente obeso a evitare o ritardare importanti visite mediche o a non avere fiducia nel professionista della salute. Essendo il ruolo dello psicologo importante nella gestione del peso, lo scopo del lavoro è quello di indagare gli atteggiamenti e opinioni nei confronti delle persone obese e obesità in un campione e di studenti in formazione della sede APC/SPC di Verona confrontandoli con un campione rappresentativo della popolazione e valutando il ruolo di variabili come età, anno di corso, BMI, insoddisfazione corporea, famigliarità con obesità o DCA ecc. Per nostra conoscenza questo è il primo lavoro che indaga gli atteggiamenti e opinioni negli psicoterapeuti in formazione e, in Italia, rappresenta uno dei primi tentativi di indagine su un filone di ricerca ancora poco conosciuto nel nostro Paese. Presentazione 2. Psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e immagine corporea negativa in un campione italiano di atleti d’alto livello. Lignola C, Varrucciu N, Baccetti F, Benucci J, Cardelli R, Cipolla I, Currò E, Demi V, De Sanctis B, Dinasta R, Gori C, Lasorsa FR, Pappalardo D, Pisotta I, Zambrini I, Calugi S.Grosseto – III° anno – SPC Introduzione: Negli ultimi anni è stato pubblicato un crescente numero di ricerche relative al rapporto tra atleti professionisti e disturbi dell’alimentazione. Gli studi reperibili in letteratura non sono stati in grado di chiarire né la natura della relazione tra sport e problemi alimentari né l’effettiva prevalenza di questi ultimi in sport che richiedono requisiti fisici differenti, come gli sport “estetici”, evidenziando risultati spesso discordanti tra di loro. Ciò potrebbe essere dovuto sia all’eterogeneità delle variabili esaminate che ai marcati limiti metodologici. Obiettivo: Lo scopo del presente studio è quello di misurare in un campione di atleti italiani di alto livello di sesso maschile e femminile, la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e l’insoddisfazione per la propria immagine corporea. Materiali e metodi: Al presente studio hanno partecipato 95 atleti d’elite, praticanti sport “lean” o “no-­‐lean” (sport in cui il peso o le forme del corpo sono considerati o meno determinanti ai fini della prestazione) (57 maschi e 38 femmine; età media 27,2 DS=9,3) ai quali sono stati somministrati l’Eating Disorder Examination Questionnaire (EDE-­‐Q) per valutare la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione e il Body Uneasiness Test (BUT) che valuta l’insoddisfazione per l’immagine del corpo. Risultati: il 33,7% del campione pratica uno sport ‘lean’ mentre il restante 66,3% pratica sport ‘no lean’, con una percentuale più alta di donne praticanti sport lean rispetto ai maschi (62,5% vs 28,6%, rispettivamente, p=0.001). Confrontando i punteggi totali dell’EDE-­‐Q, del BUT e le relative sottoscale non ci sono differenze significative tra sport ‘lean’ e sport ‘no lean’. Al contrario, come atteso, nel confronto fra maschi e femmine, le femmine hanno punteggi significativamente più alti nel punteggio totale e tutte le sottoscale dell’EDE-­‐Q e punteggi significativamente più alti su tutte le sottoscale del BUT tranne la sottoscala “controlli compulsivi dell’immagine corporea” che non differisce tra i due gruppi. Trenta atleti (12 praticanti sport ‘lean’ e 18 sport ‘no lean’, p=0,376) dichiarano di aver avuto episodi bulimici nelle ultime quattro settimane. Soltanto tre atleti (2 praticanti sport ‘lean’ e 1 sport ‘no-­‐lean’) hanno affermato di usare il vomito auto-­‐indotto o i lassativi come mezzo per controllare il peso e le forme del corpo, mentre tra i 13 atleti che hanno dichiarato di fare esercizio fisico come mezzo per controllare il peso e le forme del corpo 9 (69,2%) praticano sport ‘lean’ mentre 4 (30,8%) praticano sport ‘no lean’ (p=0,006).Tra coloro che praticano uno sport ‘lean’ il 71,9% dichiara di seguire un regime alimentare controllato contro il 47,6% di coloro che praticano uno sport ‘no lean’ (p=0,024). Coloro che seguono un regime alimentare controllato, indipendentemente dal tipo di sport, hanno un punteggio alla scala restrizione dell’EDE-­‐Q significativamente più alta rispetto a coloro che non lo seguono.Conclusioni: Non sono emerse differenze sulla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione tra sport ‘lean’ e ‘no-­‐lean’, ma i soggetti praticanti sport ‘lean’ aderiscono con maggior facilità ad un regime alimentare controllato. Vengono, al contrario, confermate le differenze tra maschi e femmine nelle preoccupazioni per l’alimentazione, il peso e le forme del corpo. In conclusione, i nostri risultati indicano che né la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione né l’insoddisfazione dell’immagine corporea sono associabili al tipo di sport praticato, ma possiamo speculare che test più sensibili nel valutare caratteristiche sottosoglia possano dare risultati differenti. 84
Presentazione 3. Temperamenti e caratteri nei disturbi dell’alimentazione Fancesca Fiore (Studi Cognitivi, Milano)Mara Soliani (Psicoterapia e Ricerca, Milano) Giovanni Maria Ruggiero (Psicoterapia e Ricerca, Studi Cognitivi, Milano) Obiettivo: Si è indagata la relazione esistente tra stili di personalità secondo la definizione di Cloninger e Disturbi del comportameto Alimentare (DCA) con lo scopo di osservare se esistono tratti di personalità prodromici per Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN) e Binge Eating Disorder (BED). Metodo: Al campione di 129 studenti universitari è stata somministrata una batteria di questionari self-­‐report tra cui l’EDI-­‐3 e il BES che hanno consentito di evidenziare la tendenza dei soggetti verso uno specifico disturbo alimentare, ed il TCI utilizzato per indagre i tratti di personalità. Risultati: Sono stati evidenziati tratti di personalità prodromici dei DCA e nello specifico è emersa una forte relazione tra AN ed il tratto Novelty Seeking (NS), come già confermato in letteratura. Mentre è emerso che un basso livello di Self-­‐Directedness (SD) è indicativo dell’insorgenza di un eventuale disturbo bulimico dato che disconferma quello presente in letteratura tale per cui il tratto SD è tipico di soggetti BED, ed è inoltre emerso che per quest’ultima categoria risulta significativa l’associazione con il tratto di Reward Dependenced (RD). Conclusioni: Alla luce dei risultati di questo studio pilota si rileva la necessità di replicarlo in un campione di soggetti con diagnosi DCA conclamata al fine di ottenere dati rilevanti dal punto di vista clinico e di intervento terapeutico. Presentazione 4. Impatto sull'autostima delle difficoltà di immagine corporea nei disturbi alimentari in età adulta e in età evolutiva: uno studio condotto con il SAWBSS. Della Morte, D. Bettoni , F.Emanuelli,A. AlbizzatiStudi Cognitivi – MilanoOspedale San Paolo – Milano Uno dei criteri DSM-­‐IV per diagnosi di disturbo del comportamento alimentare è la presenza di difficoltà di percezione e accettazione della propria immagine corporea. In coloro che presentano un DA in età adulta l’importanza di peso e forma è preponderante nella valutazione della propria autostima (Fairburn & Garner, 1998). Tali caratteristiche sono meno comuni nei più giovani e soprattutto all’esordio del DCA. Uno strumento in grado di misurare l’importanza attribuita a forma e peso del corpo sull’autostima è il questionario autosomministrato SAWBS versione per adulti e SAWBS-­‐A per adolescenti. Si rende necessario sviluppare il questionario nella sua versione italiana e valutarne le proprietà psicometriche.Obiettivi: Esplorare autostima e immagine corporea nella popolazione italiana adulta e in eta’ evolutiva con e senza DCA utilizzando il SAWBS ed il SAWBS-­‐A; confrontare i risultati con la letteratura a disposizione; validare i questionari nella loro versione italiana.Campione normativo. Età evolutiva: 34 individui, 17 di sesso femminile e 17 di sesso maschile tra gli 11 e 16 anni, reclutati da scuole medie e superiori. Età adulta:115 partecipanti di sesso femminile tra i 18 e 66 anni, reclutate sul territorio milanese.Gruppo clinico. Età evolutiva: 62 individui, 50 di sesso femminile e 12 soggetti di sesso maschile con DCA tra gli 11 e 18 anni.Materiali età evolutiva. SAWBS-­‐A (Geller et al, 2000);BUT;CDI ; Questionario demografico; TMA. Materiali età adulta. SAWBS (Geller et al, 1997; Geller et al., 1998);EDI-­‐2; BDI; Questionario demografico; RSES.Risultati età adulta: Il SAWBS nella sua versione italiana è uno strumento valido in grado di discriminare, in un campione di individui non clinici, tra persone che hanno o non hanno tratti in linea con i DCA e che esso è potenzialmente una solida misura del giudizio sulla propria forma e peso corporei.Per
quanto riguarda l’età evolutiva i risultati saranno discussi e commentati.Conclusioni. Il SAWBS e il SABS-A possono
essere utili per esaminare il costrutto dell’autostima basata su peso e forma corporei nei DCA, in fase diagnostica e
durante la terapia proponendo anche dei follow up per far evidenziare i cambiamenti nella valutazione di sé.
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Sessione Relazioni -­‐ 7 Domenica 20 ottobre 09.30-­‐11.30 Sala Teatro Emozioni Chairman: Andrea Gragnani Discussant: Sara Della Morte 86
Presentazione Psicologia e psicopatologia della noia Stefania Iazzetta, Lisa Lari, Andrea Gragnani, Marco Saettoni e Paolo Iazzetta Scuola di Psicoterapia Cognitiva -­‐ SPC sede di Grosseto Introduzione Sebbene tutti noi abbiamo sperimentato la noia come vissuto, è evidente come essa rappresenti uno stato affettivo difficile da comprendere e descrivere. Perfino dal punto di vista linguistico, la parola “noia” emerge tardivamente, comprendendo alcune caratteristiche delle emozioni descritte classicamente come l’accidia e la melanconia, e trovandosi a ponte tra esse (Del Castello, 2010). Studi che riguardano il campo semantico del costrutto della “noia” sono stati effettuati da neurolinguisti e psicologi cognitivisti. L’applicazione di un’”etichetta” linguistica ad una determinata emozione sarebbe comunque un processo che richiede una funzione autoriflessiva (Salvatore; Dimaggio, Semerari, 2004). Esiste una cesura tra il vissuto emozionale e la sua definizione linguistica: il primo è per natura “non una categoria discreta, ma un insieme sfocato” (Rosch 1978, Fehr e Russel 1984). Obiettivi Il presente lavoro teorico si propone di chiarire i confini di questo proteiforme costrutto psicologico, negletto nella moderna ricerca e parimenti di sostanziale importanza per la comprensione di svariati processi psicopatologici e modelli di trattamento di problemi emotivi e disturbi psichici. Le uniche ricerche sul campo in questione provengono dal campo psicoanalitico e appaiono piuttosto datate (Mantegazza 1888, Revers 1954) o fenomenologico (Maggini & Dalle Luche, 1991). Metodo Il gruppo di lavoro che segue questo progetto di ricerca comprende psicoterapeuti, psichiatri e psicologi, ad orientamento cognitivista, specializzandi delle scuole di psicoterapia, che seguono un project specifico e laureandi in psicologia. Sono state condotte sistematiche revisioni della letteratura scientifica presente, considerati i capisaldi della speculazione filosofica e letteraria della noia, alfine di fornire un framework di riferimento. Successivamente analisi dell’esperienza della noia nei pazienti sono state effettuate in pazienti in trattamento psicoterapico avvalendosi delle abituali tecniche di assessment. Questa modalità è stata affiancata dalla somministrazione della Scala di Inclinazione alla Noia, a pazienti (Lari, in press) e soggetti sani, scala appositamente tradotta e validata in italiano dalla più recente versione inglese della Boredom Proneness Scale (Vodanovich e Kass, 1990).TESI: La noia risulta essere un’emozione, distinguibile da sia da costrutti psicopatologici (alexitimia, anedonia) con i quali potrebbe essere confusa, sia da altri stati emotivi (“senso di vuoto”). In un’ottica scopistica (Castelfranchi) rappresenta una meta emozione, fornendo indicazioni sullo stato e di attivazione del sistema cognitivo-­‐emotivo stesso. In particolare potrebbero esistere due modelli paradigmatici di noia: • Emozione attivata dalla constatazione che non esistono scopi attivi nella mente • Emozione attivata dalla percezione di monotonia, di non apprendimento di nuove informazioni I due modelli potrebbero anche ibridarsi in alcune manifestazioni di questa emozione Conclusioni Allo stato attuale, per quanto corroborata da valutazioni psicometriche e case report la tesi sostenuta è altamente speculativa. La raccolta di dati ulteriori e la costruzione di esperimenti ad hoc per valutare le nostre ipotesi è necessaria per validare il concetto di noia come emozione, per differenziarla da fenomeni proto emozionali, per chiarificarne il senso e gli “ingredienti cognitivi” Presentazione 2 Dalla paura al coraggio. Il caso clinico di un’adolescente con insufficienza renale cronica. Stefania Ferrante*; Grazia Tiziana Vitale**; Maria Grazia Foschino Barbaro *** *Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, I Anno **Psicologo, Associazione di Psicologia Cognitiva, Sede di Lecce, IV Anno ***Psicologo, Psicoterapeuta, Servizio di Psicologia, A. O. U. Policlinico “Giovanni XXIII”, Bari Introduzione L’insufficienza renale cronica (IRC) descrive un quadro clinico caratterizzato da graduale, progressiva e permanente perdita delle funzioni renali. I momenti terapeutici essenziali dell’IRC sono due: la dieta (trattamento conservativo) e la terapia sostitutiva (emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto di rene). Il trattamento dialitico interferisce, a lungo termine, sulla qualità di vita del paziente. Se si considera, nello specifico, l’IRC diagnosticata nell’età evolutiva si prospetta uno scenario di grave distress emotivo che può essere determinante per lo sviluppo psicologico del bambino o dell’adolescente. La comunicazione della diagnosi e l’ingresso in dialisi necessitano di una particolare attenzione alla condizione di stress acuto che ne consegue. Formulazione del caso clinico 87
In questo lavoro si intende presentare il caso di una ragazza di 14 anni presa in carico dal “Servizio di Psicologia dell’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII” di Bari in seguito a diagnosi di “Insufficienza Renale Cronica Grave”, effettuata presso l’Ospedale di Brindisi, ed immediato ricovero presso l’“U.O. di Nefrologia” dell’Ospedale Pediatrico di Bari per le cure del caso. L’urgenza della condizione clinica ha portato la ragazza a vivere, nell’arco di pochi giorni, la comunicazione improvvisa di una diagnosi infausta, e l’ingresso repentino in terapia dialitica peritoneale. In una situazione di tale stress emotivo è stato reso necessario l’ intervento psicologico condotto, in maniera attiva e costante, per circa 8 mesi. Trattamento Lo stress acuto derivante dalla condizione clinica della paziente ha richiesto un intervento psicologico teso alla promozione dell’adattamento individuale alla condizione di malattia cronica. Il trattamento, facilitato dalla costruzione di una relazione terapeutica positiva, ha fatto riferimento al modello di Lazarus e Folkman (1984) agendo su: Processi di decision making e problem solving: -­‐ adattamento alla diagnosi -­‐ individuazione del trattamento terapeutico più idoneo; -­‐ adattamento alla nuova forma di terapia dialitica più invasiva; -­‐ avvio percorso di accettazione del trapianto. -­‐ -­‐trasferimento dal centro dialisi di riferimento in una struttura più vicina; -­‐ -­‐aderence alla terapia dialitica e alla dieta; -­‐ -­‐parent training ai genitori -­‐ -­‐Promozione dell’autonomia Si è fatto riferimento ad un approccio di tipo cognitivo comportamentale che ha visto l’impiego di interventi quali: tecniche di rilassamento, esposizione in vivo, esposizione prolungata, visualizzazione dell’evento/oggetto ansiogeno, psicoeducazione. Somministrazione test per conoscere la paziente ed esplorarne i vissuti. Conclusioni I risultati ottenuti sono stati positivi. Lo sviluppo di strategie efficaci di problem solving ha contribuito a facilitare la promozione dell’autonomia e il distacco dalla struttura ospedaliera di riferimento. L’intervento psicologico ha permesso, inoltre, la prevenzione di scompensi gravi di tipo ansiogeno, predittivi di eventuali Disturbi d’ansia quali “Reazione a grave stress e disturbi dell’adattamento” (ICD-­‐10; F43), “Disturbo Post Traumatico da Stress” (ICD-­‐10; F43.1). Presentazione 3 Regolazione emotiva e alessitimia in un gruppo di pazienti con DA Maria Fontana, Monica Palla, Luca Calzolari -­‐ Scuola Cognitiva di Firenze Introduzione A partire dai primi studi negli anni ’70, l’idea di un deficit nell’identificazione e nell’espressione degli stati emotivi è stata ampiamente dimostrata nei quadri clinici caratterizzati da disturbi alimentari (DA) (Harrison et al., 2009). Tuttavia, sono presenti dati discordanti rispetto alla distribuzione dei due costrutti principalmente analizzati, alessitimia e disregolazione emotiva, all’interno delle principali categorie diagnostiche. Obiettivo: La nostra ricerca si propone di indagare le differenze tra pazienti con DA, considerando le sottocategorie diagnostiche, e un gruppo di controllo rispetto alla capacità di identificazione e regolazione delle emozioni. Metodo: E’ stato confrontato un campione di 30 pazienti con un gruppo di controllo di soggetti sani, al fine di indagare la presenza di differenze significative nella valutazione dell’alessitimia e della disregolazione emotiva. Sono stati somministrati una scheda anagrafica e una batteria di test quali: TAS-­‐20 (Toronto Alexithymia Scale, Bressi et al., 1996), DERS (Difficulties in Emotion Regulation Strategies, Sighinolfi et al., 2010) EDI-­‐3 (Eating disorder Inventory, Giannini et al., 2009). Verranno indagate le correlazioni tra i costrutti analizzati nel campione clinico. Risultati attesi e conclusioni: I dati sono in fase di raccolta; in base alla letteratura, ci aspettiamo di trovare punteggi più elevati alla TAS e alla DERS nel campione clinico rispetto al gruppo di controllo; ipotizziamo, inoltre, la presenza di correlazione tra punteggi TAS, DERS e scale psicologiche dell’EDI-­‐3 all’interno del gruppo clinico. 88
Presentazione 4 Autostima e competenza emotiva: un contributo allo sviluppo di una sana personalità attraverso un progetto di intervento in un campione di preadolescenti. Monica Fileni; Agnese Lattanzio; Luisa Palmerio; Giuseppina Piermattei, D’Andrea Stefania; Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto Introduzione Da un’analisi della letteratura è emerso che allo sviluppo della personalità contribuiscono quattro fattori principali: temperamento, storia personale, autostima e processi di pensiero su di sé, sugli altri e sul mondo (Harter, 1983). Per quanto riguarda questi ultimi due aspetti, studi internazionali hanno riscontrato che l’analfabetismo emozionale in età prescolare e scolare è spesso connesso a comportamenti devianti e malesseri emozionali in età adulta (abuso di alcool e di droghe, molestie sessuali, delinquenza, disturbi alimentari ecc..) (Kindlon, Thompson, 2002). Obiettivo Lo scopo della ricerca è stato quello di indagare la competenza emotiva e il livello di autostima in un campione di preadolescenti e di progettare e realizzare un intervento di potenziamento delle aree risultate deficitarie al fine di favorire il benessere emotivo attraverso un percorso di educazione razionale-­‐emotiva e potenziare l’autostima. Metodo I partecipanti alla ricerca sono stati gli alunni di sei classi dell’ultimo biennio di scuola elementare (tre classi sperimentali e tre di controllo) per un totale di 94 soggetti. In una prima fase di screening a tutti i soggetti sono stati somministrati due strumenti: il Questionario Emotivo-­‐Comportamentale (Di Pietro, 1992) e il TMA (Bruce A. Bracken, 1993). Successivamente le classi sperimentali sono state sottoposte all’intervento articolato in 16 incontri mirati a favorire lo sviluppo della competenza emotiva. Infine, si è proceduto alla risomministrazione degli strumenti allo scopo di verificare l’efficacia dell’intervento condotto. Risultati I risultati del Questionario Emotivo-­‐Comportamentale, nel post-­‐test, hanno evidenziato un miglioramento statisticamente significativo della competenza emotiva nei bambini beneficiari dell’intervento rispetto a quelli del gruppo di controllo; le analisi statistiche, infatti, hanno confermato l’effetto significativo del gruppo (sperimentale/controllo) sul tempo (pre/post) (Manova time*gruppo F=12.923 p<0.001). Per quanto riguarda il TMA, non c’è stato un aumento statisticamente significativo dei livelli di autostima nei bambini beneficiari dell’intervento rispetto a quelli del gruppo di controllo. Conclusioni I dati ottenuti suggeriscono l’importanza di inserire tra le attività scolastiche curricolari un percorso finalizzato al miglioramento della competenza emotiva in modo da “favorire nel bambino e nell’adolescente lo sviluppo di maggiori anticorpi psicologici, ossia la capacità di reagire costruttivamente al disagio emotivo anziché lasciarsi sopraffare da esso.”(Di Pietro, Dacomo, 2008). Presentazione 5 L’efficacia della Terapia Dialettico-­‐Comportamentale nelle dimensioni della disregolazione emotiva e dell’impulsività in un gruppo di pazienti afferenti all’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio, Ospedali di Circolo Busto Arsizio, Tradate e Saronno all’interno del programma “La presa in carico dei pazienti con disturbo di personalità: il CPS come base sicura”: uno studio pilota. C. Rimoldi, Studi Cognitivi -­‐ Milano Introduzione La Terapia Dialettico – Comportamentale è un modello evidence -­‐ based per la cura dei pazienti con Disturbo Borderline di personalità con tratti autolesivi e trova le sue radici nell’ipotesi che la disregolazione emotiva sia una dimensione nucleare della personalità borderline, connessa alla conflittualità interpersonale e ai comportamenti impulsivi. Il gruppo di apprendimento delle abilità psicosociali (skills training) si contraddistingue per un suo ruolo cardinale nella generale efficacia terapeutica del modello. (Linehan, Neacsiu, Rivzi, 2010) Obiettivi Lo studio presenta un progetto dell’ Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio, Ospedali di Circolo Busto Arsizio, Tradate e Saronno all’interno del programma “La presa in carico dei pazienti con disturbo di personalità: il CPS come base sicura” in cui il trattamento è ispirato al modello di Marsha Linehan. Nello specifico verrà descritta l’esperienza di un gruppo di pazienti con diagnosi di disturbo di personalità Borderline che hanno frequentato quattro moduli (Mindfulness, Regolazione emotiva, Efficacia interpersonale e Tolleranza della sofferenza mentale) di incontri di skills training a cadenza settimanale, affiancati da una terapia dialettico comportamentale a livello individuale. 89
Questo lavoro vuole essere un contributo allo studio di efficacia del trattamento, in particolare si vuole verificare se sia possibile riscontrare differenze significative nelle dimensioni della disregolazione emotiva e dell’impulsività in linea con quanto emerso in letteratura. Metodo Il campione è composto da pazienti afferenti ai CPS dell’all’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio. Ai soggetti sono stati somministrati i test DERS (“Difficulties in Emotion Regulation Strategies”) al tempo T0 cioè all’inizio del trattamento e al tempo T1 dopo l’intervento (a 12 mesi) e BIS (“Barratt Impulsiveness Scale-­‐11”) prima del trattamento (tempo T0), durante (tempo T1, a 6 mesi) e alla fine dello stesso (tempo T2, 12 mesi). Risultati e Discussione I risultati saranno esposti in sede di discussione. Prentazione 6 Credenze sul pianto tra competenza emotiva e stereotipi di genere Mottarella E.Studi Cognitivi, Milano Introduzione Studi sul pianto hanno mostrato come le donne siano molto più propense a piangere e piangano effettivamente più frequentemente degli uomini. L’espressione emotiva è legata a forti stereotipi di genere che tendono a volere le donne come più emotive degli uomini, spesso descritti tramite una opposizione tra emozione e ragione. Il presente lavoro si muove attraverso tre dimensioni: genere, competenza emotiva, e credenze rispetto al pianto, con l’intendo di dimostrare che un percorso di alfabetizzazione emotiva e di incremento della propria competenza emotiva (attraverso percorso formativo e/o di psicoterapia) permette di modificare le proprie credenze strutturate a partire da forti stereotipi culturali. Obiettivo L’obiettivo della ricerca è osservare e descrivere la differenza nelle credenze rispetto al pianto, in relazione al genere e al livello di competenza emotiva. Metodo Il campione è stato raccolto mediante la somministrazione di un questionario, composto da due parti: Questionario socio-­‐demografico e “Adult Crying Inventory”. Il campione è composto da 239 soggetti, appartenenti alla popolazione generale. Differenti sono i risultati ottenuti nel campione maschile, dove sono predominanti credenze relative al controllo delle lacrime, rispetto a quelli ottenuti nel campione femminile, dove si osservano attribuzioni negative al pianto. Risultati e conclusioni I risultati ottenuti confermano le ipotesi iniziali del lavoro. Se gli uomini affrontano un percorso “emotivo” (psicoterapia personale), riescono a mettere in discussione lo stereotipo che li vuole “razionali” e a modificare le proprie credenze. Mentre, gli uomini che affrontano un percorso di formazione professionale, un lavoro di tipo “cognitivo”, tendo a rafforzare il bisogno di controllo delle emozioni. Se le donne affrontano un percorso di tipo “cognitivo”, studio e formazione professionale, riescono a mettere in discussione lo stereotipo che le vuole invece “emotive”, aumentano le credenze relative all’utilità dell’espressione del pianto, che viene così slegato da significati negativi. 90
Sessione Poster 3 Domenica 20 ottobre 11.00-­‐12.00 Emozioni e Processi Cognitivi (Galleria Teatro) Chairman: Chiara Manfredi 91
Poster 1 Alessitimia, strategie di coping e abuso di alcol: un modello di mediazione Autori: Elena Bilotta*, Luigi Leone**, Giovanna Coriale^, Mauro Ceccanti^ * Equipe età evolutiva -­‐ APC Roma; ** Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione; Sapienza Università di Roma ^ Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio (CRARL), Dipartimento di Medicina Clinica, Sapienza Università di Roma. Introduzione La letteratura suggerisce una forte associazione tra alcolismo e alessitimia (De Rick, & Vanheule, 2006); tuttavia, non esistono informazioni specifiche che spieghino questa relazione, né nei suoi aspetti quantitativi (ad es., alessitimia e quantità di alcol consumato), né nei processi (ad es., uso dell’alcol come modalità di coping; Thorberg et al., 2009). Scopo Nel presente lavoro vengono descritte le abitudini di consumo di alcol tra alessitimici alcolisti. Viene inoltre proposto un modello per descrivere la relazione tra alessitimia, strategie di coping evitante e abuso di alcol, dove in particolare l’alessitimia media la relazione tra strategie di coping evitante e abuso di alcol. Metodo Campione 110 soggetti dipendenti da alcol (76% uomini, 24 % donne; età media 44.3; d.s. 9.7), reclutati presso il Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio (CRARL-­‐ Dip. Di Medicina Clinica, Sapienza Università di Roma). Analisi dei dati Per verificare le differenze tra alessitimici e non nel consumo di alcol. Modelli di Equazioni Strutturali per testare la relazione tra alessitimia, coping evitante e abuso di alcol. Strumenti Toronto Alexithymia Scale (TAS-­‐20; Bressi et al., 1996; α = .79) e Coping Orientation to Problems Experienced (COPE-­‐NVI; Sica et al., 2008; α = .86). Risultati I soggetti alessitimici mostrano di consumare la doppia quantità di unità alcoliche rispetto ai non alessitimici (alessitimici=15.8±10,5; intermedi=18.4±10,5; non alessitimici=9.5±7,2; F (2,107)= 8.1; p<.001). Gli effetti delle strategie di coping evitante sull’abuso di alcol appaiono mediati dall’alessitimia (c2(18) = 21.45, p = .26; RMSEA = .044 (90 % CI: .00-­‐.10), RMSEA test of close fit (RMSEA < .05) p = .51; NNFI = .99; CFI = .99). In particolare, le strategie di coping evitante sono correlate con l’alessitimia (.56, p <.01), a sua volta correlata con il consumo di alcol (.68, p <.01). L’effetto indiretto delle strategie di coping evitante sul consumo di alcol è risultato significativo (.38, p <.01), a supporto dell’ipotesi di mediazione. Conclusioni Il presente studio suggerisce che un intervento focalizzato sull’apprendimento di strategie di coping attive e adattive potrebbe aiutare i pazienti alcolisti a bere di meno e a essere più astinenti, e dall’altra parte potrebbe migliorare il loro livello di alessitimia. Poster 2. LA VERGOGNA IN PSICOPATOLOGIA: UNA RASSEGNA Cristina Salvatori °, Serena Beber °, Fabiola Bianco °, Alessandra Del Rosso°, Donatella Di Gregorio °, Mariella Di Paolo °, Annamaria Libera Lauriola °, Marta Morbidelli °, Lorenza Silvestri°, Barbara Basile * ° Secondo anno della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Roma * Associazione di Psicoterapia Cognitiva, Roma Introduzione La vergogna è un'emozione negativa interpersonale complessa, contraddistinta da comportamenti, pensieri e un alone emotivo specifici. Secondo Castelfranchi (2005) la vergogna ha una funzione adattiva che permette all'individuo di preservare la propria appartenenza al gruppo, mantenendone l'organizzazione gerarchica e garantendo, così, la sopravvivenza. Provare vergogna è indice di condivisione di norme sociali e ha lo scopo di tutelare la buona immagine e l'autostima dell'individuo. Scopo Emozioni di vergogna frequenti ed intense si possono osservare in diversi disturbi psicopatologici come il disturbo del comportamento alimentare, il disturbo borderline di personalità, il disturbo post-­‐traumatico da stress, la depressione e la fobia sociale. Lo scopo di questo lavoro di review consiste nel definire l’emozione di vergogna e nel raccogliere dati circa il ruolo giocato da questa emozione nell’esordio e nel mantenimento dei disturbi psicopatologici. Inoltre, vengono identificati i fattori evolutivi e le credenze che concorrono nell’esordio e nel mantenimento di vissuti di vergogna particolarmente intensi. Metodo Tramite i database di MEDLINE e PsycINFO sono stati individuate le ricerche che hanno indagato la vergogna in relazione a diversi disturbi psichici. 92
Conclusioni I risultati di questa rassegna mostrano come la vergogna rappresenti un’emozione chiave in diverse patologie psichiche, sebbene, soprattutto in alcuni disturbi (per esempio, la fobia sociale), il suo ruolo resti ancora poco chiaro. Questi dati suggeriscono la necessità di ulteriori ricerche sull’argomento, con lo scopo, in futuro, di sviluppare degli interventi psicoterapeutici mirati e specifici, che permettano di alleviare la frequenza e l’intensità della vergogna nei nostri pazienti. Parole chiave: vergogna, psicopatologia, disturbi emotivi, disturbi del comportamento alimentare, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, disturbi di personalità e specifiche circa ciascuno di essi, depressione, disturbo post-­‐traumatico da stress, fobia sociale, abuso di sostanze, suicidio e dipendenza. Poster 3 Effetti della ruminazione rabbiosa in risposta a differenti tipi di rabbia Alessia Offredi Studi Cognitivi Modena Introduzione La ruminazione rabbiosa viene definita come uno stile di pensiero ripetitivo riguardante le cause e le conseguenze dell’emozione di rabbia (Sukhodolsky e colleghi, 2001). La ricerca presentata si propone far luce sul funzionamento di questa strategia di regolazione emotiva mal adattiva, in riferimento alla letteratura attuale sul tema. Obiettivo Il presente lavoro si pone l’obiettivo di indagare gli effetti della ruminazione rabbiosa su differenti tipologie di rabbia. Per evidenziare il ruolo dell’anger rumination, il costrutto è stato posto in relazione ad altri stili di pensiero, ovvero la distrazione e il reappraisal. Per la prima volta, nel presente studio, la rabbia non viene indagata come un costrutto unitario, ma ne vengono analizzate diverse sfaccettature. Si considera quindi una componente di rabbia generale, una di rabbia verso di sé, la rabbia nei confronti altrui e il controllo percepito sulla rabbia stessa. Metodo Quarantacinque volontari hanno partecipato all’esperimento: in primo luogo sono stati somministrati alcuni strumenti per la misurazione delle variabili di tratto, relative in particolare a intensità e gestione della rabbia, tolleranza della frustrazione e tendenza alla ruminazione rabbiosa. Successivamente, ai soggetti è stato chiesto di immedesimarsi in differenti episodi che stimolavano rabbia e in seguito di applicare uno dei tre stili di pensiero considerati. I livelli dei diversi tipi di rabbia sono stati misurati prima e dopo le induzioni; sono stati quindi analizzati la situazione di partenza e il cambiamento dei livelli riportati in seguito all’applicazione di ruminazione rabbiosa, distrazione o reappraisal. Lo studio condotto presenta un disegno within subjects, le cui variabili indipendenti sono costituite dal tipo di scena e d’induzione, mentre le variabili dipendenti sono i livelli di rabbia (generale, verso sé, verso gli altri) e di controllo sull’emozione. Risultati I risultati mostrano un andamento similare di distrazione e reappraisal, che diminuiscono l’intensità dell’emozione stimolata e aumentano il controllo su di essa. La ruminazione, invece, dimostra avere un effetto negativo sulla regolazione della rabbia, mantenendo i livelli di intensità dell’emozione e di controllo su di essa simili in entrambe le misurazioni. Conclusioni L’ipotesi iniziale viene confermata dai dati ottenuti: la ruminazione è risultata l’unico tipo di induzione che mantiene i livelli di rabbia pressoché costanti nel tempo, al contrario di distrazione e reappraisal, che tendono a diminuirla, nonostante il breve intervallo di tempo in cui esse sono state stimolate nei soggetti. La ruminazione rabbiosa, mantenendo stabili nel tempo i livelli di rabbia, sembra interferire con i processi di regolazione emotiva e interrompere i meccanismi cognitivi volti a rielaborare e rivalutare la situazione. Vengono confermati i risultati precedentemente descritti in letteratura (ad esempio: Denson, Moulds & Grisham, 2012) e a questi si aggiunge una maggiore specificità, grazie all’approfondimento relativo ai diversi tipi di rabbia considerati. Poster 4 Il Ruolo di Personalità e Stili Genitoriali nel predire il Desire Thinking e l’Anger Rumination Chiung Ching Wang,M., Scaini S. & Ogliari A Introduzione Il Desire Thinking e l’Anger Rumination costituiscono due stili di pensiero ricorrenti, disfunzionali e rigidi spesso associati a diverse forme di psicopatologia sia in età adulta che adolescenziale. Scopo Questo studio si pone l’obiettivo di indagare quali dimensioni di personalità predicano lo sviluppo del Desire Thinking e l’Anger Rumination, oltre a valutare l’influenza che gli stili parentali svolgono nell’insorgenza dei suddetti stili di pensiero. 93
Metodo e Risultati Questionari auto-­‐somministrati atti a indagare Personalità, Stili Genitoriali, sintomi d’ansia e depressione, Desire Thinking e Anger Rumination sono stati somministrati a 100 adolescenti (età media 16.04 + 1.37) in cura presso un Servizio di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza milanese. Successivamente alle analisi preliminari è stato valutato il grado di associazione tra il Desire Thinking, l’Anger Rumination e le variabili di interesse (Personalità, Stili genitoriali, Affetti negativi) attraverso l’implementazione di correlazioni lineari di Pearson. Infine, mediante l’uso di regressioni Stepwise, abbiamo valutato quali tra le variabili di interesse predicessero alti punteggi di Desire Thinking e Anger Rumination. Le correlazioni, calcolate al fine di valutare quali variabili mostravano associazione con il Desire Thinking e l’Anger Rumination, hanno evidenziato che entrambe le variabili erano positivamente correlate con le seguenti variabili: Dipendenza dalla Ricompensa, Ricerca della Novità, Ansia di Tratto, mentre erano correlate negativamente con le variabili: Cura materna, Iperprotezione materna, Cura paterna, Evitamento del Pericolo. In aggiunta l’Anger Rumination correlava anche con le seguenti variabili: Iperprotezione paterna (correlazione negativa), Ansia di Stato. Le regressioni hanno mostrato come il Desire Thinking fosse predetto da alti punteggi alla variabile temperamentale Ricerca della Novità e da bassi punteggi alla variabile Iperprotezione materna. Le stesse variabili, in aggiunta ad elevati punteggi per la variabile Dipendenza dalla Ricompensa, predicevano la variabile Anger Rumination. Conclusioni Dallo studio sembra emergere che persone con inclinazione all’eccitabilità, alla sregolatezza e alla volubilità decisionale con facilità ad annoiarsi e improvvisi scoppi di collera, siano maggiormente predisposte ad attivazioni cognitive di tipo Desire Thinking e Anger Rumination. Inoltre, un profilo temperamentale connesso alla preoccupazione per la reazione delle altre persone al proprio comportamento ed elevata sensibilità e ricerca di contatti sociali, può favorire lo sviluppo di Anger Rumination. Infine uno stile genitoriale materno a bassa iperprotezione sembra influenzare entrambe queste modalità di pensiero. Poster 5. LA RUMINAZIONE IDEATIVA NEI DISTURBI DELL’UMORE E NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO D.Tessieri (1,2,3), G. Corretti (1); (1)Unità funzionale di Salute Mentale Adulti -­‐ A.S.L.5 Pisa-­‐ zona Valdera (2) Centro interdisciplinare per la ricerca e la formazione in sessuologia -­‐ CIRS di Genova (3) Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica -­‐ F.I.S.S. Introduzione La ruminazione, intesa come la difficoltà nel controllare i pensieri ripetitivi sui problemi personali, è stata negli anni oggetto di ricerca scientifica, soprattutto in relazione al Disturbo Depressivo Maggiore (EDM). Sono state date molte definizioni, ma tendenzialmente, si è sempre parlato di un costrutto cognitivo, associata alla depressione "unipolare". Durante gli ultimi anni l’attenzione si è spostata sia su tutti i Disturbi dell’Umore, in particolar modo sul Disturbo Bipolare, sia sui Disturbi d’Ansia. Obiettivo Il seguente lavoro si basa sulla revisione della letteratura scientifica, soffermandosi sulle caratteristiche di ruminazione tra il Disturbo Bipolare ed il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) e nella comorbidità tra i due. Ricerca e Metodo Il lavoro si basa principalmente su di una ricerca bibliografica attraverso fonti presenti in rete (PubMead, Google scholar ...), ponendo come termini di ricerca “Rumination”, “Mood Disorder”, “Bipolar Disorder”, “Depressive Disorder”, “Depressive Epidode”, “OCD”, “Anxiety Disorder”, “Comorbidity”. Le considrazioni riportate in discussione riguardano gli studi riscontrati in letteratura, alla luce delle osservazioni provenienti dalla pratica quotidiana. Risultati Sebbene storicamente la ruminazione sia stata associata a condizioni di tipo depressivo, in particolar modo ad un umore di tipo depresso, i pazienti affetti da disturbo bipolare sembrano avere una tendenza più spiccata a ruminare: sia durante le fasi caratterizzate da umore depresso, sia durante quelle con umore di tipo iopomaniacale/maniacale. Inoltre i bipolari presentano risposte di tipo ruminativo sia in relazione a stimoli negativi, sia a stimoli positivi. Nel DOC la rumizaione riveste generalmente il ruolo di sintomo cardine del disturbo stesso e le tematiche su cui è incentrata sono tipiche del disturbo stesso. Sia nel caso del Disturbo Bipolare che nel DOC sono stati evidenziati deficit funzionali in specifiche valutazioni neuropsicologiche e cognitive, senza tuttavia riscontrare od ipotizzare una genesi comune. Non sono stati rilevati studi sulla ruminazione che analizzano la comorbidità tra Disturbo Bipolare e DOC (nonostante i tassi di comorbidità tra i due disturbi siano elevati). Conclusioni La ruminazione è una dimensione transnosografica tra i disturbi della sfera affettiva. I disturbi particolarmente interessati sembrano essere il DOC ed il Disturbo Bipolare. Per entrambi è stata proposta una genesi correlata a deficit cognitivi e neuropsicologici, senza tuttavia evidenziare una via comune. Non vi sono al momento studi 94
sulla ruminazione in casi di comorbidità DOC-­‐Disturbo Bipolare, questa potrebbe costituire una nuova direzione di ricerca. Poster 6 Intentional Forgetting Maurizio Gorgoni*, Fabiola Pisciotta*, Ludovica Bonifaci*, Eleonora Chillemi*, Claudia De Santis*, Andrea Di Falco*, Anna Florio*, Melissa Piazzi*, Alessia Rondoni*, Federico Santilli*, Emanuele Guarracino**, Massimo Esposito**. Psicologo/Allievo Specializzando Ass. Psicologia Cognitiva II Anno di Corso.** Psicologo/Psicoterapeuta Ass. Terapia Cognitiva. Introduzione Il presente lavoro rappresenta una fase preliminare di un percorso di approfondimento ed analisi di una funzione cognitiva, l’intentional forgetting, allo scopo di evidenziarne la possibile rilevanza clinica e gli eventuali risvolti sul processo terapeutico.Freud ha descritto per primo i meccanismi secondo i quali è possibile, più o meno consapevolmente, eliminare dalla memoria ricordi spiacevoli; a partire dalle sue considerazioni sia la psicologia clinica che le neuroscienze cognitive si sono occupate di indagare i processi alla base della soppressione volontaria di un ricordo. Per intentional forgetting si intende la possibilità di dimenticare consapevolmente delle informazioni precedentemente immagazzinate in memoria. Spesso proviamo ad escludere ricordi non desiderati dalla consapevolezza. Tale fenomeno sembra essere un processo complesso che coinvolge strutture impiegate nel percorso di apprendimento e meccanismi di controllo cognitivo simili a quelli usati per stoppare le risposte motorie riflesse. Metodo Il paradigma maggiormente utilizzato per indagare i meccanismi di soppressione della memoria, sia di stimoli neutri che connotati emotivamente, è quello del Think/No-­‐Think. Studi di neuroimaging (fMRI; fNIRS; ERP) condotti su soggetti sani convergono nell’indicare una maggiore attività a carico della corteccia dorsolaterale prefrontale (importante per l’inibizione delle risposte motorie) ed una ridotta attività ippocampale (struttura cruciale per la formazione della memoria dichiarativa) quando il soggetto deve inibire il recupero mnestico dell’informazione. Tali studi sostengono l’ipotesi secondo cui sarebbe possibile, per l’essere umano, intervenire in modo attivo per controllare o eliminare i ricordi non desiderati e propongono l’intentional forgetting come una possibile strategia da utilizzare in ambito clinico al fine di comprendere e, dunque, poter aiutare pazienti caratterizzati da ricordi intrusivi. Tesi In realtà, gli studi effettuati con materiale emotivamente significativo ed i lavori condotti su soggetti affetti da diversi tipi di psicopatologia (Depressione Depressivi; Disturbo Ossessivo Compulsivo) portano a risultati contrastanti. Inoltre, risulta importante mettere in luce alcuni limiti degli studi presi in oggetto, come la ridotta numerosità campionaria, l’assunzione di farmaci durante la fase sperimentale nei soggetti affetti da psicopatologia, la soggettività della connotazione emotiva dello stimolo, la difficoltà a discriminare l’influenza che alcuni aspetti psicopatologici possono avere nei processi mnestici e la relativamente scarsa importanza data ad una variabile fondamentale come il tempo di esposizione allo stimolo. Conclusioni In conclusione, pur considerando l’intentional forgetting un costrutto di indubbio valore, oggettivato da coerenti evidenze neuropsicologiche, riteniamo quantomeno prematuro pensare al suo eventuale utilizzo in ambito clinico Poster 7 Il ruolo delle meta-­‐emozioni nei disturbi di Asse II, un’indagine esplorativa Bedini, R., Mannarino, A., Brugnoni, A., Giuri, S., Manfredi, C., Caselli, G. Studi Cognitivi Modena Introduzione La letteratura scientifica ha indagato nel tempo il ruolo delle emozioni e della regolazione emotiva nei pazienti con diagnosi di Asse II (e.g., Linehan, 1993). Nel corso degli anni, i vari autori si sono focalizzati sui diversi aspetti delle difficoltà di regolazione emotiva, dalla paura della rabbia (Diogo et al., 2006), al riconoscimento delle espressioni facciali (Renneberg et al., 2005), ai diversi aspetti dell’intelligenza emotiva (Leible et al., 2004) e tolleranza dello stress (Iverson et al., 2012). Da un punto di vista più globale, diversi autori hanno approfondito il ruolo della paura delle emozioni (Williams et al., 1997), intesa come la paura dell’esperienza emotiva in sé (sia positiva che negativa), legata al timore di perdere il controllo durante tale esperienza, e/o alla paura di una reazione all’emozione, in particolare relativa alle conseguenze fisiche sperimentate in seguito alla risposta emotiva (Williams et al., 1997; Berg et al., 1998). La paura delle emozioni è stata declinata soprattutto sui disturbi di Asse I, con particolare attenzione allo spettro ansioso (paura della paura, Mennin et al., 2005) e depressivo (paura della tristezza, Nolen-­‐Hoeksema, 2004). Più 95
recentemente, è stato proposto il costrutto di meta-­‐emozione (Mitmansgruber et al., 2009), come esplicativo di alcuni processi di evitamento e consapevolezza e accettazione emotiva. Obiettivo Il presente studio si pone l’obiettivo di indagare il costrutto di meta-­‐emozione in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità, per poter meglio comprendere come la reazione emotiva alle proprie emozioni sia predittiva di altri costrutti che in letteratura sono stati correlati con gli agiti impulsivi. Metodo Per questo, è stata costruita una batteria di test che esplora le meta-­‐emozioni, i livelli di rabbia percepita, la capacità di controllare le emozioni di rabbia, i pensieri che i pazienti fanno rispetto alle emozioni che si ritrovano a provare e le difficoltà generali di regolazione emotiva, con lo scopo di approfondire come tutti questi costrutti sono correlati tra loro in che misura le meta-­‐emozioni possono mediare la relazione tra le difficoltà di regolazione emotiva e la sintomatologia borderline. Il campione è composto da soggetti ospiti di due case di cura con esclusione di quelli con concomitante diagnosi di abuso/dipendenza da sostanze. Conclusioni e discussione I dati verranno sottoposti ad analisi correlazionali e regressioni, per valutare la capacità predittiva dei costrutti indagati sul tipo di diagnosi. I risultati verranno presentati e discussi. 96
Sessione Poster 3 Domenica 20 ottobre 11.00-­‐12.00 Interventi psicologici fuori dal contesto clinico
(Sala Cristalli) Chairman: Luca Cieri 97
Poster 1 Che cos'è la psicoterapia? Analisi territoriale su una popolazione non clinica. Indagine sulle conoscenze e sulle percezioni in merito alla psicoterapia Ierace, M. M. Circosta, R. Contarino, A. Di Mauro, A. Fazzello, L. Ferrari, T. Genovese, B. La Serra, M. Manglaviti, S. Messina, M. Morabito, R. Rapisarda, E. Stella, A. Zema, Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) sede Reggio Calabria Introduzione L’articolo 3 del codice deontologico degli psicologi italiani mette in evidenza come tra i doveri dello psicologo ci sia anche quello di “accrescere le conoscenze sul comportamento umano e di utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità”. A tal proposito, è importante rilevare come in molti paesi i sistemi sanitari stiano rivolgendo la loro attenzione alle psicoterapie di comprovata efficacia allo scopo di rispondere al bisogno di salute della popolazione e di contenere le spese dei governi stessi in quest’ambito. Tuttavia, sebbene siano stati fatti notevoli passi avanti rispetto alla quantità e alla qualità delle informazioni a disposizione della popolazione riguardo alla cura dei disturbi mentali, si osservano ancora oggi numerosi luoghi comuni ed un profondo scetticismo nei confronti della psicoterapia, che rendono difficoltoso l’accesso delle persone che ne hanno bisogno a questo tipo di cura. Obiettivi Sulla base delle considerazioni sin qui riportate, ci si è proposti di condurre la presente ricerca con l’obiettivo di indagare le conoscenze e le percezioni delle persone rispetto alla psicoterapia, allo scopo mettere in evidenza gli eventuali aspetti di criticità nella quantità, nella qualità e nelle modalità di trasmissione delle informazioni che giungono alla popolazione rispetto alla psicoterapia, conoscenze e percezioni, molto spesso distorte e confuse, che tendono a compromettere il ricorso alla psicoterapia. Metodo A tal fine è stato sviluppato questionario self-­‐report che verrà somministrato ad un campione di circa 300 persone di entrambi i sessi e con un’età non inferiore a 16 anni. Il questionario è composto da una dettagliata scheda anagrafica, una sezione riguardante precedenti trattamenti, una sezione specifica per le conoscenze sulla psicoterapia ed una parte dedicata alle modalità e alle dinamiche di accesso alla psicoterapia. Risultati Lo studio non si è ancora concluso. Saranno condotte sia analisi di tipo descrittivo (analisi delle frequenze, calcolo delle medie per le risposte ai singoli item), sia di tipo correlazionale al fine di evidenziare particolari pattern di percezioni e di credenze nelle diverse categorie di soggetti indagati. Conclusioni I risultati potranno fornire elementi preziosi per favorire l’emergere di nuove azioni volte a promuovere una migliore e più efficace informazione sui diversi aspetti della psicoterapia come “cura”, oltre a facilitare una programmazione innovativa di possibili interventi volti a sostenere il benessere psicologico della popolazione. Poster 2 Applicazione del protocollo ‘mac’ (mindfulness-­‐acceptance-­‐commitment) per il miglioramento delle performance di un gruppo di pallavoliste adolescenti Claudia Fiorini, Studi Cognitivi Modena; Sabrina Bucci, Studi Cognitivi Modena; Francesca Lavorini, Studi Cognitivi Modena; Gabriele Caselli, Studi Cognitivi Modena; Introduzione Il presente lavoro si propone di migliorare alcune abilità mentali di pallavoliste adolescenti che praticano l’attività quotidianamente all’interno di una società di livello Nazionale, attraverso l’applicazione del protocollo MAC, sviluppato originariamente negli Stati Uniti per una popolazione adulta e successivamente verificato su un singolo adolescente. Obiettivi L’obiettivo è di migliorare alcune abilità mentali (tra cui mindful awareness, mindful attention, experiential acceptance) sul gruppo di adolescenti nell’ipotesi che l’acquisizione di queste abilità porti al raggiungimento consapevole di uno stato di equilibrio e di flow che può aiutare l’atleta a migliorare la performance. Metodo Il campione in esame è stato suddiviso in un gruppo di controllo e in un gruppo sperimentale, entrambi composti da 5 soggetti. Tutte le atlete appartengono alla stessa squadra che partecipa a campionati nazionali e risultano avere un profilo idoneo al protocollo, valutato con una batteria di test clinici ed un colloquio strutturato individuale (MCS-­‐SP), che fa parte del protocollo MAC. Risultati A seguito dell’applicazione del MAC ci si attende un incremento di mindful awareness, mindful attention, experiential acceptance, flow variabili associate secondo la letteratura al miglioramento delle performance. I risultati saranno presentati e discussi in sede di congresso. Riferimenti bibliografici Gardner F.L e.Moore Z.E (2007).The Psycology Of Enhancing Human Performance. Springer Publishing Company 98
Gardner F.L. e Moore Z.E (2006).Clinical Sport Psycology. Human Kinetics Schwanhausser Lori, La Salle university (2009). Journal of clinical sports Psychology, volume 4, 2009, pages377-­‐
395.Application of the Minfulness-­‐Acceptance-­‐commitment (MAC) Protocol With an Adolescent Springboard Diver.(2009)Human kinetics, Inc. Poster 3 “Dall’assertività virtuale all’assertività personale. Proposta di un Training di Assertività per adolescenti dai 14 ai 18 anni”. Collavini Micol, Colucci Valentina, Dalla Bona Elisa, Dal Molin Anna, De Rossi Francesco, Ghiotto Anna, Goberti Simona, Paternicò Donata, Petriccione Carmen, Vacca Giovanna, Zanette Silvia, Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC -­‐ Cognati; Conduttore del Project: Lorenzon Maria Grazia. Introduzione Il presente lavoro è partito dalla considerazione che gli adolescenti prediligono la comunicazione attraverso gli istant messaging e i social network e che sembrano ridurre le occasioni destinate alla comunicazione face to face a favore della comunicazione online, con un deterioramento della qualità delle relazioni di amicizia. Le premesse di partenza hanno cercato di rispondere ai seguenti quesiti: 1) quali sono gli aspetti comunicativi che portano i ragazzi a preferire la comunicazione attraverso Facebook, Twitter, gli sms?, 2) che cosa si perde rinunciando ai rapporti interpersonali diretti?, 3) come si può costruire un rapporto autentico con gli altri nella vita reale? Recenti indagini dell’ Eurispes e di Telefono Azzurro confermano la passione che gli adolescenti nutrono verso le tecnologie. Un terzo dei ragazzi predilige la comunicazione online per l’ autosvelamento degli aspetti intimi di sé e l’autopresentazione agli altri, in luogo della comunicazione interpersonale, tradizionalmente considerata più efficace. Ciò che caratterizza la comunicazione virtuale è la possibilità del rapporto interpersonale “uno a molti”, aspetto che ha delle ripercussioni sullo sviluppo dell’identità sociale degli adolescenti, mentre la comunicazione “uno a uno” incide maggiormente a livello dell’identità individuale. Ad incoraggiare la comunicazione virtuale concorrono principalmente tre fattori: l’anonimato, l’asincronicità della comunicazione e l’accessibilità del mezzo. L’asincronicità unitamente all’assenza di un canale non verbale permettono in particolare, la possibilità di esaurire le relazioni con un “click” e forniscono una protezione dalle emozioni legate al contatto diretto con l’altro. Si osserva la tendenza dei giovani a sostituire il tempo che potrebbe essere dedicato alle relazioni face to face con la comunicazione online . A tal proposito, diverse ricerche sottolineano come gli adolescenti, a differenza degli adulti, utilizzino prevalentemente questi mezzi per continuare i rapporti con persone conosciute. Obiettivi Partendo dalla preferenza degli adolescenti per la comunicazione attraverso le nuove teconologie, si propone un percorso mirato ad ampliare le competenze comunicative dei ragazzi nell’ambiente virtuale e in quello reale, al fine di proporsi positivamente e di favorire la costruzione di rapporti interpersonali significativi. Attraverso il confronto di entrambe le forme comunicative ci si propone di aumentare la consapevolezza dei diversi stili relazionali e di favorire la comunicazione assertiva, con particolare attenzione alle componenti non verbali e di gestione delle emozioni e dell’autostima presenti nello scambio interpersonale. Il training viene presentato ai ragazzi con il titolo: ”Da Facebook a Face to face”. Prevede 8 incontri e un incontro di follow-­‐up a distanza di tre mesi dal termine degli incontri. I contenuti, la metodologia, lo svolgimento degli incontri e gli strumenti di valutazione utilizzati tengono conto dell’età dei ragazzi e degli aspetti motivazionali che possono coinvolgerli maggiormente. La naturale prosecuzione del progetto prevede la sperimentazione in situazione reale e la valutazione dell’efficacia dell’intervento. Poster 4 Training al pensiero concreto in realtà virtuale Acerra, G., Andreoni, E., Rossi, F., Caselli, G., Rebecchi, D. Studi Cognitivi Modena Introduzione Negli ultimi anni sta prendendo campo l’utilizzo della realtà virtuale in ambito medico e psicologico. La presente ricerca pilota vuole applicare questa tecnica alla TCC sullo stile di pensiero ruminativo. È stato condotto un training al pensiero concreto con l’utilizzo della realtà virtuale, un ambiente tridimensionale generato dal computer, in cui il soggetto può muoversi come fosse realmente al suo interno. Le opportunità sono: sperimentare stati interni nel mondo creato dal pc e apprendere in modalità senso-­‐motoria. Obiettivi La ricerca si pone i seguenti obiettivi: -­‐ verificare l’efficacia della realtà virtuale nell’indurre senso di presenza; -­‐ valutare se l’esposizione alle scene virtuali induce ruminazione; 99
-­‐ valutare la diminuzione della ruminazione dopo il training al pensiero concreto in realtà virtuale. Metodologia La metodologia utilizzata ha previsto l’ideazione di situazioni problematiche e la costruzione di scene corrispondenti con l’uso del programma NeuroVR 2.0 (Istituto Auxologico Italiano) e l’utilizzo di strumenti per rendere l’ambiente virtuale. É stato creato un protocollo di somministrazione del training, costituito da 4 incontri settimanali, e di misurazioni pre e post-­‐intervento (CORE-­‐OM, BDI, RRS, PBRS, NBRS, ITC-­‐SOPI). I Risultati I risultati ai test confermano le ipotesi iniziali: il senso di presenza è stato rilevabile per tutti i partecipanti in tutte le sedute ed è stato dimostrato che l’utilizzo della realtà virtuale in un training al pensiero concreto ha abbassato i livelli di ruminazione. Conclusioni In prospettiva di questi risultati positivi e significativi, si sottolinea, ancora una volta, l’efficacia sia dell’utilizzo della realtà virtuale nella psicopatologia sia l’importanza di condurre ricerche in questo settore. Poster 5. Craving, Pensiero Desiderante e Bias Attentivi nella dipendenza da nicotina Cristina Ferrari, Studi Cognitivi Modena; Gabriele Caselli, London South Bank University, UK e Studi Cognitivi, Modena; Francesco Rovetto, Università degli Studi di Pavia. Introduzione Negli ultimi anni molti studi nell'ambito delle dipendenze si sono concentrati sull'influenza dei fattori dipendenti, come Craving e Pensiero Desiderante, sull'attenzione, in particolare andando a valutare i Bias Attentivi. Scopo Questa ricerca vuole andare a studiare la relazione tra Pensiero Desiderante, Craving e Bias Attentivi all'interno di un campione di fumatori, diviso in base al numero di sigarette fumate in una giornata e a due diversi tipi di induzione ai quali il campione è sottoposto. Metodo I soggetti sono inizialmente sottoposti ad una batteria di test per indagare il livello di dipendenza, l'utilizzo del Pensiero Desiderante e il livello di Craving di ogni soggetto; successivamente i soggetti sono sottoposti alla prima prova di un visual probe task, per la valutazione dei Bias Attentivi. Nella seconda parte dell'esperimento i soggetti devono eseguire un compito di induzione, divisi in gruppi: induzione al Pensiero Desiderante o alla Distrazione. Infine tutti vengono sottoposti alla seconda prova di visual probe task. Risultati I dati raccolti ci mostrano che i tempi di reazione non sembrano influenzati né dalla quantità di sigarette fumate in una giornata né dai compiti di induzione. Mentre il livello di Craving aumenta maggiormente per i soggetti indotti all'utilizzo del Pensiero Desiderante. Discussioni L'influenza dell'induzione al Pensiero Desiderante solo sul Craving e non sui Bias Attentivi può essere data dalla diversa natura dei due costrutti che permette una maggior o minor influenzabilità, quindi sarebbe interessante andare in futuro ad indagare altre metodologie che potrebbero portare ad una maggior influenza sui Bias Attentivi (es. training attentivo). Poster 6 Applicazione del protocollo ‘mac’ (mindfulness-­‐acceptance-­‐commitment) per il miglioramento delle prestazioni in contesto aziendale Lavorini Francesca∗; Fiorini Claudia∗; Giovini Matteo∗ ∗Scuola di Specializzazione in Psicoterapia “Studi Cognitivi”, Modena Introduzione Recentemente, i principi base di mindfulness-­‐based therapy e acceptance-­‐commitment therapy sono stati applicati congiuntamente attraverso il protocollo MAC (Mindfulness-­‐Acceptance-­‐Commitment), sviluppato in contesto statunitense originariamente per una popolazione di sportivi professionisti e finalizzato al miglioramento delle prestazioni. Obiettivo L’obiettivo del presente lavoro è verificare l’esito dell’applicazione del protocollo MAC su un professionista altamente qualificato, collocato in posizione dirigenziale all’interno di un’azienda multinazionale. Metodo Il soggetto è stato selezionato sulla base dell’alto profilo organizzativo e della sua idoneità psicologica al protocollo, intesa come assenza di disturbi di Asse I e II. Durante le 7 settimane di intervento, il soggetto è stato sistematicamente monitorato rispetto allo stato di benessere individuale e alla presenza di eventi stressanti, per misurare il variare delle condizioni contestuali durante l’applicazione del protocollo 100
Risultato A seguito dell’applicazione del MAC si è verificato un incremento di mindful awareness, mindful attention, experiential acceptance, variabili associate secondo la letteratura al miglioramento della performance, sia tramite le valutazioni oggettive pre/post sia tramite le valutazioni soggettive rese dal soggettivo a fine intervento. Conclusioni Pur essendo necessari ed opportuni ulteriori approfondimenti, l’esito di tale studio potrebbe supportare l’applicazione del MAC in contesti aziendali. Elemento di interesse potrebbe essere quello di affiancare alla valutazione già in essere anche strumenti oggettivi di valutazione pre/post delle prestazioni attualmente non previsti dal protocollo. 101
Sessione Poster 3 Domenica 20 ottobre 11.00-­‐12.00 Psicoterapia (Sala Ping Pong) Chairman: Giampaolo Mazzoni 102
Poster 1 Il ripostiglio nella mente. Omosessualità e psicoterapia. Alice Calonaci, Psicologa e Psicoterapeuta, Scuola di Psicoterapia Cognitiva -­‐ Spc sede di Grosseto. Introduzione Il presente lavoro mira a sottolineare l’inesorabile e antitetico processo che la persona omosessuale si trova ad affrontare nel corso della propria vita. Prima ancora di mentire agli altri deve farlo a sé stesso, prima ancora di costruire la propria identità deve negarsi. Obiettivo L’obiettivo dello studio è quello di dare un inquadramento generale, e certo non esaustivo, a tutti coloro, esperti e non, che desiderano avvicinarsi al complesso tema della (omo) sessualità umana. La ricerca esamina i risultati delle più recenti ricerche scientifiche sull’omosessualità e sull’omogenitorialità, ribadendo le linee guida internazionali dell’American Psychological Association (APA), quelle dell’Ordine Nazionale degli Psicologi italiani e di altri enti che si occupano della salute mentale dei cittadini. Lo studio mette in evidenza le caratteristiche della psicoterapia con pazienti omosessuali, con particolare attenzione agli aspetti della fede religiosa, insieme alle peculiarità etiche e deontologiche. Si farà cenno, inoltre, alla prospettiva delle terapie riparative o di riconversione, data la loro crescente visibilità a livello mondiale. Lo scopo ultimo del presente lavoro è quello di sensibilizzare psicologi, psicoterapeuti e tutte quelle persone che lavorano a contatto con la questione della (omo) sessualità umana (medici, infermieri, operatori sanitari, educatori): fornire spunti di riflessione sulla pratica clinica e sul rapporto con l’omosessualità, propria e altrui. Infine, a tal proposito, si sottolineerà la necessità e l’urgenza che gli istituti universitari e post universitari prestino maggiore attenzione alla formazione dei propri studenti, che diverranno clinici e/o ricercatori. Poster 2 relazione terapeutica e sviluppo metacognitivo in pazienti con psicosi P.Maietta*, O.Natullo*, A.Opera*, G.Riccardi*, G.P.Russo***, M.Sabia***, A. Tramontano**. SPC Villa Camaldoli Sede di Napoli Introduzione Sebbene non esista un unico tipo di psicoterapia, ma modelli psicoterapici assai differenti, talvolta anche distanti tra loro e benché la varietà di tali modelli di intervento psicoterapeutico comporti una difficoltà nel rintracciare una definizione univoca di psicoterapia che possa essere condivisa da qualsiasi scuola o da tutti i terapeuti, ciò che accomuna i vari orientamenti è il concetto di alleanza terapeutica. Proprio la costruzione di una solida alleanza terapeutica con il paziente, rappresenta uno dei passaggi cruciali ed è un aspetto delicato e difficile da gestire quando ci si trova di fronte a pazienti psicotici, in cui ad essere minata è proprio la possibilità che si sviluppi una completa e piena adesione al trattamento e dove risulta di estrema importanza l’elaborazione di strategie d’intervento mirate e personalizzate, che siano precedute da una preliminare valutazione dello stato di difficoltà, della sintomatologia e delle risorse attuali e potenziali del paziente in questione. Del resto uno dei problemi principali che si trovano ad affrontare questi pazienti sembra riguardare proprio il cosiddetto “scacco dell’intersoggettività” (Binswanger, 1928), unitamente alla difficoltà che hanno nello stabilire relazioni interpersonaliu significative e quindi anche correttive. Proprio per le ridotte capacità di decentramento e comprensione della mente altrui, questi pazienti, infatti, presentano gravi problemi nel comprendere i bisogni e le richieste proprie e delle persone con cui entrano in relazione. Metodo Attraverso la descrizione di esperienze individuali di trattamento, con il presente lavoro intendiamo proporre uno studio osservazionale a carattere longitudinale. Partendo da un lavoro di osservazione a lungo termine ci è stato possibile monitorare l’evoluzione clinica dei numerosi deficit presentati dai pazienti ricoverati presso Villa Camaldoli (Sede SPC di Napoli), relativi ad abilità che in generale denomineremo competenza sociale e che nello specifico si riferiscono alla capacità del soggetto, di creare e mantenere relazioni sociali efficaci o di decodificare e valutare i messaggi provenienti dall’ambiente circostante e di rispondervi in maniera adeguata. Grazie a gruppi di Social Skill Training ci è stato possibile monitorare il variegato repertorio di competenze di un target specifico di cosiddetti pazienti “difficili”, storicamente esposti al rischio di cronicizzazione e deterioramento. Dalla personale esperienza vissuta con suddetti pazienti, possiamo affermare che la costruzione di una buona alleanza terapeutica unitamente alla creazione di un setting terapeutico flessibile e al contempo accudente, rappresentano la base per orientare un progetto terapeutico-­‐riabilitativo all’insegna dell’empirismo collaborativo e del dialogo socratico.La possibilità di riuscire a fornire un ambiente validante e accogliente passa attraverso la pratica di un ascolto attivo e non giudicante delle tematiche e delle problematiche trattate. Risultati In conformità con quanto previsto, i risultati attesi rivelano che trattamenti psicoterapici efficaci, incidono tanto sulla motivazione, migliorando la compliance al trattamento, quanto su un reale miglioramento clinico globale 103
del paziente in una modalità significativa e altrettanto affidabile, qualitativamente e quantitativamente, potenziando i risvolti prodotti da un intervento farmaco terapico indicato per il medesimo disturbo. Poster 3 La percezione di autoefficacia negli psicoterapeuti in formazione: un’indagine esplorativa Battilana E., Biondani I., Carolo M., Carrozzo E., Cazzolli G., Mancini F., Redolfi A., Santoruvo A., Siviero F., Stupiggia C. Studentesse Specializzande -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC, 3° anno Introduzione Il presente studio si pone l’obiettivo di approfondire alcune tematiche legate all'autoefficacia percepita in ambito lavorativo da parte dei terapeuti in formazione ad orientamento cognitivo comportamentale. Scopo In particolare, ci si propone di indagare la relazione esistente fra percezione di autoefficacia (Bandura, 1977) e variabili personali ed esperienziali: a tal fine, sono stati considerati lo stile di coping, alcune caratteristiche di personalità, il numero di pazienti trattati con riferimento al disturbo presentato (asse I o asse II del DSM-­‐ IV) e il numero di drop out registrati. Metodo A tal fine, sono state raccolte ed analizzate le risposte ad un questionario appositamente strutturato, fornite dagli studenti dei diversi anni di corso delle scuole di specializzazione APC e SPC presenti sul territorio nazionale. Il razionale dello studio presuppone che l’autoefficacia percepita influisca sulla motivazione e sull’impegno che i soggetti investono nello svolgimento della professione e che, parallelamente, la capacità di immaginarsi impegnati in azioni di successo influenzi positivamente sia la loro realizzazione sia la sensazione di autoefficacia. Di conseguenza, si intende approfondire sia il ruolo della percezione di autoefficacia, che la relazione di questa componente con altre variabili quali lo stile di coping e la personalità del terapeuta in ambito professionale. Hanno preso parte allo studio 214 soggetti (181 femmine), specializzandi presso le sedi APC-­‐SPC, di età media intorno ai 30,5 anni; la raccolta dati risulta tuttora in corso d’opera. Lo strumento di indagine utilizzato consiste in un questionario on line in cui si sono raccolte sia le informazioni anamnestiche relative al soggetto e alla sua attività clinico-­‐lavorativa, che le relative risposte a tre questionari descritti sotto. Nello specifico, ai soggetti è stata inviata una mail con il link a cui collegarsi per rispondere agli items proposti. Il compito dei soggetti prevede, dopo aver completato la sezione relativa ai dati anamnestici, di indicare il numero totale di pazienti in carico per sostegno psicologico o psicoterapico segnalando gli eventuali drop out; secondariamente, si chiede loro di specificare il numero di pazienti con disturbo di asse I e II o con disturbi non riferibili alle precedenti categorie diagnostiche. Infine, ai soggetti si chiede di compilare tre questionari validati: l'“Eysenck Personality Questionnaire” forma ridotta (CBA 2.0 scheda 5), il “Coping Orientation to Problems Experienced Versione Italiana” e la “Scala di Autoefficacia Percepita nella Gestione di Problemi Complessi”. Quindi, per ogni soggetto l’autoefficacia viene indagata secondo quattro dimensioni: “Maturità emotiva”, “Finalizzazione dell’Azione”, “Fluidità Relazionale” ed “Analisi del Contesto”. Inoltre, per ogni soggetto si individua lo stile di personalità (“Estroversione-­‐Introversione” VS “Nevroticismo-­‐Stabilità Emotiva” VS “Psicoticismo-­‐Socializzazione”) e lo stile di coping adottato (“Orientamento al Problema”, “Attitudine Positiva”, “Sostegno Sociale”, “Evitamento” e “Orientamento Trascendente”). I risultati verranno interpretati utilizzando test parametrici e non parametrici sulla base degli strumenti valutativi individuati. In particolare, dopo una prima indagine sui dati demografici e clinici riportati dai soggetti tramite statistiche descrittive, si condurrà un’analisi between subject individuando come fattore gruppo lo stile di coping, in covariata lo stile di personalità e come variabile dipendente l'autoefficacia percepita. Conclusioni In conclusione, i risultati attesi prevedono che le strategie di coping influiscano sull’autoefficacia percepita indipendentemente dalle caratteristiche di personalità. In particolare, tra le possibili strategie di coping considerate, ci aspettiamo che l’ “Orientamento al Problema”, l’ “Attitudine Positiva” ed il “Sostegno Sociale” siano cruciali nella modulazione dell'autoefficacia percepita diversamente dalle strategie di “Evitamento” e “Orientamento Trascendente” Poster 4 La gestione di stati emotivi spiacevoli: Mindfulness e Detached Mindfulness a confronto R.Amato, S.Carrieri, T.Congiu, F.Di Stefano, G.Gualdi, A.Guidi, D.Manfredini, G.Trinelli Introduzione Negli ultimi anni le tecniche basate sul concetto di Mindfulness si sono imposte sempre di più nel panorama cognitivo tanto da arrivare a parlare di Psicoterapia cognitiva di terza generazione. Con le tecniche di Mindfulness non ci si propone una ristrutturazione cognitiva, il focus consiste nella modificazione nel rapporto con i propri pensieri. I pensieri non sono più considerati funzionali o disfunzionali, ma “semplicemente” pensieri. Zinn (1994) definisce la Mindfullness come la capacità di prestare attenzione a qualcosa in un modo particolare, intenzionalmente, nel momento presente. La prima indicazione che la pratica di uno stato mentale di 104
consapevolezza sia funzionale nel contenere e ridurre la sofferenza deriva dalle scritture buddiste. L’utilizzo di tecniche che dirigono l’attenzione verso stimoli neutri permette di distoglierla da quelli emotivamente carichi, riducendo così l’intensità delle reazioni conseguenti. Wells e Matthews nel 1994 parlano di Detached Minfulness, che aggiunge al concetto di Mindfulness l’idea di un’esperienza del sé come separato dal pensiero e come osservatore di esso, mirando allo sviluppo di una meta-­‐consapevolezza dei propri pensieri più che alla consapevolezza del momento presente. Obiettivo Confrontare due tecniche di Mindfulness (una basata sul respiro e una di Detached Mindfulness), e valutarne l’efficacia nella gestione dell’attivazione emotiva conseguente a uno stimolo elicitante. Metodo Il campione è composto da soggetti non clinici suddivisi in 3 gruppi. Tutti i soggetti visioneranno un filmato con lo scopo di suscitare un’attivazione emotiva, Mediante la somministrazione di un questionario valuterermo tale arousal. Al primo gruppo verrà presentato un intervento basato sul respiro, al secondo uno basato sulla Detached Mindfulness, il terzo gruppo fungerà da controllo. Verrà poi ri-­‐somministrato il questionario per verificare gli effetti nelle diverse condizioni. Risultati e conclusioni Saranno presentati e discussi in seguito Poster 5 L’efficacia dell’intervento Cognitivo-­‐Comportamentale nelle dimensioni della Depressione, Ansia e Rimuginio in un gruppo di pazienti con diagnosi di Disturbo Depressivo afferenti al CPS di Rozzano (MI), Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale San Paolo di Milano. Maria Concetta Malorgio Studi Cognitivi Milano Introduzione La Terapia Cognitivo-­‐Comportamentale è efficace nella maggior parte delle forme depressive e può essere usata anche in combinazione con il trattamento farmacologico (terapia combinata). E’ ormai risaputo però che i farmaci hanno un’efficacia importante nella fase acuta del trattamento ma non hanno effetto sulle riacutizzazioni depressive, mentre la psicoterapia produce effetti maggiori sulla prevenzione delle recidive sul lungo periodo. Obiettivi Lo studio riguarda un percorso di gruppo per pazienti con diagnosi di Disturbo Depressivo afferenti al CPS di Rozzano (MI), Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale San Paolo di Milano, in cui il trattamento è ispirato al manuale di Psicoterapia Cognitivo-­‐Comportamentale “La Depressione che cosa è e come superarla” a cura di P. Morosini, D. Piacentini, D. Leveni, G. McDonald, P. Michielin. Nello specifico verrà descritta l’esperienza di un gruppo di pazienti che hanno frequentato 11 incontri di gruppo a cadenza settimanale. Ogni incontro è stato strutturato rispettando la sequenza degli argomenti esposti nel manuale. A questi è stato aggiunto un ulteriore incontro sulle tecniche di rilassamento, non contenuto nel libro, motivato dall’alta frequenza di sintomi ansiosi che si accompagnano alla sintomatologia depressiva dei partecipanti ai gruppi. Questo lavoro vuole essere un contributo allo studio di efficacia del trattamento Cognitivo-­‐Comportamentale, in particolare si vuole verificare se è possibile riscontrare differenze significative nelle dimensioni della Depressione, Ansia e Rimuginio dopo l’intervento Cognitivo-­‐Comportamentale, in linea con quanto emerso in letteratura. Metodo Il campione è composto da pazienti afferenti al CPS di Rozzano (MI) dell’Ospedale San Paolo di Milano. Ai soggetti sono stati somministrati i test BDI (Beck Depression Inventory), Hamilton Depression Rating Scale, STAI (State-­‐Trait Anxiety Inventory) e Penn State Worry Questionnaire (PSWQ) al tempo T0 (prima dell’inizio del trattamento) e al tempo T1 (al termine del trattamento). Verranno analizzate le differenze significative pre-­‐post intervento nei punteggi dei test e verrà effettuato un confronto tra i test al fine di osservare se il trattamento agisce in misura significativamente differente sulle singole dimensioni. Risultati In corso di elaborazione 105
Sessione Poster 3 Domenica 20 ottobre 11.00-­‐12.00 Schema Therapy (Sala Onda) Chairman: Katia Tenore 106
Poster 1 Schema Therapy e alleanza terapeutica l'utilizzo degli schemi per la valutazione dell'alleanza terapeutica F. Bazzani*, E. Del Lupo* *Psicologo, Psicoterapeuta Cognitivo-­‐Comportamentale, Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC sede di Grosseto. Introduzione Attualmente è ampiamente riconosciuta da terapeuti di diversi orientamenti l'importanza della qualità della relazione terapeutica per aumentare l'efficacia della psicoterapia. Vista la rigidità e l'ipervalenza degli schemi cognitivi di ciascun individuo, ci siamo chiesti quanto sia lecito aspettarsi che quando un paziente entra in relazione con il terapeuta si assista all'attivazione di un pool di schemi prevalenti che possono influire sulla percezione della qualità dell'alleanza terapeutica. Obbiettivo Il presente studio ha come obbiettivo indagare se tra gli schemi valutati all'inizio e alla fine del trattamento (protocollo CBT di 16 sedute) ve ne sia uno o più la cui modificazione influisca nel predire la percezione della qualità dell'alleanza terapeutica. Metodo Tutti i soggetti (N=13) sono stati reclutati presso il C.T.C.C. dell'Azienda Ospedaliero-­‐Universitaria di Careggi. Nella fase di pre-­‐trattamento sono stati somministrati i seguenti questionari : YSQ (Young Schema Questionnaire) e SCL-­‐90. Nella fase di post-­‐trattamento i seguenti questionari: YSQ, SCL-­‐90, CALPAS-­‐P, CALPAS-­‐
T. Per l'analisi dei dati è stata effettuata la regressione lineare multipla (Backward Stepwise) inserendo come variabili indipendenti i ∆ Pre-­‐Post trai i punteggi di ciascuno degli schemi (YSQ), mentre la variabile dipendente è stata la previsione dei punteggi prodotti dalla CALPAS-­‐P e dalla CALPAS-­‐T. È stata inoltre effettuata l'analisi del t-­‐test appaiato sull'indice GSI della scala SCL-­‐90, tra i valori del pre e post test riportati dai pazienti. Risultati Nessun schema tra pz. e tp. risulta essere significativamente diverso. I punteggi ottenuti alla CALPAS da pz. e tp. non risultano significativamente diversi. L'indice GSI della scala SCL-­‐90 = 0,075. Solo ∆ Pre-­‐Post dello schema Punizione è stato in grado di predire i punteggi della CALPAS-­‐T (P= 0.042). La modificazione di nessuno schema risulta invece significativa nel predire i punteggi alla CALPAS-­‐P. Conclusioni La modificazione tra inizio e fine trattamento dello schema Punizione è risultata significativa nel predire la percezione dell' alleanza terapeutica. In questo modo si può ipotizzare che agendo sullo schema punizione è possibile aumentare il rapporto di empatia e collaborazione, elementi cruciali di una buona alleanza terapeutica. Parole chiave: Alleanza Terapeutica, Schemi cognitivi Poster 2 Schemi cognitivi prevalenti in un campione di popolazione militare Lucio Aucello, Studi Cognitivi Modena Motivazione Verificare se esistono degli schemi cognitivi di base, così come intesi nella teoria di Jeffrey Young, che caratterizzano un campione di popolazione militare. Ipotesi La popolazione militare è al servizio della Repubblica. Compito dell’Esercito è assicurare, in conformità al giuramento prestato e in obbedienza agli ordini ricevuti, la difesa della Patria, concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità. Il militare è soggetto a particolare disciplina, a doveri e responsabilità nonché a limitazioni nell’esercizio di taluni diritti, previste dalla Costituzione. La mia ipotesi è che la popolazione militare possa avere in comune un innalzamento, non patologico, di alcuni schemi così come definiti e descritti da Young. Metodo a Gruppo sperimentale: 16 Ufficiali Psicologi con anzianità di carriera variabile (da 1 a 12 anni). Età tra 27 e 42 anni. Gruppo di controllo: 13 Psicologi che hanno dichiarato di non avere alcuna motivazione a concorrere ed operare in un contesto militare, non dovuta all’assenza dei requisiti fisici richiesti (età, sviluppo armonico di personalità, altezza etc. etc.). Età tra 26 e 36 anni. Raccolta dati e strumenti di rilevazione: YSQ; (Scid2 e MMPI 2 solo al gruppo di controllo, perché utilizzati in sede di selezione psichiatrica nel reclutamento). Analisi dei dati: T di Student. Metodo b 107
Campione: 39 Allievi Ufficiali dell’Esercito, scelti proporzionalmente alla distribuzione degli Allievi nei Corsi di laurea e genere sessuale d’appartenenza (in tutto 7 donne e 32 uomini). Di questi 39 Allievi, 25 hanno compilato lo YSQ a distanza di circa 9 mesi dall’ingresso in Accademia, i restanti 14 a distanza di circa 1 mese. 22 Allievi del campione hanno un genitore appartenente ad un Corpo Militare dello Stato o Forza Armata, i restanti 17 non hanno genitori che lavorano nel settore militare. Raccolta dati e strumenti di rilevazione: YSQ somministrato in modalità collettiva ed anonima. Risultati La differenza fra le medie osservate nello schema “autosacrificio”, in un campione di Ufficiali Psicologi rispetto ad un gruppo di controllo, è significativa per p < 0,01. In un campione di Allievi Ufficiali gli schemi autosacrificio, standard eccessivi e punizione, risultano sensibilmente più elevati rispetto agli altri. All’inizio del percorso in Accademia, i figli di militari hanno tali schemi più accentuati. Conclusioni Verificare se le apparenti differenze (in merito ai tre schemi citati) tra gli Allievi figli di militari e non, che hanno anzianità di 1 mese, tendano a scomparire nel tempo, così come sembra verificarsi negli Allievi con 9 mesi di anzianità. Ciò potrebbe far ipotizzare, con eventuali ed opportune ulteriori verifiche, che la presenza in famiglia di un genitore che svolga la propria professione in una Forza Armata, possa favorire nei figli una accentuazione di alcuni schemi cognitivi rispetto ad altri, così come rilevati con lo Young Schema Questionnaire. Si potrebbe inoltre ipotizzare che il contesto di formazione militare, specifico dell’Accademia Militare, tenda a determinare nel tempo l’accentuazione degli schemi che sono stati delineati precedentemente. 108
Sessione Relazioni -­‐ 8 Domenica 20 ottobre 12.00-­‐13.30 Sala Teatro Attaccamento, psicopatologia e pratiche genitoriali Chairman: Annalisa Pericoli Discussant: Francesca Solito 109
Presentazione1 Psicopatologia e genitorialità: progetto di trattamento del Disturbo Borderline di Personalità rispetto alle competenze di parenting Chiara Riso; Scuola di Psicoterapia Cogntiva SPC -­‐ sede di Grosseto Introduzione La letteratura evidenzia che i genitori con Disturbo Borderline di Personalità (DBP), le madri in particolare, si trovano ad affrontare considerevoli sfide legate alla genitorialità, vissute con intenso stress e percezione di scarse competenza e soddisfazione (Henshaw et al., 2011). Le interazioni genitore-­‐figlio sono caratterizzate da una peculiare oscillazione tra ipo ed iper coinvolgimento materno e tra la messa in atto di comportamenti intrusivi, ostili e ritirati (Stepp 2011). I bambini sono esposti a importanti rischi evolutivi (Newman et al., 2007) e al forte pericolo di ricevere risposte incoerenti e poco sensibili ai loro bisogni, soprattutto di attaccamento (Hobson, 2009). Tesi Nonostante la complessità delle implicazioni di questa condizione clinica sulla genitorialità, non risultano interventi progettati specificamente per le madri con DBP e i loro figli. Alcuni autori hanno formulato raccomandazioni generali basate sulla teoria dell’attaccamento (Conroy et al., 2009), altri contributi teorici promuovono un modello di trattamento fondato sulla mindfulness (Dumas, 2005; Dawe & Harnett, 2007), altri ancora una procedura di intervento basata sulla terapia interattiva genitore-­‐bambino (Giamundo & Isola, 2007). Per le caratteristiche di funzionamento di queste pazienti è opportuno che gli interventi vengano integrati ad azioni strutturate, finalizzate all’esplicito supporto delle capacità genitoriali. Metodo La proposta prevede: a) la somministrazione, in fase di assessment e post intervento, di strumenti volti a misurare l’esperienza e l’espressione della rabbia genitoriale, lo stress percepito dalla madre, il funzionamento del bambino e i suoi problemi emotivi e comportamentali; b) un intervento psicoeducativo, rivolto al genitore, sulle emozioni problematiche e sulle tappe evolutive del bambino; c) sedute di interazione genitore bambino (fino a 10 anni) in diverse situazioni relazionali e ricostruzione degli ABC problematici a caldo, alternate a colloqui individuali con la madre, durante i quali terapeuta e paziente rivedono la videoregistrazione e costruiscono strategie di gestione emotiva e comportamenti più coerenti e funzionali; d) colloqui con il genitore: utilizzando l’Imagery with rescripting si affrontano le pregresse esperienze infantili problematiche correlate alle attuali risposte critiche nell’area della genitorialità, con l’obiettivo di aumentare la distanza emotiva da esse e la tolleranza al ripresentarsi di stimoli connessi alle esperienze stesse; e) la rivalutazione dell’interazione e la strutturazione di un modulo di prevenzione delle ricadute. Conclusioni La procedura di trattamento proposta ha l’obiettivo, da un lato, di validare le abilità di efficacia interpersonale e aumentare la percezione di competenza materna, dall’altro, di migliorare le capacità di gestione delle emozioni e promuovere comportamenti genitoriali indipendenti dall’instabilità emotiva, esponendo i figli a scambi interattivi più prevedibili ed a risposte coerenti alle loro manifestazioni emotive. Presentazione 2 Attaccamento e tratti di personalità in un’ottica intergenerazionale: approfondimento e trattamento integrato psicologico-­‐psichiatrico su caso clinico di adolescente con tentati suicidi. Corà Alice*, Civiero Martina° *Psicologa, 4° anno SPC Verona ° Psichiatra, Dirigente Medico 1° Centro Salute Mentale ULSS n. 6 Vicenza I comportamenti suicidari costituiscono un problema primario di salute pubblica che gli attuali modelli eziologici pongono in relazione all’esposizione cumulativa ad una serie di fattori sociali, familiari e di salute mentale (Fergusson et al., 2000; Beautrais, 2000). Tra i principali fattori predittivi di tali comportamenti nella fascia adolescenziale vi sono la presenza di una psicopatologia genitoriale, le conflittualità nelle relazioni coniugali e le esperienze traumatiche. Secondo Bowlby (1989), il parenting è cruciale nello sviluppo infantile e nella salute mentale: la condizione di controllo senza affetto è risultata associata a sintomi depressivi e a specifiche caratteristiche di personalità in età adulta. Gli adolescenti omosessuali, inoltre, sembrano essere a maggior rischio di psicopatologia (a carico di disturbi d’ansia e dell’umore, dipendenza da sostanze, frequenza di tentati suicidi) rispetto ai loro coetanei eterosessuali. Viene illustrato il caso di M., un ragazzo di 19 anni che vive con i genitori ed una sorella di 16 anni. Il paziente ha avuto accesso ad un Dipartimento di Salute Mentale per due tentativi di suicidio. Dall’analisi del funzionamento, si registra come principale fattore di scompenso la rottura di una relazione sentimentale omosessuale, che ha attivato in M. emozioni di rabbia verso di sé e verso l’altro (pensiero di essere stato usato, illuso e abbandonato e di inaccettabilità dell’evento) e tristezza (una condizione di assenza di scopi, “un arido deserto”). Tra i fattori predisponenti, emerge il peso di una storia familiare poli-­‐traumatica e di una 110
vulnerabilità psicologica a carico del padre, acuita dalla morte della propria madre due mesi prima. I gesti autolesivi, attuati con una modalità impulsiva con lo scopo di annullare uno stato persistente di angoscia, hanno acquisito chiaramente il significato di una profonda ricerca di attenzione dal padre e di accettazione per la scelta omosessuale. Quale principale fattore di mantenimento, è emersa la conflittualità padre-­‐figlio, scatenata generalmente da agiti verbali violenti ed una tendenza ad una lettura minacciosa della realtà da parte del padre. L’assessment del paziente è stato completato mediante l’uso dell’Autocaratterizzazione e del MMPI-­‐II. Inoltre, al fine di indagare il ruolo dell’attaccamento e delle strutture di personalità genitoriali sono stati previsti la somministrazione del Parental Bonding Instrument e del Test di Rorschach sia ai genitori che al paziente stesso. Dall’esito dei test, si evincono interessanti somiglianze tra il legame di attaccamento infantile e gli schemi di comprensione del mondo del paziente e dei suoi genitori. Il trattamento ha visto un’integrazione tra l’intervento farmacologico con il paziente, un ciclo di colloqui condotti dallo psichiatra con genitore e figlio rivolti al miglioramento delle dinamiche relazionali ed un percorso di sostegno psicologico individuale a matrice cognitivo-­‐comportamentale con il paziente. Si è lavorato aiutando M. a leggere in maniera più realistica e consapevole la propria situazione e sostenendolo nel percorso di costruzione di una propria identità a partire dall’elaborazione della storia di vita personale e genitoriale. Il percorso si è concluso dopo circa un anno dalla presa in carico, dato il miglioramento sintomatologico di M. e l’acquisizione di nuovi strumenti di lettura e gestione delle situazioni conflittuali, con un rimando congiunto al paziente e ai suoi genitori su quanto osservato ed il suggerimento di un percorso terapeutico individuale per il padre, finalizzato al miglioramento della condizione psicologica personale. Il caso di M. appare esemplificativo rispetto all’intrecciarsi di aspetti personali, intergenerazionali e contestuali nell’esordio dei comportamenti di tentato suicidio ed evidenzia l’importanza di un’ottica familiare nella valutazione e nel trattamento di pazienti adolescenti con ideazioni auto-­‐lesive, così come della necessità di un’integrazione costante nell’intervento di specialisti in campo psicologico e psichiatrico. Presentazione 3 “Umorismo genitoriale più sorrisi meno bronci”: relazione tra stile educativo familiare basato sul senso dell'umorismo e autostima nei figli Lorena Notarangelo, Sonia Abbondanza, Clarice Mezzaluna; Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto Introduzione Il buon senso dell’umorismo è una delle caratteristiche più desiderabili che un individuo possa sviluppare perché fornisce alle persone una strategia alternativa che le rende capaci di cambiare prospettiva rispetto a una situazione stressante, reinterpretandola in un nuovo modo, cambiando punto di vista e rendendola meno minacciosa. Obiettivo La presente ricerca si propone di indagare l’eventuale esistenza di una relazione tra uno stile educativo familiare basato sul senso dell’umorismo come strategia di coping e in modo autorinforzativo e una relativa buona autostima nei figli. Metodo Sono stati somministrati ai genitori l’ Assessing Parenting Styles, il CHS , l’HSQ, la CBCL . Ai bambini sono state somministrate due scale del TMA. Conclusioni Saranno discusse in sede di Forum. Bibliografia Dionigi A., Gremigni P., Psicologia dell’umorismo, Carocci, 2010 Franzini L. R., Bambini che ridono: come sviluppare il senso dell’umorismo del vostro bambino, Armando, 2011 Rolla E., Così non mi piaccio: la terapia dell’umorismo, Gribaudi, 2005 Presentazione 4 Relazione tra aspettative genitoriali rispetto alla costruzione del sé del figlio adolescente e sviluppo della sintomatologia ansiosa Assunta Siciliano, Antonio Di Tucci Introduzione e ipotesi Lo studio esamina il ruolo rivestito dalle aspettative genitoriali sulla costruzione di sé dell’adolescente, nell’insorgenza della sintomatologia ansiosa, partendo dall’ipotesi che che nell’eziologia dell’ansia adolescenziale un ruolo significativo sia ricoperto dai messaggi ambivalenti che i genitori inviano ai propri figli, riguardo a ciò che si aspettano che loro facciano ed all’idea sulle loro capacità di riuscita. Metodo Un campione non clinico di 120 ragazzi delle classi terze delle scuole secondarie di primo grado, ed i rispettivi genitori, hanno compilato una serie di questionari autosomministrati volti ad indagare la relazione di ansia 111
(MASC, March, 2000; Traduzione di Migone), worry (PSWQ, Meyer et al. 1990; Traduzione di Ruggiero) ed autostima (Hare 1995) con aspettative genitoriali. Risultati I risultati mostrano una relazione significativa tra aspettative paterne e ansia del figlio, non presente, invece, con la madre. Viceversa per le variabili autostima e worry è più significativa la relazione con la madre. Tali risultati sarebbero associati al ruolo rivestito dai genitori nella crescita del figlio. Il padre quale modello responsabile, utile nella prevenzione di comportamenti antisociali, e la madre, quale portatrice di affetto e fiducia, fondamentale per favorire dialogo e stima di sé. Le aspettative di quest’ultima provocherebbero il worry, ma non l’ansia vera e propria. Presentazione 5 Funzioni Metacognitive e Credenze Metacognitive Cavallo F, De Sanctis C, Di Lizia A, Melchiorre L, Santone C Studi Cognitivi, Sede di San Benedetto del Tronto Introduzione Per Dimaggio, Popolo, Semerari, i disturbi mentali sono il risultato dell'aggravamento e/o peggioramento delle funzioni metacognitive(2008). Secondo Wells le disfunzioni metacognitive possono portare a pensieri e credenze disfunzionali, che sono legati a disturbi psicologici (1997). Obiettivo L'ipotesi dello studio è che le funzioni metacognitive non siano determinanti nella costruzione di credenze metacognitive disfunzionali e viceversa. La causalitá tra funzioni e contenuto non interferisce sul come si costruisce una credenza. La compresenza non è indice di un nesso causale o inversamente proporzionale tra i due fattori, ma permette di ipotizzare che gli interventi devono tener conto delle diverse aree indagate. La ricerca ha come ipotesi quella di indagare tale rapporto, per valutare le strategie di intervento e trattamento dei vari disturbi psicopatologici Metodo Il campione dello studio è composto da un gruppo omogeneo, per età e diagnosi, di pazienti psicotici afferenti al Centro Diurno di Pescara. Gli strumenti utilizzati sono: Questionario Metacognizione MCQ-­‐C (Wells, 1997); SVAM (Semerari 2008), SCL-­‐ 90; Penn State Worry Questionnaire, BAI(Beck Anxiety Inventory), BED (Beck Depression Inventory), SCID II per disturbi di Asse II. Risultati In attesa della analisi statistica e dell’incrocio dei dati del data base per lo studio correlazionale. Presentazione 6 Child and Adolescent Scale of Irrationality. Traduzione e adattamento italiano di una scala per lo studio del funzionamento socio-­‐emotivo e comportamentale dell’età evolutiva e sottostanti processi cognitivi Battilana Elisa*, Bucco Vanessa*, Campolongo Francesca*, Cava Filomena*, Corà Alice*, Degenhardt Samantha*, D'orlando Francesca*, Follador Anna*, Giurco Roberta*, Grieco Claudia*, Guerrazzi Luisa*, Magli Alberto*, Manni Karen*, Marchetto Silvia*, Marchiorello Francesca*, Mattinzoli Elena*, Pavin Lucia*, Raoli Valentina, Tosatto Chiara*, Valer Laura*, Vanzetta Nadia*, Zanette Silvia*, Bernardelli Sara° * Psicologi -­‐ Studenti SPC Scuola di Psicoterapia Cognitiva e APC Associazione di Psicologia Cognitiva, sede di Verona ° Psicologa-­‐Psicoterapeuta, docente conduttore di project SPC -­‐ Scuola di Psicoterapia Cognitiva e APC -­‐
Associazione di Psicologia Cognitiva, sede di Verona Introduzione Il presente lavoro è stato condotto per indagare le idee irrazionali di bambini e adolescenti che causano reazioni emotive e comportamentali disfunzionali e creano sofferenza. La cornice teorica di riferimento è la teoria REBT -­‐ Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (Ellis, 1993), che ha come obiettivo quello di aiutare i giovani pazienti a modificare le idee disfunzionali in pensieri funzionali, poiché quest’ultimi risultano essere più validi per il conseguimento degli scopi del paziente ed in tal senso possono costituire una guida più efficace del comportamento e della gestione delle emozioni, riducendone l’intensità a favore di una visione più razionale e adattiva. Allo scopo di rendere efficace il lavoro terapeutico con i giovani pazienti, è necessario conoscere quali sono le idee disfunzionali che sono sottostanti il malessere psicologico e, per questo motivo, è necessario disporre di strumenti che aiutino il clinico ad indagare le idee disfunzionali. Negli Stati Uniti, Ellis, Bernard e Laws nel 1988 hanno sviluppato la Scala “CASI-­‐Child and Adolescent Scale of Irrationality”, costruita per misurare le idee irrazionali di soggetti di età compresa fra i 10 e i 18 anni. Obiettivo Scopo del presente studio è stato quello di tradurre ed adattare il CASI per la popolazione italiana e valutarne le proprietà psicometriche. 112
Le ipotesi che hanno orientato lo studio sono state le seguenti: -­‐ I bambini e gli adolescenti italiani pensano in modo irrazionale; -­‐ Le categorie di pensieri disfunzionali che caratterizzano i bambini e adolescenti italiani sono analoghe a quelle della popolazione americana; -­‐ Esistono delle specificità culturali nei pensieri disfunzionali che differenziano la popolazione italiana da quella americana Metodo Le fonti sono state individuate all’interno della letteratura internazionale che aveva già trattato l’argomento e il questionario CASI in lingua inglese già utilizzato negli USA. Per le misure utilizzate si è fatto riferimento ad uno studio condotto dal collega Terjesen dell’Albert Ellis Institute di New York con cui ci siamo confrontati per stabilire come effettuare lo studio e come procedere con l’analisi dei dati; a tal scopo si è stabilito di condurre le statistiche descrittive, calcolare la consistenza interna e l’analisi fattoriale. Risultati La scala CASI è stata somministrata a 200 partecipanti tra 9 e 17 anni; età media 14.62 anni e deviazione standard pari a 2. Il campione era formato da 104 femmine (65,8%) e 54 maschi (34,2%). È stata condotta l’analisi fattoriale per individuare se la versione italiana del CASI misurasse gli stessi fattori della versione americana e, pertanto, individuare se vi sono le stesse categorie di pensieri disfunzionali corrispondenti alla teoria REBT tra la popolazione americana e quella italiana. Dall’analisi sono emersi sei fattori che spiegano la varianza: Intolleranza alle frustrazioni che spiega il 16% della varianza e include 10 item del questionario (item 17, 18, 20, 23, 26, 30, 31, 32 e 33), Autosvalutazione che spiega il 10% della varianza e include 8 item del questionario (item 5, 8, 11, 12, 15, 16, 24 e 25) , Catastrofizzazioni rispetto agli altri che spiega il 7.3% della varianza e include 6 item del questionario (item 3, 9, 13, 22, 29 e 35), Doverizzazioni che spiega il 5.4% della varianza e include 5 item del questionario (item 4, 7, 27, 34 e 36), Svalutazione degli altri che spiega il 4.4% della varianza e include 3 item del questionario (item 6, 21 e 28) e Intolleranza rispetto alle attività che spiega il 4.2% della varianza e include 3 item del questionario (item 10, 14 e 19). È stata, inoltre, calcolata la consistenza interna attraverso l’alpha di Cronbach sui diversi fattori, che è risultata pari a .85. Conclusioni I risultati mostrano che la versione italiana della scala CASI ha buone caratteristiche psicometriche. I fattori emersi corrispondono alla teoria sulle idee irrazionali elaborata da Ellis (1989) e pertanto i risultati incoraggiano l’utilizzo della scala CASI nella popolazione italiana per indagare le idee irrazionali che possono essere alla base dei problemi emozionali e comportamentali di bambini e adolescenti. In relazione alle ipotesi iniziali è emerso che: -­‐ I bambini e gli adolescenti italiani pensano in modo irrazionale -­‐ Le categorie di pensieri disfunzionali che caratterizzano i bambini e adolescenti italiani sono analoghe a quelle della popolazione americana. -­‐ Emergono delle specificità culturali nei pensieri disfunzionali che differenziano la popolazione italiana da quella americana. Rispetto a questa ipotesi, sono state evidenziate alcune specificità della popolazione italiana: rispetto al fattore “Intolleranza alle frustrazioni” nella popolazione italiana viene enfatizzata di più l’intolleranza rispetto alle regole, includendo anche alcune doverizzazioni. -­‐ È emerso un fattore specifico che caratterizza le catastrofizzazioni rispetto agli altri; il fattore “Svalutazione degli altri” è specifico per gli adulti ed emerge un fattore specifico di “Intolleranza rispetto alle attività” che non è emerso nella popolazione americana. I risultati incoraggiano a proseguire la ricerca, ampliando il campione e confrontando le idee irrazionali dei giovani pazienti con la presenza o meno di specifici disturbi psicologici; questi saranno gli obiettivi del lavoro futuro. 113
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